CAMPORAGHENA (ALPE DI)

in Val di Magra.

È la montagna più alta spettante alla catena centrale dell’Appennino Toscano, la cui elevatezza assoluta ha dato al chiaro astronomo Inghirami braccia 3424,7 sopra il livello del Mediterraneo, equivalenti a 6153 piedi francesi.
La sua giogaia collegasi a levante-scirocco con l’Alpe di Mommio, a ponente-maestro con quella di Mont’Orsajo.
Essa serve di limite dal lato settentrionale alla Comunità di Fivizzano con quella di Castelnuovo de’Monti, e divide la Toscana (ERRATA: dal Ducato di Reggio) dai Ducati di Reggio e di Parma.
Hanno origine nel suo dorso i fiumi Enza e Secchia, mentre dal lato che acquapende nella Magra nascono il Tavarone e il Rosaro.
Dall’Alpe di Camporaghena, e da quella contigua di Mommio, si diramano in Val di Magra vari contrafforti, i quali estendonsi sino all’alveo dell’Aulella, dove si annestano alli sproni settentrionali dell’Alpe Apuana, e insieme con essi costituiscono i distretti territoriali di Fivizzano e di Casola.
La pendice meridionale di questa montagna è assai più erta e declive di quello che lo sia nella sua schiena: essendo che da quest’ultimo lati si distende con dolce pendìo verso la Lombardia.
La neve che nell’inverno cuopre la cima di Camporaghena, sparisce per ordinario nel mese di aprile, ed è raro che rimanga per tutta l’estate in alcuna delle più riposte gole.
Nell’avvallamento, ossia foce che schiudesi fra il monte di Mommio e quello di Camporaghena, e precisamente fra il poggio di Sassalbo e il monte Forame, dove scaturisce il Rosaro, passa la nuova strada militare, il cui poggio è a 2429,2 braccia secondo la misura data dal professor Inghirami, e a 2367,4 presa al varco sull’impiantito della strada.
È una montagna importante per la storia naturale, sia in riguardo alle sue produzioni vegetabili alpine, sia rapporto alla distribuzione e qualità delle varie rocce e filoni metalliferi di quel terreno. – Vedere FIVIZZANO Comunità.
Riferimento bibliografico:

E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1833, Volume I, p. 432.