BADIA TEDALDA
Piccolo castello châebbe nome da unâantica Badia di Cassinensi nella Valle della Marecchia, capoluogo di ComunitĂ e di Potesteria nel Vicariato di Sestino, Diocesi di Sansepolcro, Compartimento di Arezzo.
Situato sopra un poggio fiancheggiato a ostro e levante dal torrente Presale, a settentrione e ponente dal fiume Marecchia, fra le Balze, Monte Feltro, il Sasso di Simone, e lâAlpe della Luna, nel grado 29° 51â di longitudine 43° 42â 5â di latitudine presso alle sorgenti del Metauro e della Foglia, quasi nel centro dellâAppennino, si potrebbe a questo alpestre luogo, con piĂš ragione che alla valle di Amsanto neglâIrpini, applicare quel verso di Virgilio (Eneide libro VII) Est locus Italiae in medio sub montibus altis.
Purchè non si prosegua a dire con lâepico mantovano: Nobilis et fama multis memoratus in oris.
Conciosiacchè oscura, intralciata e ignobile mostrasi anzichÊ nò la storia sulle vicede politiche del paese in questione, a chi non ama di razzolare favole e fra le leggende; siccome sembra essere tale quella del supposto fondatore della Badia Tedalda, e di alcuni regoli che nei secoli di mezzo in codeste aspre giogane su miseri guardiani di armenti e taglialegne tiranneggiarono.
NÊ io confido di recare un barlume di luce maggiore di quella che derivare potrebbe da deboli e interrotte faville in mezzo a una cupa notte, e alla trista sorte che nei tempi andati quasi sempre toccò ai popoli situati presso i limiti di due o piÚ nazioni e governi diversi.
Furono i contorni della Badia Tedalda, al pari di quelli di Verghereto e di Bagno, sugli estremi confini della nazione Umbra nei tempi romani, sino a che lâimperatore Costantino, o piuttosto Giustiniano, dopo lâespulsione dei Goti, formò di questa montuosa regione fra Urbino, Monte Feltro e il Trivio una nuova Provincia, appellata delle Alpi Appennine, la quale fu posteriormente incorporata alla Pentapoli dipendente dallâEsarcato. Paolo Diacono forse fu il primo a descriverla in questi termini: âNona denique Provincia in Appenninis Alpibus nuncupatur⌠Hae Apenninae Alpes per mediam Italim pergentes⌠Thusciam ab Aemilia, Umbriamque a Flaminia dividunt, in qua sunt civitates Ferronianum et Montepellium, Bobium, et Urbinum, nec non et oppidum quod Verona appellatur.â (De Gest. Langob. 1. II, c. i 5) Berretti e Maffei mutarono questâultimo oppido in Vetona, temendo che lo storico longobardo avesse preso abbaglio col porre una Verona nellâAppennino. â Un diploma però di Ottone il Grande, dato in Ostia li 7 dicembre dellâanno 967, prova abbastanza che Paolo Warnefrido non si era ingannato.
Ă la concessione a titolo di feudo fatta da quellâimperante a favore di un nobile suo fedele, per nome Goffredo figlio dâIldebrando, cui confermò i possedimenti occupati da quel vassallo nei monti di Chiusi Casentinese, nellâAlvernia, nelle Valli superiori del Tevere, dellâArno della Marecchia e del Savio, Compresa la selva del Corezzo, quelli del Trebbio e la Massa Verona. â Che la Massa Verona abbracciasse una porzione della Badia Tedalda, come anche della ComunitĂ di Verghereto, di Caprese e della Pieve di S. Stefano, si manifesta dalle parole del diploma, dove dice, che la Massa Verona ha per confine, da un lato la foresta che dicesi Caprile (villaggio e contrada della Badia Tedalda); dal secondo lato Monte Feltro; dal terzo lato il territorio di Bagno, mentre dal quarto lato si estendeva sino in Pietra Verna e alle Calvane, vale a dire, sino allâAppennino del Bastione, fra lâAlverna e Camaldoli. (Ann. Camald. Append. T. I) Resta però a sapere, se Goffredo figlio dâIldebrando fosse uno dei progenitori dei conti di Chiusi e di Montedoglio, quantunque il nome dâIldebrando si trovi ripetuto nei secoli susseguenti fra i nobili della consorteria dei conti di Galbino, di Chiusi e di Montedoglio, giĂ patroni e fondatori di quelle tante badie e monasteri esistiti fra il Tevere, il Savio, lâArno e la Marecchia.
Forse tra questi contatasi pure la Badia Tedalda, tanto piĂš che i conti di Montedoglio vi tennero ragione sino a che un abate di questa stirpe cedè la giurisdizione della Badia Tedalda ad altri consorti, i quali, ora di prepotenza, ora di ragione si usurparono una gran parte dellâAppennino centrale. â Fu dei tanti tra questi il potente Uguccione di Ranieri da Corneto della Faggiula, il quale da castellano e potestĂ di poche bicocche spettanti ai monaci del Trivio, scese di lĂ in Toscana a terrore dei Guelfi, per tiranneggiare ad un tempo le Repubbliche di Pisa e di Lucca. â In grazia del padre potè il figlio di Uguccione signoreggiare anchâesso nel territorio della Badia Tedalda, finchè ebbe lâappoggio dei governi nemici del Comune di Firenze. â Prova ne fa il trattato di pace concluso nel 1353 tra la Repubblica fiorentina e lâArcivescovo Visconti di Milano, in cui fra i seguaci di questâultimo è compreso Nieri della Faggiola, confermando a lui tutti i castelli, luoghi e possedimenti della casa Faggiolana. Tra le 72 ville e castelli di sua giurisdizione sono notati quasi tutti quelli che fanno parte delle ComunitĂ della Badia Tedalda, di Sestino, di Verghereto, e delle adiacenze di Monte Feltro, di Sarsina, di Castel S. Agata, e di Mercatello nello stato Pontificio. â Quelli spettanti alla Badia Tedalda, divenute parte della Massa Trabaria, come lo fu della Massa Verona, erano: la Rocca di Pratieghi, Montefortino, Stiavola, S. Sofia di Marecchia Montebottolino, Roffelle, Castel S. Angelo ecc. Questâultimo probabilmente riferiva al castello della Badia Tedalda che ha per titolare appunto S. Angelo. â I signori di Montedoglio, i Faggiolani, i Tarlati, gli Ubaldini di Apecchio, i conti di Montefeltro, e tanti altri tirannetti furono espulsi per sempre dallâAppennino della Badia Tedalda dopo che la Repubblica fiorentina ebbe conquistato la terra ora cittĂ di S. Sepolcro, e quindi una gran parte della Massa Trabaria, dallâAlpe della Luna sino al Sasso di Simone. â In tale occasione la Badia Tedalda fu ammensata a quella dei Cassinensi di Firenze. Fino a qual tempo la tenessero i monaci, e quando fosse nuovamente concessa in commenda e quindi soppressa, non ne potè rintracciare notizie precise, nemmeno il cronista della Badia fiorentina. Nella qual cronaca per altro si trova notato, che ai tempi di Leone X lâaveva in commenda il monaco Certosino Leonardo Bonafede spedalingo di S. Maria Nuova, il quale dopo qualche tempo rinunziò nel 1522 la Badia di S. Angelo della Tedalda, situata nella Massa Trabaja alle radici del Monte Maggiore, giĂ detto Monte della Luna, riserbandosi certa pensione. (Puccinelli Cronaca della Badia fiorentina) â Deve a questo ricco e generoso Certosino lâattuale chiesa della Badia Tedalda i tre basso â rilievi di scultura della Robbia che adornano i suoi altari. Tornato il patrimonio della Tedalda, sotto lâamministrazione dei Cassinensi di Firenze, il loro abate Tommaso da Piacenza spese una cospicua somma per ridurre a coltura quei terreni, parte dei quali furono nuovamente acquistati nel 1525 dallâabate suo successore. â Pochi anni dopo fu accesa una lite nei tribunali di Firenze, trasportata nel 1537 alla Ruota di Roma, per causa dei possessi e giurisdizioni della Badia Tedalda, ritenuti dai conti di Montedoglio, contro i quali fu pronunciato il giudizio. In vigore di ciò, nel 1540 lâabate del monastero di Firenze entrò al possesso di dieci poderi nella comunitĂ della Badia Tedalda dove innalzò una vasta abitazione, detta tuttora il palazzo della Badia.
ComunitĂ della Badia Tedalda. â Il territorio comunitativo della Badia Tedalda occupa una superficie di 34803 quadrati (circa 43 miglia toscane) di cui 1195 quadrati sono occupati da alvei di fiumi, e torrenti e da alcune poche strade. â Comprende 13 popoli, due dei quali staccati dal territorio unito del Gran Ducato, con una popolazione di 1925 abitanti, corrispondenti a un dipresso a 40 individui per ogni miglio quadrato. â Confina per due lati con lo stato Pontificio, e negli altri con 4 ComunitĂ . â A settentrione â maestro tocca per il tratto di un miglio e mezzo la ComunitĂ di Verghereto, a partire dal poggio dei Tre Vescovi, nome sorto dalla localitĂ che fu a contatto di tre Diocesi cioè Sarsina, Montefeltro e Arezzo. â Al Poggio del Castagnolo presso al vertice del poggio che dicesi Poggio della Zucca trova la ComunitĂ della Pieve di S. Stefano, con la quale il territorio della ComunitĂ di Badia Tedalda costeggia lungo la criniera dellâAlpe della Luna nella direzione da maestro a scirocco. Presso al giogo settentrione di questâAlpe subentra la comunitĂ del Borgo S. Sepolcro con la quale prosegue a percorrere nella stessa criniera sino alla cosĂŹ detta Ripa al Becco. Quivi trova lo stato Pontificio e una sorgente del fiume Metauro, col quale si volge da scirocco a levante lungo la destra ripa, che varca dopo due miglia, a ostro del Monte la Breve, e di Castellucciola, lĂ dove il fiume abbandona il territorio Granducale, e riceve il tributo di altri rivi nello stato Papale, lungo il quale per termini artificiali confina per 4 miglia sino dirimpetto al Castel deâFabri. Di lĂ si ripiega nella direzione di settentrione passando vicino alle scaturigini del fiume Foglia sulla pendice orientale di Monte Fortino, avendo sempre a contatto la ComunitĂ di Sestino, dove sâinterna per qualche tratto con angolo sporgente verso levante innanzi di ripiegare nellâopposto lato verso il Castello della Badia Tedalda sino al torrente Presale, il di cui alveo serve di limite alle due ComunitĂ . Al confluente del Presale con la Marecchia, dopo 5 miglia di contatto col territorio di Sestino, varcato il fiume trova nuovamente lo Stato Pontificio, che dal lato grecale sâinterna nel territorio della Badia Tedalda, e ne stacca la porzione piĂš settentrionale consistente in miglia toscane 3 e 1/2 di superficie territoriale in circa: dove risiede il castello di S.
Sofia in Marecchia, e il villaggio di Cicognaja sul monte Rotondo, il primo dè quali è situato alla sinistra e lâaltro alla destra del fiume soprannominato. Da questo lato, volto a greco poscia a settentrione la ComunitĂ della Badia Tedalda, cointinua per 5 in 6 miglia toscane a costeggiare lungo termini artificiali lo Stato della Chiesa, finchĂŠ ritrova al poggio deâTre Vescovi, la ComunitĂ di Verghereto, non piĂš che tre miglia a ostro delle sogenti del Tevere, e due dalla pieve delle Balze.
Il suolo della ComunitĂ Tedalda trovasi per ogni parte coperto, contornato e in vari sensi attraversato da monti, dove prendono origine tre fiumi tributari dellâAdriatico, il Metauro cioè, la Foglia e la Marecchia. Ă perciò di difficile accesso, poco praticabile nellâinterno, sempre impedito da aspri, angusti e profondi valloni con poche sassose piagge presso la confluenza dei vari corsi di acqua. La parte piĂš elevata è la giogana che diramasi dal monte delle Balze e da settentrione a scirocco si dirige fra il Tevere e il Metauro per la giogana dellâAlpe della Luna, la di cui sommitĂ piĂš elevata trovasi a 2314 braccia sopra il livello del Mediterraneo, mentre il Poggio della Zucca che è una continuazione della stessa montagna, si trova allâelevatezza di sole 2131 braccia. â Scaturiscono nel dorso di questo stesso Poggio le prime polle della Marecchia; dalla sommitĂ dellâAlpe della Luna, alla Ripa al Becco nascono le prime sorgenti del Metauro, e dal Monte Fortino quelle dellâantico Isauro, oggi il fiume Foglia.
La natura del terreno consiste per la maggior parte in schisto-marnoso di colore ora giallastro, ora verdognolo: in macigno e in calcareo appenninico a strati inclinatissimi. In alcune localitĂ queste rocce sono attraversate da venature di manganese, e di spato. Presso al varco settentrionale dellâAlpe della Luna fra Viamaggio e la Pieve S. Stefano sâincontrano gli ultimi filoni di gabbro serpentinoso penetrati fin lĂ dalla Valle Tiberina che lâattraversano, a partire da Montauto.
Il clima di questa contrada è rigido e coperto di neve nellâinverno, dominato dai venti che soffiano con impeto da tutte le parti e per tutte le foci, soggetto alle nebbie, e incostante nellâestate, per cui gli abitanti vanno soggetti piĂš che altro a malattie inflammatorie.
Le produzioni del suolo sono in gran parte spontanee, se si eccettuino le seminagioni di granella, consistenti in orzuola, in segala e poco mais. Del resto ad eccezione dei faggi, cerri e carpini i di cui boschi occupano quasi un terzo della superficie territoriale della ComunitĂ , non vi sono altri alberi da frutto, giacchè manca la pianta piĂš utile della montagna col castagno, e i noci, i ciliegi, i meli e le fungaje recano risorsa di poca entitĂ a quei montagnuoli, la cui industria maggiore si riduce alla pastorizia, di bestiame lanuto, bovino e porcino che nutriscono nellâestate nei prati naturali, e nei boschi, dopo aver passato lâinverno nella maremma grossetana, e che vendono e commerciano nei mercati della Pieve S.
Stefano e di Sansepolcro, e nello stato limitrofo. â Oltre gli animali salvatici comuni alle altre sezioni dellâAppennino, trovansi costĂ lupi, e fra i volatili uccelli di rapina che nidificano nelle balze piĂš elevate dellâAlpe della Luna, una delle quali cime si distingue col nome di Poggio dellâAquila, per quanto questo re dei volatili non vi abbia domicilio.
Mancano strade rotabili; aspre e assai faticose sono le poche pedonali che attraversano il territorio della Tedalda.
La migliore di tutte è quella che presso alla Pieve S.
Stefano sale sullâAlpe della Luna rimontando alle sorgenti del torrente Canigiola, e per la foce di Viamaggio porta alla Badia Tedalda e di lĂ a Sestino.
Non vi hanno luogo mercati settimanali nĂŠ fiere, ad eccezione di una fiera di bestiame di concorso nel piano della Marecchia al borghetto di Ranco, il giorno del santo titolare della Badia (29 settembre).
Con Motuproprio emanato il 24 luglio 1775 LEOPOLDO I decretò lâorganizzazione della ComunitĂ della Badia Tedalda, quando si riunirono in un sol colpo per interesse reciproco i diversi comunelli compresi in quella potesteria. Essi consistevano in 12 popoli, ai quali fu aggiunto dopo lâabolizione dei feudi quello di S. Sofia in Marecchia, che da Cosimo III era stato eretto in marchesato sino dal 1615 per i conti Colloredo di Milano.
Il popolo di S. Sofia e quello di Cicognaja, situati nel territorio staccato della Badia Tedalda lungo la Marecchia, per lo spirituale appartennero sino al secolo XVIII avanzato alla Diocesi di Montefeltro, e quello di Monte Fortino, di Stiavola, di Castellacciola, di Monte la Breve dipendevano dalla Diocesi Nullius di Sestino.
Il PotestĂ della Badia Tedalda che è di terza classe, dipende nel criminale e per gli atti di governo dal Vicario R. di Sestino, dove risiede pure la cancelleria comunitativa. Il suo ufizio per lâesazione del Registro è in San Sepolcro, quello delle Ipoteche in Arezzo.
Dal quadro che qui appresso si riporta della popolazione di questa Comunità a tre epoche diverse si rileva un fatto rarissimo nella storia economica del Gran Ducato, dove quasi tutti i paesi hanno aumentato con i mezzi di risorse il numero delle famiglie, e degli individui, mentre nella Comunità della Badia Tedalda è accaduto il contrario.
Quale ne sia stata la causa, lascio ai lettori lâindagarla. â Vedere SESTINO.
QUADRO della Popolazione della Comunità della BADIA TEDALDA a tre epoche diverse Popolazione dell'anno 1833 - nome del luogo: BADIA TEDALDA, titolare della chiesa: S. Michele (Prioria, già Abazia), popolazione n° - nome del luogo: Caprile, titolare della chiesa: S.
Bartolommeo (Prioria), popolazione n° 196 - nome del luogo: Castellacciola, titolare della chiesa: SS.
Stefano e Lorenzo (Cura), popolazione n° 145 - nome del luogo: Cicognaja, titolare della chiesa: S.
Arduino (Cura), popolazione n° 110 - nome del luogo: Fresciano, titolare della chiesa: SS.
Pietro e Paolo (Pieve), popolazione n° 155 - nome del luogo: Monte Battolino, titolare della chiesa: S. Tommaso (Cura), popolazione n° 64 - nome del luogo: Montefortino, titolare della chiesa: S.
Andrea (Cura), popolazione n° 70 - nome del luogo: Monte la Breve, titolare della chiesa: S.
Martino (Cura), popolazione n° 128 - nome del luogo: Pratieghi, titolare della chiesa: S. Maria (Pieve), popolazione n° 134 - nome del luogo: Roffelle, titolare della chiesa: S. Maria (Cura), popolazione n° 185 - nome del luogo: S. Sofia in Marecchia, titolare della chiesa: SS. Maria e Sofia (Cura), popolazione n° 121 - nome del luogo: Stiavola, titolare della chiesa: S.
Cristofano (Cura), popolazione n° 64 - nome del luogo: Via Maggio, titolare della chiesa: S.
Emilio (Cura), popolazione n° 133 - Totale n° 1925 Popolazione della Comunità della BADIA TEDALDA - nell'anno 1551: n° 3734 - nell'anno 1745: n° 1908
Situato sopra un poggio fiancheggiato a ostro e levante dal torrente Presale, a settentrione e ponente dal fiume Marecchia, fra le Balze, Monte Feltro, il Sasso di Simone, e lâAlpe della Luna, nel grado 29° 51â di longitudine 43° 42â 5â di latitudine presso alle sorgenti del Metauro e della Foglia, quasi nel centro dellâAppennino, si potrebbe a questo alpestre luogo, con piĂš ragione che alla valle di Amsanto neglâIrpini, applicare quel verso di Virgilio (Eneide libro VII) Est locus Italiae in medio sub montibus altis.
Purchè non si prosegua a dire con lâepico mantovano: Nobilis et fama multis memoratus in oris.
Conciosiacchè oscura, intralciata e ignobile mostrasi anzichÊ nò la storia sulle vicede politiche del paese in questione, a chi non ama di razzolare favole e fra le leggende; siccome sembra essere tale quella del supposto fondatore della Badia Tedalda, e di alcuni regoli che nei secoli di mezzo in codeste aspre giogane su miseri guardiani di armenti e taglialegne tiranneggiarono.
NÊ io confido di recare un barlume di luce maggiore di quella che derivare potrebbe da deboli e interrotte faville in mezzo a una cupa notte, e alla trista sorte che nei tempi andati quasi sempre toccò ai popoli situati presso i limiti di due o piÚ nazioni e governi diversi.
Furono i contorni della Badia Tedalda, al pari di quelli di Verghereto e di Bagno, sugli estremi confini della nazione Umbra nei tempi romani, sino a che lâimperatore Costantino, o piuttosto Giustiniano, dopo lâespulsione dei Goti, formò di questa montuosa regione fra Urbino, Monte Feltro e il Trivio una nuova Provincia, appellata delle Alpi Appennine, la quale fu posteriormente incorporata alla Pentapoli dipendente dallâEsarcato. Paolo Diacono forse fu il primo a descriverla in questi termini: âNona denique Provincia in Appenninis Alpibus nuncupatur⌠Hae Apenninae Alpes per mediam Italim pergentes⌠Thusciam ab Aemilia, Umbriamque a Flaminia dividunt, in qua sunt civitates Ferronianum et Montepellium, Bobium, et Urbinum, nec non et oppidum quod Verona appellatur.â (De Gest. Langob. 1. II, c. i 5) Berretti e Maffei mutarono questâultimo oppido in Vetona, temendo che lo storico longobardo avesse preso abbaglio col porre una Verona nellâAppennino. â Un diploma però di Ottone il Grande, dato in Ostia li 7 dicembre dellâanno 967, prova abbastanza che Paolo Warnefrido non si era ingannato.
Ă la concessione a titolo di feudo fatta da quellâimperante a favore di un nobile suo fedele, per nome Goffredo figlio dâIldebrando, cui confermò i possedimenti occupati da quel vassallo nei monti di Chiusi Casentinese, nellâAlvernia, nelle Valli superiori del Tevere, dellâArno della Marecchia e del Savio, Compresa la selva del Corezzo, quelli del Trebbio e la Massa Verona. â Che la Massa Verona abbracciasse una porzione della Badia Tedalda, come anche della ComunitĂ di Verghereto, di Caprese e della Pieve di S. Stefano, si manifesta dalle parole del diploma, dove dice, che la Massa Verona ha per confine, da un lato la foresta che dicesi Caprile (villaggio e contrada della Badia Tedalda); dal secondo lato Monte Feltro; dal terzo lato il territorio di Bagno, mentre dal quarto lato si estendeva sino in Pietra Verna e alle Calvane, vale a dire, sino allâAppennino del Bastione, fra lâAlverna e Camaldoli. (Ann. Camald. Append. T. I) Resta però a sapere, se Goffredo figlio dâIldebrando fosse uno dei progenitori dei conti di Chiusi e di Montedoglio, quantunque il nome dâIldebrando si trovi ripetuto nei secoli susseguenti fra i nobili della consorteria dei conti di Galbino, di Chiusi e di Montedoglio, giĂ patroni e fondatori di quelle tante badie e monasteri esistiti fra il Tevere, il Savio, lâArno e la Marecchia.
Forse tra questi contatasi pure la Badia Tedalda, tanto piĂš che i conti di Montedoglio vi tennero ragione sino a che un abate di questa stirpe cedè la giurisdizione della Badia Tedalda ad altri consorti, i quali, ora di prepotenza, ora di ragione si usurparono una gran parte dellâAppennino centrale. â Fu dei tanti tra questi il potente Uguccione di Ranieri da Corneto della Faggiula, il quale da castellano e potestĂ di poche bicocche spettanti ai monaci del Trivio, scese di lĂ in Toscana a terrore dei Guelfi, per tiranneggiare ad un tempo le Repubbliche di Pisa e di Lucca. â In grazia del padre potè il figlio di Uguccione signoreggiare anchâesso nel territorio della Badia Tedalda, finchè ebbe lâappoggio dei governi nemici del Comune di Firenze. â Prova ne fa il trattato di pace concluso nel 1353 tra la Repubblica fiorentina e lâArcivescovo Visconti di Milano, in cui fra i seguaci di questâultimo è compreso Nieri della Faggiola, confermando a lui tutti i castelli, luoghi e possedimenti della casa Faggiolana. Tra le 72 ville e castelli di sua giurisdizione sono notati quasi tutti quelli che fanno parte delle ComunitĂ della Badia Tedalda, di Sestino, di Verghereto, e delle adiacenze di Monte Feltro, di Sarsina, di Castel S. Agata, e di Mercatello nello stato Pontificio. â Quelli spettanti alla Badia Tedalda, divenute parte della Massa Trabaria, come lo fu della Massa Verona, erano: la Rocca di Pratieghi, Montefortino, Stiavola, S. Sofia di Marecchia Montebottolino, Roffelle, Castel S. Angelo ecc. Questâultimo probabilmente riferiva al castello della Badia Tedalda che ha per titolare appunto S. Angelo. â I signori di Montedoglio, i Faggiolani, i Tarlati, gli Ubaldini di Apecchio, i conti di Montefeltro, e tanti altri tirannetti furono espulsi per sempre dallâAppennino della Badia Tedalda dopo che la Repubblica fiorentina ebbe conquistato la terra ora cittĂ di S. Sepolcro, e quindi una gran parte della Massa Trabaria, dallâAlpe della Luna sino al Sasso di Simone. â In tale occasione la Badia Tedalda fu ammensata a quella dei Cassinensi di Firenze. Fino a qual tempo la tenessero i monaci, e quando fosse nuovamente concessa in commenda e quindi soppressa, non ne potè rintracciare notizie precise, nemmeno il cronista della Badia fiorentina. Nella qual cronaca per altro si trova notato, che ai tempi di Leone X lâaveva in commenda il monaco Certosino Leonardo Bonafede spedalingo di S. Maria Nuova, il quale dopo qualche tempo rinunziò nel 1522 la Badia di S. Angelo della Tedalda, situata nella Massa Trabaja alle radici del Monte Maggiore, giĂ detto Monte della Luna, riserbandosi certa pensione. (Puccinelli Cronaca della Badia fiorentina) â Deve a questo ricco e generoso Certosino lâattuale chiesa della Badia Tedalda i tre basso â rilievi di scultura della Robbia che adornano i suoi altari. Tornato il patrimonio della Tedalda, sotto lâamministrazione dei Cassinensi di Firenze, il loro abate Tommaso da Piacenza spese una cospicua somma per ridurre a coltura quei terreni, parte dei quali furono nuovamente acquistati nel 1525 dallâabate suo successore. â Pochi anni dopo fu accesa una lite nei tribunali di Firenze, trasportata nel 1537 alla Ruota di Roma, per causa dei possessi e giurisdizioni della Badia Tedalda, ritenuti dai conti di Montedoglio, contro i quali fu pronunciato il giudizio. In vigore di ciò, nel 1540 lâabate del monastero di Firenze entrò al possesso di dieci poderi nella comunitĂ della Badia Tedalda dove innalzò una vasta abitazione, detta tuttora il palazzo della Badia.
ComunitĂ della Badia Tedalda. â Il territorio comunitativo della Badia Tedalda occupa una superficie di 34803 quadrati (circa 43 miglia toscane) di cui 1195 quadrati sono occupati da alvei di fiumi, e torrenti e da alcune poche strade. â Comprende 13 popoli, due dei quali staccati dal territorio unito del Gran Ducato, con una popolazione di 1925 abitanti, corrispondenti a un dipresso a 40 individui per ogni miglio quadrato. â Confina per due lati con lo stato Pontificio, e negli altri con 4 ComunitĂ . â A settentrione â maestro tocca per il tratto di un miglio e mezzo la ComunitĂ di Verghereto, a partire dal poggio dei Tre Vescovi, nome sorto dalla localitĂ che fu a contatto di tre Diocesi cioè Sarsina, Montefeltro e Arezzo. â Al Poggio del Castagnolo presso al vertice del poggio che dicesi Poggio della Zucca trova la ComunitĂ della Pieve di S. Stefano, con la quale il territorio della ComunitĂ di Badia Tedalda costeggia lungo la criniera dellâAlpe della Luna nella direzione da maestro a scirocco. Presso al giogo settentrione di questâAlpe subentra la comunitĂ del Borgo S. Sepolcro con la quale prosegue a percorrere nella stessa criniera sino alla cosĂŹ detta Ripa al Becco. Quivi trova lo stato Pontificio e una sorgente del fiume Metauro, col quale si volge da scirocco a levante lungo la destra ripa, che varca dopo due miglia, a ostro del Monte la Breve, e di Castellucciola, lĂ dove il fiume abbandona il territorio Granducale, e riceve il tributo di altri rivi nello stato Papale, lungo il quale per termini artificiali confina per 4 miglia sino dirimpetto al Castel deâFabri. Di lĂ si ripiega nella direzione di settentrione passando vicino alle scaturigini del fiume Foglia sulla pendice orientale di Monte Fortino, avendo sempre a contatto la ComunitĂ di Sestino, dove sâinterna per qualche tratto con angolo sporgente verso levante innanzi di ripiegare nellâopposto lato verso il Castello della Badia Tedalda sino al torrente Presale, il di cui alveo serve di limite alle due ComunitĂ . Al confluente del Presale con la Marecchia, dopo 5 miglia di contatto col territorio di Sestino, varcato il fiume trova nuovamente lo Stato Pontificio, che dal lato grecale sâinterna nel territorio della Badia Tedalda, e ne stacca la porzione piĂš settentrionale consistente in miglia toscane 3 e 1/2 di superficie territoriale in circa: dove risiede il castello di S.
Sofia in Marecchia, e il villaggio di Cicognaja sul monte Rotondo, il primo dè quali è situato alla sinistra e lâaltro alla destra del fiume soprannominato. Da questo lato, volto a greco poscia a settentrione la ComunitĂ della Badia Tedalda, cointinua per 5 in 6 miglia toscane a costeggiare lungo termini artificiali lo Stato della Chiesa, finchĂŠ ritrova al poggio deâTre Vescovi, la ComunitĂ di Verghereto, non piĂš che tre miglia a ostro delle sogenti del Tevere, e due dalla pieve delle Balze.
Il suolo della ComunitĂ Tedalda trovasi per ogni parte coperto, contornato e in vari sensi attraversato da monti, dove prendono origine tre fiumi tributari dellâAdriatico, il Metauro cioè, la Foglia e la Marecchia. Ă perciò di difficile accesso, poco praticabile nellâinterno, sempre impedito da aspri, angusti e profondi valloni con poche sassose piagge presso la confluenza dei vari corsi di acqua. La parte piĂš elevata è la giogana che diramasi dal monte delle Balze e da settentrione a scirocco si dirige fra il Tevere e il Metauro per la giogana dellâAlpe della Luna, la di cui sommitĂ piĂš elevata trovasi a 2314 braccia sopra il livello del Mediterraneo, mentre il Poggio della Zucca che è una continuazione della stessa montagna, si trova allâelevatezza di sole 2131 braccia. â Scaturiscono nel dorso di questo stesso Poggio le prime polle della Marecchia; dalla sommitĂ dellâAlpe della Luna, alla Ripa al Becco nascono le prime sorgenti del Metauro, e dal Monte Fortino quelle dellâantico Isauro, oggi il fiume Foglia.
La natura del terreno consiste per la maggior parte in schisto-marnoso di colore ora giallastro, ora verdognolo: in macigno e in calcareo appenninico a strati inclinatissimi. In alcune localitĂ queste rocce sono attraversate da venature di manganese, e di spato. Presso al varco settentrionale dellâAlpe della Luna fra Viamaggio e la Pieve S. Stefano sâincontrano gli ultimi filoni di gabbro serpentinoso penetrati fin lĂ dalla Valle Tiberina che lâattraversano, a partire da Montauto.
Il clima di questa contrada è rigido e coperto di neve nellâinverno, dominato dai venti che soffiano con impeto da tutte le parti e per tutte le foci, soggetto alle nebbie, e incostante nellâestate, per cui gli abitanti vanno soggetti piĂš che altro a malattie inflammatorie.
Le produzioni del suolo sono in gran parte spontanee, se si eccettuino le seminagioni di granella, consistenti in orzuola, in segala e poco mais. Del resto ad eccezione dei faggi, cerri e carpini i di cui boschi occupano quasi un terzo della superficie territoriale della ComunitĂ , non vi sono altri alberi da frutto, giacchè manca la pianta piĂš utile della montagna col castagno, e i noci, i ciliegi, i meli e le fungaje recano risorsa di poca entitĂ a quei montagnuoli, la cui industria maggiore si riduce alla pastorizia, di bestiame lanuto, bovino e porcino che nutriscono nellâestate nei prati naturali, e nei boschi, dopo aver passato lâinverno nella maremma grossetana, e che vendono e commerciano nei mercati della Pieve S.
Stefano e di Sansepolcro, e nello stato limitrofo. â Oltre gli animali salvatici comuni alle altre sezioni dellâAppennino, trovansi costĂ lupi, e fra i volatili uccelli di rapina che nidificano nelle balze piĂš elevate dellâAlpe della Luna, una delle quali cime si distingue col nome di Poggio dellâAquila, per quanto questo re dei volatili non vi abbia domicilio.
Mancano strade rotabili; aspre e assai faticose sono le poche pedonali che attraversano il territorio della Tedalda.
La migliore di tutte è quella che presso alla Pieve S.
Stefano sale sullâAlpe della Luna rimontando alle sorgenti del torrente Canigiola, e per la foce di Viamaggio porta alla Badia Tedalda e di lĂ a Sestino.
Non vi hanno luogo mercati settimanali nĂŠ fiere, ad eccezione di una fiera di bestiame di concorso nel piano della Marecchia al borghetto di Ranco, il giorno del santo titolare della Badia (29 settembre).
Con Motuproprio emanato il 24 luglio 1775 LEOPOLDO I decretò lâorganizzazione della ComunitĂ della Badia Tedalda, quando si riunirono in un sol colpo per interesse reciproco i diversi comunelli compresi in quella potesteria. Essi consistevano in 12 popoli, ai quali fu aggiunto dopo lâabolizione dei feudi quello di S. Sofia in Marecchia, che da Cosimo III era stato eretto in marchesato sino dal 1615 per i conti Colloredo di Milano.
Il popolo di S. Sofia e quello di Cicognaja, situati nel territorio staccato della Badia Tedalda lungo la Marecchia, per lo spirituale appartennero sino al secolo XVIII avanzato alla Diocesi di Montefeltro, e quello di Monte Fortino, di Stiavola, di Castellacciola, di Monte la Breve dipendevano dalla Diocesi Nullius di Sestino.
Il PotestĂ della Badia Tedalda che è di terza classe, dipende nel criminale e per gli atti di governo dal Vicario R. di Sestino, dove risiede pure la cancelleria comunitativa. Il suo ufizio per lâesazione del Registro è in San Sepolcro, quello delle Ipoteche in Arezzo.
Dal quadro che qui appresso si riporta della popolazione di questa Comunità a tre epoche diverse si rileva un fatto rarissimo nella storia economica del Gran Ducato, dove quasi tutti i paesi hanno aumentato con i mezzi di risorse il numero delle famiglie, e degli individui, mentre nella Comunità della Badia Tedalda è accaduto il contrario.
Quale ne sia stata la causa, lascio ai lettori lâindagarla. â Vedere SESTINO.
QUADRO della Popolazione della Comunità della BADIA TEDALDA a tre epoche diverse Popolazione dell'anno 1833 - nome del luogo: BADIA TEDALDA, titolare della chiesa: S. Michele (Prioria, già Abazia), popolazione n° - nome del luogo: Caprile, titolare della chiesa: S.
Bartolommeo (Prioria), popolazione n° 196 - nome del luogo: Castellacciola, titolare della chiesa: SS.
Stefano e Lorenzo (Cura), popolazione n° 145 - nome del luogo: Cicognaja, titolare della chiesa: S.
Arduino (Cura), popolazione n° 110 - nome del luogo: Fresciano, titolare della chiesa: SS.
Pietro e Paolo (Pieve), popolazione n° 155 - nome del luogo: Monte Battolino, titolare della chiesa: S. Tommaso (Cura), popolazione n° 64 - nome del luogo: Montefortino, titolare della chiesa: S.
Andrea (Cura), popolazione n° 70 - nome del luogo: Monte la Breve, titolare della chiesa: S.
Martino (Cura), popolazione n° 128 - nome del luogo: Pratieghi, titolare della chiesa: S. Maria (Pieve), popolazione n° 134 - nome del luogo: Roffelle, titolare della chiesa: S. Maria (Cura), popolazione n° 185 - nome del luogo: S. Sofia in Marecchia, titolare della chiesa: SS. Maria e Sofia (Cura), popolazione n° 121 - nome del luogo: Stiavola, titolare della chiesa: S.
Cristofano (Cura), popolazione n° 64 - nome del luogo: Via Maggio, titolare della chiesa: S.
Emilio (Cura), popolazione n° 133 - Totale n° 1925 Popolazione della Comunità della BADIA TEDALDA - nell'anno 1551: n° 3734 - nell'anno 1745: n° 1908
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1833, Volume I, p. 195.
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