SERAVEZZA, SERRAVEZZA
(Seravetia, già Sala vecchia, o Sala Petilia ) nella vallecola della Versilia.
– Terra nobile con chiesa prepositura (SS. Lorenzo e Barbera) capoluogo di Comunità e di Giurisdizione sotto il vicariato regio di Pietrasanta, Diocesi di Pisa, una volta di Luni Sarzana, Compartimento pisano.
Trovasi sulla confluenza de’ due rami maggiori della Versilia che costà prendono il nome della Terra di Seravezza, quello che viene da levante appellato il torrente Ruosina, e secondo alcuni Pezza, l'altro che scende da seti, chiamato il Rimagno, e da taluni il torrente Serra. Dalla congiunzione del primo col secondo, che accade nel luogo dov' è Seravezza molti dedussero l’origine del suo nome. Quantunque altra volta anch' io aderissi a cotesta etimologia di Seravezza (ANTOLOGIA DI FIR. Vol. XXII, Maggio 1826, pag. 50 e 54) ulteriori riflessi mi hanno indotto a ricredermi, sia perché in nessun tempo quei due torrenti si trovano descritti con i vocaboli di Serra e di Pezza, sia perché la Terra in discorso sino dal secolo XIII sembra che si appellasse Sala Vetitia, o Sala Vecchia, e non mai Serralium, come fu appellata dal Pad. Beverini ne' suoi Annali lucchesi.
È posta Seravezza sotto il grado 27° 53' longitudine e 44° latitudine, circa milgia toscane 4 a grecale della marina, dov'è lo scalo appellato Forte de’Marmi; altrettante miglia toscane a settentrione maestrale di Pietrasanta; intorno a due miglia toscane a grecale dalla chiesa di Querceta sulla strada postale di Genova 7 miglia toscane a levante scirocco di Massa Ducale; 21 a ponente maestrale di Lucca, e 23 miglia toscane a settentrione maestrale di Pisa.
Del primo nome di Sala Vetitia dato a Seravezza possono far fede due documenti; il primo de' quali dell'anno 952 fu citato all’Articolo RETIGNANO, dove si dichiara che il paese di Retignano della Versilia è situato presso Sala Vetitia. Nell’altro documento del 1368 viene indicata una corte nella Versilia posta in Sala Vetitia, ossia Seravettia, e Seravetia cotesto stesso luogo è appellato in altro istrumento dell'anno 1375 che si citerà in appresso.
Finalmente sotto il vocabolo di Salavecchia cotesto paese fu rammentato da Tolomeo nei suoi Annali lucchesi all'anno 1142 quando due nobili di Corvaja, Veltro e Uguccione, investirono il Comune di Lucca della metà del territorio di Corvaja, videlicet a Melma de Salavechia deorsum ubicumque, et in monte et in plano. Comecché sia di ciò, la prima volta che trovo il paese di Seravezza qualificato col nome che tuttora conserva, è in una scrittura del 2 febbrajo 1186, accennata da Giovanni Targioni Tozzetti ne' suoi Viaggi, dov’ è rammentata la Villa de Seravetia. Rispetto poi alla parte storica dirò che cotesta contrada era compresa nei feudi imperiali confermati nel 1242 da Federigo II ai nobili di Corvaja, e di Vallecchia, i quali a seconda del partito guelfo o ghibellino che eglino a seconda dei tempi cambiavano, alcuni alla Repubblica Lucchese, mentre altri a quella di Pisa, si raccomandavano. – Vedere CORVAJA E VALLECCHIA.
Importante per la storia di quei nobili si rende un atto di divise fra le due consorterie di Corvaja e di Vallecchia concluso presso la pieve di Vallecchia nel 9 ottobre del 1219 (stile pisano) negli ortali di uno di quei signori, Parentino, il quale a t to venne poi ratificato nei giorni susseguenti da altri nobili di quella consorteria tanto in Versilia, come nella città di Pisa dove alcuni di essi abitavano. Vero è che in quell'accordo non è specificata Seravezza, siccome vi sono rammentati i castelli e distretti di Corvaja e di Vallecchia, le ville di Farnocchia e del Galleno, il castello dell'Argentiera, le miniere di Val Bona (Val di Castello) e del Galleno, quelle di Stazzema, (credo della sua comunità) ecc.. – Né tampoco trovo Seravezza rammentata in una deliberazione degli Anziani di Pisa, del 4 dicembre 1254 (1253 stile comune) quando fu concessa a molti nobili ghibellini di Corvaja e di Vallecchia la cittadinanza pisana. A quali condizioni vi fossero ascritti può vedersi dai patti stabiliti in detta scrittura pubblicata fra i diplomi pisani da Flaminio dal Borgo.
In conseguenza di ciò il governo di Lucca poco dopo inviò un esercito contro i nobili di Corvaja e di Vallecchia per non avere eglino mantenuti i patti promessi, asserendo Tolomeo negli Annali che i Cattani della Versilia si diedero proditoriamente ai Pisani, sicché nel gennajo del 1254 i Lucchesi espugnarono e bruciarono le rocche di Corvaja e di Vallecchia. Che sebbene quei nobili dopo la battagliaci Montaperto, e di nuovo quando passò da Pisa il re Corradino, si ricattassero, non Mancarono però i Lucchesi di fare le loro vendette appena scese in Italia Carlo d'Angiò, tostochè nell’ ottobre del 1269 il vicario di Pietrasanta, d' ordine del governo di Lucca cavalcò coi soldati francesi a danno de' nobili di Corvaja e di Vallecchia distruggendo in quell'occasione la loro villa de Seravetia. – (GUIDON. CORVAR. Fragm.
Hist. pis. R. I. Script. T. XXIP.) Spento in cotesto modo il regime feudale nella Versilia, e riunito il territorio di Corvaja e di Vallecchia con quello di Seravezza e della Cappella alla giurisdizione lucchese di Pietrasanta, gli abitanti della Versilia risorsero a poco a poco dalle rovine e distruzioni più volte recate alla loro contrada.
Non rammenterò in prava di questo le diverse ferriere fino dal secolo XIV esistite in Seravezza; dirò bensì che una di esse nel 1375 fu alienata per là sua parte da un nobile della Versila, Niccolo dello Strego, ad Alderigo Antelminelli di Lucca, cioè, di una ferriera a laborando ferrorum cum malleo prope hospitale de Seravetitia. – Il trovare i ruderi di quella ferriera esistenti tuttora alla confluenza dei due torrenti presso la chiesa della SS.
Annunziata sul ponte dove fu l'antico spedale di Seravezza, ed il sapere che costà nel 1515 teneva le sue adunanze la Comunità di Seravezza, Corvaja e Cappella, non lascia più in dubbio del vero nome di questa Terra.
Una grave sciagura peraltro nel 1429 piombò sopra i Seravezzesi quando i Fiorentini, deliberata la guerra contro Lucca, inviarono costà due loro commissarj di guerra, Rinaldo degli Albizzi e Astorre Gianni, ma T imprese di costoro furono infelici per il male che recarono alla contrada da essi invasa, e specialmente agli abitanti di Seravezza.
Una delle più belle pagine relative alla storia di cotesto popolo fu quella su tale evento maestrevolmente descritta dal Segretario fiorentino nel libro IV delle sue Storie.
«È una valle, scriveva Machiavelli, propinqua a Pietrasanta chiamata Seravezza, ricca e piena di abitatori, i quali sentendo la venuta del commissario Astorre Gianni se gli fecero incontro e lo pregarono gli accettasse per fedeli servitori del popolo fiorentino. Mostrò Astorre di accettare l'offert a , dipoi fere occupare alle sue genti tutti i passi e luoghi forti della valle, e fece radunar gli uomini nel principal tempio loro, e dipoi gli prese tutti prigioni e dalle sue genti fé saccheggiare il paese con esempio crudele ed avaro non perdonando ai luoghi pii, né a donne, così vergini come ma ritate.» Non dirò del lacrimevole racconto che lo stesso Machiavelli mise in bocca ad alcuni Seravezzesi fuggiti a Firenze davanti ai Dieci di Balia, ripeterò solamente la delibera zione presi da quel magistrato, col richia mare tosto di costà Astorre Gianni che per le atroci cose operate venne dal governo condannato ed ammonito.
Fu nell'anno successivo, quando la Repubblica lucchese impegnò al Borgo di S. Giorgio di Genova per un imprestito di 15000 ducati d'oro le fortezze di Motrone e di Pietrasanta con tutto il loro distretto, a riserva del governo politico di quel vicariato, i di cui ministri dovevano essere nominati ed inviati dagli Anziani di Lucca.
Ma sei anni dopo i Genovesi sotto specioso pretesto si resero arbitri anche della parie governativa tanto in Pietrasanta come in Seravezza ed in altri luoghi del Pietrasantino.
Da cotesta infrazione di patti ebbe origine la guerra che i Lucchesi, assistiti dalle genti milanesi sotto il comando dì Niccolo Piccinino, mossero ai Genovesi, in ajuto dei quali altronde Firenze inviò nella Versilia un esercito capitanato dal duca Francesco Maria Sforza per conquistare Pietrasanta e Motrone. Ma se questo ultimo castello cadde in potere dei Fiorentini, non avvenne la stessa cosa di Pietrasanta, giacché essa continuò ad avere guarnigione e governanti genovesi anche dopo la pace conclusa nel 1441 fra le parti belligeranti. In vigore della quale vennero restituiti ai Lucchesi tutti i paesi che tenevano innanzi la guerra del 1429, esclusi Montecarlo, il forte di Motrone e la Terra di Pietrasanta con lutto il distretto, dove i Genovesi continuarono con le loro genti d' arme a tenere guardie ed ai loro uffiziali essere i popoli amministrati.
All'Articolo PIETRASANTA Volume IV. Pag. 222, si accennarono le cause che nel 1477 promossero una nuova guerra fra i Lucchesi ed i Genovesi, quando questi ultimi uniti ai Pietrasantini corsero ai danni degli uomini di Camajore loro vicini.
A soffocare cotale incendio accorsero i legati di Milano, di Venezia e di Firenze interposti mediatori fra i Lucchesi ed i Genovesi, tanto più che i Fiorentini desideravano ardentemente di togliere di mano ai Genovesi Pietrasanta, dopo aver eglino comprato dal Campo Fregoso, Sarzana e Sarzanello con tutto il distretto situato sull'estremo confine occidentale della Toscana.
La guerra infatti fu portata da Sarzana a Pietrasanta, talché quest' ultima Terra con tutto il suo distretto nel novembre del 1484 dové rendersi ai Fiorentini. Un mese innanzi g l i abitanti di Seravezza, della Cappella e di Corvaja che costantemente hanno fatto parte della giurisdizione Pietrasantina, con atto speciale del 16 settembre 1484, approvato nel 12 ottobre dello stesso anno si sottomisero alla Repubblica Fiorentina, e per essa ai Dieci di Balia, finché con deliberazione della Signoria, approvata li 24 aprile del 1485, essi ottennero favorevoli capitolazioni; tra le quali quella di avere il proprio statuto civile, di conservare in rappresentanza municipale, di essere esenti dalla gabella dei contratti, dal dazio del bollo e da quello del sale.
Ma di cotesti benefìzi i Seravezzesi restarono privi dopoché Pietrasanta col suo d istretto nel 1496 fu consegnata da Piero de' Medici alle truppe francesi di Carlo VIII, dai di cui comandanti due anni dopo fu venduta ai Lucchesi, sotto il regime de' quali tornarono Seravezzesi con tu t t i gli abitanti del territorio di Pietrasanta sino al lodo del 28 settembre dell'anno 1513 pronunziato dall'arbitro Leone X. In forza di ciò Pietrasanta con tutto il suo territorio dopo 17 anni, ebbe a tornare di piena ragione sotto il dominio Fiorentino, sotto del quale fino ai nostri dì si mantiene. – Vedere PIETRASANTA.
Allora i Seravezzesi, che seguitarono costantemente le condizioni del capoluogo di quel vicariato, nel novembre del 1513 inviarono i loro sindaci a Firenze, i quali dopo l'atto di sottomissione fatto nel 19 novembre di detto anno davanti al magistrato dei Dieci di Balia, ottennero la conferma delle capitolazioni del 1484 state approvate dalla Signoria di Firenze nel dì 24 aprile dell’anno 1485.
Importantissimo poi per la storia delle cave de' marmi di Seravezza, e per il luogo della sua data, è un atto pubblico del 18 maggio 1 51 5 trovalo dall'operoso Carlo Frediani nell'archivio comunale de'notari di Massa di Carrara e da esso pubblicato nel 1837 in un opuscolo per le nozze Borghini e Monzoni(Doc. IV pag. 74). In quell’ atto pertanto scritto in terra Serravitiae in hospitale S.
Marine, videlicet al Ponte di la Captila etc. dal notaro Antonio di Peregrino del fu Pietro Cortile di Gragnola nella Luinigiana, abitante allora in Massa; in quell'alto, io diceva, si contiene la nomina di due sindaci per recarsi a Firenze a offrire a quel Comune, il monte detto di Ceragiola e quello dell' Altissimo in quibus dicitur esse cava et mineria pro marmoribus cavandis , etc.
Adunatisi ivi, dice quell'alto pubblico, in numero di 119 persone a suono di campana, more et loco consueto, gli uomini del Comune di Seravezza vicariato di Pietrasanta, distretto della Repubblica fiorentina, preseduti da due consoli, deliberarono concordemente per mezzo dei loro sindaci, fra i quali era vi un Torneo del fu Luca Tornei di detto Comune, di donare all' eccelso dominio e popolo fiorentino che ne aveva fatto preventiva richiesta, il monte denominato Altissimo, e il monte di Cerasola situati nelle pertinenze di Seravezza e della Cappella, nei quali monti (notisi l'espressione) si dice die possino esservi de’ marmi da cavare. Quindi è che in adempimento alla fatta richiesta il Comune di Seravezza con quell'atto donava alla Repubblica Fiorentina non solo i due monti prenominati, ma tutti gli altri luoghi del loro distretto, nei quali fossero marmi da cavare; inoltre regalava il terreno da farvi la strada per condurli dalla cava sino al mare, ecc: – Vedere l'Articolo seguente Comunità di Seravezza.
Ho detto, che questo documento riesce prezioso per due oggetti; 1.° perché innanzi l'anno 1515 non si erano aperte cave di marmi né alla Cappella, né al monte Altis simo, né in altri luoghi della Pania pietra santina, sicché il merito se non della scoperta, almeno delle prime escavazioni è dovuto impreteribilmente ai Fiorentini; in secondo luogo quell'alto rendesi importante perché ci scuopre il luogo dove gli uomini del Comune si adunavano, cioè, al disopra della confluenza del Rimagno nel torrente Ruosina dove sino d' allora era un ponte detto della Cappella ed uno spedale con chiesa dedicala a S. Maria, oggi convertita nell'oratorio della Misericordia.
A quell' epoca pertanto ci richiamano i primi scavi dei marmi nel monte di Trambiserra, e in quello della Cappella, cui poco dopo succederemo i tentativi di Michelagnolo Buonarroti inviato a Seravezza per ordine del Pontefice Leone X a cavare i marmi che si destinavano alla facciata della basilica di S. Lorenzo in Firenze.
In aumento di quanto dissero il Vasari ed il Condivi rispetto a ciò giova l' asserto di Giovanni Cambi scrittore contemporaneo, il quale nella sua Cronica fiorentina registrò il fallo seguente: «Nell'anno 1521 del mese di aprile venne in Firenze la prima colonna di marmo per la facciata di S. Lorenzo, ch'era braccia 12, e cavossi dalla cava fatta di nuovo a Pietrasanta, ed era in quel tempo dei Fiorentini, e fu donata dal Comune all’ Opera di S. Maria del Fiore, e perché il Papa volle i marmi si cavassino di quivi, donò all'Opera suddetta fiorini mille di Camera per lare la strada, e molti più ne spese la detta Opera, e per ancora si cavano questi pezzi grandi con difficoltà, che si trassero sei colonne e ruppesene quattro nel mandarle, appena falle l'avevano, rotolandole al piano, per detta facciata, che hanno a esser dodici di tale grandezza. E faceva detta facciata Michelagnolo Buonarroti scultore fiorentino, ch'era il primo maestro che si avesse notizia tra i Cristiani; e in oltre era gran maestro di pittura, e dipingeva con la mano manca per amore che lavorava con la mano destra di scalpello. » Migliorata sotto il governo fiorentino la condizione economica di cotesta contrada, Seravezza acquistò, direi quasi, una vita nuova, che più prosperosa riesci sotto il primo Granduca di Toscana. Imperocché per comando di Cosimo I furono inviati costà varj celebri artisti di quel tempo, fra i quali rammenterò Giorgio Vasari, Gio.
Bologna, Francesco Meschino, Vincenzio Danti, e molti altri cui riferiscono varie lettere pubblicate dal Gaye nel Volume III del Carteggio inedito di artisti, presso il Molini.
Rimonta al tempo di Cosimo I la costruzione del casino granducale, oggi dello il Palazzo , fabbricato sulla ripa destra del torrente Ruosina , due tiri d'arco a levante, di Seravezza. Esso fu ordinato nel 1559 dal Duca Cosimo sul disegno di Bartolommeo Ammannato per riposo di quel sovrano allorchè visitava le miniere del Bottino, quelle dei marmi mischi e bardigli sotto Stazzema, non che dei marmi bianchi del M. Altissimo, dilettandosi frattanto del la pesca delle trote che vivono nelle fresche e limpide acque della Versilia. – Anche il Granduca Francesco I suo figlio talvolta preferì il soggiorno estivo di Seravezza. Finalmente la Granduchessa Cristina di Lorena dopo restata vedova di Ferdinando I, dal quale ricevè morendo in legato finché viveva il governo libero dei vicariati di Montepulciano e di Pietrasanta, si recava a passare pochi mesi dell' anno nel casino granducale di Seravezza, dove si occupava a preferenza della pesca delle trote.
Questo palazzo o casino reale finalmente nell'aprile del 1784 fu dal Granduca Leopoldo I donato alla Comunità di Seravezza, nell’ atto stesso che ne assegnò una porzione alla residenza estiva del suo vicario di Pietrasanta e della cancelleria annessa. Per altro la Comunità di Seravezza due anni dopo ne perdé il possesso, allorché essendo piaciuto al governo di erigere una ferriera sul torrente Ruosina nel luogo appunto dove esistevano le conserve delle trote, piacque allo stesso Granduca di stabilire nel detto casino i magazzini e l’ amministrazione di quell' azienda, fino all’ anno 1835, quando cotest azienda restò soppressa per rilasciare all'industria privata tutte le ferriere regie, state erette lungo il torrente Ruosina.
E pure da avvertirsi che nel 1833 questo casino R. ricevé grandi restauri all'occasione che dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante fu destinato a soggiorno estivo per le Auguste sue figlie del primo letto, dove esse nell'anno stesso e nel 1835 con la Granduchessa Maria Ferdinando, vedova di Ferdinando III, soggiornarono.
Chiese e Stabilimenti pii. – La chiesa parrocchiale e prepositura sotto il titolo de’ SS. Lorenzo e Barbera è di grandiosa forma svelta a croce latina. Ha tre navate con cupola e due grandi cappelloni alla crociata. La sua prima fondazione fu deliberata nel dì 21 dicembre del 1422 dal Comune di Seravezza, Cappella e Corvaia, previa l’annuenza di Francesco Pietrasanta, vescovo di Luni Sarzana, che concedè a quegli abitanti facoltà di potere innalzare in Seravezza e dotare una chiesa parrocchiale sotto l’ invocazione di S. Lorenzo. Se non che nel 1429 dové restarne sospesa l’ esecuzione stante il barbaro procedere del commissario fiorentino Astorre Gianni, per modo che nel 1441 sotto dì 14 agosto nacque un decreto del vescovo testé rammentato, in cui si diceva, che vista la nuova chiesa di Seravezza non terminata né dotata, a richiesta di Benedetto da Pisa pievano della chiesa di S.
Stefano di Vallecchia, e col consenso degli uomini della Comunità, deliberò di unire il popolo di Seravezza a quello della pieve predetta di Vallecchia, e nel tempo stesso l’ Opera della chiesa nuova di S. Lorenzo fu riunita a quella della pieve prenominata fino a che un decreto vescovile del 1502, confermato da una bolla del Pontefice Giulio II data in Roma lì 18 giugno del 1507, investì il Comune di Seravezza del giuspadronato dell'Opera di quelle due chiese, che conservò fino al 1575, dalla quale epoca in poi si eleggevano operai a vicenda fra gli uomini di Seravezza e quelli di Vallecchia.
Infine le due parrocchie vennero separate, ed il patrimonio della loro Opera repartito per egual porzione fra le due corporazioni.
La chiesa prepositura di Seravezza ha subito in due epoche importanti ingrandimenti e restauri, il più antico de' quali (quando non si debba risalire alla sua prima costruzione) dev'essere posteriore alle prime escavazioni dei marmi della Cappella e di Tiambiserra (anno 1517) essendo di simil marmo le colonne della navata di mezzo, messe forse in opera nel corso del secolo XVII. Quindi è che il dotto Giovanni Targioni Tozzetti, dal quale Seravezza fu visitala nel 1743, dis se, che la sua chiesa maggiore fu rifabbricata più modernamente sull'antica. – Viaggi T.
IV, della I. Ediz. ) Recentissimo è l'ultimo restauro, il quale non è più antico dell'anno 1815. Fu allora che vennero rialzate le pareti della chiesa, fattavi una volta al suo fastigio, e sovrapposta una cupola alla crociata.
Nella Sagrestia oltre la copia dei sacri arredi si conserva una croce con crocifisso di argento dorato in mezzo a delle figure di Santi, fra i quali il patrono S. Lorenzo.
Essa è giudicata dagli artisti opera del Polla jolo, e porta la data in n iello del 1498.
La parrocchia di Seravezza un tempo fu prioria della pieve di Vallecchia fino a che dal defunto arcivescovo di Pisa Angiolo Franceschi venne innalzata a prepositura, comecché il suo parroco fosse già vicario foraneo delle cure di Vallecchia, Cappella, Terrinca, Levigliani, Basati, Ruosina e Querceta, parrocchie un dì comprese nella diocesi di Luni Sarzana, e dopo il 1787 assegnate a quella di Pontremoli, dalla quale furono staccate e date alla diocesi pisana per breve del Pontefice Pio VI del novembre 1798.
Attualmente il piviere di Seravezza abbraccia i sette popoli seguenti, compreso il capoluogo; cioè, Seravezza, Cappella, Ruosina, Basati, Levigliani, Terrinca, e Querceta, e la sua popolazione tutta insieme nel 1833 ascendeva a 7173 abitanti mentre nell’ anno 1840 era aumentata sino a 8062 persone. – Vedere PISA DIOCESI.
Oratorio della SS. Annunziata, o della Misericordia. – Questa bella chiesa è stata di corto assegnata alla compagnia della Misericordia, una delle affiliate a quella tanto famigerata di Firenze, ed i cui fratelli imitano caritatevolmente e con zelo esemplare la benefica istituzione. Essa fu rifondata, non so quando, sull’antica chiesa dell'ospedale di S. Maria nella testata del ponte di Seravezza, celebre se non altro perché costà nel principio del secolo XVI si adunava il magistrato e tutto il corpo comunitativo di Seravezza. A cotesta chiesa della SS.
Annunziata fu donato un quadro di Pietro da Cortona dal regnante Granduca Leopoldo II.
Conservatorio Campana, e Spedale annesso. – Il conservatorio per i vecchi impotenti e per gli orfani de' due sessi fu fondato nella propria abitazione del Cav. Ranieri Campana, ingrandita nel 1792 e aperta nel 1794, ott'anni innanzi che un'altra persona pia della stessa famiglia, il conte Francesco Campana, ultimo di cotesta prosapia, con testamento del mese …. (ERRATA : e dell' anno 1802) dell’anno 1803, fondasse a benefizio de’ suoi conterranei uno spedale per gl'infermi, il quale (ERRATA: fu riunito) fu aperto nel 1831 e riunito all' anzidetto conservatorio.
Inoltre Seravezza conta da sei anni una cassa di risparmio affiliata a quella di Firenze, onde depositarvi a frutto gli avanzi settimanali dell'operajo in vantaggio della domestica economia e della morale.
Solo da due anni è stata organizzata in Seravezza una numerosa e bene istruita banda volontaria di dilettanti.
Seravezza conta molti uomini cospicui senza dire delle famiglie nobili che sino dai secoli trapassati vi si stabilirono. La più antica delle quali reputo possa esser quella di Tomeo del già Luca Tomei che nel 1515 fu eletto in sindaco dal suo Comune di Seravezza per recarsi a Firenze ad offrire a quella Signoria il monte Altissimo e quello di Ceragiola, dove allora si volevano tentare le prime escavazioni di marmi.
Rammenterò bensì fra gli uomini pia distinti di questa Terra un Padre Giovanni Lorenzo Berti nato in Seravezza nel 1688 che fu teologo imperiale, professore nell’ università di Pisa ed autore di varie opere; fra le quali un acclamato trattato di teologia dogmatica e una storia ecclesiastica. – Né passerò sotto silenzio il Cav. Luigi Angiolini che servì il governo toscano in qualità di ambasciatore a Roma e a Parigi, nominato in seguito consiglier di Stato, mancato di vita nel secolo attuale. – Non debbo parlare degli uomini distinti tuttora viventi che in Seravezza ebbero culla, e che per le loro lodevoli doti recano lustro ed onore a cotesta meritamente nobile Terra.
MOVIMENTO della Popolazione della TERRA DI SERAVEZZA a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.
ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 273; totale della popolazione 1266.
ANNO 1745: Impuberi maschi 184; femmine 181; adulti maschi 159, femmine 496; coniugati dei due sessi 222; ecclesiastici dei due sessi 16; numero delle famiglie 295; totale della popolazione 1258.
ANNO 1833: Impuberi maschi 335; femmine 322; adulti maschi 235, femmine 273; coniugati dei due sessi 616; ecclesiastici dei due sessi 24; numero delle famiglie 323; totale della popolazione 1804.
ANNO 1840: Impuberi maschi 301; femmine 267; adulti maschi 296, femmine 342; coniugati dei due sessi 640; ecclesiastici dei due sessi 25; numero delle famiglie 305; totale della popolazione 1871.
Comunità di Serravezza . – Il territorio di questa Comunità occupa una superficie di 11310 quadrati dei quali 310 quadrati spettano a strade pubbliche e a corsi d’acqua.
Nel 1833 vi abitavano 7076 persone, a proporzione di circa 441 individui per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
Confina con due Comunità del Granducato; dalla parte di settentrione tocca la Garfagnana modanese; a maestrale ha il Ducato di Massa pure dello stato modanese, e verso ponente la Comunità di Montignoso del Ducato di Lucca. Fronteggia con il territorio granducale della Comunità di Pietrasanta a partire dalla cresta del monte Pretino , col quale scende da maestrale a scirocco per la via della del Cerro sino al monte Cariala che resta a ponente della Terra di Seravezza. Dipoi piegando da scirocco a libeccio si dirige per termini artificiali sul rio Buonazzera, col quale attraversa la strada postale di Genova, e di là arriva sull'antica strada romana, ossia Emilia di Scauro. Giunti i due territorj su questa via, ripiegando da libeccio a scirocco arrivano sulla strada rotabile della marina, la quale per breve tragitto percorrono nella direzione di grecale fino a che la lasciano a ponente sul ponte detto di Tavola , dove trovano la fiumana di Seravezza. Costì piegando a levante rimontano cotesta fiumana sino passatoli Ponte Rosso, dopodiché, torcendo cammino con la Versilia, si dirigono a settentrione lasciando verso ponente il borgo di Ripa e poi quello di Corvaja. Costì la nostra Comunità attraversa la fiu mana per dirigersi a grecale sul poggio di Ceragiola, e di là in quello della Costa. Ivi cessa il territorio di Pietrasanta e sottentra quello di Stazzema, con il quale la Gora, nostra fronteggia dirimpetto a levante; da primo accadendo il fianco settentrione della Costa fino alla fiumana che viene da Ruosina, quin di mediante quest' ultima i territorj delle due Comunità fronteggiano nella direzione di ponente a levante, e poscia verso levante grecale.
Giunti però alla confluenza del canale di Terrinca davanti a Ruosina, i due territorj rimontano il canale nella direzione di settentrione fino ad altro fosso suo influente, appellalo del Giardino, il quale scende da Basati. Con questo piegando a maestrale i territorii comunitativi di Seravezza e Stazzema salgono sull'Alpe Apuana, sempre per termini artificiali tracciati quasi lungo la via dell’ Alpi finché su quella sommità trovano il canale del Freddane, mercé cui dirigonsi lungo la costa dell'Alpe verso le più alte scaturigini della. Torrita Secca , ossia della Torrita di Castelnuovo di Garfagnana.
A tale confluenza cessa sulla schiena della Pania della Croce il territorio della Comunità granducale di Stazzema e sottentra dirimpetto a settentrione grecale quello di Vagli di Sopra della Garfagnana modenese. Con essa Comunità la nostra rimonta la fiumana della Torrita Secca sino a S. Maria Maddalena in Arno, dove confluisce il canale di Acquarota; e di costì per termini artificiali i due territorj continuano nella direzione di maestro e infine piegando a settentrione arrivando sullo schienale detto dell’Asino. A quel punto cessa la Garfagnana modanese, e sottentra, da primo dirimpetto a maestro, poi di fronte a ponente il territorio del Ducato di Massa di Carrara, col quale il nostro per termini artificiali percorre la criniera dell’Alpe della Tambura sino alla Penna del Carchio, dove viene a confine la Comunità lucchese di Montignoso, di fronte alla quale l 'altra di Seravezza percorre per le creste dei monti del Carchio e del Folgorito , quindi incamminandosi a ostro passano pel monte di Tra mbiserra. Di costassù voltando direzione a libeccio i due territorii corrono sulle spalle de’ poggi di Corvaja e di Ripa per arrivare sul monte Pretino, dove la nostra ritrova la Comunità di Pietrasanta.
Una delle montuosità più elevate di questo territorio è senza dubbio quella del monte Altissimo; che sebbene non sia da dirsi il più alto monte della Pania, pure cede di 366 braccia fiorentina in elevatezza a quello suo vicino della Pania della Croce ; mentre se la sommità del monte Altissimo ascende a braccia 2722 sopra il livello del mare Mediterraneo, quella della Pania della Croce spettante alla vicina Comunità di Stazzema fu trovata dal Pad. Inghirami alta braccia 3188. E comecché non si conosca la sommità della Tamburo, pure anch' essa apparisce di poco superiore a quella del monte Altissimo.
Fra i torrenti più copiosi che percorrono il territorio in questione contasi il Rimagno che prende origine dal monte Altissimo dentro la Comunità di Seravezza. Non meno ricco d’ acque è il Ruosina che scende dall'Alpe di Stazzema, il quale accopandosi al Rimagno prende il nome di fiume di Sera vezza, corrispondente all'antica Versilia. Cotesta fiumana attualmente si dirige per la maggior parte a libeccio nel Lago di Porta innanzi di vuotarsi in mare all'emissario del Cinquale, mentre l'antico suo alveo diretto a scirocco verso Motrone, ora serve ad una gora sotto Vallecchia, di dove s'inoltra nella pianura di Pietrasanta col vocabolo di Fiumetto passando la strada postale sotto il così detto Ponte di Strada. – Vedere PIETRASANTA, Comunità, e VERSILIA.
Rispetto alle strade rotabili, il territorio di Seravezza è attraversato in pianura da quella postale genovese e da una più vicina al lido di mare, (l’antica Emilia di Scauro)entrambe le quali sono tagliat ad angolo retto dalla via rotabile cha da Saravezza passando per Corvaja, Ripa e la Madonna di Querceto guida alla marina. A Saravezza cotesta strada biforca col fiume per continuare rotabile verso levante Sino alle Moline sopra Ruosina, rimontando la valle lungo la destra ripa della fiumana, mentre a settentrione seguita carreggiabile per i marmi lungo la ripa sinistra del torrente Rimagno passando fra il monte marmoreo della Cappella e quello di Trambisserra fino alla base del monte Altissimo.
Delle prime mosse di questa strada si deve il merito a Michelangelo Buonarroti, che nel 1517 si recò il primo da carrara a seravezza per tentare di cavar da quei monti i marmi per la facciata di S. Lorenzo di Firenze, la quale opera vennegli allogata da Pontefice Leone X per ducati 40,000 d’oro, su di che tornerò a far parola più abbasso al paragrafo, Industrie del paese.
Rispetto alla qualità fisica di cotesto territorio a partire dalla pianura verso la via Emilia di Scauro, oggi appellata la Via del Diavolo, sino alla base dei colli vitiferi di Ripa, il di le suolo trovasi profondamente coperto da terreno di trasporto e da ghiaje trascinatevi dai monti sovrastanti.
Alla base meridionale e occidentale dei colli di Ripa e di Strettoja, che con la detta pianura confinano, sono addossate delle rocche calcaree cavenose il più delle volte in forma di rupi e di bizzarrissime scogliere.
Sono esse disposte e bene spesso attraversate da irregolari straterelli di creta ocracea che danno al terreno una tinta laterizia, talvolta da sinuose vene spatiche, e tale altra da nodi e filoncini di quarzo attraversate.
Framezzo a queste rocce alla base meridionale del poggio di Strettoja incontrasi degli strati di arenaria calcarea compatta a grana fine, del colore e dell’indole della pietra forte di Firenze utilmente impiegata a Pietrasanta per lastrico di quelle strade.
Se uno internasi nella gola de’ monti per andare a Seravezza,vede a ponente della strada e del borghetto di Ripa succedere alla roccia calcarea cavernosa strati diversamente inclinatidi uno strascio di colore verde, cui serve il mantello e di base calcarea testè indicata.
È in mezzo a cotesto qualità di schisto dove sono state scoperte si corto copiose vene raccolte in filoni di mercurio solforato.
La parte più esposta all’aria di cotesta roccia schistosissima presenta una tinta variegata setinata e lucente, ma nella parte interna del monte le vene che attraversano codesto steaschissto danno alla roccia medesima un colore carnicino tanto più intenso quanto più la roccia si avviacina alle vene e filoncini del mercurio solforato, che ivi da solo tre anni (1840) si è ritrovato. – E costà appunto sulla faccia meridionale d’una stessas collina, coperta di sqisiti vigneti disposti a scaleo per filari in angusti ripiani; è sopra questo anfiteatro naturle convesso, in faccia ad una pittoresca veduta del mare che dal Golfo della Spezia stendesi fino al porto di Livorno, alle isole di Capraja e della Gorgona, e costà, dove oggi si sono stabilite a contatto l’una dell’altra tre società mineristiche, le quali hanno aperto per conto proprio separate escavazioni mediante pozzi e gallerie diverse donde estrarre dai filoni, ritrovati il cinabro che nascondono.
Ma innanzi di parlare di cotesto nuova industria montanistica del territorio di Seravezza, stimo opportuno dovere indicare a volo d’uccello la struttura apparente della porzione più interna del territorio di questa Comunità, perseguendo da Ripa fino al fastigio di cotesta porzione dell’Alpe Apuana, la quale termina col monte altissimo.
Seguitando il corso inverso del valloncello che si apre al littorale di Seravezza e rimontando l’alveo della Versilia, sottentrano sotto Corvaja alla roccia calcarea cavernosa strati di calcarea argillosa fissile, che più in alto veggonsi convertiti in steaschisto. Passato il borgo di Corvaja fra questo paese e Seravezza gli strati di steaschisto divengono più argillosi, più potenti e meno ricchi di talco, alternati non di rado con potenti filoni di quarzo bianco amorfo.
Dalla parte sinistra, e a levante della fiumana suddetta vedesi alla calcarea cavernosa succedere quella stratiforme compatta attravesata da vene e filoncini di ferro, i quali comunicano alla roccia una tinta talvolta grigia azzurrogniola, tal altra di color giallastro.
Ma cotesta calcare nell’avvicinarsi al monte va acquistando l’aspetto di una calcarea subgranulare, fino a che essa, sul monte di Ceragiola situato a levante di Vallecchia, come nell’altro dela Costa che guarda settentrione, e che fa spalla alla Terra di Seravezza, la detta roccia acquista una grana sempre più salina, talché essa costà trovasi già convertita in un marmo bianco ordinario.
Penetrati sul bivio del profondo vallone, dove risiede Seravezza, se uno si avvia a levante i per il canale di Ruosina o della Versiila, dirimpetto al monte della Costa , incontra alla base di quelli che scendono da Basati e da Cerreta dal lato di settentrione un alternativa di terreni calcareo arenosi; e di argilla ocracea schistosa che terminano nella collina di Pancola, di dove scaturisce un'acqua leggermente acidula e ferruginosa, cui sottentra più avanti la calcarea cavernosa e lo schisto talcoso. Le quali ultime due rocce sembra che servano di mantello alla calcarea subgranulare, che nell’Alpe di Basati e nei monti contigui suoi trovarsi modificata in una calcarea saccaroide più o men bianca e venata.
Al contrario, se uno da Seravezza prende la strada settentrionale di Rimagno rimontando il corso di cotesto torrente, penetra in una gola di monti; quelli posti a levante del torrente mostransi coperti di steaschisto e di calcarea argillosa, finché sottentra il marmo nel poggio detto della Cappella, mentre i monti alla sinistra, o a poti, del Rimagno, possono dirsi una continuazione dei poggi di Ripa e di Corvaja, i quali passando sopra Seravezza per il mo nte Canala si attaccano al Banco meridionale del monte di Trambiserra , punto in cui cessa la formazione steaschistosa, e dove, tanto a destra come a sinistra del canale di Rimagno , sottentra la regione de' marmi.
Colesti due monti marmorei mostrano il più delle volte alla superficie la roccia calcarea in strati di tinta scura, sporgenti fuori in forma di spigoli smussati e divisi fra strato e strato da interstizi ripieni di argilla ocracea. Al di sopra delle cave della Cappella e di Trambiserra tornano a comparire le rocce steaschistose e la calcarea cavernosa racchiudente non di rado dei cristalli di solfuro di ferro. Solamente le pendici dei poggi meno discoscesi, che scendono da Azzano Terso la ripa sinistra del torrente Rimagno, sono coperte da un terreno di arenaria calcare color castagnuolo e facilmente riducibile in rena e terra sciolta, in cui prosperano grosse piante di castagni.
Passata la Casetta appellata del Duca, posta ai piedi del monte Altissimo , torna a riaffacciarsi la roccia marmorea. Costa si rientra nel dominio della calcarea saccaroide bianca, la quale presentasi sul la costa meridionale della catena delle Panie in un pendio di circa 45 gradi inclinato a grecale Al di sopra della Casetta mettono foce nel Rimagno due frane o burroni, mediante tre contrafforti della montagna medesima Il burrone a levante guida per il canale del Vasajone verso uno sprone del monte Altissimo chiamato la Costa de'Cani; l’altro burrone che scende dallo stesso monte nella direzione di ostro libeccio, e che da origine al canale del Piastrone, sale alla Polla, dove sono state aperte le nuove cave di marmo statuario. Il marmo del primo burrone fu scoperto nel 1 5 1 8 da Michelagnolo Buonarroti, l'altro della Polla fu scavato tre secoli dopo dal Cav. Marco Borrini, ment re in un terzo sprone sopra il canale della Vincarella, frapposto ai due prenominati, incominciarono ad escavar marmi nel 1567 e 1568 Gio. Bologna, Vincenzio Danti ed altri artisti dal Granduca Cosimo I inviati al monte Altissimo.
Ma per salirvi, e il più che importa per tracollare da quelle dirupale pareti, onde trasportare per il tragitto di 5 in 6 miglia dal monte alla marina i marmi cavati dall’ Altissimo, vi era bisogno di una strada praticabile dai carri fino a pie della montagna, giacché a volere arrivare costassù può dirsi col divino poeta: Non era via da vesti to di cappa.
Fa risalendo il burrone della Polla quando nell'ottobre del 1823, scortati dal prenominato Cav. Borrini, il sig. G. P. Vieusseux ed io ci arrampicammo senza che un alalo Gerione per quelle lisce e ripidissime balze Me col compagno ne portasse in groppa, e ci sollevammo alla meglio per una pen dice inclinata circa 50 gradi per vedere sulla faccia del luogo quei potenti strati marmorei attraversati da sottili vene di ferro ossidulato, che i cavatori chiamar sogliono madrimacchie. Con tutto il nostro buon vo lere però non fu possibile di scuoprire su qual terreno la gran massa marmorea del monte Altissimo si riposa. Vedemmo bensì scendendo dalla Polla alla Casetta , che le rocce rivestenti la sua base appartengono , ad una calcarea semigranosa, sotto la quale a luoghi s'incontrano banchi di una vera breccia marmorea molto analoga a quella delle Mulina, o di Stazzano. Una forma zione consimile è addossata alle pendici dell'Altissimo fra il burrone del Vasajone ed i poggi che dirigonsi verso Azzano, dove la calcarea semigranosa, quanto più si allontana dall' Altissimo tanto più bollosa e cavernosa diventa, finché presso il Villaggio di Azzano essa perdesi e si riaffaccia lo steaschisto, i di cui strati meridionali servono di mantello al monte marmoreo della Cappella non che a quelli contigui che si alzano al suo levante verso l'Alpe di Basali.
La superficie territoriale della Comunità di Seravezza essendo circa sei settimi montuosa, ne conseguita che i prodotti della sua pianura per quanto ubertosa non suppliscano ai bisogni della popolazione. Al contrario nei poggi meridionali fino alla loro estre ma base prosperano vigneti squisiti e boschi di olivi, che costituiscono un ramo di commercio attivo; sennonché internandosi nella valle, l'ulivo e la vite, ad eccezione di poche località meglio esposte e assolative, cedono il loro posto al castagno, ai pascoli naturali, alle patate.
Industrie del paese. – Però le risorse maggiori di questa porzione montuosa si ritraggono dalle viscere della terra, sia nella escavazione de' marmi ordinarj bianchi e turchini, sia in quella de' fini e statuarj, sia finalmente nella nuova e non meno propizia scoperta delle miniere di cinabro per l’ estrazione del mercurio ritrovalo nel monte vitifero di Ripa.
Per quanto il permette l'indole dell'opera, procurerò nell'Articolo presente indicare le industrie sommarie spettanti al territorio comunitativo in questione, giacché molle altre che se gli associano traggono il materiale dalle due comunità limitrofe di Stazzema e di Pietrasanta, le quali non saranno, io spero, dimenticate agli Articoli STAZZEMA, Comunità, e VAL DI CASTELLO.
Cominceremo per ordine di anzianità dai marmi della Cappella che scavansi tuttora per lavori di quadro ed altre opere architettoniche.
Dopo quel poco che nella vita di Michelagnolo Buonarroti ne scrissero il Vasari ed il Condivi, dopo ciò che innanzi di loro disse Giovanni Cambi nelle sue Cronache fiorentine intorno alla scoperta dei marmi bianchi nei monti di Seravezza, e relativamente a l marmo che vi fu cavato da quel divino artista per ordine di Papa Leone X, poco o nulla di più fu aggiunto che apportasse un maggior lume intorno alla finora discussa scoperta.
Rese pertanto un grande servigio alla storia delle arti Carlo Frediani di Massa di Carrara, allorché con i suoi tipi nel 1837 pubblicò con alcune Notizie sul Buonarroti un allo pubblico fino allora sconosciuto, rogato in Seravezza lì 18 maggio 1 5 1 5 stato già di sopra indicato, col quale cotesto Co mune, volendo ubbidire alla inchiesta fattagli dalla Signoria donò al popolo fiorentino il monte dell'Altissimo e il monte di Cerajola (Ceragiola), posti nelle pertinenze di Seravezza e della Cappella, in quibus dicitur esse cava et mineria pro marmoribus cavandis. La qual donazione poco dopo, io ritengo che dal Comune di Firenze venisse ceduta all'Opera di S. Maria del Fiore; avvegnaché quest'ultima nell' ottobre del 1 5 1 8 (forse alle istanze del Pontefice Leone X) permise a Michelagnolo Buonarroti di potere condurre scarpellini in quei monti, per estrarne ì marmi che impiegare volevansi nella disegnata facciata di S. Lo renzo di Firenze.
Ma innanzi che ciò accadesse Michelagnolo erasi recato a Seravezza e precisamente alle cave di Finocchiaja (della Cappella) di dove aveva già decollato tre colonne, che due di esse cadendo si ruppero sulla cava. Ciò è reso manifesto non solo dalle lettere autografe presso il suo discendente consigliere Cav. Cosimo Buonarroti, ma ancora dal contratto stipulato nelle stanze dell'Opera di S. Maria del Fiore sotto dì 29 ottobre 1 5 1 8 fra Michelagnolo Buonarroti ed un maestro scalpellino da Settignano.
Cotesto contratto fu concluso ben dieci mesi dopo firmato quello del 19 gennajo 1 5 1 8 fra il Pontefice Leone e Michelangelo Buonarroti, mercé del quale quest'ultimo obbligavasi di fare per 40 mila ducati d'oro a tutte sue spese, e a forma del modello dato, la facciata di marmo della chiesa di S. Lo renzo di Firenze, dove quel chiaro ingegno si lusingava di eseguire l’ opera la più grande di tal genere. – (Lettera autografa presso il consigliere Cav. Cosimo Buonarroti).
Il contratto del 29 ottobre anno 1518 che fu rogalo nelle stanze dell' Opera di S. Maria del Fiore, esiste nell'Arch. Gen. de' Contratti in Firenze fra i roditi di ser Filippo di Cione di Giovanni di Cione, e fu estratto di là in copia autentica dal Cav. Marco Borrini.
Con esso Michelagnolo diede a maestro Domenico di Giovanni Berlini scarpellino da Settignano a titolo di locazione le cave poste nei monti sopra Seravezza in luogo appellato Finocchiaja , incontro alla Cappella per cavare i marmi seguenti: 1°. due colonne della lunghezza di braccia fiorentine 11 1/4 e grosse braccia uno 2/3 da pie, e braccia uno 1/2 da capo con la base e capitelli convenienti a dette colonne a seconda delle misure che gli saranno date, a condizione di darle abbozzate nel luogo proprio delle cave predette, promettendo Michelagnolo di retribuire a detto maestro Domenico fiorini 49 d'oro in oro per cadauna delle due colonne cavate e abbozzate; 2.0 di cavare dallo stesso luogo due pezzi d'architravi della misura di braccia 8 1/2 compreso l'aggetto, dell’altezza e grossezza indicate, con l’ obbligo al Buonarroti di pagare per ciascun pezzo li detti architravi abbozzati in sulla cava fiorini 25 d'oro in oro; 3.° di cavare dal detto luogo uno stipite della lunghezza di braccia dieci fiorentine per la porta maggiore della facciata da farsi alla chiesa di S. Lorenzo della grossezza e altezza convenuta, da darei abbozzato nella cava come sopra perii prezzo di fiorini 30 d'oro in ora; 4.° più quattro stipiti delle porte minori con due loro architravi e con l’ architrave della porta grande posti tutti abbozzati in sulla cava per prezzo di ducati 90 d'oro in oro; 5° inoltre che detto maestro Domenico debba dare al.prefato Michelagnolo tutte le pietre minori, in modo che quelle che saranno dalle 5 carrate in su, sì dieno abbozzate nella cava per un fiorino d'oro la carrata, e quelle dalle 5 carrate in giù, detto maestro Domenico si obblighi dare i pezzi bozzati al caricatojo, dove può arrivare il carro , per il prezzo di fiorini uno in oro la carrata; 6.° lo stesso accollatario maestro Domenico, oltre le suindicate pietre grosse, si obbligava dare a detto Michelagnolo tante carrate di mai mi di pic cola dimensione, che, tutti compresi, debbano ammontare alla somma di 150 carrate.
Una fra le altre condizioni di quel contratto meritevoli di valutarsi è la seguente: che la bellezza e bianchezza degli indicati marmi debba essere come quella della colonna che si ruppe , e più presto meglio, netti al tutto di peli e costure.
Finalmente l'accollatario maestro Domenico si obbligava di dare sbozzata una delle due colonne nel contratto descritte da lì a due mesi, ed il restante dentro tutto il mese di giugno susseguente (cioè del 1519, senza alcuna eccezione. – La qual locazione (termina il contratto) e tutte le cose predette lo stesso Michelagnolo Buonarroti fece al prenominato maestro Domenico con patto che al caso sopravvenisse la morte del Nostro Signore Papa Leone, o che per altri casi S.
Santità non volesse seguitare il lavoro della facciata di S. Lorenzo, per la cui causa si fanno detti lavori, che in tal caso o casi esso Michelagnolo non sia obbligalo a seguitare della opera, ecc. ecc.
Da cotesto istrumento pertanto emerge non poco lume per la storia delle cave dei marmi di Gravezza, e innanzi tutto perché da esso si scuopre, in primo luogo, che le prime escavazioni de' marmi nella montagna d i Seravezza furono nel monte comu nemente appellalo della Cappella; in secondo luogo perché ci dà a conoscere che il caricatojo de’ marmi , dove arrivava la strida de' carri nel 1 5 1 8 non oltrepassava e appena arrivava alle dette cave. Per fare la quale strada, dice il cronista Cambi, furono dati dal Pontefice Leone mille fiorini d'oro, e molli più ne spese l'Opera di S.
Maria del Fiore. In terzo luogo, che innanzi il contratto del 29 ottobre 1 5 1 8 Michelagnolo Buonarroti era già stato nei monti di Seravezza a fare cavar marmi perla stessa facciata della chiesa di S.
Lorenzo, tostochè egli ivi dichiara, che la qualità dei marmi da levarsi non sia inferiore a quella della colonna ivi rimasta rotta.
Finalmente nel contratto del 29 ottobre 1528 si rammentano sole due colonne da farsi, e uno stipite per la porta maggiore della chiesa di S. Lorenzo, lo che fa dubitare che il secondo stipite e le altre 10 colonne fossero già cavate, o allogate ad altri scarpellini.
Al sopraindicato contratto servono di appoggio e d'illustrazione molte lettere e ricordi scritti di mano dello stesso Michelagnolo, le prime delle quali conservansi dal prenominato Cav. Cosimo, mentre i ricordi sono posseduti da altro suo discendente il vivente pittore Michelagnolo Buonarroti.
In uno di quei ricordi scritto nel 29 ottobre del 1518, cioè nel giorno del contratto, dice: « oggi, io Michelagnolo, detti dei mille ducati che avevo nel sacchetto cucito, 30 a Topolino scalpellino da Settignano, e 35 ad Andrea (di Giovanni d'Andrea) pure scarpellino da Settignano, perché andassino a cavar marmi per la facciata di S. Lorenzo a Pietrasanta».
– Da altro ricordo poi siamo avvisati, che nel giorno dopo il contralto (a dì 30 ottobre del 1 5 1 8 ) Michelagnolo partì da Firenze per Pietrasanta onde mettere in opera i soprannominati scalpellini di Settignano.
A provare una gita precedente fatta a tale scopo da Michelagnolo a Seravezza giova anche una scrittura privata del 29 maggio 1518, con la quale il Buonarroti anticipò un acconto di ducali cento a maestro Alessandro di Giovanni di Bettino e ad altri scarpellini da Settignano per l'escavazione de' marmi alla montagna di Seravezza, consistenti in colonne, stipiti ed altri pezzi da servire per la facciata di S. Lorenzo ecc. con che maestro Alessandro debba stare agli ordini di maestro Donato di Gio. Battista Benti scultore fiorentino.
Cotesto maestro Donato Benti fiorentino che prese domicilio in Seravezza, non solo presedeva all' escavazione de' marmi per conto del Buonarroti; ma ancora dirigere doveva la nuova strada ruotabile che allora si aprì ai carri per il trasporto dei marmi dalle cave della Cappella alla marina.
Realmente uno de' testimoni esaminati nel 1648 rapporto ai confini territoriali fra la Coni, di Seravezza e quella di Montignoso rammentò, come (verso il 1 5 1 8 ) fu capo di quella strada un maestro Donato fiorentino.
Che l’ escavazione de' marmi nei monti di Seravezza fino al 1517 fosse, dirò quasi vergine, si può dedurre da varie lettere inedite dello stesso M. Buonarroti, con una delle quali diretta da Seravezza ad un suo amico a Firenze, fa sapere, che, il luogo da cavare qua è molto aspro, e gli uomini molto ignoranti per simili esercizi , e però bisogna una gran pazienza, e qual che mese, tanto che si sieno dimesticati i monti ed ammaestrati gli uomini.
Anche nel principio dell'anno 1520 Michelagnolo era tornato per lo stesso oggetto a Seravezza, poiché al 10 gennaio di detto anno egli, stando in casa di maestro Donato Benti pagò de' denari a maestro Domenico di Matteo Morelli, ed a maestro Andrea di Gio. di Lucherino, ambedue scarpellini da Settignano, per conio di marmi, si cavano per me (dice il ricordo) nella monta gna di Seravezza. Un altro pagamento di ducati 10 fu da lui fatto in quel giorno allo stesso maestro Donato Benti fiorentino in Seravezza, stando in casa sua per conto di marmi che mi fa caricare per Pisa e per l ’ opera di S. Lorenzo , che si cavano a Seravezza. – (Ricordi di Michelagnolo esistenti nella villa di Settignano ereditata dal vivente Michelagnolo Buo narroti,) Infatti Gio. Cambi nelle sue Cronache ne avvisò, che nel 1620 arrivarono in Firenze le prime colonne di marmo cavale dai monti di Seravezza per la facciata di S. Lorenzo.
Ma in quest'anno medesimo 1520 il Pontefice Leone X, avendo mutato consiglio, fece rescindere il contratto del gennajo 1 5 1 8 relativo alla facciata della chiesa di S. Lorenzo di Firenze, dove quel divino artista di Michelagnolo aveva speranza (diceva in una sua) di fare opera la più grande di tal genere. – Ma cotesta facciata, benché da molti egregi artefici in vario modo disegnata, si è ridotta, al pari di quella della Metropolitana fiorentina, ad un semplice desiderio e le cave dei monti di Seravezza, dopo quell'occasione si rimasero per molto tempo abbandonate.
Avvegnaché passarono più di 40 anni innanzi che Giorgio Vasari, all' occasione di recarsi per ordine del suo sovrano a Seravezza onde esaminare sulle faccia del luogo la nuova scoperta delle brecce sotto Stazze ma, fu allora che al suo ritorno da Seravezza a Pisa scriveva nel dì 8 gennajo 1564 (stile comune ) a Bartolommeo Grondi provveditore generale del Duca in Firenze queste parole: «Tornai jeri da Pietrasanta, ed abbiamo trovato una cava di mischi bellissima e grandissima, che S E. (il Duca) vuoi far di quella l'opera di S. Lorenzo; similmente una cava di marmi bianchi che n' ha avuto S. E. grande allegrezza ecc. »– (GAYE , Carteggio inedito di Artisti Volume III.) Infatti due mesi dopo Cosimo I diede ordine a Matteo Inghirami provveditore di Pietrasanta di far cavare sotto Stazzema marmi mischi delle maggiori grandezze e saldezze possibili; e l'anno dopo inviava a Seravezza lo scultore Francesco Moschino per esaminare e riferire, siccome egli fece con lettera del 30 gennajo 1565 (stile comune) scritta da Carrara, sulla qualità de' marmi bianchi del M. Altissimo. Finalmente da altra lettera scritta dal Duca lì 18 giugno 1565, si rileva, non solamente che la strada era già avanzata fino a pie del M. Altis simo sotto l'ispezione di maestro Gio. da Montauto, ma che si erano cavati da cotesta montagna de’ pezzi di marmo statuario per farne tre ritratti. – (ARCH. SEGRETO MEDIC. NELLE RIFORMAG. DI FIR.) Era intenzione di Cosimo I di esonerare i suoi Stati, per quanto fosse possibile, dal dovere ricorrere all’ estero per prodotti di suolo, dei quali si affacciava speranza di averne nel suo Ducato; dondechè non farà meraviglia se egli voleva, piuttosto che da Carrara, si cavassero i marmi dal suo terri torio del Pietrasantino.
In conseguenza di ciò Cosimo I nel dì 11 agosto del 1569 scriveva a Matteo Inghirami suo provveditore a Pietrasanta: per noi e per cose de’ nostri Stati non vogliamo a modo alcuno si lavorino marmi di Carrara.
Frattanto ad insinuazione di Gio. Bolo gna si mandava sul mont’ Altissimo il celebre scultore Vincenzio Danti perugino, il primo, io credo, che imprese a cavar marmi da quella montagna, sicché il provveditore Inghirami scrivendo nel dì 8 giugno del 1568 da Pietrasanta informava il gran Principe Francesco, conte nel sabato antecedente si gettò giù il primo pezzo di marmo cavato al M. Altissimo, maggiore di 60 carrate, rotto però nella caduta in diversi pezzi; ma grossi tanto che in uno esce la f igura che deve fare Vincenzio perugino (la statua di Cosimo I) e in un al tro pezzo, al quale non restava molto a fare per get tarlo già dalla cava, si disegnava cavare la figura di Gio.
Bologna (la Fiorenza che vedesi nel Salone di Palazzo vecchio). – Sennochè due giorni dopo (10 giugno 1568) Cosimo informava il provveditore Inghirami «che il marmo bianco cavato per la statua che debbe fare Vincenzio scultore non riesce buono, per esser livido; che però bisognava far diligenza di cavarne un altro pezzo che sia bianco.»– (GAYE, Opera citata.) Sarebbe qui fuor di luogo intrattenerci per conoscere le operazioni e i nomi degli adisti che dal 1564 sino al 1 5 7 6 attesero alle escavazioni del mirino nel M. Altissimo inviati costà da Cosimo I e dal gran Prin cipe Francesco suo figlio; solamente avvertirò, che le prime escavazioni s’ intrapresero nello sprone meridionale del monte Altissimo, denominato la Costa de’ Cani, «dov' era intenzione, scriveva Vincenzio Danti da Seravezza ( l ì 2 luglio 1568) al gran Principe Francesco, di condurre il Buonarroti la strada, perciocché in molti luoghi aveva trovato in quei massi la marca M. – Inoltre il Danti in quella lettera ragguagliava il gran Principe d' avere scoperto altre cave di marmi bianchi e statuari ed anche gran quantità di quelli per opere di quadro bellissimi e di gran saldezza; i quali marmi, ivi soggiunge «sono sopra il luogo della Polla di focile accesso e scesa, essendoché la salita è un terzo meno che alla Costa de’ Cani.
Mancato però Cosimo I, s i abbandonò per la seconda volta l’scavazione de' marmi ne' monti di Seravezza, ed un oblio di quasi dugento cinquantanni ricuoprì all’ industria nazionale cotesta risorsi territo riale di tanto interesse per le arti e pel commercio.
E sebbene verso il 1743, per asserto di Gio. Targioni Tozzetti (Viaggi T. VI Ediz. del 1773) si fosse progettata una compagnia di speculatori per riprendere quelle escavazioni, cotesta impresa fallì nel suo divisa mento; bensì ivi si parla di una cava di marmi stata aperta pochi anni innanzi verso il monte della Cappella per cura del dott. Francesco Antonio Fortini, dove egli trovò, oltre il marmo bianco ordinario, del marmo mischio pezzato di bianco e di rosso carnicino, corrispondente alla breccia che noi trovammo alle falde del monte Altissimo. L’ amore che il dottissimo Targioni portava alla sua patria lo fece esclamare: essere stata una gran vergogna per noi Toscani che non sia stato mai pensato efficacemente a riaprire la cava di marmo statuario del monte Altissimo.
Tempi più propizi preparava il secolo presente alle intraprese industriali, ed una delle tante che con più o meno fortuna hanno avuto luogo in Toscana è stata la riattivazione delle cave di marmo statuario nel M.
Altissimo.
Fu nel 1820, quando il cavalier Marco Borrini caldo di amore per la sua patria, sulla scorta storica delle vicende testé accennate tentò di ripristinare quelle obliate lapidicine. Che questo zelante cittadino vi sia riescilo lo dichiara la relazione favorevole del 19 ottobre 1820 fatta al governo granducale dal celebre Giovanni Fabroni stato incaricato di recarsi sul M.
Altissimo per esaminare e riferire sulla impresa Borrini; per cui in conseguenza di quel rapporto vennero forniti a quell’ intraprenditore coraggioso dalla R.
depositeria diversi incoraggimenti per l'opera incominciata, cui nè la difficoltà de' luoghi, né gli scavi fatti tre secoli prima, né l'antico credito e concorrenza della vicina Carrara furono capaci di raffrenare o interrompere la difficile intrapresa. Quindi la costanza del Cav. Borrini è giunta a tale intento che ha scoperto nei fianchi del Monte Altissimo marmi i più tini, i più candidi, i più pastosi e nel tempo stesso i più solidi che abbiano mai avuto sotto lo scalpello gli artisti. Una conferma solenne e palpabile me la diede la visita da me fatta di corto ad alcuni, fra tanti altri, studj che esistono in Firenze di scultori e ornatiti, cioè, Parrors, Pozzi, Pampaloni, Costoli, Cambi, Magi, Giovannozzi Luigi, Fantacchiotti e Duplè, presso i quali tutti riscontrai i marmi statuarj del Mont' Altissimo di prima e seconda qualità; gli uni senza alcuna macchia, ossia vena, anco nelle statue e gruppi maggiori del natura le, in moltissimi ritratti e nei lavori di piccole statue e di camminetti da sorprendere per la finezza dell’ opera, non che per il loro straordinario candore e grana compattis sima. I marmi poi detti di seconda qualità, sebbene per la grana, per la solidità e per la candidezza si avvicinino a quelli della prima, essi solamente gli cedono rispetto ad alcune macchie di tinta grigio scura, dalle quali sogliono essere sparsi e attraversati; e di questa seconda qualità sono le statue moderne che si fanno per le nicchie degli Uffizj in Firenze.
Però fra le cave del M. Altissimo quelle di Falcovaja danno un marmo forse il più fine ed il più candido di quanti finora ne lavorò 1*antica e la moderna statuaria.
Entrano nel novero delle cave nuove di statuarj attualmente attivate nel M. Altissimo, a levante quelle del fianco meridionale poste sopra il canale di Falcovaja fra il Vasajone che l'avvicina a ponente e le cave della Polla e del canale detto della Fincarella situate al suo levante.
Una sola via carreggiabile conduce a pie del monte, e termina in un piazzale, dove scendono dai tre canali, della Polla, di Falcovaja e della Vincarella, i marmi che costà si caricano per trasportarli alla marina lungi di là non più di sette miglia.
Dalle cave della Cappella e di Trambi serra la strada fu prolungata fino alla base del M. Altissimo. Sarebbe desiderabile però che una strada carrozzabile si aprisse da Seravezza a Pietrasanta lungo la ripa sinistra del fiume, giacché quella praticata alla sua destra per i carri dei marmi che si portano alla marina, difficilmente può supplirvi, sia per il suo infossamento, sia per mancanza in molti punti di baratto.
A imprimere nuova vita e coraggio a cotanta dura e nei suoi principj difficile impresa, oltre la munificenza del governo granducale, concorse la presenza dell’ Augusto sovrano LEOPOLDO II, il quale sino dal gennajo del 1825 si degnò visitare, e nel marzo del 1838 tornò a rivedere le cave aperte sul M. Altissimo. Egli poté in tali circostanze leggere nei cuori esultanti del popolo e dei cavatori quel rispettoso amorevole voto che io, fino dal 1826, mostrai desiderio (ANTOLOGIA del maggio 1826) che si scolpisse sulle marmoree pareti della montagna sotto il nome dell'Augusto Escursore la verità qui appresso: Hic ames dici Pater, atque Princeps.
Dopo tuttociò è gioco forza concludere; che ad onta di una forte volontà e del concorso de’ più celebri artisti del secolo XVI era riserbato al regno di Leopoldo II una palma sfuggita di ranno al Pontefice Leone X ed al Granduca Cosimo I.
Arroge a ciò, come attualmente si cavano marmi anche dal duplice fianco del monte della Costa. – Io non parlo delle latomie delle brecce e del bardiglio fiorito sotto il canal delle Mulina, non delle miniere di mercurio a Levigliani, non di quelle di piombo argentifero del Bottino, o di altre produzioni minerali che pure hanno dato vita a molte officine, segherie e frulloni, perché ne riserbo a far parola all’Articolo STAZZEMA, Comunità, nel cui territorio sono comprese. Indicherò più sotto il numero delle ferriere, e di altri prodotti minerali di comunità estranee a Seravezza che il comodo e la copia delle acque correnti consigliò ad erigere dentro i confini di questo territorio, nel quale primeggia lo stabilimento Pacchiani a Valle Ventosa con ferriera e fonderia di rame.
Solamente dal confronto dell'industria dei marmi del Seravezzese, innanzi la intrapresa del M. Altissimo fra l'anno 1820 e quella dell'anno corrente 1843 si potrà rilevare qual movimento abbia acquistato in sole due decadi coteste paese.
Confronto dell’industria de’marmi di Seravezza Nell’anno 1821 Macchine a telajo mosse dalle acque dei due torrenti per segar tavole di marmo n° 7 Frulloni per lustrare le quadrette, ecc. n° 5 Cave della Cappella e del monte di Trambiserra , donde si estraggono marmi bianchi ordinarj e bardigli, la di cui escavazione alimentava le suddette segherie e frulloni n° Lavoranti che vi s’impiegavano circa n° 40 Bovi per il trasporto de’marmi paja n° 5 Nell’anno 1843 Macchine a telajo mosse come sopra per segare le tavole di marmo n° 34 Frulloni per lustrare le quadrette, ecc. n° 12 Cave aumentate nella Cappella, nel monte di Trambiserra , con più quelle aperte nel monte della Costa, a Valle Ventosa , oltre le cave di marmo statuario e ordinario a Falconaja , all Polla, alla Vincarella sul Monte Altissimo, in tutte n° 18 Lavoranti che vi s’impiegano n° 600 Bovi per il trasporto giornaliero dei marmi circa paja n° Fra le macchine a telajo merita special menzione un edifizio eretto da pochi anni sulle porte di Seravezza da Giov. Battista Henreax, soggetto che molto contribuì ai buoni resultamenti del M. Altissimo ed allo sviluppo del commercio marmoreo in Seravezza, (ERRATA: dove nel 1842 morì) dove nell’aprile del 1843 morì. – È un edifizio di nuova invenzione tutto di ferro fuso mosso dalle acque già riunite de' torrenti Ruosina e Rimagno, consistente in otto telaj di seghe, che in tutti segano 250 tavole in un tempo stesso; e con tale precisione piane e di eguale esatta grossezza da non aver più bisogno de' frulloni, ma solamente della lustratura.
Inoltre fa parte, o piuttosto staccasi dall’ industria marmorea di Seravezza, la creazione del nuovo paese allo Scalo detto il Magazzino de' Marmi, dove innanzi il 1821 non si contava bastimento da trasportare i marmi a Livorno ecc. ed ora se ne contano circa dodici, i quali trasportano i marmi, olio, ecc. e riportano vena di ferro per le ferriere, generi coloniali ecc.
Cosicché in pochi anni si è, dirò così, formato costà un borgo di circa 300 abitanti che tutti traggono sussistenza dalle operazioni di caricazione e scaricazione di questi nuovi bastimenti di bandiera toscana, e di conduttori del paese di cui parliamo.
Frattanto che nobili e potenti persone invitavano i loro amici a venire a respirare in estate un’ aria fresca e balsamica nel pittoresco vallone di Seravezza, frattanto che il monte più settentrionale e più alpestre della Comunità di Seravezza apriva i suoi fianchi doviziosi di marmi all'industria toscana, un altro monte il più meridionale, e forse il più delizioso per la visuale e per i suoi prodotti agrarj, annunziava al geologo ed al mineralogista di nascondere nelle sue viscere un tesoro non meno raro di quello del Monte Altissimo.
La scoperta dei filoni di cinabro nella roccia steaschistosa del monte di Ripa non è più antica di tre anni. – Vedere Articolo RIPA DI CORVAJA, diedi il merito di quella scoperta al naturalista Girolamo Guidoni, di che sembra che si adontasse uno de' primi acquirenti di quel suolo il sig. G.G.
Semah direttore di una delle prime officine stabilite nel Casale di Ripa per la distillazione del mercurio estratto dalla terra cinabrina di quella miniera. Avvegnaché il sig. Semah con lettera scritta da Corvaja nel 18 novembre 1843 mi avvisava del modo come ebbe principio la scoperta del cinabro nel monte di Ripa, «Fu (mi diceva egli) nell'ottobre del 1839 un contadino de' monti di Ripa che portò a me G. G. Semah dimorante allora a Levigliani alcuni pezzi di pietre schistose, intersecate da filoncelli di ferro ossidulato, con certe terre argillose a contatto di color carnicino. – Cotesta pietra destò in Semah de’sospetti che ivi potesse esistere una miniera mercurifera. «Con questi dati (sono sue parole) azzardammo alla cieca, senza riscontrare il terreno, di acquistare per scudi 200 l'appezzamento di terra spettante al detto contadino (Salvatori). In seguito perlustrando noi il terreno comprato a Ripa, si ebbe la certezza che costà esisteva una miniera di mercurio solfurato ecc. » Se però a dichiarare cotale certezza contribuisse (come è supponibile) la scienza del sig. Guidoni, ciò si tace dal sig.
Semah; dice bensì che il sig. Guidoni venne a vis itarla, e che scrisse in varj giornali manifestando ch' egli ne era lo scuopritore. Di ciò adontati i fratelli Semah, (soggiunga la lettera) lo pregammo a ritrattarsi, e di' fatto lo eseguì con un Articolo da esso inserito nel Giornale di Commercio di Firenze, del 23 marzo 1842, nel quale si legge: «Se noi fummo in Toscana i soli a parlare agli scienziati di questa nuova sostanza metallica, i signori Giuseppe e Paltiel fratelli Semah furono parimente i primi che con instancabile zelo riunirono la prima e sola società che intraprendesse lavori di ricerca nei terreni Salvatori e Vannucci. – A loro (ai fratelli Semah) si deve la vera scoperta MATERIALE di questa miniera ».
Fatto è, che dagli scavi eseguiti nel suolo acquistato dalla società Semah, Gower e CC. non solo si è giunti a conoscere essere questa di Ripa una buona miniera di mercurio; ma di avere già somministrato in meno di due anni (dal gennajo 1842 al novembre 1843) circa libbre 14000 di quel metallo puro, e di averlo messo in commercio a Livorno.
Incoraggiati da cotesti buoni principj, non solamente fu aumentato il capitale dell'anzidetta società anonima, ma due altre compagnie hanno posteriormente acquistato anche più estesi appezzamenti di suolo nelle vigne di Ripa, cioè, la società Hahner e CC. e quella del barone di Mortmart e Perier. Le gallerie di quest'ultima furono visitate nel 27 settembre 1843 da varj membri distinti della sezione geologica del quinto Congresso degli scienziati italiani tenuto in Lucca, i quali osservarono il solfuro di mercurio in forma di filoncini ed arnioni posti lungo la linea di stratificazione di una roccia di steaschisto quarzoso, filoni che continuano per lungo tratto, ora più ora meno, carichi del minerale anzidetto.
La mattina del 14 ottobre 1843 accompagnato dai sigg. Avv.
Santini e Dott. Carducci di Seravezza ebbi occasione di penetrare nelle gallerie di tutte tre le società mineristiche, situate assai vicine le une alle altre, ed in tale posizione ridente che cotesto monte di Ripa può dirsi fra i metalliferi l'unico che sia rivestito nella sua superficie da una vigorosa vegetazione di vigneti, cui fanno corona più in basso piante gigantesche di ulivi.
Le gallerie sono aperte a mezza costa, assai comode per l'estrazione del minerale che incontrasi internandosi nel monte in filoni diretti da maestrale a scirocco, ed al cui andamento si tien dietro nelle viscere del monte per mezzo di pozzi più o meno inclinati, e tutti finora asciutti. Il minerale è disposto in filoncini gli uni vicini agli altri, talvolta riuniti insieme in una larghezza che arriva sino ad un piede.
Cotesti filoncini contengono il solfuro di mercurio in cristalli di color rosso scarlatto. I pozzi e le gallerie della società Hahner e CC. sono nel centro dell'escavazione, fiancheggiate a desti; e a sinistra da quelle delle altre due società. Quattro sono le gallerie aperte, una delle quali si approfonda con un pozzo che fa mostra di avere i filoni più ricchi. I filoni messi finora in lavorazione sono Ire, i quali sogliono fornire un giorno per l'altro da 4000 libbre di minerale, che a calcolo fatto produrrebbe circa l'uno e mezzo per cento di mercurio vivo.
Ma i forni di questa società, con grande intelligenza costruiti in Val di Castello presso la fonderia del minerale di piombo argentifero per conto della stessa società, non sono ancora in attività.
I forni della società del bar me di Mortmart e Perier, sono stati accesi dopo la mia visita, cioè, nel novembre del 1843, sicché non potrei indicarne i resultamenti che servir possano di confronto economico. In cotesta porzione di monte il barone di Mortmart, già vecchio soldato di Napoleone, fa la sua odierna dimora in una casetta angusta anzi che nò, cui è stato dato il nome di Palazzina di ColleBuono.
Egli si è degnato inviarmi da cotesto delizioso resedio una nota del passato suo ingegnere montanistico Cailleux, dalla quale risulterebbe che, nella parte del terreno spettante a cotesta società di Colle Buono, i filoni finallora conosciuti erano due, e che due altri si cominciavano a conoscere da alcune tracce più o meno ricche di cinabro.
Uno solo per allora di quei filoni sia messo in escavazione.
Tre gallerie principali sono state aperte per andare incontro ai filoni metalliferi; 1.° La galleria Mortmart situata a pie del monte, la quale arriva ad una profondità di 138 metri nella larghezza di 1, 40 metri, e nell'altezza di 1 ,80 metri.
Essa è tracciata in linea retta, stata difesa nella sua volta e pareti da correnti e tavoloni disposti con tutte le regole dell'arte; 2.° La galleria Perier che fu aperta a 54 metri di sopra alla precedente: essa ha una pro fondità di circa 95 metri; 3.° La galleria Sofia situata a metri 46, 36 più alta ancora della seconda ed è da questa donde attualmente si estrae la maggior quantità di cinabro. La sua lunghezza pervenuta 3 3 7 metri, comunica con un’ altra galleria aperta nell'interno del filone metallifero.
Attualmente vi si sta lavorando un pozzo che dovrà comunicare dalla galleria superiore a quella di mezzo e poscia alla galle ria più bassa. Esso annunzia una inclinazione generalmente di 45 a 50 gradi, corrispondente a quella de' filoni; i quali sono per lo più diretti dal N. O. al S. E.
In quanto alla società Semah, Gorrer e CC, che è la prima a trovarsi, come fu la prima a stabilirsi a pie del monte di Ripa, è stata anche la prima a mettere in attività i suoi forni distillatorj. – Gli appunti favoritimi da quel direttore si limitano per ora ai seguenti: II forno della società Semah e CC. produce in 24 ore fra le 50 e le 60 libbre di mercurio da una distillazione di circa 4000 libbre di miniera scelta; lo che corrisponde al prodotto di 1 1/4 a 1 1/2 per cento di mercurio purissimo.
Vi sono però delle vene e filoncini di minerale che distillandoli da per sé darebbero oltre il 30 per cento di mercurio.
Per il combustibile la società Semah e CC. adopera le legna, ma quella di Hanner e CC. si servirà del coche dopo aver impiegato il carbon fossile nella fusione della miniera di piombo argentifero in Val di Castello, dov' ha i suoi forni.
La spesa giornaliera della società Semah e CC., non valutando quella del fuoco e di chi vi presiede, è stata calcolata attualmente ascendere a lire 150 il giorno circa.
Il minatore nei lavori d'utile escavazione da giornalmente sottosopra libbre 200 di minerale scelto, e guadagna 18 crazie il giorno. Vi sono poi altri minatori a pura ricerca ed a eguale paga.
Rispetto al numero degl' impiegati fin qui adoperati dalle tre società mineristiche del monte di Ripa, è valutato ascendere a circa 150, ma questo numero va ad aumentarsi mensualmente in proporzione delle ricerche favorevoli del minerale.
Si calcola che i forni attuali, parlando delle escavazioni della miniera di tutte tre le società, potranno sottomettere alla distillazione nel corso di 24 ore da 12000 libbre di minerale, e che questo somministrando circa l'uno e un quarto per cento di mercurio produrrebbe da 4500 libbre ogni mese. – Che se i forni predetti saranno in grado di continuare a distillare senza interruzione, potranno in conseguenza fornire in un anno la vistosa somma di 53,000 libbre di mercurio, che al prezzo odierno di lire 5 la libbra introdurre dovrebbe in Toscana il valore di 265,000 lire all'anno!!!! Dopo aver indicato le principali industrie delle quali Seravezza è centro, dovrei far parola di sette ferriere esistenti in questa Comunità sul torrente Ruosina, oltre la vasta rameria e fonderia Pacchiani sotto Valle Ventosa, e l'antica fabbrica di canne attortigliate da schioppo del Leoni, esistente pur essa a Valle Ventosa, come industrie che danno lavoro giornaliero ad un' ottantina di persone.
Non dirò delle industrie accessorie, fra le quali una concia di pelli, una gualchiera, due tintorie, una fabbrica di cappelli, diverse telaja di panni canapini e di mezze lane; dirò piuttosto che la Comu nità mantiene due medico chirurghi ed un maestro di scuola; che in Seravezza si tiene ogni lunedì un frequentato mercato di granaglie, di altre vettovaglie e mercerie, oltre due fiere annuali, le quali cadono nei giorni 10 agosto e 9 settembre.
Il vicario regio, l'uffizio di esazione del Registro, la cancelleria Comunitativa e l’ ingegnere di Circondario risiedono in Pie trasanta; la conservazione delle Ipoteche ed il tribunale di Prima istanza sono stabiliti in Pisa.
QUADRO della Popolazione della COMUNITA’ di SERAVEZZA a quattro epoche diverse.
- nome del luogo: Basati, titolo della chiesa: S. Ansano (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 173, abitanti anno 1745 n° 241, abitanti anno 1833 n° 327, abitanti anno 1840 n° 366 - nome del luogo: Cappella, titolo della chiesa: S. Martino (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 315, abitanti anno 1745 n° 653, abitanti anno 1833 n° 1062, abitanti anno 1840 n° 1074 - nome del luogo: (1) Cerreta, titolo della chiesa: S.
Antonio Abate (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 132 - nome del luogo: Querceta (*), titolo della chiesa: S.
Maria Lauretana (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 2455, abitanti anno 1840 n° - nome del luogo: Ruosina (*), titolo della chiesa: S.
Paolo Apostolo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 235, abitanti anno 1745 n° 325, abitanti anno 1833 n° 361, abitanti anno 1840 n° 428 - nome del luogo: SERAVEZZA, titolo della chiesa: SS.
Lorenzo e Barbera (Pieve Prepositura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 1266, abitanti anno 1745 n° 1258, abitanti anno 1833 n° 1871, abitanti anno 1840 n° 1960 - nome del luogo: (2) Vallecchia, titolo della chiesa: S.
Stefano (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni- Sarzana), abitanti anno 1551 n° 493, abitanti anno 1745 n° 1735, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° - - Totale abitanti anno 1551: n° 2482 - Totale abitanti anno 1745: n° 4213 - Totale abitanti anno 1833: n° 6076 - Totale abitanti anno 1840: n° 6777 Annessi provenienti da Comunità limitrofe - nome del luogo: (2) Vallecchia, titolo della chiesa: S.
Stefano (Pieve), Comunità donde proviene: Pietrasanta -anno 1833 abitanti n° 1599 -anno 1840 abitanti n° 1739 - Totale abitanti anno 1833: n° 7675 - Totale abitanti anno 1840: n° 8516 N.B. Le chiese parrocchiali contrassegnate con l’asterisco (*) nel 1840 mandavano nelle Comunità limitrofe - abitanti n° 1938 - RESTANO nel 1840: abitanti n° 6578 (1) La cura di Cerreta innanzi il 1834 apparteneva alla Comunità di Pietrasanta.
Trovasi sulla confluenza de’ due rami maggiori della Versilia che costà prendono il nome della Terra di Seravezza, quello che viene da levante appellato il torrente Ruosina, e secondo alcuni Pezza, l'altro che scende da seti, chiamato il Rimagno, e da taluni il torrente Serra. Dalla congiunzione del primo col secondo, che accade nel luogo dov' è Seravezza molti dedussero l’origine del suo nome. Quantunque altra volta anch' io aderissi a cotesta etimologia di Seravezza (ANTOLOGIA DI FIR. Vol. XXII, Maggio 1826, pag. 50 e 54) ulteriori riflessi mi hanno indotto a ricredermi, sia perché in nessun tempo quei due torrenti si trovano descritti con i vocaboli di Serra e di Pezza, sia perché la Terra in discorso sino dal secolo XIII sembra che si appellasse Sala Vetitia, o Sala Vecchia, e non mai Serralium, come fu appellata dal Pad. Beverini ne' suoi Annali lucchesi.
È posta Seravezza sotto il grado 27° 53' longitudine e 44° latitudine, circa milgia toscane 4 a grecale della marina, dov'è lo scalo appellato Forte de’Marmi; altrettante miglia toscane a settentrione maestrale di Pietrasanta; intorno a due miglia toscane a grecale dalla chiesa di Querceta sulla strada postale di Genova 7 miglia toscane a levante scirocco di Massa Ducale; 21 a ponente maestrale di Lucca, e 23 miglia toscane a settentrione maestrale di Pisa.
Del primo nome di Sala Vetitia dato a Seravezza possono far fede due documenti; il primo de' quali dell'anno 952 fu citato all’Articolo RETIGNANO, dove si dichiara che il paese di Retignano della Versilia è situato presso Sala Vetitia. Nell’altro documento del 1368 viene indicata una corte nella Versilia posta in Sala Vetitia, ossia Seravettia, e Seravetia cotesto stesso luogo è appellato in altro istrumento dell'anno 1375 che si citerà in appresso.
Finalmente sotto il vocabolo di Salavecchia cotesto paese fu rammentato da Tolomeo nei suoi Annali lucchesi all'anno 1142 quando due nobili di Corvaja, Veltro e Uguccione, investirono il Comune di Lucca della metà del territorio di Corvaja, videlicet a Melma de Salavechia deorsum ubicumque, et in monte et in plano. Comecché sia di ciò, la prima volta che trovo il paese di Seravezza qualificato col nome che tuttora conserva, è in una scrittura del 2 febbrajo 1186, accennata da Giovanni Targioni Tozzetti ne' suoi Viaggi, dov’ è rammentata la Villa de Seravetia. Rispetto poi alla parte storica dirò che cotesta contrada era compresa nei feudi imperiali confermati nel 1242 da Federigo II ai nobili di Corvaja, e di Vallecchia, i quali a seconda del partito guelfo o ghibellino che eglino a seconda dei tempi cambiavano, alcuni alla Repubblica Lucchese, mentre altri a quella di Pisa, si raccomandavano. – Vedere CORVAJA E VALLECCHIA.
Importante per la storia di quei nobili si rende un atto di divise fra le due consorterie di Corvaja e di Vallecchia concluso presso la pieve di Vallecchia nel 9 ottobre del 1219 (stile pisano) negli ortali di uno di quei signori, Parentino, il quale a t to venne poi ratificato nei giorni susseguenti da altri nobili di quella consorteria tanto in Versilia, come nella città di Pisa dove alcuni di essi abitavano. Vero è che in quell'accordo non è specificata Seravezza, siccome vi sono rammentati i castelli e distretti di Corvaja e di Vallecchia, le ville di Farnocchia e del Galleno, il castello dell'Argentiera, le miniere di Val Bona (Val di Castello) e del Galleno, quelle di Stazzema, (credo della sua comunità) ecc.. – Né tampoco trovo Seravezza rammentata in una deliberazione degli Anziani di Pisa, del 4 dicembre 1254 (1253 stile comune) quando fu concessa a molti nobili ghibellini di Corvaja e di Vallecchia la cittadinanza pisana. A quali condizioni vi fossero ascritti può vedersi dai patti stabiliti in detta scrittura pubblicata fra i diplomi pisani da Flaminio dal Borgo.
In conseguenza di ciò il governo di Lucca poco dopo inviò un esercito contro i nobili di Corvaja e di Vallecchia per non avere eglino mantenuti i patti promessi, asserendo Tolomeo negli Annali che i Cattani della Versilia si diedero proditoriamente ai Pisani, sicché nel gennajo del 1254 i Lucchesi espugnarono e bruciarono le rocche di Corvaja e di Vallecchia. Che sebbene quei nobili dopo la battagliaci Montaperto, e di nuovo quando passò da Pisa il re Corradino, si ricattassero, non Mancarono però i Lucchesi di fare le loro vendette appena scese in Italia Carlo d'Angiò, tostochè nell’ ottobre del 1269 il vicario di Pietrasanta, d' ordine del governo di Lucca cavalcò coi soldati francesi a danno de' nobili di Corvaja e di Vallecchia distruggendo in quell'occasione la loro villa de Seravetia. – (GUIDON. CORVAR. Fragm.
Hist. pis. R. I. Script. T. XXIP.) Spento in cotesto modo il regime feudale nella Versilia, e riunito il territorio di Corvaja e di Vallecchia con quello di Seravezza e della Cappella alla giurisdizione lucchese di Pietrasanta, gli abitanti della Versilia risorsero a poco a poco dalle rovine e distruzioni più volte recate alla loro contrada.
Non rammenterò in prava di questo le diverse ferriere fino dal secolo XIV esistite in Seravezza; dirò bensì che una di esse nel 1375 fu alienata per là sua parte da un nobile della Versila, Niccolo dello Strego, ad Alderigo Antelminelli di Lucca, cioè, di una ferriera a laborando ferrorum cum malleo prope hospitale de Seravetitia. – Il trovare i ruderi di quella ferriera esistenti tuttora alla confluenza dei due torrenti presso la chiesa della SS.
Annunziata sul ponte dove fu l'antico spedale di Seravezza, ed il sapere che costà nel 1515 teneva le sue adunanze la Comunità di Seravezza, Corvaja e Cappella, non lascia più in dubbio del vero nome di questa Terra.
Una grave sciagura peraltro nel 1429 piombò sopra i Seravezzesi quando i Fiorentini, deliberata la guerra contro Lucca, inviarono costà due loro commissarj di guerra, Rinaldo degli Albizzi e Astorre Gianni, ma T imprese di costoro furono infelici per il male che recarono alla contrada da essi invasa, e specialmente agli abitanti di Seravezza.
Una delle più belle pagine relative alla storia di cotesto popolo fu quella su tale evento maestrevolmente descritta dal Segretario fiorentino nel libro IV delle sue Storie.
«È una valle, scriveva Machiavelli, propinqua a Pietrasanta chiamata Seravezza, ricca e piena di abitatori, i quali sentendo la venuta del commissario Astorre Gianni se gli fecero incontro e lo pregarono gli accettasse per fedeli servitori del popolo fiorentino. Mostrò Astorre di accettare l'offert a , dipoi fere occupare alle sue genti tutti i passi e luoghi forti della valle, e fece radunar gli uomini nel principal tempio loro, e dipoi gli prese tutti prigioni e dalle sue genti fé saccheggiare il paese con esempio crudele ed avaro non perdonando ai luoghi pii, né a donne, così vergini come ma ritate.» Non dirò del lacrimevole racconto che lo stesso Machiavelli mise in bocca ad alcuni Seravezzesi fuggiti a Firenze davanti ai Dieci di Balia, ripeterò solamente la delibera zione presi da quel magistrato, col richia mare tosto di costà Astorre Gianni che per le atroci cose operate venne dal governo condannato ed ammonito.
Fu nell'anno successivo, quando la Repubblica lucchese impegnò al Borgo di S. Giorgio di Genova per un imprestito di 15000 ducati d'oro le fortezze di Motrone e di Pietrasanta con tutto il loro distretto, a riserva del governo politico di quel vicariato, i di cui ministri dovevano essere nominati ed inviati dagli Anziani di Lucca.
Ma sei anni dopo i Genovesi sotto specioso pretesto si resero arbitri anche della parie governativa tanto in Pietrasanta come in Seravezza ed in altri luoghi del Pietrasantino.
Da cotesta infrazione di patti ebbe origine la guerra che i Lucchesi, assistiti dalle genti milanesi sotto il comando dì Niccolo Piccinino, mossero ai Genovesi, in ajuto dei quali altronde Firenze inviò nella Versilia un esercito capitanato dal duca Francesco Maria Sforza per conquistare Pietrasanta e Motrone. Ma se questo ultimo castello cadde in potere dei Fiorentini, non avvenne la stessa cosa di Pietrasanta, giacché essa continuò ad avere guarnigione e governanti genovesi anche dopo la pace conclusa nel 1441 fra le parti belligeranti. In vigore della quale vennero restituiti ai Lucchesi tutti i paesi che tenevano innanzi la guerra del 1429, esclusi Montecarlo, il forte di Motrone e la Terra di Pietrasanta con lutto il distretto, dove i Genovesi continuarono con le loro genti d' arme a tenere guardie ed ai loro uffiziali essere i popoli amministrati.
All'Articolo PIETRASANTA Volume IV. Pag. 222, si accennarono le cause che nel 1477 promossero una nuova guerra fra i Lucchesi ed i Genovesi, quando questi ultimi uniti ai Pietrasantini corsero ai danni degli uomini di Camajore loro vicini.
A soffocare cotale incendio accorsero i legati di Milano, di Venezia e di Firenze interposti mediatori fra i Lucchesi ed i Genovesi, tanto più che i Fiorentini desideravano ardentemente di togliere di mano ai Genovesi Pietrasanta, dopo aver eglino comprato dal Campo Fregoso, Sarzana e Sarzanello con tutto il distretto situato sull'estremo confine occidentale della Toscana.
La guerra infatti fu portata da Sarzana a Pietrasanta, talché quest' ultima Terra con tutto il suo distretto nel novembre del 1484 dové rendersi ai Fiorentini. Un mese innanzi g l i abitanti di Seravezza, della Cappella e di Corvaja che costantemente hanno fatto parte della giurisdizione Pietrasantina, con atto speciale del 16 settembre 1484, approvato nel 12 ottobre dello stesso anno si sottomisero alla Repubblica Fiorentina, e per essa ai Dieci di Balia, finché con deliberazione della Signoria, approvata li 24 aprile del 1485, essi ottennero favorevoli capitolazioni; tra le quali quella di avere il proprio statuto civile, di conservare in rappresentanza municipale, di essere esenti dalla gabella dei contratti, dal dazio del bollo e da quello del sale.
Ma di cotesti benefìzi i Seravezzesi restarono privi dopoché Pietrasanta col suo d istretto nel 1496 fu consegnata da Piero de' Medici alle truppe francesi di Carlo VIII, dai di cui comandanti due anni dopo fu venduta ai Lucchesi, sotto il regime de' quali tornarono Seravezzesi con tu t t i gli abitanti del territorio di Pietrasanta sino al lodo del 28 settembre dell'anno 1513 pronunziato dall'arbitro Leone X. In forza di ciò Pietrasanta con tutto il suo territorio dopo 17 anni, ebbe a tornare di piena ragione sotto il dominio Fiorentino, sotto del quale fino ai nostri dì si mantiene. – Vedere PIETRASANTA.
Allora i Seravezzesi, che seguitarono costantemente le condizioni del capoluogo di quel vicariato, nel novembre del 1513 inviarono i loro sindaci a Firenze, i quali dopo l'atto di sottomissione fatto nel 19 novembre di detto anno davanti al magistrato dei Dieci di Balia, ottennero la conferma delle capitolazioni del 1484 state approvate dalla Signoria di Firenze nel dì 24 aprile dell’anno 1485.
Importantissimo poi per la storia delle cave de' marmi di Seravezza, e per il luogo della sua data, è un atto pubblico del 18 maggio 1 51 5 trovalo dall'operoso Carlo Frediani nell'archivio comunale de'notari di Massa di Carrara e da esso pubblicato nel 1837 in un opuscolo per le nozze Borghini e Monzoni(Doc. IV pag. 74). In quell’ atto pertanto scritto in terra Serravitiae in hospitale S.
Marine, videlicet al Ponte di la Captila etc. dal notaro Antonio di Peregrino del fu Pietro Cortile di Gragnola nella Luinigiana, abitante allora in Massa; in quell'alto, io diceva, si contiene la nomina di due sindaci per recarsi a Firenze a offrire a quel Comune, il monte detto di Ceragiola e quello dell' Altissimo in quibus dicitur esse cava et mineria pro marmoribus cavandis , etc.
Adunatisi ivi, dice quell'alto pubblico, in numero di 119 persone a suono di campana, more et loco consueto, gli uomini del Comune di Seravezza vicariato di Pietrasanta, distretto della Repubblica fiorentina, preseduti da due consoli, deliberarono concordemente per mezzo dei loro sindaci, fra i quali era vi un Torneo del fu Luca Tornei di detto Comune, di donare all' eccelso dominio e popolo fiorentino che ne aveva fatto preventiva richiesta, il monte denominato Altissimo, e il monte di Cerasola situati nelle pertinenze di Seravezza e della Cappella, nei quali monti (notisi l'espressione) si dice die possino esservi de’ marmi da cavare. Quindi è che in adempimento alla fatta richiesta il Comune di Seravezza con quell'atto donava alla Repubblica Fiorentina non solo i due monti prenominati, ma tutti gli altri luoghi del loro distretto, nei quali fossero marmi da cavare; inoltre regalava il terreno da farvi la strada per condurli dalla cava sino al mare, ecc: – Vedere l'Articolo seguente Comunità di Seravezza.
Ho detto, che questo documento riesce prezioso per due oggetti; 1.° perché innanzi l'anno 1515 non si erano aperte cave di marmi né alla Cappella, né al monte Altis simo, né in altri luoghi della Pania pietra santina, sicché il merito se non della scoperta, almeno delle prime escavazioni è dovuto impreteribilmente ai Fiorentini; in secondo luogo quell'alto rendesi importante perché ci scuopre il luogo dove gli uomini del Comune si adunavano, cioè, al disopra della confluenza del Rimagno nel torrente Ruosina dove sino d' allora era un ponte detto della Cappella ed uno spedale con chiesa dedicala a S. Maria, oggi convertita nell'oratorio della Misericordia.
A quell' epoca pertanto ci richiamano i primi scavi dei marmi nel monte di Trambiserra, e in quello della Cappella, cui poco dopo succederemo i tentativi di Michelagnolo Buonarroti inviato a Seravezza per ordine del Pontefice Leone X a cavare i marmi che si destinavano alla facciata della basilica di S. Lorenzo in Firenze.
In aumento di quanto dissero il Vasari ed il Condivi rispetto a ciò giova l' asserto di Giovanni Cambi scrittore contemporaneo, il quale nella sua Cronica fiorentina registrò il fallo seguente: «Nell'anno 1521 del mese di aprile venne in Firenze la prima colonna di marmo per la facciata di S. Lorenzo, ch'era braccia 12, e cavossi dalla cava fatta di nuovo a Pietrasanta, ed era in quel tempo dei Fiorentini, e fu donata dal Comune all’ Opera di S. Maria del Fiore, e perché il Papa volle i marmi si cavassino di quivi, donò all'Opera suddetta fiorini mille di Camera per lare la strada, e molti più ne spese la detta Opera, e per ancora si cavano questi pezzi grandi con difficoltà, che si trassero sei colonne e ruppesene quattro nel mandarle, appena falle l'avevano, rotolandole al piano, per detta facciata, che hanno a esser dodici di tale grandezza. E faceva detta facciata Michelagnolo Buonarroti scultore fiorentino, ch'era il primo maestro che si avesse notizia tra i Cristiani; e in oltre era gran maestro di pittura, e dipingeva con la mano manca per amore che lavorava con la mano destra di scalpello. » Migliorata sotto il governo fiorentino la condizione economica di cotesta contrada, Seravezza acquistò, direi quasi, una vita nuova, che più prosperosa riesci sotto il primo Granduca di Toscana. Imperocché per comando di Cosimo I furono inviati costà varj celebri artisti di quel tempo, fra i quali rammenterò Giorgio Vasari, Gio.
Bologna, Francesco Meschino, Vincenzio Danti, e molti altri cui riferiscono varie lettere pubblicate dal Gaye nel Volume III del Carteggio inedito di artisti, presso il Molini.
Rimonta al tempo di Cosimo I la costruzione del casino granducale, oggi dello il Palazzo , fabbricato sulla ripa destra del torrente Ruosina , due tiri d'arco a levante, di Seravezza. Esso fu ordinato nel 1559 dal Duca Cosimo sul disegno di Bartolommeo Ammannato per riposo di quel sovrano allorchè visitava le miniere del Bottino, quelle dei marmi mischi e bardigli sotto Stazzema, non che dei marmi bianchi del M. Altissimo, dilettandosi frattanto del la pesca delle trote che vivono nelle fresche e limpide acque della Versilia. – Anche il Granduca Francesco I suo figlio talvolta preferì il soggiorno estivo di Seravezza. Finalmente la Granduchessa Cristina di Lorena dopo restata vedova di Ferdinando I, dal quale ricevè morendo in legato finché viveva il governo libero dei vicariati di Montepulciano e di Pietrasanta, si recava a passare pochi mesi dell' anno nel casino granducale di Seravezza, dove si occupava a preferenza della pesca delle trote.
Questo palazzo o casino reale finalmente nell'aprile del 1784 fu dal Granduca Leopoldo I donato alla Comunità di Seravezza, nell’ atto stesso che ne assegnò una porzione alla residenza estiva del suo vicario di Pietrasanta e della cancelleria annessa. Per altro la Comunità di Seravezza due anni dopo ne perdé il possesso, allorché essendo piaciuto al governo di erigere una ferriera sul torrente Ruosina nel luogo appunto dove esistevano le conserve delle trote, piacque allo stesso Granduca di stabilire nel detto casino i magazzini e l’ amministrazione di quell' azienda, fino all’ anno 1835, quando cotest azienda restò soppressa per rilasciare all'industria privata tutte le ferriere regie, state erette lungo il torrente Ruosina.
E pure da avvertirsi che nel 1833 questo casino R. ricevé grandi restauri all'occasione che dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante fu destinato a soggiorno estivo per le Auguste sue figlie del primo letto, dove esse nell'anno stesso e nel 1835 con la Granduchessa Maria Ferdinando, vedova di Ferdinando III, soggiornarono.
Chiese e Stabilimenti pii. – La chiesa parrocchiale e prepositura sotto il titolo de’ SS. Lorenzo e Barbera è di grandiosa forma svelta a croce latina. Ha tre navate con cupola e due grandi cappelloni alla crociata. La sua prima fondazione fu deliberata nel dì 21 dicembre del 1422 dal Comune di Seravezza, Cappella e Corvaia, previa l’annuenza di Francesco Pietrasanta, vescovo di Luni Sarzana, che concedè a quegli abitanti facoltà di potere innalzare in Seravezza e dotare una chiesa parrocchiale sotto l’ invocazione di S. Lorenzo. Se non che nel 1429 dové restarne sospesa l’ esecuzione stante il barbaro procedere del commissario fiorentino Astorre Gianni, per modo che nel 1441 sotto dì 14 agosto nacque un decreto del vescovo testé rammentato, in cui si diceva, che vista la nuova chiesa di Seravezza non terminata né dotata, a richiesta di Benedetto da Pisa pievano della chiesa di S.
Stefano di Vallecchia, e col consenso degli uomini della Comunità, deliberò di unire il popolo di Seravezza a quello della pieve predetta di Vallecchia, e nel tempo stesso l’ Opera della chiesa nuova di S. Lorenzo fu riunita a quella della pieve prenominata fino a che un decreto vescovile del 1502, confermato da una bolla del Pontefice Giulio II data in Roma lì 18 giugno del 1507, investì il Comune di Seravezza del giuspadronato dell'Opera di quelle due chiese, che conservò fino al 1575, dalla quale epoca in poi si eleggevano operai a vicenda fra gli uomini di Seravezza e quelli di Vallecchia.
Infine le due parrocchie vennero separate, ed il patrimonio della loro Opera repartito per egual porzione fra le due corporazioni.
La chiesa prepositura di Seravezza ha subito in due epoche importanti ingrandimenti e restauri, il più antico de' quali (quando non si debba risalire alla sua prima costruzione) dev'essere posteriore alle prime escavazioni dei marmi della Cappella e di Tiambiserra (anno 1517) essendo di simil marmo le colonne della navata di mezzo, messe forse in opera nel corso del secolo XVII. Quindi è che il dotto Giovanni Targioni Tozzetti, dal quale Seravezza fu visitala nel 1743, dis se, che la sua chiesa maggiore fu rifabbricata più modernamente sull'antica. – Viaggi T.
IV, della I. Ediz. ) Recentissimo è l'ultimo restauro, il quale non è più antico dell'anno 1815. Fu allora che vennero rialzate le pareti della chiesa, fattavi una volta al suo fastigio, e sovrapposta una cupola alla crociata.
Nella Sagrestia oltre la copia dei sacri arredi si conserva una croce con crocifisso di argento dorato in mezzo a delle figure di Santi, fra i quali il patrono S. Lorenzo.
Essa è giudicata dagli artisti opera del Polla jolo, e porta la data in n iello del 1498.
La parrocchia di Seravezza un tempo fu prioria della pieve di Vallecchia fino a che dal defunto arcivescovo di Pisa Angiolo Franceschi venne innalzata a prepositura, comecché il suo parroco fosse già vicario foraneo delle cure di Vallecchia, Cappella, Terrinca, Levigliani, Basati, Ruosina e Querceta, parrocchie un dì comprese nella diocesi di Luni Sarzana, e dopo il 1787 assegnate a quella di Pontremoli, dalla quale furono staccate e date alla diocesi pisana per breve del Pontefice Pio VI del novembre 1798.
Attualmente il piviere di Seravezza abbraccia i sette popoli seguenti, compreso il capoluogo; cioè, Seravezza, Cappella, Ruosina, Basati, Levigliani, Terrinca, e Querceta, e la sua popolazione tutta insieme nel 1833 ascendeva a 7173 abitanti mentre nell’ anno 1840 era aumentata sino a 8062 persone. – Vedere PISA DIOCESI.
Oratorio della SS. Annunziata, o della Misericordia. – Questa bella chiesa è stata di corto assegnata alla compagnia della Misericordia, una delle affiliate a quella tanto famigerata di Firenze, ed i cui fratelli imitano caritatevolmente e con zelo esemplare la benefica istituzione. Essa fu rifondata, non so quando, sull’antica chiesa dell'ospedale di S. Maria nella testata del ponte di Seravezza, celebre se non altro perché costà nel principio del secolo XVI si adunava il magistrato e tutto il corpo comunitativo di Seravezza. A cotesta chiesa della SS.
Annunziata fu donato un quadro di Pietro da Cortona dal regnante Granduca Leopoldo II.
Conservatorio Campana, e Spedale annesso. – Il conservatorio per i vecchi impotenti e per gli orfani de' due sessi fu fondato nella propria abitazione del Cav. Ranieri Campana, ingrandita nel 1792 e aperta nel 1794, ott'anni innanzi che un'altra persona pia della stessa famiglia, il conte Francesco Campana, ultimo di cotesta prosapia, con testamento del mese …. (ERRATA : e dell' anno 1802) dell’anno 1803, fondasse a benefizio de’ suoi conterranei uno spedale per gl'infermi, il quale (ERRATA: fu riunito) fu aperto nel 1831 e riunito all' anzidetto conservatorio.
Inoltre Seravezza conta da sei anni una cassa di risparmio affiliata a quella di Firenze, onde depositarvi a frutto gli avanzi settimanali dell'operajo in vantaggio della domestica economia e della morale.
Solo da due anni è stata organizzata in Seravezza una numerosa e bene istruita banda volontaria di dilettanti.
Seravezza conta molti uomini cospicui senza dire delle famiglie nobili che sino dai secoli trapassati vi si stabilirono. La più antica delle quali reputo possa esser quella di Tomeo del già Luca Tomei che nel 1515 fu eletto in sindaco dal suo Comune di Seravezza per recarsi a Firenze ad offrire a quella Signoria il monte Altissimo e quello di Ceragiola, dove allora si volevano tentare le prime escavazioni di marmi.
Rammenterò bensì fra gli uomini pia distinti di questa Terra un Padre Giovanni Lorenzo Berti nato in Seravezza nel 1688 che fu teologo imperiale, professore nell’ università di Pisa ed autore di varie opere; fra le quali un acclamato trattato di teologia dogmatica e una storia ecclesiastica. – Né passerò sotto silenzio il Cav. Luigi Angiolini che servì il governo toscano in qualità di ambasciatore a Roma e a Parigi, nominato in seguito consiglier di Stato, mancato di vita nel secolo attuale. – Non debbo parlare degli uomini distinti tuttora viventi che in Seravezza ebbero culla, e che per le loro lodevoli doti recano lustro ed onore a cotesta meritamente nobile Terra.
MOVIMENTO della Popolazione della TERRA DI SERAVEZZA a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.
ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 273; totale della popolazione 1266.
ANNO 1745: Impuberi maschi 184; femmine 181; adulti maschi 159, femmine 496; coniugati dei due sessi 222; ecclesiastici dei due sessi 16; numero delle famiglie 295; totale della popolazione 1258.
ANNO 1833: Impuberi maschi 335; femmine 322; adulti maschi 235, femmine 273; coniugati dei due sessi 616; ecclesiastici dei due sessi 24; numero delle famiglie 323; totale della popolazione 1804.
ANNO 1840: Impuberi maschi 301; femmine 267; adulti maschi 296, femmine 342; coniugati dei due sessi 640; ecclesiastici dei due sessi 25; numero delle famiglie 305; totale della popolazione 1871.
Comunità di Serravezza . – Il territorio di questa Comunità occupa una superficie di 11310 quadrati dei quali 310 quadrati spettano a strade pubbliche e a corsi d’acqua.
Nel 1833 vi abitavano 7076 persone, a proporzione di circa 441 individui per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
Confina con due Comunità del Granducato; dalla parte di settentrione tocca la Garfagnana modanese; a maestrale ha il Ducato di Massa pure dello stato modanese, e verso ponente la Comunità di Montignoso del Ducato di Lucca. Fronteggia con il territorio granducale della Comunità di Pietrasanta a partire dalla cresta del monte Pretino , col quale scende da maestrale a scirocco per la via della del Cerro sino al monte Cariala che resta a ponente della Terra di Seravezza. Dipoi piegando da scirocco a libeccio si dirige per termini artificiali sul rio Buonazzera, col quale attraversa la strada postale di Genova, e di là arriva sull'antica strada romana, ossia Emilia di Scauro. Giunti i due territorj su questa via, ripiegando da libeccio a scirocco arrivano sulla strada rotabile della marina, la quale per breve tragitto percorrono nella direzione di grecale fino a che la lasciano a ponente sul ponte detto di Tavola , dove trovano la fiumana di Seravezza. Costì piegando a levante rimontano cotesta fiumana sino passatoli Ponte Rosso, dopodiché, torcendo cammino con la Versilia, si dirigono a settentrione lasciando verso ponente il borgo di Ripa e poi quello di Corvaja. Costì la nostra Comunità attraversa la fiu mana per dirigersi a grecale sul poggio di Ceragiola, e di là in quello della Costa. Ivi cessa il territorio di Pietrasanta e sottentra quello di Stazzema, con il quale la Gora, nostra fronteggia dirimpetto a levante; da primo accadendo il fianco settentrione della Costa fino alla fiumana che viene da Ruosina, quin di mediante quest' ultima i territorj delle due Comunità fronteggiano nella direzione di ponente a levante, e poscia verso levante grecale.
Giunti però alla confluenza del canale di Terrinca davanti a Ruosina, i due territorj rimontano il canale nella direzione di settentrione fino ad altro fosso suo influente, appellalo del Giardino, il quale scende da Basati. Con questo piegando a maestrale i territorii comunitativi di Seravezza e Stazzema salgono sull'Alpe Apuana, sempre per termini artificiali tracciati quasi lungo la via dell’ Alpi finché su quella sommità trovano il canale del Freddane, mercé cui dirigonsi lungo la costa dell'Alpe verso le più alte scaturigini della. Torrita Secca , ossia della Torrita di Castelnuovo di Garfagnana.
A tale confluenza cessa sulla schiena della Pania della Croce il territorio della Comunità granducale di Stazzema e sottentra dirimpetto a settentrione grecale quello di Vagli di Sopra della Garfagnana modenese. Con essa Comunità la nostra rimonta la fiumana della Torrita Secca sino a S. Maria Maddalena in Arno, dove confluisce il canale di Acquarota; e di costì per termini artificiali i due territorj continuano nella direzione di maestro e infine piegando a settentrione arrivando sullo schienale detto dell’Asino. A quel punto cessa la Garfagnana modanese, e sottentra, da primo dirimpetto a maestro, poi di fronte a ponente il territorio del Ducato di Massa di Carrara, col quale il nostro per termini artificiali percorre la criniera dell’Alpe della Tambura sino alla Penna del Carchio, dove viene a confine la Comunità lucchese di Montignoso, di fronte alla quale l 'altra di Seravezza percorre per le creste dei monti del Carchio e del Folgorito , quindi incamminandosi a ostro passano pel monte di Tra mbiserra. Di costassù voltando direzione a libeccio i due territorii corrono sulle spalle de’ poggi di Corvaja e di Ripa per arrivare sul monte Pretino, dove la nostra ritrova la Comunità di Pietrasanta.
Una delle montuosità più elevate di questo territorio è senza dubbio quella del monte Altissimo; che sebbene non sia da dirsi il più alto monte della Pania, pure cede di 366 braccia fiorentina in elevatezza a quello suo vicino della Pania della Croce ; mentre se la sommità del monte Altissimo ascende a braccia 2722 sopra il livello del mare Mediterraneo, quella della Pania della Croce spettante alla vicina Comunità di Stazzema fu trovata dal Pad. Inghirami alta braccia 3188. E comecché non si conosca la sommità della Tamburo, pure anch' essa apparisce di poco superiore a quella del monte Altissimo.
Fra i torrenti più copiosi che percorrono il territorio in questione contasi il Rimagno che prende origine dal monte Altissimo dentro la Comunità di Seravezza. Non meno ricco d’ acque è il Ruosina che scende dall'Alpe di Stazzema, il quale accopandosi al Rimagno prende il nome di fiume di Sera vezza, corrispondente all'antica Versilia. Cotesta fiumana attualmente si dirige per la maggior parte a libeccio nel Lago di Porta innanzi di vuotarsi in mare all'emissario del Cinquale, mentre l'antico suo alveo diretto a scirocco verso Motrone, ora serve ad una gora sotto Vallecchia, di dove s'inoltra nella pianura di Pietrasanta col vocabolo di Fiumetto passando la strada postale sotto il così detto Ponte di Strada. – Vedere PIETRASANTA, Comunità, e VERSILIA.
Rispetto alle strade rotabili, il territorio di Seravezza è attraversato in pianura da quella postale genovese e da una più vicina al lido di mare, (l’antica Emilia di Scauro)entrambe le quali sono tagliat ad angolo retto dalla via rotabile cha da Saravezza passando per Corvaja, Ripa e la Madonna di Querceto guida alla marina. A Saravezza cotesta strada biforca col fiume per continuare rotabile verso levante Sino alle Moline sopra Ruosina, rimontando la valle lungo la destra ripa della fiumana, mentre a settentrione seguita carreggiabile per i marmi lungo la ripa sinistra del torrente Rimagno passando fra il monte marmoreo della Cappella e quello di Trambisserra fino alla base del monte Altissimo.
Delle prime mosse di questa strada si deve il merito a Michelangelo Buonarroti, che nel 1517 si recò il primo da carrara a seravezza per tentare di cavar da quei monti i marmi per la facciata di S. Lorenzo di Firenze, la quale opera vennegli allogata da Pontefice Leone X per ducati 40,000 d’oro, su di che tornerò a far parola più abbasso al paragrafo, Industrie del paese.
Rispetto alla qualità fisica di cotesto territorio a partire dalla pianura verso la via Emilia di Scauro, oggi appellata la Via del Diavolo, sino alla base dei colli vitiferi di Ripa, il di le suolo trovasi profondamente coperto da terreno di trasporto e da ghiaje trascinatevi dai monti sovrastanti.
Alla base meridionale e occidentale dei colli di Ripa e di Strettoja, che con la detta pianura confinano, sono addossate delle rocche calcaree cavenose il più delle volte in forma di rupi e di bizzarrissime scogliere.
Sono esse disposte e bene spesso attraversate da irregolari straterelli di creta ocracea che danno al terreno una tinta laterizia, talvolta da sinuose vene spatiche, e tale altra da nodi e filoncini di quarzo attraversate.
Framezzo a queste rocce alla base meridionale del poggio di Strettoja incontrasi degli strati di arenaria calcarea compatta a grana fine, del colore e dell’indole della pietra forte di Firenze utilmente impiegata a Pietrasanta per lastrico di quelle strade.
Se uno internasi nella gola de’ monti per andare a Seravezza,vede a ponente della strada e del borghetto di Ripa succedere alla roccia calcarea cavernosa strati diversamente inclinatidi uno strascio di colore verde, cui serve il mantello e di base calcarea testè indicata.
È in mezzo a cotesto qualità di schisto dove sono state scoperte si corto copiose vene raccolte in filoni di mercurio solforato.
La parte più esposta all’aria di cotesta roccia schistosissima presenta una tinta variegata setinata e lucente, ma nella parte interna del monte le vene che attraversano codesto steaschissto danno alla roccia medesima un colore carnicino tanto più intenso quanto più la roccia si avviacina alle vene e filoncini del mercurio solforato, che ivi da solo tre anni (1840) si è ritrovato. – E costà appunto sulla faccia meridionale d’una stessas collina, coperta di sqisiti vigneti disposti a scaleo per filari in angusti ripiani; è sopra questo anfiteatro naturle convesso, in faccia ad una pittoresca veduta del mare che dal Golfo della Spezia stendesi fino al porto di Livorno, alle isole di Capraja e della Gorgona, e costà, dove oggi si sono stabilite a contatto l’una dell’altra tre società mineristiche, le quali hanno aperto per conto proprio separate escavazioni mediante pozzi e gallerie diverse donde estrarre dai filoni, ritrovati il cinabro che nascondono.
Ma innanzi di parlare di cotesto nuova industria montanistica del territorio di Seravezza, stimo opportuno dovere indicare a volo d’uccello la struttura apparente della porzione più interna del territorio di questa Comunità, perseguendo da Ripa fino al fastigio di cotesta porzione dell’Alpe Apuana, la quale termina col monte altissimo.
Seguitando il corso inverso del valloncello che si apre al littorale di Seravezza e rimontando l’alveo della Versilia, sottentrano sotto Corvaja alla roccia calcarea cavernosa strati di calcarea argillosa fissile, che più in alto veggonsi convertiti in steaschisto. Passato il borgo di Corvaja fra questo paese e Seravezza gli strati di steaschisto divengono più argillosi, più potenti e meno ricchi di talco, alternati non di rado con potenti filoni di quarzo bianco amorfo.
Dalla parte sinistra, e a levante della fiumana suddetta vedesi alla calcarea cavernosa succedere quella stratiforme compatta attravesata da vene e filoncini di ferro, i quali comunicano alla roccia una tinta talvolta grigia azzurrogniola, tal altra di color giallastro.
Ma cotesta calcare nell’avvicinarsi al monte va acquistando l’aspetto di una calcarea subgranulare, fino a che essa, sul monte di Ceragiola situato a levante di Vallecchia, come nell’altro dela Costa che guarda settentrione, e che fa spalla alla Terra di Seravezza, la detta roccia acquista una grana sempre più salina, talché essa costà trovasi già convertita in un marmo bianco ordinario.
Penetrati sul bivio del profondo vallone, dove risiede Seravezza, se uno si avvia a levante i per il canale di Ruosina o della Versiila, dirimpetto al monte della Costa , incontra alla base di quelli che scendono da Basati e da Cerreta dal lato di settentrione un alternativa di terreni calcareo arenosi; e di argilla ocracea schistosa che terminano nella collina di Pancola, di dove scaturisce un'acqua leggermente acidula e ferruginosa, cui sottentra più avanti la calcarea cavernosa e lo schisto talcoso. Le quali ultime due rocce sembra che servano di mantello alla calcarea subgranulare, che nell’Alpe di Basati e nei monti contigui suoi trovarsi modificata in una calcarea saccaroide più o men bianca e venata.
Al contrario, se uno da Seravezza prende la strada settentrionale di Rimagno rimontando il corso di cotesto torrente, penetra in una gola di monti; quelli posti a levante del torrente mostransi coperti di steaschisto e di calcarea argillosa, finché sottentra il marmo nel poggio detto della Cappella, mentre i monti alla sinistra, o a poti, del Rimagno, possono dirsi una continuazione dei poggi di Ripa e di Corvaja, i quali passando sopra Seravezza per il mo nte Canala si attaccano al Banco meridionale del monte di Trambiserra , punto in cui cessa la formazione steaschistosa, e dove, tanto a destra come a sinistra del canale di Rimagno , sottentra la regione de' marmi.
Colesti due monti marmorei mostrano il più delle volte alla superficie la roccia calcarea in strati di tinta scura, sporgenti fuori in forma di spigoli smussati e divisi fra strato e strato da interstizi ripieni di argilla ocracea. Al di sopra delle cave della Cappella e di Trambiserra tornano a comparire le rocce steaschistose e la calcarea cavernosa racchiudente non di rado dei cristalli di solfuro di ferro. Solamente le pendici dei poggi meno discoscesi, che scendono da Azzano Terso la ripa sinistra del torrente Rimagno, sono coperte da un terreno di arenaria calcare color castagnuolo e facilmente riducibile in rena e terra sciolta, in cui prosperano grosse piante di castagni.
Passata la Casetta appellata del Duca, posta ai piedi del monte Altissimo , torna a riaffacciarsi la roccia marmorea. Costa si rientra nel dominio della calcarea saccaroide bianca, la quale presentasi sul la costa meridionale della catena delle Panie in un pendio di circa 45 gradi inclinato a grecale Al di sopra della Casetta mettono foce nel Rimagno due frane o burroni, mediante tre contrafforti della montagna medesima Il burrone a levante guida per il canale del Vasajone verso uno sprone del monte Altissimo chiamato la Costa de'Cani; l’altro burrone che scende dallo stesso monte nella direzione di ostro libeccio, e che da origine al canale del Piastrone, sale alla Polla, dove sono state aperte le nuove cave di marmo statuario. Il marmo del primo burrone fu scoperto nel 1 5 1 8 da Michelagnolo Buonarroti, l'altro della Polla fu scavato tre secoli dopo dal Cav. Marco Borrini, ment re in un terzo sprone sopra il canale della Vincarella, frapposto ai due prenominati, incominciarono ad escavar marmi nel 1567 e 1568 Gio. Bologna, Vincenzio Danti ed altri artisti dal Granduca Cosimo I inviati al monte Altissimo.
Ma per salirvi, e il più che importa per tracollare da quelle dirupale pareti, onde trasportare per il tragitto di 5 in 6 miglia dal monte alla marina i marmi cavati dall’ Altissimo, vi era bisogno di una strada praticabile dai carri fino a pie della montagna, giacché a volere arrivare costassù può dirsi col divino poeta: Non era via da vesti to di cappa.
Fa risalendo il burrone della Polla quando nell'ottobre del 1823, scortati dal prenominato Cav. Borrini, il sig. G. P. Vieusseux ed io ci arrampicammo senza che un alalo Gerione per quelle lisce e ripidissime balze Me col compagno ne portasse in groppa, e ci sollevammo alla meglio per una pen dice inclinata circa 50 gradi per vedere sulla faccia del luogo quei potenti strati marmorei attraversati da sottili vene di ferro ossidulato, che i cavatori chiamar sogliono madrimacchie. Con tutto il nostro buon vo lere però non fu possibile di scuoprire su qual terreno la gran massa marmorea del monte Altissimo si riposa. Vedemmo bensì scendendo dalla Polla alla Casetta , che le rocce rivestenti la sua base appartengono , ad una calcarea semigranosa, sotto la quale a luoghi s'incontrano banchi di una vera breccia marmorea molto analoga a quella delle Mulina, o di Stazzano. Una forma zione consimile è addossata alle pendici dell'Altissimo fra il burrone del Vasajone ed i poggi che dirigonsi verso Azzano, dove la calcarea semigranosa, quanto più si allontana dall' Altissimo tanto più bollosa e cavernosa diventa, finché presso il Villaggio di Azzano essa perdesi e si riaffaccia lo steaschisto, i di cui strati meridionali servono di mantello al monte marmoreo della Cappella non che a quelli contigui che si alzano al suo levante verso l'Alpe di Basali.
La superficie territoriale della Comunità di Seravezza essendo circa sei settimi montuosa, ne conseguita che i prodotti della sua pianura per quanto ubertosa non suppliscano ai bisogni della popolazione. Al contrario nei poggi meridionali fino alla loro estre ma base prosperano vigneti squisiti e boschi di olivi, che costituiscono un ramo di commercio attivo; sennonché internandosi nella valle, l'ulivo e la vite, ad eccezione di poche località meglio esposte e assolative, cedono il loro posto al castagno, ai pascoli naturali, alle patate.
Industrie del paese. – Però le risorse maggiori di questa porzione montuosa si ritraggono dalle viscere della terra, sia nella escavazione de' marmi ordinarj bianchi e turchini, sia in quella de' fini e statuarj, sia finalmente nella nuova e non meno propizia scoperta delle miniere di cinabro per l’ estrazione del mercurio ritrovalo nel monte vitifero di Ripa.
Per quanto il permette l'indole dell'opera, procurerò nell'Articolo presente indicare le industrie sommarie spettanti al territorio comunitativo in questione, giacché molle altre che se gli associano traggono il materiale dalle due comunità limitrofe di Stazzema e di Pietrasanta, le quali non saranno, io spero, dimenticate agli Articoli STAZZEMA, Comunità, e VAL DI CASTELLO.
Cominceremo per ordine di anzianità dai marmi della Cappella che scavansi tuttora per lavori di quadro ed altre opere architettoniche.
Dopo quel poco che nella vita di Michelagnolo Buonarroti ne scrissero il Vasari ed il Condivi, dopo ciò che innanzi di loro disse Giovanni Cambi nelle sue Cronache fiorentine intorno alla scoperta dei marmi bianchi nei monti di Seravezza, e relativamente a l marmo che vi fu cavato da quel divino artista per ordine di Papa Leone X, poco o nulla di più fu aggiunto che apportasse un maggior lume intorno alla finora discussa scoperta.
Rese pertanto un grande servigio alla storia delle arti Carlo Frediani di Massa di Carrara, allorché con i suoi tipi nel 1837 pubblicò con alcune Notizie sul Buonarroti un allo pubblico fino allora sconosciuto, rogato in Seravezza lì 18 maggio 1 5 1 5 stato già di sopra indicato, col quale cotesto Co mune, volendo ubbidire alla inchiesta fattagli dalla Signoria donò al popolo fiorentino il monte dell'Altissimo e il monte di Cerajola (Ceragiola), posti nelle pertinenze di Seravezza e della Cappella, in quibus dicitur esse cava et mineria pro marmoribus cavandis. La qual donazione poco dopo, io ritengo che dal Comune di Firenze venisse ceduta all'Opera di S. Maria del Fiore; avvegnaché quest'ultima nell' ottobre del 1 5 1 8 (forse alle istanze del Pontefice Leone X) permise a Michelagnolo Buonarroti di potere condurre scarpellini in quei monti, per estrarne ì marmi che impiegare volevansi nella disegnata facciata di S. Lo renzo di Firenze.
Ma innanzi che ciò accadesse Michelagnolo erasi recato a Seravezza e precisamente alle cave di Finocchiaja (della Cappella) di dove aveva già decollato tre colonne, che due di esse cadendo si ruppero sulla cava. Ciò è reso manifesto non solo dalle lettere autografe presso il suo discendente consigliere Cav. Cosimo Buonarroti, ma ancora dal contratto stipulato nelle stanze dell'Opera di S. Maria del Fiore sotto dì 29 ottobre 1 5 1 8 fra Michelagnolo Buonarroti ed un maestro scalpellino da Settignano.
Cotesto contratto fu concluso ben dieci mesi dopo firmato quello del 19 gennajo 1 5 1 8 fra il Pontefice Leone e Michelangelo Buonarroti, mercé del quale quest'ultimo obbligavasi di fare per 40 mila ducati d'oro a tutte sue spese, e a forma del modello dato, la facciata di marmo della chiesa di S. Lo renzo di Firenze, dove quel chiaro ingegno si lusingava di eseguire l’ opera la più grande di tal genere. – (Lettera autografa presso il consigliere Cav. Cosimo Buonarroti).
Il contratto del 29 ottobre anno 1518 che fu rogalo nelle stanze dell' Opera di S. Maria del Fiore, esiste nell'Arch. Gen. de' Contratti in Firenze fra i roditi di ser Filippo di Cione di Giovanni di Cione, e fu estratto di là in copia autentica dal Cav. Marco Borrini.
Con esso Michelagnolo diede a maestro Domenico di Giovanni Berlini scarpellino da Settignano a titolo di locazione le cave poste nei monti sopra Seravezza in luogo appellato Finocchiaja , incontro alla Cappella per cavare i marmi seguenti: 1°. due colonne della lunghezza di braccia fiorentine 11 1/4 e grosse braccia uno 2/3 da pie, e braccia uno 1/2 da capo con la base e capitelli convenienti a dette colonne a seconda delle misure che gli saranno date, a condizione di darle abbozzate nel luogo proprio delle cave predette, promettendo Michelagnolo di retribuire a detto maestro Domenico fiorini 49 d'oro in oro per cadauna delle due colonne cavate e abbozzate; 2.0 di cavare dallo stesso luogo due pezzi d'architravi della misura di braccia 8 1/2 compreso l'aggetto, dell’altezza e grossezza indicate, con l’ obbligo al Buonarroti di pagare per ciascun pezzo li detti architravi abbozzati in sulla cava fiorini 25 d'oro in oro; 3.° di cavare dal detto luogo uno stipite della lunghezza di braccia dieci fiorentine per la porta maggiore della facciata da farsi alla chiesa di S. Lorenzo della grossezza e altezza convenuta, da darei abbozzato nella cava come sopra perii prezzo di fiorini 30 d'oro in ora; 4.° più quattro stipiti delle porte minori con due loro architravi e con l’ architrave della porta grande posti tutti abbozzati in sulla cava per prezzo di ducati 90 d'oro in oro; 5° inoltre che detto maestro Domenico debba dare al.prefato Michelagnolo tutte le pietre minori, in modo che quelle che saranno dalle 5 carrate in su, sì dieno abbozzate nella cava per un fiorino d'oro la carrata, e quelle dalle 5 carrate in giù, detto maestro Domenico si obblighi dare i pezzi bozzati al caricatojo, dove può arrivare il carro , per il prezzo di fiorini uno in oro la carrata; 6.° lo stesso accollatario maestro Domenico, oltre le suindicate pietre grosse, si obbligava dare a detto Michelagnolo tante carrate di mai mi di pic cola dimensione, che, tutti compresi, debbano ammontare alla somma di 150 carrate.
Una fra le altre condizioni di quel contratto meritevoli di valutarsi è la seguente: che la bellezza e bianchezza degli indicati marmi debba essere come quella della colonna che si ruppe , e più presto meglio, netti al tutto di peli e costure.
Finalmente l'accollatario maestro Domenico si obbligava di dare sbozzata una delle due colonne nel contratto descritte da lì a due mesi, ed il restante dentro tutto il mese di giugno susseguente (cioè del 1519, senza alcuna eccezione. – La qual locazione (termina il contratto) e tutte le cose predette lo stesso Michelagnolo Buonarroti fece al prenominato maestro Domenico con patto che al caso sopravvenisse la morte del Nostro Signore Papa Leone, o che per altri casi S.
Santità non volesse seguitare il lavoro della facciata di S. Lorenzo, per la cui causa si fanno detti lavori, che in tal caso o casi esso Michelagnolo non sia obbligalo a seguitare della opera, ecc. ecc.
Da cotesto istrumento pertanto emerge non poco lume per la storia delle cave dei marmi di Gravezza, e innanzi tutto perché da esso si scuopre, in primo luogo, che le prime escavazioni de' marmi nella montagna d i Seravezza furono nel monte comu nemente appellalo della Cappella; in secondo luogo perché ci dà a conoscere che il caricatojo de’ marmi , dove arrivava la strida de' carri nel 1 5 1 8 non oltrepassava e appena arrivava alle dette cave. Per fare la quale strada, dice il cronista Cambi, furono dati dal Pontefice Leone mille fiorini d'oro, e molli più ne spese l'Opera di S.
Maria del Fiore. In terzo luogo, che innanzi il contratto del 29 ottobre 1 5 1 8 Michelagnolo Buonarroti era già stato nei monti di Seravezza a fare cavar marmi perla stessa facciata della chiesa di S.
Lorenzo, tostochè egli ivi dichiara, che la qualità dei marmi da levarsi non sia inferiore a quella della colonna ivi rimasta rotta.
Finalmente nel contratto del 29 ottobre 1528 si rammentano sole due colonne da farsi, e uno stipite per la porta maggiore della chiesa di S. Lorenzo, lo che fa dubitare che il secondo stipite e le altre 10 colonne fossero già cavate, o allogate ad altri scarpellini.
Al sopraindicato contratto servono di appoggio e d'illustrazione molte lettere e ricordi scritti di mano dello stesso Michelagnolo, le prime delle quali conservansi dal prenominato Cav. Cosimo, mentre i ricordi sono posseduti da altro suo discendente il vivente pittore Michelagnolo Buonarroti.
In uno di quei ricordi scritto nel 29 ottobre del 1518, cioè nel giorno del contratto, dice: « oggi, io Michelagnolo, detti dei mille ducati che avevo nel sacchetto cucito, 30 a Topolino scalpellino da Settignano, e 35 ad Andrea (di Giovanni d'Andrea) pure scarpellino da Settignano, perché andassino a cavar marmi per la facciata di S. Lorenzo a Pietrasanta».
– Da altro ricordo poi siamo avvisati, che nel giorno dopo il contralto (a dì 30 ottobre del 1 5 1 8 ) Michelagnolo partì da Firenze per Pietrasanta onde mettere in opera i soprannominati scalpellini di Settignano.
A provare una gita precedente fatta a tale scopo da Michelagnolo a Seravezza giova anche una scrittura privata del 29 maggio 1518, con la quale il Buonarroti anticipò un acconto di ducali cento a maestro Alessandro di Giovanni di Bettino e ad altri scarpellini da Settignano per l'escavazione de' marmi alla montagna di Seravezza, consistenti in colonne, stipiti ed altri pezzi da servire per la facciata di S. Lorenzo ecc. con che maestro Alessandro debba stare agli ordini di maestro Donato di Gio. Battista Benti scultore fiorentino.
Cotesto maestro Donato Benti fiorentino che prese domicilio in Seravezza, non solo presedeva all' escavazione de' marmi per conto del Buonarroti; ma ancora dirigere doveva la nuova strada ruotabile che allora si aprì ai carri per il trasporto dei marmi dalle cave della Cappella alla marina.
Realmente uno de' testimoni esaminati nel 1648 rapporto ai confini territoriali fra la Coni, di Seravezza e quella di Montignoso rammentò, come (verso il 1 5 1 8 ) fu capo di quella strada un maestro Donato fiorentino.
Che l’ escavazione de' marmi nei monti di Seravezza fino al 1517 fosse, dirò quasi vergine, si può dedurre da varie lettere inedite dello stesso M. Buonarroti, con una delle quali diretta da Seravezza ad un suo amico a Firenze, fa sapere, che, il luogo da cavare qua è molto aspro, e gli uomini molto ignoranti per simili esercizi , e però bisogna una gran pazienza, e qual che mese, tanto che si sieno dimesticati i monti ed ammaestrati gli uomini.
Anche nel principio dell'anno 1520 Michelagnolo era tornato per lo stesso oggetto a Seravezza, poiché al 10 gennaio di detto anno egli, stando in casa di maestro Donato Benti pagò de' denari a maestro Domenico di Matteo Morelli, ed a maestro Andrea di Gio. di Lucherino, ambedue scarpellini da Settignano, per conio di marmi, si cavano per me (dice il ricordo) nella monta gna di Seravezza. Un altro pagamento di ducati 10 fu da lui fatto in quel giorno allo stesso maestro Donato Benti fiorentino in Seravezza, stando in casa sua per conto di marmi che mi fa caricare per Pisa e per l ’ opera di S. Lorenzo , che si cavano a Seravezza. – (Ricordi di Michelagnolo esistenti nella villa di Settignano ereditata dal vivente Michelagnolo Buo narroti,) Infatti Gio. Cambi nelle sue Cronache ne avvisò, che nel 1620 arrivarono in Firenze le prime colonne di marmo cavale dai monti di Seravezza per la facciata di S. Lorenzo.
Ma in quest'anno medesimo 1520 il Pontefice Leone X, avendo mutato consiglio, fece rescindere il contratto del gennajo 1 5 1 8 relativo alla facciata della chiesa di S. Lorenzo di Firenze, dove quel divino artista di Michelagnolo aveva speranza (diceva in una sua) di fare opera la più grande di tal genere. – Ma cotesta facciata, benché da molti egregi artefici in vario modo disegnata, si è ridotta, al pari di quella della Metropolitana fiorentina, ad un semplice desiderio e le cave dei monti di Seravezza, dopo quell'occasione si rimasero per molto tempo abbandonate.
Avvegnaché passarono più di 40 anni innanzi che Giorgio Vasari, all' occasione di recarsi per ordine del suo sovrano a Seravezza onde esaminare sulle faccia del luogo la nuova scoperta delle brecce sotto Stazze ma, fu allora che al suo ritorno da Seravezza a Pisa scriveva nel dì 8 gennajo 1564 (stile comune ) a Bartolommeo Grondi provveditore generale del Duca in Firenze queste parole: «Tornai jeri da Pietrasanta, ed abbiamo trovato una cava di mischi bellissima e grandissima, che S E. (il Duca) vuoi far di quella l'opera di S. Lorenzo; similmente una cava di marmi bianchi che n' ha avuto S. E. grande allegrezza ecc. »– (GAYE , Carteggio inedito di Artisti Volume III.) Infatti due mesi dopo Cosimo I diede ordine a Matteo Inghirami provveditore di Pietrasanta di far cavare sotto Stazzema marmi mischi delle maggiori grandezze e saldezze possibili; e l'anno dopo inviava a Seravezza lo scultore Francesco Moschino per esaminare e riferire, siccome egli fece con lettera del 30 gennajo 1565 (stile comune) scritta da Carrara, sulla qualità de' marmi bianchi del M. Altissimo. Finalmente da altra lettera scritta dal Duca lì 18 giugno 1565, si rileva, non solamente che la strada era già avanzata fino a pie del M. Altis simo sotto l'ispezione di maestro Gio. da Montauto, ma che si erano cavati da cotesta montagna de’ pezzi di marmo statuario per farne tre ritratti. – (ARCH. SEGRETO MEDIC. NELLE RIFORMAG. DI FIR.) Era intenzione di Cosimo I di esonerare i suoi Stati, per quanto fosse possibile, dal dovere ricorrere all’ estero per prodotti di suolo, dei quali si affacciava speranza di averne nel suo Ducato; dondechè non farà meraviglia se egli voleva, piuttosto che da Carrara, si cavassero i marmi dal suo terri torio del Pietrasantino.
In conseguenza di ciò Cosimo I nel dì 11 agosto del 1569 scriveva a Matteo Inghirami suo provveditore a Pietrasanta: per noi e per cose de’ nostri Stati non vogliamo a modo alcuno si lavorino marmi di Carrara.
Frattanto ad insinuazione di Gio. Bolo gna si mandava sul mont’ Altissimo il celebre scultore Vincenzio Danti perugino, il primo, io credo, che imprese a cavar marmi da quella montagna, sicché il provveditore Inghirami scrivendo nel dì 8 giugno del 1568 da Pietrasanta informava il gran Principe Francesco, conte nel sabato antecedente si gettò giù il primo pezzo di marmo cavato al M. Altissimo, maggiore di 60 carrate, rotto però nella caduta in diversi pezzi; ma grossi tanto che in uno esce la f igura che deve fare Vincenzio perugino (la statua di Cosimo I) e in un al tro pezzo, al quale non restava molto a fare per get tarlo già dalla cava, si disegnava cavare la figura di Gio.
Bologna (la Fiorenza che vedesi nel Salone di Palazzo vecchio). – Sennochè due giorni dopo (10 giugno 1568) Cosimo informava il provveditore Inghirami «che il marmo bianco cavato per la statua che debbe fare Vincenzio scultore non riesce buono, per esser livido; che però bisognava far diligenza di cavarne un altro pezzo che sia bianco.»– (GAYE, Opera citata.) Sarebbe qui fuor di luogo intrattenerci per conoscere le operazioni e i nomi degli adisti che dal 1564 sino al 1 5 7 6 attesero alle escavazioni del mirino nel M. Altissimo inviati costà da Cosimo I e dal gran Prin cipe Francesco suo figlio; solamente avvertirò, che le prime escavazioni s’ intrapresero nello sprone meridionale del monte Altissimo, denominato la Costa de’ Cani, «dov' era intenzione, scriveva Vincenzio Danti da Seravezza ( l ì 2 luglio 1568) al gran Principe Francesco, di condurre il Buonarroti la strada, perciocché in molti luoghi aveva trovato in quei massi la marca M. – Inoltre il Danti in quella lettera ragguagliava il gran Principe d' avere scoperto altre cave di marmi bianchi e statuari ed anche gran quantità di quelli per opere di quadro bellissimi e di gran saldezza; i quali marmi, ivi soggiunge «sono sopra il luogo della Polla di focile accesso e scesa, essendoché la salita è un terzo meno che alla Costa de’ Cani.
Mancato però Cosimo I, s i abbandonò per la seconda volta l’scavazione de' marmi ne' monti di Seravezza, ed un oblio di quasi dugento cinquantanni ricuoprì all’ industria nazionale cotesta risorsi territo riale di tanto interesse per le arti e pel commercio.
E sebbene verso il 1743, per asserto di Gio. Targioni Tozzetti (Viaggi T. VI Ediz. del 1773) si fosse progettata una compagnia di speculatori per riprendere quelle escavazioni, cotesta impresa fallì nel suo divisa mento; bensì ivi si parla di una cava di marmi stata aperta pochi anni innanzi verso il monte della Cappella per cura del dott. Francesco Antonio Fortini, dove egli trovò, oltre il marmo bianco ordinario, del marmo mischio pezzato di bianco e di rosso carnicino, corrispondente alla breccia che noi trovammo alle falde del monte Altissimo. L’ amore che il dottissimo Targioni portava alla sua patria lo fece esclamare: essere stata una gran vergogna per noi Toscani che non sia stato mai pensato efficacemente a riaprire la cava di marmo statuario del monte Altissimo.
Tempi più propizi preparava il secolo presente alle intraprese industriali, ed una delle tante che con più o meno fortuna hanno avuto luogo in Toscana è stata la riattivazione delle cave di marmo statuario nel M.
Altissimo.
Fu nel 1820, quando il cavalier Marco Borrini caldo di amore per la sua patria, sulla scorta storica delle vicende testé accennate tentò di ripristinare quelle obliate lapidicine. Che questo zelante cittadino vi sia riescilo lo dichiara la relazione favorevole del 19 ottobre 1820 fatta al governo granducale dal celebre Giovanni Fabroni stato incaricato di recarsi sul M.
Altissimo per esaminare e riferire sulla impresa Borrini; per cui in conseguenza di quel rapporto vennero forniti a quell’ intraprenditore coraggioso dalla R.
depositeria diversi incoraggimenti per l'opera incominciata, cui nè la difficoltà de' luoghi, né gli scavi fatti tre secoli prima, né l'antico credito e concorrenza della vicina Carrara furono capaci di raffrenare o interrompere la difficile intrapresa. Quindi la costanza del Cav. Borrini è giunta a tale intento che ha scoperto nei fianchi del Monte Altissimo marmi i più tini, i più candidi, i più pastosi e nel tempo stesso i più solidi che abbiano mai avuto sotto lo scalpello gli artisti. Una conferma solenne e palpabile me la diede la visita da me fatta di corto ad alcuni, fra tanti altri, studj che esistono in Firenze di scultori e ornatiti, cioè, Parrors, Pozzi, Pampaloni, Costoli, Cambi, Magi, Giovannozzi Luigi, Fantacchiotti e Duplè, presso i quali tutti riscontrai i marmi statuarj del Mont' Altissimo di prima e seconda qualità; gli uni senza alcuna macchia, ossia vena, anco nelle statue e gruppi maggiori del natura le, in moltissimi ritratti e nei lavori di piccole statue e di camminetti da sorprendere per la finezza dell’ opera, non che per il loro straordinario candore e grana compattis sima. I marmi poi detti di seconda qualità, sebbene per la grana, per la solidità e per la candidezza si avvicinino a quelli della prima, essi solamente gli cedono rispetto ad alcune macchie di tinta grigio scura, dalle quali sogliono essere sparsi e attraversati; e di questa seconda qualità sono le statue moderne che si fanno per le nicchie degli Uffizj in Firenze.
Però fra le cave del M. Altissimo quelle di Falcovaja danno un marmo forse il più fine ed il più candido di quanti finora ne lavorò 1*antica e la moderna statuaria.
Entrano nel novero delle cave nuove di statuarj attualmente attivate nel M. Altissimo, a levante quelle del fianco meridionale poste sopra il canale di Falcovaja fra il Vasajone che l'avvicina a ponente e le cave della Polla e del canale detto della Fincarella situate al suo levante.
Una sola via carreggiabile conduce a pie del monte, e termina in un piazzale, dove scendono dai tre canali, della Polla, di Falcovaja e della Vincarella, i marmi che costà si caricano per trasportarli alla marina lungi di là non più di sette miglia.
Dalle cave della Cappella e di Trambi serra la strada fu prolungata fino alla base del M. Altissimo. Sarebbe desiderabile però che una strada carrozzabile si aprisse da Seravezza a Pietrasanta lungo la ripa sinistra del fiume, giacché quella praticata alla sua destra per i carri dei marmi che si portano alla marina, difficilmente può supplirvi, sia per il suo infossamento, sia per mancanza in molti punti di baratto.
A imprimere nuova vita e coraggio a cotanta dura e nei suoi principj difficile impresa, oltre la munificenza del governo granducale, concorse la presenza dell’ Augusto sovrano LEOPOLDO II, il quale sino dal gennajo del 1825 si degnò visitare, e nel marzo del 1838 tornò a rivedere le cave aperte sul M. Altissimo. Egli poté in tali circostanze leggere nei cuori esultanti del popolo e dei cavatori quel rispettoso amorevole voto che io, fino dal 1826, mostrai desiderio (ANTOLOGIA del maggio 1826) che si scolpisse sulle marmoree pareti della montagna sotto il nome dell'Augusto Escursore la verità qui appresso: Hic ames dici Pater, atque Princeps.
Dopo tuttociò è gioco forza concludere; che ad onta di una forte volontà e del concorso de’ più celebri artisti del secolo XVI era riserbato al regno di Leopoldo II una palma sfuggita di ranno al Pontefice Leone X ed al Granduca Cosimo I.
Arroge a ciò, come attualmente si cavano marmi anche dal duplice fianco del monte della Costa. – Io non parlo delle latomie delle brecce e del bardiglio fiorito sotto il canal delle Mulina, non delle miniere di mercurio a Levigliani, non di quelle di piombo argentifero del Bottino, o di altre produzioni minerali che pure hanno dato vita a molte officine, segherie e frulloni, perché ne riserbo a far parola all’Articolo STAZZEMA, Comunità, nel cui territorio sono comprese. Indicherò più sotto il numero delle ferriere, e di altri prodotti minerali di comunità estranee a Seravezza che il comodo e la copia delle acque correnti consigliò ad erigere dentro i confini di questo territorio, nel quale primeggia lo stabilimento Pacchiani a Valle Ventosa con ferriera e fonderia di rame.
Solamente dal confronto dell'industria dei marmi del Seravezzese, innanzi la intrapresa del M. Altissimo fra l'anno 1820 e quella dell'anno corrente 1843 si potrà rilevare qual movimento abbia acquistato in sole due decadi coteste paese.
Confronto dell’industria de’marmi di Seravezza Nell’anno 1821 Macchine a telajo mosse dalle acque dei due torrenti per segar tavole di marmo n° 7 Frulloni per lustrare le quadrette, ecc. n° 5 Cave della Cappella e del monte di Trambiserra , donde si estraggono marmi bianchi ordinarj e bardigli, la di cui escavazione alimentava le suddette segherie e frulloni n° Lavoranti che vi s’impiegavano circa n° 40 Bovi per il trasporto de’marmi paja n° 5 Nell’anno 1843 Macchine a telajo mosse come sopra per segare le tavole di marmo n° 34 Frulloni per lustrare le quadrette, ecc. n° 12 Cave aumentate nella Cappella, nel monte di Trambiserra , con più quelle aperte nel monte della Costa, a Valle Ventosa , oltre le cave di marmo statuario e ordinario a Falconaja , all Polla, alla Vincarella sul Monte Altissimo, in tutte n° 18 Lavoranti che vi s’impiegano n° 600 Bovi per il trasporto giornaliero dei marmi circa paja n° Fra le macchine a telajo merita special menzione un edifizio eretto da pochi anni sulle porte di Seravezza da Giov. Battista Henreax, soggetto che molto contribuì ai buoni resultamenti del M. Altissimo ed allo sviluppo del commercio marmoreo in Seravezza, (ERRATA: dove nel 1842 morì) dove nell’aprile del 1843 morì. – È un edifizio di nuova invenzione tutto di ferro fuso mosso dalle acque già riunite de' torrenti Ruosina e Rimagno, consistente in otto telaj di seghe, che in tutti segano 250 tavole in un tempo stesso; e con tale precisione piane e di eguale esatta grossezza da non aver più bisogno de' frulloni, ma solamente della lustratura.
Inoltre fa parte, o piuttosto staccasi dall’ industria marmorea di Seravezza, la creazione del nuovo paese allo Scalo detto il Magazzino de' Marmi, dove innanzi il 1821 non si contava bastimento da trasportare i marmi a Livorno ecc. ed ora se ne contano circa dodici, i quali trasportano i marmi, olio, ecc. e riportano vena di ferro per le ferriere, generi coloniali ecc.
Cosicché in pochi anni si è, dirò così, formato costà un borgo di circa 300 abitanti che tutti traggono sussistenza dalle operazioni di caricazione e scaricazione di questi nuovi bastimenti di bandiera toscana, e di conduttori del paese di cui parliamo.
Frattanto che nobili e potenti persone invitavano i loro amici a venire a respirare in estate un’ aria fresca e balsamica nel pittoresco vallone di Seravezza, frattanto che il monte più settentrionale e più alpestre della Comunità di Seravezza apriva i suoi fianchi doviziosi di marmi all'industria toscana, un altro monte il più meridionale, e forse il più delizioso per la visuale e per i suoi prodotti agrarj, annunziava al geologo ed al mineralogista di nascondere nelle sue viscere un tesoro non meno raro di quello del Monte Altissimo.
La scoperta dei filoni di cinabro nella roccia steaschistosa del monte di Ripa non è più antica di tre anni. – Vedere Articolo RIPA DI CORVAJA, diedi il merito di quella scoperta al naturalista Girolamo Guidoni, di che sembra che si adontasse uno de' primi acquirenti di quel suolo il sig. G.G.
Semah direttore di una delle prime officine stabilite nel Casale di Ripa per la distillazione del mercurio estratto dalla terra cinabrina di quella miniera. Avvegnaché il sig. Semah con lettera scritta da Corvaja nel 18 novembre 1843 mi avvisava del modo come ebbe principio la scoperta del cinabro nel monte di Ripa, «Fu (mi diceva egli) nell'ottobre del 1839 un contadino de' monti di Ripa che portò a me G. G. Semah dimorante allora a Levigliani alcuni pezzi di pietre schistose, intersecate da filoncelli di ferro ossidulato, con certe terre argillose a contatto di color carnicino. – Cotesta pietra destò in Semah de’sospetti che ivi potesse esistere una miniera mercurifera. «Con questi dati (sono sue parole) azzardammo alla cieca, senza riscontrare il terreno, di acquistare per scudi 200 l'appezzamento di terra spettante al detto contadino (Salvatori). In seguito perlustrando noi il terreno comprato a Ripa, si ebbe la certezza che costà esisteva una miniera di mercurio solfurato ecc. » Se però a dichiarare cotale certezza contribuisse (come è supponibile) la scienza del sig. Guidoni, ciò si tace dal sig.
Semah; dice bensì che il sig. Guidoni venne a vis itarla, e che scrisse in varj giornali manifestando ch' egli ne era lo scuopritore. Di ciò adontati i fratelli Semah, (soggiunga la lettera) lo pregammo a ritrattarsi, e di' fatto lo eseguì con un Articolo da esso inserito nel Giornale di Commercio di Firenze, del 23 marzo 1842, nel quale si legge: «Se noi fummo in Toscana i soli a parlare agli scienziati di questa nuova sostanza metallica, i signori Giuseppe e Paltiel fratelli Semah furono parimente i primi che con instancabile zelo riunirono la prima e sola società che intraprendesse lavori di ricerca nei terreni Salvatori e Vannucci. – A loro (ai fratelli Semah) si deve la vera scoperta MATERIALE di questa miniera ».
Fatto è, che dagli scavi eseguiti nel suolo acquistato dalla società Semah, Gower e CC. non solo si è giunti a conoscere essere questa di Ripa una buona miniera di mercurio; ma di avere già somministrato in meno di due anni (dal gennajo 1842 al novembre 1843) circa libbre 14000 di quel metallo puro, e di averlo messo in commercio a Livorno.
Incoraggiati da cotesti buoni principj, non solamente fu aumentato il capitale dell'anzidetta società anonima, ma due altre compagnie hanno posteriormente acquistato anche più estesi appezzamenti di suolo nelle vigne di Ripa, cioè, la società Hahner e CC. e quella del barone di Mortmart e Perier. Le gallerie di quest'ultima furono visitate nel 27 settembre 1843 da varj membri distinti della sezione geologica del quinto Congresso degli scienziati italiani tenuto in Lucca, i quali osservarono il solfuro di mercurio in forma di filoncini ed arnioni posti lungo la linea di stratificazione di una roccia di steaschisto quarzoso, filoni che continuano per lungo tratto, ora più ora meno, carichi del minerale anzidetto.
La mattina del 14 ottobre 1843 accompagnato dai sigg. Avv.
Santini e Dott. Carducci di Seravezza ebbi occasione di penetrare nelle gallerie di tutte tre le società mineristiche, situate assai vicine le une alle altre, ed in tale posizione ridente che cotesto monte di Ripa può dirsi fra i metalliferi l'unico che sia rivestito nella sua superficie da una vigorosa vegetazione di vigneti, cui fanno corona più in basso piante gigantesche di ulivi.
Le gallerie sono aperte a mezza costa, assai comode per l'estrazione del minerale che incontrasi internandosi nel monte in filoni diretti da maestrale a scirocco, ed al cui andamento si tien dietro nelle viscere del monte per mezzo di pozzi più o meno inclinati, e tutti finora asciutti. Il minerale è disposto in filoncini gli uni vicini agli altri, talvolta riuniti insieme in una larghezza che arriva sino ad un piede.
Cotesti filoncini contengono il solfuro di mercurio in cristalli di color rosso scarlatto. I pozzi e le gallerie della società Hahner e CC. sono nel centro dell'escavazione, fiancheggiate a desti; e a sinistra da quelle delle altre due società. Quattro sono le gallerie aperte, una delle quali si approfonda con un pozzo che fa mostra di avere i filoni più ricchi. I filoni messi finora in lavorazione sono Ire, i quali sogliono fornire un giorno per l'altro da 4000 libbre di minerale, che a calcolo fatto produrrebbe circa l'uno e mezzo per cento di mercurio vivo.
Ma i forni di questa società, con grande intelligenza costruiti in Val di Castello presso la fonderia del minerale di piombo argentifero per conto della stessa società, non sono ancora in attività.
I forni della società del bar me di Mortmart e Perier, sono stati accesi dopo la mia visita, cioè, nel novembre del 1843, sicché non potrei indicarne i resultamenti che servir possano di confronto economico. In cotesta porzione di monte il barone di Mortmart, già vecchio soldato di Napoleone, fa la sua odierna dimora in una casetta angusta anzi che nò, cui è stato dato il nome di Palazzina di ColleBuono.
Egli si è degnato inviarmi da cotesto delizioso resedio una nota del passato suo ingegnere montanistico Cailleux, dalla quale risulterebbe che, nella parte del terreno spettante a cotesta società di Colle Buono, i filoni finallora conosciuti erano due, e che due altri si cominciavano a conoscere da alcune tracce più o meno ricche di cinabro.
Uno solo per allora di quei filoni sia messo in escavazione.
Tre gallerie principali sono state aperte per andare incontro ai filoni metalliferi; 1.° La galleria Mortmart situata a pie del monte, la quale arriva ad una profondità di 138 metri nella larghezza di 1, 40 metri, e nell'altezza di 1 ,80 metri.
Essa è tracciata in linea retta, stata difesa nella sua volta e pareti da correnti e tavoloni disposti con tutte le regole dell'arte; 2.° La galleria Perier che fu aperta a 54 metri di sopra alla precedente: essa ha una pro fondità di circa 95 metri; 3.° La galleria Sofia situata a metri 46, 36 più alta ancora della seconda ed è da questa donde attualmente si estrae la maggior quantità di cinabro. La sua lunghezza pervenuta 3 3 7 metri, comunica con un’ altra galleria aperta nell'interno del filone metallifero.
Attualmente vi si sta lavorando un pozzo che dovrà comunicare dalla galleria superiore a quella di mezzo e poscia alla galle ria più bassa. Esso annunzia una inclinazione generalmente di 45 a 50 gradi, corrispondente a quella de' filoni; i quali sono per lo più diretti dal N. O. al S. E.
In quanto alla società Semah, Gorrer e CC, che è la prima a trovarsi, come fu la prima a stabilirsi a pie del monte di Ripa, è stata anche la prima a mettere in attività i suoi forni distillatorj. – Gli appunti favoritimi da quel direttore si limitano per ora ai seguenti: II forno della società Semah e CC. produce in 24 ore fra le 50 e le 60 libbre di mercurio da una distillazione di circa 4000 libbre di miniera scelta; lo che corrisponde al prodotto di 1 1/4 a 1 1/2 per cento di mercurio purissimo.
Vi sono però delle vene e filoncini di minerale che distillandoli da per sé darebbero oltre il 30 per cento di mercurio.
Per il combustibile la società Semah e CC. adopera le legna, ma quella di Hanner e CC. si servirà del coche dopo aver impiegato il carbon fossile nella fusione della miniera di piombo argentifero in Val di Castello, dov' ha i suoi forni.
La spesa giornaliera della società Semah e CC., non valutando quella del fuoco e di chi vi presiede, è stata calcolata attualmente ascendere a lire 150 il giorno circa.
Il minatore nei lavori d'utile escavazione da giornalmente sottosopra libbre 200 di minerale scelto, e guadagna 18 crazie il giorno. Vi sono poi altri minatori a pura ricerca ed a eguale paga.
Rispetto al numero degl' impiegati fin qui adoperati dalle tre società mineristiche del monte di Ripa, è valutato ascendere a circa 150, ma questo numero va ad aumentarsi mensualmente in proporzione delle ricerche favorevoli del minerale.
Si calcola che i forni attuali, parlando delle escavazioni della miniera di tutte tre le società, potranno sottomettere alla distillazione nel corso di 24 ore da 12000 libbre di minerale, e che questo somministrando circa l'uno e un quarto per cento di mercurio produrrebbe da 4500 libbre ogni mese. – Che se i forni predetti saranno in grado di continuare a distillare senza interruzione, potranno in conseguenza fornire in un anno la vistosa somma di 53,000 libbre di mercurio, che al prezzo odierno di lire 5 la libbra introdurre dovrebbe in Toscana il valore di 265,000 lire all'anno!!!! Dopo aver indicato le principali industrie delle quali Seravezza è centro, dovrei far parola di sette ferriere esistenti in questa Comunità sul torrente Ruosina, oltre la vasta rameria e fonderia Pacchiani sotto Valle Ventosa, e l'antica fabbrica di canne attortigliate da schioppo del Leoni, esistente pur essa a Valle Ventosa, come industrie che danno lavoro giornaliero ad un' ottantina di persone.
Non dirò delle industrie accessorie, fra le quali una concia di pelli, una gualchiera, due tintorie, una fabbrica di cappelli, diverse telaja di panni canapini e di mezze lane; dirò piuttosto che la Comu nità mantiene due medico chirurghi ed un maestro di scuola; che in Seravezza si tiene ogni lunedì un frequentato mercato di granaglie, di altre vettovaglie e mercerie, oltre due fiere annuali, le quali cadono nei giorni 10 agosto e 9 settembre.
Il vicario regio, l'uffizio di esazione del Registro, la cancelleria Comunitativa e l’ ingegnere di Circondario risiedono in Pie trasanta; la conservazione delle Ipoteche ed il tribunale di Prima istanza sono stabiliti in Pisa.
QUADRO della Popolazione della COMUNITA’ di SERAVEZZA a quattro epoche diverse.
- nome del luogo: Basati, titolo della chiesa: S. Ansano (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 173, abitanti anno 1745 n° 241, abitanti anno 1833 n° 327, abitanti anno 1840 n° 366 - nome del luogo: Cappella, titolo della chiesa: S. Martino (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 315, abitanti anno 1745 n° 653, abitanti anno 1833 n° 1062, abitanti anno 1840 n° 1074 - nome del luogo: (1) Cerreta, titolo della chiesa: S.
Antonio Abate (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 132 - nome del luogo: Querceta (*), titolo della chiesa: S.
Maria Lauretana (Cura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 2455, abitanti anno 1840 n° - nome del luogo: Ruosina (*), titolo della chiesa: S.
Paolo Apostolo (Rettoria), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 235, abitanti anno 1745 n° 325, abitanti anno 1833 n° 361, abitanti anno 1840 n° 428 - nome del luogo: SERAVEZZA, titolo della chiesa: SS.
Lorenzo e Barbera (Pieve Prepositura), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni-Sarzana), abitanti anno 1551 n° 1266, abitanti anno 1745 n° 1258, abitanti anno 1833 n° 1871, abitanti anno 1840 n° 1960 - nome del luogo: (2) Vallecchia, titolo della chiesa: S.
Stefano (Pieve), diocesi cui appartiene: Pisa (già Luni- Sarzana), abitanti anno 1551 n° 493, abitanti anno 1745 n° 1735, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° - - Totale abitanti anno 1551: n° 2482 - Totale abitanti anno 1745: n° 4213 - Totale abitanti anno 1833: n° 6076 - Totale abitanti anno 1840: n° 6777 Annessi provenienti da Comunità limitrofe - nome del luogo: (2) Vallecchia, titolo della chiesa: S.
Stefano (Pieve), Comunità donde proviene: Pietrasanta -anno 1833 abitanti n° 1599 -anno 1840 abitanti n° 1739 - Totale abitanti anno 1833: n° 7675 - Totale abitanti anno 1840: n° 8516 N.B. Le chiese parrocchiali contrassegnate con l’asterisco (*) nel 1840 mandavano nelle Comunità limitrofe - abitanti n° 1938 - RESTANO nel 1840: abitanti n° 6578 (1) La cura di Cerreta innanzi il 1834 apparteneva alla Comunità di Pietrasanta.
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1843, Volume V, p. 252.
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