ISOLA DEL GIGLIO

(Igilium)

– È dopo l’Elba l’isola del Giglio la più grande, più popolata, e per natura del suolo la più conforme a quella dell’Elba fra tutte le altre dell’Arcipelago toscano. Vi si trova un grosso castello capoluogo di comunità, residenza di un vicario Regio e di un comandante militare. Ha una chiesa plebana (S. Pietro) con una cappella curata nella Diocesi Nullius dell’Abbadia delle Tre fontane una volta di quella di Sovana, Compartimento di Grosseto.
L’Isola del Giglio e bislunga con due opposti capi, che uno nella direzione di settentrione e l’altro di ostro-scirocco. – Avvi inoltre un promontorio sporgente in mere dal lato di ponente il quale costituisce il corno destro di un largo seno aperto a settentrione che si appella Golfo del Campese.
Trovasi l’isola del Giglio situata fra il grado 28° 31’ 5’’ e 29° 35’ 5’’ di longitudine ed il grado 42° 24’ 5’’ di latitudine.
Il suo porto guarda a levante dirimpetto al promontorio Argentaro, dalla cui punta più occidentale (Capo d’Uomo) è 11 miglia toscane lontano, mentre resta 15 miglia toscane al suo levante-grecale il Porto S. Stefano.
Scarsissime anzi che nò possono dirsi le notizie superstiti relative alla storia civile e politica dell’isola del Giglio, mentre poche cose scritte su di essa pervennero sino a noi degli autori romani, e quasi per avventura fu incidentemente rammentata da G. Cesare (De Bello Civili, Lib. I capitolo 19) quando Domizio Enobarbo coi marinari Gigliesi e Cossani armò sette navi leggere, con le quali teleggiò sino a Marsiglia.
Dopo una lacuna di quasi 5 secoli passava per questi mari il poeta patrizio Rutilio Numaziano, il quale scorgendo dalle coste del promontorio Argentaro le selvose cime dei monti del Giglio, ne avvisava, che in quest’Isola eransi di corto tempo refugiati molti cittadini romani, intimoriti dalla ferocia dei barbari discesi a danni dell’Impero in Italia.
Merita di essere qui riportata l’elegante ed enfatica descrizione di quel poeta: Eminus igilii silvosa cacumina miror, Quam fraudare nefas laudis honore suae, Haec proprios nuper tutata est Insula saltus, Sive loci ingenio, seu domini genio.
Gurgite cum modico victricibus obstitit armis, Tamquam longiquo dissociata mari.
Haec multos lacera suscepit ab Urbe fugatos; Haec fessis posito certa timore salus.
Se il poeta, come vi è ragione di supporre, fu veridico, questi quattro distici, nel tempo che fanno un ben meritato elogio all’ospitalità di quegli antichi isolani, ci danno anche a conoscere che lo stato geoponico del Giglio nel secolo V dell’Era volgare doveva essere ben diverso da quello che ci si presenta all’epoca attuale, cioè ben vestito di boscaglie.
Durante l’invasione dei Goti, e poi dei Longobardi nella Toscana, niuno scrittore, nè alcun documento è pervenuto, ch’io sappia, fino a noi per dirci una parola dei Gigliesi, o da qual’amministrazione economica e politica la loro isola dipendesse. Solamente le memorie dell’antico monastero de’SS. Vincenzio ed Anastasio ad Aquas Salvias, ossia alle Tre Fontane , ci hanno fatto credere, che nel principio del secolo IX Carlo Magno donasse a quei monaci le Isole del Giglio e di Giannutri con cento miglia di mare oltre il territorio Cossano.
Già sì è veduto all’Articolo GIANNUTRI, che, nel 1269, l’abate delle Tre Fontane infeudò i luoghi medesimi, compresa l’Isola del Giglio, al C. Ildebrandino di Sovana, ai suoi figli ed eredi, contro l’annuo tributo di qualche fiorino, riservandosi per altro il diritto del laudemio ogni 25 anni e la giurisdizione ecclesiastica che dopo tanti secoli tuttora conserva. Quando però uno di questi signori abati rinunziò i suoi diritti alla Repubblica senese, nell’Isola del Giglio sventolava la bandiera del giglio di Firenze, dopo esservi stati per qualche secolo a signoreggiarla i Pisani, ai quali momentaneamente venne tolta nella guerra del 1362, e quindi restituita dalla Repubblica fiorentina nella pace di Fucecchio del 1364.
(MATTEO VILLANI, Cronaca. – AMMIRAT. Stor.
Fior.) Ma conquistata dai Fiorentini la città di Pisa (anno 1406) tutti i paesi del suo dominio si assoggettarono a Firenze.
Nel numero dei nuovi sudditi furono anche i Gigliesi, per mezzo di certi capitoli, in vigore dei quali ottennero delle limitate esenzioni, che ogni 5 anni venivano prorogate, col recare a Firenze, come tutti gli altri popoli conquistali, l’annuo tributo del pallio nel giorno di S. Giovanni.
In prova di che citerò la deliberazione presa dai Gigliesi in una solenne adunanza tenuta nel giorno 25 di maggio di 1408 nella loro chiesa parrocchiale di S. Pietro, quando nominarono due sindaci per inviarli a Firenze a presentare il loro omaggio alla Signoria, e un palio del valore di otto fiorini d’oro a S. Gio. Battista. (ARCH. DIPL.FIOR.
Carte delle Riformagioni).
A nuovi e più lontani padroni, per quasi tre lustri, ebbero i Gigliesi ad ubbidire, tostochè nell’Isola loro sbarcarono i soldati dell’armata navale di Alfonso d’Aragona rè di Napoli; per di cui conto vi stette un presidio dall’anno 1447 sino al 1470. Allora il Pontefice Pio II avendo potuto aggiustare le vertenze fra l’abate commendatario delle Tre Fontane e le Repubblica senese relativamente al territorio Orbetellano, in vigore di una sua bolla dei 21 maggio 1459, egli ben tosto procurò ed ottenne dal re Alfonso per il di lui nipote Antonio Piccolomini d’Aragona e suoi successori la libera cessione della Signoria dell’Isola del Giglio con il castello e distretto di Castiglione della Pescaja, e le Rocchtte di Pian d’Alma: la qual Signoria dallo stesso Antonio Piccolomini fu ceduta poco dopo ad un di lui fratello, Andrea duca d’Amalfi, con diritto di successione a favore dei di lui figli ed eredi.
Alla stessa discendenza di Andrea Piccolomini gl’Isolani del Giglio ubbidirono fino a che donna Silvia Piccolomini, ed il di lei marito don Indico da Capesteano, previo l’assenso del re di Spagna Filippo II, con atto pubblico degli 11 gennajo 1558 (stil. Fior.) venderono l’Isola medesima, Castiglion della Pescaja e le Rocchette di Pian d’Alma a Donna Eleonora di Toledo moglie di Cosimo I allora duca di Firenze, per il prezzo di 32,162 ducali napoletani. Alla morte della stessa Donna Eleonora tanto l’Isola del Giglio come Castiglion della Pescaja con le respettive giurisdizioni furono incorporati al dominio granducale di Toscana.
Il successore di Cosimo, Francesco I, fra i molti tentativi di miniere, che fece ricercare ed aprire con poco favorevole successo nel suo dominio, vi fu anche quello di una miniera di ferro nella costa occidentale del Giglio, poco sopra rammentata.
Il terzo Granduca di Toscana, Ferdinando I, con suo testamento destinò, che dell’Isola del Gig lio unitamente ad altri beni se ne formasse una primogenitura a favore del figlio Principe ereditario Cosimo II da passare ne’suoi discendenti e successori al trono della Toscana. In conseguenza di ciò quest’Isola ha l’onore di dare il titolo di Signoria speciale ai figli primogeniti dei sovrani della Toscana.
Tostochè il Grauduca Leopoldo I, seppe che gli abitanti del Giglio mancavano di mulino da macinare le granaglie por il loro consumo, ordinò che costruisse sopra un eminenza dirimpetto al castello un mulino a vento, stato a torto dai Gigliesi abbandonato, e finalmente nel 1816 distrutto nel timore che potesse servire di punto di attacco contro il paese nei casi di un qualche sbarco ostile.
Nel 1796 il Granduca Ferdinando III fece restaurare con molta spesa il porto del Giglio, i di cui abitanti grati al loro benefattore, con pubblico decreto offrirono al medesimo non meno di 12 colonne di granito rimaste in quelle cave sino dal tempo dei Romani.
Tre anni dopo i Gigliesi diedero prove di valore, allora quando nel 18 ottobre 1799 una flottiglia di 12 legni Algerini gettò sulla loro spiaggia una quantità di barbareschi a depredar l’Isola e ad investire il castello, contro il quale per due giorni con accanimento da loro pari ogni maniera d’armi adoprarono; ma gli assaliti seppero non solamente far fronte a sì inaspettata tempesta, ma ebbero anche il coraggio d’incalzare gli assalitori, respingendoli nel mare, ed obbligandoli con perdita di gente a rimbarcarsi e fuggire.
Sono infatti gli uomini del Giglio addetti ed esercitati nel servizio militare sotto un capitano di linea, il quale comanda al presidio della fortezza e del porto, a quello del golfo del Campese e delle torri intorno alla costa pel servizio sanitario.
Comunità del Giglio. – L’Isola intiera occupa approssimativamente una superficie di otto miglia quadrate.
Nel 1833 vi si trovavano 1502 abitanti, a ragione cioè di 188 individui per ogni miglio quadrato.
La maggiore popolazione è riunita nel castello omonimo situato sulla pendice orientale del monte che resta a cavaliere del porto, dov’è una borgata disposta a semicerchio sulla rada con circa 200 abitanti. Poche altre capanne di pescatori difese da una torre si trovano nell’opposto seno dell’Isola al golfo del Campese.
Il castello del Giglio ha di longitudine 28° 33’’ e di latitudine 42° 22’.
L’isola e tutta montuosa. La maggiore larghezza, presa dal porto del Giglio alla Punta della Salina nell’opposto promontorio, è di 3 miglia toscane lineari, alla quale distanza si può aggiungere un miglio per le gibbosità dei monti che l’attraversano.
La sua maggior lunghezza presa dalla punta settentrionale alla meridionale, dal Capo Fenario al Capo Rosso , è quasi sei miglia toscane lineari, ossiano miglia toscane sette in circa qualora si debbano valutare i basto-rovesci ed i monti che l’attraversano.
La qualità del terreno di quest’Isola appartiene quasi generalmente alle rocce granitiche. Sono esse di fondo cenerino-chiaro picchiettato di frequenti macchie nere di mica, massimamente dove il granito presenta le sue masse in forma di grandi rupi. Al Giglio, più frequentemente che non segue all’Isola dell’Elba, la parte esterna del granito d’ordinario diviene friabile e si disfa in guisa che i suoi ingredienti finiscono col ridursi in sabbia feldspato- arenosa di una tinta rubiconda e talvolta di colore giallastro.
Non mancano però situazioni dove lo stesso granito si palesa duro e massiccio con i suoi naturali caratteri, specialmente a levante presso la Punta del Castellare e accanto al porto. – Di costà infatti i Romani al pari che nell’Elba, scavarono, grandi vasche e colossali colonne, donde era agevole il caricarle, condurle alla capitale del mondo, o altrove. A queste istesse cave appartengono le colonne di granito che si ritrovarono nella vicina Isola di Giannutri, mentre altre in maggior numero rimasero abbozzate sulle cave in questa del Giglio.
Sul dorso dei monti del Giglio il granito, a parere del geologo Brocchi, resta intersecato da filoni di una specie di granitello che offre uniformità di aspetto, ma i di cui elementi e parti cristalline sono assai più, minute di quelle del granito.
Cotesto granitello presenta una tinta biancastra a frattura ineguale; ed è in si fatti filoni, dove si racchiudono le belle tumaline nere del Giglio accompagnate da bizzarri gruppi, o da cristalli isolati di quarzo jalino di un ragguardevole volume. Alla stessa qualità di rocce granitiche a piccoli cristalli appartengono certi rognoni, più foschi di tinta, più serrati di elementi, di forma tondeggiante, e chiusi fra le masse del granito. Un consimile fenomeno presentasi eziandio fra le rupi trachitiche del Monte Amiata, e precipuamente verso la sommità della montagna, dove si trovano grossi nuclei di pasta pure trachitica, ma di colore, di frattura e di grana diversa, conosciuti volgarmente sotto il nome esprimentissimo di anime di sasso: rapporto al quale fenomeno geologico fu fatta parola all’Articolo ABBADIA S. SALVADORE, e di esso dovrò tornare a discorrere all’Articolo MONTE AMIATA.
Le rocce granitiche dell’Isola del Giglio trovansi in alcuni luoghi compenetrate da filoni metallici, segnatamente di ferro micaceo a piccole lamine brillanti, nel quale si racchiudono cristalli di quarzo. Tale e quel filone del monte chiamato della Vena, a cagione di una miniera di ferro che vi fu aperta sotto il Granduca Francesco I, comecchè poco dopo abbandonata, forse per cagione che quel filone non s’internava nella montagna, per quanto apparisce dai luoghi dove fu scavato.
Dissi poco sopra, che l’Isola del Giglio è quasi generalmente coperta di graniti; ed alla stessa formazione realmente spetta la piccola catena che costituisce la spina centrale dell’Isola, dal Capo Fenajo al Capo Rosso; ma il promontorio occidentale, ossia del Capo Franco , il di cui perimetro littoraneo comincia dalla Punta delle Saline sino al Golfo del Campese, appartiene a tutt’altro sistema.
Imperocchè esso è formato da un gruppo di monticelli calcarei comunicanti con la catena principale mediante una piccola vallecola, o canale che si appella impropriamente la Valle Ortana.
Il calcare che s’incontra costà è variamente modificato, ora cellulare o cavernoso, ora compatto di color ceciato a larghe venature di spato candido, ora grigio plumbeo fetido, e finalmente in alcuni luoghi di tessitura quasi cristallina. Simili rocce calcaree trovansi interrotte, oppure alternano con dello schisto argilloso e galestrino.
Presentasi quest’ultimo nella punta più meridionale del promontorio del Franco attraversato da vene di ferro solforato e micaceo, talchè la roccia argillosa acquista i caratteri di un’alumite. Infatti la stessa località è designata con la denominazione di Cava dell’Allume . A questo punto di passaggio, dove terminano le rocce stratiformi e ritornano i graniti, scaturisce quasi sull’orlo del mare uno stilicidio di acqua minerale acidulo-ferruginosa, la quale chimicamente saggiata, sembrò al Prof. Gio. Giulj dovesse contenere una porzione di acido libero, che egli presuppose probabilmente acido solforico, e più dei solfali di ferro, di calce, di allumina, e dell’idroclorato di soda. – Vedere GIULJ Storia naturale delle acque minerali della Toscana T. IV.
Da pochi naturalisti quest’Isola fa visitata e descritta. Non vi capitò nel secolo passato Giorgio Santi, per quanto molti giorni impiegasse intorno al vicino monte Argentaro, forse perchè poco favorevolmente prevenuto dell’accoglienza che i Gigliesi quache anno innanzi avevano fatto al naturalista abate Fortis, che fugarono a colpi di sassi, come colui che fu preso per un negromante.
La visitò bensì pacificamente e con gran frutto, nella primavera del 1818, il ch. naturalista Brocchi, e la sua visita recò alla scienza la più dotta e più estesa relazione geologica orittognostica e statistica di quante altre memorie finora siano comparse alla luce relative all’Isola del Giglio. Vedere Biblioteca Italiana Vol. XI dalla pag.
356 alla 370.
Sotto un altro aspetto vi approdò nel 1795 l’abile ingegnere Alessandro Nini, il quale per commissione del Granduca Ferdinando III presedè alla restaurazione di quel molo, affinchè si ricoverassero al sicuro i legni pescherecci dei Gigliesi.
L’inedita relazione del Nini ed altre notizie statistiche raccolte dal giureconsulto Giovanni Lessi servirono di materiale ad una di lui memoria economica sull’Isola predetta, stata letta e quindi pubblicata negli Atti dell’accademia de’Georgofili. (T. V della prima colezione).
Il più recente autore che abbia visto e scritto sull’isola medesima, al pari che sulle altre del Granducato, è il prof.
Giuseppe Giulj, al quale, oltre il saggio analitico dell’acqua fe rruginosa qui sopra annunziato, appartiene un articolo sulla statistica agraria dell’Isola del Giglio che ognuno potrà riscontrare nel Vol. 79 della già citata Biblioteca Italiana, dove fu inserito nel 1835, e che può servire di appendice a quanto era stato avvertito dal dott.
Attilio Zuccagni-Orlandini nella sua Tavola geografica fisica e storica dell’Arcipelago toscano .
“La superficie del Giglio (secondo i calcoli del Prof.
Giulj) è ricoperta in parte di bosco ceduo, e questo in una superficie che fu da lui valutata circa miglia 7 quadrate; le sommità delle montagne sono nude e affatto sterili, il restante è destinato alla coltivazione delle viti e dei cereali. Questi ultimi terreni si trovano nella parte settentrionale e nella meridionale; la prima dicesi del Fenajo , la seconda del Capo Rosso . In questi due punti i Gigliesi seminano un anno il grano, e l’anno dopo le civaje o piante baccelline.” “Nei terreni dove è stato raccolto il grano, dopo la svinatura vi sotterrano le vinacce e nel marzo susseguente vi seminano fave, piselli, lenticchie bianche e vecce nere, le quali semente occupano un quinto dello stesso terreno; negli altri quattro quinti vi sogliono seminare i fagiuoli.
Viene calcolato, (soggiunge lo stesso autore) che vi si destinino cento moggia di terreno a grano ed altrettanto a legumi.” “La raccolta media del grano e di moggia 300, ossiano 7200 staja, e altrettanta quella dei fagiuoli, con più 800 staja di altri legumi.” “Le piante legnose fruttifere coltivate al Giglio sono le viti, che si trovano in tutti i terreni ove si fanno le semente; gli olivi sono in scarso numero, comecchè questa pianta vi potrebbe ben vegetare; così havvi piccola quantità di castagni, di noci e in generale di frutti di ogni specie.” Fra le piante naturali del Giglio il Brocchi accennò il Lichen Roccella che cuopre la superficie delle rupi granitiche nei siti più prossimi al mare, e che si raccoglie come pianta tintoria.
“Esistono nell’Isola medesima (secondo la statistica del Prof. Giulj) quattrocento somari, cento pecore, mille capre e pochissimi majali; vi si alimenta un gran numero di galline e di piccioni, e raramente si porta dal continente qualche vitello per ingrassarlo.” “Gli uomini sono nel tempo stesso marinari, militari ed agricoltori; ed il Brocchi asserì che il gonfaloniere medesimo, che è la principal carica del comune, lavora il suo campo. Quelli che abitano nel porto, per la maggior parte Napoletani, posseggono delle piccole barche, con le quali trasportano in Terraferma il vino dell’Isola, il pesce fresco che pescano, e le acciughe che salano; tre oggetti d’industria commerciale dei Gigliesi. I generi principali d’importazione si riducono a carne bovina da macello, olio, carni salate, generi coloniali e agli articoli che occorrono ai bisogni domestici.” “Le donne vi menano una vita assai laboriosa, essendo di loro incombenza preparare il cibo per la famiglia, e portarlo al campo o altrove, macinare a mano nel corso della notte il grano per panizzarlo, macerare, filare e tessere il lino e la canapa, imbiancare il tessuto e cucirlo, aiutare gli uomini nel zappare la vigna, inaffiare il piccolo orticello nell’estate, mietere e trebbiare il grano ec.; in guisa che esse possono essere assomigliate alla donna forte della sacra Scrittura.” Più dettagliata ancora è la statistica economico-agraria del Giglio stata pubblicata dal Dott. Attilio Zuccagni-Orlandini nella Tavola XX del suo Atlante della Toscana. – Egli avvertiva, che la vita laboriosissima dei Gigliesi, uomini e donne, non basta a ottenere da quelle rupi granitiche frumento proporzionato al loro consumo, tostochè il grano manca per sei mesi dell’anno; che le piante di castagni perirono tutte; che il buon vino, che ottengono in quantità media di 12,000 barili per anno, vendesi per la massima parte nel Continente, perchè i Gigliesi si contentano dissetarsi dell’acquerello, o mezzovino, e neppure in tutti i tempi dell’anno; che la raccolta dell’olio non oltrepassa i 12 barili. Non vi è frantojo ne tampoco vi sono mulini, dopo abbandonato e distrutto l’unico mulino a vento fatto provvidamente costruire dal Granduca Leopoldo I. Il grano per conseguenza è macinato a mano grossolanamente, telchè produce un cattivo pane. Le olive si schiacciano fra due sassi per averne il poco d’olio testè accennato. Gli alberi da frutte vi allignano di ogni specie e danno pomi saporitissimi. Lo zibibbo e un prodotto molto utile. Non vi sono gelsi, e vi si contano pochissimi alveari.
Non hanno quest’isolani bestiame vaccino e pochissimi sono i cavalli. Vi si contano circa 200 pecore, ed altrettanti majali. Havvi bensì una maggior copia di capre sororchiamente dannose. I più numerosi fra gli animali domestici sono i somari, i quali oltrepassano i 600.
A confermare l’ottimo carattere dei Gilgliesi concordano unisoni li due prelodati viaggiatori, Brocchi e Giulj.
Quest’ultimo scrittore conclude, che nell’Isola del Giglio, essendo tutti gli abitanti piccoli possidenti, non si trovano fra di loro accattoni, nè di quelli che hanno cumulate molte ricchezze. Il furto è rarissimo, e rarissimi sono gli altri delitti, sicchè vi regna in generale la pace ed il quieto vivere, e sono riconoscenti al loro Sovrano, da cui ricevono molti benefizj.
Il naturalista lombardo aveva inoltre avvertito, che il buon ordine regna nell’Isola del Giglio fra tutti gl’individui; per cui rarissimi sono i latrocinii, come qualunque altro delitto, e l’ottimo carattere dei Gigliesi altrettanto più risalta all’occhio dell’osservatore, quando voglia paragonarlo all’indole trista di alcune altre popolazioni dell’Italia meridionale. Potrebbesi dire, che nelle isole di piccola estensione in molto minor numero debbono essere i delinquenti, attesa la maggior difficoltà dello scampo.
Comecchè un tale riflesso sia vero, non crede il Brocchi che questa possa essere l’unica causa della buona condotta dei Gigliesi. Un’altra ven’ha, a parer suo, più efficace e più generalmente applicabile, quella cioè, che nei paesi nei quali le proprietà sono repartite fra molti, e dove il contadino è esso medesimo posseditore di un fondo, ivi a preferenza degli altri luoghi mantiensi il buon ordine, e più osservate sono le leggi, e rispettate.
Risiede nel castello del Giglio un vicario Regio di quinta classe, la cui giurisdizione civile, criminale e politica è circoscritta dentro i limiti dell’Isola. Vi è anche un comandante col grado di capitano, ed un sottotenente castellano della torre del porto. Il primo è pure deputato di sanità, ed entrambi ricevono gli ordini dal Governatore di Livorno comandante del littorale.
Trovasi al Giglio la cancelleria dell’unica sua comunità.
L’ingegnere di Circondario e l’ufizio del Registro stanno a Orbetello; la conservazione delle Ipoteche, e il tribunale di prima Istanza a Grosseto. Tutta l’Isola ha una sola parrocchia arcipretura (S. Pietro apostolo), la cui chiesa esiste nel superiore castello, oltre una cappella curata nella sottoposta borgata del porto. Per la giurisdizione ecclesiastica vi tiene ragione il Cardinale Abate commendatario delle Tre Fontane.
L’isola del Giglio nell’anno 1745 aveva 859 abitanti; nel 1833 ne contava 1502, che aumentarono fino a 1530 nel 1836. Essi erano distribuiti come appresso.
MOVIMENTO della popolazione della COMUNITA’ dell’ISOLA DEL GIGLIO a tre epoche diverse.
ANNO 1745: Impuberi maschi 114; femmine 119; adulti maschi 204, fe mmine 144; coniugati dei due sessi 262; ecclesiastici 16; numero delle famiglie 217; totalità della popolazione 859.
ANNO 1833: Impuberi maschi 241; femmine 230; adulti maschi 159, femmine 162; coniugati dei due sessi 692; ecclesiastici 18; numero delle fa miglie 356; totalità della popolazione 1502.
ANNO 1836: Impuberi maschi 286; femmine 248; adulti maschi 240, femmine 187; coniugati dei due sessi 552; ecclesiastici 17; numero delle famiglie 320; totalità della popolazione 1530.
Riferimento bibliografico:

E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1835, Volume II, p. 594.