DUOMO VECCHIO fuori di Arezzo (SS. Stefano e Donato)
presso l’attuale camposanto dei canonici di Arezzo, che giace sopra un’umile collina sui fondamenti della vecchia cattedrale, nel suburbio occidentale di Arezzo, e appena un terzo di miglio fuori della porta S.
Spirito, fra la strada Regia perugina e quella della Chiusa de’Monaci in Val di Chiana.
Era invalsa la consuetudine nei primi secoli del Cristianesimo di costruire le chiese matrici e quindi anche le sottomatrici alquanto lungi dall’abitato. Non fu pertanto Arezzo fra le antiche città vescovili la sola che tenesse la sua cattedrale fuori delle mura urbane; mentre i cittadini di Fiesole, di Firenze di Pisa, di Lucca e di Chiusi, innalzarono i loro Duomi extra moenia, o assai d’appresso a una delle porte della loro città.
Era forse il Duomo vecchio di Arezzo la cattedrale più vetusta che contasse la Toscana dopo il risorgimento delle arti, qualora si eccettui per anzianità il S. Giovanni, ossia l’antico Duomo di Firenze.
Imperocché l’edifizio del duomo aretino fu incominciato nell’anno 1014 sul modello della più bella chiesa della cristianità, voglio dire del S. Vitale di Ravenna.
Fu ordinato dal vescovo Elemberto, che inviò a tal effetto colà a levare il disegno del tempio del re Teodorico l’abile architetto Mainardo, il quale presedé all’esecuzione dell’opera, rimasta compiuta nel 1022, con piena soddisfazione di Teobaldo, allora vescovo di Arezzo. – Vedere AGAZZI.
Nell’anno 1110 il popolo di Arezzo, anelando di avere la cattedrale dentro la città, venne in contesa col clero non senza recare qualche guasto al Duomo vecchio. Per la qual violenza l’imperatore Arrigo V, nel suo passaggio da Arezzo per Roma (anno millecentoundici) comandò, che a castigo degli Aretini si atterrassero le torri e le mura antiche di quella città. – Vedere AREZZO.
Non cessò per altro il capitolo maggiore di ufiziare e far pontificale nei giorni solenni nel Duomo vecchio, benché si trovi contemporaneamente un altro capitolo, un nuovo episcopio, e altra cattedra nella chiesa del popolo, cioè nella pieve di S. Maria di Arezzo, la quale fu sempre dentro le mura della città, a differenza dell’altra pieve di S. Maria in Gradis, o in Graticiata, con la quale da molti venne confusa la pieve maggiore. E fu forse in quel lungo trambusto fra il popolo e il clero aretino che le ceneri dell’apostolo S. Donato si trasportarono dal Duomo vecchio alla chiesa del popolo.
Onde meglio provvedere alle bisogne dei cittadini di Arezzo, dietro le ripetute istanze del clero, e le favorevoli informazioni date alla S. Sede dal vescovo di Firenze e dall’abate di Vallombrosa, ad sedandam discordiam et inveteratum odium extinguendum, il pontefice Innocenzo III con bolla dei 26 aprile 1203, unì il Duomo vecchio di S. Donato alla chiesa di S. Pietro, già detta in Castello, ossia San Pier Maggiore, convertita poi in cattedrale. La quale ultima fu riedificata nella forma che ora si vede sul declinare dello stesso secolo XIII con il disegno di Lapo Tedesco, eseguito da Margaritone di Arezzo.
Gli edifizj del Duomo vecchio, della canonica e del suo episcopio, vennero rasati fino i fondamenti per fatale rescritto di Cosimo I dato li 21 ottobre 1561; sul riflesso che da quell’umile collina, potesse, nei casi di guerra, dall’oste recarsi danno alle mura e bastioni stati innalzati da quel sovrano nella parte meridionale e più bassa della città di Arezzo.
Della struttura, magnificenza e pregio del Duomo vecchio, non mancò di darne contezza l’aretino artista e biografo Giorgio Vasari, tanto nelle vite di Spinello aretino e di Gaddo Gaddi, quant’anche nel proemio di quell’opera.
“Concioffosseché (egli diceva nel proemio della seconda edizione) il detto tempio, come si è potuto vedere a’tempi nostri, a otto facce, è fabbricato delle spoglie del teatro, colosseo e altri edifizj, ch’erano stati in Arezzo innanzi che fosse convertita alla fede di Cristo; fu fatto senza risparmio e con grandissima spesa, e di colonne di granito, di porfido e di mischj, ch’erano stati delle dette fabbriche antiche, adornato.” Lo stesso autore nella vita di Spinello Aretino della prima edizione (ERRATA : del Tolentino) del Torentino (Firenze 1550) aggiunge: “che questo pitture dipinse al Duomo vecchio fuori della città di Arezzo la cappella e la chiesa di S. Stefano, nella quale i colori suoi, per essere lavorati risolutamente e a buon fresco, sono ancora finissimi e accesi, che pajono dipinti al presente. E in detta chiesa fece di pittura una Nostra Donna, la quale è tenuta dagli Aretini i divozione e in gran riverenza.” Nella vita di Gaddo Gaddi fiorentino dello stesso biografo si legge: “ che quel pittore lavorò nel Duomo vecchio, fuor della città di Arezzo, per i Tarlati, signori di Pietramala, alcune cose di musaico in una volta la quale era tutta di spugne, e cuopriva la parte di mezzo di quel tempio; il quale essendo troppo aggravato dalla volta antica di pietre, rovinò al tempo del vescovo Gentile Urbinate (sulla fine del secolo XV) che la fece poi rifare tutta in mattoni.” Le rovine del Duomo vecchio furono in seguito ridotte a camposanto per i canonici della nuova cattedrale; e, nel 1610, il vescovo Pietro Usimbardi volle erigervi una cappellina con apposita iscrizione: “ne vetusti Templi olim diruti memoria, cultusque temporis injuria penitus interiret. etc.”
Era invalsa la consuetudine nei primi secoli del Cristianesimo di costruire le chiese matrici e quindi anche le sottomatrici alquanto lungi dall’abitato. Non fu pertanto Arezzo fra le antiche città vescovili la sola che tenesse la sua cattedrale fuori delle mura urbane; mentre i cittadini di Fiesole, di Firenze di Pisa, di Lucca e di Chiusi, innalzarono i loro Duomi extra moenia, o assai d’appresso a una delle porte della loro città.
Era forse il Duomo vecchio di Arezzo la cattedrale più vetusta che contasse la Toscana dopo il risorgimento delle arti, qualora si eccettui per anzianità il S. Giovanni, ossia l’antico Duomo di Firenze.
Imperocché l’edifizio del duomo aretino fu incominciato nell’anno 1014 sul modello della più bella chiesa della cristianità, voglio dire del S. Vitale di Ravenna.
Fu ordinato dal vescovo Elemberto, che inviò a tal effetto colà a levare il disegno del tempio del re Teodorico l’abile architetto Mainardo, il quale presedé all’esecuzione dell’opera, rimasta compiuta nel 1022, con piena soddisfazione di Teobaldo, allora vescovo di Arezzo. – Vedere AGAZZI.
Nell’anno 1110 il popolo di Arezzo, anelando di avere la cattedrale dentro la città, venne in contesa col clero non senza recare qualche guasto al Duomo vecchio. Per la qual violenza l’imperatore Arrigo V, nel suo passaggio da Arezzo per Roma (anno millecentoundici) comandò, che a castigo degli Aretini si atterrassero le torri e le mura antiche di quella città. – Vedere AREZZO.
Non cessò per altro il capitolo maggiore di ufiziare e far pontificale nei giorni solenni nel Duomo vecchio, benché si trovi contemporaneamente un altro capitolo, un nuovo episcopio, e altra cattedra nella chiesa del popolo, cioè nella pieve di S. Maria di Arezzo, la quale fu sempre dentro le mura della città, a differenza dell’altra pieve di S. Maria in Gradis, o in Graticiata, con la quale da molti venne confusa la pieve maggiore. E fu forse in quel lungo trambusto fra il popolo e il clero aretino che le ceneri dell’apostolo S. Donato si trasportarono dal Duomo vecchio alla chiesa del popolo.
Onde meglio provvedere alle bisogne dei cittadini di Arezzo, dietro le ripetute istanze del clero, e le favorevoli informazioni date alla S. Sede dal vescovo di Firenze e dall’abate di Vallombrosa, ad sedandam discordiam et inveteratum odium extinguendum, il pontefice Innocenzo III con bolla dei 26 aprile 1203, unì il Duomo vecchio di S. Donato alla chiesa di S. Pietro, già detta in Castello, ossia San Pier Maggiore, convertita poi in cattedrale. La quale ultima fu riedificata nella forma che ora si vede sul declinare dello stesso secolo XIII con il disegno di Lapo Tedesco, eseguito da Margaritone di Arezzo.
Gli edifizj del Duomo vecchio, della canonica e del suo episcopio, vennero rasati fino i fondamenti per fatale rescritto di Cosimo I dato li 21 ottobre 1561; sul riflesso che da quell’umile collina, potesse, nei casi di guerra, dall’oste recarsi danno alle mura e bastioni stati innalzati da quel sovrano nella parte meridionale e più bassa della città di Arezzo.
Della struttura, magnificenza e pregio del Duomo vecchio, non mancò di darne contezza l’aretino artista e biografo Giorgio Vasari, tanto nelle vite di Spinello aretino e di Gaddo Gaddi, quant’anche nel proemio di quell’opera.
“Concioffosseché (egli diceva nel proemio della seconda edizione) il detto tempio, come si è potuto vedere a’tempi nostri, a otto facce, è fabbricato delle spoglie del teatro, colosseo e altri edifizj, ch’erano stati in Arezzo innanzi che fosse convertita alla fede di Cristo; fu fatto senza risparmio e con grandissima spesa, e di colonne di granito, di porfido e di mischj, ch’erano stati delle dette fabbriche antiche, adornato.” Lo stesso autore nella vita di Spinello Aretino della prima edizione (ERRATA : del Tolentino) del Torentino (Firenze 1550) aggiunge: “che questo pitture dipinse al Duomo vecchio fuori della città di Arezzo la cappella e la chiesa di S. Stefano, nella quale i colori suoi, per essere lavorati risolutamente e a buon fresco, sono ancora finissimi e accesi, che pajono dipinti al presente. E in detta chiesa fece di pittura una Nostra Donna, la quale è tenuta dagli Aretini i divozione e in gran riverenza.” Nella vita di Gaddo Gaddi fiorentino dello stesso biografo si legge: “ che quel pittore lavorò nel Duomo vecchio, fuor della città di Arezzo, per i Tarlati, signori di Pietramala, alcune cose di musaico in una volta la quale era tutta di spugne, e cuopriva la parte di mezzo di quel tempio; il quale essendo troppo aggravato dalla volta antica di pietre, rovinò al tempo del vescovo Gentile Urbinate (sulla fine del secolo XV) che la fece poi rifare tutta in mattoni.” Le rovine del Duomo vecchio furono in seguito ridotte a camposanto per i canonici della nuova cattedrale; e, nel 1610, il vescovo Pietro Usimbardi volle erigervi una cappellina con apposita iscrizione: “ne vetusti Templi olim diruti memoria, cultusque temporis injuria penitus interiret. etc.”
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1835, Volume II, p. 45.
We can't find the internet
Attempting to reconnect
Something went wrong!
Hang in there while we get back on track