LIVORNO
(Liburni Civ. talvolta Labro , Liburna, e Livorna).
â CittĂ magnifica, spaziosa, attraversata da un canale navigabile, con frequentatissimo, porto e buona rada, nuova sede vescovile, residenza di un governatore civile e militare, di tutti i consoli delle potenze amiche, di un magistrato civile e consolare, di una camera di commercio, capoluogo di ComunitĂ e di Giurisdizione nel Compartimento di Pisa.
Risiede Livorno sull'estrema lingua di terra che faceva riparo dal lato di ostro al colmato seno del porto pisano, fra la foce dell'Arno e le diramazioni piÚ depresse dei monti livornesi, nel gr. 27° 58' long. e 43° 33' latit. circa 13 miglia toscane a ostro-libeccio di Pisa; 26 da Lucca nella stessa direzione; 22 miglia toscane a ostro di Viareggio lungo il litorale, altrettante a libeccio di Pontedera, 53 miglia da Pistoja in simile direzione; 56 miglia a ponente di Firenze per la via traversa di Val di Tora, e 62 per Ia strada R. postale che passa per Pisa.
Ogni qualvolta uno considera ciò che era Livorno innanzi il regno di Ferdinando I, e ciò che è divenuta regnando Leopoldo II; quando lo storico voglia confrontare Livorno del secolo XV, consistente in un piccolo scalo da pochi e meschini marinari abitato, con Livorno del secolo XIX, ricco per fortuna, per numero e per lustro di abitatori, per quantità e bellezza di edifizii pubblici e privati, con una popolazione che alla sola capitale della Toscana può dirsi seconda, inarcherà di stupore le ciglia nel riscontrare in tanta metamorfosi di si fatto gigantesco sviluppo la prova piÚ, evidente e piÚ solenne di quali frutti la tutela di una costante lÏbertà industriale possa divenire madre.
Lâelemento del commercio, che dallâemporio di Livorno alla Toscana intiera vitalitĂ trasfonde vigoria, potrebbe equipararsi alle funzioni del cuore in un corpo animato,donde per due vie la circolazione si opera del sangue, quella cioè delle arterie che con moto talvolta meno,talvolta piĂš accelerato, nelle parti tutte del corpo lo spinge e diffonde, mentre al cuore medesimo per la via delle vene il sangue ritorna, onde mantenere con tal mezzo nell'animale economia l'equilibrio, la salute e la vita.
A meglio contemplare l'istoria di Livorno ed il suo proggressivo sviluppo economico-materiale, dividerò il presente articolo in sette periodi, per esaminare questo paese; 1° sotto i Marchesi di Toscana; 2° sotto la Repubblica di Pisa ; 3° sotto il Governo di Genova ; 4° sotto la Repubblica Fiorentina; 5° sotto la Dinastia Medicea; 6° sotto i primi tre Granduchi della Casa d'Austria; 7° finalmente sotto Leopoldo II felicemente regnante.
LIVORNO SOTTO I MARCHESI DI TOSCANA Io tengo per fermo essere opera perduta per chi volesse cercare documenti negli scrittori romani, nei libri di geografie, o negli antici itinerarii marittimi, sufficienti a dichiarare Livorno di un'origine piĂš remota di quella che realmente gli si competa.
Imperocchè resta tuttora indecisa la questione, se al suo porto piuttosto che ad un altro vetusto scalo del littorale toscano intese di riferire Cicerone, allorchè avvisava il proprio fratello Quincio pubblico impiegato in Sardegna, qualmente un tal Lucejo doveva fra pochi giorni partire da Roma per quellâisola e prendere imbarco nel porto di Labrone, o in quello di Pisa, qui out Labrone aut Pisis conscenderet . â Che Cicerone con l'espressione, aut Pisis, intendere volesse del suo porto di mare, piuttosto che della cittĂ situata dentro terra sulla confluenza impetuosa di due fiumi, non vi è d'uopo dichiararlo. Ora se fia da spiegarsi quella frase nell'enunciata guisa, come potremo ammettere, che il romano oratore volesse esprimere col porto di Labrone lo scalo di Livorno, quando questo scalo non formava che l'appendice meridionale al seno del Porto pisano? Quindi io non saprei rifiutare l'opinione stata emessa da Antonio Cocchi nella sua opera dei Bagni di Pisa (nota 12), quando gli nacque il dubbio, che il Labrone di Cicerone fosse stato il Salebrona dell'itinerario di Antonino e della Tavola Teodosiana, situato alla bocca della Brona, o Bruna, adesso foce della fiumana e porto di Castiglione della Pescaja. â Infatti di costĂ il tragitto per la Sardegna veniva a riescire anche piĂš diretto, qualora Lucejo vi avesse trovato opportuno imbarco, piuttosto che andare 70 miglia piĂš lungi a cercarlo nel frequentato porto di Pisa.
Che diremo poi del temp io eretto in Livorno ad Ercole Labrone, a coloro, i quali si appoggiano alla geografia di Tolomeo, oppure a quelli che si fanno forti dell'itinerario di Antonino? Risponderemo ai primi, che il tempio di Ercole fu senza altro titolo collocato da quel geografo, non giĂ nella spiaggia di Livorno, ma sivvero vicino a quella dell'odierno Viareggio, cioè fra il Promontorio di Luna e la foce dellâArno; e diremo ai secondi, che la mansione ad Herculem segnata nell'itinerario, che va sotto nome di Antonino Augusto, era posta lungo la strada militare di Emilio Scauro tra Vada e Pisa, cioè in Val di Tora, dove furono trovati colonnini migliari, ed altri monumenti sufficienti a dimostrare, che la stazione ad Herculem doveva essere in quella linea, e conseguentemente da Livorno e da Porto pisano parecchie miglia toscane discosta.
Vi fu chi cercò un quarto appoggio a favore del supposto Labrone nel vocabolo di Calambrone, col qual nome e designato lo sbocco palustre dei fossi ed altri corsi di acqua che per i ponti di Stagno e per la paduletta fuori delle mura settentrionali di Livorno in mare si dirigono. â Ma ancora questa congettura viene inferma, e priva affatto di forza, qualora si rifletta alla recente origine dell'emissario di Calambrone, dove pochi secoli addietro esisteva il seno del Porto pisano, in guisa che in quella paduletta e nel circostante suolo, tre in quattrocento anni fĂ , penetravano le onde marine, cosicchè le acque dell'Ugione, del Cigna e di tutti gli altri fossi della pianura settentrionale di Livorno, che oggi vanno a perdersi fra quegli stagni, sboccavano non giĂ per la lunga via dellâemissario di Calambrone, ma direttamente in quel seno di mare.
Comunque sia di cotali origini, quello che non ammette dubbiezza si è, che le prime memorie di Livorno compariscono sulla fine del secolo IX. Avvegnachè a quellâepoca troviamo nominata nel piviere di Porto pisano la chiesa di S. Giulia, cioè la prima parrocchia dei Livornesi. Che questa chiesa col vicino paese restasse nelle vicinanze dellâantico emporio pisano, lo dichiarò un documento dell'Arch. Arciv. di Pisa del giugno anno 891, nel quale rammentasi Ecclesia S. Juliae, quae situ esse videtur in Porto pisano ; e lo confermano molti altri istrumenti posteriori, confacenti a farci riconoscere Livorno sino dai suoi incunabuli.
Con piÚ precisione lo stesso luogo fu indicato da altra pergamena dello stesso archivio arcivescovile, sotto l'anno 1017, quando la chiesa di S. Giulia era già stata innalzata all'onore di battesimale, avendo per tale effetto associato al suo titolare quello del santo Precursore. La qual pieve di S. Giulia e di S. Giovanni Battista non solo si qualifica situata in suprascripto Porto pisano prope Livorna, cioè compresa nella giurisdizione di Porto pisano, ma si aggiunge, che facevano parte del suo piviere varie ville sotto i nomignoli di Sala, Fundo magno, Tribio, Waralda, ec.
Tali documenti coincidono appunto con lâepoca piĂš trista dell'Italia, quando la regia autoritĂ , scossa dalle fazioni dei vari pretendenti al di lei impero, era si resa impotente e quasi di niun valore; allorchè, per difendere dalle invasioni di sempre nuovi pretendenti i beni di recente acquisto, solevano darsi in custodia alle mense vescovili, alle abazie, agli ospedali, o ad altri corpi morali; le quali corporazioni, per quanto da simili invasioni non fossero neppur essi immuni, solevano peraltro restare piĂš difficilmente dalla fortuna bersagliate. Erano finalmente quei secoli, nei quali il patrimonio regio e i diritti sovrani venivano trasfusi, assorbiti e goduti dai vicarii imperiali, i quali col titolo di marchesi la facevano da padroni sulle provincie alla loro amministrazione affidate.
Le quali premesse osservazioni ci guidano a poco a poco a conoscere l'origine per la quale tanti luoghi di nuovo acquisto, come sarebbero i greti dei fiumi, i nuovi laghi o paduli, le spiagge del littorale aumentate ec., divenute per ragione di gius pubblico proprietĂ del principe o delle limitrofe comunitĂ , venissero arbitrariamente e senza ostaculo dai vicegerenti imperiali occupate, e quindi ai loro fedeli, o alle corporazioni ecclesiastiche a titolo di enfiteusi perpetua o di precaria cedute e donate. Fra i governanti della Toscana nel primo secolo dopo il mille lâistoria presenta due matrone in Beatrice e Matilde, lâuna moglie, lâa ltra figlia del potente March. Bonifazio. Le quali femmine in un modo quasi assoluto per il lungo periodo di 64, anni (dal 1053 al 1116) la provincia della Toscana governarono.
GiĂ all'Articolo Littorale Toscano si è veduto, che buona parte del Delta pisano può riguardarsi come terreno di nuovo acquisto sul mare; e l'istoria del medio evo è piena di donazioni di beni del patrimonio regio, situati lungo gli alvei, e fra le foci del Serchio e dell'Arno. â Non starò a indagare, come da sĂŹ fatta origine potesse derivare lâacquisto del castello e corte di Livorno che la contessa Matilde nel principio del secolo XII di sua libera volontĂ a titolo di dono assegnò all'opera del duomo di Pisa, bensĂŹ dimostrerò che quella marchesana; con simile atto non donò altro che i beni allodiali da essa posseduti in Livorno, o nel suo distretto, dove aveva un castello, vale a dire un resedio dominicale con annessa corte e macchia da pastura; non una rocca, come quella che alcuni cronisti congetturarono avere quella contessa fabbricata nel luogo della Fortezza vecchia, o dove posero l'immaginario tempio di Ercole Labrone. â Vedere Santelli e Magri, Origine di Livorno, e gli articoli Bientina, e Corte.
Nel 1103 quel castello e quella corte medesima di Livorno insieme con l'altra possessione di Pappiana dalla contessa Matilde furono assegnate in dote alla Primaziale di Pisa, affinchè il frutto di quei beni s'impiegasse in benefizio del tempio in costruzione. â Se non che gli amministratori della stessa fabbrica, rappresentati da Ildebrando console di Pisa, con istrumento dei 9 giugno 1121 (stil. pis.) cederono per mille lire ad Attone arcivescovo di Pisa la donata possessione della corte di Livorno con tutti i diritti di proprietĂ , a patto peraltro di potere dentro un determinato tempo redimere quel possesso: ed in caso diverso di rilasciarlo ad Attone e agli Arcivescovi di lui successori nel modo ed espressioni qui appresso, cioè: Quod si taliter non fecerimus .... tunc inde in antea habeatis vos et vestri successores praedictum castrum et curtem (de Liburno) cum omni sua pertinentia per istam cartulam proprietario nomine, ad faciendum inde quicquid volueritis absque omni calumnia donec praedictae mille librae vobis salutae ab Operariis erunt vel eorum misso etc.
Se gli operai della cattedrale pisana riacquistassero o no l'oppignorata possessione del castello di Livorno, o se gli arcivescovi di Pisa la cedessero altrui ad enfiteusi perpetua, o come allora appellavasi a titolo di feudo, non è noto, ne finora comparvero scritture che lo dichiarino. Ciò che non ammette dubbio si è che nel 1138 la stessa possessione di Livorno apparteneva ai figli del marchese Alberto Rufo , discendenti da una delle quattro linee di toparchi, il di cui stipite risale a quell'Oberto che era conte del Palazzo in Italia per l'Imperatore Ottone I.
Infatti nello stesso anno 1138 l'imperatore Corrado II, con diploma dei 19 luglio, spedito da Norimberga a favore della cattedrale di Pisa, dichiarò nullo il feudo di Livorno concesso irragionevolmente al marchese Guglielmo Francigena e ai di lui fratelli.
A coloro cui importasse di conoscere chi fossero cotesti supposti signori feudali del castello di Livorno, rammenterò la lite con tanto treno agitata fra Andrea Vescovo di Luni e le quattro linee di marchesi discesi dal nominato Oberto conte del Palazzo, lite insorta a cagione di un fortilizio stato eretto da quei feudatarii sopra il monte Caprione (promontorio di Capo Corvo). Nella qual causa, piatita in Lucca nel 1124 davanti a 60 consoli, rappresentava una delle quattro branche di marchesi lo stesso Guglielmo Francesco, o Francigena, figlio del marchese Alberto Rufo , uno di quelli designati da Corrado II châerano irragionevolmente sottentrati nel possesso del feudo Matildiano di Livorno.
Ă pure incerto, se gli ordini di quell'imperante, rapporto ai feudatarii testè accennati, fossero eseguiti, oppure se restassero senza effetto, o se anche lâarcivescovo di Pisa rinnovasse a favore dei marchesi medesimi l'enfiteusi del castello donato da Matilde nella giurisdizione di Livorno.
Se ciò tuttora s'ignora, sappiamo per altro dal diploma sopra citato, che il marchese Guglielmo Francesco o Francigena aveva altri fratelli; e che di un Oberto, altro figlio del rammentato marchese Alberto Rufo , si trovano memorie fra i documenti pubblicati nelle Antichità Estensi dal Muratori, cui pure dobbiamo la scoperta di un terzo figlio del marchese AlbertoRufo , di quel marchese di Corsica, cui fu dato il soprannome di Bratteportata, al quale sembra che toccasse una terza parte del decantato feudo di Livorno.
Figlio di questo terzo feudatario fu quell'Alberto marchese in Corsica, piuttosto che della Corsica, il quale dopo morto il padre, mentre egli abitava in Pisa presso la Porta a mare, per istrumento pubblico dei 26 settembre anno 1147 (stil. pis.), cedè a titolo di pegno ai fratelli Sismondo e Conetto, figli del fu Conetto, per mille soldi di Lucca la sua terza parte del castello e corte di Livorno con i corsi d'acqua, selve, raccolte, albergarie, et quaecumque mihi per Feudum, vel alio modo pertinent; dichiarando, che quel possesso gli era pervenuto a titolo di feudo dallâarcivescovato di Pisa. La quale porzione di feudo egli consegnava con patto di poterla redimere dentro due anni mediante la restituzione dei mille soldi di capitale, e del frutto corrispondente, a ragione di soldi 16 e denari 8 per mese.
Ora se questo possa dirsi un feudo con giurisdizione dâimpero, o piuttosto una di quelle possessioni acquistate o ereditate con titolo che li statuti pisani del 1161 (Rubrica 24) qualifcarono per feudo, o come noi diremmo fidecommisso, ognuno meglio di me saprĂ giudicarlo. â Volendo poi tener dietro alle operazioni del marchese Alberto, cessionario di una terza parte del feudo Matildiano , il quale in ultima analisi riducevasi a qualche podere con macchie e pascoli fra Monte Nero, Limone e Salviano, troveremo lo stesso Alberto congiuntosi in matrimonio con una vedova della illustre prosapia pisana deâVernacci. Avvegnachè egli per contratto rogato li 25 febbrajo 1150 nella torre di suo cognato Uguccione, presso la Porta S. Salvadore altrimenti detta la Porta dâoro , in Pisa, insieme con sua moglie donna Calcisana figlia del fu Lamberto, lasciata vedova dal Vernacci, cederono a favore della chiesa pisana, e della badia di Falesia tuttociò che il primo marito di Calcisana possedeva nel castello, rocca e corte di Piombino. Per la quale rinunzia i detti coniugi ricevettero il valore di 3000 soldi di danari lucchesi. (Murat. Ant. M. Aevi).
A meglio dimostrare di quali diritti si trattasse, e qual sorta di feudo fosse quello di Livorno dalla contessa Matilda donato alla chiesa pisana, e da questa pervenuto nei Marchesi di Massa lunense, di Corsica ec. ec. oltre i molti documenti riportati dal Targioni nel Tomo II dei suoi Viaggi, potrei aggiungere un istrumento dei 9 gennajo 1244 pubblicato dagli annalisti Camaldolensi, mercè cui un tal Guglielmo figlio del fu Andrea marchese di Massa lunense, stando in Pisa, tanto per proprio conto, come per interesse del Marchese Alberto di lui fratello e di altri suoi consorti, diede a titolo di feudo, ossia di enfiteusi perpetua, all'abate del mon. di S. Michele in Borgo di Pisa, che acquistava pel suo monastero, un pezzo di terra con vigna situato nei confini di Salviano, distretto di Livorno, con obbligo di pagar loro l'annuo canone di sei denari.
Potrei rammentare una sentenza pronunziata in Pisa li 17 dicembre 1261 contro il prenominato Alberto figlio del fu Andrea marchese di Massa, con la quale sotto gravi pene gli si comandava di lasciare in pace gli agenti del monastero di S. Bernardo e S. Croce alla foce d'Arno e di non recar loro piÚ molestia rapporto al possesso di una quarta parte del territorio di Monte Massimo, che quelle monache per legato testa mentario dal conte Ubaldo di Pisa avevano ereditato. (Arch. Dipl. Fior. Carte di detto Mon.) Potrei dire, che quel marchese Alberto Signore di Livorno era ridotto in sÏ povera fortuna, che un di lui creditore, per atto pubblico dei 26 febbrajo 1270, rogato in Pisa, cedè a terza persona tutti i diritti ed azioni che gli competevano per un credito di lire 25 genovesi dovutegli dal marchese Alberto di Massa lunense. (Arch. Cit. Carte della Primaziale di Pisa).
In una parola, da tutti i documenti conosciuti chiaramente risulta, che il paese di Livorno non fu mai nella condizione dei feudi di mero e misto impero; e conseguentemente che il suo popolo non divenne, nè fu in alcuna maniera vassallo dei marchesi di Toscana, nè degli arcivescovi di Pisa, nè dei toparchi di Massa, o di altra qualsiasi specie di Baroni.
LIVORNO SOTTO LA REPUBBLICA DI PISA Dopo avere veduto Livorno col suo distretto tanto nello spirituale quanto nel temporale, far parte integrante della giurisdizione di Porto pisano, non fia d'uopo domandare, da quale potestà sovrana i suoi abitanti dipendessero, tostochè poco lungi da quel porto e dalle sepolte macerie della villa di Triturrita, sorse a poco a poco e crebbe sempre piÚ bello e piÚ grandioso il paese di Livorno.
Quindi non si potrebbe conoscere l'origine di questa cittĂ senza riandare le vicende istoriche del Porto pisano, di cui Livorno divenne in seguito il capoluogo.
Allâanonimo autore del Breviar. Hist. Pis. dobbiamo lâavviso, che allâimboccatura del Porto pisano nell'anno 1157 furono cominciate a costruirsi due torri, la prima delle quali, denominata del Magnan, restò compita nel 1162, e la seconda, chiamata della Formica, si termino nell'anno 1163.
Sono le stesse torri che rammentò il primo istorico fiorentino, all'anno 1268, allorchè disse âche il re Carlo di Angiò ebbe Porto Pisano, e fece disfare le torri del Porto.â (Ricordan. Malesp. Cronic. cap.189).
Appella allâepoca medesima del 1163 la erezione di due altri importanti edifizi nei contorni di Livorno, cioè, il Fondaco del Porto pisano, e la torre del Fanale.
Questâultima per contratto dei 13 marzo, nel 1282, fu dai consoli di mare per anni 5 concessa in affitto a fra Galgano priore dei frati Romitani di S. Jacopo dâAcquaviva con lâobbligo di abitarvi di giorno e di notte dal di primo aprile susseguente e di mantenervi accesa la Lanterna. Al qual uopo gli fu nellâatto medesimo fissato un congruo salario, la spesa de'lucignoli ed altro, piĂš sei staja di olio ogni trimestre per far ardere il fanale.
Della determinazione di costruire davanti al Porto pisano, a spese della dogana di Pisa, due altre torri oltre quelle di sopra rammentate, si trova ricordo negli statuti pisani del 1284 (Rubr. 61 Lib. I).
Non è questo un libro che permetta di far tesoro, quanto si potrebbe, di troppi documenti dei secoli XII, XIII e XIV per dimostrare, che, se si eccettui la borgata di Livorno, il Porto pisano a quellâepoca non contava altro paese dove avessero residenza i pubblici funzionari del Comune di Porto pisano; e che in Livorno, a forma degli statuti di Pisa del 1284 (Rubr 85 del lib. I) inviavasi il capitano, ossia giusdicente del Porto pisano e del suo distretto.
Quindi fu ad oggetto di popolare il paese e di animare il commercio del Porto medesimo, che i Pisani nelle costituzioni, o statuti del 1284, promettevano immunitĂ e franchige dai dazii e prestanze ed altri privilegii reali a tutti coloro che da li a dieci anni futuri si fossero recati con le loro cose e famiglie ad abitare e fissare il loro domicilio in Livorno, intorno al porto o nella comunitĂ .
Oltre di ciò il potestà ed il capitano del popolo pisano si obbligava di proporre al consiglio degli anziani la provvisione di circondare la terra di Livorno di buone e convenienti mura ; ed in caso affermativo,far delibera, su qual disegno e maniera si dovessero quelle costruire.
(Statut. Pis. Civit. Cod. nella Bibl. dell'Univers. Lib. I.
Rubr. 85).
Negli statuti pisani del 1161 in un aggiunta posteriore alla rubrica 54 trattasi di provvedimenti da prendersi, onde facilitare il commercio e la navigazione fra lâantico porto di Livorno e Pisa; avvegnachè ivi si trova la deliberazione, che incarica i consoli di mare di fare esaminare diligentemente dai periti: se fosse stato possibile di rendere navigabile il fosso Carisio, a partire dal suburbio meridionale di Pisa fino allo Stagno, oppure fino allâUgione; e trovando il progetto eseguibile, ordinavasi di farne la relazione al potestĂ e al consiglio degli anziani.
Ma quasi tutti cotesti provvedimenti atti a popolare difendere e far prosperare Livorno e il vicino Porto pisano pare che mancassero della esecuzione desiderata.
Frattanto era appena trascorso un anno dalla redazione degli statuti del 1284, quando i Genovesi per mare, e i Lucchesi per terra recaronsi a combattere Livorno e Porto pisano; sicchè gli assalitori, stando agli annalisti genovesi guastarono il paese e feciono cadere la torre di verso ponente con gli uomini che v'erano a guardia,ruppero le catene della bocca del porto e quelle recarono a Genova per trofeo. (Caffar. Annal. Genuens.) Il cronista Giov. Villani accrebbe fino in cinque il numero delle torri state in quellâoccasione rovesciate in mare fra le quali egli nomina il Fanale della Meloria, ed aggiunge lâaddebito ai Genovesi di avere affondato alla bocca ed entrata del Porto pisano piĂš legni grossi carichi di pietre, col ron pere i palizzi, perchè il detto porto non si potesse piĂš usare. (Giovanni Villani. Cron. Lib. VII. c.141).
Non so qual peso possa meritare siffatto racconto del cronista fiorentino; qualora si rifletta, che il Fanale non fu mai alla Meloria, ma sivvero nella secca dellâattuale Lanterna di Livorno, e tostochè niun altro scrittore del tempo fece menzione dei legni carichi di pietre dai Genovesi. in quell'occasione davanti la bocca del Porto pisano affondati. â Dirò solamente che la Rep. di Pisa obbligata da tanti disastri a cercare pace, finalmnte a dure condizioni lâottenne nell'agosto del 1299. In conseguenza della quale i Pisani procurarono tosto di risarcire i recenti danni che alle torri del loro porto ed a Livorno i suoi nemici avevano recato.
Le prime operazioni furono la costruzione di una nuova e piĂš solida torre deâFanale, non giĂ nel banco della Meloria, ma nella secca a levante di Livorno, dove sin dal 1163 era stata eretta quella che alla cura del priore dei frati Agostiniani nel 1282 dai consoli di mare venne affidata, torre stata in seguito descritta dal Petrarca nel suo itinerario Siriaco con il distintivo del vicino Livorno, et fere contiguum Liburnum ubi praevalida turris est, cujus in vertice per nox flamma navigantibus tuti littoris signum praebet.
In quanto poi alle escavazioni da farsi nel Porto pisano, nulla si parla di lavori di pontoni atti a far concepire l'impedito ingresso di quel porlo, bensĂŹ la repubblica di Pisa fece murare intorno alla torre nuova, o della Formica, 12 colonnini di pietra con le companelle per fermare e rimurchiare le navi esistenti nel porto; ed inoltre diede ordine che si gettassero in mare altre scogliere a difesa della stessa torre, e che si rimettessero le catene con i consueti pancacci fra le due torri poste avanti alla bocca del Porto pisano, a seconda di quanto trovasi prescritto nelli statuti di Pisa. dell'anno 1305, alla Rubr.
32.
Frattanto che si provvedeva a ristabilire e assicurare l'ingresso del Porto pisano, il paese di Livorno, dovendo prestar fede a un cronista coevo, era rimasto a guisa di villaggio privo di mura, e solamente in qualche parte steccato. Dondechè non fu difficile ai fuorusciti di Pisa lâentrarvi nel 1326, ed ai Fiorentini lâimpossessarsene nel 1364, ardendo tutto o portando via, e solo poteronsi salvare gli abitanti che in tempo sulle barche cercarono scampo a sè e alle loro cose. (Matteo Villani (Cron. Lib.
XI c. go). â Tali riflessi fanno dubitare, che non solo non avesse effetto il progetto registrato nel primo libro degli statuti pisani del 1284, relativamente al circondare di mura il borgo di Livorno, ma danno motivo di credere, che non si fosse tampoco alcuna sorta di rocca, nel luogo dove fu eretta nel principio del secolo XV quella che piĂš tardi fu ingrandita (la Fortezza vecchia) allâingresso del porto che attualmente serve di darsena.
Il disastro testè accennato fu preceduto da un altro assalto marittimo che al Porto pisano nel 1362 fu dato da diverse galere genovesi al servizio del Comune di Firenze. Le quali, cacciatine i difensori, sâimpadronirono del molo, e dopo qualche resistenza ebbero il palagio del ponte, e l'altra torre a patti; in fine svelsero le catene grosse, che serravano quel porto, e rotte in piu pezzi furono dall'ammiraglio Perino Grimaldi inviate a Firenze, dove vennero appese come monumento di gloria alle colonne di porfido davanti al tempio di S. Giovanni, al palazzo della Signoria, a quello del PotestĂ , e alle porte della cittĂ .
(Matt. Villani. Cronic. Lib. Xl cap.30).
Contuttociò Livorno, ed il vicino suo porto tornarono ad essere dal guverno di Pisa riparati; talchè il Pontefice Urbano V nel suo passaggio da Avignone a Roma, servito da 5 galere deâFiorentini, potè approdare in quello scalo, dove i Pisani avevano preparato quartieri per riceverlo deguamente; e se quel gerarca, pel desiderio di tosto continuare il suo viaggio marittimo, non discese a terra, peraltro vi approdò nel 1376 il di lui successore Gregorio XI, il quale fu accolto e per 10 giorni con grande onore dai Pisani trattenuto in Livorno; argomento confacente a far conoscere qual fosse a quella etĂ il capoluogo del contiguo emporio di Pisa.
Era in tale stato Livorno, allorquando Jacopo dâAppiano (anno 1392), trucidando Pietro Gambacorti suo signore, s'impadroniva di Pisa e del suo territorio, spronato a tanta perfidia da Gian Galeazzo duca di Milano, cui poco o punto costava il dare opera ad un delitto, e molto meno di consigliarlo. In conseguenza di che non solo Livorno col suo porto, ma tutta la Maremma toscana (avendo giĂ ligii i Senesi) dipendeva dagli ordini del signor di Milano. Il quale era quasi sul punto d'incatenare al carro dei suoi trofei la piĂš ricca e piĂš avveduta potenza di lui nemica, quando giunse a Firenze lâavviso della di lui accaduta morte (anno 1403), sicchè il laccio si ruppe e il colosso politico della biscia milanese per un momento andò in pezzi. Per disposizione dellâestinto duca, Pisa col suo distretto toccò in signoria a Gabbriello Maria figlio naturale di Gian Galeazzo; nè molto tempo corse senza che si tenessero pratiche coi Genovesi, per di cui consiglio il nuovo signore di Pisa e di Livorno si pose sotto la protezione del re di Francia e del maresciallo Buccicaldo suo luogotenente in Genova, il quale di prima giunta occupò militarmente il Porto pisano e Livorno.
LIVORNO SOTTO IL GOVERNO DI GENOVA Non era corso un anno dal trattato di protezione implorato da Gabbriello Maria, quando egli stesso firmava in Livorno (27 agosto 1405) la vendita di Pisa e di tutto il distretto ai Fiorentini, con giurisdizione di mero e misto impero, eccettuato Livorno e Porto pisano, nellâatto istesso che consegnava questi due luoghi alla custodia e tutela dei Genovesi e del loro governatore Buccicaldo.
Costui nel giorno appresso, in Livorno medesimo, ratificò il trattato a nome del re di Francia come signore di Genova, e ciò nel tempo stesso che il luogotenente regio rilasciava ai Fiorentini l'uso e le rendite del Porto pisano e di Livorno; promettendo che i Genovesi non avrebbero in alcun tempo imposto dazii, gabelle, o altri aggravi alle persone e mercanzie tanto di mare quanto di terra, sicchè fosse in facoltĂ di farlo solamente al Comune di Firenze, a condizione però che gli abitanti di Livorno non potessero gravarsi di piĂš di quello che lo erano stati anteriormente al dominio del Visconti. Allâincontro il governo fiorentino si obbligava di pagare ognâanno 631 fiorini d'oro alle truppe Genovesi che presidiavano il Porto pisano, Livorno ed i suoi fortilizii.
Una circostanza debbo fare avvertire ai miei lettori, quella cioè di sentire in questo trattato rammentare la prima volta, se non mâinganno, i fortilizii in Livorno, dove pare che gia fossero a quella etĂ , o almeno, che sino d'allora vi si cominciassero ad innalzare.
Infatti l'iscrizione superstite nella cappella del mastio della Fortezza vecchia alla bocca del porto di Livorno, risale allâanno 1405 epoca in cui fu posta con l'arme del Buccicaldo quella memoria da Guglielmo Angiolin primo castellano.
Mentro i Genovesi con il loro governatore francese Buccicaldo rilasciavano ai Fiorentini l'uso di Livorno, i militari e gli abitanti ubbidivano a un luogotenente nominato dallo stesso maresciallo, che a nome del re Francia doveva dirigere gli affari della repubblica genovese.
Alcuni atti governativi, stati inseriti nel piĂš antico registro della comunitĂ di Livorno, chiamato il Libro Verde, ci richiamano all'anno 1407. Fra gli ordini di quel vicerè merita di esserne rammentato uno del di 11 aprile dello stesso anno 1407, mercè cui Buccicaldo assolve tutti gli abitanti di Livorno dai delitti di contravvenzione e ribellione che avessero commesso nei tempi passati. Col secondo atto governativo, dato in Genova il di 15 del mese ed anno medesimo, Buccicaldo senza rispetto al proprio padrone, oppure ai Genovesi, apertamente sintitolò Signore della terra di Livorno, e fu, dice quellâatto, per mostrarsi benevolo verso quel popolo, che esentò gli abitanti di Livorno e del suo distretto da tutti i dazii e gabelle.
Questo stato di subdominio e di feudalitĂ dei Livornesi sotto un maresciallo di Francia ebbe però un'effimera durata, tostochè con alto pubblico dei 3 settembre, nellâanno istesso 1407, Buccicaldo vendè ai Genovesi la Terra e territorio di Livorno per 26000 ducati dâoro.
Finalmente con altro istrumento, rogato in Savona li 16 ottobre 1407, il maresciallo medesimo, non piĂš come Signore di Livorno, ma in qualitĂ di luogotenente e governatore di Genova per il re CarloVI di Francia, avvisava i Livornesi: che tutti i diritti sopra Livorno e suo distretto, appartenutigli come privato signore, li aveva trasferiti e ceduti al re di Francia ed alla Repubblica di Genova, in nome delle quali potenze era stato inviato come plenipotenziario Giovanni Oltremare per ricevere dai Livornesi il dovuto giuramento di fedeltĂ . â Quindi la comunitĂ di Livorno ottenne dal senato di Genova (dic.
1407) la conferma delle immunitĂ e privilegi, stati concessi pochi mesi innanzi ai Livornesi dall'antecedente signore.
Un atto di supremazia del capitano residente in Livorno pel Comune di Genova conservasi tra le membrane dell'archivio Roncioni di Pisa. Ă un istrumento relativo all'elezione del pievano di S. Giulia di Livorno fatta li 2 nov. 1411 in Livorno distretto di Genova , nel coro della chiesa di S. Maria dal capitano per il Comune di Genova unitamente agli uomini della parrocchia di Livorno.
à credibile che in questo frattempo qualche altra innovazione accadesse rapporto al presidio delle torri del Porto pisano, tostochè queste passarono sotto la custodia immediata del governo fiorentino. Quindi è che insorsero vertenze fra i due stati, per terminare le quali furono dalla Repubblica fiorentina nel sett. del 1408 a Livorno inviati due cittadini di quelli della balia dei Dieci di Pisa, cioè, Niccolo di Donato Barbadori e Rinaldo di Maso degli Albizzi, affinchè si trovassero insieme coi capitani genovesi che ivi resiedevano. Non sembra però che tali differenze venissero appianate se non mediante un trattato di pace che si concluse in Lucca li 27 aprile del 1413. In tale occasione furono determinati i confini della giurisdizione territoriale di Livorno e del Porto pisano dentro i seguenti termini, cioè; da un lato lo Stagno fino al mare; dall'opposto lato i Monti livornesi sino al luogo detto Chioma; dal terzo lato la linea del mare, e dal quarto lato le terre che dal luogo Chioma acquapendono verso i muri di Monte Massimo , e in parte nelle terre del romitorio di S. Maria della Sambuca fino alla chiesa di S.
Lucia del ponte, e di la proseguendo sino al luogo chiamato Acquaviva. Cotesto spazio territoriale fu dichiarato appartenere di pieno diritto al governo di Genova. Nel 2.° articolo fu stabilito, che il restante del territorio in questione, situato a settentrione di Livorno, dovesse rimanere di pieno diritto al Comune di Firenze.
Nel 3.° articolo fu deciso, che i sudditi e cittadini fiorentini potessero avere libero accesso e regresso alle torri del Porto pisano, alla casa della Bastia e al lido del mare lungo le torri del Porto, le quali si dichiararono dipendenti dal Comune di Firenze, mentre il Porto pisano restava ai Genovesi in quel modo che era stato convenuto nel 1405 con il governatore Buccicaldo. 4.° Che fosse in libero arbitrio dei Fiorentini di rifabbricare la Torre rossa di Porto pisano, stata rovinata dai Genovesi sino dal 1362 5.° Che il Comune di Firenze per lo spazio di 30 anni non potesse imporre, nè riscuotere, siccome gli era stato accordato nel 1405, gabelle o altro dazio sopra la terra e porto piccolo di Livorno; Quod ipse portus parvus Liburni (si noti l'espressione del trattato) se extendat usque ad turrim Fanalis, quae dicitur la Lanterna inclusive, et non ultra. 6.° Che fosse in facoltĂ dei Genovesi, e non di altri, d'imporre tali gravezze ai Livornesi o a coloro che vi abitassero, eccettuati i Fiorentini e i loro distrettuali. 7.° Che il Comune di Firenze potesse imporre gabelle, e diritti di ancoraggio nel Porto pisano, tanto agli uomini come ai navigli e alle mercanzie, eccettuate quelle dei Genovesi e dei loro sudditi; 8.° Che il Comune di Firenze dovesse pagare a quello di Genova ogni anno cento fiorini d'oro per il mantenimento del lume nella torre del Fanale di Porto pisano, volgarmente chiamata la Lanterna, per provvisione del custode ed altro. 9.° Che dentro un mese dopo 1a ratifica della pace i Fiorentini dovessero abbattere le fortificazioni state da questi erette alla Bastia nel Porto pisano, collâobbligo di riempire il fosso, il vallo, e disfare lo steccato in guisa da non restarvi piĂš idea di fortilizio, ma di poter lasciare la fabbrica del casone ad uso di magazzino; ben inteso che il dominio diretto del suolo e dellâedifizio restasse al Comune di Genova, al quale effetto i Fiorentini si obbligavano pagare ai Genovesi l'annuo canone di due fiorini d'oro.
Tali furono le principali condizioni di quel trattato, per effetto del quale la storia vide il bizzarro fenomeno di due nazioni, astute, infaticabili e rivali nei traffici commerciali, paralizzare scambievolmente le proprie forze col promiscuato possesso di un paese dove ciascuna delle due potenze esercitava una semi -padronanza senza potersi una piĂš dell'altra qualificare assoluta dominatrice.
Da questâintralciata signoria è facile arguire durante un tale periodo qual sorte corressero gli abitanti di Livorno e del contiguo porto, costretti ad ubbidire a due diversi padroni, pieni di sospetti e intenti costantemente a provvedersi di migliori difese per mantenere non solo la conquistata parte della preda, ma per tentare ciascuno dei due di strappare il restante dalle mani dellâaltro padrone.
Dondechè i Fiorentini, dopo acquistata la cittĂ di Pisa, reputando come di loro proprietĂ il Porto pisano e Livorno, di uguale animo potevano soffrire che dominasse in casa propria una nazione nata in mare, e le di cui bandiere sventolavano in tutti gli scali piĂš frequentati dellâAsia, dellâAffrica e dellâEuropa. Quindi ĂŠ che ad ogni opportuno incontro il governo di Firenze esibiva, ma sempre senza effetto, vistose somme ai Genovesi per la compra di Livorno. â Venne finalmente il tempo del bisogno, allorquando il doge di Genova Tommaso Fregoso, col pretesto della necessitĂ che si aveva di danaro, ad oggetto di provvedersi contro gli eserciti dal Duca di Milano inviati ai danni della propria patria, propose a quegli anziani di vendere a caro prezzo Livorno al Comune di Firenze furono i preliminari conclusi in Genova li 21 del mese di giugno dellâanno 1421, e sei giorni dopo in Firenze dai respettivi sindaci venne ratificato il contratto di compra del castello, terra e fortilizii di Livorno e del suo qualsiasi porto, insieme col porto pisano, la torre della Lanterna, ed alcune altre torri, fortificazioni, possessi, case, bastie, palizzate e territorii con ogni diritto e giurisdizione, mediante lo sborso che la Rep. fior. doveva fare a quella di Genova di fiorini centomila di oro. Nella quale occasione per cautela della compra i Genovesi furono obbligati a far constare legittimamente dellâacquisto precedentemente da essi fatto di Livorno e del suo territorio, conforme apparisce dai documenti originali che trovansi inserti nel trattato in discorso, esistente nell'archivio delle Riformagioni di Firenze.
Allora per la seconda volta it territorio comunitativo di Livorno fu determinato dai seguenti confini, cioè: da un lato, a principiare dallo Stagno per le cosÏ dette mura di S.
Silvestro e di la fino al mare dall'altro lato dal luogo o torrente chiamato la Chioma ; dal terzo lato dal mare; e finalmente dal quarto lato sino alle Serre (forse Val Benedetta);. e di la per le Serre che acquapendono verso settentrione sino al Monte Massimo, ed in parte con i beni dell'eremo di S. Maria della Sambuca fino alla chiesa di S. Lucio del Monte, ec.
Una delle condizioni della compra di Livorno era quella di conservare ai Genovesi alcuni privilegii relativi alle gabelle delle proprie merci, e agli ancoraggi dei loro legni, in conferma di quanto ad essi fu concesso da Pietro Gambacorti quando era capitano del popolo, di Pisa.
In seguito di tutto ciò, sotto li 30 giugno dello stesso anno, fu preso possesso a nome della Rep. fiorentina della terra, porto, fortificazioni e territorio di Livorno, nell'atto medesimo in cui i rappresentanti della stessa comunità prestarono giuramento di fedeltà alla Signoria di Firenze.
Quindi allâuniversitĂ medesima; sotto dĂŹ 28 agosto 1421, furono concesse alcune capitolazioni, in vigore delle quali venne per un biennio accordato agli abitanti di Livorno lâesenzione da ogni dazio e gabella, eccettuate soltanto quelle delle porte; e nel tempo stesso si dichiarò che il loro territorio, porto e luoghi annessi facessero parte integrante del contado, e non giĂ del distretto fiorentino.
Dondechè per tale atto, non dovendo Livorno e il suo distretto considerarsi come paese di conquista, i suoi abitanti vennero tosto ammessi a partecipare dei diritti che la legge accordava ai cittadini fiorentini a preferenza dei paesi distrettuali. â Vedere lâarticolo Firenze, Compartimento, Vol. II pag. 280. (Arch. delle Riformag.
di Firenze).
LIVORNO SOTTO LA REPUBBLICA FIORENTINA QuasichÊ il popolo fiorentino fosse presago di ciò che era per diventare Livorno sotto i di lui reggitori, si rallegrò sommamente di un acquisto da tanto tempo desiderato, parendo che pure una volta i suoi negozianti, sparsi per tutte le piazze di commercio dell'Europa, potessero volgere il loro animo con fiducia alla navigazione e per tal guisa emancipandosi dai Genovesi e dai Veneziani, siccome per lungo tempo erano stati ligii dei Pisani, condurre la stessa nazione ad accrescere le forze pubbliche con le fortune private.
Quindi Niccolò da Uzzano, essendo stato nel 1422 inviato ambasciatore al duca di Milano, come a colui che rimproverava i Fiorentini di avere acquistato Livorno a un prezzo molto maggiore di quello che valeva, seppe rispondergli âche la sua patria comperando Livorno era si da molti sinistri liberata, e per conseguente acquistatone comoditĂ grandissima per le proprie merci e per i nazionali traffichi, onde i Fiorentini stimavano averne avuta buona derrata, e tenevano quel paese molto piĂš caro che non gli costò; nè chicchessia poteva di ciò adontarsi, avendo la Signoria di Firenze compro da chi poteva vendere quello che era giĂ della giurisdizione di Pisaâ.
(Riformag. di Firenze. Ammir. Istor, fior. Lib. XVIII).
Con quest'animo il governo della Rep. innanzi che terminasse l'anno 1421, avendo creato il magistrato dei consoli di mare composto di sei cittadini, diede ordine si fabbricassero dentro un anno due galere grosse da mercanzie, e sei altre delle sottili per guardia e difesa del commercio marittimo, con facoltĂ ai consoli medesimi di destinare il luogo, o darsena da tenervi quelle galere e altri navigli a sverno; quindi affidò agli stessi consoli la cura di rifabbricare la ottagona marmorea Torre rossa , la quale fu appellata Torre nuova, conosciuta odiernamente sotto il vocabolo del Marzocco stante lâemblema del leone che fu messo per ventarola.
Non era ancora l'anno 1422 giunto alla metĂ del suo corso, quando fu varata dallâarsenale di Livorno la prima galera armata, che aveva a fare il viaggio di Alessandria di Egitto; sicchè in tale circostanza si fecero solennissime processioni per la cittĂ di Firenze, onde invocare iddio a favorire la repubblica nelle cose di mare, comâera stato a lei favorevole in quelle di terra. Frattanto la Signoria, dopo avere nominato capitano della prima galera Zanobi Capponi; dopo aver destinato a montarla dodici giovani di buone famiglie per esercitarvisi in qualitĂ di ufiziali, inviò consoli e ambasciatori nellâArcipelago e nellâAffrica con lettere credenziali al Gran Mastro dellâOrdine gerosolimitano a Rodi, al signore di Atene a Corinto al tiranno di Cefalonia, e al Soldano di Egitto per aver da ciascuno di quei principi salvocondotto perpetuo e pienissima sicurtĂ di navigare, di stare, di trafficare e mercanteggiare nei loro stati alla pari, se non a preferenza, delle nazioni cristiane le piĂš favorite.
LâAmmirato nel rammentare lo scopo di tali ambascerie, ed i nomi dei cittadini inviati a Corinto ed in Egitto, diceva che âi Signori stimarono esser cosa necessaria, che si mandassero ambasciadori al Soldano di Babilonia con ricchi presenti, avendo prima ridotto il fiorino al peso di quello di Venezia; il quale fu chiamato, fiorino largo di galea. Lâautore stesso aggiungeva che, gli ambasciatori furono Carlo Federighi e Felice Brancacci, ai quali fu data potestĂ di fermar patti e convenzioni col Soldano quanto piĂš utili e in beneficio della Repubblica fosse possibile.
Cotesta notizia ci richiama per avventura ad una riformagione della Signoria, sotto dĂŹ 6 maggio 1422, dal Vettori nel suo Sigillo dâoro a pag. 300 riportata; con la quale si avvisavano i consoli di mare, che i fiorini da coniarsi di nuovo dovevano essere della consueta bontĂ , ma aumentati di peso in guisa che 96 fiorini di sigillo vecchio dovessero accrescersi della valuta di due quinti di fiorino in oro.
Fra le istruzioni date agli ambasciatori, e le domande da farsi per utile del comme rcio dei Fiorentini al Soldano di Egitto, eravi nei precisi termini la seguente: âche la moneta nostra dâoro a d'argento vi si spenda (in Egitto) e corra e sia ricevuta come qualunque altra, e massime il fiorino nostro come il ducato vinigiano, essendo buono e migliore di finezza dâoro e di peso come quello, mostrando che è piĂš fineâŚ..â Ed in ciò vi assottigliate quanto e possibile, offerendo di farne la prova con mettere al fuoco e fondere i fiorini e i ducati. E ingegnatevi di avere notizia e dimestichezza con chi di ciò s'intenda. Ă questo e di maggior importanza d'ogni altra cosa che abbiate a fare, e domanderete che se ne faccia sperienza, mostrando, che il nostro fiorino mai non peggiorò di finezza, e che in molte parti e conosciuto di finezza e virtĂš come il ducato, e piĂšâŚ. e ancora dello argento mostrate, ma insistete in sullâoro. E se per questo abbisognasse fare alcuna spesa, eseguite quanto di ciò siete informati dai consoli di mare, ec.â Del resto chi avesse bramosia di leggere quella informazione la troverĂ per intiero, ad eccezione di poche varianti, riportata nel codice Juris Gentium di Leibnitz Parte II, dal quale la trascrisse il Pagnini nel T. II della sua opera della Decima, insieme con il rapporto fatto li 17 febb. 1423 (stile comune) alla Signoria dagli ambasciatori reduci dallâEgitto.
Frattanto che il governo di Firenze con ogni sua possa mirava a rendere sempre piĂš florido il paese alle sue cure affidato, sia con l'ampliare l'autoritĂ ai, consoli di mare, ed accrescere loro balia, sia con accordar privilegi e sgravare da gabelle per introdurre nel territorio della repubblica nuovi artigiani, nuove arti e manifatture; frattanto che si dava principio in Firenze al ricco mestiere dellâoro filato, il quale ben presto si portò a tale perfezione, che non vi fu a quel tempo il migliore in altro luogo del mondo, sicchè l'arte della seta non lavorò mai tanti drappi quanto allora, ne mai si fecero i piĂš ricchi broccati d'oro nè stoffe di maggior pregio; nel tempo che si contavano fra i soli cambisti di mercato nuovo due milioni di fiorini d'oro in oro; mentre che in ogni genere di arti liberali, di economia pubblica e privata sorgevano in Firenze uomini di genio, e cittadini per prudenza e per senno venerandi; nel tempo che si spendevano grosse somme di danaro per costruire galere, che si spedivano per ogni parte consoli e ambasciatori onde appianare la via ai mercanti fiorentini, e che si cercava di rimuovere per quanto era possibile ogn'impaccio al commercio; allora quando si cominciava a circondare Livorno delle sue prime mura merlate, e che Firenze mirava con ogni sua possa al punto di pervenire un giorno a rivaleggiare con Genova e Venezia, nella speranza di diventare lâInghilterra del medio evo; ecco che il duca Francesco Maria Visconti, educato alla torbida politica paterna, ora coperto, ora manifesto, ma sempre nemico implacabile della repubblica fiorentina, pervenuto che fu ad impadronirsi di Genova, in mezzo alla pace poco innanzi da esso giurata, diede tosto occasione ai Fiorentini di turbare la loro, mettendo a soqquadro tutta lâItalia.
Uno dei primi passi del duca milanese alle ostilità contro il governo di Firenze fu quello di far catturare dai legni genovesi una nave mercantile di Luca Fallera escita dal Porto pisano, ossia da Livorno, allorchè veleggiava nelle parti di Ponente, e di farla ritenere con le sue merci in Porto Fino.
Invano la Signoria di Firenze inviò uno speciale ambasciadore al Senato di Genova e a quel luogotenente del Visconti con pressanti istruzioni per dolersi dellâarresto fatto della nave e delle mercanzie contro ogni diritto e ragione; invano per due volte si mandarono ambasciate dâillustri cittadini a Milano, prima, nellâautunno del l422, Mess. Nello di Giuliano Martini dottore di legge con Averardo deâMedici, e quindi nel settembre del 1423 lo stesso Mess. Nello con Bartolammeo di Niccolò Valori, ingiungendo ai medesimi lâobbligo di far conoscere a quel duca la sua malafede, i suoi artifizii, e tutte le cause esporgli, per le quali il popolo fiorentino era costretto a prepararsi alla guerra, seppure la sua Signoria non provvedeva con sollecita riparazione e con effetto, acciocchè prima di tutto (per giovarmi delle parole originali) fossero restituite le robe dai Genovesi tolte ai nostri cittadini indebitamente, e che il nostro Porto pisano non sia molestato dai genovesi ne da altri suoi sudditi, ma ci siano observati i patti abbiamo coi genovesi da lui come Signore di Gcnova, realmente e senza contesa. Et ancora demandate (diceva lâistruzione) il salvacondotto di poter navigare, come proferse mess.
Nanni degli Strozzi ambasciodore del marchese Niccolò dâEste, et ancora mess. Franchino nella prima ambasciata. (ARCH. DELLE RIFORMAG. DI FIR. â AMMIR. Istor. fior. Lib. XVIII) Dopo inutili lagnanze, dopo varie ambiguitĂ , i Fio rentini si risolvettero alla guerra, eleggendo Carlo Malatesta in loro capitano, e chiamando molti altri prodi ufiziali nel loro esercito. Quindi la Signoria strinse lega con Alfonso re dâAragona, al quale aveva promesso 500 fanti per assalire Genova con la sua armata navale e strapparla dalle mani del Visconti.
Frattanto Alfonso imbarcatosi a Napoli e approdato a Livorno, non trovando pronti i 1500 soldati fiorentini, senza indugio volle proseguire il suo viaggio per la Spagna.
Nella compra di Livorno del 1421 era per altro corsa una condizione onerosissima e di gran danno al commercio nazionale, come quella di obbligare i Fiorentini, tostochè volessero navigare nelle parti di ponente per lâOlanda, le Fiandre e l'Inghilterra con panni, lane, o altre mercanzie per condurle in Genova o nella sua riviera, e da Genova a Talamone, a doverle caricare sopra navi deâGenovesi con pagare le gabelle conforme erano tenuti nei tempi trascorsi.
Da cotesta condizione umiliante il Comune di Firenze, dopo spesi in tre anni di guerra due milioni e mezzo di fiorini dâoro, cercò di liberarsi mediante il trattato stipulato in Venezia lâultimo giorno dellâanno 1426; nel quale per la mediazione del pontefice Martino V restò convenuto che il duca di Milano, come signore di Genova dovesse liberare i Fiorentini da qualsiasi obbligo di far condurre le loro merci dai porti dellâInghilterra e delle Fiandre sui legni dei Genovesi, come pure da ogni pena nella quale fossero incorsi per non lâavere osservato. Se non che dopo pochissimi giorni si vide, che al Visconti piuttosto che la pace piaceva di continuare la guerra; sicchè i Fiorentini dovettero ritornare in lizza e spendere un altro milione di zecchini innanzi di ridurre il duce di Milano a chiedere quella pace, che finalmente restò fissata e conclusa in Ferrara li 18 aprile dellâanno 1428.
Ciò non ostante i Genovesi non desisterono dalle rappresaglie di mare, le quali solamente nel 1429 sospesero per via di tregua, ricevendone il contraccambio per decreto della Signoria di Firenze.
In questo mentre nei cantieri di Livorno e di Pisa si costruivano galere grosse da mercatura e galere sottili da guardia, con lâordine ai consoli di mare di fabbricarne uno ogni sei mesi, assegnando a tal uopo 1200 fiorini lâanno deâdanari destinati allo studio pisano. Infatti due galere cariche di merci partirono dal porto di Livorno nel di primo di febbrajo del 1429, e due altre ai primi di settembre dello stesso anno, prendendo la via di ponente per lâInghilterra e per le Fiandre, mentre diverse galere si noleggiavano dai mercanti fiorentini per dirigersi in Romania, nel mare Jonio e nell'Arcipelago con la mira di fare il commercio direttamente sopra i proprii navigli, e non prendere piĂš la legge dalle potenze marittime del Mediiterraneo.
Nè a questi soli si limitarono i provvedimenti della Repubblica, avvegnachè, ad oggetto di far prosperare il traffico, richiamare a Livorno mercanti e assicurare il passaggio alle loro merci, i consoli di mare ebbero ordine dalla Signoria di accomodare fuste e galere della Repubblica ai negozianti fiorentini. Delle quali galere nel 1429 ne fu data una per cinque anni senza spesa a Domenico Dolfini mercante fiorentino, acciocchè facesse il viaggio di Ragusi almeno due volte lâanno, con obbligo di tornare col nuovo carico a Livorno. Le merci che portava in Levante consistevano in un migliajo di pezze di panni di lana Francesca e Sanmattea , per la maggior parte fabbricati in Firenze, riportandone di lĂ in cambio argento, oro, cera, pellami ed altre mercanzie. Un simile favore venne accordato pure ai consoli dellâarte della lana di Firenze, per fare il loro commercio in Inghilterra, nellâisola di Majorca, ec. (Pagnini, Della Decima T. II).
Nel tempo che sÏ bene camminavano le faccende commerciali, sopraggiunse a dannergiarle la guerra di Lucca ed un altro piÚ fatale nemico, la pestilenza del 1430, quella che smunse di forze e di denari la Repubblica, questa che decimò lo stato di popolazione, e maltrattò talmente i Livornesi che nel domandare al governo la triennale conferma delle solite esenzioni, supplicarono, che in vista dei diminuiti abitanti venisse ridotto a 100, invece di 150 staja, il sale, che erano obbligati a levare in ciascun anno.
Tale domanda, essendo stata accordata, ci dĂ chiaramente a conoscere che la popolazione di Livorno a quellâepoca non poteva essere molto maggiore di 500 persone, ogni qualvolta cento staja di sale corrispondevano a 5000 libbre, vale a dire 10 libbre per individuo di consumo.
Nè tampoco i Genovesi tennero fermo lâaccordo delle sospese rappresaglie, poichè, o per proprio istinto, o per esservi spinti dal Visconti loro padrone, essi aiutavano questo contro i Veneziani, mentre ai Lucchesi fornivano sussidii contro i fiorentini. Si vendicarono in mare i Veneziani e i Fiorentini, tostochè, nellâagosto del 1431, l'ammiraglio veneto Pietro Loredano alla testa di sedici galere di sua nazione guidò in Livorno, ed unitosi quivi ad una flottiglia fĂŹorentina governata da Paolo Rucellaj, si diresse verso Genova a combattere la flotta dei nemici composta di 22 galere e di una nave grossa capitanata da Francesco Spinola. Incontraronsi le due armate nella riviera di Levante presso Porto fino, e senza lâuna schivar lâaltra, si accozzarono animosamente insieme, combattendo ciascuno con tutte le forze del corpo e dellâanimo, sicchè il sanguinoso conflitto, facendosi sempre piĂš terribile, continuava giĂ da tre ore, quando la vittoria fu decisa dal coraggio e dalla perizia di un nobile fiorentino, Raimondo Mannelli, il quale vedendo le due navi capitane, veneta e genoves e, affrontate insieme, combattersi fra loro come se fossero in terraferma, sperando ciascuno che qual delle due navi vincesse deciderebbe della battaglia, Raimondo con la galeazza che comandava, ad onta che i suoi marinari ricusassero di tentare un si ardito colpo di mano, costrinse il timoniere con le minacce, impugnando unâaccetta, a dovere spingere la galeazza verso il sanguinoso conflitto, in guisa che con grandissima furia andò ad urtare nella capitana genovese. La qual nave vacillando discostossi dalla sua nemica; nè potendo i soldati di quella reggersi sul bordo, convenne che molti sdrucciolando cadessero nel mare; per la qual cosa i legni genovesi si posero alla fuga cercando scampo nel vicino Porto fino, a Genova e una parte a Piombino, lasciando otto galere in preda dei vincitori.
Il frutto di questa giornata navale poteva esser maggiore se lâarmata vittoriosa avesse preso immediatamente la via di Genova, onde ne fu biasimato il veneto ammiraglio per fino dalla Signoria di Firenze, che con somma liberalitĂ concesse che prigioni, navi predate, bottino, bandiere ed ogni cosa vinta, a Venezia per trofeo ed onore di quella repubblica fosse portata.
Può dirsi questa la prima impresa navale, nella quale prendessero una parta attiva capitani fiorentini con legni e marinari livornesi.
Fu poi pietosa ed onorevole la spedizione fatta nel 1434 d'ordine del Comune di Firenze di due galere 8 Civitavecchia per liberare Eugenio IV dai Romani tenuto quasi prigione, sicchè non senza pericolo salvatosi il Pont.
per il Tevere sulla galeazza della Repubblica, il dÏ 12 di giugno arrivò a salvamento a Livorno. La qual cosa fu reputata in Firenze a felice augurio, per essersi in quel medesimo giorno errato l'occhio della famosa cupola di Filippo Brunelleschi.
Volendo avvicinarsi piĂš dappresso allâistoria parziale di Livorno, non troviamo in questi tempi indizio alcuno che annunzii una qualche sorta di prosperitĂ , forse a cagione dellâinterrotto commercio, e delle guerre testĂŠ accennate, e forse anche del crescente impaludamento del contiguo seno del Porto pisano, sicchè gli abitanti, per la cattiva disposizione dell'aria che quivi giĂ , da molti anni si manifestava, piĂš presto mancavano, o infermi vivevano da non potersi che malamente industriare.
Arroge a tuttociò la guerra ostinata che Alfonso di Aragona mosse per mare e per terra alla Rep. fiorentina, e la vittoria navale dagli Aragonesi fra Porto Baratto e la Torre di S. Vincenzo riportata (luglio 1448); dopo la quale ai Fiorentini mancò la speranza di acquistare impero nel mare, e al porto di Livorno, prosperitĂ e concorso. In conseguenza di tanti infortunii i Livornesi, all'occasione di richiedere la triennale conferma dei privilegii, nellâaprile del 1449 domandavano di essere esonerati non solo dalla solita annua tassa di 650 fiorini, ma ancora dal debito arretrato, per la ragione, dicevano essi, che il paese era molto diminuito di abitanti e di sostanze, massimamente a cagione della guerra del re dâAragona, nella quale guerra Livorno aveva dovuto sostenere delle spese straordinarie. Dondechè la Signoria di Firenze, con deliberazione vinta li 28 aprile del 1449, nel tempo che assolvè il Comune di Livorno da ogni suo debito arretrato, ordinò la conferma di tutte lâesenzioni precedentemente concesse, e lo assolvè dall'annua tassa per le gabelle del vino e del macello, salvo quella di dover prendere cento staja di sale e pagare in due rate lire 406 del suo valore. Questi stessi privilegii furono molte altre volte dalla Repubblica confermati con posteriori provvisioni. (Targioni, Viaggi T. II).
Ne minore fu la cura, che ebbe la Rep. fior. di fortificare Livorno, e fornire nel tempo stesso mezzi di lavoro alla classe minuta del popolo, mentre la Signoria, nel 1458, diede ordine ai consoli dell'arte della lana di Firenze, come quella che piĂš dellâaltre arti e manifatture nazionali partecipava dei vantaggi del commercio con lâestero, di somministrare ai consoli di mare fiorini 4000 lâanno, affinchè fossero erogati delle fortificazioni e nelle mura castellane, che costruivansi intorno al primo cerchio, di Livorno. (PAGNINI, Della Decima T. II).
Nel 1463 le esenzioni a favore dei Livornesi vennero ampliate ed estese alla gabella delle doti delle mogli qualunque fosse la loro patria, ed anche alla gabella dei contratti riguardanti la vendita dei beni posti nel territorio livornese, non ostante che gli atti si rogassero fuori della stessa sua giurisdizione. (ARCH. DELLE RIFORMAG.
DI FIR.) Tali concessioni erano altresĂŹ potentemente reclamate dalle turbolenze del Levante per le conquiste del Turco, sicchĂŠ la Rep. fior. fu costretta a sospendere le spedizioni delle galere per le parti di Romania, ed a perdere il traffico del Marnero sebbene nel 1460 le galeazze livornesi, overâerano sopra tre illustri fiorentini, Francesco Vettori, Agostino di Nerone, e Bernardo Corbinelli, cariche di drappi e broccali, di panni, di olj e saponi, appena arrivate a Costantinopoli fossero state da Maometto benignamente accolte. (BENEDETTO DEI Cronic. â PAGNINI, Della Decima, libro cit.) Nel 1447 la Signoria di Firenze nellâatto di prorogare ai Livornesi le consuete esenzioni, vi aggiunse quella delle gabelle delle porte per quei generi e merci che vi sâintroducessero per uso unicamente delle proprie famiglie. (ARCH. cit. â TARGIONI, Viaggi T. II).
In questo suddetto anno 1477 furono upprovati dal governo di Firenze li statuti municipali, in conseguenza dei quali i Livornesi non potevano essere convenuti al tribunale della mercanzia di Firenze, nĂŠ altrove.
Qualora peraltro si trattava di una somma maggiore di scudi 500, era facoltĂ di appellare al tribunale dei consoli di mare, salvo per quelle cause che involvessero articoli di ragione, per i quali lâappello era comune tanto ai consoli predetti, come alla Ruota.
Unâaltra rubrica di quello statuto tende a dimostrare la decadenza, in cui era Livorno; dicendosi ivi âper cagione che la terra di Livorno è venuta in grande calamitĂ e miseria, e gia disfatto il piĂš delle barche di Livorno per li cattivi guadagni, si provvede che, per lâavvenire le barche e i navigli di Livorno sieno i primi a scaricare e caricare tutte le navi, e galeazze e altri navigli di mercanzie ec.â La guerra riaccesa coi Genovesi per cagione di Pietrasanta e di Sarzana, obbligò i Fiorentini a soldare alcuni abili capitani con 18 galere, una parte delle quali capitanate dal francese ammiraglio Riccasens nel novembre del 1484 escĂŹ dal porto di Livorno dirigendosi verso Genova, sotto gli ordini di Niccolò Marielli, commissario dell'armata a tal uopo dalla Signoria con ampia autoritĂ destinato. Ma, o perchè i Genovesi avessero maggiori forze navali, o perchè il francese ammiraglio riputasse lâimpresa di molto pericolo, fatto stĂ che ripiegò la prora e i remi verso donde era partito; sennonchĂŠ, essendo comparso a Livorno li 8 dicembre con altre sei galere l'atteso capitano Villamarina, fu risoluto che lâarmata di genti e di tutte le cose necessarie fornita, senza altra tardanza si levasse da Livorno siccome eseguĂŹ nella notte di natale, e si avviasse alla volta di Genova; lo che accadde poco innanzi lâavviso della rotta ricevuta dalla flotta dei fuorisciti genovesi comandata dall'exdoge Gio. Battista Fregoso, e della comparsa davanti a Livorno di quella nemica. Per la qual cosa invece di assalire, fu gioco forza pensare a difendersi dai Genovesi, i quali tentarono per mezzo di un puntone di battere e conquistare la Torre nuova davanti al Porto pisano, sebbene i Fiorentini provvedessero al riparo col postare di contro altro pontone a sua difesa.
Del resto non vi era luogo da temere di perdere Livorno, essendo state fatte gagliarde provvisioni e trovandovisi molte genti d'arme comandate dal conte di Pitigliano e da Ranuccio Farnese. Alle quali cose si aggiunse il ritorno della flotta gallo-fiorealina che costrinse i nemici a levarsi frettolosamente di lĂ , e con gran disordine darsi alla fuga.
Quattro anni dopo, nellâaprile del 1489, Livorno festeggiò lo sbarco d'Isabella d'Aragona figlia di Alfonso duca di Calabria, mentre andava a marito al duca di Milano. In tale occasione la Signoria di Firenze inviò tre ambasciatori a riceverla ed onorarla; ma questi restarono di gran lunga soperchiati dalla magnificenza di Piero deâMedici, venuto a Livorno per ordine di Lorenzo suo padre ad oggetto di far la sua corte con pomposo sfoggio alla principessa spagnuola.
Fu questi quel Piero deâMedici, il quale nel 1494 a guisa di assoluto sovrano senza autorizzazione del suo governo, appena arrivato con il suo esercito Carlo VIII in Lunigiana, di proprio arbitrio, e temerariamente, fidandosi al debole pegno di un foglio firmato da quel re, trascorse a consegnare alle truppe francesi le fortezze di Sarzana, di Sarzanello e di Pietrasanta, e poco dopo anche quelle di Pisa e di Livorno, piazze tutte importantissime che da quella parte servivano di chiave al dominio fiorentino. In questo modo, per la temeritĂ di un giovane la Rep.
fiorentina perdè Livorno, talchè allâarrivo in Firenze di Carlo VIII e delle sue genti, senza i virtuosi sforzi, e le risolute parole di Pier Capponi la patria con danno della sua libertĂ a troppo disoneste domande avrebbe dovuto soggiacere. Frattanto Pisa, Livorno e le altre tre fortezze a sicurtĂ del re in guardia ai Francesi si rimasero, con la promessa di restituire il tutto ai Fiorentini subito che fosse finita lâimpresa del regno di Napoli. Ma non fu che poco innanzi di rivalicare le Alpi Cozie, che Carlo VIII promise di restituire senzâaltra dilazione Pisa e Livorno ai Fiorentini. In questo tempo i Veneziani, il duca di Milano ed i Genovesi, rivali della Rep. fiorentina di concerto deliberarono di aiutare i Pisani non giĂ per assicurare a questi la propria libertĂ , e restituire loro il porto di Livorno, ma per la cupiditĂ dâinsignorirsi dellâuno e dellâaltro paese.
Arrivarono però in Toscana piÚ prontamente dei collegati le compagnie francesi, e gli ordini del re senza dilazione, ma non senza buona somma di fiorini, furono adempiti dal comandante della terra e fortezze di Livorno, che consegnò al commissario della Repubblica.
Con opposto procedere frattanto agiva il castellano della cittadella di Pisa, il quale invece di ubbidire ai voleri del suo sovrano, e consegnare la fortezza ai Fiorentini, la diede in piena balia di quel popolo, che per suo consiglio dai fondamenti la rovinò. Nè trascorse molto tempo che i comandanti francesi di Sarzana e Sarzanello, anzichè cedere quelle piazze alla soldatessa della Rep. fiorentina, le venderono ai Genovesi quasi contemporaneamente alla cessione fatta ai castellani francesi, di Motrone e di Pietrasanta al governo di Lucca.
Nel tempo che queste cose accadevano, andava da ogni parte crescendo il pericolo per Livorno, e a danno dei Fiorentini un grandissimo incendio sorgeva. Avvegnachè i Veneziani, il duca di Milano, i Genovesi, i Senesi e lo stesso Imperatore di Germania, mossi tutti da diversi fini, ma tutti con il desiderio di farsi piÚ potenti a scapito dei protetti, oppure dei vinti, concorsero con mezzi varii e per vie diverse alla difesa di Pisa, e alla conquista della terra e porto di Livorno; nè vi era fra essi chi non sperasse con prontezza e facilmente impadronirsi di quest'ultima piazza; la quale, riunita che fosse a Pisa, pareva agli alleati che privare dovesse di ogni speranza i Fiorentini di potere mai piÚ ricuperare quella città col suo territorio.
Ad accrescere cotante turbazioni eccitate dai nemici esterni, si aggiungeva in quel tempo il danno piu incalzante di un nemico interno, quale si era quello di una gravissima carestia che stringeva Firenze e tutto il suo dominio.
Pur nonostante in mezzo a tante difficoltĂ minacciati da sĂŹ grandi pericoli, i cittadini e i governanti di Firenze stavano per timore piĂš uniti e concordi alla conservazione della propria libertĂ . Fu allora che la Signoria fra le altre cose propose, e i collegii della repubblica deliberarono, di non aderire ai consigli dati dai ministri della lega nemica, talchè fu rifiutato di fare dichiarazione alcuna con Cesare, e molto meno di rimettere in suo arbitrio le ragioni dei Fiorentini sopra Pisa, se non dopo aver riottenuto il possesso di quella cittĂ . Quindi i Dieci della guerra con ogni sollecitudine attesero a riunire gente dâarmi, a fortificare e provvedere quanto piĂš fosse possibile la piazza di Livorno, nel mentre che la repubblica dirigeva i suoi eserciti nel contado di Pisa.
Calava intanto dalla Germania in Italia lâImperatore Massimiliano I, il quale appena giunto per la via di Genova a Pisa, deliberò di mettersi alla testa dellâesercito della Lega e condurlo davanti a Livorno con la risoluzione di assaltarlo per terra, nel tempo che una flotta Veneto Genovese lo avrebbe combattuto dalla parte di mare, quando appunto molte compagnie di Pisani con altre truppe degli alleati tenevano in scacco lâesercito dei Fiorentini in Val dâEra.
Ma niuna impresa, niun progetto militare spaventò il governo di Firenze, il quale, dopo avere provveduto Livorno di armi e di artiglieria, cercava ogni via per fornirlo di viveri e di un maggior soccorso di gente dalla parte di mare. Al quale uopo la Signoria assoldò militari Svizzeri, Guasconi e Provenzali con navi francesi e galeoni, affinchè quelle cariche di armati, questi di vettovaglie si dirigessero sollecitamente a Livorno dalla carestia piÚ che dal timore degli assalitori minacciato.
La quale operazione, sebbene da principio incontrasse non poche difficoltà , pure in progresso fu tanto favorita dalla fortuna, che nel giorno, in cui arrivò la vanguardia dell'esercito Tedesco-ltaliano per piantare gli accampamenti intorno a Livorno, in quel giorno appunto (28 ottobre 1496) si presentarono alla vista del porto in soccorso dei Livornesi sei navi con dei galeoni provenienti da Marsilia, e fu quel viaggio accompagnato da un vento cotanto prospero che, senza opposizione della flotta nemica, costretta dal tempo a prendere il largo, vidersi entrare a vele gonfie nel porto con la sola perdita di un galeone carico di grano, il quale dopo pochi giorni venne pur esso ritolto agli sbaragliati nemici.
Tanto opportuno fu questo soccorso che, oltre al confermare grandemente lâanimo dei Fiorentini, dette ardire a quelli di dentro di uscire fuori e assalire animosamente il campo degli assedianti, i quali furono battuti e respinti con perdita, gli uni fino al ponte di Stagno, e gli altri fino alle sponde del mare.
Non per questo lâImperatore desisteva dalla brama di conquistare per forza Livorno, avauti a cui erano schierati mille cavalleggeri, 4000 fanti, e 500 uomini dâarme, senza le molte forze navali. Lo stesso Cesare, montato in sulle galere visitò il sito in sino alla bocca dello Stagno ; poscia esaminò da qual lato per terra si poteva con piĂš opportunitĂ piantare il campo.
Aveva egli di giĂ assegnata l'oppugnazione della parte orientale al conte di Cajazzo, châera stato mandato dal duca di Milano, e postosi lâImperatore medesimo dallâaltra parte dava il segnale di assalire impetuosamente Livorno, allorquando altri accidenti celesti vennero a soccorso dei Fiorentini. Essendochè dal primo giorno sino al sette di novembre caddero tali e sĂŹ fatte piogge, che, non dirò non combattere e assaltare le mura di Livorno, ma neppure dentro i padiglioni potevano gli assedianti ripararsi. â Appena però le pioggie erano alquanto cessate, il dĂŹ seguente incominciarono gli assalitori ad accostarsi alle fortificazioni, sebbene con molta difficoltĂ per la molestia che loro recavano le artiglierie dei difensori.
I primi assalti furono diretti contro la torre di Magnano, la Torre nuova e quella detta del Palazzotto davanti al Porto pisano, e ciò nel tempo medesimo che la flotta degli alleati investiva Livorrio dalla parte di mare. Ma lâoppugnaziane delle sopraindicate torri riesciva di poco frutto per esser munite in modo che l'artiglierie poco le offendevano, e quelli di dentro spesso uscivano fuori a scaramucciare animosamente contro gli assalitori, i quali furono piĂš volte a rischio di perdere i pezzi da campagna, siccome restarono preda del presidio molti Alemanni ed Albanesi. â Anche Cesare andò quasi a rischio di lasciarvi la vita, avvegnachĂŠ fu voce, che un pezzo di mitraglia trapassasse una manica del suo abito. (GUICCIARDINI, AMMIRATO, e NARDI Istor. Fior.) Ma era destinato che la speranza dei Fio rentini cominciata col favore dei venti, continuata con il benefizio delle dirotte piogge, avesse il suo compimento nelle procelle di mare. Imperocchè levatasi in quel dĂŹ una gagliarda tempesta, fu da questa in tal modo agitata, dispersa e conquassata la flotta degli alleati, che la capitana genovese, sulla quale aveva fatto passaggio la persona di Cesare, combattuta lungamente dai venti e dalle procelle, naufragò con tutto lâequipaggio e le artiglierie nello scoglietto di rimpetto alla fortezza vecchia di Livorno; ed il medesimo accidente accadde a due galere veneziane che furono spinte a traverso nella spiaggia di S. Jacopo dâAcquaviva, nel tempo che altri legni quĂ e lĂ ributtati restarono talmente sconci, che essi non furono piĂš atti per allora a rimettersi in mare.
Per le quali vicende dellâarmata marittima, e pel niun successo di quella di terra, dopo molte consulte fra lâimperatore ed i suoi generali, diffidando tutti di potere conquistare Livorno, fu deliberato di levarne gli accampamenti. Infatti nel medesimo dĂŹ che lâesercito si mosse di lĂ , lâImperatore andò a Vico Pisano, e il giorno dopo si avviò verso Bientina per riconoscere il paese; al qual luogo essendosi Cesare appressato, gli furono tirati addosso sette colpi di passavolante. Quindi ritornato che fu addietro, egli fece radunare per due volte il consiglio di guerra, ed aperte alcune lettere state intercettate, dellâambasciatore francese a Firenze, sâintese dal contenuto, che qualora il re di Francia avesse mandato presto 4000 fanti in Toscana, i Fiorentini facilmente avrebbero preso lâImperatore prigione: a noi pare, soggiunse Cesare, raccontando il fresco accidente di Bientina, e memore di quello precedentemente avvenutogli sotto Livorno: a noi pare che i Fiorentini ci vogliano morto piuttosto che preso .
Un monumento superstite, sebbene guasto dal tempo, rammenta il coraggio dai villici Livornesi nell'assedio dell'anno 1496 dimostrato; voglio dire della Statua mutilata rappresentante un Villano sopra la fonte pubblica vicina alla Pescheria vecchia di Livorno, con due cani che gli siedono accanto, simbolo parlante della Fede, per la quale in mezzo ai pericoli allora i Livornesi si segnalarono.
Erano ridotte a questo punto le operazioni di guerra, quando Massimiliano I nel quartiere generale di Vico Pisano dava ordini agli eserciti alleati, come se volesse continuare lâimpresa, tenendo però occulto ove meditava dâincamminarsi; quando egli con niun profitto e con minore dignitĂ prese allâimprovviso la via di Monte Carlo, di Lucca e Sarzana e di lĂ valicando l'Appennino di Pontremoli, recossi a Pavia, col lasciare gli alleati nella lusinga di tornare allâassedio di Livorno un poco meglio accompagnato.
ln tal guisa si vide ogni deliberazione ostile svanire, mentre lâoste Fiorentina avendo preso maggior animo, si diresse a riconquistare le terre delle colline pisane, le quali in poter dei nemici erano pervenuti, e ciò precipuamente ad oggetto di aprirsi una via piĂš diretta con Livorno. La quale operazione riescĂŹ cosi prospera, che in pochi giorni lâesercito del Comune di Firenze ricuperò i castelli di Ceuli, di Terricciuola e di Sojana in Val di Cascina, e poco dopo i paesi di San Regolo, Tremoleto, Santa Luce e Colognola in Val di Tora, e di lĂ finalmente avviandosi ad assalire la Bastia di Stagno.
Non avevano ancora i Fiorentini terminato di riconquistare il perduto contado di Pisa, quando lâesercito della lega volgeva di nuovo una parte delle sue forze verso Livorno con animo di ricuperare prima di tutto la perduta Bastia di Stagno. La quale impresa andò fallita, stante che 1500 fanti con 400 cavalleggeri dellâesercito Veneto Pisano, appena erano giunti al ponte di Stagno per dar lâassalto a quel bastione, essi di notte tempo e allâimpensata dalle genti dei Fiorentini vennero assaliti e sbaragliati in guisa che, oltre ad essere rimasti molti di loro prigionieri, al resto dei vinti riuscĂŹ a fatica con frettolosa fuga di salvarsi Sarebbero senza dubbio accadute dellâaltre fazioni nelle vicinanze di Livorno, combattendosi dallâuna e dall'altra parte con ira e con rabbia, come sono state tutte le guerre tra i Fiorentini e i Pisani, senza una tregua, che fece la Spagna con la Francia (5 marzo 1497); mercè la quale si dovettero posar le armi anco in Toscana, essendovi stati compresi i Pisani, come aderenti del re di Spagna, e i Fiorentini di quella de'Francesi. Ma al terminare della tregua col mese di ottobre dello stesso anno 1497 si tornò allâopere della guerra, preparando ciascuna delle parti provisioni gagliarde per il tempo nuovo.
Fu maravigliosa in questi tempi la diligenza e lâindustria delle due repubbliche, lâuna per recuperare con ogni sforzo e spesa le cose perdute, lâaltra per acquistare con tanti sacrifizii e fatica la cittĂ di Pisa con il suo contado.
Non è questo il luogo da tener dietro allâandamento di cotesta guerra, se non per aggiungere che, nel 1499, riescĂŹ finalmente allâoste pisana di riavere la Bastia di Stagno, quantunque poco tempo dopo lo stesso posto ritornasse in potere dei Fiorentini, dalle cui mani non escĂŹ mai piĂš. â Vedere Bastia presso Livorno.
Ă facile peraltro argomentare, che tali vicende gravissimo danno recare dovevano al commercio di Livorno, bersagliato da ostilitĂ tanto lunghe ed ostinate; quindi è che, dopo il 1496, non s'incontrano fatti da dirsi di qualche inportanza per l'istoria di Livorno, seppure non si volesse far conto dellâarrivo ivi accaduto nel 1503 di una squadra navale spagnuola, che accompagnava a Napoli il re Ferdinando dâAragona. â Spetta bensĂŹ allâistoria municipale di Livorno una risoluzione presa dal consiglio generale di quella comunitĂ , quando lĂŹ 3 marzo del 1507 (stil. fior.) elesse due sindaci per inviarli a Firenze a domandare lâapprovazione e conferma deâsuoi statuti municipali sino dal 1494 riformati. La quale inchiesta fu proposta, deliberata e concessa dai Signori e Collegi della Repubblica nel giorno 8 dello stesso mese. Fra gli articoli di quelle sostituzioni havvi una rubrica riguardante il diritto che sino dâallora ottennero i facchini e marinari Livornesi: quello cioè di caricare e scaricare con le proprie barche le mercanzie che recavano i legni esteri nel Porto pisano . La quale ultima espressione di Porto pisano volendosi omessa negli statuti posteriori del 1529, e del 1544, ci dĂ in certo modo a conoscere, che il Porto pisano a queste due ultime epoche non fosse piĂš servibile, sicchĂŠ i navigli di qualunque capacitĂ e grandezza dovessero necessariamente approdare nel contiguo porto, che attualmente serve di darsena a quello di Livorno.
Nel 1511 il governo della repubblica oltre la proroga per cinque anni degli antichi privilegii, concesse ai Livornesi la facoltĂ di poter eglino senza dazio vendere a minuto i vini che raccoglievano nel loro territorio, con obbligo però di rinfrancare il Comune di Firenze di cio che fosse per riscuotere di meno della gabella solita pagarsi dagli osti e tavernieri. (ARCH. DELLE RIFORMAGIONI DI FIR.) Nella proroga delle stesse esenzioni, allâanno 1517, la Signoria di Firenze deliberò, che non potesse vendersi nel circoodario della giurisdizione di Livorno Vino forestiero nè nostrale sopra le barche a minuto senza il pogamento delle antiche gabelle, intendendo però di esentare da tale proibizione i Livornesi sopportanti gravezze (loc. cit.).
Fra le poche ed ultime memorie di Livorno durante la repubblica fiorentina ra mmenterò, qualmente allâanno 1521 non solo furono dalla Signoria confermati a quegli abitanti le solite immunitĂ , ma eziandio essa deliberò di demolire le case vicine alla canonica e pieve di Livorno, nel luogo che poi si disse la piazzetta del commercio, onde preparare una spianata davanti alla fortezza nuova che il Comune di Firenze era per fabbricare nel luogo della piccola rocca eretta alla bocca del porto sotto il governo di Genova.
Nellâanno 1522, quandâera castellano della fortezza di Livorno Jacopo di Pietro Ginori, vi arrivò accompagnato da numerosa flotta il nuovo pontefice Adriano VI proveniente dalla Spagna, il quale fu costĂ festosamente accolto, e con i dovuti onori dagli ambasciadori del governo fiorentino e da sei cardinali toscani corteggiato.
Fra gli ultimi castellani di Livorno sotto il regime della Republlica fiorentina lâistoria ha segnalato allâanno 1528 un capitano in Galeotto da Barga, il quale, dopo lâultima espulsione dei Medici, invitato dalla Signoria a consegnare la fortezza al suo commissario Filippo Strozzi, egli vi si rifiutò dicendo: di tenerla dal pontefice Clemente VII. Nè vi volle meno che una buona somma di danaro e la promessa di una grossa pensione per capitolare con quel Galeotto guardiano. Ciò nonostante nulla giovò a riacquistare Livorno alla moribonda repubblica, mentre la stessa capitale, dopo undici mesi di ostinato assedio, dovè abbassare la fronte e cedere le ragioni del suo governo agli espulsi discendenti del vecchio Cosimo e di Lorenzo il Magnifco.
LIVORNO SOTTO LA DINASTIA MEDICEA Bersagliata quasi sempre ed afflitta la repubblica fiorentina, ora dalle guerre esterne, spesse volte dalle turbolenze interne, non di rado dalle pestilenze e dalle carestie, giammai essa potè, siccome ardentemente agognava, divenire potenza marittima; ed in conseguenza mancò a lei quel resultato che dal dispendioso acquisto di Livorno poteva sperare. â Pare che un simil germe dovesse crescere in altra stagione. Era un frutto riservato a cogliersi dalla dinastia Medicea, la quale seppe maravigliosamente e con piĂš efficacia la stessa pianta fecondare.
Le guerre, le divisioni intestine, i tanti e si lunghi travagli, dei quali finalmente restò vittima il governo della Rep. di Firenze, dovettero senza dubbio influenzare sulla sorte di Livorno e del suo commercio, siccome nei tempi piÚ remoti gravissimi danni aveva risentito il Porto pisano dalle battaglie marittime che fecero crollare la potenza di Pisa. Quindi è che la Signoria di Firenze dopo immense spese e somme traversie senza potersi immaginare la piena di cotante calamità che doveano abbatterla, non potÊ in un modo pari al desiderio le sue cure rivolgere al piÚ importante scalo della Toscana.
A tale scopo peraltro si rivolse il primo duca di Firenze, Alessandro dei Medici, per di cui comando fu posto in esecuzione il progettato disegno di fortificare Livorno in miglior maniera collâerigere allâingresso del suo porto una specie di cittadella, oggi detta la fortezza vecchia, la quale restò terminata nell'anno stesso che fu trucidato il suo fondatore (1537).
Nè a questo solo si limitò il primo sovrano, mediceo in vantaggio di Livorno, mentre appena che quel magistrato civico gli chiese la conferma dei soliti privilegii, egli diresse a Baccio Corsini capitano del luogo una lettera, affinchĂŠ a favore dei Livornesi fossero concedute le consuete immunitĂ , e perchè ancora si moderasse alquanto, (assicura il Varchi nelle sue Ist. fior. Lib. XIII) lâingordigia delle gabelle in quella dogana. Si crede dai piĂš che possa risalire all'epoca del duca Alessandro, lo stemma che i Livornesi inalberarono col porre sopra una fortezza la bandiera con la parola FIDES, stantechĂŠ quel duca encomiò la continuata affezione e fede dai Livornesi alla casa dei Medici dimostrata; sebbene quel Fides sembri appellare alla Fiducia, o Credito, che ĂŠ lâanima e la vita del commercio.
Di maggiore importanza e di grandi resultamenti motrici furono le misure prese dal successore del duca Alessandro per richiamare abitanti, mercanzie e commercio in Livorno; specialmente dopo che il duca Cosimo fu entrato al possesso delle fortezze, le quali sino al luglio del 1543 dagli Spagnuoli in nome dellâImperatore Carlo V erano state presidiate.
Cosimo I superò non solamente il suo antecessore, ma fu della stessa Rep. fiorentina piÚ largo e piÚ operoso a favore di Livorno avvegnachè egli ideò un nuovo molo, e gettò del suo incremento statistico a materiale tali fondamenti, che furono seme alla sua futura prosperità .
Il primo passo fatto dal duca Cosimo dei Medici in benefizio ed accrescimento della popolazione di Livorno fu quello di richiamare in vigore una provvisione della Rep. fiorentina del dĂŹ 21 giugno 1491 in favore di quelli che si fossero recati ad abitare in Pisa, a Livorno e nel loro territorio, coll'accordare immunitĂ da certe gravezze, tra le quali ivi si novera quella dei grossi nuovi, che i sudditi dello Stato erano tenuti e continuavano a pagare per la fortezza stata eretta dal duca Alessandro in Firenze.
Inoltre nello scopo di chiamar gente con quellâindulto Cosimo accordava ai forestieri, purchè fossero andati a stabilirsi familiarnmente in Livorno o nel suo capitanato, oltre i privilegii comuni agli abitanti indigeni, lâesenzione per dieci anni dalle gravezze ordinarie e straordinarie rapporto ai beni stabili che ivi fossero per acquistare. In quanto poi spetta, ad aggravii personali col bando medesimo i nuovi inquilini dichiaravansi liberi da ogni imposizione di tale specie, meno che dall'annuo testatico di soldi 10 per ogni capo di famiglia In aumento allo stesso indulto, e allâeffetto medesimo di popolare Livorno, fu pubblicata la notificazione dei 26 marzo 1548, che può dirsi il primo stabilimento del privilegio, volgarmente designato sotto nome di Livornina; privilegio che Cosimo I concedè a qualunque individuo di qualsiasi luogo, condizione, grado o qualitĂ , che si fosse recato, o si volesse recare ad abitare familiarmente in Livorno, a Pisa o nei loro territorii con piena pienissima sicurtĂ per ogni debito pubblico e privato, proveniente da condannagione pecuniaria, nelle quali fosse per qualunque cagione incorso il nuovo abitatore, da non potere per conseguenza essere molestato nella persona o nei beni da esso acquistati in Livorno e nel suo capitanato .
A questa legge probabilmente volle riferire il Pad. Magri quando scrisse, che Cosimo nel 1548 fece Livorno Porto franco, a favore in particolare dei Portoghesi. Anche molti Greci orientali e scismatici, da Cosimo I invitati, vennero a stabilirsi in Livorno, ma la renitenza del Pont.
Pio V, nell'accordare a simili Cristiani la facolta di usare riti diversi da quelli determinati dal concilio ecumenico di Firenze, fu causa della loro dispersione.
Non dirò della grandiosa idea di Cosimo quando ordinò a Giorgio Vasari il diacono per fondare nn grandissimo molo, fra la lanterna e il porto vecchio che ora serve di darsena; nè tampoco dirò dellâedificazione di magazzini pubblici, della nuova torre del Fanale e di piĂš estese fortificazioni per assicurare Livorno da un colpo di mano; avvegnachè a tali imprese era Cosimo fortemente stimolato dal doppio oggetto di preparare un piĂš sicuro e comodo scalo tanto ai navigli mercantili stranieri, quanto alle galere che neâsuoi arsenali fabbricavansi per farle montare dai cavalieri del nuovo ordine militare di S.
Stefano contro glâinfedeli ed i corsari, o per ispedirle per proprio conto cariche di ricche merci nelle parti di Ponente e di Levante. Infatti col guadagno che dal commercio quel sovrano ritraeva, era sempre in grado di far fronte a tante opere pubbliche da esso lui ordinate, agli onerosi imprestiti a varii principi somministrati, ed alle esorbitanti spese che egli dovè sostenere per istabilirsi sul trono della Toscana.
In grazia di tante opere, in conseguenza della libertĂ di coscienza, e di generose allettative, Livorno si vide tosto popolare di forestieri di vario culto e religione, di specie e condizione diversa; parte di quelli portavano seco ingegno e fortuna, quando altri non avevano altra dote fuorchè le braccia e poca moralitĂ . Fu per frenare le torbide e prave mire di questi ultimi che in seguito si dovettero aggiungere alcune rubriche e nuovi capitoli negli statuti municipali di Livorno da Cosimo I nel 1545 e nel 1556 stati approvati. Tale era la riforma di una rubrica che obbligava il creditore a dovere citare per tre volte il suo debitore innanzi di poter gravare i suoi effetti, rubrica che fu nei posteriori statuti (anno 1583 Cap. 61) sotto il Granduca Francesco I modificata nei termini seguenti: Atteso Livorno essere abitato la maggior parte da gente forestiera, e che quando dal messo viene citato alcuno, nascondendo subito quel poco di mobile che si trova, va poi con Dio, e non lasciando beni immobili, il creditore ne viene perciò defraudato, perciò riformando in meglio detto Statuto, ordinorno ec. (COLLEZIONE DEGLI ORDINI MUNICIPALI DI LIVORNO, ediz. del 1798, pag. 17. e 28.) Nel mentre che simili provvedimenti nella terra e distretto di Livorno ponevansi ad effetto, non restava per questo inoperoso lâarsenale vecchio di Pisa, deve per la vicinanza delle foreste, per il numero degli artigiani, per la quantitĂ degli arnesi e per la comoditĂ del locale, continuamente galere sottili ed altri legni da navigare costruivansi; sicchè Cosimo I, nellâanno 1558 trovossi in grado di offrire a Filippo II re di Spagna un buon numero di galere fabbricate negli arsenali di Pisa e di Livorno, avendo intenzione di farne capitano ammiraglio il suo terzo sventurato figlio, giovinetto di spirito sublime e di ottime speranze, qual era Don Garzia.
Nel 1562, lo stesso Cosimo, per testimonianza dellâAdriani, donò al Papa due altre galere nuovamente fabbricate in Pisa; e ciò poco innanzi che tornasse dalla Spagna il gran principe Francesco con quattro galere, le quali furono tosto consegnate alla condotta del capitano Baccio Martelli, valente ammiraglio ad oggetto di percorrere lâArcipelago ed il Mediterraneo per dar la caccia ai corsari barbareschi ed ai Turchi. Infatti la flottiglia toscana cercò quasi tutto il mare che si distende tra la Barberia e la Soria, ritornando a Livorno con qualche preda di valore.
Nellâanno 1564, mentre da Cosimo instituivasi lâordine militare di S. Stefano, fu conclusa una convenzione con le potenze in guerra contro il Turco, obbligandosi il Granduca di somministrare per cinque anni dieci galere bene equipaggiate con 15 soldati sopra ciascuna.
Succeduto al dominio della Toscana nellâanno 1574 Francesco I, egli pure non mancò di rivolgere le sue premure a favore di Livorno. Al quale oggetto introdusse pratiche collâambasciatore Turco a Venezia nella mira di ottenere dalla Porta la conferma degli antichi privilegii commerciali, che fino dal 1470 dal sultano ai Fiorentini erano stati concessi, oltre la resistenza del Bailo granducale a Costantinopoli.
PiĂš incalzanti e piĂš efficaci riescirono le istanze, che nellâaprile del 1577 furono fatte dallo stesso Granduca mediante un carteggio aperto col Capitan PasciĂ ; in conseguenza del quale il Gran Signore si decise per la conferma dei privilegii dal Granduca Francesco domandata. Sennonchè le galere della religione di S.
Stefano dovendo per instituto andare in corso contro gli infedeli, e il susseguente rapporto fatto al divano dei duri trattamenti ricevuti in Toscana da alcuni schiavi turchi, furono due motivi che bastarono a sospendere, e quindi a troncare fra i due governi ogni vita d i pacificazione.
Il commercio di Livorno non restò per questo arrenato, poichÊ quanto si veniva a perdere dalla parte della Turchia e del Levante, altrettanto si andava acquistando con le nuove relazioni commerciali nei porti della Spagna e nelle isole Baleari.
In questo medesimo tempo Francesco I, con solenne apparato militare civile ed ecclesiastico, ai 28 marzo 1577, gettava i fondamenti delle nuove mura, di Livorno, dopochè approvò il disegno della pianta eseguito dal suo architetto Buontalenti, e dopo, aver comprato dai respettivi proprietarii il terreno che si voleva rinchiudere dentro la circonvallazione designata. Nella quale circostanza fu instituito in Livorno uno scrittojo delle RR.
fabbriche con gli opportuni regolamenti per ordinare materiali, pagare artefici e manuali; al quale uopo lo stesso Granduca volle destinare assegnamenti opportuni sopra le rendite della sua corona.
Comecchè quellâopera non sortisse allora grandi progressi li fece per altro grandissimi sotto il terzo Granduca. Ed eccoci giunti a quel sovrano che può dirsi il vero fondatore di Livorno. Avvegnachè fu Ferdinando I, che immense spese impiegò per circondare questa cittĂ di solidissime mura, di lunette, di spalti e bastioni, di magnifiche porte, di ponti di pietra circondandola di un fosso navigabile e difendendola con fortezze nuove verso terra e verso mare. Per lui si veddero sorgere in Livorno stabilimenti pubblici, dogane, caserme, magazzini, palazzi regii, tempii, pubbliche logge, ed abitazioni moltissime per darsi ai privati, piazze magnifiche, strade ampie e regolari, oltre un Lazzeretto di vasti comodi provveduto, e da sulutari discipline regolato. Tutto ciò fu opera del primo Ferdinando, il quale bene spesso a talâuopo personalmente assisteva, ordinava, incoraggiava e promoveva con tanto impegno, con tanto amore per la sua nuova cittĂ , che soleva a buon diritto, e quasi per compiacenza chiamare Livorno la sua Dama. (ARCH.
SEGRETO MEDICEO, Lett. della G. D. Cristina al Segret. Curzio Pichena).
Nè al solo materiale della nuova cittĂ si limitarono le cure di Ferdinando I. Tutto ciò che poteva accreditare ed estendere il suo commercio, era oggetto delle sollecitudini di quel principe per accrescere fiducia alla mercatura, restituire la salubritĂ al clima, promuovere lâindustria manifatturiera, coniar monete dâintrinseco valore, e allettare gente di ogni grado, di ogni grado di ogni culto, di ogni nazione a stabilirsi in Livorno; sotto questo formava uno dei primi pensieri, dei sommi oggetti, delle cure economiche di quel sovrano. â Si aggiunga il dispendio che egli sosteneva in una numerosa marina per esercitare i crocesegnati, proteggere i legni mercantili e allontanare dalle coste della Toscana Barbareschi, ed ogni sorta di 1adri di mare. E poi cosa mirabile, che quante maggiori sorgevano gli ostacoli, tanto piĂš questi infondevano nuovo vigore in quel principe, che sapeva da tutto ritrarre qualche profitto per la sua bella Livorno.
Quindi è che, oltre il lucro delle prede destinate al accrescere le galere, procurava di attirare nella nuova cittĂ i corsari Inglesi, Olandesi e di qualunque altra nazione, i quali, arricchiti delle altrui spoglie, venivano tranquillamente a goderne il frutto in Toscana, purchè si stabilissero in Livorno. A tal fine fu confermato il privilegio di Cosimo I del 1548, con assicurar le persone, i loro capitali, e col non ingerirsi nel voler conoscere, e molto meno perseguitare l'autore di qualunque eccesso che fosse stato commesso fuori del Grunducato in chi familiarmente aveva stabilito il suo domicilio costĂ . â Quindi poco dopo (10 giugno 1593) fu pubblicato il celebre indulto diviso in 48 articoli a favore dei mercanti di tutte le nazioni di ogni credenza, purchè venissero a commerciare e aprire casa a Pisa, o a Livorno. Con tale indulto furono inoltrati Levantini, Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci, Tedeschi, Italiani, Ebrei Turchi, Mori, Armeni, Persiani, ed altri a fissarsi col loro traffico o nella cittĂ di Pisa o nella terra e porto di Livorno. In conseguenza Ferdinando I fu per Livorno ciò châera stato Romolo per Roma; imperciocchè, come questi con lâasilo aperto alle genti di ogni classe intese principalmente a popolare e ingrandire quella nascente cittĂ , cosĂŹ il benefico principe Mediceo col bando del 1593 aumentò mirabilmente di gente e di dovizie il novello emporio del Mediterraneo. Ma il bando del 1593 piĂš che ogni altro favoriva la nazione Ebraica, la quale quasi quasi crede di vedere in Ferdinando I il desiderato Messia, e di trovare in Livorno un'altra Gerusalemme.
Troppo lungo sarei qualora dovessi accennare soltanto tutto quello che il terzo Granduca operò per ingrandire, abbellire, popolare di gente e di stabilimenti utili Livorno.
Ne alcuno della sua etĂ si sarebbe espresso diversamente da Ferdinando I, allorchè, sembrando a questo principe stata mossa sopra troppo vaste dimensioni la fabbrica della chiesa maggiore di Livorno, quasi in atto di rimprovero diceva all'architetto: credevi tu forse di fare il Duomo di Firenze? Pochi altresĂŹ avrebbero immaginato vero il vaticinio dello stesso ingegnere tostochè al Granduca rispose: che quando si fanno fabbriche per uso pubblico, esse non sono mai troppo grandi. Di fatti è arrivato il tempo in cui, non solamente si è veduto con ammirabile prestezza compire intorno a Livorno una circonvallazione di mura tre volte piĂš estese di quella della cittĂ di Ferdinando, ma eziandio gettare i fondamenti di un tempio doppiamente maggiore dellâantico Duomo, suscettibile a contenere una gran parte di quella popolazione cattolica per servire degnamente di cattedrale.
Fino dal primo anno del suo innalzamento al trono Ferdinando I diede principio al gran molo che doveva unire mediante un muraglione lungo 10500 braccia la torre del Fanale alla Terraferma.
Una delle piĂš ardite e delle piĂš gloriose spedizioni maritime che contar possa la Toscana granducale, accadde nel l607 sotto il governo di Ferdinando I quando fu assalita e presa nelle coste dellâAfrica lâantica cittĂ dâIppona (Bona); impresa che gli uomini istruiti come glâindotti, i nazionali al pari dei forestieri tornano a rammentare, quante fiate contemplano in Firenze la statua equestre di Ferdinando I fatta dei metalli rapiti al fiero Trace, o che ammirano in Livorno la statua marmorea del sovrano medesimo contornata alla sua base da quattro schiavi Turchi di diversa etĂ fusi da Pietro Tacca con i cannoni presi agli Arabi dellâAffrica e ai Turchi combattuti e vinti nellâArcipelago.
Per ordine e conio di Ferdinando I si offrivano case in vendita, a livello, o in affitto ai Cristiani nuovi, che Filippo II perseguitava nel Portogallo; ai Cattolici che abbandonavano lâInghilterra; agli Ebrei che si sbalzavano dalla Spagna e si maltrattavano in tutti i paesi; ai Corsi malcontenti del regime dei Genovesi; ai fuorusciti che scorrevano raminghi per lâItalia onde sottrarsi alle insidie ed alla persecuzione dei respettivi governi; finalmente a tutti coloro che a Livorno si refugiavano per vivere sotto le leggi e il patrocinio del Granduca. Ma chi allora prima degli altri corse a popolare Livorno furono i Provenzali; avvegnachè in quel tempo appunto tutte le provincie della Francia trovandosi agitate da una guerra desolatrice ed i negozianti Marsigliesi con molti proprietarii di altri luoghi della Provenza, diffidando di commerciare con i Piemontesi, con i Savojardi e i Genovesi, trovarono tutti in Livorno uno scalo opportunissimo alla loro mercatura, ed in Ferdinando un valido sostegno, un generoso protettore.
Nel 1606 Ferdinando accrebbe il circondario di Livorno, coll'estendere la sua giurisdizione al territorio designato in seguito col nome di Capitanato nuovo. E fu nello stesso anno ch'egli innalzò Livorno allâonore di cittĂ .
Tale era lo stato di questo paese, allorchè mancò alla Toscana e alla sua bella Livorno (anno 1609) quel munificentissimo principe.
Pieno di desiderio di compire le grandiose idee del padre, Cosimo II rinnovò e in qualche rapporto accrebbe i privilegi a favore dei Livornesi; nè potendo lusingarsi di compire la troppo vasta intrapresa del gran molo ideata dallâavo e continuata dal padre deliberò di ristringerlo in piĂš moderate dimensioni, facendo costruire davauti alla darsena il molo attuale di figura quadrilunga e collâimboccatura volta a maestrale, il quale porta il nome dello stesso fondatore.
Cosimo II aumentò la marina al segno che teneva sempre pronta una squadra di dieci galere ad oggetto di veleggiare nel Mediterraneo, dellâArcipelago e nel mare Jonio, e di conciliare nel tempo stesso il noleggio mercantile, la pirateria contro i barbareschi e la discesa delle coste toscane. Arroge a ciò, che i legni fabbricati in Livorno, sotto nome di galeoni, erano i migliori di quanti altri scorrevano il mare.
Fu nei primi anni del governo di Cosimo II che si chiamarono a Livorno i PP. ospitalieri di S. Giovanni di Dio per dar loro lâinvestitura del nuovo spedale eretto nel 1612 sotto l'invocazione di S. Antonio abate. Anteriore di 13 anni era lo spedale delle donne Sotto il titolo di S.
Barbara o della Misericordia, perchĂŠ fondato dalla pia confraternita della Misericordia di Livorno, che ne affidò lâassistenza alle suore della caritĂ . â Vedere il seguito dell'Articolo Livorno ComunitĂ .
Nel 1616 lo stesso Cosimo II approvò le riforme dei nuovi statuti municipali di Livorno; e nellâanno medesimo con editto dei 30 agosto concesse a tutti gli abitanti del capitanato vecchio lâesenzione dalle gabelle per ogni sorta di contratto pubblico gabellabile, purchè l'atto riguardasse possessioni situate in Livorno e nellâantico suo distretto.
Inoltre, rapporto alla gabella delle doti, dichiarò partecipi dello stesso benefizio anche i sudditi dello Stato fiorentino, purchè questi si fossero stabiliti in detta città .
La prosperitĂ della mercatara nel porto prenominato, dove accorrevano principalmente Tedeschi, Inglesi, Olandesi ed Ebrei, era per Cosimo II un potente incentivo a vieppiĂš corredare quel fiorente emporio di comodi e di pubblici edifizii. Allo stesso oggetto, e con il fine di popolare e di arricchire Livorno, di bonificare il palustre e rinterrato seno del Porto pisano, di coltivare. le sterili sodaglie, Cosimo II colse l'opportunitĂ dellâeditto di Valenza dei 22 settembre 1609, da Filippo III emanato quando si cacciarono tutti i Mori dalla Spagna, lasciando per altro a loro arbitrio il farsi condurre e sbarcare in qualunque parte fuori del regno. Quindi e che Cosimo II determinò di acquistare tremila di quegli oriundi Affricani, lusingandosi che gente avvezza a un governo aspro ed esercitata nel mestiere dellâagricoltura, fosse per essere utilissima a bonificare e fertilizzare la malsana ed infeconda maremma posta a settentrione di Livorno.
Sennonchè dopo avere esperimentata la ferocia, lo spirito dâinsubordinazione e la poca attitudine i lavori campestri di quella stirpe affricana fu costretto ad allontanare e liberarsi da cotesti incomodi ospiti col furgli trasportare nellâantica sede dei loro maggiori.
Il commercio di Livorno crescente, e la marina toscana sempre gloriosa sotto i granduchi Ferdinando I e Cosimo II, pare che illanguidissero o almeno si arrestassero, durante la lunga reggenza (dal 1621 al 1628) di Ferdinando II. Il qual principe vedendo il mare Mediterraneo dominato da tante nazioni, che rendevano i suoi legni da guerra un oggetto dispendioso piĂš di fasto che di utilitĂ , vendè, alla Francia (anno 1647) tutte le galere dello stato a riserva di due che destinò a difendere la costa dai Barbareschi. In conseguenza di una simil misura economica la Toscana escĂŹ dal novero delle potenze marittime, al qual grado dal padre e dallâavo di Ferdinando II con tante cure e fatiche era stata innalzata.
Ciò nonostante Livorno ripetere deve da Ferdinando II imperante servigii, sia che si riguardi di lui il fondatore di un nuovo arsenale e di un secondo assai piĂš vasto Lazzeretto (S. Jacopo) eretto nel 1643 un miglio e mezzo distante dalla cittĂ ; sia che si considerino le grandi premure di quel principe per erigere in Livorno il primo stabilimento (anno 1633) dâistruzione religiosa e letteraria nel collegio di S. Sebastiano, affidandone la direzione ai Chierici regolari di S. Paolo, altrimenti chiamati i PP.
Barnabiti; sia che si contempli in esso lui il fondatore di quella porzione di cittĂ , cui in vista dei molti fossi navigabili che lâattraversano, fu dato il nome di Venezia nuova; sia perchè a lui deve Livorno il piĂš antico Monte Pio; sia che vogliasi riguardare nello stesso Granduca un felice promotore del sistema di neutralitĂ per il bene della Toscana; oppure che si rifletta al commercio mercè sua riaperto col Levante, dopo la pace del 1664 tra la Porta e lâImperatore; nella quale il Granduca si fece comprendere come alleato della Chiesa dâAustria. Fu conseguenza dello stesso trattato il Firmano spedito nel 1668 dal Gran Signore, con il quale si accordava salvo-condotto a tutti i sudditi toscani per potere liberamente andare e navigare con bandiera e passaporto imperia le, mercanteggiare e stare negli scali e dominii della Sublime Porta, parando il dazio del 3 per cento sopra le merci, tanto dâintroduzione, come d'estrazione. Forse cotesto Firmano fu motore di un grandioso progetto di associazione mercantile, da molti negozianti tedeschi immaginato; quello cioè di formare una societĂ anonima di tanti azionisti per il capitale di due milioni di scudi, destinanati tutti al traffico del levante.
Ma la nuova associazione commerciale esigeva deâprivilegii e delle franchigie contrarie alle veglianti leggi toscane, e contradittorie allâeguaglianza dalle medesime stabilita fra tutte le nazioni che trafficavano in Livorno; nè tali franchigie erano conciliabili con il sistema della neutralitĂ della Toscana verso tutte le potenze che frequentavano o tenevano consoli in quel Porto franco. Tali ostacoli si sarebbero forse sormontati; ma lâassociazione commerciale rimase un desiderio, ed un bel concetto che la morte di Ferdinando II interruppe, ed il governo del suo successore totalmente dissipò.
Per quanto Cosimo III fosse lungi dalle virtĂš paterne capaci a ristorare i sudditi della perdita fatta di Ferdinando II, pure fece egli i suoi sforzi per conservarsi neutrale nella guerra che al suo innalzamento al trono granducale ardeva in Europa. In conseguenza delle sue pratiche la Francia, la Spagna e lâOlanda, che con le loro flotte interrompevano il commercio nei porti del Mediterraneo, rispettarono quello di Livorno, dove ogni bandiera trovando accoglienza, accorrevano a preferenza sopra ogn'altro. Al che coadiuvò sempre piĂš un trattato aperto in Livorno fra i consoli esteri, che fu ratificato dai respettivi sovrani (ottobre 1691) ad oggetto di prvenire le ostilitĂ nel porto e nella rada di Livorno, prescrivendo ai vascelli da guerra uno spazio di tempo per partire dalla stazione, tale da non temere in quellâintervallo di essere inseguiti dai nemici ancorati nella stessa rada. Questo trattato essendo stato confermato nelle guerre successive, divenne la fase piĂš solenne e piĂš preziosa della franchigia del porto di Livorno, trattato che fu quasi costantemente rispettato da tutte le potenze marittime dellâEuropa.
Inoltre Cosimo III nel quinto anno del suo governo (anno 1675) tentò un gran colpo tendente ad aprire un nuovo sbocco ai legni toscani sino in America è negli stabilimenti Portoghesi dell'Asia. Trattavasi niente meno di formare una societĂ mercantile fra i negozianti di Livorno e di Lisbona con la promessa per parte dei Toscani di cancorrervi per la vistosissima somma di quattro milioni di ducati dâoro, dando per loro mallevadoria il notissimo magistralo dei capitani della Parte Guelfa, ossia la Camera delle comunitĂ del Dominio fiorentino.
La quale compagnia mercantile doveva stabilire tre case di commercio, una a Goa, lâaltra a Lisbona e la terza a Livorno. (GALLUZZI, Istor. del Granducato Libr. VIII).
Comecchè il regno regno di Cosimo III portasse lâimpronta dellâintolleranza religiosa, massimamente contro i seguaci della riforma, con tuttociò egli fece ogni sforzo per conservare in Livorno la massima dei suoi maggiori con ammettere la libertĂ delle respettive credenze. Che anzi mostrossi piĂš particolarmente favorevole all'universitĂ ebraica, per la quale non solamente rinnuovò i privilegii concessi dai granduchi suoi predecessori, precipuamente rapporto a un tribunale proprio, ma anche rispetto al regime civile ed al buon governo della nazione medesima, in guisa che, con motuproprio dei 20 dicembre 1715, ne ampliò le onorificenze al punto da erigere fra gli ebri di Livorno una specie di senato ereditario composto di 60 notabili, per la cui entratura doveva ciascuno retribuire alla cassa del principe 200 pezze da otto reali, potendo succedere di padre in figlio per ordine di primogenitura fino almeno alla terza generazione. Era nelle attribuzioni di quella casta israelitica la sorveglianza della polizia, e l'amministrazione economica della loro nazione, sicchè in essi governanti risiedeva la rappresentanza dell'intiero corpo giudaico livornese.
Leggi tanto larghe, franchige e immunitĂ cotanto estese meritarono molti elogii alla dinastia Medicea, in guisa che il celebre Montesquieu ebbe a dire, che Livorno era il loro capo dâopera. In conseguenza di ciò non potevasi a meno con tante elargitĂ di non richiamare in questo paese, oltre i facoltosi di varie regioni, ed i mercanti di buona fede e bene intenzionati, anche i male intenzionati, i falliti, i vagabondi, li fomentatori dâimmoralilĂ . Infatti questa peste della societĂ vi accorse, come fu di sopra avvertito, fino dal tempo delle franchigie elargite da Cosimo I; ma sotto il governo di Cosimo III la ciurma dei bianti era visi talmente propagata che il governatore di Livorno con bando dei 27 marzo (ERRATA: 1607) 1707 fu costretto di esiliarla dalla cittĂ , dal porto e da tutto quel capitanato.
Tre monumenti pubblici rammentano in Livorno la munificenza di Cosimo III, cioè la casa pia dei mendicanti, un secondo monte di pietĂ e il gran magazzino dei bottini da olio. â La casa pia fu in origine (anno 1714) destinata a ricoprire, istruire e addestrare al lavoro i poveri fanciulli dellâuno e dellâaltro sesso; il monte di pietĂ per far fronte e supplire a quello fondato nel 1626 da Ferdinando II, mentre il magazzino dei bottini fu edificato per ricevere e custodire in vasi murati e chiusi fino a 25000 barili di olio, che i negozianti con tenue retribuzione costantemente vi depositano.
Devesi pure a Cosimo III il trattato di neutralitĂ firmato dalle potenze belligeranti per mantener con le franchigie la neutralitĂ al porto d Livorno. â Fu egli che chiamò i Gesuiti, da primo a predicare, quindi per donarli un magnifico locale eretto da un livornese con la mira di farne un conservatorio per lâeducazione di fanciulle spettanti alle famiglie piĂš facoltose della stessa cittĂ .
Alla morte di Cosimo III, salito appena sul trono lâultimo rampollo della dinastia Medicea, le principali potenze dellâEuropa, riunite piĂš volte a congresso, occuparonsi incessantemente della successione eveutuale al granducato di Toscana, quando finalmente a Cambray si accordarono esse di mettere in esecuzione lâarticolo quinto del trattato concluso in Londra sino dallâanno 1718; cioè, di far precedere allâinvio dellâinfante di Spagna don Carlo, destinato a succedere al Granduca Gio.
Gastone, delle truppe spagnuole per guarnire le piazze forti della Toscana, e segnatamente Livorno.
Grandi armamenti navali nelle coste della Spagna, crescenti rinforzi di truppe e di artiglierie a Porto Longone nellâisola dellâElba, esploratori ed ingegneri che segretamente arrivavano a Livorno, erano tutti apparati tendenti ad incuter timore in Giovan Gastone, e a fargli riflettere piĂš spesso al caso della sua morte, per determinarlo a ricevere il destinato successore al suo trono. â Ciò nonostante quel Granduca, fermo nelle sue risoluzioni, rigettò lungo temp o qualsiasi minaccia o proposizione di trattato, la quale fosse della benchè minima parte lesiva della sua libertĂ e delle sovrane prerogative.
Nel 1731 Livorno fu per due fiate il teatro iu cui si raccolse il fiore della nobiltĂ DâItalia e di una gran parte della Toscana; la prima volta di ottobre, quando vide giungervi Una numerosa flotta Anglo-ispana di 41 vascelli, da guerra con 6000 uomini da sbarco; la seconda quando poco dopo fra il rimbombo, dei cannoni vi approdava lâinfante don Carlo.
Un'altra scena meno brillante, non però meno imponente si aprĂŹ due anni appresso nel cospetto di Livorno, allora quando nel suo molo sbarcarono 30000 soldati spagnuoli, destinati ad agire nella guerra che per i troni vacanti, o per quelli che dovevano vacare in Italia, si riaccendeva; e ciò poco innanzi che si stabilissero tra lâimperatore e il re di Francia (3 ottobre 1735) i preliminari di quella pace, che assegnò il Granducato di Toscana alla casa sovrana di Lorena, premessa come base la condizione di confermare al porto-franco di Livorno la sua neutralitĂ .
Innanzi di escire dal periodo mediceo qualcuno forse potrebbe trovare conveniente, che io dassi un cenno del sistema amministrativo, per il quale restava inceppato anzichè incoraggito il commercio, piĂš che interno, esterno; del sistema che sotto gli ultimi sovrani dellâestinta dinastia toscana, terminò per convertirsi danno dellâuniversale in una privativa per favorire pochi furbi denarosi. â Avvegnachè in mezzo a tali motuproprj, a tanti ordini, a tanti statuti fatti per proteggre le persone e le cose, rimanevano infiniti vincoli ed aggravj, nel tempo che le privative e gli appalti, assorbendo quasi tutto il commercio diretto, il restante riducevasi a frodo in guisa che lâindustria languiva da ogni parte della Toscana, e piĂš che altrove in Livorno. â Ma questi giusti rilievi cadranno naturalmente e piĂš opportunamente davanti agli occhi del lettore, allorchĂŠ egli percorrerĂ le vicende del paese in discorso sotto la dinastia regnante.
Piuttosto dirò di una misura politico economica presa sino dai tempi di Ferdinando I, e da altri granduchi Medicei continuata, di quella che mise in commercio una derrata esitabile allâestero senza scapito e senza dilazione. Parlo ora di quel genere di merce, che forma la base di un solido credito, voglio dire, della moneta, di quella misura comune e comoda di tutti; valori, di quella che supplisce a pareggiare il costo delle mercanzie dâimmissione quante volte esse superano in valore i generi indigeni di estrazione.
L'oro e l'argento monetato entrarono nei calcoli di Ferdinando I, che in ogni modo voleva allettare i negoziati esteri a cambiarlo contro le loro merci.
ConciossiachĂŠ egli fu il primo tra i granduchi a ordinare (21 luglio 1595), che si coniassero il Ducato dâargento, altrimenti chiiamato Piastra d Pisa , ed il Tallaro allâuso di Alemagna, per destinare lâuna e lâaltra moneta precipuamente per lo commercio marittimo , a condizione di spender la Piastra per lire 6 soldi 13 e den. 4 fior., sebbene (diceva la legge) fosse di molto maggior valore.
Lo stesso Tallaro fu coniato sotto i granduchi Cosimo II e Ferdinando II, avendo di peso ciascuno di essi ventitrè danari e mezzo. La qual moneta vollero che si spendesse per lire 5. 13. 4, quantunque piÚ tardi si valutasse lire 6 per una.
Diverso dal Tallaro fu il Tollero , corrispondente alla Pezza da otto reali, battuto can il busto e nome di Ferdinando I, nel rovescio con la veduta del porto di Livorno, e la leggenda intorno et patet et favet. â Questa moneta fu coniata per ordine di Ferdinando II, in data del 2 marzo 1655, di peso danari 23 e 1/2 della bontĂ di once undici di fino, e un oncia di lega, stata prezzata in corso lire 6 lâuna.
Dieci anni dopo, previa ordinanza degli 8 maggio 1665, fu battuta la Pezza, detta della Rosa , con la data di Livorno, di peso danari 22, a bontĂ di once 11 di fino, simile alla Pezza da otto reali. Portava nel diritto lâimpronta dell'arme di casa Medici nel suo rovescio due piante di rose, e intorno il motto gratia obvia, ultio quaesita . â Liburni; quasichè fosse stata battuta in Livorno, dove per altro non fu mai zecca. Il suo valore era di lire 5. 13. 4; ma dipoi fu accettata per lire 5 e 15 soldi; e tanto prevalse lâuso della medesima in Livorno che vi si facevano i conteggi, sino allâeditto del 17 gennajo 1837, a preferenza di ogni altra moneta toscana corrente.
La stessa Pezza da otto reali fu battuta sotto Cosimo III negli anni 1700 e 1707 con la solita leggenda e la data di Livorno.
Anche il Tollero ,cosĂŹ il mezzo e il quarto di Tollero furono fatti coniare da Cosimo III a profitto del commercio livornese in piĂš tempi nella zecca fiorentina.
Se non che nel Tollero del 1707 sopra il capo del sovrano manca la corona gran ducale, invece della quale vedesi nel suo rovescio una corona reale sopra lâarme della cittĂ di Livorno, raffigurata da una fortezza a doppio torrione con la parola Fides alla base e la consueta epigrafe intorno: et patet et favet.
Nei mezzi Tolleri, invece dellâarme anzi detta di Livorno, havvi scolpita una nave della forma delle antiche Liburne, con le seguenti parole in giro: praesidium et decus â Liburni â 1682.
In quanto alle monete dâoro, destinate ad accreditare la piazza mercantile di Livorno, merita di essere rammentata quella del Fiorino, ossia Zecchino gigliato fatto coniare da Ferdinando I nell'ultimâanno del suo regno, della solita bontĂ di 24 carati, ma del peso di danari 3 e gr. 1, come quello che si disse ordinato dalla Rep. fior. nel 1422, onde fosse accettato piĂš volentieri nel commercio del Levante.
Il quale zecchino gigliato a quella etĂ si spendeva per sole lire 10. 3. 4. se non che Cosimo II con legge dello dic.
1613 rimise il fiorino di oro al solito peso di 3 danari 1âuno, comâera stato usato di fabbricarlo dal 1596 al 1608.
Una nuova moneta dâoro fu coniata sotto Ferdinando II (anno 1656) del peso di danari 2 e grani 23, a bontĂ di carati 23 e 1/2, uguale in tutto all'unghero dâAlemagna, che chiamavasi Tollero , o Unghero dâoro , avendo per impronta il porto di Livorno, e la solita epigrafe, et patet et favet.
Dell'istessa bontĂ e peso fu battuto in piĂš tempi il medesimo unghero dâoro da Cosimo III; ed ĂŠ da avvertire, come una volta fu coniato con la figura intiera di (Cosimo III vestito come uno spadaccino del medio evo, coperto di corazza con elmo e corona in capo, mentre nel rovescio della moneta in una cartella leggevasi: ad bonitatem aurei ungarici. - Liburni - 1674.
Parimente la Pezza della rosa di oro Con la mezza Pezza fu battuta da Cosimo III simile al conio della Pezza di argento con la data di Livorno, e le parole intorno. gratia obvia, ultio quaesita . La Pezza della rosa d'oro era del peso di danari 5 e grani 21 di oro, alla bontĂ di carati 21 e 3/4 della valuta di lire 23 moneta fiorentina, prezzo correspettivo di 4 Pezze da otto reali. La mezza Pezza dâoro era ragguagliata nel peso e nel prezzo alla prima.
Fu asseguato per queste due ultime monete nuove tantâoro per la somma di 2,450,000 lire toscane.
Anche lâultimo Granduca della casa Medici fece battere i suoi Tolleri dâargento e le Pezze della rosa, i primi con la veduta del porto, le seconde con lo somma della fortezza e lo stendardo portante il motto Fides, impresa che onora il commercio ed i negozianti i di Livorno.
LIVORNO SOTTO I TRE PRIMI GRANDUCHI DELLA CASA DâAUSTRIA-LORENA Allorchè la fortuna portò sul trono della Toscana la dinastia Lorenese (nel luglio del 1737), lâEuropa era di corto tornata in pace, iu guisa che il generoso procedere del successore di Gian Gastone seppe conciliarsi ben tosto fra le varie classi dei nuovi sudditi amore, fedeltĂ e fondata fidanza di una riforma di leggi che fossero per essere piĂš confacenti ai tempi, accompagnate da unâamministrazione meno vessatoria e meno intralciata.
Il sistema di un equilibrio politico che parve aver riannodato i vincoli fra le principali potenze europee, doveva necessariamente influire sopra il ben essere dei respettivi sudditi; e molto piĂš sopra Livorno, che come porto-franco attirava Inglesi, Spagnuoli, Francesi, Tedeschi e Olandesi mentre la capitale della Toscana col suo brio, con le sue maraviglie, con le popolate, deliziose campagne, con gli spettacoli di vario genere gli accoglieva, gli divertiva, gli allettava. Quello spirito dâintolleranza mantenutosi durante il lungo regno di Cosimo III contro i non Cattolici, non era piĂš dâimpedimento al loro passaggio e dimora in Firenze, e molto meno ad un libero e tranquillo stabilimento dei medesimi in Livorno.
Ma troppo profonde e ancora vive erano le piaghe lasciate alla Toscana da quel Granduca, per gli esorbitanti tributi da cui erano stati aggravati i sudditi, per le inutili profusioni dâuna corte asiatica piena di apparenti divoti e di oziosi poeti, intenti solo a proclamare le storie immaginarie del loro protettore, e a mugnere i di lui preziosi scrigni.
Troppo complicate erano le leggi, ed i giudici non infrenati da alcun codice; troppo numerosi erano i tribunali, sicchĂŠ la pubblica amministrazione trovavasi spesso diretta a capriccio degli amministratori, la cui massima principale era quella di favorire il monopolista e dâinceppare ogni mezzo dâindustria, ogni sorta di progresso utile alla civile societĂ .
Arroge a tuttociò i moltissimi sconcerti introdotti, i vituperevoli indizii, i troppi abusi aumentati e tacitamente autorizzati dal Granduca Gian Gastone. Il quale, comecchè operasse in un senso opposto a quello del padre, anzichè variare sistema legislativo e giudiziario, finĂŹ col disperdere il ricco ereditato tesoro senza recare alcun giovamento aglâimpoveriti sudditi.
Infiniti erano i vincoli e gli aggravii; da lunga mano languivano le industrie con lâagricoltura e a passo retrogrado camminava il commercio in Livorno. â E siccome i mali che ne derivavano erano radicati sotto il falso aspetto di un supposto pubblico bene, non potevano pertanto essere quelli eliminati e distrutti da una momentanea e repentina riforma.
A tali cose apportare doveva qualche ritardo lâassenza del nuovo sovrano destinato poco dopo a salire sul trono della casa piĂš angusta di Europa.
Premesso tuttociò, gioverĂ avvertire, che fra le principali cure dellâAugusto Granduca Francesco II, a benefizio di Livorno potremo rammentare la facoltĂ a chiunque fosse (anno 1746) di consegnare e depositare nei magazzini pubblici di quel porto, con lieve diritto di stallaggio, ogni sorta di merce straniera, e di poterla estrarre sopra mare senza alcun dazio, o introdurla dentro terra con tenue diritto di transito, passando per laToscana.
Può noverarsi fra i benefizj dello stesso Granduca lâeditto del 10 ottobre 1748 sulla navigazione marittima toscana; lâintroduzione nel granducato di nuove manifatture, lâavanzamento delle giĂ stabilite, la protezione dimostrata verso quei sudditi che si applicavano piĂš di proposito alla mercatura, e le reciproche convenzioni stibilite con le potenze estere, nelle quali il principe preferĂŹ sempre allâinteresse proprio quello dei suoi sudditi.
Potrei aggiungere la legge dei 21 novembre 1758 destinata a frenare gli abusi dellâesercizio della professione di mezzano in pregiudizio del commercio di Livorno; quella dei 23 novembre dello stesso anno relativa al subborgo nuovo di S. Jacopo dâAcquaviva giĂ cominciato a fabbricare per concederne con privilegj e favorevoli condizioni il suolo o le abitazioni a quei forestieri che vi si volessero stabilire. Devesi finalmente al Granduca Francesco II la fondazione della pia casa del Refugio per i ragazzi mendicanti, e lâistituzione delle prime scuole pubbliche per le fanciulle che si raccolsero nel 1766 nellâeducatorio di S. Giulia, piĂš noto sotto il vocabalo del Paradisino . â Vedere lâarticolo ComunitĂ di Livorno.
Nonostante tuttociò il commercio di Livorno era sempre nelle mani dei monopolisti, tutte le RR. regalie venivano amministrate e percette da ricchi appaltatori, la maggior parte della nazione ebrea.
Quindi è che moltissimi affari si facevano da pochi, i quali tenevano nelle loro mani lâesistenza di una gran parte della popolazione Livornese.
Era riservato alla gran mente e al magnanimo cuore del Granduca Leopoldo I spingere alla meta e perfezionare unâopera di tanto momento, mercè di un piano economico, di un sistema legislativo, cui servĂŹ di principio, di progresso e di fine una piĂš adeguata repartizione di sostanze, di diritti fra i sudditi di tale classi, e una pienamente libera commerciabilitĂ dei beni di qualsiasi specie.
Allorchè il gran Leopoldo, con una fermezza che costituisce la sua vera gloria, con una sapienza da non lasciarsi vincere dai clamori dei falsi economisti, contemplando le vere cause di tanto cronicismo civile, diede mano alla sublime impresa di efficaci rimedii, a partire dalla graduale eliminazione dei metodi governativi che intisichirono la bella Toscana; allora fu che incominciarono a poco a poco a risorgere la fiducia e il coraggio nei possidenti terrieri, negli artisti e nei negozianti, e che Livorno ebbe motivo di riaversi prima di ogni altro paese col risentire i buoni effetti di tanta virtÚ.
Uno pertanto dei maggiori ostacoli finanzieri resultava dal vetusto sistema degli appalti di ogni sorta di regia possessione o regalia; quindi erano di fisico impedimento le anguste malagevoli strade comunitative e provinciali, la moltiplicitĂ dei dazii e delle dogane che per inveterato abuso conservavansi nelle parti interne dello stesso granducato.
Per giungere al conseguimento di cotesto duplice scopo fu primo pensiero de gran legislatore di concedere ai Toscani libera circolazione per tutte le parti del granducato delle vettovaglie ed altri prodotti indigeni, di poter contrattare e vendere le merci a qualsivoglia prezzo, peso e misura senza alcuna servile dependenza dai magistrati dâarte, da quelli dellâannona o grascia. Fu Leopoldo che pensò a togliere di mezzo la maggior parte degli appalti, come pure a sopprimere molte privative, fra le quali a benefizio delle gente di mare e da contarsi la pesca (16 gennajo 1777). Egli fu che corresse e mitigò il modo di esigere i diritti di porto e di ancoraggio in Livorno (12 giugno 1779); che abolĂŹ il privilegio del capitano della bocca di Porto sulle zavorre (8 maggio 1780); che tolse la moltiplicitĂ delle gabelle, delle dogane, passeggerie, o catene intermedie, per cui trovavasi diviso in altrettante frazioni un medesimo stato, un solo dominio, e che davano motivo a infinite vessazioni. Finalmente con la stessa legge abolĂŹ alcuni dazj sopra i generi di prima necessitĂ , e alleggerĂŹ il tributo di quelli atti a fornire materia di mano dâopera, affinchè fossero essi di eccitamento allâindustria dei Toscani.
Fu lo stesso principe che proscrisse dal foro inveterati abusi, che tolse di mezzo tuttociò che tendeva ad opporsi, o a ritardare il benefico scopo di far godere ai suoi amministrati, pel loro benessere, sicurezza individuale e vita tranquilla. Frutto di tali riforme era la legge del 26 novembre 1783, che aboliva lâesecuzione personale per i debiti Civili, quella che ordinava non potersi interporre lâappello delle cause decise nel tribunale di Livorno fuori che davanti al magistrato consolare di Pisa. Merce di tali misure fu provveduto (17 febbrajo 1769) e posto un riparo ai disordini che allora regnavano nel governo della nazione ebrea di Livorno, togliendo il privilegio ad essa concesso da Cosimo III mercè di quella specie di senato ereditario poco sopra rammemorato, quando gli tolse il diritto di succedere per ordine di primogenitura sino a terza generazione; e volle nei casi di rimpiazzo esonerare il candidato dal tributo di pezze 50 solito pagarsi al R.
erario. â Fu pure ad oggetto di preservare lo Stato, per quanto umanamente era permesso, dai pericoli cui poteva esporlo il commercio di Livorno con i paesi soggetti al contagio, che Pietro Leopoldo fece costruire dai fondamenti e aprire nel 1780 il terzo e piĂš vasto Lazzeretto del suo S. nome, per destinarlo alla cura delle persone ed allo spurgo delle mercanzie portate da bastimenti di patente brutta; mentre con le leggi del 30 dic. 1779, dei 15 lug. 1785, e 5 luglio 1787, si prescrivevano regolamenti economici, politici e sanitarii da doversi eseguire in ciascuno dei tre Lazzeretti di quellâemporio. â Finalmente deve Livorno allo stesso principe lâattuale ufizio della posta delle lettere, fabbricato di pianta nel locale della soppressa compagnia deâSS. Cosimo e Damiano.
Ma appunto cotesta soppressione di popolari compagnie, ordinata ed eseguita fino dal 1785 in tutto il granducato, fu lo specioso pretesto di una insurrezione che suscitò in Livorno la classe piu facinorosa di quella plebe dopo che il gran Leopoldo per la morte di Giuseppe II era stato chiamato a salire sul trono ereditario Austriaco Imperiale.
Non erano scorse appena due settimane dacchĂŠ quellâimperante, con editto del 2 marzo 1790, aveva proclamato la conservazione della legge del I agosto 1778 per tener ferma la neutralitĂ della cittĂ e porto di Livorno con le potenze belligeranti, quando si suscitarono tumulti dai facchini, detti dalla contrada che abitano Veneziani, ed il gridare allâarme della plebaglia che vi aderĂŹ fu mosso dal pretesto di ristabilire le compagnie secolari religiose.
â Se fosse possibile eliminare daglâannali istorici di Livorno il maggio del 1790, io lo farei per tacere di tanti insulti, di tante violenze e di tante rapine, cui mosse il furore popolare contro il principe, contro i magistrati, contro i ministri dellâaltare e contro i piĂš ricchi cittadini: furori che piĂš specialmente si diressero a danno degli ebrei, dei greci non uniti, o scismatici, e di chi veniva ai facinorosi segnalato per nen credente a loro modo.
Sotto questi tristi auspicj di turbata tranquillitĂ in Livorno (cui tennero dietro altre cittĂ della Toscana) venne a cuoprire il trono granducale Ferdinando III di sempre gloriosa memoria.
Mal si credĂŠ, per quietare il basso popolo, di tornare a sopprimere la libera commerciabilitĂ dei generi di prima necessitĂ , e, con danno irreparabile delle pubbliche casse, mantenere forni e canove normali ad oggetto di tendere alla plebe il pane venale, il vino e lâolio a un prezzo inferiore al costo reale. Si dovè ristabilire il magistrato della Grascia per avere meno grascia, e andar a rischio di patir la fame per mancanza di vettovaglie.
Infatti i vincoli che la legge del 9 ott. 1792 pose alla libera circolazione e contrattazione dei generi frumentarii e di altri prodotti indigeni nellâinterno del granducato, riprodussero ben presto il tristo resultato di vedere quasi vuoti i mercati, e piĂš alti i prezzi dei commestibili. Quindi ne conseguĂŹ che, dopo avere la comunitĂ provveduto di grani esteri per sfamare la classe piĂš indigente con grave sacrifizio, Ferdinando III con esemplare ritrattazione emanò il motuproprio del 17 agosto 1795, diretto a ristabilire la liberta del trasporto delle vettovaglie da una in altra parte del suo Granducato.
Ad accrescere lâangustie interne si aggiunsero ben presto quelle politiche insorte dopo la risoluzione francese che preparava ai Toscani ed al loro ben amato sovrano nuove disavventure. Si esigevano dal Granduca condizioni contrarie all'indole pacifica della nazione, contrarie alle franchigie ed alla neutralitĂ del porto e cittĂ di Livorno, benchè da lunga mano riconosciute e garantite dalla fede dei trattati.
Quando però la Toscana fatta superiore agli avvenimenti sembrava riposare in pace in mezzo al rimbombo del cannone; mentre Livorno consideravasi come il porto di salvezza di tutti i legni mercantili delle potenze belligeranti a sommo profitto del commercio, ecco che un disgustoso emergente pose a rischio la sua felicitĂ in guisa che la legge fondamentale della neutralitĂ del porto di Livorno dove piĂš per forza, che per deliberazione del governo restare sospesa (dallâottobre 1793 al febbrajo 1795), ed impedita alla bandiera della repubblica francese. Era appunto il tempo in cui, trovandosi chiusi ai navigli delle potenze belligeranti gli altri mercati del mar Mediterraneo, Livorno approfittava dellâannichilamento del commercio di quasi tutte le piazze marittime, in guisa che in quel frattempo la cittĂ crebbe immensamente di popolazione e di ricchezza e divenne perentoriamente uno dei primi emporii dellâEuropa.
Frattanto crescendo ognora piĂš il pericolo dellâItalia e della Toscana, Ferdinando III, mosso costantemente dal santo principio di procurare per tutte le vie possibili la pace e il benessere dei suoi cari sudditi, pensò di concludere un trattato di amicizia col nuovo reggimento deâFrancesii sicchè riconobbe apertamente quello che gia eseguiva con tacita moderazione; ciò facendo nella lusinga di ristabilire quiete e sicurezza al suo popolo e maggiori affari al porto di Livorno.
Bandissi la pace conclusa tra la Rep. francese e il Granduca (9 febbrajo 1795) e a suon di cannoni fu annunziata in Livorno in cospetto della flotta inglese.âSi rallegrarono grandemente i popoli, (se dobbiamo credere allo storico piĂš eloquente deânostri tempi) massimamente i Livornesi, e tutti celebrarono la scienza di Ferdinando III, il quale, non lasciatosi trasportare dallo sdegno dâEuropa, solo alla fedeltĂ dei suoi sudditi mirando. aveva loro quieto vivere, abbondanza di traffichi e sicuro stato acquistato â.
A proporzione che la fortuna militare sotto la condotta di Bonaparte rendeva la Francia padrona di quasi tutta lâalta Italia, andavano maturandosi i disegni del direttorio esecutivo contro lâinnocente Toscana, ma il principal fine del governo francese era quello di cacciare glâInglesi da Livorno, di esplorarne e di carpirne le ricche merci che ivi avevano con quelle dei loro alleati. â Non si omise di onestare simili violenze con dare a divedere, che glâInglesi tanto potessero in Livorno di non avere il Granduca forza bastante per frenargli, a tal segno ehe il commercio francese vi fosse angariato, e la bandiera repubblicana insultata.
I fatti e le rgioni addotte non valsero per dimostrare la costante imparzialità del Granduca, comecchè meglio degli altri lo sapesse il direttorio, e lo conoscesse Bonaparte, che a quel tempo era il generale in capo della loro armata in Italia.
Ordinava intanto questâultimo da Bologna (26 giugno 1796) che una divisione dellâesercito repubblicano fosse condotta celeramente dal generale Murat per la strada di Pistoja a sorprendere e impadronirsi di Livorno. â Appena che glâInglesi stabiliti in questa piazza ebbero avviso del fatto, lasciata con prestezza la cittĂ , trasportarono sulle navi, che a cotal fine tenevano nel molo e nella rada, le migliori proprietĂ loro. â Entravano i Francesi in Livorno quando appunto i bastimenti mercantili inglesi sotto scorta di alcune fregate salpavano dal suo porto verso la Corsica.
Poco dopo entrava Bonaparte. Agli applausi, ai teatri gratuiti, alle illuminazioni eseguite non per voglia, ma per ordine e per paura, succedettero ben tosto le ostili confische e le rovinose vendite delle mercanzie austriache, russe, inglesi, napoletane, e portoghesi. Si obbligarono quindi i negozianti di Livorno alla insoffribile e dura condizione, o di svelare le merci altrui, lo che aborrirono, o di pagare cinque milioni di lire per le mercanzie estere, lo che accettarono.
Si disarmava intanto la cittadinanza di Livorno, che fu la prima fra i Toscani ad offrirsi e ad ottenere da Ferdinando III (22 luglio 1794) il privilegio di formare un corpo di cacciatori volontari, onde mantenere nella cittĂ il buon ordine, e prestare nei bisogni opportuno aiuto alla truppa regolare. Si cacciavano dai posti armati e dalle fortezze i soldati del Granduca, e per colmo di prepotenza si arrestava contro ogni buon diritto il governatore del porto e della cittĂ .
Mentre si eseguivano dai Francesi tali opere incomportabili, le flotte inglesi serravano il porto di Livorno od impedivano il commercio in guisa che quella popolazione di fiorente, attiva e libera divenne in breve ora inoperosa, angustiata ed oppressa.
Ma il genio e lâattivitĂ di Bonaprte non perdendo occasione di nuocere a quei potenti nemici dominatori del mare e della sua patria, teneva un piede in Livorno al doppio scopo di chiuderlo ai collegati, e per tentare di costĂ la conquista della Corsica, dove sapeva che il mal umore contro glâInglesi andava ogni dĂŹ aumentando. â Frattanto i Corsi fuorusciti concorrevano da ogni parte a Livorno, dove si ordinavano in compagnie, cui si fornivano pezzi di artiglieria, cannonieri e capitani animosi ed alti allâuopo. Era il passaggio di mare assai pericoloso a cagione delle navi britanniche che lo percorrevano, ma tanta fu la destrezza del francese a cui tenne affidato lâincarico di quella traversa, che gli riescĂŹ, sul finire di ottobre 1796, malgrado del tempo burrascoso e della sorveglianza inglese, di far partire da Livorno una grossa banda di Corsi comandati dal generale Casalta, e di sbarcarla felicemente in vicinanza del porto di Bastia. â Bentosto ai fuorusciti vennero a congiungersi partigiani in gran numero, e in breve tempo la Corsica sollevata dovĂŠ abbandonarsi agli assalitori.
In questo mezzo tempo (9 luglio 1796) una squadra britannica, volendo prevenire lâintenzione dei Francesi, si era presentata davanti a Portoferrajo nellâIsola dellâElba ad oggetto di obbligare quella garnigione toscana a ricevere presidio inglese. Alla qual cosa si dovette aderire mediante un onorevole capitolazione che accordo di consegnare il paviglione, e lâamministrazione del governo granducale in Portoferrajo, e che prometteva di far ritirare le truppe britanniche, e di rimenere la piazza nelle mani di S. A. R. allâepoca della pace, o quando lâinvasione di Livorno e del littorale toscano per parte dei Francesi fosse cessata.
Ma giĂ lâoccupazione istantanea di due piazze forti, tolte da due potenze fra loro nemiche, aveva costretto Ferdinando III a far sentire le sue lagnanze al re dâInghilterra e al direttorio di Parigi, insistendo sullâingiustizia fatta, e sulla violata neutralitĂ di quei porti, che tutte le al tre nazioni avevano fino allora rispettata.
Ciascuno dei due governi sembrò mostrarsi convinto e persuaso in faccia allâEuropa dei giusti reclami del Granduca di Toscana, e ciò fino al punto di scambievolmeate convenire, che sarebbe si effettuata lâevacuazione dei Francesi da Livorno nel giorno istesso che lâInglesi avessero lasciato Portoferrajo.
Infatti nel 16 aprile del 1797, questi ultimi, dopo avere imbarcato provvisioni e artiglieria, posero alla vela dal porto, trattenendosi però nei paraggi dellâlsola dellâElba fintanto che non gli giunse sicuro riscontro dellâabbandono di Livorno, che fu effettuato nello stesso giorno dalle truppe francesi.
Le insidie, le false accuse, le violenze contro la Toscana nelle raccontate cose non si rimasero; con tutto che il popolo fedele suo principe generosamente concorresse a fornire tutto ciò che possibilmente faceva dâuopo per combinare la sicurezza pubblica e riparare alla deficienza del R. erario tempestato da straordinarii sacrifizj. Tuttociò riescĂŹ vano, e forse tanto amore, tanta fedeltĂ fu un rimprovero tacito ai donatori di falsa libertĂ ; sicchè ognuno spaventato dai tristi e numerosi esempj aveva forte motivo da temere che lâopere tremende e le soperchierie politiche non fossero compiute. Si voleva o per un verso o per lâaltro sloggiare dalla reggia deâPitti il fratello dellâImperatore Francesco; si voleva signoreggiare senza ostacolo sul pacifico popolo toscano; si voleva escludere dalla neutrale cittĂ e porto-franco di Livorno ogni bandiera non francese.
Non mancarono pretesti al direttorio per adonestare codeste mire, ed uno dei maggiori appigli fu quello di non aver il Granduca saputo impedire lo sbarco di truppe napoletane a Livorno (nov. 1798), comecchè queste ben presto (3 genn. 1799) si rimbarcassero dopo la sconfitta del loro grosso esercito nelle campagne di Roma, e il successivo arrivo a Pistoja di una divisione francese destinata ad assalire la divisione napoletana sotto le mura di Livorno. â Ad accrescere materia di lagnanza aggiungevasi il pretesto di segrete adesioni del Granduca alla coalizione delle potenze armate contro la Francia, e sotto tale aspetto si spiegavano i preparativi guerrieri, con lâarmamento delle milizie, che sotto il nome di Bande, lâeditto granducale dei 30 nov. 1798 comandò.
Si andava avvicinando la primavera del 1799; sorgeva lâalba del tristissimo giorno 25 marzo, quando si lesse il tacito daloroso addio dellâottimo Ferdinando, il quale per colmo di sue virtĂš, benchè costretto a lasciare gli amati sudditi, chiedeva da questi in ricambio di amore e di gratitudine un rispettoso congegno verso i suoi nemici, che a torme scendevano lâAppenino per contaminare la bella e fino allora placida Toscana.
Entrava in Firenze una divisione francese il dĂŹ 25 di marzo, nel tempo che avvicinatasi alle porte di Livorno una brigata della medesima nazione.
Tacerò dei cento giorni (dal 25 marzo al 4 luglio 1799), nei quali i Livornesi al pari, se non piÚ degli altri Toscani, furono afflitti da imperiose contribuzioni, da gravosissimi imprestiti, da mentite parole di libertà accompagnate da opere di prepotenza e da oppressiva schiavitÚ.
Passerò eziandio sotto silenzio i non meno lacrimevoli 15 mesi che ai cento tristi giorni succederono (dal 5 lugl.
1799 al 14 ott. 1800), cioè, della insurrezione aretina alla ritirata dellâesercito austriaco dalla Toscana; avvegnachè darebbero essi troppo penoso cordoglio a chi volesse scrivere la cronica di quel periodo, dove forse non troverebbe altra materia da registrare se non che insulti popolari, arresti arbitrarii, sentenze tumultuose, spoliazioni dâogni specie, contribuzioni insopportabili, imprestiti gratuiti forzosi, commercio estero annientato, carestie desolatrici, casse pubbliche sempre aperte e sempre da nuove arpie divorate.
Ă altresĂŹ vero che durante lâoccupazione austriaca il porto di Livorno era divenuto quasi lâunico emporio dei navigli delle varie nazioni, mentre i porti di Genova e di Marsilia erano chiusi dai confederati. Infatti il numero dei bastimenti mercantili, carichi di ogni sorta di produzioni, concorsero in questo tempo a Livorno in quantitĂ molto superiore degli anni precedenti, seppure si eccettuino il 1794 e il 1795. Di questi ricchi carichi non meno di 50 furono sequestrati dai francesi, che da Lucca quasi improvvisi giungevano (ott. 1800) a Livorno, nel tempo che una divisione comandata da Dupont occupava senza ostacolo la capitale della Toscana. In aumento di ciò ben altri danni piĂš gravosi vennero a carico dei commercianti livornesi, sicchè furono essi costretti a somministrare in breve ora un imprestito forzoso di sopra 300,000 lire per liberare dai sequestri le mercanzie presunte nemiche, e gli imbarchi dei bastimenti. Quindi dovette Livorno fornire a titolo di contribuzione di guerra 90.000 sacca di grano. â Ad oggetto di sanare tali larghe ferite di evitare un abisso maggiore e di provvedere per quanto era possibile allâinteresse dei creditori, la ComunitĂ di Livorno dovè andare incontro a un altro abisso piĂš pericoloso, quello cioè dâimporre (16 e 17 nov. 1800) un tributo del 2 per cento sulle mercanzie provenienti di sopra mare, che si scaricavano nel porto, o che transitavano per terra dalle cittĂ , escluse le sole granaglie.
Finalmente nel febbrajo del 1801 fu concluso a Luneville un trattato di pace, per quale il granducato di Toscana fu eretto in regno, e dato in appannaggio allâinfante di Spagna don Lodovico di Borbone fig lio del duca di Parma, nipote e genero di Carlo IV re delle Spagne. â Una delle prime cure di questo nuovo regnante a favore di Livorno può contarsi il motuproprio dei 17 dicembre 1801, mercĂŠ cui convertĂŹ in Camera la deputazione di commercio, composta di negozianti di diverse nazioni, purchè essi fossero stabiliti da qualche tempo in Livorno: e ridusse allâuno per cento il diritto sulle mercanzie provenienti di sopra mare.
Nel settembre del 1809, nella rada di Livorno ancorò una numerosa flotta spagnuola, delineata a imbarcare il re e la regina di Etruria per trasportarli a Barcellona, donde poi ritornarono per la stessa traversa in Toscana innanzi che spirasse quellâanno.
Fu peraltro troppo funesto aâLivornesi e al loro traffico lâanno 1804, mediante la strage di cui fu cagione un bastimento che da Malaga portò quivi il germe contagioso della febbre gialla; e che assai danneggiò il paese ad onta delle misure prese fra il dĂŹ 2 novembre del 1804, e il 19 genn. del 1805, giorno in cui la regina reggente per suo figlio emanò lâordine dello scioglimento del cordone sanitario, quantunque la guarnigione francese fosse di giĂ ritornata ad occupare le fortificazioni di Livorno.
Quando si presero i provvedimenti sanitarj erano passati piĂš di due mesi dalla prima comparsa della febbre gialla, restando quasi tutti fra lâincertezza, Terrore e lâinazione; nel qual frattempo, a proporzione che le comunicazioni crescevano, aumentava ed estendevasi il morbo, il quale nel suo colmo uccise fino a 40 e 50 persone in un giorno.
Ma dacchè lâinterna polizia validamente si oppose per combattere e spegnere quel fuoco micidiale, cioè dal 12 novembre 1804, giorno in cui fu aperto lo spedale provvisorio di S. Jacopo, sino al dĂŹ 19 del susseguente mese di gennajo, in cui fu levato il cordone sanitario per la terraferma, non vi rimase vittima neppure la terza parte in confronto di quella perita nei due mesi antecedenti: e tutto computando fino dai primi inosservati momenti dello sviluppo del morbo in Livorno e nei suoi subborghi, vale a dire, in una popolazione di sopra 50,000 abitanti, non morirono di contagio piĂš che 1500 persone.
La storia medica non dimenticò di tramandare alla posteritĂ , che questa malattia esotica per lâEuropa fu portota in Livorno per parziale inosservanza delle regole sanitarie, allorchè si volle dal governo Borbonico togliere lâabituale contumacia prescritta alle provenienze di Spagna ove la febbre gialla allâimprovviso era scoppiata.
Dopo lunghe titubanze, e contradizioni dei medici, come sempre avviene in simili casi, spesso fatali a chi pubblica con franco giudizio una funesta verità , fu con formale processo riconosciuto, e dimostrato qual fosse stato il naviglio che importò a Livorno questo contagio; avutane la confessione, morendo, dal capitano stesso che lo comandava.
Verificossi che da alcuni marinari del malaugurato naviglio, discesi in terra, tal male ebbe principio nei soli punti e nelle sole case dove alloggiarono (in pescheria vecchia e al mulino a vento). Fu provato che alcuni oggetti levati da bordo, e due dei nostri calafati, che entrarono i primi in quel bastimento, portarono il contagio tropico in altre parti della cittĂ , dove certamente nascere non poteva neppur lâidea dâinsalubritĂ e di poca nettezza di case, nè sospettare che fossero troppo anguste e poco ventilate, come nella gran piazza di Livorno: prova evidente, dirò col celebre dottor Palloni, checchè manifesti un diverso parere lo storico Botta, che in qualunque parte di una cittĂ marittima, sordida o pulita, salubre o insalubre, può svilupparsi la febbre gialla, o altro male contagioso, ove qualche marinaro ammalato, o delle merci contagiate vi siano depositate.
E se esso incomincia per lo piĂš nelle strade e nelle case prossime al porto, assai ristrette, popolate e meno proprie, ciò si deve allâesser in queste ricoverati i primi marinari sbarcati, ed alla maggior facilitĂ delle loro comunicazioni col mare; giacchĂŠ senza aver nulla fatto per variare le condizioni a quelle strade infette, la malattia terminò quasi per incanto appena gli infermi furono separati dai sani, isolando i piĂš aggravati nelle loro abitazioni, e trasportando gli altri in uno spedale espressamente situato lungi dallâabitato e in riva al mare: finalmente spurgando le case infette e portando in Lazzeretto tutti gli oggetti e mobilie suscettibili di contagio.
Dopo tanto flagello, che decimò la popolazione di Livorno, e che quasi annichilò il suo commercio, non vi furono lunghi giorni sereni, avvegnachè era per volgere al suo termine lâanno 1807, quando ripresentavasi nel mondo politico lâultima scena del giovane morente regno di Etruria da chi con eguale indifferenza creava repubbliche di nome, dispensava troni e scettri apparenti, e quindi appropriavasi vecchie e nuove corone.
Veniva a prender possesso del regno dâEtruria a nome di Napoleone il generale Reille, rimpiazzato poco dopo da Menou, capo di una giunta straordinaria, che aveva lâincarico di ridurre la Toscana a regime francese, e di farne tre nuovi dipartimenti pel grande Impero. Allora la cittĂ di Livorno, a preferenza di Pisa, fu dichiarata capo-luogo di uno di essi col nome di dipartimento del Mediterraneo. Da indi in poi mairie, giandarmerie, leggi, tribunali, demanio, diritti riuniti, contribuzioni fondiarie, di porte e finestre, personali, patenti ec., tutto fu montato sul piede francese. Lasciavasi ai Toscani fra i pochi privilegi quello onorevole e singolare di potere usare negli atti pubblici della lingua nazionale in concorrenza con la lingua conquistatrice.
Pertanto la giunta francese non trascurava ogni via per eccitare i Toscani allâindustria, e aumentare il loro commercio interno, giacchĂŠ quello di importazione ed esportazione allâestero nel porto di Livorno era ridotto quasi a nulla. â Si tentò dâintrodurre nelle Maremme la coltivazione del cotone; si propagò in Val Tiberina e in altre parti la sementa del guado; si permise a certe condizioni la piantagione del tabacco; furono incoraggiti i proprietarj di armenti a migliorare le lane; solleticaronsi con premii ed emulazioni le mani fatture toscane per estendere il commercio dei berretti di Prato, dei cappelli di paglia di Firenze, degli alabasiri lavorati di Volterra, delle fabbriche di corallo di Livorno. â Fu domandata grazia al sommo imperante, affinchè permettesse le tratte delle sete nostrali di Livorno per mantenere viva in Toscana la fabbricazione dei drappi e la coltivazione dei gelsi.
Fu contemplata poi dagli adulatori come una distinzione segnalata verso di noi, quando Napoleone, nellâalto di restituire alla Toscana il nome, non lâesistenza politica di granducato, nominò a questa nuova gran dignitĂ dellâImpero la sua sorella Elisa, giĂ principessa di Lucca e di Piombino.
Per tal guisa la miseria del popolo veniva abbagliata dallo splendore di una elegantissima corte, da ampollosi titoli, da imponenti parate ed esercizj militari.
Frattanto si avvicinava a gran passi il tempo in cui parve che nulla piĂš resistesse alla volontĂ dellâuomo straordinario. Solamente gl'Inglesi fra tante potenze abbattute, fra tante battaglie ordinate e vinte, soli essi ricusavano ancora di porgere incensi allâara dellâaltissimo e potentissimo Imperatore; ed i porti dellâEuropa napoleonica trovavansi chiusi al suo commercio dai numerosi navigli della Gran Brettagna. In conseguenza di ciò Livorno, dopo essere stato spogliato di merci e di denaro, restò per piĂš anni deserto di bastimenti mercantili e privo di quel traffico, da cui aveva ricevuto tanta vita e prosperitĂ .
Inebriata la Francia, abbattuta la Germania, doma lâItalia, sembrava strano al vincilore di tanta parte di Europa che il fiero Spagnuolo ed il superbo Inglese gli amareggiassero si gloriosi trionfi.
Ma giĂ i fati del gran capitano erano giunti al suo opogeo; giĂ la capricciosa fortuna lo rovesciava dallâaltissimo seggio, e ciò allâistante in cui egli meditava dilatare il suo dominio dalle cocenti arenc Gaditane fino al mar Caspio e alle desertiche regioni della Moscova.
Era segnato nei destini, che nel settentrione dellâEuropa perissero le speranze di Napoleone, che colĂ si cambiassero le sorti del mondo, colĂ dove il sarmato gelo intirizzĂŹ, assiderò, spense in pochi giorni un esercito numerosissimo, il piĂš bel fiore della parte piĂš popolosa piĂš colta e piĂš bella dellâEuropa, un esercito capace di vincere gli uomini, non mai di vincere il cielo, Allâannunzio sussurrato di tanto flagello i popoli da ogni lato insorgevano, i fautori, di stessi amici di Napoleone maravigliati, commossi, intimoriti piegavano i loro animi a salvare le accumulate ricchezze sino al punto di scuoprirsi mal contenti di lui ed anche suoi nemici.
Di cotal tempra mostrossi il re Gioacchino Murat, quando, vedute le cose di Russia, e poi quelle di Germania andare in fascio, egli si voltò alla corte di Vienna, sperando in tal modo di assicurare con la disgrazia di Napoleone quel real seggio che la buona fortuna di Napoleone avevagli apportato.
Infine il re Giovacchino, fermati i suoi casi con lâImperatore Francesco, si obbligò di far operare l'armi napoletane di concerto con quelle imperiali e con le truppe che andavano raccogliendo glâInglesi per tempestare lâalta Italia. â Infatti poco innanzi che Murat spingesse le sue genti sino al Taro per misurarsi contro lâesercito del principe Eugenio, compariva alla vista di Livorno una flotta brittannica convogliata da qualche migliajo di soldati, da seducenti proclami, da bandiere esprimenti in parole, indipendenza italiana; e portanti impresse due mani giunte, con lâidea di annunziare e di far credere nei nuovi conquistatori solida amicizia e sincera fratellanza.
Ma i Toscani al pari, se non piÚ degli altri Italiani, scotti da ripetuti esempj di simili allettative non si fidarono nè del variabile re Giovacchino, nè del poco generoso lord Bentink.
Era sul terminare dellâanno 1813 quando un migliajo di truppe collettizie sbarcava alla spiaggia di Viareggio per muovere verso Lucca e Livorno, nel tempo che Bentink, veleggiando con i suoi vascelli da guerra davanti a quel littorale, aspettava che il popolo cooperasse al suo scopo.
Non molto dopo, entrarono in Firenze i soldati napoletani, una parte dei quali nel dÏ 18 di febbrajo 1814 occupò senza ostacolo la città di Livorno, e due giorni dopo ricevè pacificamente la consegna delle fortezze dalla guarnigione francese.
Comunque andasse, fatto e che per tali malagevoli vie si liberò la Toscana da uu dominio piĂš odiato che dispotico; si liberò Livorno da un blocco troppo lungo e alla sua fortuna rovinoso; si liberò lâItalia, giĂ mente e maestra dâEuropa, dallo strazio, dal vilipendio, dal timore di un potente conquistatore che tripartitala fra lâimpero gallico, il regno italico ed il siculo, a suo arbitrio, solo per ammaestrarla, per felicitarla, qual inesperta pupilla la dirigeva, la comandava.
CosĂŹ la piĂš bella parte della nostra Penisola dopo una varia luttuosa catastrofe di tre lustri, dopo fortunosi eventi non previsti nè da prevedersi dalla politica piĂš recondita, e dalle menti piĂš perspicaci, con maraviglia pari al lungo desiderio si ricompose al pacifico regime del suo benamato Ferdinando; sicchĂŠ ad unâostinata sanguinosissima guerra terrestre e marittima succedendo giorni di calma e di serenitĂ , Livorno vide aprirsi davanti ed ampliare latamente gli sbocchi per offrire varie immense e durevoli risorse; al suo commercio.
Fra le prime misure governative di Ferdinando III, dopo il suo ritorno al trono avito, essenzialissima per i negozianti livornesi fu quella dettata dal Motuproprio dei 13 ottobre 1814, allorchè il tribunale di commercio, stato eretto in Livorno sotto il governo napoleonico, fu rimpiazzato dal magistrato civile e consolare, traslatatovi da Pisa, dove sino dai tempi della repubblica era stabilito.
Devesi a Ferdinando III lâattivazione del regolamento della camera di commercio di Livorno, ordinata con editto degli 8 aprile 1815; siccome è opera dello stesso Granduca (7 aprile 1818) lâistituzione di due commissarj di polizia in quella piazza, uno per lâinterno e lâaltro per i popolosi subborghi della cittĂ .
Una prova solenne della premura di quel sovrano nel favorire e proteggere il traffico di Livorno fu quella di esentare nel 1822 con apposito motuproprio le merci venute di sopra mare, che si rispedivano per terra allâestero, dal diritto dellâuno per cento. â Frutto della munificenza sua è pure uno dei piĂš eleganti, se non piĂš comodi edifizi i moderni che adornano Livorno, voglio dire la fabbrica marmorea dellâufizio di sanitĂ che fu alzato sullâingresso del molo alla bocca del porto.
Finalmente Livorno da lungo tempo scarseggiante di buone fonti e di acque salubri deve a Ferdinando III lâimmenso benefizio di possedere una copiosa quantitĂ di acque perenni (circa 18,000 barili per giorno) che divise in diversi getti fra poco scatoriranno in tutte le piazze, e nei principali quadrivj della cittĂ . Avvegnachè, se la cittĂ di Livorno fu provveduta nella sua prima fondazione di una sufficiente quantitĂ di acqua per glâindispensabili usi della vita, mediante le pubbliche cisterne e le sorgenti tartarose di Limone che vengono per i condotti vecchi sino alla cittĂ , ora non erano piĂš queste nè quelle bastanti a dissetare una sempre piu numerosa popolazione.
Furono esaminate le sorgenti migliori e piĂš copiose dei monti livornesi, e fu rappresentato al governo, che le sorgenti di Popogna gettavano a ragione di barili 156 lâora; e quelle di Colognole nei mesi di maggiore arsura fornivano 400 barili per ora. Col motuproprio del dĂŹ 7 novembre 1792 Ferdinando III ordinò la costruzione del nuovo acquedotto di Livorno, affidandone lâesecuzione al R. ingegnere Giuseppe Salvetti; e con altro motuproprio degli 11 nov. 1797 furono date ulteriori disposizioni per la continuazione degli acquedotti di Colognole che camminavano circa 11 miglia, e pei quali erano spesi 200,000 scudi la metĂ a carico del R. erario e lâaltra metĂ a carico della comunitĂ di Livorno. â Vedere lâArt, ComunitĂ di Livorno.
LIVORNO SOTTO LEOPOLDO II FELICEMENTE REGNANTE Eccoci giunti allâepoca piĂš brillante, al momento piĂš fortunato che la citta di Livorno offra alla storia dopo la sua prima fondazione.
Imperocchè, se fu grande la celerità per la quale molo, darsena, canali navigabili, mura, bastioni, fortezze, chiese, palazzi pubblici, stabilimenti, magazzini, strade, fonti e piazze se tutto ciò quasi per incanto sul finire del secolo XVI dal Granduca Ferdinando I si ordinò e restò vivente lui presso che compito, non recherà ai posteri minor maraviglia quando sapranno la prestezza con la quale Leopoldo II meditò, decretò nuove cose, e come tosto incoraggi migliaja di operaj, intenti a far sorgere intorno a Livorno un nuovo cerchio di mura della periferia di circa quattro miglia, una piÚ comoda e piu grandiosa darsena per i navicelli, ampie piazze, lunghe strade, deliziosi passeggi, porte, ponti, dogane, superbi edilizi sacri e profani, in guisa che bellezza, prontezza e comodità si diedero scambievolmente la mano per far nascere a contatto della vecchia una nuova città .
Oltre a ciò non è cosa meno degna di essere tramandata alla posteritĂ , che come il Granduca Ferdinando I, mentre fabbricavasi la nascente cittĂ , cercò di popolarla collâampliare le immunitĂ a favore di chi vi concorreva, allâopposto lâAugusto Leopoldo II, dopo compite tante opere portentose, quella legge stessa ha voluto abolire, affinchè nella sua bella e illustre cittĂ marittima non venisse, come a deturparla, gente vagabonda ed immorale.
Tanto cangiossi in meglio e progredĂŹ col pubblico costume la moderna civiltĂ ! Fra le prime benefiche disposizioni da Leopoldo II ordinate a favore dei Livornesi favvi quella di compire la volontĂ del suo benamato Genitore, allorchè in sgravio del commercio, ed in parte anche dei possessi fondiarii, dichiarò di portare a carico del governo il pagamento del debito creato dalla comunitĂ di Livorno per contribuzioni di guerra sotto il regime francese. Al quale oggetto nei primi giorni del 1845 furono posti allâincanto e respettivamente aggiudicati tanti stabili e canoni, di pertinenza del R. erario, per la somma di lire 270,000, da pagarsi in tante azioni di quei creditori.
GiĂ la popolazione di Livorno, aumentata di un terzo nel breve periodo di 20 anni, traboccava da ogni parte fuori delle mura di Livorno, ed i subborghi deâCappuccini e di Acquaviva fabbricati dal Granduca Francesco II, quello amplissimo e popolatissimo del Borgo Reale cresciuto sotto lâimmortale Avo del Granduca regnante, erano tutti pieni di popolo e di case, allorchè in mezzo a sĂŹ care memorie, davanti alla piĂš elevata, piĂš ridente e piĂš salubre pianura, Leopoldo II decretava, nel 28 nov. 1828, nuove opere edificatorie grandiose e regolari, nuova porta della cittĂ , nuovi ponti sui fossi, e tanti altri magnanimi provvedimenti.
Era giĂ vicina al suo termine la bella strada che innoltrare dovevasi a levante della cittĂ per il nascente subborgo della porta nuova di S. Leopoldo, quando si pubblicava lâordine sovrano dei 30 ottobre 1829 per alienare circa 25,000 braccia quadre di terreno rasente gli antichi spalti del Casone e di S. Cosimo , spettanti al dipartimento delle RR. fabbriche, del valore di 84418 lire toscane.
Non dirò dellâistantaneo acquisto di tali fondi, non dirò della metamorfosi accaduta in cotesta parte di cittĂ finâallora lasciata al riposo dei morti, o alla cultura degli orti, e che attualmente vedesi convertita in uno dei piĂš ridenti e meglio fabbricati quartieri; dirò bensĂŹ che la celeritĂ , con la quale tanti e cosĂŹ vaghi edifizj sono stati innalzati e compiti, fu tale da dovere sorprendere chiunque da quattrâanni non vide, e che ora torni a rivedere Livorno; dirò che tanta operositĂ e tanta smania di fabbricare, avendo mosso i Livornesi quasi a nuova speculaziane commerciale, fissò sempre piĂš le vigili cure del Principe. Quindi calcolando Egli il bene che doveva produrre al commercio di Livorno in particolare, ed alla Toscana in generale, la magnanima idea di concedere una piena ed assoluta franchigia a tutta la cittĂ , con estendere i privilegj di porto-franco a tanta e si bella parte di Livorno situata fuori delle antiche, e giĂ troppo anguste mura urbane; e convinto, che tale suo provvedimento dovesse efficacemente contribuire ad accrescere con le industrie nazionali il commercio locale, emanò il memorando motuproprio dei 23 luglio 1834, che fu per i Livornesi il fausto annunzio di unâEra novella. Imperocchè con quella legge venivano tolti di mezzo i diritti di stallaggio, quelli dellâuno per cento sulle merci, le tasse dei mezzani, sui caffettieri, locandieri, osti, ec. e fu levato lâonere di servirsi dei pubblici pesatori. del tempo che tutti questi aggravi, questi ostacoli si andavano ad abolire, lo stesso Legislatore annunziava, che ben presto i numerosi abitanti dei subborghi, sino allora contemplati come affatto staccati da quelli della cittĂ , avrebbero partecipato delle franchigie di quel porto-franco, e sarebbero parificati ed amalgamati coi primi, mercĂŠ di una piĂš larga circonvallazione, di un nuovo giro di mura che abbracciasse il fabbricato dei tre grandi subborghi della cittĂ (dei Cappuccini, del Borgo Reale, e del Casone); e che tutte queste operazioni si sarebbero eseguite a carico del R. erario.
A ciò si aggiunga lâindennitĂ che il governo sâimpegnava di dare ai possidenti dei campi, dei giardini, degli orti, per i quali dovevano attraversare le designate mura, i contigui fossi ed il pomerio della cittĂ .
Da un calcolo approssimativo, fatto allo spirare del 1826, resultò, (ERRATA: che il valore delle merci importate in detto anno a Livorno, e consegueutemente sottoposte al pagamento dei dazj, che toglievasi dalla legge del 23 luglio 1834, ammontarono a 6,000,000 di pezze da otto reali, pari a 34,500,000 lire toscane), che i dazii sul valore delle merci importate nel 1826 calcolaronsi per circa 9,000,000 di pezze da otto reali, pari a 52,000,000 di lire.
Sulla qual somma la dogana avrebbe dovuto percepire per stallaggio e diritto dellâuno per cento , corrispondenti cumulativamente al (ERRATA: 3) due per cento, la somma di L. 1,035,000 Per diritti dei pesatori L. 165,000 Totale dei diritti condonati L. 1,200,000 A compensare il R. erario di tanto sacrifizio, veniva dallâaltra parte il dazio consumo da pararsi dalla numerosa popolazione di circa 35,000 abitanti dei subborghi che restavano inclusi nel nuovo perimetro della cittĂ . (ERRATA: Aggiungevasi la tassa di lire 300,000 annue repartibile fra i negozianti, che la Camera del Commercio si obbligava a pagare per le generose franchigie accordatele; e finalmente lâaumento della tariffa sopra i cereali) Aggiungasi la tassa di lire 300,000 annue repartibile fra i negozianti, imposta a loro indicazione al commercio in correspettivitĂ delle generose franchigie ad essi accordate; fra le quali era quella che concedeva Porto-franco anche per i cereali esteri da introdurre in Toscana, o che fossero per attraversare il territorio del Granducato.
Oltre a ciò importava anche riflettere al maggiore incasso doganale che doveva accedere, dopo che per tali provvedimenti restavano precluse molte vie e tolti i mezzi a tanta gente, la quale da lunga mano era abituata a vivere di contrabbando a scapito del R. erario, a grave nocumento degli onesti negozianti, e a somma vergogna della pubblica morale.
Inoltre avendo S. A. I. e R rivolto le sue cure al miglioramento dei sistemi sanitarj, nel pensiero di mitigar le spese delle quarantene e il tempo delle contumacie, con lo stesso motuproprio del 23 luglio ordinò la redaziene di una nuova tabella per la contumacia delle mercanzie e per rendere proporzionata ai valori correnti delle merci anche la tassa dei diritti di purga da percipersi nei tre diversi Lazzeretti di Livorno, fu comandata nel tempo stesso la compilazione di una tariffa piÚ confacente sopra tali diritti da doversi rinnovare ogni anno.
Per tante elargitĂ che onoreranno sempre mai la munificenza dellâAugusto Principe e la sapienza del suo governo, per tanta prontezza di numerose ed importantissime disposizioni tendenti tutte ad agevolare le transazioni commerciali, ed a sospingere di bene in meglio la prosperitĂ di Livorno, la Camera di Commercio di questa stessa cittĂ volle con atti di beneficenza verso la classe degli indigenti dimostrare il giubbilo che risentiva da si generose concessioni. E però, appena divulgato lâeditto del luglio 1834, essa per collegiale determinazione decise di prelevare lire 7oo dai fondi destinati per le spese impreviste, e inoltre si esibĂŹ di accettare quelle offerte, che per spontanee sottoscrizioni venissero fatte dai negozianti, per destinarne lâammontare allâistesso scopo. Tale infatti e tanta fu la spontaneitĂ dei generosi soscrittori, che in meno di sei giorni le somme raccolte a benefĂŹzio dei poveri ammontarono a circa mille scudi.
Allo studio importantissimo del modo il piĂš opportuno per recingere il nuovo porto-franco di Livorno, prese parte l'ottimo Principe che ne governa, recandosi piĂš volte in persona a visitare i luoghi, sui quali erano stati segnati i progetti dei di versi perimetri di questa grandâopera, la direzione della quale venne affidata al commendatore Alessandro Manetti direttore del Corpo deglâingegneri e del bonificamento idraulico delle Maremme.
Dovevasi alla cittĂ lasciare proporzionata ampiezza anche sulla fondata speranza dei futuri incrementi, circondarla con un perimetro regolare, avere il maggior possibile rispetto per le proprietĂ , mantenere le comunicazioni di terra e dâacqua esistenti fra la campagna e i subborghi, i quali tutti dovevano includersi, tranne il piĂš lontano della cittĂ , quello di S. Jacopo dâAcquaviva. â Vedere COMUNITAâ DI LIVORNO, Cerchi diversi della cittĂ .
Era giĂ condotto a termine nel breve periodo di due anni, non ostante le triste vicende frappostesi, il latoro del piĂš ampio perimetro della cittĂ e porto-franco di Livorno, allorchĂŠ Leopoldo II con motuproprio del 7 marzo 1837 dichiarò, che fossero aperte per lâimminente aprile le nuove barriere.
Mentre da un lato cresceva di edifizj e di spazio Livorno, dallâaltro lato si provvedeva ad uno fra i maggiori bisogni della popolazione, alla bonificazione cioè della Paduletta fuori di Porta S. Marco, fomite inesausto di esalazioni perniciose, e aumentavano le opere dei nuovi acquedotti per fornire di fonti tutto lâampio recinto della cittĂ . GiĂ si disse, che sul declinare del secolo XVIII Ferdinando III faceva per mano dal R. ingegnere Salvetti agli acquedotti di Colognole, e di lĂ pure derivano diverse fonti di quelle acque limpidissime e salubri per dissetare Livorno. Dopo molti anni di sospensione fu ripresa la grandiosa opera dal R. ingegnere attuale, cav. Poccianti, ne molto tempo andrĂ , che ultimati i desiderati lavori, si vedranno fluire tutte le sorgenti di Colognole nel magnifico e sorprendente edifizio del gran Cisternone, onde farne di lĂ una regolare e perenne distribuzione in tutte le parti della cittĂ e porto franco.
Erano inoltre con tanti accrescimenti rimaste insufficienti ai bisogni della popolazione le poche e non molto vaste chiese di Livorno; la onde per provvedere al servizio spirituale, fu dal religioso Principe nel dÏ 22 giugno del 1836 segnato un motuproprio, col quale venne disposto, affinchè venissero edificate dentro Livorno quattro nuove chiese, compresa la maggiore, attualmente in costruzione a levante della città ; e che tutte queste, come quella dei Cappuccini, di S. Benedetto e dei SS. Pietro e Paolo, dovessero erigersi in parrocchie assolute.
Sono accessorj allâincremento in tal guisa dato allâattuale cerchio di questa cittĂ marittima molte altre opere edificatorie, fra le quali la piazza e passeggio di S.
Benedetto, e quello piĂš lontano dellâArdenza. â Entrano, nel numero delle sopraccennate, varie imprese della ComunitĂ , il palazzo del Governatore, le nuove strade fognate, lastricate e illuminate; mentre ai privati appartengono moltissime bene architettate, comode ed eleganti abitazioni, che quasi per incauto da una stagione allâaltra si veggono sorgere dai fondamenti, abbellirsi e senza riposo nè scrupolo da distinte classi di persone tosto abitarsi.
Finalmente lâistituzioni recente della Banca di Sconto (25 gennajo 1837), è divenuta per sua natura la moderatrice dei scontisti, nel tempo che giova moltissimo al maggior disbrigo degli affari commerciali, e allâonore della fede mercantile.
Movimento della popolazione di LIVORNO dentro le antiche mura a tre epoche diverse, divisa per famiglie, esclusi i forestieri e la popolazione avventizia del Porto.
ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici -; eterodossi ed ebrei -; totale delle famiglie 194; totale della popolazione 749.
ANNO 1745: Impuberi maschi 1320; femmine 1259; adulti maschi 6005, femmine 6095; coniugati dei due sessi 2880; ecclesiastici 327; eterodossi ed ebrei 10154; totale delle famiglie 4862; totale della popolazione 28040.
ANNO 1833: Impuberi maschi 3807; femmine 3935; adulti maschi 6158, femmine 5907; coniugati dei due sessi 9665; ecclesiastici 175; eterodossi ed ebrei 5771; totale delle famiglie 5882; totale della popolazione 35418.
COMMERCIO DI LIVORNO DOPO LâABOLIZIONE DEI DAZJ Economisti, calcolatori, negozianti, dotti ed eruditi scrissero, predissero, sentenziarono, chi prò, chi contra la fortuna commerciale di Livorno, e certo al dire degli uni e degli altri non mancava materia; cosicchè se da un lato i primi preconizzavano Livorno, in grazia delle larghe franchigie, in virtĂš della geografica posizione o per effetto delle molte ed importanti cose in poco tempo fatte, destinata a diventare, se non lo è, il primo porto dâItalia; al contrario i secondi, contemplando e protestando di possedere una conoscenza intima della pubblica economia, predicevano dello stesso porto-franco meno lusinghiere speranze.
Era fra questâultimi lâanonimo autore di un elaborato articolo sul commercio di Livorno, stato inserito negli Annali universali di Statistica a Milano nellâultimo mese dellâanno 1837. (Vol. 54 pag. 350 e segg.) Vero e, che quando nascono controversie, sopra circostanze complicate, come quelle chc costituiscono il commercio di una piazza, non servono ragionamenti ipotetici, coi quali non fia difficile poter scendere a conclusioni tanto in favore, come in disfavore del quesito che ognuna delle due parti opinanti vĂ facendosi, quello cioè: Se il commercio di Livorno sia in via di accrescimento o di deperimento? â Quesito difficile a risolversi in modo, se non positivo, almeno persuasivo; poichè chi sostiene la prima opinione si sentirĂ rinfacciare i tempi passati, e chi produce la seconda non vorrĂ tener esatto conto della posizione attuale delle cose commerciali di questo nostro emporio.
Si predicava decadenza al commercio di Livorno sino dal 1758, quando il governo di quel tempo interpellava i negozianti piĂš solidi di varie origini a rispondere conscienziosamente a varj quesiti; fra i quali eravi quello di accennare le cagioni della decadenza del commercio marittimo di Livorno e il modo migliore di ripararvi.
Eppure da quellâepoca in poi, ad eccezione dei casi di emergenze fisiche o politiche impreviste, Livorno andò quasi progressivamente prosperando in popolazione, in ricchezza, in attivitĂ commerciale.
Nel 1758 i negozianti livornesi tremavano per le franchigie state concesse ai porti di Nizza, di Civitavecchia, di Napoli e di Ancona; adesso si trema per il deviato commercio di deposito e di commissione, lâunico lucro che dava da vivere a Livorno 80 anni fa. â (Vedere una memoria dei negozianti Olandesi stabiliti in Livorno posta tra i MSS. della biblioteca Marucelliana.
A. CCXX. 23) Debbo qui esprimere la mia riconoscenza al sig. Console C. A. Dalgas, che figura fra i negozianti piĂš sperimentati di Livorno, ed al sig. Eduardo Mayer Direttore della Banca di Sconto di detta cittĂ , i quali si sono compiaciuti rispondere a vari miei quesiti, e comunicarmi diversi appunti di statistica interessanti sul commercio attuale di quella istessa piazza.
Diversamente vi fu un tempo rispondeva uno di essi al proposto quesito in cui moltissimi affari si operavano da pochi e con quasi niuna briga. Ogni anno, per esempio, nelle debite stagioni venivano gli ordini dal Nord per i prodotti del Levante, e contemporaneamente arrivavano i carichi dei generi richiesti. I mezzani di mercansie ne facevano la repartizione fra le diverse case esportatrici. I mezzani di caricazione assegnavano ad ognuna il posto sulle navi caricatrici; in guisa che vendita, compra, spedizione, tutto si eseguiva nella santa pace del monopolio. CosĂŹ andavano allora le faccende; ma quei tempi passarono e non si rividero piĂš.
Venne altra epoca; la guerra desolava lâEuropa, e pochi erano i luoghi privilegiati che fossero rispettati da questo flagello; Livorno era uno di questi, ed ivi affollavano le navi americane con i loro carichi. Le case di commercio in quel ramo di affari poterono contare alla loro consegna in una volta 8, 10, 12 e perfino 15 carichi di generi coloniali, e questi venderli tutti in pochi giorni a due o tre soli speculatori ...... Quei tempi non sono piĂš. â Furono bei momenti per pochi, seguitati peraltro da lunga e crudele copiazione per lâintiera cittĂ . Chi potrebbe desiderarne il ritorno? Dacchè alle spaventose guerre desolatrici, alle maravigliose battaglie di centomila combattenti alle grandi commozioni politiche sottentrarono giorni piĂš tranquilli, in cui gli studii delle scienze, gli esperimenti dellâindustria, i calcoli del commercio poterono riprendere il loro posto, anche Livorno svelò tra le cittĂ dâItalia tale movimento materiale, morale, manifatturiero e commerciale da sorprendere non solo lâeconomista e il calcolatore, ma il filosofo e chiunque altro senta nellâanimo il pregio del progresso, sicchè ognuno di essi dovrĂ alla fine dei conti concludere, che di tutti quei prodigj è stato opera il commercio.
Non evvi piĂš per dir vero quella regolaritĂ di una volta negli arrivi dei diversi prodotti; saranno anche, se si vuole, piĂš incerti gli affari; le comunicazioni dirette fra le diverse contrade del mondo avranno tolto a Livorno il privilegio di esser piazza di deposito; ed oltre a ciò bisognerĂ attualmente competere con gli altri porti-franchi del Mediterraneo e dellâAdriatico; in generale le circostanze saranno, e sono di fatto diverse da quelle di una volta, quando le cose camminavano da sè. Oggi pertanto governo e commercianti debbono stare allâerta per riparare cantamente e solidamente gli argini di un fiume che fattosi gonfio minaccia di deviare dal suo letto per mille canali.
Non piĂš circostanze fortuite favoriscono i porti di mare; conviene gareggiare con i porti rivali, ed attirare a sè quel maggior traffico possibile, mediante franchigie, mercè delle facilitĂ nelle transazioni, nelle comunicazioni. Non bisogna oggigiorno addormentarsi neppure unâora per non andare a rischio di svegliarsi miseri il giorno dopo.
Ognuno deve aver presente la massima della piĂš ricca casa mercantile della Rep. Senese (la casa Salimbeni), che portava per insegna della sua fortuna questo motto: PER NON DORMIRE. Che se lâattivitĂ dellâuomo è quella che adesso vien chiamata a far bella mostra di sè, non vale essa meglio dellâincertezza dei trambusti politici, o dellâapatia dei tempi passati?.... Se ne giudichi dallo stato attuale del commercio di Livorno, nei diversi quadri sinottici che si pongono in calce al presente articolo.
La posizione geografica di Livorno ĂŠ senza dubbio fra le piĂš felici e favorcevoli del nostro Mediterraneo, perchĂŠ essa trovasi la piĂš centrale delle coste italiane, ed anche perchĂŠ havvi costĂ tal varietĂ di generi di esportazione, che molte navi estere, dopo avere scaricato in altri porti, bene spesso vengono a Livorno in zavorra per prendervi mercanzie da portarle in patria. Che se per il passato molti navigli scansavano questa piazza per i carichi dâimporlazione, sul riflesso di non soggiacere ai dazii ed alle vistose spese delle lunghe quarantene, adesso che un provido governo ha tolto i primi e modificato le seconde, è ben ragionevole il supporre, che le navi mercantili siano per approdare, a preferenza di molti altri, nel porto di Livorno, dove troveranno sempre grandi magazzini pubblici da depositarle e sempre pronto il loro carico di ritorno.
Dato, e concesso per fatto positivo, che il commercio di deposito non si possa mai piĂš riprodurre in Livorno, meno che per impreviste e passeggere cause politiche, in quella grande estensione comâera nei tempi passati, quando infondeva tanta vita e moto a quel mercato; non ne consegue perciò, che il suo traffico debba andare decrescendo nella guisa che si prevedeva dallâaulore dellâarticolo poco sopra citato.
Ammesso anche per vero, che le comuicazioni dirette tra i paesi di produzione e quelli di consumazione vadano sempre piÚ prendendo piede, non per questo un tal fatto potrebbe estendersi al di la dei suoi giusti limiti; dovendosi riflettere, che in molti casi da un simile sistema non si ricaverebbero i vantaggi che al primo aspetto sembrar potessero tali quali si desiderano; avvegnachè non sarebbe difficile dimostrare, che spesse volte ciò risulta a danno degli stessi speculatori.
Citerò fra i molti un esempio. Dacchè glâInglesi vanno direttamente alle Isole ioniche a cercare le uve passoline, essi ne hanno aumentato il prezzo di gran lunga superiore a quello del tempo in cui queglâisolani mandavano lo stesso prodotto a vendere per loro conto a Trieste, a Livorno e a Marsiglia; mentre ora gl'Inglesi colla veduta di lucrare sulle proprie manifatture per pagare la passolina; ve le spediscono di quelle molto al di la del consumo delle Isole stesse; in guisa che, o ne resta incagliata la vendita, oppure oltre modo avvilito il prezzo.
La stessa cosa accade quando si voglion mettere in comunicazione diretta i paesi che non hanno prodotti capaci di scambio; perchè se lo stoccafisso, per esempio, della Norvegia, le aringhe dellâOlanda, gli abeti di Moscovia ec. possono essere generi di consumo nella Grecia, non saprei qual prodotto ellenico fosse convenevole per un carico di ritorno al Nord; ed in conseguenza, o bisogna che i navigli che portarono simili merci ripartano dalla Grecia vuoti, oppure che corrano il rischio di perdere sul carico di ritorno piĂš di quello che non guadagnarono sul carico di andata.
Quindi è che in molti casi trovansi utilissime al commercio certe stazioni di mercato, certi porti di deposito intermedio, onde facilitare le operazioni tra tutti quei paes i che non hanno generi atti ad uno scambio: talchè rendesi moralmente impossibile di poter supplire direttamente con vantaggio ai bisogni di ogni paese.
Senza dubbio per gli articoli principali e di generale necessitĂ , come sono i commestibili, i generi coloniali, cotoni ec. a lungo andare il commercio diretto dal luogo di produzione a quello di consumo deve riescire piĂš vantaggioso di quello indiretto; ma anche un simil traffico va soggetto a delle eccezioni; e lâamericano che imprende a fornire di caffĂŠ e zucchero il mercato di Nauplia, o di Atene, spesse volte ne ricaverebbe miglior costrutto se si fermasse a Livorno. Imperocchè, se ai bisogni di quelle parti fosse stato supplito da qualcuno che lo precedè, lâarrivo di un nuovo carico deve produrre tale dopressione in quel mercato da non porsi a confronto con le vicende del mercato di Livorno; nel quale, essendo solito trovarsi un continuo deposito di generi coloniali, lâarrivo di alcuni carichi piĂš o meno non influisce materialmeute sul prezzo della mercanzia che vi si porta.
Che piĂš devâentrare sempre nei calcoli del capitano americano che viene con le sue merci nel Mediterraneo, non solo la vendita delle proprie derrate, ma anche la compra di quelle che dovrĂ riportare nellâOceano, e bene spesso fisserĂ , secondo lo stato del mercato, lo scopo principale della sua speculazione. In simili casi egli preferirĂ molte volte il porto di Livorno a quello di Trieste, nonostante lo sfogo maggiore che offre questâultimo. Avvegnachè la posizione geografica di Livorno assicura maggiormente al mercante americano il buon esito della sua impresa, e costĂ essendo sicuro di trovare tutti i prodotti piĂš utili alla sua imbarcazione, ed una varietĂ di generi assai superiore a quella di altri scali del Mediterraneo, eviterĂ un piĂš lungo viaggio sino al fondo dellâAdriatico, sul riflesso che tale ritardo possa dar luogo ad altro competitore di sopplire prima di lui a quei bisogni del paese dove egli aveva divisato di approdare.
Non credo poi vero, che Livorno sia destinato a procedere da qui avanti, come disse lâautore del citato articolo, unicamente ai bisogni del Granducato, di Lucca, Massa e Carrara, perchè una gran parte della Romagna provvede a Livorno nei suoi bisogni; e di qua si fa un traffico di qualche conseguenza per contrabbando colla Sicilia, con Napoli, col Genovesato, con la Francia con la Spagna, e piĂš ancora con la Sardegna e la Corsica. E comecchĂŠ glâInglesi mediante Malta e le Isole ioniche, gli Austriaci per la via di Trieste e di Venezia, i Francesi con l'emporio di Marsiglia, i Piemontesi col porto di Genova abbino assorbito una grandissima parte del commercio di Levante, dellâEgitto e della Barberia, pure è rimasta ancora una porzione non indifferente (ERRATA: di questi traffici, alle case commerciali) di questi traffici, specialmente con la Siria, Cipro e lâEgitto, alle case commercianti stabilite in Livorno.
Lâautore dellâarticolo piu volte rammentato si appoggia molto sullâostacolo che presenta la catena dellâAppennino al commercio livornese, a motivo della maggior spesa di trasporto; nè alcuno potra contradirglielo, specialmente quando trattasi di generi voluminosi, pesanti e di poco prezzo; ma per quelli di maggior valore la differenza della condotta si riduce ad unâinezia tale, o da non meritare attenzione, o da doversi contemplare come bilanciata dai vantaggi che offrono la vicinanza dei luoghi e il risparmio del tempo per averla.
E qui cade in acconcio il fare osservare, ehe in Livorno, oltre i generi che vi sâintroducono di sopra mare, si riunisce un deposito di prodotti indigeni assai superiore a quello di Genova, e di altri porti del Mediterraneo, anche senza voler contare lâimportazione delle granaglie valutata negli ultimi due anni sopra 30 milioni di lire. â Vedere il Quadro di N.Âş II.
In quanto allâarrivo dei principali articoli coloniali, dal 1833 a tutto il 1837, i quali generi importarono il valore approssimativamente calcolato di 38,500,000 lire toscane, indicherò al lettore il Quadro di N.Âş III.
Vero è che in Livorno non si posseggono dati officiali per stabilire calcoli precisi di una statistica commerciale, laonde non vi resta altra via da argomentare se non quella per induzione, qualora da questa via si dovessero eccettuare le merci dâimportazione, giacchè per queste vi è il dato dei manifesti dei carichi.
GioverĂ per conoscere a un di presso la quantitĂ dei generi di esportazione un calcolo fatto dai tassatori della Camera di commercio; il quale nel 1835, diede per approssimazione la cifra di circa 50 milioni di lire di valuta di mercanzie esportate, e di 70 milioni di lire per quelle introdotte in Terraferma; di modo che lâesportazione sarebbe stata minore circa dellâimportazione.
Si noti che tanto la quantita, come le valute dei generi importati, distribuiti dei sei gruppi della Tavola di N.ÂşV, vanno naturalmente soggette ad oscillazione per circostanze speciali; comecchĂŠ aperti ne, ozianti livornesi abbiano osservato, che la diminuzione di un anno venga tosto compensata dallâaumento dellâanno seguente.
Qual sia lo sfogo di questâannua quantitĂ di generi portati al mercato di Livorno, si rileva da un breve ragguaglio che qui riportasi per gli articoli principali.
RAGGUAGLIO SUL COMMERCIO DI LIVORNO PRODOTTI IMPORTATI DAL LEVANTE I Cotoni sodi dellâEgitto. â Si spediscono nella Svizzera, in Iughilterra, in Francia e nel Belgio.
Le Lane. â Un terzo dellâimportazione si consuma in Toscana, gli altri due terzi passano in Francia, Inghilterra e Piemonte. â Le Sete. â Oltre i bisogoi della Toscana se ne fanno delle spedizioni dper Genova, e qualche volta vengono richieste per la Barberia.
Le Cere. â Gran parte se ne consuma nel Granducato e molta se ne spedisce in Sicilia.
I Lini. â Si consumano per la maggior parte in Toscana.
Le Galle, Gomme, Sena, Zaffrone ec. â Si esportano per lâlnghilterra, per lâOlanda, il Belgio e la Germania.
L'Oppio. â Si spedisce in Francia, Inghilterra, America ec.
PRODOTTI IMPORTATI DAL PONENTE E DAL NORD Coloniali . â Un gran consumo ne fa la Toscana; quantitĂ imponenti vengono spedite nella Romagna non solo per i suoi bisogni, quanto per quelli degli Abruzzi.
Livorno inoltre supplisce alle richieste del Lucchese, a una parte del Modenese e della Sicilia. Spedizioni Assai rilevanti se ne fanno pure per le Isole Ioniche, per il continente della Grecia, per la Barberia, Soria, Costantinopoli e Odessa.
Manifatture Inglesi, Svizzere, Francesi ec. â Si può calcolare che (ERRATA: 3/4) circa la metĂ delle importazioni di questo ricco ramo di mercatura venga rispedito principalmente per lâEgitto, per la Barberia e per la Soria. Lâaltro quarto si consuma in Toscana e in altre parti dellâItalia.
Salumi . â Quasi tutta lâimporlazione si consuma nello stesso Granducato, nel Lucchese, e una porzione passa in Sardegna, allâIsole Ioniche ec.
Metalli, Legnami, Catrame e Pece. â Prelevato il consumo locale e della Toscana, il restante si esporta per la Romagna, Napoli, Sicilia,Egitto e Levante.
Vacchette di Russia. â Molte consumansi nello Stato, e altre se ne spediscono in Romagna, nel Modenese ec.
Lini. â Servono per il consumo della Toscana.
Fin qui degli articoli principali ed esotici allâItalia ed alla Toscana. Ora parlando del ramo di esportazione dei generi greggi e manifatturati indigeni che provengono dalla Toscana, o che si fabbricano in Livorno, limitandoci ai principali, possono ridursi ai qui appresso registrati.
(Vedere il Quadro N.Âş VI e VIII.) Che se oltre al traffico nei sopranominati articoli si voglia aggiungere la somma di molti altri, come vini forestieri, oggetti di mode, perle, gioje, chincaglierie, bigiotterie ec.
cosĂŹ pure il ramo bancario in verghe di oro e di argento, o in monete estere ec. ec. noi avremo in essi altrettanti elementi dâindustria commerciale per il Porto-franco di Livorno da rincorare anche i piĂš meticolosi.
E se a taluno sembrasse travedere parzialitĂ in questa esposizione, ne appelliamo al giudizio degli esteri, fra i quali vorremmo contare il redattore del giornale di Marsiglia, il Semophore, dove sotto la data del 20 gennajo 1838, può leggersi un articolo sul commercio di detta cittĂ col Levante, dal quale apparisce: che durante lâultimo semestre del 1837 della provenienza dal Levante entrarono: Nei porti dellâInghilterra, Bastimenti Numero 388; dei quali un 3/4 delle Isole Ioniche Nel porto di Genova, N.Âş 392 Nel porto di Livorno, N.Âş428; dei quali (bastimenti entrati nei porti di Genova e Livorno) 3/4 dal Mar Nero Nel porto di Marsilia N.Âş 350 (Va aggiunta lâosservazione del Semophore medesimo : âMarsilia è dunque per questo lato in ultima linea. Ma non si possono negare i progressi rimarchevoli di Trieste, Livorno e Genova che rapidamente crebbero allâombra delle loro franchigieâ - Semophore -).
Ciò nonostante a lode della veritĂ dobbiamo convenire, che il porto di Marsiglia aânostri giorni si è reso il primo mercato del Mediterraneo compresi i mari dipendenti, e che il porto di Livorno nel prospetto comparato del movimento commerciale, stato di recente redatto, dei 15 principali porti del Mediterraneo, Adriatico, Arcipelago, e Mar Nero, viene al certo collocato nel quinto posto: cioè, dopo quelli di Marsiglia, di Trieste, di Costantinopoli e di Genova.
Mi si domanderĂ ora: da chi si fa, e nelle mani di chi passa il commercio dâimmissione e di estrazione di Livorno? al che risponderò; che quasi tutto il suo commercio, se si eccettuano le manifatture, i grani e poco altro, suol farsi per conto dâamici, cioè per interesse degli esteri.
Accade peraltro nou di rado, che le case dei ricevitori stabilite in Livorno prendono interesse nelle consegne di America e dâInghilterra. Vi sono pure dei negozianti di seconda mano che elle volte fanno venire dei generi per loro conto da Trieste, da Marsiglia e da Genova. Ciò ha luogo per esempio in questo momento in cui, mancando di arrivi diretti, si ricevono da Marsiglia Zuccheri, Caffè, Pimenti e Campeggio in gran quantitĂ . In conseguenza di ciò vi ĂŠ stato nellâInverno del 1838 molta esportazione di numerario in oro per la Francia, e in francesconi per Genova, appunto per bilanciare il volore di tali importazioni. (Si aggiunga : E ciò a cagione della crisi americana, per la quale diminuĂŹ molto lâesportazione dei Prodotti toscani, mentre dallâaltro canto gli arrivi delle granaglie dal Mar Nero, essendo stati assai numerosi, vi fu nellâinverno e nella primavera decorsa molta esportazione).
Per la statistica degli stabilimenti commerciali esistenti in Livorno nel principio dellâanno corrente 1838, vedasi il Quadro qui appresso segnato di N.Âş I.
Dal prospetto del N.ÂşIV, indicante il numero dei fallimenti accaduti fra le case di commercio di Livorno di prima, seconda e terza classe, a cominciare dal 1822 sino al 1838, si rileva che la media proporziale dei fallimenti non supera, per le case di prima classe, lâ1 e 4/5 per anno, il 4 per le case di seconda classe, e il 5 e 8/15 per quelle di terza classe. Nel totale pertanto 1a misura media corrisponderebbe al discretissimo numero di 11 e 1/3 per anno in tutto il commercio di Livorno.
Buoni effetti del Vapore per le pronte comunicazioni commerciali Io non parlo dei pericoli e del rischio cui i porti andarono soggetti dopo messa in pratica la corriera velocissima del vapore, poichè Marsiglia, Genova, Napoli e pur troppo il nostro Livorno ne provarono lacrimevoli effetti; dirò solamente, che tutto ciò che accelera e facilita il consorzio commerciale, infondendo nuova vita e maggior vigoria ad ogni sorta dâumana industria, produrrĂ sempre un buon effetto, siccome lo ha risentito Livorno dal commercio acquatico spinto dal fuoco.
Per dirne poche fra molte, le sete di Spagna prima dei battelli a vapore difficilmente giungevano a Livorno, adesso per la via di Marsiglia ne arrivano continuamente per alimentare le fabbriche di Toscana, mentre le sete nostrali di qualitĂ piĂš fina e pregiata si spediscono in Inghilterra. â Le manifatture del Nord della Francia, della Prussia Renana e della Svizzera arrivano a Livorno con la massima facilitĂ e sollecitudine. Serva questo solo esempio. Una spedizione di manifatture dâinvio dalla Svizzera giunse in Livorno e fu venduto il carico, e rispediti i conti con le rimesse del prodotto al fabbricante dentro il brevissimo periodo di un mese, dal giorno châegli ne fece la spedizione suddetta.
Il vapore per via di mare tiene Livorno in continua relazione con Marsiglia, Genova,Civitavecchia e Napoli; il vapore per via di terra, tracciata che sarĂ la strada di ferro progettata da Livorno a Firenze, aumenterĂ senza dubbio il movimento del commercio e delle industrie fra Livorno, Lucca, Pescia, Pistoja, Prato e la Capitale della Toscana, e via facendo altrettanti bracci secondarii, questi agevoleranno e renderanno piĂš economiche e quindi piĂš copiose le comunicazioni con Bologna, con Modena, Parma, la Romagna ec.
Il passaggio frattanto dei forestieri per Livorno in grazia del vapore marittimo si è accresciuto in guisa che, nel 1836, non meno di 26000 furono quelli che transitarono di costà .
Il numero delle corse dei battelli a vapore nel 1836 fu di 322, ma nel 1837 per causa del ritornato, sebbene meno micidiale cholèra, vi fu lunga interruzione.
La Nota Sommaria del Quadro statistico N.ÂşX, indicante la quantitĂ dei bastimenti arrivati in Livorno da un buon secolo a questa parte, sebbene non qualifichi la loro portata, nè le bandiere sotto le quali veleggiarono, nè tampoco le merci che conducevano, o che venivano a caricare, tuttavia può dare unâidea della frequenza progressiva dei navigli a questo emporio.
Bastimenti a vela quadra arrivati coi loro carichi in Livorno negli anni 1836 e 1837, esclusi i battelli a vapore Inglesi, anno 1836 NÂş 156, anno 1837 NÂş185 Francesi, anno 1836 NÂş15, anno 1837 NÂş 40 Russi, anno 1836 NÂş46, anno 1837 NÂş 96 Svedesi, anno 1836 NÂş14, anno 1837 NÂş 23 Danesi, anno 1836 NÂş 11, anno 1837 NÂş 4 Americani, anno 1836 NÂş 32, anno 1837 NÂş 18 Spagnuoli, anno 1836 NÂş 12, anno 1837 NÂş 13 Jonici, anno 1836 NÂş 11, anno 1837 NÂş 22 Ellenici, anno 1836 NÂş 55, anno 1837 NÂş 104 Austriaci, anno 1836 NÂş 55, anno 1837 NÂş 139 Napoletani, anno 1836 NÂş 98, anno 1837 NÂş 80 Sardi, anno 1836 NÂş 191, anno 1837 NÂş 184 Toscani, anno 1836 NÂş 114, anno 1837 NÂş140 Belgi,Olandesi, Anoveresi, Prussiani, Ottomanni e Romani, anno 1836 NÂş 23, anno 1837 NÂş 27 Totale anno 1836 NÂş 831 Totale anno 1837 NÂş 1075 Alle quali due cifre qualora si aggiungono quelle dei bastimenti di vela latina, i vapori ed altri navigli che fanno il cabotaggio, noi avremo per lâanno 1836 un totale di 5503, e per lâanno 1837 di 5897 arrivi.
Fra i 1075 bastimenti di varie nazioni che dopo lunghi viaggi, approdarono nel 1837 a Livorno, quelli toscani figurano per N.Âş140. â La bandiera toscana frattanto intraprende precipuamente i viaggi dâAlessandria, di Barberia e di Soria. Pochissimi passano nel Mar Nero, poichè di 351 arrivi in detto anno da quelle parti, Livorno ne conta solamente undici toscani. Troppo poco per un commercio cotanto utile per la Marina! Mancava a questa piazza per il maggiore disbrigo degli affari una Banca di Sconto, e questa fu aperta ed istantaneamente coperta di azionisti, emanata la notificazione dei 25 gennajo 1837, che approvò la SocietĂ anonima e gli statuti proposti per sĂŹ buona istituzione. La Banca di Sconto di Livorno ha un capitale di due milioni effettivi, con la facoltĂ di potere emettere fino a sei milioni di lire in cedole.
L'interesse del denaro in Livorno, presa la rata media, si può stabilire al 5 per cento lâanno. Se desso è maggiore di quello che praticasi in altre piazze ciò dipende dalla specialitĂ delle circostanze che determinano il prezzo del denaro piĂš o meno caro.
Infatti dal Prospetto delle società mercantili e delle case di commercio, che può vedersi nel quadro qui appresso N.º I, non apparisce che vi sia in Livorno sovrabbondanza di numerario proporzionatamente alle operazioni che vi si fanno. ma vi supplisce una grande attività , e la somma diligenza nelle transazioni.
La regolaritĂ in generale di queste operazioni è tale che Livorno a buon diritto passa per una delle piazze piĂš solide ed è appunto una siffatta attivitĂ quella che mantiene lâinteresse dentro il suddetto limite. La Banca di Sconto, il di cui studio fu di seguitare lâandamento della piazza medesima, ha finora regolato i suoi sconti nel modo seguente: Fino al 3 sett. 1837; 5 per % massimo Dal 4 sett. al 29 ottobre; 4 e 1/2 per % Dal 30 ott. al 1 febb. 1838; 4 per % Dal 19 febb. al 1 marzo detto; 4 e 1/2 per % Dal 2 marzo in poi fu rimesso al 5 per % Dal fin qui detto, dai confronti fatti, dalle cifre officiali riportate, dalle molte industrie, arti e mestieri specificati nel Prospetto qui appresso di NÂş. IX, dai pro'vvedimenti governativi recentemente emanati, sarĂ facile argomentare e definire, se il commercio di Livorno sia nella decadenza, oppure nella via del rialzamento.
N° I QUADRO STATISTICO degli STABILIMENTI COMMERCIALI DI LIVORNO desunto da Note ufficiali dellâanno 1838.
1. Genere di Stabilimenti e Negozii: (ERRATA: Case di Commercio di prima classe) Case di Commercio e fra queste Società Commerciali delle tre specie determinate dal Codice di Commercio - a - Specie e Quantità : Israelitiche N° 100, Nazionali N° 95, Inglesi N° 25, Greche N° 23, Tedesche, Svizzere e di altre Nazioni N° 50 (ERRATA: Numero complessivo: N° 293): in tutto N° 293) Quantità dei Capitali rispettivi: (ERRATA: da mezzo) da 50,000 sino a tre milioni di Lire toscane circa per casa (ERRATA: 2. Genere di Stabilimenti e Negozii: Società Commerciali delle tre specie determinate dal Codice di Commercio - a -) Specie e Quantità : Collettive N° 40, Accomandite N° 40, (ERRATA: Anonime, tra le quali) Anonime N° 5, tra le quali la Banca di Sconto (ERRATA: Numero complessivo: N° 85) Quantità dei Capitali rispettivi: Capitale incalcolabile (per le Collettive), Capitale incalcolabile (per le Accomandite), 2,000,000 in effetttivo (N.B. Questa cifra riferisce unicamente alla banca di Sconto) e 6,000,000 in cedole (per le Anonime) Osservazioni: - a - Nel 1835 in Livorno contavansi 44 scontisti con un capitale effettivo di 12,000,0000 di lire toscane. (ERRATA: La Banca di Sconto) Lo sconto era molto variabile, la Banca però recentemente stabilita, mercè la quale il massimo sconto valutasi al 5 per % è divenuta di sua natura la moderatrice sotto questo importantissimo rapporto commerciale.
3. Genere di Stabilimenti e Negozii: Commercianti in dettaglio, Bottegai e Fabbricanti Specie e Quantità : Nazionali N° 450, Israeliti N° 110, Forestieri N° 71 Numero complessivo: N° 631 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale 4. Genere di Stabilimenti e Negozii: Mezzani maggiori Specie e Quantità : Nazionali N° 230, Israeliti N° 115 Numero complessivo: N° 345 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale 5. Genere di Stabilimenti e Negozii: Osti, Caffettieri Numero complessivo: N° 269 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale Totale dei tassati N° 1538 Piccoli Commercianti, Mezzani minori ed altre industrie non tassate dalla Camera di Commercio (b) N° 226 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale Osservazioni: (b) Le sole cinque classi segnate sopra con i numeri da 1 a 5 sono tassate dalla Camera di Commercio.
TOTALE N° 1800 N° II QUADRO STATISTICO dellâIMPORTAZIONE dei CEREALI arrivati a LIVORNO negli anni 1836 e 1837, e loro medio valore.
- qualitĂ dei cereali: Grano quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 929,372 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 1,867,169 - qualitĂ dei cereali: Orzo quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 151 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 32,290 - qualitĂ dei cereali: Fave quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 36,693 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 35,902 - qualitĂ dei cereali: Vettovaglie diverse quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 81,452 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 171,456 - TotalitĂ della Sacca nellâanno 1836: N°1,047,668 - Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L.
10,476,680 - TotalitĂ della Sacca nellâanno 1837: N°2,106,817 - Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L.
21,068,170 - TOTALE Sacca nellâanno 1836: N° 1,047,668 - TOTALE Sacca nellâanno 1837: N° 2,106,817 - TATALITAâ della Sacca: N° 3,154,485 - TOTALE Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L. 31,544,850 N° III QUADRO STATISTICO dei PRINCIPALI ARTICOLI COLONIALI importati a LIVORNO dallâanno 1833 a tutto il 1837, e loro valore approssimativo.
Qualità precipue dei Generi coloniali e dei loro recipienti e Arrivi o Importazioni (con quantità rispettiva dei recipienti) ZUCCHERI Casse: nel 1833 n° 2,650; nel 1834 n° 8,140; nel 1835 n° 4,770; nel 1836 n° 10,660; nel 1837 n° 5,700 Cassoni: nel 1833 n° 450; nel 1834 n° 620; nel 1835 n° 360; nel 1836 n° 250; nel 1837 n° - Mezzi cassoni: nel 1833 n° -; nel 1834 n° 100; nel 1835 n° -; nel 1836 n° -; nel 1837 n° - Botti, barili e sacca: nel 1833 n° 5,550; nel 1834 n° 4,800; nel 1835 n° 5,300; nel 1836 n° 23,930; nel 1837 n° 14,670 CAFFà Sacca: nel 1833 n° 12,500; nel 1834 n° 16,400; nel 1835 n° 1,400; nel 1836 n° 19,300; nel 1837 n° 16,750 Botti: nel 1833 n° 30; nel 1834 n° 250; nel 1835 n° 260; nel 1836 n° 40; nel 1837 n° 240 Barili: nel 1833 n° 85; nel 1834 n° 260; nel 1835 n° 550; nel 1836 n° 560; nel 1837 n° 550 Fardi: nel 1833 n° 200; nel 1834 n° 720; nel 1835 n° 110; nel 1836 n° 190; nel 1837 n° 150 CACAO Sacca: nel 1833 n° 1,700; nel 1834 n° 3,080; nel 1835 n° 3,250; nel 1836 n° 3,450; nel 1837 n° 1,800 PEPE Sacca: nel 1833 n° 2,200; nel 1834 n° 7,050; nel 1835 n° 920; nel 1836 n° 6,300, nel 1837 n° 6,600 Sciolto in libbre: nel 1833 n° 1,800,000; nel 1834 n° 1,600,000; nel 1835 n° 1,200,000; nel 1836 n° 1,100,000; nel 1837 n° 1,000,000 PIMENTI Sacca: nel 1833 n° 860; nel 1834 n° 300; nel 1835 n° 360; nel 1836 n° 1,680, nel 1837 n° 1,600 Valore totale approssimativo in Lire toscane: nel 1833 L.
5,600,000; nel 1834 L. 8,100,000; nel 1835 L. 6,200,000; nel 1836 L. 9,800,000, nel 1837 L. 8,600,000 N° IV PROSPETTO dei FALLIMENTI o SOSPENSIONI di Case di Commercio nella Piazza di LIVORNO dallâanno 1822 a tutto il 1837.
- Anno 1822: case di 1a classe n° 2; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 2; totale n° 8 - Anno 1823: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 1; case di 3a classe n° -; totale n° 2 - Anno 1824: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° -; totale n° 5 - Anno 1825: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° -; case di 3a classe n° -; totale n° - - Anno 1826: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 2; totale n° 6 - Anno 1827: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° -; case di 3a classe n° 2; totale n° 3 - Anno 1828: case di 1a classe n° 2; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 5; totale n° 11 - Anno 1829: case di 1a classe n° 6; case di 2a classe n° 6; case di 3a classe n° 21; totale n° 33 - Anno 1830: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 1; case di 3a classe n° 5; totale n° 6 - Anno 1831: case di 1a classe n° 5; case di 2a classe n° 10; case di 3a classe n° 5; totale n° 20 - Anno 1832: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° 12; totale n° 18 - Anno 1833: case di 1a classe n° 4; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 3; totale n° 10 - Anno 1834: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 2; case di 3a classe n° 7; totale n° 9 - Anno 1835: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 6; case di 3a classe n° 3; totale n° 9 - Anno 1836: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 5; totale n° 8 - Anno 1835: case di 1a classe n° 3; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° 10; totale n° 18 - TOTALE: case di 1a classe n° 27; case di 2a classe n° 60; case di 3a classe n° 83; totale n° 170 - Media annua : case di 1a classe n° 1 e 4/5; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 5 e 8/15; totale n° 11 e 1/3 OSSERVAZIONI: Prova positiva della soliditĂ del commercio di Livorno è il piccol numero deâfallimenti.
Inoltre molti di questi furono piuttosto sospensioni di pagamenti, qualora non siano provocati da straordinaria calamitĂ . E poi un fatto che onora la Fede mercantile dei Livornesi quello di aver dato un regolare sfogo nellâanno calamitoso del 1835 a tutte le transazioni in corso.
Nessuna proroga per i pagamenti delle cambiali, o pagherò di Piazza fu necessaria, come si dovè praticare altrove. Soltanto in linea di precauzione le operazioni delle stanze dei pagamenti furono trasferite con metamorfosi singolare nella sala del nuovo teatro Carlo Lodovico.
N° V QUADRO STATISTICO approssimativo del Valore medio annuo del Commercio di LIVORNO.
QualitĂ delle Merci che annualmente arrivano distribuito in sei gruppi e Valore in Lire toscane delle Mercanzie annualmente importate 1. Generi coloniali: valore minimo Lire 8,000,000; valore massimo Lire 11,000,000; valore medio Lire 9,500,000 2. Salumi, Prodotti del Nord e Metalli: valore minimo Lire 5,500,000; valore massimo Lire 8,000,000; valore medio Lire 6,750,000 3. Manifatture Francesi, Inglesi, Svizzere, Tedesche, ec.: valore minimo Lire 20,500,000; valore massimo Lire 25,500,000; valore medio Lire 23,000,000 4. Cereali: valore minimo Lire 10,000,000; valore massimo Lire 20,000,000; valore medio Lire 15,000,000 5. Prodotti del Levante: valore minimo Lire 6,000,000; valore massimo Lire 7,000,000; valore medio Lire 6,500,000 7. Prodotti della Toscana e dâaltri stati dâItalia: valore minimo Lire 33,000,000; valore massimo Lire 37,000,000; valore medio Lire 35,000,000 Valore degli articoli di diretta esportazione, in Lire toscane: 20,000,000 Valore degli articoli che restano per importazione, in Lire toscane: 75,750,000 TOTALE: valore minimo Lire toscane 83,000,000; valore massimo Lire toscane 108,500,000; valore medio Lire toscane 95,750,000 TOTALE Valore degli articoli di diretta esportazione, Lire toscane: 20,000,000 TOTALE Valore degli articoli che restano per importazione (*), Lire toscane: 75,750,000 N. B. Gli articoli segnati con lâasterisco (*), venduti per estrazione, ne raddoppiano il movimento, in guisa che Lire 75,750,000 possono crescere nel commercio annuo sino a Lire 151,500,000. â Si avverta (ERRATA: che questo valore di Lire 151,500,000) che il valore delle importazioni e delle esportazioni non comprende il movimento delle verghe e delle monete dâoro e dâargento che montano a piĂš milioni, mentre dal solo Levante arrivano di tempo in tempo dei gruppi di Lire 400,000 per volta.
N° VI QUADRO dei PRODOTTI LIVORNESI che si esportano allâEstero.
1. qualitĂ dei prodotti: Cuoja conce; luoghi principali dove si esportano: molto ricercate in Levante 2. qualitĂ dei prodotti : Cremor di tartaro; luoghi principali dove si esportano : per Inghilterra e Nord dâEuropa 3. qualitĂ dei prodotti: Saponi e Candele di sego; luoghi principali dove si esportano: per America principalmente 4. qualitĂ dei prodotti: Cordaggi; luoghi principali dove si esportano : per Egitto 5. qualitĂ dei prodotti: Coralli lavorati; luoghi principali dove si esportano: per Inghilterra, Prussica, Russia, Indie, ec.
6. qualitĂ dei prodotti: Polvere da botta; luoghi principali dove si esportano: per il Levante, lâEgitto, la Grecia e altrove 7. qualitĂ dei prodotti : Paste da minestra, Giulebbi, Rosolj, Biacca, Mobili, Pettini, Cristalli, ec.; luoghi principali dove si esportano : per il Levante, lâEgitto, la Grecia e altrove OSSERVAZIONI: Questa gran varietĂ di articoli è uno dei precipui vanti di Livorno, e vi richiama annualmente un commercio attivissimo. Per esempio, le 5 fabbriche dei Coralli lavorati somministrano settimanalmente il traffico a 250 persone con una spesa di circa Lire 9500. _ La vendita dei coralli lavorati che da Livorno si esportano allâEstero, può approssimativamente valutarsi 2000,000 di Lire per anno.
N° VII QUADRO STATISTICO delle FABBRICHE MANIFATTURIERE esistenti in LIVORNO nellâanno 1838.
Numero e qualitĂ delle manifatture.
Fabbriche del Corallo lavorato n° 5 Fabbriche del Sal Borace n° 1 Fabbriche di Paste n° 8 Fabbriche di Liquori e Rosolj n° 10 Fabbriche di Sapone sodo n° 4 Fabbriche di Cera n° 3 Fabbriche di Caratteri da stampa n° 2 Fabbriche di Fonderie di rame e bronzo n° 2 Fabbriche di Cappelli di Paglia n° 2 Fabbriche di Candele di sego n° 4 Fabbriche di Birra n° 2 Fabbriche di Amido n° 2 Fabbriche di Berretti ad uso di Levante n° 2 Fabbriche di Biacca n° 2 Fabbriche di Cremor di tartaro n° 1 Fabbriche di Munizioni da caccia n° 5 Fabbriche di Scagliola n° 1 Fabbriche di Carta colorata n° 1 Fabbriche di Cartoni e Carta straccia n° 1 Fabbriche di Tappi di sughero n° 1 Fabbriche di Vetri n° 2 Fabbriche di Lastre di cristallo n° 1 Fabbriche di Conce di cuojo e pelli n° 8 Fabbriche di Cordami n° 9 Fabbriche di Chiodi n° 5 Fabbriche di Tele da vele n° 6 Fabbriche di Polvere da botta n° 4 Fabbriche di Pettini dâavorio n° 2 Fabbriche di Lavori di cotone a maglia n° 1 Fabbriche di Raffinerie da olio n° 4 Vi sono inoltre Mulino a vapore che manda 14 macine fuori della Porta S.
Marco n° 1 Mulini a vento nelle adiacenze di Livorno n° 3 Bagni pubblici n° 8 Alberghi principali n° 10 Teatri n° 2 N° VIII QUADRO dei principali PRODOTTI GREGGI e MANIFATTURATI TOSCANI che si esportano allâEstero per la via di Mare.
1. qualitĂ dei prodotti: Olij fini, Salumi nostr. e lardoni; luoghi dove si esportano: per lâInghilterra, Francia, America, Germania, Danimarca e Russia 2. qualitĂ dei prodotti: Sete grezze; luoghi dove si esportano : per Inghilterra 3. qualitĂ dei prodotti: Seterie di Firenze; luoghi dove si esportano : per lâAmerica e lâEgitto 4. qualitĂ dei prodotti: Cappelli di Paglia; luoghi dove si esportano : per la Svezia, Norvegia e Russia 5. qualitĂ dei prodotti : Paglia per detti; luoghi dove si esportano : per lâInghilterra, Francia e America 6. qualitĂ dei prodotti: Potassa; luoghi dove si esportano : per la Francia, Olanda e Piemonte 7. qualitĂ dei prodotti: Scorza di sughero; luoghi dove si esportano : per lâInghilterra e lâIrlanda 8. qualitĂ dei prodotti: Acido borico e Borace raffinato; luoghi dove si esportano: per lâInghilterra, Francia, Belgio e Olanda 9. qualitĂ dei prodotti: Marmi, Alabastri e Zolfo; luoghi dove si esportano : per lâInghilterra, America, Egitto, Francia, Belgio e Russia 10. qualitĂ dei prodotti: Tartari; luoghi dove si esportano: per lâInghilterra e Nord dâEuropa 11. qualitĂ dei prodotti: Sego, Lana e Canapa; luoghi dove si esportano: per Francia e Inghilterra 12. qualitĂ dei prodotti: Carta da scrivere; luoghi dove si esportano : per il Levante, Egitto, Grecia e America 13. qualitĂ dei prodotti: Berretti rossi di lana; luoghi dove si esportano: per il Levante, Egitto, Grecia, Turchia, ec.
14. qualitĂ dei prodotti: Stracci lini; luoghi dove si esportano: per Inghilterra e America 15. qualitĂ dei prodotti : Coccole di Ginepro e Giaggiolo; luoghi dove si esportano : per America, Inghilterra e Olanda 16. qualitĂ dei prodotti: Dogarelle; luoghi dove si esportano : per Francia e Spagna 17. qualitĂ dei prodotti: Pelli agnelline; luoghi dove si esportano : per Francia, Inghilterra e Svizzera 18. qualitĂ dei prodotti: Legname da costruzione; luoghi dove si esportano: per Inghilterra, Egitto, ec.
19. qualitĂ dei prodotti: Carbone; luoghi dove si esportano : per Genova, Malta, ec 20. qualitĂ dei prodotti: Ferro lavorato; luoghi dove si esportano : specialmente in lastre, per lâEgitto N° IX QUADRO STATISTICO approssimativo deglâINDIVIDUI occupati nel COMMERCIO e nella MARINA DI LIVORNO.
1. Classe deglâImpieghi: Case di Commercio tassate in n° di 293 come dal quadro n°I qualitĂ degli Impiegati : Soci e commessi per ogni Casa n° degli Impiegati : 1465 Onorarj o Salarj rispettivi: per i commessi da Lire 100 a Lire 250 al mese 2. Classe deglâImpieghi: (ERRATA: Negozianti) Commercianti e Fabbricanti tassati in n°di 631 come sopra qualitĂ degli Impiegati: Tre individui per ogni Casa di negozio n° degli Impiegati : 1893 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 80 alle 150 al mese 3. Classe deglâImpieghi: Mezzani tassati in n°di 345 come sopra qualitĂ degli Impiegati: Un individuo aiuto a ciascun Mezzano n° degli Impiegati : 690 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 100 alle 200 al mese 4. Classe deglâImpieghi: Caffettieri, Osti, ec. tassati in n°di 269 come sopra qualitĂ degli Impiegati: Tre individui per Taverna n° degli Impiegati : 807 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 60 alle 120 al mese 5. Classe deglâImpieghi: Negozianti subalterni delle tre ultime categorie non tassati qualitĂ degli Impiegati : Un solo individuo per negozio n° degli Impiegati : 260 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 60 alle 120 al mese 6. Classe deglâImpieghi: Cassieri delle Stanze dei pagamenti qualitĂ degli Impiegati : Cassieri e loro aiuti n° degli Impiegati : 60 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 80 alle 150 al mese 7. Classe deglâImpieghi: Navicellai qualitĂ degli Impiegati : Compresi gli addetti ai navicelli n° degli Impiegati : 200 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 alle 3 per giorno 8. Classe deglâImpieghi: Custodi dei grani qualitĂ degli Impiegati : Compresi i facchini addetti n° degli Impiegati : 150 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 2.13.4 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Compagnia di Facchini Bergamaschi di Dogana qualitĂ degli Impiegati : Individui determinati dalla legge n° degli Impiegati : 50 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro indeterminato 9. Classe deglâImpieghi: Facchini di banco qualitĂ degli Impiegati: Impiegati ai banchi e ai magazzini dei Negozianti n° degli Impiegati : 368 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2.13.4 alle Lire 5 il giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâFacchini a manovella qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 160 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâSaccajoli qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati: 180 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâBaccalaraj qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 60 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâCarbonaj qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 300 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Facchini per trasporti deâlegnami qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 43 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 10. Classe deglâImpieghi: Imballatori qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 54 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 4 per giorno 11. Classe deglâImpieghi: Bottaj qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 40 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 3.6.8 per giorno 12. Classe deglâImpieghi: Stivatori di bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 66 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 4 per giorno 13. Classe deglâImpieghi: Maestri dâascia qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 110 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 4 a Lire 5 al giorno 14. Classe deglâImpieghi: Costruttori di bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 7 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro indefinito 15. Classe deglâImpieghi: Costruttori detti per restauramenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 6 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro indefinito 16. Classe deglâImpieghi: Calafattari e Tintori di bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 66 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 4 a Lire 5 al giorno 17. Classe deglâImpieghi: Legnajoli, Intagliatori e Torniaj qualitĂ degli Impiegati: Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 23 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2.13.4 a Lire 4 per giorno 18. Classe deglâImpieghi: Lavoranti delle 5 fabbriche di chiodi qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 40 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 3 a Lire 4 per giorno 19. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 5 officine di fabbri qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 32 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 3 a Lire 4 per giorno 20. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 5 fabbriche di Coralli qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 80 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 3.6.8 per giorno 21. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 2 fonderie di rame e bronzo e in 2 di caratteri qualitĂ degli Impiegati: Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 12 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2.6.8 a Lire 3.6.8 per giorno 22. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 9 fabbriche di cordami qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 110 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3 per giorno 23. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 6 botteghe di velai qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 20 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3 per giorno 24. Classe deglâImpieghi: Venditori di attrazzi per bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 24 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 25. Classe deglâImpieghi: Spenditori, Bottaj ed altri mestieranti qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati: 32 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 26. Classe deglâImpieghi: Zavorranti e Veneziani per portare ajuto ai bastimenti qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 100 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 27. Classe deglâImpieghi: Barchettajoli qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 100 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 28. Classe deglâImpieghi: Baroccianti qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 200 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 28. Classe deglâImpieghi: Guardie di SanitĂ qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 200 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto TOTALE deglâImpiegati: N° 8008 30. Popolazione avventizia del Porto di Livorno: N° 3000 TOTALE degli Uomini: N° 11008 DONNE LAVORANTI IMPIEGATE 1. Alla scelta deâCenci, Gomme, Sena, Giaggiolo, Tartaro, ec. N° 460 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno 2. Lavoranti alle 5 fabbriche di Coralli (ERRATA: N° 170) N° 450 piĂš uomini N° 250 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno 3. Per cucire le vele ed altro alla Marina N° 75 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno TOTALE delle Donne N° 705 N. B. Se al N° degli 11008 che resulta dalla somma deglâIndividui occupati nel Commercio di Livorno si accorda una metĂ almeno di capi di famiglia, avremo con lâaumento di soli tre Individui per ogni padre di famiglia circa 27500 persone, che ricevono la sussistenza direttamente dal Commercio e dalla Marina di Livorno.
N° X NOTA SOMMARIA dei BASTIMENTI a VELA QUADRA e LATINA entrati nel Porto di Livorno dallâanno 1766 a tutto il 1837, non compresi i Battelli a Vapore.
Negli ultimi 34 anni del secolo XVIII - anno dellâarrivo: 1766 n° bastimenti a vela quadra: 173 n° bastimenti a vela latina: 472 - anno dellâarrivo: 1767 n° bastimenti a vela quadra: 462 n° bastimenti a vela latina: 1686 - anno dellâarrivo: 1768 n° bastimenti a vela quadra: ignoto n° bastimenti a vela latina: ignoto - anno dellâarrivo: 1769 n° bastimenti a vela quadra: ignoto n° bastimenti a vela latina: ignoto - anno dellâarrivo: 1770 n° bastimenti a vela quadra: 378 n° bastimenti a vela latina: 1694 - anno dellâarrivo: 1771 n° bastimenti a vela quadra: 380 n° bastimenti a vela latina: 1795 - anno dellâarrivo: 1772 n° bastimenti a vela quadra: 403 n° bastimenti a vela latina: 1717 - anno dellâarrivo: 1773 n° bastimenti a vela quadra: 383 n° bastimenti a vela latina: 1761 - anno dellâarrivo: 1774 n° bastimenti a vela quadra: 529 n° bastimenti a vela latina: 1587 - anno dellâarrivo: 1775 n° bastimenti a vela quadra: 384 n° bastimenti a vela latina: 1659 - anno dellâarrivo: 1776 n° bastimenti a vela quadra: 371 n° bastimenti a vela latina: 1755 - anno dellâarrivo: 1777 n° bastimenti a vela quadra: 375 n° bastimenti a vela latina: 1695 - anno dellâarrivo: 1778 n° bastimenti a vela quadra: 347 n° bastimenti a vela latina: 1591 - anno dellâarrivo: 1779 n° bastimenti a vela quadra: 373 n° bastimenti a vela latina: 1430 - anno dellâarrivo: 1780 n° bastimenti a vela quadra: 345 n° bastimenti a vela latina: 1567 - anno dellâarrivo: 1781 n° bastimenti a vela quadra: 341 n° bastimenti a vela latina: 1508 - anno dellâarrivo: 1782 n° bastimenti a vela quadra: 435 n° bastimenti a vela latina: 1702 - anno dellâarrivo: 1783 n° bastimenti a vela quadra: 480 n° bastimenti a vela latina: 1519 - anno dellâarrivo: 1784 n° bastimenti a vela quadra: 434 n° bastimenti a vela latina: 1299 - anno dellâarrivo: 1785 n° bastimenti a vela quadra: 404 n° bastimenti a vela latina: 1495 - anno dellâarrivo: 1786 n° bastimenti a vela quadra: 553 n° bastimenti a vela latina: 1527 - anno dellâarrivo: 1787 n° bastimenti a vela quadra: 485 n° bastimenti a vela latina: 1749 - anno dellâarrivo: 1788 n° bastimenti a vela quadra: 477 n° bastimenti a vela latina: 1958 - anno dellâarrivo: 1789 n° bastimenti a vela quadra: 461 n° bastimenti a vela latina: 1852 - anno dellâarrivo: 1790 n° bastimenti a vela quadra: 484 n° bastimenti a vela latina: 1746 - anno dellâarrivo: 1791 n° bastimenti a vela quadra: 530 n° bastimenti a vela latina: 1728 - anno dellâarrivo: 1792 n° bastimenti a vela quadra: 661 n° bastimenti a vela latina: 1951 - anno dellâarrivo: 1793 n° bastimenti a vela quadra: 546 n° bastimenti a vela latina: 1925 - anno dellâarrivo: 1794 n° bastimenti a vela quadra: 1211 n° bastimenti a vela latina: 1879 - anno dellâarrivo: 1795 n° bastimenti a vela quadra: 1091 n° bastimenti a vela latina: 1260 - anno dellâarrivo: 1796 n° bastimenti a vela quadra: 535 n° bastimenti a vela latina: 915 - anno dellâarrivo: 1797 n° bastimenti a vela quadra: 719 n° bastimenti a vela latina: 1773 - anno dellâarrivo: 1798 n° bastimenti a vela quadra: 608 n° bastimenti a vela latina: 1664 - anno dellâarrivo: 1799 n° bastimenti a vela quadra: 417 n° bastimenti a vela latina: 1224 - anno dellâarrivo: 1800 n° bastimenti a vela quadra: 1003 n° bastimenti a vela latina: 905 TOTALE bastimenti a vela quadra negli ultimi 34 anni del secolo XVIII: 16778 TOTALE bastimenti a vela latina negli ultimi 34 anni del secolo XVIII: 51978 Nei primi 37 anni del secolo XIX - anno dellâarrivo: 1801 n° bastimenti a vela quadra: 320 n° bastimenti a vela latina: 1276 - anno dellâarrivo: 1802 n° bastimenti a vela quadra: 1017 n° bastimenti a vela latina: 1945 - anno dellâarrivo: 1803 n° bastimenti a vela quadra: 637 n° bastimenti a vela latina: 1734 - anno dellâarrivo: 1804 n° bastimenti a vela quadra: 914 n° bastimenti a vela latina: 2021 - anno dellâarrivo: 1805 n° bastimenti a vela quadra: 712 n° bastimenti a vela latina: 1578 - anno dellâarrivo: 1806 n° bastimenti a vela quadra: 590 n° bastimenti a vela latina: 1896 - anno dellâarrivo: 1807 n° bastimenti a vela quadra: 454 n° bastimenti a vela latina: 2065 - anno dellâarrivo: 1808 n° bastimenti a vela quadra: 134 n° bastimenti a vela latina: 1699 - anno dellâarrivo: 1809 n° bastimenti a vela quadra: 118 n° bastimenti a vela latina: 1440 - anno dellâarrivo: 1810 n° bastimenti a vela quadra: 139 n° bastimenti a vela latina: 1411 - anno dellâarrivo: 1811 n° bastimenti a vela quadra: 81 n° bastimenti a vela latina: 1144 - anno dellâarrivo: 1812 n° bastimenti a vela quadra: 89 n° bastimenti a vela latina: 1242 - anno dellâarrivo: 1813 n° bastimenti a vela quadra: 95 n° bastimenti a vela latina: 2902 - anno dellâarrivo: 1814 n° bastimenti a vela quadra: 422 n° bastimenti a vela latina: 4552 - anno dellâarrivo: 1815 n° bastimenti a vela quadra: 943 n° bastimenti a vela latina: 4396 - anno dellâarrivo: 1816 n° bastimenti a vela quadra: 1124 n° bastimenti a vela latina: 4088 - anno dellâarrivo: 1817 n° bastimenti a vela quadra: 1078 n° bastimenti a vela latina: 3004 - anno dellâarrivo: 1818 n° bastimenti a vela quadra: 1047 n° bastimenti a vela latina: 3984 - anno dellâarrivo: 1819 n° bastimenti a vela quadra: 947 n° bastimenti a vela latina: 3909 - anno dellâarrivo: 1820 n° bastimenti a vela quadra: 847 n° bastimenti a vela latina: 4397 - anno dellâarrivo: 1821 n° bastimenti a vela quadra: 945 n° bastimenti a vela latina: 3674 - anno dellâarrivo: 1822 n° bastimenti a vela quadra: 869 n° bastimenti a vela latina: 4308 - anno dellâarrivo: 1823 n° bastimenti a vela quadra: 780 n° bastimenti a vela latina: 4450 - anno dellâarrivo: 1824 n° bastimenti a vela quadra: 940 n° bastimenti a vela latina: 4631 - anno dellâarrivo: 1825 n° bastimenti a vela quadra: 907 n° bastimenti a vela latina: 4969 - anno dellâarrivo: 1826 n° bastimenti a vela quadra: 903 n° bastimenti a vela latina: 5141 - anno dellâarrivo: 1827 n° bastimenti a vela quadra: 1060 n° bastimenti a vela latina: 4847 - anno dellâarrivo: 1828 n° bastimenti a vela quadra: 986 n° bastimenti a vela latina: 4598 - anno dellâarrivo: 1829 n° bastimenti a vela quadra: 964 n° bastimenti a vela latina: 4465 - anno dellâarrivo: 1830 n° bastimenti a vela quadra: 1101 n° bastimenti a vela latina: 4619 - anno dellâarrivo: 1831 n° bastimenti a vela quadra: 1033 n° bastimenti a vela latina: 4232 - anno dellâarrivo: 1832 n° bastimenti a vela quadra: 1266 n° bastimenti a vela latina: 4390 - anno dellâarrivo: 1833 n° bastimenti a vela quadra: 1150 n° bastimenti a vela latina: 4488 - anno dellâarrivo: 1834 n° bastimenti a vela quadra: 1211 n° bastimenti a vela latina: 4442 - anno dellâarrivo: 1835 n° bastimenti a vela quadra: 1234 n° bastimenti a vela latina: 3986 - anno dellâarrivo: 1836 n° bastimenti a vela quadra: 831 n° bastimenti a vela latina: 4509 - anno dellâarrivo: 1837 n° bastimenti a vela quadra: 1075 n° bastimenti a vela latina: 4356 TOTALE bastimenti a vela quadra nei primi 37 anni del secolo XIX: 28943 TOTALE bastimenti a vela latina nei primi 37 anni del secolo XIX: 126788 COMUNITAâ DI LIVORNO Il territorio della terraferma di questa ComunitĂ , esclusi cioè gli scogli della Meloria, del Fanale e lâisola della Gorgona, abbraccia una superficie di 27879 quadr. agrarii, equivalente a miglia 34 e 2/3 toscane, dei quali quadr.
circa 872 e sono occupati da corsi di acqua e da pubbliche strade.
Vi si trovava nel 1833 una popolazione di 71685 abitanti, escludendo da questa cifra 3060 fra passeggeri, marinari avventizii del porto, ed i pochi abitanti della Gorgona.
Dondechè, prendendo la popolazione in massa, la Comunità di Livorno contava allora 2134 abitanti per migl. quadr. del suo territorio imponibile.
Essa dalla parte di terra confina con due comunitĂ del Granducato, mentre da maestro e scirocco ha per limite il mare. â Si tocca con il territorio della nuova comunitĂ di Colle Salvetti, a partire dal lembo occidentale della spiaggia, nel punto dove sbocca il torrente Ugione. Di costĂ piegando nella direzione da ponente a grecale passa per le colmate paduli; quindi, dopo attraversato il fosso dei Navicelli, seguitando contro corrente lâUgione, arriva al primo ponte di Stagno, dove taglia la strada R. postale pisana. Di lĂ mediante lo stesso torrente sale a levante il poggio di Monte Massi, quindi rasentando il fu convento della Sambuca sâinnoltra sulla cima dei Monti livornesi agli abbandonati Mulini a vento di Val Benedetta. CostĂ incamminandosi verso la direzione di scirocco, entra nella via comunitativa del Gabbro, finchè trova le prime sorgenti della piccola fiumana Chioma , lungo il cui alveo per breve tragitto questa di Livorno seguita a confinare con la ComunitĂ di Colle Salvetti. Poco lungi da Popogna sottentra alla ComunitĂ prenominata quella di Rosignano, dove la prima di queste, voltando faccia a ostro, cammina sempre di conserva con lâaltra di Rosignano mediante l'alveo della stessa Chioma sino al suo sbocco in mare.
Due strade R. attraversano questo territorio; la grande strada postale di Pisa e lâaltra del littorale. Questâultima, finora troppo angusta e mala mente rotabile, sta attualmeute ricostruendosi, a spese della provincia, piĂš comoda e piĂš spaziosa: per la qual opera il governo ha assegnato la somma di lire 400,000 toscane.
Non sâincontrarono, châio sappia, tracce di vie romane nel perimetro del territorio Livornese. â Vedere Via Emilia di Scauro. â Le altre vie sono comunitative, fra le quali frequentatissima è quella che sale al santuario di Monte Nero; ad essa viene seconda la strada provinciale maremmana, che staccasi da Livorno dalla Porta di questo nome, e di lĂ per Salviano dirigesi sui monti livornesi per Val Benedetta e Gabbro, donde scende in Val di Fine per unirsi alla strada regia delle Maremme, giĂ Emilia di Scauro.
Piccoli e brevi corsi dâacqua nascono e non oltrepassano il territorio di questa comunitĂ . Tali sono il Chioma , lâArdensa, lâUgione e, il Cigna; i primi due portano direttamente il loro tributo al mare nel littorale a ostro di Livorno, e di altri due, che scendono dai monti medesimi verso settentrione, attraversano mediante fossi la paduletta a settentrione di Livorno, finchè per il colmato seno del Porto Pisano le loro acque si mescolano coi flutti marini allâingresso, oppure assai dâappresso alla foce stessa di Calambrone.
Lâistituzione della giurisdizione comunitativa di Livorno si perde nella storia di Porto Pisano, o per dir meglio, una comincia quando lâaltra finisce.
Infatti il primitivo distretto territoriale di Livorno sembra corrispondere a quello che portò il nome di plebanato di Pian di Porto. Avvegnachè alla giurisdizione civile di Livorno sino dai primi tempi della repubblica pisana appartenevano tutte quelle chiese battesimali che furono qualificate sotto la denominazione di Piviere del Pian di Porto, per quanto con una tale indicazione sâintendesse compreso il distretto spirituale di piĂš chiese plebane. â Quindi è che il plebanato, o giurisdizione del Pian di Porto, abbracciava 4 pievi; cioè da quella deâSS. Stefano e Cristofano di Carraja, posta presso il lembo orientale del Seno pisano poco lungi dal luogo detto tuttora la Fonte di S. Stefano; e il piviere di S. Giulia di Livorno; e quello di S. Paolo di villa Magna, il quale corrisponde alla chiesa parrocchiale dellâArdenza ; la pieve di S. Andrea di Limone, stata unita a quella di S. Martino a Salviano .
Il distretto territoriale qui sopra designato coincide a un dipresso con quello ceduto nel 1405 dal Visconti signor di Pisa a Buccicaldo governatore di Genova pel re di Francia, stato poi nel 1421 venduto alla repubblica fiorentina. E siccome fino dai tempi della Rep. di Pisa soleva risiedere in Livorno un giudice col titolo di capitano, cosĂŹ il territorio della sua giurisdizione appellosi Capitanato del porto pisano; quindi, dopo il 1606, Capitanato vecchio di Livorno.
Che sulle tracce del Capitanato vecchio fossero apposti i termini di confine allâantico territorio comunitivo di Livorno, ce ne fornisce un documento palpabile la convenzione di Lucca dei 27 aprile 1413, stata da noi riportata al principio di questâarticolo (a pag. 724); dalla quale apperisce, che il distretto livornese, giĂ di Pian di Porto, terminava, dal lato di settentrione, con lo Stagno, e di lĂ fino alla foce dellâUnione nel seno di Porto Pisano; dal lato di ostro, sulla sommitĂ dei Monti livornesi scendendo per il torrente Chioma; verso ponente e libeccio, lungo il littorale; finalmente verso levante e scirocco, dalle fonti del torrente Chioma scendeva sulla schiena dei Monti livornesi, passando presso S. Lucia del Monte, la Sambuca e i muri di Monte Massimo, o Monte Massi.
Tale era il distretto livornese quando il Granduca Ferdinanto I, con motuproprio dei 14 aprile 1606, ne dilatò notabilmente i confini dalla parte di levante, dando a quel Capitanato una piÚ estesa giurisdizione, per cui il suo territorio appellossi da indi in poi Capitanato nuovo di Livorno a distinzione del vecchio, ossia di quello che ha costituito per lungo tempo il perimetro della sua comunila.
I confini pertanto del Capitanato nuovo erano i seguenti.
âpartire verso settentrione dal littorale, e precisamente dallâantico ingresso del seno di Porto Pisano, passando davanti al Marocco sino alla foce di Stagno. CostĂ piegava dentro terra per avviarsi al primo Ponte di Stagno, avendo a confine il territorio di Pisa, col quale continuava rasente la gronda chiamata di Sovese; quindi attraversando lo Stagno arrivava al Fosso Reale, il cui alveo serviva di linea di demarcazione fino alla strada di Collina. Per mezzo di questa dirigendosi a Vicarello ne abbracciava tutta la contrada e la vicina tenuta di Colle Salvetti, attualmente capoluogo di comunita' di la per la via di R. maremmana, o Emilia, seguitava fino alla Casa Bianca; quindi passava il fiume Tora sul ponte Santoro per innoltrarsi alla sua destra verso le vallate di Crapina, Fauglia, Tremoleto, Lorenzana, i di cui territorii vennero compresi nel nuovo Capitanato. Dalla chiesa di S. Biagio a Saletto, ritornando nella Tora, arrivava alla Pievaccia di Colle Pinzuti; poscia avanzandosi a scirocco perveniva nel borro, che porta il nomignolo della valle, e con esso entrava nel fiume Fine, lungo il quale continuava sino alla sua foce in mare.
In questo circondario erano compresi i Monti livornesi ed il littorale, a partire dalla foce del fiume Fine sino a quella di Stagno, il porto di Livorno, lo scoglio della Lanterna, ed allargandosi in mare, anche la secca della Meloria con lâisola della Gorgona. â Peraltro, mentre ampliavasi cotanto la giurisdizione civile e politica del Capitanato nuovo di Livorno, quella economica della sua comunitĂ conservavasi a un di presso al pari del suo Capitanato vecchio; e ciò, fino a che nel 1810 essa dovè cedere una porzione del di lei territorio alla nuova comunitĂ di Colle Salvetti. â Vedere lâArticolo COLLE SALVETTI, ComunitĂ .
Con il regolamento del 20 marzo 1780 relativo allâorganizzazione economica del corpo comunitativo di Livorno, il Granduca Leopoldo I dichiarò, che i confini del Capitanato vecchio dovessero dâallora in poi costituire la nuova ComunitĂ di Livorno. Nella qual congiuntura, volendo quel Legislatore usare di un favorevole riguardo alla nazione ebrea, in vista della considerabile qualitĂ di stabili, che glâindividui della medesima possedevano nella suddetta comunitĂ , ordinò, che uno della nazione giudaica potesse intervenire e risedere in qualitĂ di deputato, o reppresentante, tanto nella magistratura civica, quanto nel consiglio generale, con voto e con lucco senza alcuna disparitĂ dagli altri priori.
Clima di Livorno e della sua campagna. â Dalle meteorologiche, fisiche e mediche osservazioni in varii tempi effettuate, resulterebbe, che quando era in fiore il Porto Pisano, di cui Livorno, come piĂš volte si ĂŠ ripetuto, ha fatto parte integrante, il clima non doveva essere malsano, siccome tale divenne nei secoli successivi, allora quando andò grado a grado ostruendosi quel seno di mare, sino a che si convertĂŹ in altrettanti pestilenti marazzi.
DondechĂŠ, ad onta delle grandi spese e delle franchigie state dalla Rep. fiorentina concesse a coloro che si fossero recati a stabilire in Livorno o nel suo distretto, ad onta dei provvedimenti presi per correggere la cattiva disposizione dellâaria e del crescente impadulamento del littorale a settentrione di Livorno, non ostante tuttociò nel clima di Porto Pisano piĂš presto i cittadini mancavano, o infermi vivevano. â Infatti non era ancora passato il primo decennio, dacchĂŠ i Fiorentini ebbero acquistato Livorno, che i rappresentanti di questa comunitĂ , nellâatto di domandare alla Signoria di Firenze la conferma delle triennali esenzioni, esponevano, come, in vista dei diminuiti abitanti, la quantitĂ del sale, di cui erano obbligati a provvedersi, era divenuta di una terza parte soperiore al loro consumo, e perciò chiedevano di ridurre a sole cento staja lâannua partita del sale da acquistare.
(Vedere in questo Vol. a pag. 728).
Non era frattanto nè punto nè poco migliorato lo stato fisico del paese allâavvicinarsi alla metĂ del suo corso il secolo medesimo XV, tostochè i Livornesi, nellâanno 1449, domandavano alla Signoria di Firenze che volesse esonerarli, non solo dallâannua imposizione di 630 fiorini dâoro, ma ancora dal debito arretrato. La quale inchiesta fu dalla Rep. fiorentina accordata, lasciando fermo il quantitativo delle cento staja di sale per lâannuo consumo di quella scarsa popolazione. (1oc. cit. pag. 729) CosĂŹ ai tempi del duca Alessandro dei Medici e dei primi granduchi, che tanti indulti andarono concedendo a chi voleva recarsi ad abitare familiarmente in Livorno o nel suo capitanato, sembra che ben pochi di tanta elargitĂ profittassero, nè volessero, in grazia di tali allettative, preferire alla loro prospera salute una vita piĂš breve, o almeno infermiccia per giovare alle generazioni future.
Può servire di prova della scarsa popolazione di Livorno quella dellâepoca di Cosimo I, quando tutto il Capitanato vecchio, vale a dire la ComunitĂ nei limiti che aveva innanzi il 1810, non contava piĂš di 1562 abit. repartiti in 194 famiglie. â (Vedere il Quadro del Movimento della Popolazione della Com unitĂ di Livorno a pie del presente articolo.) Lo disse poetando uno dei (ERRATA: giusdicenti di quellâetĂ , il capitano di Livorno) medico-fisici di quellâetĂ , il dottore Orsilago, quando paragonava il suo clima ad una vera bolgia dellâInferno. â Lo dimostrò costantemente la premura del governo nel far cambiare di frequente la guarnigione militare di Livorno, stantechè quei soldati trovavansi afflitti da febbri intermittenti, 6 da quella specie di maremmana, che sino ai tempi nostri fu contrassegnata col nome topico di Livornina.
Giova peraltro avvertire, che coteste febbri e cotesta malignitĂ di clima provenivano dai ristagni palustri della campagna situata a sett. di Livorno, e dalla troppa aillueara delle alghe e di altri corpi organici, i quali spinti dalle maree, abbandonati si lasciavano imputridire sulla spiaggia; finalmente dal difficile scolo dei fossi e dalle fogne della cittĂ . Tali erano le cause principali che concorrevano ad infettare lâaria di Livorno, cause tutte che vanno ora gradatamente distruggendosi dalle incessanti cure del governo, dalla vigilanza del magistrato civico, e dallâinteresse comune di una sempre crescente, sempre piĂš ricca ed istruita popolazione.
Dalle Ricerche di statistica medica, intraprese nel corso continuo di sette anni (dal 1818 al 1825) dai sigg. dott.
Giuseppe Gordini e Niccola Orsini, medici degli ospedali di Livorno, è resultato, che la mortalitĂ in essa cittĂ , da 50 e piĂš anni, proporzionalmente alla popolazione, era considerabilmente diminuita; lochè essi ripetevano, se non in tutto, almeno in gran parte, dal miglioramento dellâaria, mercè la progressiva bonificazione dei marazzi in prossimitĂ del lido e della contigua campagna posta al settentrione di Livorno.
Ciò nonostante le malattie, che si osservarono piĂš spesso negli ospedali di questa cittĂ , furono le febbri intermittenti; per modo che dai 24002 malati, capitati agli ospedali nel giro di quel settennio, 3751 erano stati colpiti da simili febbri. Dopo le intermittenti, andando per ordine di numero, vengono le febbri reumatiche, malattia comunissima in Livorno per il cambiamento istantaneo della temperatura: non essendo raro il caso di sentire caldo e freddo in unâora medesima. Inoltre Livorno, stante la sua posizione marittima, non avendo quasi alcun riparo dai monti che lâavvicinano dal lato di levante, e trovandosi sul lembo di unâaperta campagna, resta straordinariamente esposto ai venti, specialmente a quelli che derivano dal mezzogiorno, da tramontana e da libaccio. Lâultimo dei quali suole talvolta soffiare con tale gagliardia da alzare lâacqua del pelago e convertirla in una nebbia assai umida, cui suol designarsi costĂ con il vocabolo di spolverino.
La acque che in gran copia circondano il paese, osservava nel 1827 il dott. G. Palioni, primo medico dellâufizio di sanitĂ , rendono sempre un poco unita lâaria di Livorno,quandâè tranquilla, al tramontare del sole, con precipitarsi dei vapori innalzatisi nel giorno. Ciò rende forse (diceva egli) ragione del predominio, cui sulle altre malattie febbrili, che sporadicamente si mostrano fra noi, tengon le intermittenti. (Memoria sulle costituzioni epidemiche e sui mali endemici del cav. dott. G. Palloni.
â Livorno 1827).
La stessa incostanza di clima rende assai frequenti e molto pericolose le pleuritidi e le peripneumonie; avvegnachè nei soli due spedali della città , fra uomini e donne, i sopranominati due medici, in un settennio, ne osservarono 1186, con una mortalità del 22 per cento.
Una infermità molto comune, e piÚ delle altre di sinistro successo, è la tise: della quale malattia negli ospedali di Livorno iu sette anni furono curati 800, e morirono 421 individui: benchè tra questi alcuni vi fossero tornati per la seconda volta, onde essi figurarono doppiamente nelle cifre qui sopra accennate.
La frequenza delle scrofole e dei morbi venerei, il poco riguardo nelle tossi, lâabuso dei liquori, lâesercizio di ulcune professioni e la costituzione ereditaria si reputano le cause piĂš palesi e piĂš frequenti della tise in Livorno, ma forse vi concorre eziandio, almeno per le malattie scrofolose, la troppa confĂŹdenza che i Livornesi hanno di abitare le case appena fabbricate, nella fiducia che la loro pietra tufacea assorbisca in guisa lâumiditĂ della calcina da non nuocere alla salute, senza calcolare il mattonato.
Struttura fisica del suolo livornese. â La struttura geognostica del terreno di questa comunitĂ presenta delle varietĂ singolarissime, massime dalla parte dei suoi monti. Al contrario la pianara, che stendesi di lĂ fino alla riva del mare, mancante di tomboli o dune, sembra quasi divisa dal littorale contiguo mediante una specie di Gronda, la quale principia dal luogo delle fornaci sino al ponte dâArcione. La panchina, che dal lato di scirocco costituisce la base apparente in un livello alquanto superiore alla pianura situata a ponti di Stagno, consiste in un tufo arenario ricco di resti organici palustri e ma rini, tanto animali, quanto vegetali.
Questo terreno che incomincia a vedersi nei contorni di Antignano, e di lĂ dirigendosi per lâArdenza e Acquaviva, serve di base alla cittĂ di Livorno, costituisce non solamente una specie di cornice, incrostando i lemb i di detta spiaggia, ma pare che si vada costantemente formando sottâacqua nel continuo littorale. Esso appartiene ad una grossolana lumachella spugnosa, conchiglifera: e mostra chiaramente di essere un prodotto del periodo attuale.
I frammenti di terra cotta, scoperti ultimamente in cotesto tufo presso al Lazzeretto di S. Rocco, hanno fornito argomento al naturalista pisano Paolo Savi per assegnargli il giusto posto che conviene a questa roccia tufacea, ponendola cioè fra quelle formate da cause che sono anche ai tempi nostri in azione.
Quanto alla sua giacitura, e alle rocce che gli servono di base, possono darne un indizio alcuni scavi stati aperti presso lâArdenza, dove si vede che il tufo arenario conchiglifero sovrappone a strati di calcareo compatto (alberese) della natura medesima di quello che scuopresi presso alle falde dei Monti livornesi.
In quanto allâossatura apparente dei monti livornesi, la parte inferiore sembra coperta in molti luoghi da un banco di ghiaje e ciottoli di calcareo ceruleo comp atto, la qual roccia è traversata da grossi filoni di spato bianco. â Ad esso banco sottentrano strati di calcareo argilloso, o di galestro fissile color laterizio; finalmente, salendo ai Mulini a vento di Val Benedetta, si affacciano masse serpentinose imprigionate nel calcareo compatto alterato, ma piĂš spesso nel galestro. Tale alterazione di suolo si riscontra specialmente intorno al paese che porta il nome topico della pietra sulla quale esso è fabbricato. â Vedere Gabbro dei Monti livornesi.
Da un consimile terreno scaturiscono le limpide copiose polle di Camorra sopra Colognole, mezzo miglio a levante delle masse stratiformi di Vallore, dove si cavano pietre arenareo-micacee di grana compattissima, di elementi minuti, e di qualitĂ non inferiore alla pietra serena, ossia macigno di Fiesole.
Scendendo di lassĂš verso le pendici che guardano maestro, continua ad affacciarsi lâarenaria, sebbene piĂš grossolana di quella di Vallore, e sotto di essa il calcareo compatto alquanto argilloso, alternante con strati di schisto marnoso. â Nelle colline di Monte Massi e di Limone alle rocce testĂŠ accennate sottentrano quelle meno antiche di marna orgillosa e di calce solfata: e questa talora laminare e fibrosa (Specchio dâasino) ora granosa e candida, (Alabastro) piĂš spesso compatta e grigia (Gesso). Ă in mezzo a cotesta formazione argillo-gessosa, donde pullula qualche vena di acqua salina e di acqua solforosa epatica di qualitĂ consimile a quella puzzolente di Limone.
Ă forse da un consimile terreno terziario donde scaturisce altrâacqua minerale salina di recente stata scoperta in un pozzo dei bagni di S. Rocco a Livorno, sulla quale il Prof.
Antonio Targioni Tozzetti ha istituito e pubblicato nel 1838 unâesatta analisi chimica.
Al Rio maggiore, e sullâArdenza torna a mostrarsi allo scoperto il calcareo compatto attraversato da larghi filoni di spato, cui sta a ridosso, nella parte inferiore, un banco di ghiaja conglomerata.
Se poi si esamina la natura del suolo di questa comunitĂ dal lato di scirocco, dove i Monti livornesi scendono verso il littorale, veggonsi quelle pendici per la massima parte coperte di macigno grossolano, bene spesso associarsi a schisti calcarei colorati in rosso e in verde con vene di manganese ferrifero. Del qual ultimo minerale trovasi un potente filone nel fianco opposto, dei Monti medesimi. â Tali varietĂ di arenarie e di schisti calcarei, anche costĂ come al Gabbro e ai Mulini a vento, furono alterate e semi-plutonizzate dalle masse serpentinose che le avvicinano; cui fra le altre appartengono le grandi rupi e le scogliere della Torre al Romito, Il suolo della ComunitĂ di Livorno ha richiamato in piĂš tempi le attenzioni di celebri naturalisti, sia per esaminare le piante piĂš rare dei suoi monti, come per le rocce e i resti organici che in essi racchiudonsi. Conterò tra i piĂš noti, nel secolo XVII, Cesalpino e il livornese Giacinto Cestoni; nel secolo XVIII, Vallisnieri, Micheli, Targioni e Giovanni Plancho, senza dire di tanti altri dotti che ai tempi nostri questa stessa contrada hanno giĂ , o vanno tuttora perlustrando.
Il mare di Livorno e ricco di ogni sorta di pesce, dallâacciuga sino allo storione; talchè la pescagione dei suoi paraggi provvede costantemente, oltre la vicina popolosa cittĂ , quelle di Pisa e di Firenze, con moltissime altre terre e paesi intermedii.
Ciò che si ritrae dalla pesca delle acciughe nel mare della Gorgona, fu giĂ avvertito allâarticolo di questâIsola.
Il passo dei muggini ha dato luogo a stabilire lungo le scogliere dei Monti livornesi due mugginaje, una delle quali alla Torre del Romito, lâaltra sulla punta di Castiglioncello. Sotto le scogliere di Monte Nero si pescava anche il corallo, ma da qualche tempo siffatta pescagioine: fu abbandonata per non trovarvisi corallo, nè molto grosso, nè di colore acceso, in confronto di quello delle coste dâAfrica e della Sardegna.
Lâagraria del territorio livornese, per quanto essa, dopo gli eccitamenti promossi dalle leggi Leopoldine, sia andata alzandosi, pure non si può dire che ti abbia fatto quei grandi progressi che dalla ricchezza e intelligenza dei possidenti, e dallâaumentata popolazione si potevano sperare. â Ma, o sia che i Livornesi rivolgevano quasi tutte le loro cure e la maggior parte dei capitali nella branca piĂš lucrativa, ad onta del maggior rischio che essi corrono, del commercio; o sia che la natura del terreno si appalesi alquanto ingrata; fatto è che troppo arido ed arenoso apparisce il suolo posto fra i monti e Livorno, mentre troppo umido mantiensi quello situato a settentrione della stessa cittĂ ; finalmente la qualitĂ del terreno dei suoi monti, comparendo dâindole in generale galestrina, gessosa o serpentinosa, riesce per lo piĂš sterile e in grato alle cure del suo cultore. DondechĂŠ quasi una metĂ del territorio in discorso è rimasta per lo piĂš coperta dĂŹ mortelle, di albatri, di sondri, di lecci, e di altre piante silvestri: oppure vedesi sparsa di rari e sterili pascoli, come sono precipuamente quelli dei terreni metalliferi. â Lâaltra metĂ poi della campagna livornese è dissodata e coltivata a viti, a ulivi, a granaglie e a ortaggi con frutta saporitissime.
Cerchi diversi delle mura di Livorno. â Innanzi il 1421 Livorno, come è stato avvertito qui sopra, era un paese aperto. Il primo giro di mura merlate fu opera dalla Rep.
fiorentina, che lo aveva compito alla metĂ del sec. XV. A quellâepoca la Terra di Livorno fu rinchiusa in un perimetro di circa due terzi di miglio con sole due porte, una delle quali, verso Terraferma, difesa di un torrione, e lâaltra verso il mare, dirimpetto a un piazzale fornito di comodo loggiato, dove ora corrisponde la fortezza vecchia e la darsena, Il secondo cerchio della cittĂ di Livorno ebbe principio nel 1577 sotto Cosimo I, quamlo lâarcivescovo di Pisa, Bartolommeo Giugni, benedĂŹ la prima pietra, nel giorno 28 marzo dellâanno anzidetto. â Ma quella cinta di mura, restò lunghi anni sospesa sino a che Ferdinando I, fra lo spirare del sec. XVI e il sorgere del XVII, vi fece lavorare con tanto impegno, che il nuovo giro di muraglie, i fossi che le contornavano, i baluardi, i rivellini, le batterie e fortezze furono innalzate e compite, nel periodo di un decennio. â Questo secondo cerchio della cittĂ aveva una periferia di braccia 10.500, corrispondente a circa miglia toscane 3, 71. Lâarea del suolo compreso nel secondo cerchio occupa una superficie territoriale di circa un terzo di miglio quadro toscano.
Il terzo, ultimo e piĂš grandioso cerchio fu decretato nellâanno 1835 dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante, e questa grandâopera si è veduta cominciare, progredire e restare compita nel breve spazio di due anni.
âA secconda dellâandamento definitivamente adottato, e dopo le disposizioni generali con notificazione del 6 marzo l835 ordinate per lâesecuzione della nuova cinta di Livorno (la direzione della quale venne andata al Commend. Alessandro Manetti direttore del corpo deglâingegneri, e del bonificamento idraulico delle Maremme) si cominciarono i nuovi fondamonti, a partire dal Bastione chiuso di S. Pietro, situato a settentrione delle vecchie mura, e di lĂ dirigendosi verso grecale per il tenimento dellâantica Bastia di Porto pisano, fu tagliata la strada regia di Pisa presso lâoratorio di S. Antonino. Ma questo punto, volgendo il cammino da grecale a scirocco, si andò a trovare lâaltra via rotabile di Salviano, quindi al bivio detto del Fanale, e in ultimo, costeggiando il canale dei Lazzeretti, arrivossi al Mulinaccio , dove il nuovo recinto va a terminare per quella parte nel littorale presso i fossi del Lazzeretto di S. Rocco.
Tre porte e due barriere interrompono il nuovo cerchio per dare il passo alle comunicazioni di terra; cioè, la prima barriera con triplice cancellata alla via R.
fiorentina; lâaltra barriera alla via provinciale maremmana.
Le tre porte sono state aperte in tre diversi lati della cittĂ .
Guarda il lato orientale la porta S. Leopoldo dalla quale esce la via di Salviano. Apresi dal lato meridionale la porta a mare, fuori della quale si cavalca un nuovo ponte di pietra verso il Mulinaccio, per la via che guida al ridente popoloso littorale di Acquaviva, dellâArdenza e di Antignano. â Ă volta a settentrione la porta S. Marco, ricostruita dâappresso, e sotto il nome che portava quella di Venezia nuova. Essa è situata fra la Bastia di Porto pisano e la nuova Darsena deânavicelli.
Sono conservate sulle antiche mura la porta Colonnella e quella di S. Trinita, per le quali si esce alla darsena e al molo.
Allâingresso ed allâegresso di ogni porta o barriera havvi un ampio piazzale, intorno al quale è vietato di edificare, come pure è vietato dâinnalzar case o aumentare le esistenti ad una distanza minore di cento braccia dal pomerio, ossia dal confine del suolo che fiancheggia la nuova cinta di Livorno.
La principale fra le diverse barriere, o porte, è quella sulla strada R. fiorentina.
Quivi sono due edifizii doganali, uno per la gabellazione delle merci che sâintroducono nel Granducato, lâaltro per quella della maggior parte dei generi di consumo di cittĂ e delle produzioni che si estraggono dalla Terraferma per via di mare. La distribuzione dei suddetti edifizii, stati eretti collâopera dellâarchitetto fiorentino Carlo Reishamer, presenta i comodi piĂš opportuni, specialmente per essere stato separato lâingresso dallâegresso, e per trovarvisi costruiti due vasti locali coperti, nei quali possano ricoverarsi durante le visite doganali, barocci, e vetture.
La superficie quadrata della nuova cinta occupa braccia cube fiorentine 801, 421 equivalenti quasi a miglia 1 e 3/4 quadrate.
Cotesto terzo cerchio non presenta, ne piĂš gli conveniva come alle precedenti mura, lâaspetto di unâopera di fortificazione; imperocchè, destinato comâè a recingere una cittĂ popolosa, un porto-franco neutrale di uno stato e di un principe pacifico, era necessario che esso ne portasse lâimpronta, senza che pertanto fosse omesso quel carattere di edificatoria corrispondente allâoggetto: cioè, di uno stile rustico e a bozze di breccia e di tufo rozzamente tagliate nella faccia, ed in guisa tale che apponesse ai frodatori un ostacolo, sicchè la vigilanza di poche guardie bastasse per impedire il contrabbando.
Tutta lâaltezza del muro è di braccia 13 e 1/2, le prime otto delle quali hanno di grossezza, in base braccia 2 e un sesto con scarpata solamente esterna di un decimo a braccio. Allâaltezza delle braccia otto avvi una modinatura di pietra, consistente in un cordone che ricorre andante allâesterno, sopra il quale innalzasi altra porzione di muro a piombo alta braccia 5 e 1/2.
Dove ha ingresso in citta il canal navigabile, ossia il Fosso dei navicelli che congiunge Pisa con Livorno, stĂ costruendosi un altro importante ufizio doganale. Ă stato pur esso architettato dal Reishamer, in guisa tale che lâingresso dei Navicelli resta separato dallâegresso, ed i navigli hanno ricetto in uno spazio coperto durante le doganali operazioni. Cotestâufizio posa nel centro di unâampia darsena che ha una superficie di braccia 886,000 quadre.
Le mura della nuova cinta gli passano in mezzo, e dividono il bacino interno dallâesterno. Tanto in questo, quanto in quello possono in gran numero aver stazione le barche che introducono, o che escono dal porto-franco.
Un nuovo canale per porre in comunicazione il bacino interno della stessa Darsena col fosso del Rivellino offre una comoda circolazione ai navicelli; e quelle acque, per lo dinanzi stagnanti ed infette, attualmente partecipando al moto del riempifondo sonosÏ efficacemente ravvivate al pari di quelle del fosso reale, che è situato alla base delle fortificazioni.
La muraglia della nuova cinta si estende nei preaccennati limiti per miglia tre e tre quarti in lunghezza senza però calcolare quella estensione che è posta lungo il littorale, cioè, dalle antiche fortificazioni di porta-murata sino al bastione chiuso di S. Pietro, la quale può valutarsi della lunghezza di quasi un altro miglio.
I fondamenti delle mura posano sopra uno stabile terreno, o panchina di tufo pietroso, meno che dalla parte del seno di Parto pisano fra il fosso dei navicelli e la bastia, dove i suoi fondamenti, per un tratto lungo 500 braccia, sono piantati sopra palafitte con reticolato di legname.
Le bracciature cubiche di tali lavori, eseguiti fino al luglio del 1838, per la costruzione della nuova cinta di mura delle sue dipendenze, ammontano a braccia cube fiorentine 452,612; le quali sono da ripartirsi come appresso; Il movimento, sul quale ĂŠ fondata la muraglia di cinta della cittĂ e porto-franco di Livorno, ascende a Braccia cube 160,816 Le chiaviche e ponti Braccia cube 8,412 I muri a rivestimento della darsena per i navicelli e annessi Braccia cube 11,607 I muri di cinta sopra terra Braccia cube 217,882 Le fabbriche sinora costruite per le porte, per le barriere e la dogana dâacqua Braccia cube 52,895 Totale Braccia cube 452,612 Dopo compito il nuovo recinto delle mura urbane di Livorno, sono state demolite alcune tra le porte del secondo cerchio, come inutili ed imbarazzanti il pubblico transito. Contansi fra queste la porta a Pisa , quella del Rivellino di S. Marco, ed anche la piĂš moderna del Casone. La loro distruzione ha giovato, non tanto sotto il rapporto della salubritĂ , quanto sotto quelle di ornato pubblico, alle vicine fabbriche e alle strade.
Numero delle case che costituivano il vecchio Livorno, N° 1459 Case riunite alla cittĂ di Livorno nellâultima circonvallazione, N° 1477 Totale delle case nel 1837, N° 2936 Stabilimenti Sanitarii. â Livorno sotto questo rapporto non ha che insidiare alle principali cittĂ marittime del Mediterraneo e dei mari dipendenti, poichè il suo porto fu provvisto di tre grandi Lazzeretti, e questi collocati a diverse distanze in riva al mare, tutti sulla spiaggia meridionale del porto; vale a dire, nella pianura piĂš salubre livornese. Furono essi eretti lâuno dopo lâaltro da tre Granduchi, e quindi destinati appositamente, secondo i gradi del pericolo, ai diversi bastimenti che venivano accompagnati da patente, cosĂŹ dette, netta, tocca, e brutta; in guisa che ciascuno di quei tre locali veniva governato con regole efficaci sanitarie, e con discipline proporzionate allâoggetto della loro destinazione.
CosĂŹ il Lezzeretto di S. Rocco , il primo per antichitĂ , perchè edificato nel 1604 sotto Ferdinando I, è il piĂš vicino al porto, anzi quello che solo da un largo fosso viene isolato dalla cittĂ . â Dallâepoca dellâerezione del terzo Lazzeretto, di S. Leopoldo, sino a questi ultimi tempi il piĂš antico di S. Rocco servĂŹ alle provenienze con patente netta; ma, in grazia dei piĂš recenti provvedimenti sanitarii (anno 1834), esso attualmente è destinato a ricevere, oltre le merci e le persone delle provenienze suddette anche quelle con patente cosĂŹ detta tocca. Dentro lo stesso locale, sul declinare del secolo passato, per le cure di Ferdinando III fu aperto un piccolo porto ad oggetto di servire alla contumacia delle feluche coralline e di altri piccoli navigli.
Il Lazzeretto di S. Iacopo, distante quasi un miglio dalla cittĂ , fu fabbricato nel 1643 sotto Ferdinando II col disegno dellâarchitetto Antonio Cantagallina.
Esso prese il nome di S. Jacopo dal soppresso vicino convento dei Frati di S. Jacopo in Acquaviva, dovâĂŠ rimasta la chiesa parrocchiale.
Questo secondo Lazzeretto si riservò ai bastimenti con patente brutta, e specialmente a quelli provenienti da paesi, dove soleva dominare la peste bubbonica. Nel Lazzeretto di S. Jacopo, lâanno 1754, per ordine dellâImperatore Francesco I, secondo Granduca di questo nome, vennero eseguiti grandi accrescimenti in fabbriche, in logge e fontane con un recinto di fossi, oltre un canale navigabile destineato a condurre dentro Livorno le merci, dopo essere state ammesse alla pratica. Fu questâedifizio nella stessa occasione circondato e chiuso da una circonvallazione regolare e quadrilunga di mura con porta maggiore davanti a un ponte levatojo, sopra la quale fu apposta lâarme imperiale con la seguente iscrizione, dettate dal celebre letterato Antonio Cocchi: Imp. Caes. Franciscus. Augustus.
Dux. Lothar. M. D. Etr. Ut Liburni.
Portu. Pestilentiae. Contagia. Quam.
Tutissime. Arceantur. Insulam.
purgationibus.
Hominum. Et. Marcium. Habendis.
Restituit. Ampliavit. Instruxit, anno MDCCLIV Dopo compito il terzo Lazzeretto, questo di S. Jacopo venne destinato alle sole provenienze con patente tocca; e ciò finchè, per sovrana disposizione di Leopoldo II, fu ripristinato lâantico sistema di accogliervi tutte le merci e persone portate sopra navigli con patente brutta.
Finalmeale il Lazzeretto di S. Leopoldo, il piĂš distante di tutti (circa un miglio e mezzo dalla cittĂ ) rammenta una delle piĂš grandi opere edificatorie, e uno dei tanti benefizj fatti da Leopoldo I a favore del commercio e della salute pubblica dei Livornesi. â Era esso in origine destinato allo sciorino e alla contumacia di merci e di passeggeri provenienti da paesi appestati: essendochè il fabbricato fu disposto in modo che nel suo interno contiensi un altro Lazzeretto con un giro di mura isolato da quello esterno che lo racchiude. Nel qual secondo recinto venivano perfettamente isolati tutti gli appestati, per modo che il contagio bubbonico rimaneva costĂ obbligatamente estinto.
Framezzo ai due primi Lazzeretti, di S. Rocco e di S.
Iacopo, e parimente in riva al mare, esiste lo spedale di Osservazione, il quale può isolarsi al momento che si vuole dalla Terraferma, e mettersi tosto in una specie di quarantina. Fu eretto provvisoriamente allâepoca della comparsa in Livorno della Febbre Gialla (anno 1804); poscia venne perfezionato e reso piĂš confacente allo scopo nei casi di sopravvenienza di malattie contagiose, come accadde nel 1817 per il tifo petecchiale, e negli anni 1835 e 1837 per lâinfausta comparsa del morbo asiatico.
Esposto tutto lâedifizio ad una libera ventilazione, è anche suscettibile di suddivisione per i diversi gradi di una stessa malattia contagiosa, in guisa che questo spedale può riguardarsi come uno degli stabilimenti in simil genere che onorano lâumanitĂ , la saviezza e la previdenza dal governo toscano.
A maggior comoditĂ degli ufiziali di sanitĂ , dopo il ritorno del Granduca Ferdinando III, fu innalzata alla bocca del porto di Livorno una elegante, se non bastantemente comoda, palazzina di marmo, appellata lâUfizio della SanitĂ .
Tempii sacri al culto Cattolico. â La cittĂ di Livorno proporzionatamente alla sua popolazione ed al suo lustro scarseggia anzi che no di chiese; e quelle che vi esistono non può dirsi che siano di una grande capacitĂ . In vista di ciò il Granduca Leopoldo II ha decretata la fondazione di quattro nuove chiese da doversi erigere in parrocchie assolute, fra le quali la maggiore sta attualmente edificandosi in spaziosa area, a tre grandi navate, per destinarla a nuova piĂš dignitosa cattedrale.
Il duomo attuale, dedicato a S. Maria Assunta e a S.
Francesco e tuttora lâunica parrocchia plebana, siccome lo fu fino da quando Livorno non contava che poche centinaja di abitanti.
Alla chiesa plebana di S. Giulia di Porto Pisano, ossia di Livorno, la quale in origine esisteva fuori del primo cerchio, fu sino dal secolo XVI aggregata unâopera, con altra chiesa sotto il titolo di S. Maria, situata dentro Livorno. Quindi la chiesa plebana associò allâantico titolo quello di S. Maria, finchĂŠ nellâoccasione forse della consacrazione del duomo attuale, fu preso per contitolare del nuovo tempio e per santo compatrono di Livorno, S.
Francesco dâAssisi.
Il pieveno di Livorno venne decorato del titolo di preposto nellâanno 1632, Allâepoca stessa in cui la pieve di S. Maria, di S. Giulia e d; S. Francesco fu eretta in insigne collegiata.
Il titolare della prima parrocchia di Livorno è stato conservato alla compagnia di S. Giulia, che Ê un pubblico oratorio molto ornato situato di fianco al duomo, devotamente frequentato ed ofiziato.
A proporzione che Livorno andò accrescendo di popolazione, prestarono ajuto al preposto pievano diversi cappellani curati di alcune chiese che di mano in mano si eressero in Livorno, le quali divennero perciò altrettante cappelle succursali. Tali sono le cure della Madonna, di S.
Giovanni, di S. Caterina, di S. Sebastiano, di S.
Ferdinando, ec.
Il duomo è a croce latina di una sola navata con altar maggiore isolato e una grandiosa apside o tribuna. Evvi un capitolo composto di venti canonici, fra i quali cinque dignità , e di altrettanti cappellani con un sufficiente numero di chierici. Mancavi tuttora un seminario.
Il duomo ha buoni a fresco nelle soffitte e quadri di pittori rinomati alle pareti ed agli altari. La vasca del battistero è un lavoro di marmo bianco di qualche merito per i tempi in cui fu fatto. Sono pure di marmo diversi mausolei, comecchè troppo gretto apparisca, in confronto del merito e di quanto per Livorno operò, quello ivi innalzato al governatore marchese Carlo Ginori.
La Madonna (SS. Concezione, deâfrati Minori osservanti), è dopo il duomo la chiesa piĂš grande, la piĂš centrale e la meglio uffiziata di tutte. Conta lâepoca stessa della chiesa maggiore, stantechè la sua fabbrica incominciò nellâanno 1598. Ha una sola navata, con lâaggiunta posteriore di un cappellone a cornu epistolae. I cultori di belle arti vi troveranno due eccellenti quadri di Matteo Rosselli, e uno dipinto dal Franceschini, detto dalla sua patria, il Volterrano.
La chiesa di S. Caterina, dei frati Domenicani Gavotti, venuti a Livorno dal convento di S. Marco di Firenze, fu edificata insieme col claustro fra il 1704, e il 1716. La forma del tempio è ottangolare, ornato a stucchi con una cupola grande a proporzione del vaso. Allâincontro piccolissima e sproporzionata ĂŠ la cupola nuova di una piĂš vasta chiesa, S. Benedetto, stata innalzata con i fondi a tal uopo destinati dalla pietĂ del negoziante livornese Benedetto Fagiuoli.
La chiesa ed il collegio di S. Sebastiano furono edificati dopo il 1633 a spese della comunitĂ . Nel quartiere di Venezia nuova esiste la chiesa dei soppressi religiosi Trinitarj Scalzi, edificata ed arricchita da un capitano delle galere granducali.
Dei conventi superstiti fuori della cittĂ di Livorno si conta attualmente il solo monastero della Madonna di Montenero. con meno di quattro altri conventi esistevano nel capitanato vecchio, oltre il vetusto spedale di S.
Leonardo di Stagno; cioĂŠ, il convento di S. Jacopo dâacquaviva, degli Agostiniani Romitani; la Badia deâSS.
Apostoli di Nugola, dei Monaci Maurini; il piccolo claustro di S. Maria della Sambuca, dei PP. Gesuati, ed il monastero di S. Gio. Gualberto di Val Benedetta, dei Vallombrosani. â Vedere Acquaviva (S. Iacopo di) badia di Nugola Val benedetta, Monte nero di Livorno e Sambuca nei monti livornesi.
Altri culti praticati, o tollerati in Livorno. â Io non starò a porre in campo la questione, se debbasi alle larghe franchigie civili della Livornina, o piuttosto ai provvedimenti che accordarono una tolleranza religiosa, il maggior concorso di gente e di ricchezze derivato a Livorno; ne giova bensĂŹ far rilevare, che le piĂš forti case di commercio livornesi appartennero a famiglie professanti culti non cattolici, e che la massima fortuna mercantile sembra importatavi dallo spirito di tolleranza, stato costantemente mantenuto da due e piĂš secoli in questa cittĂ . Checchè ne sia, dirò che, dopo il culto dominante cattolico apostolico romano, si esercitano pubblicamente in Livorno tre riti ortodossi, e sono tollerati privatamente altri tre culti eterodossi, oltre il maomettano e lâebraico. Essi riduconsi ai seguenti.
1. I Greci uniti, quelli cioè di rito ortodosso, i quali professano obbedienza al pontefice romano. â La loro chiesa, dove si esercita il culto in lingua greca letterale, è dedicata allâAnnunziazione di Maria. Fu fondata fino dal 1601, quando i Greci vennero chiamati a Livorno da Ferdinando I per impiegarli nel servizio delle galere. La suddetta chiesa è uffiziata da due preti nazionali, uno parroco lâaltro cappellano; ma non vi si potendo celebrare, a forma di quel rito, piĂš dâuna messa per giorno, havvi una cappella nel chiostro del locale medesimo per comodo del cappellano e dei sacerdoti forestieri dello stesso rito.
Concorrono pure a delta chiesa i preti arabi, chiamati Melchiti, i quali professano un culto consimile, e solo differiscono dai Greci uniti in quanto che i Melchiti usano della litargia in lingua araba, celebrano la messa con pane fermentato, e si comunicano con le due specie.
2. Gli Armeni cattolici. â Essi professano la religione cattolica romana con cerimonie diverse dal rito latino; usano della lingua armena, e consacrano in pane azimo. â La loro chiesa, dedicata a S. Gregorio, è uffiziata da tre sacerdoti, due dei quali fanno le veci di parroco; contuttociò si possono celebrare le messe latine anche i sacerdoti della cittĂ .
3. Gli Arabi maroniti. â Esiste in Livorno espressamente per gli Arabi maroniti un monaco sacerdote del Monte Libano, che ha una cappella nel convento della Madonna dei frati Minori Osservanti. Egli dovrebbe celebrare la messa e gli uffizj divini in lingua siriaca; ma per comodo degli Arabi maroniti, che non la intendono, celebra parte della messa in Siriaco, e parte in Arabo.
4. I Greci non uniti, altrimenti detti Greci orientali, o scismatici. â Nella loro chiesa, che è sotto lâinvocazione della SS. TrinitĂ , si pratica il rito della chiesa greca scismatica, sebbene esteriormente la loro liturgia armonizzi con quella dei Greci uniti, meno che nel simbolo della messa si omette la parola filioque. Essi dipendono dal patriarca greco eterodosso di Antiochia; quindi il loro culto è privato.
Quantunque la religione dei Russi differisca alcun poco dalla Greca orientale, entrambe però si assomigliano perfettamente nelle cerimonie, ancorchè la loro liturgia sia per lo piÚ praticata in lingua russa, o Rutena. Quindi è che della chiesa medesima della SS. Trinita concorrono, oltre i Greci orientali, anche i Russi, il di cui Autocrate ne è il capo e protettore.
I Greci scismatici hanno il loro speciale cimiterio dentro la nuova circonvallazione della cittĂ , fra il camposanto vecchio ed il nuovo cisternone.
5. Gli Anglicani, o Episcopali. â Nella cappella deglâInglesi, nella quale si usa la lingua nazionale, si esercita privatamente il culto dominante in Inghilterra, ossia lâEpiscopale. Havvi un ministro stipendiato dal loro governo, comecchè in essa cappella concorrino tutte le altre sette e riti soliti professarsi daglâInglesi, come: Presbiterani, Metodisti ec. â Nel modo che glâInglesi si servono a comune di uno stesso tempio, cosĂŹ hanno in comune un cimiterio, situato fuori degli spalti della distrutta porta del Casone; cioè, nella parte piĂš ridente e forse la meglio fabbricata della nuova CittĂ .
6. I Luterani e Calvinisti . â La nazione Olandese-Alemanna ebbe origine e cappella propria sotto il regno di Ferdinando I, dal quale ottenne, nel 1607, per mezzo del console della nazione Fiamminga residente in Livorno, la facoltĂ di erigere nella chiesa della Madonna una cappella con altare sotto lâinvocazione di S. Andrea; e costĂ la nazione stessa ebbe anco sepoltura. Ciò dĂ ragione di credere, che glâindividui Olandesi-Alemanni, stabiliti nei primi tempi in Livorno, professassero la religione cattolica, e non la protestante. â Fra i varj provvedimenti stati presi da quella casta, merita particolare menzione uno del 5 dicembre 1679, per essere quello forse il primo documento che dia a conoscere, come si associassero alla universitĂ Olandese-Alemanna, persone attinenti e diverse confessioni eterodosse. Tale fu la deliberazione di acquistare un altro luogo conveniente ad uso di cimiterio, oltre la sepoltura che lâuniversitĂ stessa aveva nella cappella di S. Andrea alla Madonna.
Infatti il giardino châessa comprò nel nov. del 1683, fu ridotto a camposanto, dopo che Cosimo III, con sovrano rescritto del 18 febb. 1695, ne approvò lâuso. I membri della nazione Olandese, Alemanna goderono in passato diversi privilegii, ed il governo soleva dirigerle anco dei quesiti relativi al commercio. â (Vedere i Regolamenti di detta nazione stampati in Livorno nel 1832, e lâArticolo Commercio di sopra riportato). Attualmente nella sala, o cappella della nazione Olandese-Alemanna, si pratica in privato il culto protestante, tanto di rito luterano, quanto calvinista e di tutte le numerose diramazioni di queste due riforme; le quali, sebbene in molti paesi disunite e avverse, in questa sala sembrano fra loro perfettamente concordi. La liturgia è praticata in lingua tedesca, e ne ha la cura un loro predicatore o ministro. â Anche gli Olandesi hanno a comune con tutti gli altri protestanti Tedeschi, Svizzeri ec. il loro camposanto, il quale è situato in fondo al Borgo reale presso il quadrivio delle Spianate.
7. I Maomettani. â Benchè i Turchi non abbiano in Livorno una moschea, ne alcuna sala destinata al loro culto, pure anche a questi il tollerante governo toscano si degnò concedere un cimiterio murato, che può vedersi fuori della nuova porta a Mare, in luogo detto il Mulinaccio.
8. Gli Ebrei. â LâuniversitĂ , o nazione degli Israeliti è la piĂš ricca e piĂš numerosa fra le credenze tollerate in Livorno; ed è costĂ dopo quella di Amsterdam la piĂš decantata sinagoga. â Mentre si agita ancora in Francia, in Inghilterra e in qualche altra parte di Europa la questione, se convenga conferire agli Ebrei i diritti civili, essa fu giĂ da gran tempo risoluta e stabilita in Toscana da Cosimo e da Ferdinando I, convalidata poi dai Granduchi successori, specialmente in favore degli Ebrei che venivano ad abitare familiarmente a Pisa e a Livorno.
Non vi fu per questi ultimi un ghetto proprio, ma sivvero un quartiere sugli spalti meridionali, non però circoscritto nè disgiunto dal restante della città , non ostante che da gran tempo sia stato loro concessa facoltà di acquistare e abitare case in altre strade. Solamente nella prima epoca venne loro interdetto di avere abitazione nella gran via Ferdinanda, come quella che può considerarsi fra tutte le altre la strada piÚ nobile di Livorno.
Col volgere però degli anni, si affievolirono e quindi svanirono le cause, per le quali anche costĂ erano state poste alcune interdizioni aglâIsraeliti. Lâelemento del commercio, assorbendo in Livorno tutti gli altri elementi, ve le ha quasi affatto distrutte.
Lâinterdizione maggiore che colpiva in Livorno lâuniversitĂ giudaica era quella di non includere nella borsa del magistrato civico, fra i nomi dei benestanti, i mercanti o possidenti ebrei; talchè questi ultimi nou potevano essere eletti in rappresentanti il corpo decurionale, siccome non solevano tampoco essere ammessi alle civiche stanze della cittĂ . Ma la prima interdizione fu tolta dalla saviezza di Leopoldo I, la seconda dalla cittadinanza francese; il di cui governo favorĂŹ tanto gli ebrei di Livorno da non applicare a danno loro il decreto napoleonico dei 17 marzo 1808, col quale si sottoponevano glâisraeliti dellâimpero francese a certe misure per frenare i poco caritatevoli usurai della nazione.
Del resto, dopo la distruzione del tempio, e dacchè il popolo dâIsraello divenne vagante, forse da credersi che non vi sia paese al pari di Livorno, in cui lâuniversitĂ ebraica abbia goduto mai piĂš di una migliore esistenza civile, di una maggior quiete pubblica, di piĂš estese onorificenze e favori. In una parola agli israeliti di questo paese non è testata preclusa altra via fuori di quella militare e del foro.
La corporazione israelitica di Livorno fino allâanno 1625 fu soggetta a quella di Pisa; dalla quale chiese ed ottenne indipendenza per sovrano rescritto del Granduca Ferdinando II. Dâallora in poi i capi di famiglia raccolti in sinagoga procedettero allâelezione di 5 massari, sorta di magistrato, il quale presiede per lâeconomico al culto, che ha la gestione delle pubbliche aziende, che una volta conosceva delle cause civili e criminali, le quali insorgevano tra i loro nazionali, eccettuate peraltro quelle che portavano alla pena capitale, o a punizioni infamanti, e le cause dove intervenivano come parte individui di altra religione. Ma questo privilegio di fare gli ebrei da giudici nelle cause criminali fu tolto dal Granduca Leopoldo I, che limitò le attribuzioni dei massari ai giudizj civili e commerciali con lâappello allâauditore del governo, finchè tal privilegio fu abolito dal governo francese.
La popolazione dei sette culti qui sopra nominati non figura in Livorno, appena per una quarta parte in paragone di quella israelitica; la quale ultima sta attualmente in confronto della popolazione cattolica livornese, come uno a dodici.
Nella statistica della popolazione del Granducato redatta nellâanno 1745, quando tutta la popolazione di Livorno, dentro le mura, contava 3836 famiglie con 28040 abitanti, la cifra degli ebrei figura per 993 famiglie contenenti 8988 individui, nel tempo che gli eterodossi non erano piĂš che 166 abitanti ripartiti in 33 famiglie.
Inoltre dallo stato dellâanime del 1790 apparisce, che la popolazione della cittĂ di Livorno, esclusi i passeggieri, e i condannati ai pubblici lavori, nello stesso anno non superava 30349 abitanti, quando di questa stessa cifra facevano parte 8800 tra ebrei ed eterodossi.
Finalmente nellâanno 1837, essendosi numerata la popolazione di Livorno dentro la nuova circonvallazione, senza far conto dei forestieri e dei forzati, ascendeva essa a 59564 abitanti, mentre quella della universitĂ israelitica non appariva piĂš che di 4497 ebrei. Il qual ultimo numero dâisraeliti trovavasi ripartito in 1350 fuochi, tra i quali si noveravano 68 famiglie miserabili, sussidiate dallâuniversitĂ o da sovvenzioni private.
Se da un lato non dobbiamo avventurarci in ipotesi sul numero deglâisraeliti primitivi venuti familiarmente a Livorno, dallâaltro lato non possiamo negare il loro vistoso e progressivo aumento nella prima metĂ del sec.
XVII, tostochĂŠ nellâarchivio della ComunitĂ di Livorno (Filza I a pag. 812) esiste la seguente nota delle bocche di quella cittĂ .
- Anno 1633 Bocche di Livornesi non Ebrei Compresi dentro la cittĂ di Livorno nellâanno 1633, Abitanti 7942 Bocche di Ebrei nellâanno stesso, 700 Totale Abitanti 8642 - Anno 1642 Bocche esistenti in Livorno nel marzo dellâanno fior.
1642, NÂş 10326 Ebrei non compresi in detta nuaerazione, NÂş 1175 Parte della soldatesca della guarnigione sparsa per la cittĂ , escluso il presidio delle fortezze, NÂş Forzati nel Bagno (ne può dar nota lo serivano di quello), N° - Nel nuovo accrescimento di Livorno, NÂş 156 Persone che sono nel Porto sopra i vascelli: (non si sono numerate perchĂŠ vanno e vengono), NÂş - Totale degli abitanti in Livorno e borghi, NÂş 12302 Fuori di Livorno, nel Capitanato vecchio (anno medesimo 1642), N° 827 Totale degli abit. Della Com. di Livorno nel 1642, NÂş Nella filza dellâarchivio medesimo fu notato il numero degli ebrei stabiliti in Livorno nel 1645, i quali ascendevano gia a 1250 persone; sicchè dal 1633 al 1645, vale a dire nel breve periodo di 12 anni, la popolazione israelitica di questa cittĂ si sarebbe aumentata quasi del doppio.
CENSIMENTO degli ebrei di Livorno eseguito in diverse epoche, estratto dalle note ufficiali di quella cancelleria israelitica.
Ad anno compito 1738 ebrei nati: 91, ebrei morti: 72, matrimoni di ebrei: 45, totale della popolazione: 3476 Ad anno compito 1758 ebrei nati: 84, ebrei morti: 149, matrimoni di ebrei: 39, totale della popolazione: 3687 Ad anno compito 1784 ebrei nati: 75, ebrei morti: 79, matrimoni di ebrei: 37, totale della popolazione: 4327 Ad anno compito 1806 ebrei nati: 105, ebrei morti: 131, matrimoni di ebrei: 36, totale della popolazione: 4697 Ad anno compito 1808 ebrei nati: 121, ebrei morti: 111, matrimoni di ebrei: 53, totale della popolazione: 4963 Ad anno compito 1817 ebrei nati: 105, ebrei morti: 124, matrimoni di ebrei: 43, totale della popolazione: 4633 Ad anno compito 1833 ebrei nati: 116, ebrei morti: 117, matrimoni di ebrei: 42, totale della popolazione: 4701 Ad anno compito 1836 ebrei nati: 134, ebrei morti: 107, matrimoni di ebrei: 30, totale della popolazione: 4497 La superiore tabella pertanto ci darebbe a divedere, che la popolazione israelitica in un secolo non si accrebbe appena di una quarta parte, mentre nel periodo medesimo la popolazione cattolica quasi triplicò la sua cifra. Resterà a sapere se i calcoli sono stati in ogni tempo esatti, e se chi comandò la formazione dei rispettivi censimenti possa essere stato mai, e per parte di chi, nelle sue aspettative defraudato.
Prospetto comparativo degli ebrei di Livorno negli anni 1745 e 1837.
Anno 1745 liberi: 3250, libere: 3445, coniugati dei due sessi: 2295, famiglie: 993 Anno 1837 liberi: 1308, libere: 1214, coniugati dei due sessi: 1975, famiglie: 1106 Delle 1106 famiglie israelitiche esistenti nel 1837 in Livorno, piÚ di una quarta parte e stata registrata nel ruolo di mendicità , sovvenuta come si disse, da sussidj mensuali o a determinate ricorrenze, nel tempo che una parte delle medesime è soccorsa da beneficenze private.
Quasi la decima parte degli ebrei possiede beni stabili in Livorno, e circa 4 quinti di loro vi hanno anche domicilio.
I tassati dalla camera di commercio, nel 1837 erano 245, e quelli paganti la tassa di famiglia 473. â I negozianti benestanti, i banchieri e quelli esercenti traffici maggiori, o professioni liberali, nel 1837, ascendevano a 486 notabili; gli altri mestieranti ammontavano a 923 persone; fra tutti 1409 individui.
Nel corso dellâultimo triennio (dal 1834 al 1837) melgrado lâesempio dato da molti ebrei, nelle costruzione di fabbriche intraprese sotto lâaspetto di speculazione commerciale, il numero dei proprietarii israeliti non si mostra accresciuto, nè in proporzione assoluta, ne in relativa. Trovasi solamente nella loro statistica economica un qualche aumento nella massa generale dellâentrate; ma niun fatto dimostra che lâimpiego del denaro in immobili abbia presentato mai agli israeliti delle grandi allettative.
Minorarono forse alle case di Ebrei stabilite costĂ i lucrosi affari che esse facevano mediante i banchi di scontisti, parificati dopo lâapertura della Banca di sconto. Alla qual Banca si affrettarono molti Ebrei di associarsi col prendere quante piĂš azioni potevano. Donde ne conseguĂŹ, che di 2491 azioni dalla Banca medesima dispensate, ne furono in un, fiat, assorbite 915 dagli israeliti, 445 delle quali spettanti a case livornesi.
Stabilimenti Pii, e di pubblica caritĂ esistenti in Livorno.
â Fra le prime istituzioni di beneficenza sono da noverarsi gli ospedali destinati a prestar soccorso dalla languente umanitĂ . â Livorno non ne contava meno di quattro innanzi che Leopoldo I li riunisse o nei due superstiti, Cui piĂš tardi fu anche aggiunto lo spedale di Osservazione destinato alle malattie contagiose. Del primo spedale di Livorno sotto lâinvocazione di S. Ranieri incontransi memorie fino dal principio del secolo XIV. Esso venne accresciuto di beni nel 1671 con quelli del soppresso convento dei Gesuati alla Sambuca, finchè per ordino del Granduca Leopoldo I, nel 1778, fu anchâesso incorporato allo spedale delle donne, sotto il titolo della Misericordia: e ciò nel tempo che lâospedale di S. Barbera, riservato ai militari, restò riunito a quello superstite di S. Antonio.
Questâultimo, destinato per gli uomini, fu edificato nel principio del secolo XVII nel bel centro della cittĂ , ed ai secondi piani di casa; quindi fu progressivamente accresciuto di altre corsie disposte in differenti direzioni e livelli, nè troppo ventilate. Trovasi assistito fino quasi dalla sua origine dai Benfratelli, istituiti da S. Giovanni di Dio.
Allâospedale degli uomini precedĂŠ di pochi anni quello nominato della Misericordia, perchè deve la sua origine alla pia associazione di questo nome, a quella stessa caritatevole congregazioue, fondata nel 1595 con lo scopo filantropico e con i regolamenti presi dalla madre di tutte le arciconfraternite di caritĂ , da quella cioĂŠ della Misericordia di Firenze, Questa di Livorno, negli anni 1834 e 1837, acquistò nuovi titoli alla pubblica riconoscenza, e pareggiò in zelo ed in cristiane virtĂš la Misericordia fiorentina allâepoche delle pestilenze piĂš micidiali.
Oltre il prestere assistenza ed eccorrere in tutti i casi fortuiti di disgrazia, o di morti improvvise che avvengano nelle pubbliche strade, la stessa confraternita procura soccorsi spirituali o temporali ai carcerati, mediante una deputazione che porta il ben meritato titolo di Buonomini ; e lâunico suo assegnamento per supplire alle spese cansiste nelle questue, erogandone lâavanzo a soccorrere le famiglie bisognose che restano vittime di qualcuno di quei casi disgraziati.
Monti Pii. â Livorno possiede due ricchi Monti Pii, stati eretti in due tempi diversi; al primo dei quali, fondato nel 1626 dal Granduca Ferdinando II, fu aggiunto nel 1681 un secondo Monte di PietĂ per sovrano rescritto di Cosimo III. â Essi trovansi riuniti in un solo e vasto edifizio, appositamente fabbricato in via Borra, ed aperto nel 1708 sotto il duplice nome di Monte Rosso e di Monte Nero . â Furono inoltre instituiti tre vetturini, volgarmente detti Montini , per soddisfare in tutti i giorni anche festivi alle urgenze dei bisognosi.
Fra gli stabilimenti di pia beneficenza sono pure due Case Pie, che una destinata a sottrarre dalle funeste conseguense della miseria le fanciulle della classe del popolo nel cosĂŹ detto luogo Pio, e lâaltra i poveri orfanelli nella Casa del Refugio.
Alla prima fu dato principio nel 1682 con caritatevoli sovvenzioni dei cittadini. Tre anni dopo Cosimo III, per rescritto del 16 marzo 1685, assegnò al Luogo Pio tutto ciò che avesse potuto fruttare il diritto di registro delle polizze di sicurtĂ . Nel 1714 restò compita lâornatissima chiesa contigua, della quale leggesi la seguente iscrizione.
Pauperum Tempium, Pauperum Patris, qui Deus est, Domicilium venerari, Cosmi III M. E. D. Regii Pauperum Patroni in hoc Templo excitando, et demirare munificentiam, et imitare. â A.D. 1714.
Nella prima casa ebbero per qualche tempo richiesto i ragazzi poveri dei due sessi, e perciò era chiamata la Casa Pia dei poveri mendicanti, ma in progresso di tempo essa fu limitata alle sole fanciulle povere, oppure orfane.
Trovavasi di ragazzi oziosi, figli di miserabile gente quasi piena la cittĂ , quando il governatore di Livorno, Carlo Ginori, mosse a pietĂ molti deâprincipali negozianti, acciocchè concorressero allâerezione di una fabbrica per accogliervi quei garzoncelli, alimentarli ed istruirli nelle arti e mestieri piĂš comuni col precipuo lodevolissimo scopo di destinare poi il maggior numero di essi al servizio della marina toscana.
Dalla clemenza dellâaugusto Granduca Francesco II fu ottenuta la permissione di erigere a tal uopo nel luogo del primo camposanto di Livorno la fabbrica progettata, per la quale fu posta la prima pietra il di 4 maggio 1755, e, dopo compita, datole il nome di Casa del Refugio.
In questo stabilimento concorse efficacemente la generosa pietĂ dei Livornesi tanto che, nel 1760, si erano giĂ raccolti e alimentati circa 500 orfanelli e ragazzi del povero; i quali per la maggior parte furono impiegati sulle navi per far da marinaro e il restante per garzoni di bottega.
Dice tutto lâiscrizione collocata sopra la porta dello stabilimento. Eccone copia: Imp. Caes. Francisco P. F. Aug. M. Etruriae Duce, publicae felicitatis Propagatore Adnuente, Pueris, Orfanis et inopibus alendis, vacantibus congregandis, rudibus, instituendis, quo formentur mores, tranquillitas constet, artes, et negotiatio civitatis augeantur, liburnenses, conlata pecunia, procotrophion aedificandum curavere; Anno Cristi ortu 1756.
Entra finalmente a far parte (sebbene indirettamente) dellâistituto di pubblica beneficenza la cassa di risparmio aperta in Livorno dopo quella di Firenze, il cui scopo economico morale è quello di allettare lâartigiano a depositarvi quellâobola, che ai necessarii bisogni nei suoi giornalieri guadagni gli avanza, per riaverlo con frutto al giorno delle piĂš pressanti sue urgenze.
Stabilimenti di, istruzione pubblica. â Lo stato delle lettere e delle scienze, per veritĂ , non si può dire che nei tempi andati fosse molto florido in Livorno, come non lo è generalmente nelle piazze mercantili, meno il caso che queste siano attualmente, oppure lo fossero una volta, cittĂ capitali, come Londra, Pietroburgo, Stocholm, Napoli, Genova, Venezia ec. â I Livornesi peraltro hanno tutte le disposizioni per camminare e progredire col secolo, talchĂŠ anche in genere di pubblica istruzione sembra châessi non voglino restare indietro alle altre piĂš cospicue cittĂ .
Vediamo quello che era Livorno sotto questi due rapporti nei secoli trascorsi, o vediamo quello che ĂŠ attualmente.
Le prime scuole pubbliche furono quelle aperte sino dal 1633 in S. Sebastiano a carico della ComunitĂ , la quale, per mostrare la sua gratitudine ai PP. Barnabiti chiamati a Livorno dallâarcivescovo di Pisa Giuliano dei Medici che vi fondò la suddetta chiesa, volle affidare alla loro cura lâistruzione dei giovanetti nella lingua latina, nelle lettere; nella fisica ec. Quindi, nel 1780, tal palazzo comunitativo fu trasportato nello stesso locale la pubblica biblioteca, che conta il suo principio dallâanno 1765, e che va gradatamente accrescendosi a spese della comunitĂ , contandovisi adesso da circa 6000 volumi.
La ComunitĂ di Livorno oltre le scuole di leggere, Scrivere e abbaco stabilite nel collegio di S. Sebastiano, provvede alla istruzione elementare della popolazione degli antichi subborghi, ora compresi nel nuovo cerchio della cittĂ , mediante quattro scuole primarie, due per i maschi e due per le femmine.
Istituto del Paradisino. â Lâorigine di questa scuola per le zittelle rimonta solamente allâanno 1746 quando per 1e cure del preposto Alamanni essa fu aperta alle fanciulle di varie classi del popolo.
Ventâanni dopo il governatore di Livorno, March.
Bourbon del Monte, acquistò e ridusse per il nuovo istituto un palazzo in via S. Francesco che portava il distintivo di Paradisino. Soppresso in seguito per debiti lâistituto, fu ripristinato nel 1809 sotto il medesimo nome di Paradisino, collâaddossarsi gran parte del mantenimento la ComunitĂ di Livorno, che gli assegnò, da primo una casa in Venezia nuova, e quindi, nel 1811, una porzione del giĂ convento dei Gesuiti. Nel 1815 il conservatorio ricevè maggiori garanzie dal Granduca Ferdinando III che gli destinò altri soccorsi, affidandone la sorveglianza a una deputazione presieduta dal vescovo.
Finalmente lâAugusto regnante, oltre al compartirgli nuovi sussidi, ha fatto ampliare il locale, dopo averlo sgravato della spesa annua della pigione.
Nellâistituto del Peradisino si raccolgono tre ordini di fanciulle; quelle di prima classe vi hanno convitto; nella seconda classe sono comprese le giovinette civili che pagano un discreto salario alle maestre; il maggior numero peraltro spetta alla terza classe delle figlie di artigiani e del povero. Questâultime attualmente ascendono a circa 300, quelle di seconda classe sono poco piĂš di 40, e sole cinque si contano di fanciulle a convitto.
Scuole di carita deâSS. Pietro e Paolo. â Poco diverso dal precedente, e con lo scopo medesimo dâistruire cristianamente e civilmente le figlie dei Livornesi di tutte le classi, fu fondato da un ecclesiastico pieno di zelo e di carita, con le elemosine da esso raccolte nelle predicazioni, con i larghi sussidii ottenuti dalle Granduchesse Maria Anna e Maria Ferdinanda, e con lâassegno annuo di 2300 lire, concesso dal Granduca regnante alle istanze del suo fondatore. In questi il prete Giovan Battista Quilici, il quale nel 1828 fuori degli spalti orientali, previa sacra solenne funzione, pose mano allâedificazione del locale, il quale giĂ da un anno trovasi aperto al caritatevole asilo.
Lo scopo delle scuole di caritĂ consiste nel fare apprendere alle fanciulle di ogni condizione ed etĂ unâeducazione religiosa e letteraria, ma specialmente nellâaddestrarle a seconda della loro classe nei lavori femminili. â Lâistruzione è gratuita; bensĂŹ le figlie dei benestanti retribuiscono una mensuale spontanea oblazione, la quale viene impiegata (come nei conservatorj delle Salesiane) per dispensare giornalmente il vitto alle povere fanciulle, o a quelle di civile condizione decadute. Attualmente il numero delle alunne giunge quasi a 300, delle quali contansi un cento fra benestanti e artigiane, e 200 della classe povera. Le maestre che le assistono attualmente non sono piĂš di dieci.
Istituto per la marina e per i cadetti di artiglieria. â Lâistituzione delle guardie marine nel bagno vecchio di Livorno porta la data del 1766, quando Leopoldo I, con rescritto dei 25 marzo, ordinò la scelta di 12 giovani di famiglie distinte da impiegarli nel servizio della marina di guerra della Toscana, farli esercitare sulle navi armate in tempo di campagna, e in tempo del disarmo poterli istruire nella matematica, nella nautica teorica, nella storia, geografia, disegno di fortificazioni, lingua francese e inglese, come anche nel maneggio delle tele e del cannone. Oltre a ciò, nel 1769, lo stesso Granduca ordinò lâistituto per i cadetti militari in apposito locale, nella Fortezza vecchia di Livorno. â Essendo stati col variare dei tempi soppressi entrambi cotesti istituti, essi vennero in qualche modo da Ferdinando III ripristinati, quando nei 1816 fu assegnato ai cadetti asseriti al battaglione di artiglieria lâantico locale della Fortezza vecchia, mentre le guardie marine, senza obbligarle a timorare in Livorno, ebbero facoltĂ dâiniziarsi nelle dottrine opportune nei vari collegi e licei del Granducato e quindi completare il loro corso teorico della nautica e della matematica in Livorno.
Scuola di architettura ed ornato del cav. Carlo Michon . â Ecco unâaltra utile istituzione degna del secolo XIX, istituzione la quale onora il cuore e la mente dellâuomo benemerito che nel 1825 la fondò e che a tutto suo carico la mantiene, mediante lâassegno di un capitale fisso di lire 34500, oltre la gratificazione annua di lire 700 châegli stesso, in aumento: alla prima, vĂ comprtendo agli zelanti maestri del suo istituto.
Ă una scuola tutta destinata ad istruire i giovinetti ed a perfezionare gli artigiani nei mestieri meccanici, siano maestri muratori e ebanisti, legnaiuoli, scarpellini, cesellatori, pittori di riquadrature, tappezzieri, agrimensori, ec. Al qual fine ricevono gli alunni in questa scuola lezioni di geometria teorica e pratica in quella parte che riguarda direttamente lâarchitettura e lâagrimensura, e piĂš lezioni di disegno, di ornato, di architettura, di agrimensura ec.
Il numero degli scolari fu in origine limitato tra i 12 e i 18 giovanetti, dellâetĂ almeno di 12 anni, purchè nativi o domiciliati in Livorno e suo distretto; ma il numero che vi concorse non fa mai minore di 28 a 30 alunni.
La scuola e provvista non solo di arnesi necessarj per le lezioni di agrimensura e le livellazioni, ma possiede libri disegni, stampe e bassirilievi confacenti allo scopo.
Alla fine di ogni biennio il maestro di ornato presenta al fondatore e direttore dellâistituto, cav. Michon, la nota degli alunni capaci di concorrere ai premj consistenti in una medaglia di argento del valore di 40 paoli fatta coniare espressamente. â Livorno giĂ risente lâutilitĂ di questa istituzione, avvegnachè piĂš di cento allievi sono oggi in grado di esercitare con gusto e capacitĂ le arti e mestieri di sopra accennati.
Insegnamento mutuo . â Questo istituto di caritĂ reciproca può dirsi a buon diritto il modello delle scuole primarie dellâinsegnamento infantile, sia per la generosa concorrenza di coloro che lo mantengono, sia per la buona disciplina che vi si pratica, come anche per il numeroso concorso dei figli piĂš poveri del popolo, e per la proprietĂ e comoditĂ dello spazioso locale a tal effetto nel 1836 edificato.
Dei progressi di cotesto istituto, dello stato suo economico, e dei provvedimenti che si vanno prendendo da una societĂ composta di circa 140 individui, rende conto annualmente nel giorno della distribuzione dei premj agli alunni meritevoli il segretario della stessa societĂ , mediante un discarso che suole darsi alle stampe.
Asili infantili. â Anche questo moderno ricovero dellâinfanzia indigente va facendo vistosi progressi, mercè lo spirito di filantropia, gli ottimi sentimenti di alcuni cittadini ed una esemplare caritĂ di molte signore, le quali in numero di 120 concorrono ad alimentare e nobilitare si bella fondazione con sostenerne le spese, provvedere ai bisogni, offrire in dono i lavori delle loro mani, ed assistere a turno le sale di asilo. La prima sala fu aperta nel sett. del 1834, in via S. Carlo dove tuttora esiste. Il metodo che vi si pratica è modellato su quello dellâasilo infantile châera giĂ stato aperto in Pisa.
Nel 1836, fu aperta una seconda sala di asilo in via Erbosa. â Circa 200 sono i fanciulli del povero stati accolti nei due ricoveri di caritĂ , d iretti da esperte affettuose e pazienti maestre, intente ad insinuare in quelle innocenti creature buoni principi di educazione, dietro la scorta dellâesperienza e della ragione.
Istituto dei padri di famiglia. â Nuovissimo e veramente meritevole di elogio è lâistituto letterario che fu aperto in Livorno il primo agosto dellâanno 1833 da una societĂ di padri di famiglia benestanti, con la mira di fere educare nelle lettere e nelle scienze i propri figli, invigilando a turno essi medesimi alla letteraria loro educazione, a cominciare dallâetĂ infantile sino alla loro prima giovinezza.
Gabinetto letterario. â Fu aperto in piazza dâarme a Livorno nel 1823 dai sigg. prof. Giuseppe Doverj e dott.
Giuseppe Gordini, con lo scopo di riunire in un centro comune le notizie dei piĂš lontani paesi, le cognizioni di ogni progresso, i lumi di ogni scoperta, i resultati di ogni ramo scientifico, le cose dâogni letteratura.
Cotesto gabinetto letterario divenne infatti per sua natura il nucleo, dal quale germogliarono e sorsero diverse istituzioni filantropiche, le quali sotto i nomi di societĂ medica, di societĂ pel mutuo insegnamento, di quella per gli asili infantili, dei padri di famiglia, e della cassa di risparmio, naquero successivamente ed anche acquistarono forza e vita in cotesto stabilimento.
Accademia Labronica . â Questâaccademia di scienze, lettere ed arti venne istituita ed approvata con sovrano rescritto dei 19 novembre 1816, ed il civico magistrato lâautorizza tenere le sue pubbliche adunanze nel salone comunitativo. Languiva ancora fanciulla quando, nellâaprile del 1837, credè di rinvigorirsi col rifondere i suoi statuti e (ERRATA: collâallargare) col ristringere le sue attribuzioni, proponendosi di promuovere in patria lâincoraggiamento, la propagazione delle cognizioni teoriche e pratiche, scientifiche ed artistiche, riguardanti lâindustria, il commercio, lâagricoltura qualunque altro ramo di economia pubblica e privata.
LâAccademia è fornita di una biblioteca di circa 6000 volumi, dono per la maggior parte deâsuoi membri, e precipuamente di due benemeriti socj defunti, il dottor Gaetano Palloni, ed il di lei primo presidente, (ERRATA: Pietro Carcuti) Pietro Parenti.
Non dirò delle varie accademie letterarie che sono nate e morte in Livorno in diversi tempi, come quella deâdubbiosi, eretta nel 1644, e lâaltra che gli succedè con il nome degli Aborriti, della quale contasi un volume di produzioni in versi, dedicato a Cosimo III sotto il titolo di Gioje poetiche peâ la liberazione di Vienna.
A queste due estinte di languore vennero dietro nel secolo XVIII le accademie dei Compartiti, degli Adeguati, degli Affidati, dei Toscolidi, e infine quella che figurò ai tempi del governatore di Livorno March. Carlo Ginori, e del preposto archeologo FilippoVenuti; la quale accademia prese per titolo i Curiosi tella Natura.
Finalmente lâunica superstite fra quelle nate nei secoli XVII e XVIII e lâaccademia dei Floridi, che ebbe vita dopo lâanno 1797. â Essa ĂŠ degna di menzione e di lode, perchè fra gli altri oggetti che si propose vi fu quello di stabilire e mantenere a benefizio del pubblico due scuole, una di nautica e lâaltra di lingua inglese; di provvedere i migliori giornali politici esteri per comodo del commercio; di dare due volte lâanno accademie di musica o di poesia. â Possedeva a tal uopo un vasto e magnifico locale accanto al teatro nuovo che fu eretto nel 1806.
Quello denominato il Giardinetto è stato di recente ricomprato da una nuova Accademia, detta del Casino, che lo fa restaurare e ripristinare allâantico uso.
Anche lâaltro teatro pubblico di Livorno fu eretto nel secolo passato da una societĂ di filodrammatici, denominata gli Avvalorati.
Il piĂš moderno di tutti è il teatro diurno, o lâArena, edificato nella parte orientale della cittĂ fuori degli antichi spalti.
Livorno ebbe pure i suoi giornali letterarj. Nel 1752 si diede opera alla mensuale pubblicazione del Magazzino Italiano il quale dopo un anno prese il titolo di Magazzino Toscano, ed ebbe vita fino al 1757. â Sotto nome di il Mercurio delle Scienze mediche compare nel 1823 un giornale bimestrale, compilato e tenuto vivo per cinque anni da un numero di membri della nuova societĂ medica di quella cittĂ .
Finalmente vive e fiorisce in Livorno un giornale ebdomadario che non si occupa di letteratursa nÊ di scoperte, nè di scienze, ma unicamente del commercio.
Tale è il titolo di quello compilato sino dal 1822 da Luigi Nardi, che si pubblica sotto la censura della Camera di commercio. Ha per scopo di accennare il movimento di quel mercato, i prezzi correnti di varii generi, il corso deâcambii, il valore delle monete estere e le osservazioni sul deposito, andamento e vendita delle mercanzie diverse nel porto-franco di Livorno, oltre i movimenti dei porti esteri gli avvisi e le leggi sul commercio dei paesi che trafficano con Livorno medesimo, e cose simili.
Quanto agli uomini scienziati e di lelttere la lista dei Livornesi non ĂŠ molto lunga, se pure non si voglia riempire di nomi sotto la mediocritĂ . â Trovansi alcuni di questi negli elogj pubblicati dal P. Giovan Alberto De Soria, livornese egli stesso stato professore di filosofia in Pisa. â Citerò fra i piĂš distinti un Giacinto Cestoni naturalista che meritò lâamicizia e le lodi di Francesco Redi; citerò fra i meno antichi un poeta compito in Salomone fiorentino, un sobrio letterato in Ranieri Calzabigi, un classico cruscante nel bibliografo Gaetano Poggiali, un esimio maestro di violino in Pietro Nardini, un fortunato poeta in Giovanni dei (ERRATA: Gamura) Gamerra, succedute nella corte Cesarea al gran Metastasio. Fu un eloquente oratore sacro monsig.
Roberto Ranieri Costaguti, vescovo di molte doti fornito; cosĂŹ due Baldasseroni, cioĂŠ Pompeo, autore dellâopera sulle Leggi e Costumi del cambio, lâaltro, Ascanio, scrittore del Dizionario commerciale e del Trattato delle operazioni marittime. â Vuole la modestia che io non parli di alcuni livornesi viventi, per dottrina e per opere esimie da essi date alla luce, al pari che per azioni, meritevoli di non compri elogj.
Stabilimenti pubblici relativi al commercio. â Sebbene allâarticolo Commercio siasi dato un breve cenno degli stabilimenti pubblici destinati al commercio di Livorno, pure dirò non senza maraviglia che una piazza mercantile, qualâĂŠ Livorno, dove il commercio è lo scopo principale, e quasi lâunico pensiero dei Livornesi piĂš facoltosi, fu lungo tempo priva non solo di un tribunale di commercio composto di negozianti, ma ancora lo è di un edifizio destinato alla Borsa; siccome può dirsi, contare essa da pochi anni una Camera di commercio, e da poco piĂš di un anno una Banca di sconto.
Fa tuttora le veci di Borsa una pubblica strada (via Ferdinanda) nel punto piĂš frequentato della cittĂ (la Tromba) in vicinanza della Darsena. CostĂ nelle ore della mattina si trattano i principali negozii; costĂ si fanno glâincanti, costĂ si fissano le compre, le vendite, i cambj, ec. â Esiste bensĂŹ un locale chiamato le Stanze dei pagamenti , stabilimento forse unico nel suo genere, che offre un comodo grandissimo e disbrigativo ai negozianti, perchè vi si eseguiscono tutti i pagamenti di cambiali, di mercanzie, ec. in tre determinati giorni della settimana; ed è costĂ dove concorrono insieme debitori e creditori, i quali, mediante una reciproca compensazione ai ragionieri e cassieri delle Stanze, trovano gli uni e gli altri facilitate grandemente le operazioni di cassa le piĂš laboriose e complicate, qualora eseguire si dovessero nei respettivi banchi, o individualmente.
La Camera di commercio, istituita nel principio del secolo corrente, è composta di 12 negozianti, che cambiansi di due in due anni, scelti fra i nobili indigeni e quelli delle varie nazioni, purchè siano di qualche tempo domiciliati in Livorno. Cotesta Camera, che e la rappresentanza legale del commercio, corrisponde col governo per tutti gli oggetti di sua sfera. Ha la soprintendenza alla polizia della Banca o Stanze dei pagamenti, come pure sopra i sensali o mezzani della città e porto di Livorno.
Attualmente il Tribunale di commercio o formato dallâantico Magistrato consolare di Pisa, che venne nel 1816 traslocato in Livorno. Questo oltre le cause civili, indica in prima istanza quelle di commercio sulle tracce del codice francese, salve alcune modificazioni.
Inoltre nellâanno corrente 1838, è stato aperto in uno dei tre palazzi della piazza dâarme, di fronte al duomo , un vago casino di commercio che conta 200 mercanti contribuenti. â Si stĂ pure trattando di erigere una gran societĂ per le assicurazioni marittime, per glâincendj, e per la vita dellâuomo, alla quale societĂ corre voce che si voglia dare il nome esotico di Lloyd toscano.
Monumenti dâarte. â Per le ragioni di sopra avvertite Livorno conta pochi monumeati di belle arti degni di fissare lâattenzione dei suoi cultori.
Primo di tutti, e sorprendente monumento, è quello davanti alla darsena fatto innalzare da Cosimo II alla memoria di Ferdinando I suo padre, dove, in una piazzetta troppo angusta ergesi la statua pedestre del fondatore della prima cittĂ , scultura in marmo dellâartista fiorentino Giovanni dellâOpera . Alla sua base vi sono incatenati quattro schiavi di bronzo colossali, di etĂ e di atteggiamenti diversi, gettati dallo scultore carrarese Pietro Tacca; e questi soli costituiscono tal monumento che non disdirebbe a una Roma.
Fra le opere architettoniche contansi gli Acquedotti di Colognole, ed il grandioso Cisternone, entrambe le quali ram. menteranno ai posteri che, se i toscani del medio evo giunsero con le loro opere artistiche quasi a pareggiare gli antichi, i toscani moderni hanno saputo emulare quello della capitale del mondo, quello che a preferenza degli altri popoli si distinse specialmente nella costruzione di anfiteatri, di acquedotti e di strade militari.
Ă altresĂŹ vero, che mancava a Livorno lâacqua dei pozzi da potersi dire potabile, allora quando nella prima fondazione a un tal difetto fu provveduto, con solamente col raccogliere quelle piovane in pubbliche cisterne, ma col portare in cittĂ per mezzo di un acquedotto della lunghezza di circa miglia quattro le acque perenni della collina di Limone. â Ma neppure queste sorgenti riescirono allo scopo che desideravasi, stante la copia del tartaro châesse contenevano e che strada facendo depositavano. Quindi è che nel dicembre del 1791, il Granduca Ferdinando III incaricò varii ingegneri di visitare i territorj di Popogna e di Colognole, nel primo dei quali furono trovate sorgenti che gettavano 156 barili di acqua per ora, mentre quelle di Colognole si calcola che avrebbero fornito 400 barili dâacqua per ogni ora. In conseguenza di ciò fu emanato da quel Granduca il motuproprio dei 7 nov. 1792, per lâesecuzione dei nuovi acquedotti e annessi, appoggiandone in seguito la grandiosa spesa (salita a piĂš che 4 milioni di lire toscane) per metĂ al R. erario, e per lâaltra metĂ alla ComunitĂ di Livorno.
Potrei annoverare, fra gli stabilimenti di pubblica utilitĂ , i varii edifizi ad uso dei bagni di mare, i quali richiamano Livorno nellâestiva stagione numeroso concorso di gente di vario ceto, di vario sesso e di diversa patria.
Livorno è residenza di un vescovo suffraganeo dellâarcivescovo di Pisa, di un governatore civile e militare, presidente del dipartimeato di sanitĂ , comandante supremo del littorale toscano dei cacciatori volontarj di costa, e nellâI. e R. marina. Egli è assistito da un auditore di governo faciente le veci di vicario regio. Vi suole stanziare un reggimento di truppe di linea, una compagnia di artiglieri del genio, e una di cacciatori.
Evvi un ufizio della marina mercantile, un magistrato civile e consolare, una camera di commercio, due commissarii di polizia, un ufizio di esazione del registro, uno per la conservazione delle ipoteche, e vi si trova un ingegnere di circondario.
DIOCESI DI LIVORNO La Diocesi di Livorno non è piĂš antica dellâanno 1806, quando, ad istanza della Regina reggente lâEtruria per S.
M. Carlo Lodovico, il pontefice Pio VII, con bolla data in Roma li 25 sett. di quellâanno, eresse il nuovo vescovado di Livorno, distaccando la sua insigne collegista con altre quattordici parrocchie dalla giurisdizione ecclesiastica della chiesa primaziale di Pisa.
Il perimetro del vescovado di Livorno, se si eccettuino alcune chiese in Val di Tora, come Vicarello e Colle Salvetti, rimaste alla diocesi pisana, può dirsi modellato a un di presso su quello della giurisdizione politica e civile del capitanato nuovo di Livorno; mentre la Diocesi di questo nome oltre il territorio della sua comunità , comprende quello di Rosignano, e una gran parte del distretto comunitativo di Colle Salvetti.
Appartengono alla comunitĂ di Livorno, dopo la sua chiesa cattedrale, le cure suffraganee della Madonna, di S.
Giov. Battista, di S. Caterina, di S. Sebastiano, di S.
Ferdinando, di S. Francesco in fortezza, e le 4 nuove parrocchie di S. Andrea, di S. Benedetto, della SS.
Trinità , e dei SS. Pietro e Paolo, tutte dentro la città . Sono inoltre della campagna tre parrocchie suburbane; cioè, S.
Matteo fuori della barriera fiorentina, S. Martino in Salviano fuori della porta maremmana, S. Jacopo in Acquaviva , e S. Lucia: ad Antignano fuori della porta a mare. Sui monti poi livornesi si contano le parrocchie della Madonna di Monte Nero e di S. Gio. Gualberto di Val Benedetta. Appartengono, in quanto alla giurisdizione economica, alla comunitĂ di Colle Salvetti, ma per lâecclesiastica alla Diocesi di Livorno le parrocchie della nativitĂ di Maria di CastellâAnselmo, dei SS. Martino e Giusto alle Parrane, deâSS. Pietro e Paolo a Colognole, deâSS. Cosimo e Damiano a Nugola, e di S. Ranieri alle Guasticce (ERRATA , si aggiunga:) e S. Michele al Gabbro .
Spettano alla stessa Diocesi le parrocchie di S. Stefano a Castelnuovo della Misericordia e di S. Giavanni a Rosignano, entrambe comprese in questâultima comunitĂ .
La Diocesi di Livorno, dalle sua erezione in poi, è stata aumentata di dieci parrocchie, parte delle quali furono cure succursali della sua cattedrale, mentre alcune altre chiese parrocchiali si vanno attualmente edificando, o già sono state fabbricate di nuovo.
Prospetto della popolazione della ComunitĂ di LIVORNO a tre epoche diverse.
ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; non cattolici -; totale delle famiglie 194; totale della popolazione 1562.
ANNO 1745: Impuberi maschi 1971; femmine 1807; adulti maschi 6989, femmine 6460; coniugati dei due sessi 3778; ecclesiastici dei due sessi 369; non cattolici 11160; numero delle famiglie 4512; totalitĂ della popolazione 32534.
ANNO 1837: Impuberi maschi 9777; femmine 14744; adulti maschi 10050, femmine 12109; coniugati dei due sessi 22781; ecclesiastici dei due sessi 306; non cattolici 6419; numero delle famiglie 11658; totalitĂ della popolazione 76186.
N. 1 PROSPETTO della Popolazione della COMUNITAâ di LIVORNO dellâanno 1833, divisa per Parrocchie.
-PARROCCHIA: CATTEDRALE MASCHI coniugati n° 1145, adulti n° 1105, impuberi n° 954, ecclesiastici secolari n° 36, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 163 FEMMINE coniugate n° 1233, adulte n° 1683, impubere n° 876, religiose n° -, non cattoliche n° 104 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1540 TOTALE DEI MASCHI: n° 3403 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 3896 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 7299 -PARROCCHIA: Annunziazione MASCHI coniugati n° 19, adulti n° 20, impuberi n° 16, ecclesiastici secolari n° 1, ecclesiastici regolari n° 2, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 7, adulte n° 12, impubere n° 18, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 22 TOTALE DEI MASCHI: n° 58 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 95 -PARROCCHIA: La Madonna MASCHI coniugati n° 847, adulti n° 706, impuberi n° 578, ecclesiastici secolari n° 8, ecclesiastici regolari n° 15, non cattolici n° 30 FEMMINE coniugate n° 848, adulte n° 916, impubere n° 562, religiose n° -, non cattoliche n° 68 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1046 TOTALE DEI MASCHI: n° 2184 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2394 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4578 -PARROCCHIA: S. Gregorio degli Armeni MASCHI coniugati n° 5, adulti n° 15, impuberi n° 3, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 4, non cattolici n° 1 FEMMINE coniugate n° 5, adulte n° 12, impubere n° 5, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 9 TOTALE DEI MASCHI: n° 28 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 22 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 50 -PARROCCHIA: S. Caterina MASCHI coniugati n° 382, adulti n° 348, impuberi n° 303, ecclesiastici secolari n° 9, ecclesiastici regolari n° 10, non cattolici n° 148 FEMMINE coniugate n° 355, adulte n° 524, impubere n° 247, religiose n° -, non cattoliche n° 135 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 486 TOTALE DEI MASCHI: n° 1200 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 1261 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 2461 -PARROCCHIA: S. Ferdinando MASCHI coniugati n° 473, adulti n° 314, impuberi n° 522, ecclesiastici secolari n° 6, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 2 FEMMINE coniugate n° 474, adulte n° 610, impubere n° 484, religiose n° -, non cattoliche n° 4 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 620 TOTALE DEI MASCHI: n° 1317 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 1572 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 2889 -PARROCCHIA: Fortezza Vecchia MASCHI coniugati n° 29, adulti n° 217, impuberi n° 19, ecclesiastici secolari n° 2, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 29, adulte n° 25, impubere n° 16, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 31 TOTALE DEI MASCHI: n° 267 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 70 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 337 -PARROCCHIA: Bagno deâCondannati MASCHI coniugati n° 69, adulti n° 128, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° -, adulte n° -, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° - TOTALE DEI MASCHI: n° 197 TOTALE DELLE FEMMINE: n° - TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 197 -PARROCCHIA: S. Gio. Battista MASCHI coniugati n° 1051, adulti n° 1294, impuberi n° 852, ecclesiastici secolari n° 15, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 84 FEMMINE coniugate n° 1074, adulte n° 1580, impubere n° 1019, religiose n° -, non cattoliche n° 20 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1267 TOTALE DEI MASCHI: n° 3296 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 3693 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 6989 -PARROCCHIA: S. Sebastiano MASCHI coniugati n° 725, adulti n° 609, impuberi n° 504, ecclesiastici secolari n° 35, ecclesiastici regolari n° 9, non cattolici n° 48 FEMMINE coniugate n° 710, adulte n° 924, impubere n° 456, religiose n° -, non cattoliche n° 16 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 791 TOTALE DEI MASCHI: n° 1930 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2106 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4036 -PARROCCHIA: Cura Militare MASCHI coniugati n° 67, adulti n° 1371, impuberi n° 54, ecclesiastici secolari n° 1, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 67, adulte n° 61, impubere n° 49, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 60 TOTALE DEI MASCHI: n° 1493 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 177 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 1670 -PARROCCHIA: Spedale della Misericordia MASCHI coniugati n° 6, adulti n° 4, impuberi n° 2, ecclesiastici secolari n° 2, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 14, adulte n° 56, impubere n° 3, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 8 TOTALE DEI MASCHI: n° 14 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 73 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 87 -PARROCCHIA: Spedale di S. Antonio MASCHI coniugati n° 30, adulti n° 27, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 18, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 1, adulte n° 4, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 2 TOTALE DEI MASCHI: n° 75 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 80 -PARROCCHIA: Acquaviva â S. Jacopo MASCHI coniugati n° 1817, adulti n° 1718, impuberi n° 1913, ecclesiastici secolari n° 10, ecclesiastici regolari n° 26, non cattolici n° 185 FEMMINE coniugate n° 1929, adulte n° 2241, impubere n° 2462, religiose n° 1, non cattoliche n° 193 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 2479 TOTALE DEI MASCHI: n° 5669 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 6826 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 12495 -PARROCCHIA: Antignano â S. Lucia MASCHI coniugati n° 141, adulti n° 118, impuberi n° 120, ecclesiastici secolari n° 5, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 141, adulte n° 106, impubere n° 89, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 155 TOTALE DEI MASCHI: n° 384 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 336 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 720 -PARROCCHIA: Montenero â S. Maria MASCHI coniugati n° 284, adulti n° 261, impuberi n° 242, ecclesiastici secolari n° 3, ecclesiastici regolari n° 6, non cattolici n° 1 FEMMINE coniugate n° 284, adulte n° 243, impubere n° 240, religiose n° -, non cattoliche n° 1 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 237 TOTALE DEI MASCHI: n° 797 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 768 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 1565 -PARROCCHIA: Valle Benedetta MASCHI coniugati n° 37, adulti n° 52, impuberi n° 55, ecclesiastici secolari n° 4, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 37, adulte n° 37, impubere n° 66, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 48 TOTALE DEI MASCHI: n° 148 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 140 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 288 -PARROCCHIA: Salviano - S. Martino MASCHI coniugati n° 1683, adulti n° 1618, imp uberi n° 1715, ecclesiastici secolari n° 9, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 158 FEMMINE coniugate n° 1691, adulte n° 1654, impubere n° 1681, religiose n° -, non cattoliche n° 211 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1217 TOTALE DEI MASCHI: n° 5183 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5237 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 10420 -PARROCCHIA: SS. Matteo e Lucia MASCHI coniugati n° 2300, adulti n° 1360, impuberi n° 1601, ecclesiastici secolari n° 15, ecclesiastici regolari n° 4, non cattolici n° 24 FEMMINE coniugate n° 2576, adulte n° 1465, impubere n° 1644, religiose n° -, non cattoliche n° 10 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1934 TOTALE DEI MASCHI: n° 5304 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5695 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 10999 -PARROCCHIA: Gorgona MASCHI coniugati n° 5, adulti n° 35, impuberi n° 10, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 2, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 5, adulte n° 6, impubere n° 7, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 6 TOTALE DEI MASCHI: n° 52 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 18 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 70 -PARROCCHIA: Ebrei del Ghetto MASCHI coniugati n° -, adulti n° -, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 2373 FEMMINE coniugate n° -, adulte n° -, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° 2575 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° - TOTALE DEI MASCHI: n° 2373 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2575 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4948 - La popolazione avventizia del Porto si considera circa TOTALE DEI MASCHI: n° 3000 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 3000 -TOTALE MASCHI coniugati n° 11115, adulti n° 11320, impuberi n° 9463, ecclesiastici secolari n° 161, ecclesiastici regolari n° 96, non cattolici n° 3217 FEMMINE coniugate n° 11480, adulte n° 12159, impubere n° 9924, religiose n° 1, non cattoliche n° 3337 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11958 TOTALE DEI MASCHI: n° 38372 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36901 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 75273 N° II PROSPETTO STATISTICO della Popolazione della COMUNITAâ DI LIVORNO dal 1814 sino allâanno 1837 -ANNO 1814 MASCHI coniugati n° 8032, adulti n° 6408, impuberi n° 6928, ecclesiastici secolari n° 177, ecclesiastici regolari n° 46, non cattolici n° 2459 FEMMINE coniugate n° 8535, adulte n° 8102, impubere n° 6668, religiose n° 16, non cattoliche n° 2571 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10532 TOTALE DEI MASCHI: n° 24050 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 25892 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 499942 -ANNO 1815 MASCHI coniugati n° 8894, adulti n° 10161, impuberi n° 7186, ecclesiastici secolari n° 162, ecclesiastici regolari n° 59, non cattolici n° 2550 FEMMINE coniugate n° 9337, adulte n° 8449, impubere n° 6889, religiose n° 18, non cattoliche n° 2628 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11322 TOTALE DEI MASCHI: n° 29012 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 27321 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 56333 -ANNO 1816 MASCHI coniugati n° 8745, adulti n° 7892, impuberi n° 7445, ecclesiastici secolari n° 153, ecclesiastici regolari n° 65, non cattolici n° 2551 FEMMINE coniugate n° 9489, adulte n° 8263, impubere n° 6996, religiose n° 20, non cattoliche n° 2577 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10398 TOTALE DEI MASCHI: n° 26851 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 27345 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 54196 -ANNO 1817 MASCHI coniugati n° 9415, adulti n° 9143, impuberi n° 7347, ecclesiastici secolari n° 167, ecclesiastici regolari n° 99, non cattolici n° 2688 FEMMINE coniugate n° 9770, adulte n° 8756, impubere n° 6852, religiose n° 21, non cattoliche n° 2626 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11787 TOTALE DEI MASCHI: n° 28859 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 28025 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 56884 -ANNO 1818 MASCHI coniugati n° 9669, adulti n° 8942, impuberi n° 7573, ecclesiastici secolari n° 168, ecclesiastici regolari n° 105, non cattolici n° 2806 FEMMINE coniugate n° 10036, adulte n° 9196, impubere n° 7347, religiose n° 17, non cattoliche n° 2739 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11373 TOTALE DEI MASCHI: n° 29263 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29335 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 58598 -ANNO 1819 MASCHI coniugati n° 9622, adulti n° 12274, impuberi n° 7487, ecclesiastici secolari n° 172, ecclesiastici regolari n° 99, non cattolic i n° 2811 FEMMINE coniugate n° 10146, adulte n° 9507, impubere n° 7214, religiose n° 20, non cattoliche n° 2780 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10596 TOTALE DEI MASCHI: n° 32465 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29647 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 62112 -ANNO 1820 MASCHI coniugati n° 9823, adulti n° 12026, impuberi n° 7766, ecclesiastici secolari n° 173, ecclesiastici regolari n° 82, non cattolici n° 2839 FEMMINE coniugate n° 10189, adulte n° 9320, impubere n° 7618, religiose n° 34, non cattoliche n° 2830 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10575 TOTALE DEI MASCHI: n° 32709 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29991 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 62700 -ANNO 1821 MASCHI coniugati n° 10672, adulti n° 11673, impuberi n° 7720, ecclesiastici secolari n° 144, ecclesiastici regolari n° 83, non cattolici n° 2815 FEMMINE coniugate n° 11207, adulte n° 9082, impubere n° 7673, religiose n° 28, non cattoliche n° 2794 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11123 TOTALE DEI MASCHI: n° 33107 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 30784 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 63891 -ANNO 1822 MASCHI coniugati n° 10726, adulti n° 12007, impuberi n° 7991, ecclesiastici secolari n° 163, ecclesiastici regolari n° 92, non cattolici n° 2737 FEMMINE coniugate n° 11413, adulte n° 9033, impubere n° 7791, religiose n° 18, non cattoliche n° 2856 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11275 TOTALE DEI MASCHI: n° 33716 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31111 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 64827 -ANNO 1823 MASCHI coniugati n° 10744, adulti n° 12308, impuberi n° 7849, ecclesiastici secolari n° 156, ecclesiastici regolari n° 90, non cattolici n° 2873 FEMMINE coniugate n° 10927, adulte n° 9736, impubere n° 7795, religiose n° 26, non cattoliche n° 2928 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11400 TOTALE DEI MASCHI: n° 34020 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31412 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 65432 -ANNO 1824 MASCHI coniugati n° 10784, adulti n° 12480, impuberi n° 8040, ecclesiastici secolari n° 151, ecclesiastici regolari n° 87, non cattolici n° 2984 FEMMINE coniugate n° 11150, adulte n° 9807, impubere n° 7937, religiose n° 18, non cattoliche n° 3026 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11509 TOTALE DEI MASCHI: n° 34526 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31938 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 66464 -ANNO 1825 MASCHI coniugati n° 10530, adulti n° 12653, impuberi n° 8640, ecclesiastici secolari n° 146, ecclesiastici regolari n° 87, non cattolici n° 3005 FEMMINE coniugate n° 10973, adulte n° 10294, impubere n° 8181, religiose n° 18, non cattoliche n° 3035 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11498 TOTALE DEI MASCHI: n° 35064 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 32501 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 67565 -ANNO 1826 MASCHI coniugati n° 10417, adulti n° 12913, impuberi n° 8247, ecclesiastici secolari n° 162, ecclesiastici regolari n° 91, non cattolici n° 2982 FEMMINE coniugate n° 10860, adulte n° 11087, impubere n° 8688, religiose n° 18, non cattoliche n° 3033 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12057 TOTALE DEI MASCHI: n° 34812 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 33686 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 68498 -ANNO 1827 MASCHI coniugati n° 10373, adulti n° 12849, impuberi n° 8543, ecclesiastici secolari n° 258, ecclesiastici regolari n° 106, non cattolici n° 3037 FEMMINE coniugate n° 10652, adulte n° 11335, impubere n° 9047, religiose n° 18, non cattoliche n° 3095 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12080 TOTALE DEI MASCHI: n° 35066 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 34147 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 69213 -ANNO 1828 MASCHI coniugati n° 10673, adulti n° 12901, impuberi n° 8729, ecclesiastici secolari n° 168, ecclesiastici regolari n° 109, non cattolici n° 3040 FEMMINE coniugate n° 11081, adulte n° 11364, impubere n° 9118, religiose n° 17, non cattoliche n° 3153 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12100 TOTALE DEI MASCHI: n° 35620 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 34733 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 70353 -ANNO 1829 MASCHI coniugati n° 10948, adulti n° 13742, impuberi n° 8902, ecclesiastici secolari n° 184, ecclesiastici regolari n° 104, non cattolici n° 3097 FEMMINE coniugate n° 11264, adulte n° 11558, impubere n° 9203, religiose n° 18, non cattoliche n° 3183 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12374 TOTALE DEI MASCHI: n° 36977 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 35226 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 72203 -ANNO 1830 MASCHI coniugati n° 10929, adulti n° 13484, impuberi n° 9212, ecclesiastici secolari n° 183, ecclesiastici regolari n° 100, non cattolici n° 3081 FEMMINE coniugate n° 11358, adulte n° 10967, impubere n° 9463, religiose n° 30, non cattoliche n° 3117 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12415 TOTALE DEI MASCHI: n° 36989 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 35935 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 72924 -ANNO 1831 MASCHI coniugati n° 10978, adulti n° 13823, impuberi n° 9303, ecclesiastici secolari n° 140, ecclesiastici regolari n° 119, non cattolici n° 3171 FEMMINE coniugate n° 11562, adulte n° 11695, impubere n° 9636, religiose n° 16, non cattoliche n° 3187 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12519 TOTALE DEI MASCHI: n° 37534 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36096 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 73630 -ANNO 1832 MASCHI coniugati n° 11125, adulti n° 13629, impuberi n° 9345, ecclesiastici secolari n° 147, ecclesiastici regolari n° 101, non cattolici n° 3205 FEMMINE coniugate n° 11639, adulte n° 12199, impubere n° 9698, religiose n° 18, non cattoliche n° 3271 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12782 TOTALE DEI MASCHI: n° 37552 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36825 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 74377 -ANNO 1833 MASCHI coniugati n° 11115, adulti n° 14320, impuberi n° 9463, ecclesiastici secolari n° 161, ecclesiastici regolari n° 96, non cattolici n° 3217 FEMMINE coniugate n° 11480, adulte n° 12159, impubere n° 9924, religiose n° 1, non cattoliche n° 3337 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11958 TOTALE DEI MASCHI: n° 38372 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36901 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 75273 -ANNO 1834 MASCHI coniugati n° 11077, adulti n° 13871, impuberi n° 9314, ecclesiastici secolari n° 154, ecclesiastici regolari n° 101, non cattolici n° 2872 FEMMINE coniugate n° 11710, adulte n° 11711, impubere n° 10340, religiose n° 18, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13247 TOTALE DEI MASCHI: n° 37389 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36753 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 74142 -ANNO 1835 MASCHI coniugati n° 11400, adulti n° 14229, impuberi n° 9766, ecclesiastici secolari n° 156, ecclesiastici regolari n° 105, non cattolici n° 3052 FEMMINE coniugate n° 11876, adulte n° 11967, impubere n° 10436, religiose n° 16, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13146 TOTALE DEI MASCHI: n° 38708 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37550 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76258 -ANNO 1836 MASCHI coniugati n° 11174, adulti n° 14849, impuberi n° 9838, ecclesiastici secolari n° 174, ecclesiastici regolari n° 116, non cattolici n° 3268 FEMMINE coniugate n° 11773, adulte n° 11628, impubere n° 10121, religiose n° 16, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13389 TOTALE DEI MASCHI: n° 39419 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36978 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76397 -ANNO 1837 MASCHI coniugati n° 11164, adulti n° 14744, impuberi n° 9777, ecclesiastici secolari n° 177, ecclesiastici regolari n° 114, non cattolici n° 3137 FEMMINE coniugate n° 11617, adulte n° 12109, impubere n° 10050, religiose n° 15, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 14596 TOTALE DEI MASCHI: n° 39113 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37073 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76186 N° III MOVIMENTO della Popolazione della COMUNITAâ DI LIVORNO dallâanno 1818 al 1837.
-ANNO 1818 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 58,598 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1264, femmine n° 1210, totale n° 2474 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 960, femmine n° 851, totale n° 1811 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 586 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 163 CENTENARJ: n° 2 -ANNO 1819 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 62,112 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1276, femmine n° 1270, totale n° 2546 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 810, femmine n° 864, totale n° 1674 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 532 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 194 CENTENARJ: n° 2 -ANNO 1820 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 62,700 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1318, femmine n° 1300, totale n° 2618 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1012, femmine n° 984, totale n° 1996 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 601 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 177 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1821 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 63,891 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1366, femmine n° 1260, totale n° 2626 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 854, femmine n° 918, totale n° 1772 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 526 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 192 CENTENARJ: n° - -ANNO 1822 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 64,827 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1373, femmine n° 1225, totale n° 2598 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 774, femmine n° 800, totale n° 1574 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 544 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 170 CENTENARJ: n° - -ANNO 1823 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 65,432 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1348, femmine n° 1230, totale n° 2578 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 822, femmine n° 799, totale n° 1621 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 486 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 156 CENTENARJ: n° - -ANNO 1824 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 66,464 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1311, femmine n° 1274, totale n° 2585 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 895, femmine n° 835, totale n° 1730 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 535 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 227 CENTENARJ: n° - -ANNO 1825 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 67,565 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1326, femmine n° 1302, totale n° 2628 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1118, femmine n° 1193, totale n° 2313 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 537 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 173 CENTENARJ: n° - -ANNO 1826 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 68,498 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1351, femmine n° 1347, totale n° 2698 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 908, femmine n° 994, totale n° 1902 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 531 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 141 CENTENARJ: n° - -ANNO 1827 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 69,213 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1356, femmine n° 1313, totale n° 2669 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 941, femmine n° 988, totale n° 1929 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 585 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 152 CENTENARJ: n° 2 -ANNO 1828 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 70,353 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1429, femmine n° 1290, totale n° 2719 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 840, femmine n° 915, totale n° 1755 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 552 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 162 CENTENARJ: n° - -ANNO 1829 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 72,203 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1386, femmine n° 1278, totale n° 2664 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1267, femmine n° 1309, totale n° 2576 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 533 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 160 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1830 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 72,924 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1367, femmine n° 1380, totale n° 2747 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1078, femmine n° 1070, totale n° 2148 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 542 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 141 CENTENARJ: n° - -ANNO 1831 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 73,630 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1399, femmine n° 1336, totale n° 2735 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1081, femmine n° 1078, totale n° 2159 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 530 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 146 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1832 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 74,377 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1352, femmine n° 1338, totale n° 2690 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1133, femmine n° 1092, totale n° 2225 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 524 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 144 CENTENARJ: n° - -ANNO 1833 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 75,273 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1390, femmine n° 1317, totale n° 2707 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1118, femmine n° 1126, totale n° 2244 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 557 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 155 CENTENARJ: n° - -ANNO 1834 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 74,142 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1450, femmine n° 1417, totale n° 2867 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1057, femmine n° 1009, totale n° 2066 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 590 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 149 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1835 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 76,258 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1324, femmine n° 1295, totale n° 2619 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1732, femmine n° 1704, totale n° 3436 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 510 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 144 CENTENARJ: n° - -ANNO 1836 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 76,397 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1384, femmine n° 1305, totale n° 2689 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1056, femmine n° 1019, totale n° 2075 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 679 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 134 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1837 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 76,186 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1401, femmine n° 1298, totale n° 2699 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1410, femmine n° 1448, totale n° 2858 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 583 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 136 CENTENARJ: n° - N° IV RISTRETTO dei BASTIMENTI venuti nel PORTO di LIVORNO nellâanno 1837.
NEL MEDITERRANEO - PROCEDENTI dai PORTI della TOSCANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 1 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 35, pollacche e bombarde n° 10, tartane n° 19, barche e sciabecchi n° 22, feluche n° 32, leuti n° 904, navicelli n° - PROCEDENTI dai PORTI dello STATO PONTIFICIO da GUERRA: pacchetti a vapore n° 1, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 61, navi e brigantini n° 5, pollacche e bombarde n° 6, tartane n° 5, barche e sciabecchi n° 5, feluche n° 5, leuti n° 151, navicelli n° 44 - PROCEDENTI dai PORTI di NAPOLI, SICILIA e MALTA da GUERRA: pacchetti a vapore n° 2, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 54, navi e brigantini n° 95, pollacche e bombarde n° 19, tartane n° 5, barche e sciabecchi n° 18, feluche n° 24, leuti n° 222, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI del MAR NERO e COSTANTINOPOLI da GUERRA: pacchetti a vapore n° 16, navi e fregate n° - , brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 347, pollacche e bombarde n° 31, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâADRIATICO da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 45, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dia PORTI dellâARCIPELAGO, sue COSTE e ISOLE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 3, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 34, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâEGITTO, CIPRO e COSTA dâASIA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 38, pollacche e bombarde n° 2, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI della BARBERIA e MAROCCO da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 55, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 3, feluche n° 1, leuti n° 76, navicelli n° 1 - PROCEDENTI dai PORTI della SPAGNA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 28, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 2, feluche n° 1, leuti n° 22, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI della FRANCIA MERIDIONALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 26, navi e fregate n° 3, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 101, navi e brigantini n° 54, pollacche e bombarde n° 21, tartane n° 19, barche e sciabecchi n° 5, feluche n° 5, leuti n° 46, navicelli n° 3 - PROCEDENTI dai PORTI di GENOVA, sua RIVIERA, NIZZA ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 2, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 88, navi e brigantini n° 85, pollacche e bombarde n° 50, tartane n° 24, barche e sciabecchi n° 136, feluche n° 162, leuti n° 494, navicelli n° 59 - PROCEDENTI dai PORTI della CORSICA, SARDEGNA ed ELBA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° 3, bastimenti latini n° 6 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 30, navi e brigantini n° 11, pollacche e bombarde n° 5, tartane n° 32, barche e sciabecchi n° 15, feluche n° 42, leuti n° 611, navicelli n° 21 OLTRE LO STRETTO - PROCEDENTI dai PORTI del PORTOGALLO da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI della FRANCIA SETTENTRIONALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâOLANDA, AMBURGO ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 16, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâINGHILTERRA, SCOZIA, IRLANDA ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 101, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dalla SVEZIA, DANIMARCA, RUSSIA, ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 39, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâAMERICA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 37, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâINDIE ORIENTALI da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - TOTALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 10, brigantini/golette ec. n° 5, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 334, navi e brigantini n° 1029, pollacche e bombarde n° 175, tartane n° 104, barche e sciabecchi n° 206, feluche n° 272, leuti n° 2526, navicelli n° 1261 RICAPITOLAZIONE DEI BASTIMENTI da GUERRA N° 67 MERCANTILI N° 5907 TOTALE N° 5974 N° V BASTIMENTI venuti nel PORTO di LIVORNO nellâanno 1837 con la distinzione delle rispettive Bandiere NEL MEDITERRANEO e OLTRE LO STRETTO - Con Bandiera TOSCANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 83, navi e brigantini n° 129, pollacche e bombarde n° 30, tartane n° 32, barche e sciabecchi n° 36, feluche n° 55, leuti n° 1354, navicelli n° 888 - Con Bandiera PONTIFICIA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 16, navicelli n° - - Con Bandiera NAPOLETANA e SICILIANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 81, navi e brigantini n° 80, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° 4, barche e sciabecchi n° 24, feluche n° 37, leuti n° 253, navicelli n° - - Con Bandiera AUSTRIACA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 134, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera ELLENICA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 93, pollacche e bombarde n° 12, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera OTTOMANNA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 3, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera BARBERESCA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° 1, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 1, navicelli n° - - Con Bandiera SPAGNUOLA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 10, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 2, feluche n° 2, leuti n° 28, navicelli n° - - Con Bandiera FRANCESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 6, brigantini/golette ec. n° 3, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 88, navi e brigantini n° 31, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° 25, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 106, navicelli n° 1 - Con Bandiera SARDO e PIEMONTESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 82, navi e brigantini n° 183, pollacche e bombarde n° 63, tartane n° 40, barche e sciabecchi n° 144, feluche n° 177, leuti n° 493, navicelli n° 85 - Con Bandiera JONICA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 21, pollacche e bombarde n° 2, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera PORTOGHESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera OLANDESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 11, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera AMERICANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 16, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera INGLESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 190, pollacche e bombarde n° 5, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 1, navicelli n° - - Con Bandiera SVEDESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 22, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera DANESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 5, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera RUSSA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 88, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera ANNOVERESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 3, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera PRUSSIANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 1, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera CITTAâ ANSEATICHE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 1, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera BELGIA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 4, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera LUCCHESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° 3, barche e sciabecchi n° -, feluche n° 274, leuti n° -, navicelli n° 287 - TOTALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 10, brigantini/golette ec. n° 5, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 334, navi e brigantini n° 1029, pollacche e bombarde n° 175, tartane n° 104, barche e sciabecchi n° 206, feluche n° 272, leuti n° 2526, navicelli n° 1261
Risiede Livorno sull'estrema lingua di terra che faceva riparo dal lato di ostro al colmato seno del porto pisano, fra la foce dell'Arno e le diramazioni piÚ depresse dei monti livornesi, nel gr. 27° 58' long. e 43° 33' latit. circa 13 miglia toscane a ostro-libeccio di Pisa; 26 da Lucca nella stessa direzione; 22 miglia toscane a ostro di Viareggio lungo il litorale, altrettante a libeccio di Pontedera, 53 miglia da Pistoja in simile direzione; 56 miglia a ponente di Firenze per la via traversa di Val di Tora, e 62 per Ia strada R. postale che passa per Pisa.
Ogni qualvolta uno considera ciò che era Livorno innanzi il regno di Ferdinando I, e ciò che è divenuta regnando Leopoldo II; quando lo storico voglia confrontare Livorno del secolo XV, consistente in un piccolo scalo da pochi e meschini marinari abitato, con Livorno del secolo XIX, ricco per fortuna, per numero e per lustro di abitatori, per quantità e bellezza di edifizii pubblici e privati, con una popolazione che alla sola capitale della Toscana può dirsi seconda, inarcherà di stupore le ciglia nel riscontrare in tanta metamorfosi di si fatto gigantesco sviluppo la prova piÚ, evidente e piÚ solenne di quali frutti la tutela di una costante lÏbertà industriale possa divenire madre.
Lâelemento del commercio, che dallâemporio di Livorno alla Toscana intiera vitalitĂ trasfonde vigoria, potrebbe equipararsi alle funzioni del cuore in un corpo animato,donde per due vie la circolazione si opera del sangue, quella cioè delle arterie che con moto talvolta meno,talvolta piĂš accelerato, nelle parti tutte del corpo lo spinge e diffonde, mentre al cuore medesimo per la via delle vene il sangue ritorna, onde mantenere con tal mezzo nell'animale economia l'equilibrio, la salute e la vita.
A meglio contemplare l'istoria di Livorno ed il suo proggressivo sviluppo economico-materiale, dividerò il presente articolo in sette periodi, per esaminare questo paese; 1° sotto i Marchesi di Toscana; 2° sotto la Repubblica di Pisa ; 3° sotto il Governo di Genova ; 4° sotto la Repubblica Fiorentina; 5° sotto la Dinastia Medicea; 6° sotto i primi tre Granduchi della Casa d'Austria; 7° finalmente sotto Leopoldo II felicemente regnante.
LIVORNO SOTTO I MARCHESI DI TOSCANA Io tengo per fermo essere opera perduta per chi volesse cercare documenti negli scrittori romani, nei libri di geografie, o negli antici itinerarii marittimi, sufficienti a dichiarare Livorno di un'origine piĂš remota di quella che realmente gli si competa.
Imperocchè resta tuttora indecisa la questione, se al suo porto piuttosto che ad un altro vetusto scalo del littorale toscano intese di riferire Cicerone, allorchè avvisava il proprio fratello Quincio pubblico impiegato in Sardegna, qualmente un tal Lucejo doveva fra pochi giorni partire da Roma per quellâisola e prendere imbarco nel porto di Labrone, o in quello di Pisa, qui out Labrone aut Pisis conscenderet . â Che Cicerone con l'espressione, aut Pisis, intendere volesse del suo porto di mare, piuttosto che della cittĂ situata dentro terra sulla confluenza impetuosa di due fiumi, non vi è d'uopo dichiararlo. Ora se fia da spiegarsi quella frase nell'enunciata guisa, come potremo ammettere, che il romano oratore volesse esprimere col porto di Labrone lo scalo di Livorno, quando questo scalo non formava che l'appendice meridionale al seno del Porto pisano? Quindi io non saprei rifiutare l'opinione stata emessa da Antonio Cocchi nella sua opera dei Bagni di Pisa (nota 12), quando gli nacque il dubbio, che il Labrone di Cicerone fosse stato il Salebrona dell'itinerario di Antonino e della Tavola Teodosiana, situato alla bocca della Brona, o Bruna, adesso foce della fiumana e porto di Castiglione della Pescaja. â Infatti di costĂ il tragitto per la Sardegna veniva a riescire anche piĂš diretto, qualora Lucejo vi avesse trovato opportuno imbarco, piuttosto che andare 70 miglia piĂš lungi a cercarlo nel frequentato porto di Pisa.
Che diremo poi del temp io eretto in Livorno ad Ercole Labrone, a coloro, i quali si appoggiano alla geografia di Tolomeo, oppure a quelli che si fanno forti dell'itinerario di Antonino? Risponderemo ai primi, che il tempio di Ercole fu senza altro titolo collocato da quel geografo, non giĂ nella spiaggia di Livorno, ma sivvero vicino a quella dell'odierno Viareggio, cioè fra il Promontorio di Luna e la foce dellâArno; e diremo ai secondi, che la mansione ad Herculem segnata nell'itinerario, che va sotto nome di Antonino Augusto, era posta lungo la strada militare di Emilio Scauro tra Vada e Pisa, cioè in Val di Tora, dove furono trovati colonnini migliari, ed altri monumenti sufficienti a dimostrare, che la stazione ad Herculem doveva essere in quella linea, e conseguentemente da Livorno e da Porto pisano parecchie miglia toscane discosta.
Vi fu chi cercò un quarto appoggio a favore del supposto Labrone nel vocabolo di Calambrone, col qual nome e designato lo sbocco palustre dei fossi ed altri corsi di acqua che per i ponti di Stagno e per la paduletta fuori delle mura settentrionali di Livorno in mare si dirigono. â Ma ancora questa congettura viene inferma, e priva affatto di forza, qualora si rifletta alla recente origine dell'emissario di Calambrone, dove pochi secoli addietro esisteva il seno del Porto pisano, in guisa che in quella paduletta e nel circostante suolo, tre in quattrocento anni fĂ , penetravano le onde marine, cosicchè le acque dell'Ugione, del Cigna e di tutti gli altri fossi della pianura settentrionale di Livorno, che oggi vanno a perdersi fra quegli stagni, sboccavano non giĂ per la lunga via dellâemissario di Calambrone, ma direttamente in quel seno di mare.
Comunque sia di cotali origini, quello che non ammette dubbiezza si è, che le prime memorie di Livorno compariscono sulla fine del secolo IX. Avvegnachè a quellâepoca troviamo nominata nel piviere di Porto pisano la chiesa di S. Giulia, cioè la prima parrocchia dei Livornesi. Che questa chiesa col vicino paese restasse nelle vicinanze dellâantico emporio pisano, lo dichiarò un documento dell'Arch. Arciv. di Pisa del giugno anno 891, nel quale rammentasi Ecclesia S. Juliae, quae situ esse videtur in Porto pisano ; e lo confermano molti altri istrumenti posteriori, confacenti a farci riconoscere Livorno sino dai suoi incunabuli.
Con piÚ precisione lo stesso luogo fu indicato da altra pergamena dello stesso archivio arcivescovile, sotto l'anno 1017, quando la chiesa di S. Giulia era già stata innalzata all'onore di battesimale, avendo per tale effetto associato al suo titolare quello del santo Precursore. La qual pieve di S. Giulia e di S. Giovanni Battista non solo si qualifica situata in suprascripto Porto pisano prope Livorna, cioè compresa nella giurisdizione di Porto pisano, ma si aggiunge, che facevano parte del suo piviere varie ville sotto i nomignoli di Sala, Fundo magno, Tribio, Waralda, ec.
Tali documenti coincidono appunto con lâepoca piĂš trista dell'Italia, quando la regia autoritĂ , scossa dalle fazioni dei vari pretendenti al di lei impero, era si resa impotente e quasi di niun valore; allorchè, per difendere dalle invasioni di sempre nuovi pretendenti i beni di recente acquisto, solevano darsi in custodia alle mense vescovili, alle abazie, agli ospedali, o ad altri corpi morali; le quali corporazioni, per quanto da simili invasioni non fossero neppur essi immuni, solevano peraltro restare piĂš difficilmente dalla fortuna bersagliate. Erano finalmente quei secoli, nei quali il patrimonio regio e i diritti sovrani venivano trasfusi, assorbiti e goduti dai vicarii imperiali, i quali col titolo di marchesi la facevano da padroni sulle provincie alla loro amministrazione affidate.
Le quali premesse osservazioni ci guidano a poco a poco a conoscere l'origine per la quale tanti luoghi di nuovo acquisto, come sarebbero i greti dei fiumi, i nuovi laghi o paduli, le spiagge del littorale aumentate ec., divenute per ragione di gius pubblico proprietĂ del principe o delle limitrofe comunitĂ , venissero arbitrariamente e senza ostaculo dai vicegerenti imperiali occupate, e quindi ai loro fedeli, o alle corporazioni ecclesiastiche a titolo di enfiteusi perpetua o di precaria cedute e donate. Fra i governanti della Toscana nel primo secolo dopo il mille lâistoria presenta due matrone in Beatrice e Matilde, lâuna moglie, lâa ltra figlia del potente March. Bonifazio. Le quali femmine in un modo quasi assoluto per il lungo periodo di 64, anni (dal 1053 al 1116) la provincia della Toscana governarono.
GiĂ all'Articolo Littorale Toscano si è veduto, che buona parte del Delta pisano può riguardarsi come terreno di nuovo acquisto sul mare; e l'istoria del medio evo è piena di donazioni di beni del patrimonio regio, situati lungo gli alvei, e fra le foci del Serchio e dell'Arno. â Non starò a indagare, come da sĂŹ fatta origine potesse derivare lâacquisto del castello e corte di Livorno che la contessa Matilde nel principio del secolo XII di sua libera volontĂ a titolo di dono assegnò all'opera del duomo di Pisa, bensĂŹ dimostrerò che quella marchesana; con simile atto non donò altro che i beni allodiali da essa posseduti in Livorno, o nel suo distretto, dove aveva un castello, vale a dire un resedio dominicale con annessa corte e macchia da pastura; non una rocca, come quella che alcuni cronisti congetturarono avere quella contessa fabbricata nel luogo della Fortezza vecchia, o dove posero l'immaginario tempio di Ercole Labrone. â Vedere Santelli e Magri, Origine di Livorno, e gli articoli Bientina, e Corte.
Nel 1103 quel castello e quella corte medesima di Livorno insieme con l'altra possessione di Pappiana dalla contessa Matilde furono assegnate in dote alla Primaziale di Pisa, affinchè il frutto di quei beni s'impiegasse in benefizio del tempio in costruzione. â Se non che gli amministratori della stessa fabbrica, rappresentati da Ildebrando console di Pisa, con istrumento dei 9 giugno 1121 (stil. pis.) cederono per mille lire ad Attone arcivescovo di Pisa la donata possessione della corte di Livorno con tutti i diritti di proprietĂ , a patto peraltro di potere dentro un determinato tempo redimere quel possesso: ed in caso diverso di rilasciarlo ad Attone e agli Arcivescovi di lui successori nel modo ed espressioni qui appresso, cioè: Quod si taliter non fecerimus .... tunc inde in antea habeatis vos et vestri successores praedictum castrum et curtem (de Liburno) cum omni sua pertinentia per istam cartulam proprietario nomine, ad faciendum inde quicquid volueritis absque omni calumnia donec praedictae mille librae vobis salutae ab Operariis erunt vel eorum misso etc.
Se gli operai della cattedrale pisana riacquistassero o no l'oppignorata possessione del castello di Livorno, o se gli arcivescovi di Pisa la cedessero altrui ad enfiteusi perpetua, o come allora appellavasi a titolo di feudo, non è noto, ne finora comparvero scritture che lo dichiarino. Ciò che non ammette dubbio si è che nel 1138 la stessa possessione di Livorno apparteneva ai figli del marchese Alberto Rufo , discendenti da una delle quattro linee di toparchi, il di cui stipite risale a quell'Oberto che era conte del Palazzo in Italia per l'Imperatore Ottone I.
Infatti nello stesso anno 1138 l'imperatore Corrado II, con diploma dei 19 luglio, spedito da Norimberga a favore della cattedrale di Pisa, dichiarò nullo il feudo di Livorno concesso irragionevolmente al marchese Guglielmo Francigena e ai di lui fratelli.
A coloro cui importasse di conoscere chi fossero cotesti supposti signori feudali del castello di Livorno, rammenterò la lite con tanto treno agitata fra Andrea Vescovo di Luni e le quattro linee di marchesi discesi dal nominato Oberto conte del Palazzo, lite insorta a cagione di un fortilizio stato eretto da quei feudatarii sopra il monte Caprione (promontorio di Capo Corvo). Nella qual causa, piatita in Lucca nel 1124 davanti a 60 consoli, rappresentava una delle quattro branche di marchesi lo stesso Guglielmo Francesco, o Francigena, figlio del marchese Alberto Rufo , uno di quelli designati da Corrado II châerano irragionevolmente sottentrati nel possesso del feudo Matildiano di Livorno.
Ă pure incerto, se gli ordini di quell'imperante, rapporto ai feudatarii testè accennati, fossero eseguiti, oppure se restassero senza effetto, o se anche lâarcivescovo di Pisa rinnovasse a favore dei marchesi medesimi l'enfiteusi del castello donato da Matilde nella giurisdizione di Livorno.
Se ciò tuttora s'ignora, sappiamo per altro dal diploma sopra citato, che il marchese Guglielmo Francesco o Francigena aveva altri fratelli; e che di un Oberto, altro figlio del rammentato marchese Alberto Rufo , si trovano memorie fra i documenti pubblicati nelle Antichità Estensi dal Muratori, cui pure dobbiamo la scoperta di un terzo figlio del marchese AlbertoRufo , di quel marchese di Corsica, cui fu dato il soprannome di Bratteportata, al quale sembra che toccasse una terza parte del decantato feudo di Livorno.
Figlio di questo terzo feudatario fu quell'Alberto marchese in Corsica, piuttosto che della Corsica, il quale dopo morto il padre, mentre egli abitava in Pisa presso la Porta a mare, per istrumento pubblico dei 26 settembre anno 1147 (stil. pis.), cedè a titolo di pegno ai fratelli Sismondo e Conetto, figli del fu Conetto, per mille soldi di Lucca la sua terza parte del castello e corte di Livorno con i corsi d'acqua, selve, raccolte, albergarie, et quaecumque mihi per Feudum, vel alio modo pertinent; dichiarando, che quel possesso gli era pervenuto a titolo di feudo dallâarcivescovato di Pisa. La quale porzione di feudo egli consegnava con patto di poterla redimere dentro due anni mediante la restituzione dei mille soldi di capitale, e del frutto corrispondente, a ragione di soldi 16 e denari 8 per mese.
Ora se questo possa dirsi un feudo con giurisdizione dâimpero, o piuttosto una di quelle possessioni acquistate o ereditate con titolo che li statuti pisani del 1161 (Rubrica 24) qualifcarono per feudo, o come noi diremmo fidecommisso, ognuno meglio di me saprĂ giudicarlo. â Volendo poi tener dietro alle operazioni del marchese Alberto, cessionario di una terza parte del feudo Matildiano , il quale in ultima analisi riducevasi a qualche podere con macchie e pascoli fra Monte Nero, Limone e Salviano, troveremo lo stesso Alberto congiuntosi in matrimonio con una vedova della illustre prosapia pisana deâVernacci. Avvegnachè egli per contratto rogato li 25 febbrajo 1150 nella torre di suo cognato Uguccione, presso la Porta S. Salvadore altrimenti detta la Porta dâoro , in Pisa, insieme con sua moglie donna Calcisana figlia del fu Lamberto, lasciata vedova dal Vernacci, cederono a favore della chiesa pisana, e della badia di Falesia tuttociò che il primo marito di Calcisana possedeva nel castello, rocca e corte di Piombino. Per la quale rinunzia i detti coniugi ricevettero il valore di 3000 soldi di danari lucchesi. (Murat. Ant. M. Aevi).
A meglio dimostrare di quali diritti si trattasse, e qual sorta di feudo fosse quello di Livorno dalla contessa Matilda donato alla chiesa pisana, e da questa pervenuto nei Marchesi di Massa lunense, di Corsica ec. ec. oltre i molti documenti riportati dal Targioni nel Tomo II dei suoi Viaggi, potrei aggiungere un istrumento dei 9 gennajo 1244 pubblicato dagli annalisti Camaldolensi, mercè cui un tal Guglielmo figlio del fu Andrea marchese di Massa lunense, stando in Pisa, tanto per proprio conto, come per interesse del Marchese Alberto di lui fratello e di altri suoi consorti, diede a titolo di feudo, ossia di enfiteusi perpetua, all'abate del mon. di S. Michele in Borgo di Pisa, che acquistava pel suo monastero, un pezzo di terra con vigna situato nei confini di Salviano, distretto di Livorno, con obbligo di pagar loro l'annuo canone di sei denari.
Potrei rammentare una sentenza pronunziata in Pisa li 17 dicembre 1261 contro il prenominato Alberto figlio del fu Andrea marchese di Massa, con la quale sotto gravi pene gli si comandava di lasciare in pace gli agenti del monastero di S. Bernardo e S. Croce alla foce d'Arno e di non recar loro piÚ molestia rapporto al possesso di una quarta parte del territorio di Monte Massimo, che quelle monache per legato testa mentario dal conte Ubaldo di Pisa avevano ereditato. (Arch. Dipl. Fior. Carte di detto Mon.) Potrei dire, che quel marchese Alberto Signore di Livorno era ridotto in sÏ povera fortuna, che un di lui creditore, per atto pubblico dei 26 febbrajo 1270, rogato in Pisa, cedè a terza persona tutti i diritti ed azioni che gli competevano per un credito di lire 25 genovesi dovutegli dal marchese Alberto di Massa lunense. (Arch. Cit. Carte della Primaziale di Pisa).
In una parola, da tutti i documenti conosciuti chiaramente risulta, che il paese di Livorno non fu mai nella condizione dei feudi di mero e misto impero; e conseguentemente che il suo popolo non divenne, nè fu in alcuna maniera vassallo dei marchesi di Toscana, nè degli arcivescovi di Pisa, nè dei toparchi di Massa, o di altra qualsiasi specie di Baroni.
LIVORNO SOTTO LA REPUBBLICA DI PISA Dopo avere veduto Livorno col suo distretto tanto nello spirituale quanto nel temporale, far parte integrante della giurisdizione di Porto pisano, non fia d'uopo domandare, da quale potestà sovrana i suoi abitanti dipendessero, tostochè poco lungi da quel porto e dalle sepolte macerie della villa di Triturrita, sorse a poco a poco e crebbe sempre piÚ bello e piÚ grandioso il paese di Livorno.
Quindi non si potrebbe conoscere l'origine di questa cittĂ senza riandare le vicende istoriche del Porto pisano, di cui Livorno divenne in seguito il capoluogo.
Allâanonimo autore del Breviar. Hist. Pis. dobbiamo lâavviso, che allâimboccatura del Porto pisano nell'anno 1157 furono cominciate a costruirsi due torri, la prima delle quali, denominata del Magnan, restò compita nel 1162, e la seconda, chiamata della Formica, si termino nell'anno 1163.
Sono le stesse torri che rammentò il primo istorico fiorentino, all'anno 1268, allorchè disse âche il re Carlo di Angiò ebbe Porto Pisano, e fece disfare le torri del Porto.â (Ricordan. Malesp. Cronic. cap.189).
Appella allâepoca medesima del 1163 la erezione di due altri importanti edifizi nei contorni di Livorno, cioè, il Fondaco del Porto pisano, e la torre del Fanale.
Questâultima per contratto dei 13 marzo, nel 1282, fu dai consoli di mare per anni 5 concessa in affitto a fra Galgano priore dei frati Romitani di S. Jacopo dâAcquaviva con lâobbligo di abitarvi di giorno e di notte dal di primo aprile susseguente e di mantenervi accesa la Lanterna. Al qual uopo gli fu nellâatto medesimo fissato un congruo salario, la spesa de'lucignoli ed altro, piĂš sei staja di olio ogni trimestre per far ardere il fanale.
Della determinazione di costruire davanti al Porto pisano, a spese della dogana di Pisa, due altre torri oltre quelle di sopra rammentate, si trova ricordo negli statuti pisani del 1284 (Rubr. 61 Lib. I).
Non è questo un libro che permetta di far tesoro, quanto si potrebbe, di troppi documenti dei secoli XII, XIII e XIV per dimostrare, che, se si eccettui la borgata di Livorno, il Porto pisano a quellâepoca non contava altro paese dove avessero residenza i pubblici funzionari del Comune di Porto pisano; e che in Livorno, a forma degli statuti di Pisa del 1284 (Rubr 85 del lib. I) inviavasi il capitano, ossia giusdicente del Porto pisano e del suo distretto.
Quindi fu ad oggetto di popolare il paese e di animare il commercio del Porto medesimo, che i Pisani nelle costituzioni, o statuti del 1284, promettevano immunitĂ e franchige dai dazii e prestanze ed altri privilegii reali a tutti coloro che da li a dieci anni futuri si fossero recati con le loro cose e famiglie ad abitare e fissare il loro domicilio in Livorno, intorno al porto o nella comunitĂ .
Oltre di ciò il potestà ed il capitano del popolo pisano si obbligava di proporre al consiglio degli anziani la provvisione di circondare la terra di Livorno di buone e convenienti mura ; ed in caso affermativo,far delibera, su qual disegno e maniera si dovessero quelle costruire.
(Statut. Pis. Civit. Cod. nella Bibl. dell'Univers. Lib. I.
Rubr. 85).
Negli statuti pisani del 1161 in un aggiunta posteriore alla rubrica 54 trattasi di provvedimenti da prendersi, onde facilitare il commercio e la navigazione fra lâantico porto di Livorno e Pisa; avvegnachè ivi si trova la deliberazione, che incarica i consoli di mare di fare esaminare diligentemente dai periti: se fosse stato possibile di rendere navigabile il fosso Carisio, a partire dal suburbio meridionale di Pisa fino allo Stagno, oppure fino allâUgione; e trovando il progetto eseguibile, ordinavasi di farne la relazione al potestĂ e al consiglio degli anziani.
Ma quasi tutti cotesti provvedimenti atti a popolare difendere e far prosperare Livorno e il vicino Porto pisano pare che mancassero della esecuzione desiderata.
Frattanto era appena trascorso un anno dalla redazione degli statuti del 1284, quando i Genovesi per mare, e i Lucchesi per terra recaronsi a combattere Livorno e Porto pisano; sicchè gli assalitori, stando agli annalisti genovesi guastarono il paese e feciono cadere la torre di verso ponente con gli uomini che v'erano a guardia,ruppero le catene della bocca del porto e quelle recarono a Genova per trofeo. (Caffar. Annal. Genuens.) Il cronista Giov. Villani accrebbe fino in cinque il numero delle torri state in quellâoccasione rovesciate in mare fra le quali egli nomina il Fanale della Meloria, ed aggiunge lâaddebito ai Genovesi di avere affondato alla bocca ed entrata del Porto pisano piĂš legni grossi carichi di pietre, col ron pere i palizzi, perchè il detto porto non si potesse piĂš usare. (Giovanni Villani. Cron. Lib. VII. c.141).
Non so qual peso possa meritare siffatto racconto del cronista fiorentino; qualora si rifletta, che il Fanale non fu mai alla Meloria, ma sivvero nella secca dellâattuale Lanterna di Livorno, e tostochè niun altro scrittore del tempo fece menzione dei legni carichi di pietre dai Genovesi. in quell'occasione davanti la bocca del Porto pisano affondati. â Dirò solamente che la Rep. di Pisa obbligata da tanti disastri a cercare pace, finalmnte a dure condizioni lâottenne nell'agosto del 1299. In conseguenza della quale i Pisani procurarono tosto di risarcire i recenti danni che alle torri del loro porto ed a Livorno i suoi nemici avevano recato.
Le prime operazioni furono la costruzione di una nuova e piĂš solida torre deâFanale, non giĂ nel banco della Meloria, ma nella secca a levante di Livorno, dove sin dal 1163 era stata eretta quella che alla cura del priore dei frati Agostiniani nel 1282 dai consoli di mare venne affidata, torre stata in seguito descritta dal Petrarca nel suo itinerario Siriaco con il distintivo del vicino Livorno, et fere contiguum Liburnum ubi praevalida turris est, cujus in vertice per nox flamma navigantibus tuti littoris signum praebet.
In quanto poi alle escavazioni da farsi nel Porto pisano, nulla si parla di lavori di pontoni atti a far concepire l'impedito ingresso di quel porlo, bensĂŹ la repubblica di Pisa fece murare intorno alla torre nuova, o della Formica, 12 colonnini di pietra con le companelle per fermare e rimurchiare le navi esistenti nel porto; ed inoltre diede ordine che si gettassero in mare altre scogliere a difesa della stessa torre, e che si rimettessero le catene con i consueti pancacci fra le due torri poste avanti alla bocca del Porto pisano, a seconda di quanto trovasi prescritto nelli statuti di Pisa. dell'anno 1305, alla Rubr.
32.
Frattanto che si provvedeva a ristabilire e assicurare l'ingresso del Porto pisano, il paese di Livorno, dovendo prestar fede a un cronista coevo, era rimasto a guisa di villaggio privo di mura, e solamente in qualche parte steccato. Dondechè non fu difficile ai fuorusciti di Pisa lâentrarvi nel 1326, ed ai Fiorentini lâimpossessarsene nel 1364, ardendo tutto o portando via, e solo poteronsi salvare gli abitanti che in tempo sulle barche cercarono scampo a sè e alle loro cose. (Matteo Villani (Cron. Lib.
XI c. go). â Tali riflessi fanno dubitare, che non solo non avesse effetto il progetto registrato nel primo libro degli statuti pisani del 1284, relativamente al circondare di mura il borgo di Livorno, ma danno motivo di credere, che non si fosse tampoco alcuna sorta di rocca, nel luogo dove fu eretta nel principio del secolo XV quella che piĂš tardi fu ingrandita (la Fortezza vecchia) allâingresso del porto che attualmente serve di darsena.
Il disastro testè accennato fu preceduto da un altro assalto marittimo che al Porto pisano nel 1362 fu dato da diverse galere genovesi al servizio del Comune di Firenze. Le quali, cacciatine i difensori, sâimpadronirono del molo, e dopo qualche resistenza ebbero il palagio del ponte, e l'altra torre a patti; in fine svelsero le catene grosse, che serravano quel porto, e rotte in piu pezzi furono dall'ammiraglio Perino Grimaldi inviate a Firenze, dove vennero appese come monumento di gloria alle colonne di porfido davanti al tempio di S. Giovanni, al palazzo della Signoria, a quello del PotestĂ , e alle porte della cittĂ .
(Matt. Villani. Cronic. Lib. Xl cap.30).
Contuttociò Livorno, ed il vicino suo porto tornarono ad essere dal guverno di Pisa riparati; talchè il Pontefice Urbano V nel suo passaggio da Avignone a Roma, servito da 5 galere deâFiorentini, potè approdare in quello scalo, dove i Pisani avevano preparato quartieri per riceverlo deguamente; e se quel gerarca, pel desiderio di tosto continuare il suo viaggio marittimo, non discese a terra, peraltro vi approdò nel 1376 il di lui successore Gregorio XI, il quale fu accolto e per 10 giorni con grande onore dai Pisani trattenuto in Livorno; argomento confacente a far conoscere qual fosse a quella etĂ il capoluogo del contiguo emporio di Pisa.
Era in tale stato Livorno, allorquando Jacopo dâAppiano (anno 1392), trucidando Pietro Gambacorti suo signore, s'impadroniva di Pisa e del suo territorio, spronato a tanta perfidia da Gian Galeazzo duca di Milano, cui poco o punto costava il dare opera ad un delitto, e molto meno di consigliarlo. In conseguenza di che non solo Livorno col suo porto, ma tutta la Maremma toscana (avendo giĂ ligii i Senesi) dipendeva dagli ordini del signor di Milano. Il quale era quasi sul punto d'incatenare al carro dei suoi trofei la piĂš ricca e piĂš avveduta potenza di lui nemica, quando giunse a Firenze lâavviso della di lui accaduta morte (anno 1403), sicchè il laccio si ruppe e il colosso politico della biscia milanese per un momento andò in pezzi. Per disposizione dellâestinto duca, Pisa col suo distretto toccò in signoria a Gabbriello Maria figlio naturale di Gian Galeazzo; nè molto tempo corse senza che si tenessero pratiche coi Genovesi, per di cui consiglio il nuovo signore di Pisa e di Livorno si pose sotto la protezione del re di Francia e del maresciallo Buccicaldo suo luogotenente in Genova, il quale di prima giunta occupò militarmente il Porto pisano e Livorno.
LIVORNO SOTTO IL GOVERNO DI GENOVA Non era corso un anno dal trattato di protezione implorato da Gabbriello Maria, quando egli stesso firmava in Livorno (27 agosto 1405) la vendita di Pisa e di tutto il distretto ai Fiorentini, con giurisdizione di mero e misto impero, eccettuato Livorno e Porto pisano, nellâatto istesso che consegnava questi due luoghi alla custodia e tutela dei Genovesi e del loro governatore Buccicaldo.
Costui nel giorno appresso, in Livorno medesimo, ratificò il trattato a nome del re di Francia come signore di Genova, e ciò nel tempo stesso che il luogotenente regio rilasciava ai Fiorentini l'uso e le rendite del Porto pisano e di Livorno; promettendo che i Genovesi non avrebbero in alcun tempo imposto dazii, gabelle, o altri aggravi alle persone e mercanzie tanto di mare quanto di terra, sicchè fosse in facoltĂ di farlo solamente al Comune di Firenze, a condizione però che gli abitanti di Livorno non potessero gravarsi di piĂš di quello che lo erano stati anteriormente al dominio del Visconti. Allâincontro il governo fiorentino si obbligava di pagare ognâanno 631 fiorini d'oro alle truppe Genovesi che presidiavano il Porto pisano, Livorno ed i suoi fortilizii.
Una circostanza debbo fare avvertire ai miei lettori, quella cioè di sentire in questo trattato rammentare la prima volta, se non mâinganno, i fortilizii in Livorno, dove pare che gia fossero a quella etĂ , o almeno, che sino d'allora vi si cominciassero ad innalzare.
Infatti l'iscrizione superstite nella cappella del mastio della Fortezza vecchia alla bocca del porto di Livorno, risale allâanno 1405 epoca in cui fu posta con l'arme del Buccicaldo quella memoria da Guglielmo Angiolin primo castellano.
Mentro i Genovesi con il loro governatore francese Buccicaldo rilasciavano ai Fiorentini l'uso di Livorno, i militari e gli abitanti ubbidivano a un luogotenente nominato dallo stesso maresciallo, che a nome del re Francia doveva dirigere gli affari della repubblica genovese.
Alcuni atti governativi, stati inseriti nel piĂš antico registro della comunitĂ di Livorno, chiamato il Libro Verde, ci richiamano all'anno 1407. Fra gli ordini di quel vicerè merita di esserne rammentato uno del di 11 aprile dello stesso anno 1407, mercè cui Buccicaldo assolve tutti gli abitanti di Livorno dai delitti di contravvenzione e ribellione che avessero commesso nei tempi passati. Col secondo atto governativo, dato in Genova il di 15 del mese ed anno medesimo, Buccicaldo senza rispetto al proprio padrone, oppure ai Genovesi, apertamente sintitolò Signore della terra di Livorno, e fu, dice quellâatto, per mostrarsi benevolo verso quel popolo, che esentò gli abitanti di Livorno e del suo distretto da tutti i dazii e gabelle.
Questo stato di subdominio e di feudalitĂ dei Livornesi sotto un maresciallo di Francia ebbe però un'effimera durata, tostochè con alto pubblico dei 3 settembre, nellâanno istesso 1407, Buccicaldo vendè ai Genovesi la Terra e territorio di Livorno per 26000 ducati dâoro.
Finalmente con altro istrumento, rogato in Savona li 16 ottobre 1407, il maresciallo medesimo, non piĂš come Signore di Livorno, ma in qualitĂ di luogotenente e governatore di Genova per il re CarloVI di Francia, avvisava i Livornesi: che tutti i diritti sopra Livorno e suo distretto, appartenutigli come privato signore, li aveva trasferiti e ceduti al re di Francia ed alla Repubblica di Genova, in nome delle quali potenze era stato inviato come plenipotenziario Giovanni Oltremare per ricevere dai Livornesi il dovuto giuramento di fedeltĂ . â Quindi la comunitĂ di Livorno ottenne dal senato di Genova (dic.
1407) la conferma delle immunitĂ e privilegi, stati concessi pochi mesi innanzi ai Livornesi dall'antecedente signore.
Un atto di supremazia del capitano residente in Livorno pel Comune di Genova conservasi tra le membrane dell'archivio Roncioni di Pisa. Ă un istrumento relativo all'elezione del pievano di S. Giulia di Livorno fatta li 2 nov. 1411 in Livorno distretto di Genova , nel coro della chiesa di S. Maria dal capitano per il Comune di Genova unitamente agli uomini della parrocchia di Livorno.
à credibile che in questo frattempo qualche altra innovazione accadesse rapporto al presidio delle torri del Porto pisano, tostochè queste passarono sotto la custodia immediata del governo fiorentino. Quindi è che insorsero vertenze fra i due stati, per terminare le quali furono dalla Repubblica fiorentina nel sett. del 1408 a Livorno inviati due cittadini di quelli della balia dei Dieci di Pisa, cioè, Niccolo di Donato Barbadori e Rinaldo di Maso degli Albizzi, affinchè si trovassero insieme coi capitani genovesi che ivi resiedevano. Non sembra però che tali differenze venissero appianate se non mediante un trattato di pace che si concluse in Lucca li 27 aprile del 1413. In tale occasione furono determinati i confini della giurisdizione territoriale di Livorno e del Porto pisano dentro i seguenti termini, cioè; da un lato lo Stagno fino al mare; dall'opposto lato i Monti livornesi sino al luogo detto Chioma; dal terzo lato la linea del mare, e dal quarto lato le terre che dal luogo Chioma acquapendono verso i muri di Monte Massimo , e in parte nelle terre del romitorio di S. Maria della Sambuca fino alla chiesa di S.
Lucia del ponte, e di la proseguendo sino al luogo chiamato Acquaviva. Cotesto spazio territoriale fu dichiarato appartenere di pieno diritto al governo di Genova. Nel 2.° articolo fu stabilito, che il restante del territorio in questione, situato a settentrione di Livorno, dovesse rimanere di pieno diritto al Comune di Firenze.
Nel 3.° articolo fu deciso, che i sudditi e cittadini fiorentini potessero avere libero accesso e regresso alle torri del Porto pisano, alla casa della Bastia e al lido del mare lungo le torri del Porto, le quali si dichiararono dipendenti dal Comune di Firenze, mentre il Porto pisano restava ai Genovesi in quel modo che era stato convenuto nel 1405 con il governatore Buccicaldo. 4.° Che fosse in libero arbitrio dei Fiorentini di rifabbricare la Torre rossa di Porto pisano, stata rovinata dai Genovesi sino dal 1362 5.° Che il Comune di Firenze per lo spazio di 30 anni non potesse imporre, nè riscuotere, siccome gli era stato accordato nel 1405, gabelle o altro dazio sopra la terra e porto piccolo di Livorno; Quod ipse portus parvus Liburni (si noti l'espressione del trattato) se extendat usque ad turrim Fanalis, quae dicitur la Lanterna inclusive, et non ultra. 6.° Che fosse in facoltĂ dei Genovesi, e non di altri, d'imporre tali gravezze ai Livornesi o a coloro che vi abitassero, eccettuati i Fiorentini e i loro distrettuali. 7.° Che il Comune di Firenze potesse imporre gabelle, e diritti di ancoraggio nel Porto pisano, tanto agli uomini come ai navigli e alle mercanzie, eccettuate quelle dei Genovesi e dei loro sudditi; 8.° Che il Comune di Firenze dovesse pagare a quello di Genova ogni anno cento fiorini d'oro per il mantenimento del lume nella torre del Fanale di Porto pisano, volgarmente chiamata la Lanterna, per provvisione del custode ed altro. 9.° Che dentro un mese dopo 1a ratifica della pace i Fiorentini dovessero abbattere le fortificazioni state da questi erette alla Bastia nel Porto pisano, collâobbligo di riempire il fosso, il vallo, e disfare lo steccato in guisa da non restarvi piĂš idea di fortilizio, ma di poter lasciare la fabbrica del casone ad uso di magazzino; ben inteso che il dominio diretto del suolo e dellâedifizio restasse al Comune di Genova, al quale effetto i Fiorentini si obbligavano pagare ai Genovesi l'annuo canone di due fiorini d'oro.
Tali furono le principali condizioni di quel trattato, per effetto del quale la storia vide il bizzarro fenomeno di due nazioni, astute, infaticabili e rivali nei traffici commerciali, paralizzare scambievolmente le proprie forze col promiscuato possesso di un paese dove ciascuna delle due potenze esercitava una semi -padronanza senza potersi una piĂš dell'altra qualificare assoluta dominatrice.
Da questâintralciata signoria è facile arguire durante un tale periodo qual sorte corressero gli abitanti di Livorno e del contiguo porto, costretti ad ubbidire a due diversi padroni, pieni di sospetti e intenti costantemente a provvedersi di migliori difese per mantenere non solo la conquistata parte della preda, ma per tentare ciascuno dei due di strappare il restante dalle mani dellâaltro padrone.
Dondechè i Fiorentini, dopo acquistata la cittĂ di Pisa, reputando come di loro proprietĂ il Porto pisano e Livorno, di uguale animo potevano soffrire che dominasse in casa propria una nazione nata in mare, e le di cui bandiere sventolavano in tutti gli scali piĂš frequentati dellâAsia, dellâAffrica e dellâEuropa. Quindi ĂŠ che ad ogni opportuno incontro il governo di Firenze esibiva, ma sempre senza effetto, vistose somme ai Genovesi per la compra di Livorno. â Venne finalmente il tempo del bisogno, allorquando il doge di Genova Tommaso Fregoso, col pretesto della necessitĂ che si aveva di danaro, ad oggetto di provvedersi contro gli eserciti dal Duca di Milano inviati ai danni della propria patria, propose a quegli anziani di vendere a caro prezzo Livorno al Comune di Firenze furono i preliminari conclusi in Genova li 21 del mese di giugno dellâanno 1421, e sei giorni dopo in Firenze dai respettivi sindaci venne ratificato il contratto di compra del castello, terra e fortilizii di Livorno e del suo qualsiasi porto, insieme col porto pisano, la torre della Lanterna, ed alcune altre torri, fortificazioni, possessi, case, bastie, palizzate e territorii con ogni diritto e giurisdizione, mediante lo sborso che la Rep. fior. doveva fare a quella di Genova di fiorini centomila di oro. Nella quale occasione per cautela della compra i Genovesi furono obbligati a far constare legittimamente dellâacquisto precedentemente da essi fatto di Livorno e del suo territorio, conforme apparisce dai documenti originali che trovansi inserti nel trattato in discorso, esistente nell'archivio delle Riformagioni di Firenze.
Allora per la seconda volta it territorio comunitativo di Livorno fu determinato dai seguenti confini, cioè: da un lato, a principiare dallo Stagno per le cosÏ dette mura di S.
Silvestro e di la fino al mare dall'altro lato dal luogo o torrente chiamato la Chioma ; dal terzo lato dal mare; e finalmente dal quarto lato sino alle Serre (forse Val Benedetta);. e di la per le Serre che acquapendono verso settentrione sino al Monte Massimo, ed in parte con i beni dell'eremo di S. Maria della Sambuca fino alla chiesa di S. Lucio del Monte, ec.
Una delle condizioni della compra di Livorno era quella di conservare ai Genovesi alcuni privilegii relativi alle gabelle delle proprie merci, e agli ancoraggi dei loro legni, in conferma di quanto ad essi fu concesso da Pietro Gambacorti quando era capitano del popolo, di Pisa.
In seguito di tutto ciò, sotto li 30 giugno dello stesso anno, fu preso possesso a nome della Rep. fiorentina della terra, porto, fortificazioni e territorio di Livorno, nell'atto medesimo in cui i rappresentanti della stessa comunità prestarono giuramento di fedeltà alla Signoria di Firenze.
Quindi allâuniversitĂ medesima; sotto dĂŹ 28 agosto 1421, furono concesse alcune capitolazioni, in vigore delle quali venne per un biennio accordato agli abitanti di Livorno lâesenzione da ogni dazio e gabella, eccettuate soltanto quelle delle porte; e nel tempo stesso si dichiarò che il loro territorio, porto e luoghi annessi facessero parte integrante del contado, e non giĂ del distretto fiorentino.
Dondechè per tale atto, non dovendo Livorno e il suo distretto considerarsi come paese di conquista, i suoi abitanti vennero tosto ammessi a partecipare dei diritti che la legge accordava ai cittadini fiorentini a preferenza dei paesi distrettuali. â Vedere lâarticolo Firenze, Compartimento, Vol. II pag. 280. (Arch. delle Riformag.
di Firenze).
LIVORNO SOTTO LA REPUBBLICA FIORENTINA QuasichÊ il popolo fiorentino fosse presago di ciò che era per diventare Livorno sotto i di lui reggitori, si rallegrò sommamente di un acquisto da tanto tempo desiderato, parendo che pure una volta i suoi negozianti, sparsi per tutte le piazze di commercio dell'Europa, potessero volgere il loro animo con fiducia alla navigazione e per tal guisa emancipandosi dai Genovesi e dai Veneziani, siccome per lungo tempo erano stati ligii dei Pisani, condurre la stessa nazione ad accrescere le forze pubbliche con le fortune private.
Quindi Niccolò da Uzzano, essendo stato nel 1422 inviato ambasciatore al duca di Milano, come a colui che rimproverava i Fiorentini di avere acquistato Livorno a un prezzo molto maggiore di quello che valeva, seppe rispondergli âche la sua patria comperando Livorno era si da molti sinistri liberata, e per conseguente acquistatone comoditĂ grandissima per le proprie merci e per i nazionali traffichi, onde i Fiorentini stimavano averne avuta buona derrata, e tenevano quel paese molto piĂš caro che non gli costò; nè chicchessia poteva di ciò adontarsi, avendo la Signoria di Firenze compro da chi poteva vendere quello che era giĂ della giurisdizione di Pisaâ.
(Riformag. di Firenze. Ammir. Istor, fior. Lib. XVIII).
Con quest'animo il governo della Rep. innanzi che terminasse l'anno 1421, avendo creato il magistrato dei consoli di mare composto di sei cittadini, diede ordine si fabbricassero dentro un anno due galere grosse da mercanzie, e sei altre delle sottili per guardia e difesa del commercio marittimo, con facoltĂ ai consoli medesimi di destinare il luogo, o darsena da tenervi quelle galere e altri navigli a sverno; quindi affidò agli stessi consoli la cura di rifabbricare la ottagona marmorea Torre rossa , la quale fu appellata Torre nuova, conosciuta odiernamente sotto il vocabolo del Marzocco stante lâemblema del leone che fu messo per ventarola.
Non era ancora l'anno 1422 giunto alla metĂ del suo corso, quando fu varata dallâarsenale di Livorno la prima galera armata, che aveva a fare il viaggio di Alessandria di Egitto; sicchè in tale circostanza si fecero solennissime processioni per la cittĂ di Firenze, onde invocare iddio a favorire la repubblica nelle cose di mare, comâera stato a lei favorevole in quelle di terra. Frattanto la Signoria, dopo avere nominato capitano della prima galera Zanobi Capponi; dopo aver destinato a montarla dodici giovani di buone famiglie per esercitarvisi in qualitĂ di ufiziali, inviò consoli e ambasciatori nellâArcipelago e nellâAffrica con lettere credenziali al Gran Mastro dellâOrdine gerosolimitano a Rodi, al signore di Atene a Corinto al tiranno di Cefalonia, e al Soldano di Egitto per aver da ciascuno di quei principi salvocondotto perpetuo e pienissima sicurtĂ di navigare, di stare, di trafficare e mercanteggiare nei loro stati alla pari, se non a preferenza, delle nazioni cristiane le piĂš favorite.
LâAmmirato nel rammentare lo scopo di tali ambascerie, ed i nomi dei cittadini inviati a Corinto ed in Egitto, diceva che âi Signori stimarono esser cosa necessaria, che si mandassero ambasciadori al Soldano di Babilonia con ricchi presenti, avendo prima ridotto il fiorino al peso di quello di Venezia; il quale fu chiamato, fiorino largo di galea. Lâautore stesso aggiungeva che, gli ambasciatori furono Carlo Federighi e Felice Brancacci, ai quali fu data potestĂ di fermar patti e convenzioni col Soldano quanto piĂš utili e in beneficio della Repubblica fosse possibile.
Cotesta notizia ci richiama per avventura ad una riformagione della Signoria, sotto dĂŹ 6 maggio 1422, dal Vettori nel suo Sigillo dâoro a pag. 300 riportata; con la quale si avvisavano i consoli di mare, che i fiorini da coniarsi di nuovo dovevano essere della consueta bontĂ , ma aumentati di peso in guisa che 96 fiorini di sigillo vecchio dovessero accrescersi della valuta di due quinti di fiorino in oro.
Fra le istruzioni date agli ambasciatori, e le domande da farsi per utile del comme rcio dei Fiorentini al Soldano di Egitto, eravi nei precisi termini la seguente: âche la moneta nostra dâoro a d'argento vi si spenda (in Egitto) e corra e sia ricevuta come qualunque altra, e massime il fiorino nostro come il ducato vinigiano, essendo buono e migliore di finezza dâoro e di peso come quello, mostrando che è piĂš fineâŚ..â Ed in ciò vi assottigliate quanto e possibile, offerendo di farne la prova con mettere al fuoco e fondere i fiorini e i ducati. E ingegnatevi di avere notizia e dimestichezza con chi di ciò s'intenda. Ă questo e di maggior importanza d'ogni altra cosa che abbiate a fare, e domanderete che se ne faccia sperienza, mostrando, che il nostro fiorino mai non peggiorò di finezza, e che in molte parti e conosciuto di finezza e virtĂš come il ducato, e piĂšâŚ. e ancora dello argento mostrate, ma insistete in sullâoro. E se per questo abbisognasse fare alcuna spesa, eseguite quanto di ciò siete informati dai consoli di mare, ec.â Del resto chi avesse bramosia di leggere quella informazione la troverĂ per intiero, ad eccezione di poche varianti, riportata nel codice Juris Gentium di Leibnitz Parte II, dal quale la trascrisse il Pagnini nel T. II della sua opera della Decima, insieme con il rapporto fatto li 17 febb. 1423 (stile comune) alla Signoria dagli ambasciatori reduci dallâEgitto.
Frattanto che il governo di Firenze con ogni sua possa mirava a rendere sempre piĂš florido il paese alle sue cure affidato, sia con l'ampliare l'autoritĂ ai, consoli di mare, ed accrescere loro balia, sia con accordar privilegi e sgravare da gabelle per introdurre nel territorio della repubblica nuovi artigiani, nuove arti e manifatture; frattanto che si dava principio in Firenze al ricco mestiere dellâoro filato, il quale ben presto si portò a tale perfezione, che non vi fu a quel tempo il migliore in altro luogo del mondo, sicchè l'arte della seta non lavorò mai tanti drappi quanto allora, ne mai si fecero i piĂš ricchi broccati d'oro nè stoffe di maggior pregio; nel tempo che si contavano fra i soli cambisti di mercato nuovo due milioni di fiorini d'oro in oro; mentre che in ogni genere di arti liberali, di economia pubblica e privata sorgevano in Firenze uomini di genio, e cittadini per prudenza e per senno venerandi; nel tempo che si spendevano grosse somme di danaro per costruire galere, che si spedivano per ogni parte consoli e ambasciatori onde appianare la via ai mercanti fiorentini, e che si cercava di rimuovere per quanto era possibile ogn'impaccio al commercio; allora quando si cominciava a circondare Livorno delle sue prime mura merlate, e che Firenze mirava con ogni sua possa al punto di pervenire un giorno a rivaleggiare con Genova e Venezia, nella speranza di diventare lâInghilterra del medio evo; ecco che il duca Francesco Maria Visconti, educato alla torbida politica paterna, ora coperto, ora manifesto, ma sempre nemico implacabile della repubblica fiorentina, pervenuto che fu ad impadronirsi di Genova, in mezzo alla pace poco innanzi da esso giurata, diede tosto occasione ai Fiorentini di turbare la loro, mettendo a soqquadro tutta lâItalia.
Uno dei primi passi del duca milanese alle ostilità contro il governo di Firenze fu quello di far catturare dai legni genovesi una nave mercantile di Luca Fallera escita dal Porto pisano, ossia da Livorno, allorchè veleggiava nelle parti di Ponente, e di farla ritenere con le sue merci in Porto Fino.
Invano la Signoria di Firenze inviò uno speciale ambasciadore al Senato di Genova e a quel luogotenente del Visconti con pressanti istruzioni per dolersi dellâarresto fatto della nave e delle mercanzie contro ogni diritto e ragione; invano per due volte si mandarono ambasciate dâillustri cittadini a Milano, prima, nellâautunno del l422, Mess. Nello di Giuliano Martini dottore di legge con Averardo deâMedici, e quindi nel settembre del 1423 lo stesso Mess. Nello con Bartolammeo di Niccolò Valori, ingiungendo ai medesimi lâobbligo di far conoscere a quel duca la sua malafede, i suoi artifizii, e tutte le cause esporgli, per le quali il popolo fiorentino era costretto a prepararsi alla guerra, seppure la sua Signoria non provvedeva con sollecita riparazione e con effetto, acciocchè prima di tutto (per giovarmi delle parole originali) fossero restituite le robe dai Genovesi tolte ai nostri cittadini indebitamente, e che il nostro Porto pisano non sia molestato dai genovesi ne da altri suoi sudditi, ma ci siano observati i patti abbiamo coi genovesi da lui come Signore di Gcnova, realmente e senza contesa. Et ancora demandate (diceva lâistruzione) il salvacondotto di poter navigare, come proferse mess.
Nanni degli Strozzi ambasciodore del marchese Niccolò dâEste, et ancora mess. Franchino nella prima ambasciata. (ARCH. DELLE RIFORMAG. DI FIR. â AMMIR. Istor. fior. Lib. XVIII) Dopo inutili lagnanze, dopo varie ambiguitĂ , i Fio rentini si risolvettero alla guerra, eleggendo Carlo Malatesta in loro capitano, e chiamando molti altri prodi ufiziali nel loro esercito. Quindi la Signoria strinse lega con Alfonso re dâAragona, al quale aveva promesso 500 fanti per assalire Genova con la sua armata navale e strapparla dalle mani del Visconti.
Frattanto Alfonso imbarcatosi a Napoli e approdato a Livorno, non trovando pronti i 1500 soldati fiorentini, senza indugio volle proseguire il suo viaggio per la Spagna.
Nella compra di Livorno del 1421 era per altro corsa una condizione onerosissima e di gran danno al commercio nazionale, come quella di obbligare i Fiorentini, tostochè volessero navigare nelle parti di ponente per lâOlanda, le Fiandre e l'Inghilterra con panni, lane, o altre mercanzie per condurle in Genova o nella sua riviera, e da Genova a Talamone, a doverle caricare sopra navi deâGenovesi con pagare le gabelle conforme erano tenuti nei tempi trascorsi.
Da cotesta condizione umiliante il Comune di Firenze, dopo spesi in tre anni di guerra due milioni e mezzo di fiorini dâoro, cercò di liberarsi mediante il trattato stipulato in Venezia lâultimo giorno dellâanno 1426; nel quale per la mediazione del pontefice Martino V restò convenuto che il duca di Milano, come signore di Genova dovesse liberare i Fiorentini da qualsiasi obbligo di far condurre le loro merci dai porti dellâInghilterra e delle Fiandre sui legni dei Genovesi, come pure da ogni pena nella quale fossero incorsi per non lâavere osservato. Se non che dopo pochissimi giorni si vide, che al Visconti piuttosto che la pace piaceva di continuare la guerra; sicchè i Fiorentini dovettero ritornare in lizza e spendere un altro milione di zecchini innanzi di ridurre il duce di Milano a chiedere quella pace, che finalmente restò fissata e conclusa in Ferrara li 18 aprile dellâanno 1428.
Ciò non ostante i Genovesi non desisterono dalle rappresaglie di mare, le quali solamente nel 1429 sospesero per via di tregua, ricevendone il contraccambio per decreto della Signoria di Firenze.
In questo mentre nei cantieri di Livorno e di Pisa si costruivano galere grosse da mercatura e galere sottili da guardia, con lâordine ai consoli di mare di fabbricarne uno ogni sei mesi, assegnando a tal uopo 1200 fiorini lâanno deâdanari destinati allo studio pisano. Infatti due galere cariche di merci partirono dal porto di Livorno nel di primo di febbrajo del 1429, e due altre ai primi di settembre dello stesso anno, prendendo la via di ponente per lâInghilterra e per le Fiandre, mentre diverse galere si noleggiavano dai mercanti fiorentini per dirigersi in Romania, nel mare Jonio e nell'Arcipelago con la mira di fare il commercio direttamente sopra i proprii navigli, e non prendere piĂš la legge dalle potenze marittime del Mediiterraneo.
Nè a questi soli si limitarono i provvedimenti della Repubblica, avvegnachè, ad oggetto di far prosperare il traffico, richiamare a Livorno mercanti e assicurare il passaggio alle loro merci, i consoli di mare ebbero ordine dalla Signoria di accomodare fuste e galere della Repubblica ai negozianti fiorentini. Delle quali galere nel 1429 ne fu data una per cinque anni senza spesa a Domenico Dolfini mercante fiorentino, acciocchè facesse il viaggio di Ragusi almeno due volte lâanno, con obbligo di tornare col nuovo carico a Livorno. Le merci che portava in Levante consistevano in un migliajo di pezze di panni di lana Francesca e Sanmattea , per la maggior parte fabbricati in Firenze, riportandone di lĂ in cambio argento, oro, cera, pellami ed altre mercanzie. Un simile favore venne accordato pure ai consoli dellâarte della lana di Firenze, per fare il loro commercio in Inghilterra, nellâisola di Majorca, ec. (Pagnini, Della Decima T. II).
Nel tempo che sÏ bene camminavano le faccende commerciali, sopraggiunse a dannergiarle la guerra di Lucca ed un altro piÚ fatale nemico, la pestilenza del 1430, quella che smunse di forze e di denari la Repubblica, questa che decimò lo stato di popolazione, e maltrattò talmente i Livornesi che nel domandare al governo la triennale conferma delle solite esenzioni, supplicarono, che in vista dei diminuiti abitanti venisse ridotto a 100, invece di 150 staja, il sale, che erano obbligati a levare in ciascun anno.
Tale domanda, essendo stata accordata, ci dĂ chiaramente a conoscere che la popolazione di Livorno a quellâepoca non poteva essere molto maggiore di 500 persone, ogni qualvolta cento staja di sale corrispondevano a 5000 libbre, vale a dire 10 libbre per individuo di consumo.
Nè tampoco i Genovesi tennero fermo lâaccordo delle sospese rappresaglie, poichè, o per proprio istinto, o per esservi spinti dal Visconti loro padrone, essi aiutavano questo contro i Veneziani, mentre ai Lucchesi fornivano sussidii contro i fiorentini. Si vendicarono in mare i Veneziani e i Fiorentini, tostochè, nellâagosto del 1431, l'ammiraglio veneto Pietro Loredano alla testa di sedici galere di sua nazione guidò in Livorno, ed unitosi quivi ad una flottiglia fĂŹorentina governata da Paolo Rucellaj, si diresse verso Genova a combattere la flotta dei nemici composta di 22 galere e di una nave grossa capitanata da Francesco Spinola. Incontraronsi le due armate nella riviera di Levante presso Porto fino, e senza lâuna schivar lâaltra, si accozzarono animosamente insieme, combattendo ciascuno con tutte le forze del corpo e dellâanimo, sicchè il sanguinoso conflitto, facendosi sempre piĂš terribile, continuava giĂ da tre ore, quando la vittoria fu decisa dal coraggio e dalla perizia di un nobile fiorentino, Raimondo Mannelli, il quale vedendo le due navi capitane, veneta e genoves e, affrontate insieme, combattersi fra loro come se fossero in terraferma, sperando ciascuno che qual delle due navi vincesse deciderebbe della battaglia, Raimondo con la galeazza che comandava, ad onta che i suoi marinari ricusassero di tentare un si ardito colpo di mano, costrinse il timoniere con le minacce, impugnando unâaccetta, a dovere spingere la galeazza verso il sanguinoso conflitto, in guisa che con grandissima furia andò ad urtare nella capitana genovese. La qual nave vacillando discostossi dalla sua nemica; nè potendo i soldati di quella reggersi sul bordo, convenne che molti sdrucciolando cadessero nel mare; per la qual cosa i legni genovesi si posero alla fuga cercando scampo nel vicino Porto fino, a Genova e una parte a Piombino, lasciando otto galere in preda dei vincitori.
Il frutto di questa giornata navale poteva esser maggiore se lâarmata vittoriosa avesse preso immediatamente la via di Genova, onde ne fu biasimato il veneto ammiraglio per fino dalla Signoria di Firenze, che con somma liberalitĂ concesse che prigioni, navi predate, bottino, bandiere ed ogni cosa vinta, a Venezia per trofeo ed onore di quella repubblica fosse portata.
Può dirsi questa la prima impresa navale, nella quale prendessero una parta attiva capitani fiorentini con legni e marinari livornesi.
Fu poi pietosa ed onorevole la spedizione fatta nel 1434 d'ordine del Comune di Firenze di due galere 8 Civitavecchia per liberare Eugenio IV dai Romani tenuto quasi prigione, sicchè non senza pericolo salvatosi il Pont.
per il Tevere sulla galeazza della Repubblica, il dÏ 12 di giugno arrivò a salvamento a Livorno. La qual cosa fu reputata in Firenze a felice augurio, per essersi in quel medesimo giorno errato l'occhio della famosa cupola di Filippo Brunelleschi.
Volendo avvicinarsi piĂš dappresso allâistoria parziale di Livorno, non troviamo in questi tempi indizio alcuno che annunzii una qualche sorta di prosperitĂ , forse a cagione dellâinterrotto commercio, e delle guerre testĂŠ accennate, e forse anche del crescente impaludamento del contiguo seno del Porto pisano, sicchè gli abitanti, per la cattiva disposizione dell'aria che quivi giĂ , da molti anni si manifestava, piĂš presto mancavano, o infermi vivevano da non potersi che malamente industriare.
Arroge a tuttociò la guerra ostinata che Alfonso di Aragona mosse per mare e per terra alla Rep. fiorentina, e la vittoria navale dagli Aragonesi fra Porto Baratto e la Torre di S. Vincenzo riportata (luglio 1448); dopo la quale ai Fiorentini mancò la speranza di acquistare impero nel mare, e al porto di Livorno, prosperitĂ e concorso. In conseguenza di tanti infortunii i Livornesi, all'occasione di richiedere la triennale conferma dei privilegii, nellâaprile del 1449 domandavano di essere esonerati non solo dalla solita annua tassa di 650 fiorini, ma ancora dal debito arretrato, per la ragione, dicevano essi, che il paese era molto diminuito di abitanti e di sostanze, massimamente a cagione della guerra del re dâAragona, nella quale guerra Livorno aveva dovuto sostenere delle spese straordinarie. Dondechè la Signoria di Firenze, con deliberazione vinta li 28 aprile del 1449, nel tempo che assolvè il Comune di Livorno da ogni suo debito arretrato, ordinò la conferma di tutte lâesenzioni precedentemente concesse, e lo assolvè dall'annua tassa per le gabelle del vino e del macello, salvo quella di dover prendere cento staja di sale e pagare in due rate lire 406 del suo valore. Questi stessi privilegii furono molte altre volte dalla Repubblica confermati con posteriori provvisioni. (Targioni, Viaggi T. II).
Ne minore fu la cura, che ebbe la Rep. fior. di fortificare Livorno, e fornire nel tempo stesso mezzi di lavoro alla classe minuta del popolo, mentre la Signoria, nel 1458, diede ordine ai consoli dell'arte della lana di Firenze, come quella che piĂš dellâaltre arti e manifatture nazionali partecipava dei vantaggi del commercio con lâestero, di somministrare ai consoli di mare fiorini 4000 lâanno, affinchè fossero erogati delle fortificazioni e nelle mura castellane, che costruivansi intorno al primo cerchio, di Livorno. (PAGNINI, Della Decima T. II).
Nel 1463 le esenzioni a favore dei Livornesi vennero ampliate ed estese alla gabella delle doti delle mogli qualunque fosse la loro patria, ed anche alla gabella dei contratti riguardanti la vendita dei beni posti nel territorio livornese, non ostante che gli atti si rogassero fuori della stessa sua giurisdizione. (ARCH. DELLE RIFORMAG.
DI FIR.) Tali concessioni erano altresĂŹ potentemente reclamate dalle turbolenze del Levante per le conquiste del Turco, sicchĂŠ la Rep. fior. fu costretta a sospendere le spedizioni delle galere per le parti di Romania, ed a perdere il traffico del Marnero sebbene nel 1460 le galeazze livornesi, overâerano sopra tre illustri fiorentini, Francesco Vettori, Agostino di Nerone, e Bernardo Corbinelli, cariche di drappi e broccali, di panni, di olj e saponi, appena arrivate a Costantinopoli fossero state da Maometto benignamente accolte. (BENEDETTO DEI Cronic. â PAGNINI, Della Decima, libro cit.) Nel 1447 la Signoria di Firenze nellâatto di prorogare ai Livornesi le consuete esenzioni, vi aggiunse quella delle gabelle delle porte per quei generi e merci che vi sâintroducessero per uso unicamente delle proprie famiglie. (ARCH. cit. â TARGIONI, Viaggi T. II).
In questo suddetto anno 1477 furono upprovati dal governo di Firenze li statuti municipali, in conseguenza dei quali i Livornesi non potevano essere convenuti al tribunale della mercanzia di Firenze, nĂŠ altrove.
Qualora peraltro si trattava di una somma maggiore di scudi 500, era facoltĂ di appellare al tribunale dei consoli di mare, salvo per quelle cause che involvessero articoli di ragione, per i quali lâappello era comune tanto ai consoli predetti, come alla Ruota.
Unâaltra rubrica di quello statuto tende a dimostrare la decadenza, in cui era Livorno; dicendosi ivi âper cagione che la terra di Livorno è venuta in grande calamitĂ e miseria, e gia disfatto il piĂš delle barche di Livorno per li cattivi guadagni, si provvede che, per lâavvenire le barche e i navigli di Livorno sieno i primi a scaricare e caricare tutte le navi, e galeazze e altri navigli di mercanzie ec.â La guerra riaccesa coi Genovesi per cagione di Pietrasanta e di Sarzana, obbligò i Fiorentini a soldare alcuni abili capitani con 18 galere, una parte delle quali capitanate dal francese ammiraglio Riccasens nel novembre del 1484 escĂŹ dal porto di Livorno dirigendosi verso Genova, sotto gli ordini di Niccolò Marielli, commissario dell'armata a tal uopo dalla Signoria con ampia autoritĂ destinato. Ma, o perchè i Genovesi avessero maggiori forze navali, o perchè il francese ammiraglio riputasse lâimpresa di molto pericolo, fatto stĂ che ripiegò la prora e i remi verso donde era partito; sennonchĂŠ, essendo comparso a Livorno li 8 dicembre con altre sei galere l'atteso capitano Villamarina, fu risoluto che lâarmata di genti e di tutte le cose necessarie fornita, senza altra tardanza si levasse da Livorno siccome eseguĂŹ nella notte di natale, e si avviasse alla volta di Genova; lo che accadde poco innanzi lâavviso della rotta ricevuta dalla flotta dei fuorisciti genovesi comandata dall'exdoge Gio. Battista Fregoso, e della comparsa davanti a Livorno di quella nemica. Per la qual cosa invece di assalire, fu gioco forza pensare a difendersi dai Genovesi, i quali tentarono per mezzo di un puntone di battere e conquistare la Torre nuova davanti al Porto pisano, sebbene i Fiorentini provvedessero al riparo col postare di contro altro pontone a sua difesa.
Del resto non vi era luogo da temere di perdere Livorno, essendo state fatte gagliarde provvisioni e trovandovisi molte genti d'arme comandate dal conte di Pitigliano e da Ranuccio Farnese. Alle quali cose si aggiunse il ritorno della flotta gallo-fiorealina che costrinse i nemici a levarsi frettolosamente di lĂ , e con gran disordine darsi alla fuga.
Quattro anni dopo, nellâaprile del 1489, Livorno festeggiò lo sbarco d'Isabella d'Aragona figlia di Alfonso duca di Calabria, mentre andava a marito al duca di Milano. In tale occasione la Signoria di Firenze inviò tre ambasciatori a riceverla ed onorarla; ma questi restarono di gran lunga soperchiati dalla magnificenza di Piero deâMedici, venuto a Livorno per ordine di Lorenzo suo padre ad oggetto di far la sua corte con pomposo sfoggio alla principessa spagnuola.
Fu questi quel Piero deâMedici, il quale nel 1494 a guisa di assoluto sovrano senza autorizzazione del suo governo, appena arrivato con il suo esercito Carlo VIII in Lunigiana, di proprio arbitrio, e temerariamente, fidandosi al debole pegno di un foglio firmato da quel re, trascorse a consegnare alle truppe francesi le fortezze di Sarzana, di Sarzanello e di Pietrasanta, e poco dopo anche quelle di Pisa e di Livorno, piazze tutte importantissime che da quella parte servivano di chiave al dominio fiorentino. In questo modo, per la temeritĂ di un giovane la Rep.
fiorentina perdè Livorno, talchè allâarrivo in Firenze di Carlo VIII e delle sue genti, senza i virtuosi sforzi, e le risolute parole di Pier Capponi la patria con danno della sua libertĂ a troppo disoneste domande avrebbe dovuto soggiacere. Frattanto Pisa, Livorno e le altre tre fortezze a sicurtĂ del re in guardia ai Francesi si rimasero, con la promessa di restituire il tutto ai Fiorentini subito che fosse finita lâimpresa del regno di Napoli. Ma non fu che poco innanzi di rivalicare le Alpi Cozie, che Carlo VIII promise di restituire senzâaltra dilazione Pisa e Livorno ai Fiorentini. In questo tempo i Veneziani, il duca di Milano ed i Genovesi, rivali della Rep. fiorentina di concerto deliberarono di aiutare i Pisani non giĂ per assicurare a questi la propria libertĂ , e restituire loro il porto di Livorno, ma per la cupiditĂ dâinsignorirsi dellâuno e dellâaltro paese.
Arrivarono però in Toscana piÚ prontamente dei collegati le compagnie francesi, e gli ordini del re senza dilazione, ma non senza buona somma di fiorini, furono adempiti dal comandante della terra e fortezze di Livorno, che consegnò al commissario della Repubblica.
Con opposto procedere frattanto agiva il castellano della cittadella di Pisa, il quale invece di ubbidire ai voleri del suo sovrano, e consegnare la fortezza ai Fiorentini, la diede in piena balia di quel popolo, che per suo consiglio dai fondamenti la rovinò. Nè trascorse molto tempo che i comandanti francesi di Sarzana e Sarzanello, anzichè cedere quelle piazze alla soldatessa della Rep. fiorentina, le venderono ai Genovesi quasi contemporaneamente alla cessione fatta ai castellani francesi, di Motrone e di Pietrasanta al governo di Lucca.
Nel tempo che queste cose accadevano, andava da ogni parte crescendo il pericolo per Livorno, e a danno dei Fiorentini un grandissimo incendio sorgeva. Avvegnachè i Veneziani, il duca di Milano, i Genovesi, i Senesi e lo stesso Imperatore di Germania, mossi tutti da diversi fini, ma tutti con il desiderio di farsi piÚ potenti a scapito dei protetti, oppure dei vinti, concorsero con mezzi varii e per vie diverse alla difesa di Pisa, e alla conquista della terra e porto di Livorno; nè vi era fra essi chi non sperasse con prontezza e facilmente impadronirsi di quest'ultima piazza; la quale, riunita che fosse a Pisa, pareva agli alleati che privare dovesse di ogni speranza i Fiorentini di potere mai piÚ ricuperare quella città col suo territorio.
Ad accrescere cotante turbazioni eccitate dai nemici esterni, si aggiungeva in quel tempo il danno piu incalzante di un nemico interno, quale si era quello di una gravissima carestia che stringeva Firenze e tutto il suo dominio.
Pur nonostante in mezzo a tante difficoltĂ minacciati da sĂŹ grandi pericoli, i cittadini e i governanti di Firenze stavano per timore piĂš uniti e concordi alla conservazione della propria libertĂ . Fu allora che la Signoria fra le altre cose propose, e i collegii della repubblica deliberarono, di non aderire ai consigli dati dai ministri della lega nemica, talchè fu rifiutato di fare dichiarazione alcuna con Cesare, e molto meno di rimettere in suo arbitrio le ragioni dei Fiorentini sopra Pisa, se non dopo aver riottenuto il possesso di quella cittĂ . Quindi i Dieci della guerra con ogni sollecitudine attesero a riunire gente dâarmi, a fortificare e provvedere quanto piĂš fosse possibile la piazza di Livorno, nel mentre che la repubblica dirigeva i suoi eserciti nel contado di Pisa.
Calava intanto dalla Germania in Italia lâImperatore Massimiliano I, il quale appena giunto per la via di Genova a Pisa, deliberò di mettersi alla testa dellâesercito della Lega e condurlo davanti a Livorno con la risoluzione di assaltarlo per terra, nel tempo che una flotta Veneto Genovese lo avrebbe combattuto dalla parte di mare, quando appunto molte compagnie di Pisani con altre truppe degli alleati tenevano in scacco lâesercito dei Fiorentini in Val dâEra.
Ma niuna impresa, niun progetto militare spaventò il governo di Firenze, il quale, dopo avere provveduto Livorno di armi e di artiglieria, cercava ogni via per fornirlo di viveri e di un maggior soccorso di gente dalla parte di mare. Al quale uopo la Signoria assoldò militari Svizzeri, Guasconi e Provenzali con navi francesi e galeoni, affinchè quelle cariche di armati, questi di vettovaglie si dirigessero sollecitamente a Livorno dalla carestia piÚ che dal timore degli assalitori minacciato.
La quale operazione, sebbene da principio incontrasse non poche difficoltà , pure in progresso fu tanto favorita dalla fortuna, che nel giorno, in cui arrivò la vanguardia dell'esercito Tedesco-ltaliano per piantare gli accampamenti intorno a Livorno, in quel giorno appunto (28 ottobre 1496) si presentarono alla vista del porto in soccorso dei Livornesi sei navi con dei galeoni provenienti da Marsilia, e fu quel viaggio accompagnato da un vento cotanto prospero che, senza opposizione della flotta nemica, costretta dal tempo a prendere il largo, vidersi entrare a vele gonfie nel porto con la sola perdita di un galeone carico di grano, il quale dopo pochi giorni venne pur esso ritolto agli sbaragliati nemici.
Tanto opportuno fu questo soccorso che, oltre al confermare grandemente lâanimo dei Fiorentini, dette ardire a quelli di dentro di uscire fuori e assalire animosamente il campo degli assedianti, i quali furono battuti e respinti con perdita, gli uni fino al ponte di Stagno, e gli altri fino alle sponde del mare.
Non per questo lâImperatore desisteva dalla brama di conquistare per forza Livorno, avauti a cui erano schierati mille cavalleggeri, 4000 fanti, e 500 uomini dâarme, senza le molte forze navali. Lo stesso Cesare, montato in sulle galere visitò il sito in sino alla bocca dello Stagno ; poscia esaminò da qual lato per terra si poteva con piĂš opportunitĂ piantare il campo.
Aveva egli di giĂ assegnata l'oppugnazione della parte orientale al conte di Cajazzo, châera stato mandato dal duca di Milano, e postosi lâImperatore medesimo dallâaltra parte dava il segnale di assalire impetuosamente Livorno, allorquando altri accidenti celesti vennero a soccorso dei Fiorentini. Essendochè dal primo giorno sino al sette di novembre caddero tali e sĂŹ fatte piogge, che, non dirò non combattere e assaltare le mura di Livorno, ma neppure dentro i padiglioni potevano gli assedianti ripararsi. â Appena però le pioggie erano alquanto cessate, il dĂŹ seguente incominciarono gli assalitori ad accostarsi alle fortificazioni, sebbene con molta difficoltĂ per la molestia che loro recavano le artiglierie dei difensori.
I primi assalti furono diretti contro la torre di Magnano, la Torre nuova e quella detta del Palazzotto davanti al Porto pisano, e ciò nel tempo medesimo che la flotta degli alleati investiva Livorrio dalla parte di mare. Ma lâoppugnaziane delle sopraindicate torri riesciva di poco frutto per esser munite in modo che l'artiglierie poco le offendevano, e quelli di dentro spesso uscivano fuori a scaramucciare animosamente contro gli assalitori, i quali furono piĂš volte a rischio di perdere i pezzi da campagna, siccome restarono preda del presidio molti Alemanni ed Albanesi. â Anche Cesare andò quasi a rischio di lasciarvi la vita, avvegnachĂŠ fu voce, che un pezzo di mitraglia trapassasse una manica del suo abito. (GUICCIARDINI, AMMIRATO, e NARDI Istor. Fior.) Ma era destinato che la speranza dei Fio rentini cominciata col favore dei venti, continuata con il benefizio delle dirotte piogge, avesse il suo compimento nelle procelle di mare. Imperocchè levatasi in quel dĂŹ una gagliarda tempesta, fu da questa in tal modo agitata, dispersa e conquassata la flotta degli alleati, che la capitana genovese, sulla quale aveva fatto passaggio la persona di Cesare, combattuta lungamente dai venti e dalle procelle, naufragò con tutto lâequipaggio e le artiglierie nello scoglietto di rimpetto alla fortezza vecchia di Livorno; ed il medesimo accidente accadde a due galere veneziane che furono spinte a traverso nella spiaggia di S. Jacopo dâAcquaviva, nel tempo che altri legni quĂ e lĂ ributtati restarono talmente sconci, che essi non furono piĂš atti per allora a rimettersi in mare.
Per le quali vicende dellâarmata marittima, e pel niun successo di quella di terra, dopo molte consulte fra lâimperatore ed i suoi generali, diffidando tutti di potere conquistare Livorno, fu deliberato di levarne gli accampamenti. Infatti nel medesimo dĂŹ che lâesercito si mosse di lĂ , lâImperatore andò a Vico Pisano, e il giorno dopo si avviò verso Bientina per riconoscere il paese; al qual luogo essendosi Cesare appressato, gli furono tirati addosso sette colpi di passavolante. Quindi ritornato che fu addietro, egli fece radunare per due volte il consiglio di guerra, ed aperte alcune lettere state intercettate, dellâambasciatore francese a Firenze, sâintese dal contenuto, che qualora il re di Francia avesse mandato presto 4000 fanti in Toscana, i Fiorentini facilmente avrebbero preso lâImperatore prigione: a noi pare, soggiunse Cesare, raccontando il fresco accidente di Bientina, e memore di quello precedentemente avvenutogli sotto Livorno: a noi pare che i Fiorentini ci vogliano morto piuttosto che preso .
Un monumento superstite, sebbene guasto dal tempo, rammenta il coraggio dai villici Livornesi nell'assedio dell'anno 1496 dimostrato; voglio dire della Statua mutilata rappresentante un Villano sopra la fonte pubblica vicina alla Pescheria vecchia di Livorno, con due cani che gli siedono accanto, simbolo parlante della Fede, per la quale in mezzo ai pericoli allora i Livornesi si segnalarono.
Erano ridotte a questo punto le operazioni di guerra, quando Massimiliano I nel quartiere generale di Vico Pisano dava ordini agli eserciti alleati, come se volesse continuare lâimpresa, tenendo però occulto ove meditava dâincamminarsi; quando egli con niun profitto e con minore dignitĂ prese allâimprovviso la via di Monte Carlo, di Lucca e Sarzana e di lĂ valicando l'Appennino di Pontremoli, recossi a Pavia, col lasciare gli alleati nella lusinga di tornare allâassedio di Livorno un poco meglio accompagnato.
ln tal guisa si vide ogni deliberazione ostile svanire, mentre lâoste Fiorentina avendo preso maggior animo, si diresse a riconquistare le terre delle colline pisane, le quali in poter dei nemici erano pervenuti, e ciò precipuamente ad oggetto di aprirsi una via piĂš diretta con Livorno. La quale operazione riescĂŹ cosi prospera, che in pochi giorni lâesercito del Comune di Firenze ricuperò i castelli di Ceuli, di Terricciuola e di Sojana in Val di Cascina, e poco dopo i paesi di San Regolo, Tremoleto, Santa Luce e Colognola in Val di Tora, e di lĂ finalmente avviandosi ad assalire la Bastia di Stagno.
Non avevano ancora i Fiorentini terminato di riconquistare il perduto contado di Pisa, quando lâesercito della lega volgeva di nuovo una parte delle sue forze verso Livorno con animo di ricuperare prima di tutto la perduta Bastia di Stagno. La quale impresa andò fallita, stante che 1500 fanti con 400 cavalleggeri dellâesercito Veneto Pisano, appena erano giunti al ponte di Stagno per dar lâassalto a quel bastione, essi di notte tempo e allâimpensata dalle genti dei Fiorentini vennero assaliti e sbaragliati in guisa che, oltre ad essere rimasti molti di loro prigionieri, al resto dei vinti riuscĂŹ a fatica con frettolosa fuga di salvarsi Sarebbero senza dubbio accadute dellâaltre fazioni nelle vicinanze di Livorno, combattendosi dallâuna e dall'altra parte con ira e con rabbia, come sono state tutte le guerre tra i Fiorentini e i Pisani, senza una tregua, che fece la Spagna con la Francia (5 marzo 1497); mercè la quale si dovettero posar le armi anco in Toscana, essendovi stati compresi i Pisani, come aderenti del re di Spagna, e i Fiorentini di quella de'Francesi. Ma al terminare della tregua col mese di ottobre dello stesso anno 1497 si tornò allâopere della guerra, preparando ciascuna delle parti provisioni gagliarde per il tempo nuovo.
Fu maravigliosa in questi tempi la diligenza e lâindustria delle due repubbliche, lâuna per recuperare con ogni sforzo e spesa le cose perdute, lâaltra per acquistare con tanti sacrifizii e fatica la cittĂ di Pisa con il suo contado.
Non è questo il luogo da tener dietro allâandamento di cotesta guerra, se non per aggiungere che, nel 1499, riescĂŹ finalmente allâoste pisana di riavere la Bastia di Stagno, quantunque poco tempo dopo lo stesso posto ritornasse in potere dei Fiorentini, dalle cui mani non escĂŹ mai piĂš. â Vedere Bastia presso Livorno.
Ă facile peraltro argomentare, che tali vicende gravissimo danno recare dovevano al commercio di Livorno, bersagliato da ostilitĂ tanto lunghe ed ostinate; quindi è che, dopo il 1496, non s'incontrano fatti da dirsi di qualche inportanza per l'istoria di Livorno, seppure non si volesse far conto dellâarrivo ivi accaduto nel 1503 di una squadra navale spagnuola, che accompagnava a Napoli il re Ferdinando dâAragona. â Spetta bensĂŹ allâistoria municipale di Livorno una risoluzione presa dal consiglio generale di quella comunitĂ , quando lĂŹ 3 marzo del 1507 (stil. fior.) elesse due sindaci per inviarli a Firenze a domandare lâapprovazione e conferma deâsuoi statuti municipali sino dal 1494 riformati. La quale inchiesta fu proposta, deliberata e concessa dai Signori e Collegi della Repubblica nel giorno 8 dello stesso mese. Fra gli articoli di quelle sostituzioni havvi una rubrica riguardante il diritto che sino dâallora ottennero i facchini e marinari Livornesi: quello cioè di caricare e scaricare con le proprie barche le mercanzie che recavano i legni esteri nel Porto pisano . La quale ultima espressione di Porto pisano volendosi omessa negli statuti posteriori del 1529, e del 1544, ci dĂ in certo modo a conoscere, che il Porto pisano a queste due ultime epoche non fosse piĂš servibile, sicchĂŠ i navigli di qualunque capacitĂ e grandezza dovessero necessariamente approdare nel contiguo porto, che attualmente serve di darsena a quello di Livorno.
Nel 1511 il governo della repubblica oltre la proroga per cinque anni degli antichi privilegii, concesse ai Livornesi la facoltĂ di poter eglino senza dazio vendere a minuto i vini che raccoglievano nel loro territorio, con obbligo però di rinfrancare il Comune di Firenze di cio che fosse per riscuotere di meno della gabella solita pagarsi dagli osti e tavernieri. (ARCH. DELLE RIFORMAGIONI DI FIR.) Nella proroga delle stesse esenzioni, allâanno 1517, la Signoria di Firenze deliberò, che non potesse vendersi nel circoodario della giurisdizione di Livorno Vino forestiero nè nostrale sopra le barche a minuto senza il pogamento delle antiche gabelle, intendendo però di esentare da tale proibizione i Livornesi sopportanti gravezze (loc. cit.).
Fra le poche ed ultime memorie di Livorno durante la repubblica fiorentina ra mmenterò, qualmente allâanno 1521 non solo furono dalla Signoria confermati a quegli abitanti le solite immunitĂ , ma eziandio essa deliberò di demolire le case vicine alla canonica e pieve di Livorno, nel luogo che poi si disse la piazzetta del commercio, onde preparare una spianata davanti alla fortezza nuova che il Comune di Firenze era per fabbricare nel luogo della piccola rocca eretta alla bocca del porto sotto il governo di Genova.
Nellâanno 1522, quandâera castellano della fortezza di Livorno Jacopo di Pietro Ginori, vi arrivò accompagnato da numerosa flotta il nuovo pontefice Adriano VI proveniente dalla Spagna, il quale fu costĂ festosamente accolto, e con i dovuti onori dagli ambasciadori del governo fiorentino e da sei cardinali toscani corteggiato.
Fra gli ultimi castellani di Livorno sotto il regime della Republlica fiorentina lâistoria ha segnalato allâanno 1528 un capitano in Galeotto da Barga, il quale, dopo lâultima espulsione dei Medici, invitato dalla Signoria a consegnare la fortezza al suo commissario Filippo Strozzi, egli vi si rifiutò dicendo: di tenerla dal pontefice Clemente VII. Nè vi volle meno che una buona somma di danaro e la promessa di una grossa pensione per capitolare con quel Galeotto guardiano. Ciò nonostante nulla giovò a riacquistare Livorno alla moribonda repubblica, mentre la stessa capitale, dopo undici mesi di ostinato assedio, dovè abbassare la fronte e cedere le ragioni del suo governo agli espulsi discendenti del vecchio Cosimo e di Lorenzo il Magnifco.
LIVORNO SOTTO LA DINASTIA MEDICEA Bersagliata quasi sempre ed afflitta la repubblica fiorentina, ora dalle guerre esterne, spesse volte dalle turbolenze interne, non di rado dalle pestilenze e dalle carestie, giammai essa potè, siccome ardentemente agognava, divenire potenza marittima; ed in conseguenza mancò a lei quel resultato che dal dispendioso acquisto di Livorno poteva sperare. â Pare che un simil germe dovesse crescere in altra stagione. Era un frutto riservato a cogliersi dalla dinastia Medicea, la quale seppe maravigliosamente e con piĂš efficacia la stessa pianta fecondare.
Le guerre, le divisioni intestine, i tanti e si lunghi travagli, dei quali finalmente restò vittima il governo della Rep. di Firenze, dovettero senza dubbio influenzare sulla sorte di Livorno e del suo commercio, siccome nei tempi piÚ remoti gravissimi danni aveva risentito il Porto pisano dalle battaglie marittime che fecero crollare la potenza di Pisa. Quindi è che la Signoria di Firenze dopo immense spese e somme traversie senza potersi immaginare la piena di cotante calamità che doveano abbatterla, non potÊ in un modo pari al desiderio le sue cure rivolgere al piÚ importante scalo della Toscana.
A tale scopo peraltro si rivolse il primo duca di Firenze, Alessandro dei Medici, per di cui comando fu posto in esecuzione il progettato disegno di fortificare Livorno in miglior maniera collâerigere allâingresso del suo porto una specie di cittadella, oggi detta la fortezza vecchia, la quale restò terminata nell'anno stesso che fu trucidato il suo fondatore (1537).
Nè a questo solo si limitò il primo sovrano, mediceo in vantaggio di Livorno, mentre appena che quel magistrato civico gli chiese la conferma dei soliti privilegii, egli diresse a Baccio Corsini capitano del luogo una lettera, affinchĂŠ a favore dei Livornesi fossero concedute le consuete immunitĂ , e perchè ancora si moderasse alquanto, (assicura il Varchi nelle sue Ist. fior. Lib. XIII) lâingordigia delle gabelle in quella dogana. Si crede dai piĂš che possa risalire all'epoca del duca Alessandro, lo stemma che i Livornesi inalberarono col porre sopra una fortezza la bandiera con la parola FIDES, stantechĂŠ quel duca encomiò la continuata affezione e fede dai Livornesi alla casa dei Medici dimostrata; sebbene quel Fides sembri appellare alla Fiducia, o Credito, che ĂŠ lâanima e la vita del commercio.
Di maggiore importanza e di grandi resultamenti motrici furono le misure prese dal successore del duca Alessandro per richiamare abitanti, mercanzie e commercio in Livorno; specialmente dopo che il duca Cosimo fu entrato al possesso delle fortezze, le quali sino al luglio del 1543 dagli Spagnuoli in nome dellâImperatore Carlo V erano state presidiate.
Cosimo I superò non solamente il suo antecessore, ma fu della stessa Rep. fiorentina piÚ largo e piÚ operoso a favore di Livorno avvegnachè egli ideò un nuovo molo, e gettò del suo incremento statistico a materiale tali fondamenti, che furono seme alla sua futura prosperità .
Il primo passo fatto dal duca Cosimo dei Medici in benefizio ed accrescimento della popolazione di Livorno fu quello di richiamare in vigore una provvisione della Rep. fiorentina del dĂŹ 21 giugno 1491 in favore di quelli che si fossero recati ad abitare in Pisa, a Livorno e nel loro territorio, coll'accordare immunitĂ da certe gravezze, tra le quali ivi si novera quella dei grossi nuovi, che i sudditi dello Stato erano tenuti e continuavano a pagare per la fortezza stata eretta dal duca Alessandro in Firenze.
Inoltre nello scopo di chiamar gente con quellâindulto Cosimo accordava ai forestieri, purchè fossero andati a stabilirsi familiarnmente in Livorno o nel suo capitanato, oltre i privilegii comuni agli abitanti indigeni, lâesenzione per dieci anni dalle gravezze ordinarie e straordinarie rapporto ai beni stabili che ivi fossero per acquistare. In quanto poi spetta, ad aggravii personali col bando medesimo i nuovi inquilini dichiaravansi liberi da ogni imposizione di tale specie, meno che dall'annuo testatico di soldi 10 per ogni capo di famiglia In aumento allo stesso indulto, e allâeffetto medesimo di popolare Livorno, fu pubblicata la notificazione dei 26 marzo 1548, che può dirsi il primo stabilimento del privilegio, volgarmente designato sotto nome di Livornina; privilegio che Cosimo I concedè a qualunque individuo di qualsiasi luogo, condizione, grado o qualitĂ , che si fosse recato, o si volesse recare ad abitare familiarmente in Livorno, a Pisa o nei loro territorii con piena pienissima sicurtĂ per ogni debito pubblico e privato, proveniente da condannagione pecuniaria, nelle quali fosse per qualunque cagione incorso il nuovo abitatore, da non potere per conseguenza essere molestato nella persona o nei beni da esso acquistati in Livorno e nel suo capitanato .
A questa legge probabilmente volle riferire il Pad. Magri quando scrisse, che Cosimo nel 1548 fece Livorno Porto franco, a favore in particolare dei Portoghesi. Anche molti Greci orientali e scismatici, da Cosimo I invitati, vennero a stabilirsi in Livorno, ma la renitenza del Pont.
Pio V, nell'accordare a simili Cristiani la facolta di usare riti diversi da quelli determinati dal concilio ecumenico di Firenze, fu causa della loro dispersione.
Non dirò della grandiosa idea di Cosimo quando ordinò a Giorgio Vasari il diacono per fondare nn grandissimo molo, fra la lanterna e il porto vecchio che ora serve di darsena; nè tampoco dirò dellâedificazione di magazzini pubblici, della nuova torre del Fanale e di piĂš estese fortificazioni per assicurare Livorno da un colpo di mano; avvegnachè a tali imprese era Cosimo fortemente stimolato dal doppio oggetto di preparare un piĂš sicuro e comodo scalo tanto ai navigli mercantili stranieri, quanto alle galere che neâsuoi arsenali fabbricavansi per farle montare dai cavalieri del nuovo ordine militare di S.
Stefano contro glâinfedeli ed i corsari, o per ispedirle per proprio conto cariche di ricche merci nelle parti di Ponente e di Levante. Infatti col guadagno che dal commercio quel sovrano ritraeva, era sempre in grado di far fronte a tante opere pubbliche da esso lui ordinate, agli onerosi imprestiti a varii principi somministrati, ed alle esorbitanti spese che egli dovè sostenere per istabilirsi sul trono della Toscana.
In grazia di tante opere, in conseguenza della libertĂ di coscienza, e di generose allettative, Livorno si vide tosto popolare di forestieri di vario culto e religione, di specie e condizione diversa; parte di quelli portavano seco ingegno e fortuna, quando altri non avevano altra dote fuorchè le braccia e poca moralitĂ . Fu per frenare le torbide e prave mire di questi ultimi che in seguito si dovettero aggiungere alcune rubriche e nuovi capitoli negli statuti municipali di Livorno da Cosimo I nel 1545 e nel 1556 stati approvati. Tale era la riforma di una rubrica che obbligava il creditore a dovere citare per tre volte il suo debitore innanzi di poter gravare i suoi effetti, rubrica che fu nei posteriori statuti (anno 1583 Cap. 61) sotto il Granduca Francesco I modificata nei termini seguenti: Atteso Livorno essere abitato la maggior parte da gente forestiera, e che quando dal messo viene citato alcuno, nascondendo subito quel poco di mobile che si trova, va poi con Dio, e non lasciando beni immobili, il creditore ne viene perciò defraudato, perciò riformando in meglio detto Statuto, ordinorno ec. (COLLEZIONE DEGLI ORDINI MUNICIPALI DI LIVORNO, ediz. del 1798, pag. 17. e 28.) Nel mentre che simili provvedimenti nella terra e distretto di Livorno ponevansi ad effetto, non restava per questo inoperoso lâarsenale vecchio di Pisa, deve per la vicinanza delle foreste, per il numero degli artigiani, per la quantitĂ degli arnesi e per la comoditĂ del locale, continuamente galere sottili ed altri legni da navigare costruivansi; sicchè Cosimo I, nellâanno 1558 trovossi in grado di offrire a Filippo II re di Spagna un buon numero di galere fabbricate negli arsenali di Pisa e di Livorno, avendo intenzione di farne capitano ammiraglio il suo terzo sventurato figlio, giovinetto di spirito sublime e di ottime speranze, qual era Don Garzia.
Nel 1562, lo stesso Cosimo, per testimonianza dellâAdriani, donò al Papa due altre galere nuovamente fabbricate in Pisa; e ciò poco innanzi che tornasse dalla Spagna il gran principe Francesco con quattro galere, le quali furono tosto consegnate alla condotta del capitano Baccio Martelli, valente ammiraglio ad oggetto di percorrere lâArcipelago ed il Mediterraneo per dar la caccia ai corsari barbareschi ed ai Turchi. Infatti la flottiglia toscana cercò quasi tutto il mare che si distende tra la Barberia e la Soria, ritornando a Livorno con qualche preda di valore.
Nellâanno 1564, mentre da Cosimo instituivasi lâordine militare di S. Stefano, fu conclusa una convenzione con le potenze in guerra contro il Turco, obbligandosi il Granduca di somministrare per cinque anni dieci galere bene equipaggiate con 15 soldati sopra ciascuna.
Succeduto al dominio della Toscana nellâanno 1574 Francesco I, egli pure non mancò di rivolgere le sue premure a favore di Livorno. Al quale oggetto introdusse pratiche collâambasciatore Turco a Venezia nella mira di ottenere dalla Porta la conferma degli antichi privilegii commerciali, che fino dal 1470 dal sultano ai Fiorentini erano stati concessi, oltre la resistenza del Bailo granducale a Costantinopoli.
PiĂš incalzanti e piĂš efficaci riescirono le istanze, che nellâaprile del 1577 furono fatte dallo stesso Granduca mediante un carteggio aperto col Capitan PasciĂ ; in conseguenza del quale il Gran Signore si decise per la conferma dei privilegii dal Granduca Francesco domandata. Sennonchè le galere della religione di S.
Stefano dovendo per instituto andare in corso contro gli infedeli, e il susseguente rapporto fatto al divano dei duri trattamenti ricevuti in Toscana da alcuni schiavi turchi, furono due motivi che bastarono a sospendere, e quindi a troncare fra i due governi ogni vita d i pacificazione.
Il commercio di Livorno non restò per questo arrenato, poichÊ quanto si veniva a perdere dalla parte della Turchia e del Levante, altrettanto si andava acquistando con le nuove relazioni commerciali nei porti della Spagna e nelle isole Baleari.
In questo medesimo tempo Francesco I, con solenne apparato militare civile ed ecclesiastico, ai 28 marzo 1577, gettava i fondamenti delle nuove mura, di Livorno, dopochè approvò il disegno della pianta eseguito dal suo architetto Buontalenti, e dopo, aver comprato dai respettivi proprietarii il terreno che si voleva rinchiudere dentro la circonvallazione designata. Nella quale circostanza fu instituito in Livorno uno scrittojo delle RR.
fabbriche con gli opportuni regolamenti per ordinare materiali, pagare artefici e manuali; al quale uopo lo stesso Granduca volle destinare assegnamenti opportuni sopra le rendite della sua corona.
Comecchè quellâopera non sortisse allora grandi progressi li fece per altro grandissimi sotto il terzo Granduca. Ed eccoci giunti a quel sovrano che può dirsi il vero fondatore di Livorno. Avvegnachè fu Ferdinando I, che immense spese impiegò per circondare questa cittĂ di solidissime mura, di lunette, di spalti e bastioni, di magnifiche porte, di ponti di pietra circondandola di un fosso navigabile e difendendola con fortezze nuove verso terra e verso mare. Per lui si veddero sorgere in Livorno stabilimenti pubblici, dogane, caserme, magazzini, palazzi regii, tempii, pubbliche logge, ed abitazioni moltissime per darsi ai privati, piazze magnifiche, strade ampie e regolari, oltre un Lazzeretto di vasti comodi provveduto, e da sulutari discipline regolato. Tutto ciò fu opera del primo Ferdinando, il quale bene spesso a talâuopo personalmente assisteva, ordinava, incoraggiava e promoveva con tanto impegno, con tanto amore per la sua nuova cittĂ , che soleva a buon diritto, e quasi per compiacenza chiamare Livorno la sua Dama. (ARCH.
SEGRETO MEDICEO, Lett. della G. D. Cristina al Segret. Curzio Pichena).
Nè al solo materiale della nuova cittĂ si limitarono le cure di Ferdinando I. Tutto ciò che poteva accreditare ed estendere il suo commercio, era oggetto delle sollecitudini di quel principe per accrescere fiducia alla mercatura, restituire la salubritĂ al clima, promuovere lâindustria manifatturiera, coniar monete dâintrinseco valore, e allettare gente di ogni grado, di ogni grado di ogni culto, di ogni nazione a stabilirsi in Livorno; sotto questo formava uno dei primi pensieri, dei sommi oggetti, delle cure economiche di quel sovrano. â Si aggiunga il dispendio che egli sosteneva in una numerosa marina per esercitare i crocesegnati, proteggere i legni mercantili e allontanare dalle coste della Toscana Barbareschi, ed ogni sorta di 1adri di mare. E poi cosa mirabile, che quante maggiori sorgevano gli ostacoli, tanto piĂš questi infondevano nuovo vigore in quel principe, che sapeva da tutto ritrarre qualche profitto per la sua bella Livorno.
Quindi è che, oltre il lucro delle prede destinate al accrescere le galere, procurava di attirare nella nuova cittĂ i corsari Inglesi, Olandesi e di qualunque altra nazione, i quali, arricchiti delle altrui spoglie, venivano tranquillamente a goderne il frutto in Toscana, purchè si stabilissero in Livorno. A tal fine fu confermato il privilegio di Cosimo I del 1548, con assicurar le persone, i loro capitali, e col non ingerirsi nel voler conoscere, e molto meno perseguitare l'autore di qualunque eccesso che fosse stato commesso fuori del Grunducato in chi familiarmente aveva stabilito il suo domicilio costĂ . â Quindi poco dopo (10 giugno 1593) fu pubblicato il celebre indulto diviso in 48 articoli a favore dei mercanti di tutte le nazioni di ogni credenza, purchè venissero a commerciare e aprire casa a Pisa, o a Livorno. Con tale indulto furono inoltrati Levantini, Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci, Tedeschi, Italiani, Ebrei Turchi, Mori, Armeni, Persiani, ed altri a fissarsi col loro traffico o nella cittĂ di Pisa o nella terra e porto di Livorno. In conseguenza Ferdinando I fu per Livorno ciò châera stato Romolo per Roma; imperciocchè, come questi con lâasilo aperto alle genti di ogni classe intese principalmente a popolare e ingrandire quella nascente cittĂ , cosĂŹ il benefico principe Mediceo col bando del 1593 aumentò mirabilmente di gente e di dovizie il novello emporio del Mediterraneo. Ma il bando del 1593 piĂš che ogni altro favoriva la nazione Ebraica, la quale quasi quasi crede di vedere in Ferdinando I il desiderato Messia, e di trovare in Livorno un'altra Gerusalemme.
Troppo lungo sarei qualora dovessi accennare soltanto tutto quello che il terzo Granduca operò per ingrandire, abbellire, popolare di gente e di stabilimenti utili Livorno.
Ne alcuno della sua etĂ si sarebbe espresso diversamente da Ferdinando I, allorchè, sembrando a questo principe stata mossa sopra troppo vaste dimensioni la fabbrica della chiesa maggiore di Livorno, quasi in atto di rimprovero diceva all'architetto: credevi tu forse di fare il Duomo di Firenze? Pochi altresĂŹ avrebbero immaginato vero il vaticinio dello stesso ingegnere tostochè al Granduca rispose: che quando si fanno fabbriche per uso pubblico, esse non sono mai troppo grandi. Di fatti è arrivato il tempo in cui, non solamente si è veduto con ammirabile prestezza compire intorno a Livorno una circonvallazione di mura tre volte piĂš estese di quella della cittĂ di Ferdinando, ma eziandio gettare i fondamenti di un tempio doppiamente maggiore dellâantico Duomo, suscettibile a contenere una gran parte di quella popolazione cattolica per servire degnamente di cattedrale.
Fino dal primo anno del suo innalzamento al trono Ferdinando I diede principio al gran molo che doveva unire mediante un muraglione lungo 10500 braccia la torre del Fanale alla Terraferma.
Una delle piĂš ardite e delle piĂš gloriose spedizioni maritime che contar possa la Toscana granducale, accadde nel l607 sotto il governo di Ferdinando I quando fu assalita e presa nelle coste dellâAfrica lâantica cittĂ dâIppona (Bona); impresa che gli uomini istruiti come glâindotti, i nazionali al pari dei forestieri tornano a rammentare, quante fiate contemplano in Firenze la statua equestre di Ferdinando I fatta dei metalli rapiti al fiero Trace, o che ammirano in Livorno la statua marmorea del sovrano medesimo contornata alla sua base da quattro schiavi Turchi di diversa etĂ fusi da Pietro Tacca con i cannoni presi agli Arabi dellâAffrica e ai Turchi combattuti e vinti nellâArcipelago.
Per ordine e conio di Ferdinando I si offrivano case in vendita, a livello, o in affitto ai Cristiani nuovi, che Filippo II perseguitava nel Portogallo; ai Cattolici che abbandonavano lâInghilterra; agli Ebrei che si sbalzavano dalla Spagna e si maltrattavano in tutti i paesi; ai Corsi malcontenti del regime dei Genovesi; ai fuorusciti che scorrevano raminghi per lâItalia onde sottrarsi alle insidie ed alla persecuzione dei respettivi governi; finalmente a tutti coloro che a Livorno si refugiavano per vivere sotto le leggi e il patrocinio del Granduca. Ma chi allora prima degli altri corse a popolare Livorno furono i Provenzali; avvegnachè in quel tempo appunto tutte le provincie della Francia trovandosi agitate da una guerra desolatrice ed i negozianti Marsigliesi con molti proprietarii di altri luoghi della Provenza, diffidando di commerciare con i Piemontesi, con i Savojardi e i Genovesi, trovarono tutti in Livorno uno scalo opportunissimo alla loro mercatura, ed in Ferdinando un valido sostegno, un generoso protettore.
Nel 1606 Ferdinando accrebbe il circondario di Livorno, coll'estendere la sua giurisdizione al territorio designato in seguito col nome di Capitanato nuovo. E fu nello stesso anno ch'egli innalzò Livorno allâonore di cittĂ .
Tale era lo stato di questo paese, allorchè mancò alla Toscana e alla sua bella Livorno (anno 1609) quel munificentissimo principe.
Pieno di desiderio di compire le grandiose idee del padre, Cosimo II rinnovò e in qualche rapporto accrebbe i privilegi a favore dei Livornesi; nè potendo lusingarsi di compire la troppo vasta intrapresa del gran molo ideata dallâavo e continuata dal padre deliberò di ristringerlo in piĂš moderate dimensioni, facendo costruire davauti alla darsena il molo attuale di figura quadrilunga e collâimboccatura volta a maestrale, il quale porta il nome dello stesso fondatore.
Cosimo II aumentò la marina al segno che teneva sempre pronta una squadra di dieci galere ad oggetto di veleggiare nel Mediterraneo, dellâArcipelago e nel mare Jonio, e di conciliare nel tempo stesso il noleggio mercantile, la pirateria contro i barbareschi e la discesa delle coste toscane. Arroge a ciò, che i legni fabbricati in Livorno, sotto nome di galeoni, erano i migliori di quanti altri scorrevano il mare.
Fu nei primi anni del governo di Cosimo II che si chiamarono a Livorno i PP. ospitalieri di S. Giovanni di Dio per dar loro lâinvestitura del nuovo spedale eretto nel 1612 sotto l'invocazione di S. Antonio abate. Anteriore di 13 anni era lo spedale delle donne Sotto il titolo di S.
Barbara o della Misericordia, perchĂŠ fondato dalla pia confraternita della Misericordia di Livorno, che ne affidò lâassistenza alle suore della caritĂ . â Vedere il seguito dell'Articolo Livorno ComunitĂ .
Nel 1616 lo stesso Cosimo II approvò le riforme dei nuovi statuti municipali di Livorno; e nellâanno medesimo con editto dei 30 agosto concesse a tutti gli abitanti del capitanato vecchio lâesenzione dalle gabelle per ogni sorta di contratto pubblico gabellabile, purchè l'atto riguardasse possessioni situate in Livorno e nellâantico suo distretto.
Inoltre, rapporto alla gabella delle doti, dichiarò partecipi dello stesso benefizio anche i sudditi dello Stato fiorentino, purchè questi si fossero stabiliti in detta città .
La prosperitĂ della mercatara nel porto prenominato, dove accorrevano principalmente Tedeschi, Inglesi, Olandesi ed Ebrei, era per Cosimo II un potente incentivo a vieppiĂš corredare quel fiorente emporio di comodi e di pubblici edifizii. Allo stesso oggetto, e con il fine di popolare e di arricchire Livorno, di bonificare il palustre e rinterrato seno del Porto pisano, di coltivare. le sterili sodaglie, Cosimo II colse l'opportunitĂ dellâeditto di Valenza dei 22 settembre 1609, da Filippo III emanato quando si cacciarono tutti i Mori dalla Spagna, lasciando per altro a loro arbitrio il farsi condurre e sbarcare in qualunque parte fuori del regno. Quindi e che Cosimo II determinò di acquistare tremila di quegli oriundi Affricani, lusingandosi che gente avvezza a un governo aspro ed esercitata nel mestiere dellâagricoltura, fosse per essere utilissima a bonificare e fertilizzare la malsana ed infeconda maremma posta a settentrione di Livorno.
Sennonchè dopo avere esperimentata la ferocia, lo spirito dâinsubordinazione e la poca attitudine i lavori campestri di quella stirpe affricana fu costretto ad allontanare e liberarsi da cotesti incomodi ospiti col furgli trasportare nellâantica sede dei loro maggiori.
Il commercio di Livorno crescente, e la marina toscana sempre gloriosa sotto i granduchi Ferdinando I e Cosimo II, pare che illanguidissero o almeno si arrestassero, durante la lunga reggenza (dal 1621 al 1628) di Ferdinando II. Il qual principe vedendo il mare Mediterraneo dominato da tante nazioni, che rendevano i suoi legni da guerra un oggetto dispendioso piĂš di fasto che di utilitĂ , vendè, alla Francia (anno 1647) tutte le galere dello stato a riserva di due che destinò a difendere la costa dai Barbareschi. In conseguenza di una simil misura economica la Toscana escĂŹ dal novero delle potenze marittime, al qual grado dal padre e dallâavo di Ferdinando II con tante cure e fatiche era stata innalzata.
Ciò nonostante Livorno ripetere deve da Ferdinando II imperante servigii, sia che si riguardi di lui il fondatore di un nuovo arsenale e di un secondo assai piĂš vasto Lazzeretto (S. Jacopo) eretto nel 1643 un miglio e mezzo distante dalla cittĂ ; sia che si considerino le grandi premure di quel principe per erigere in Livorno il primo stabilimento (anno 1633) dâistruzione religiosa e letteraria nel collegio di S. Sebastiano, affidandone la direzione ai Chierici regolari di S. Paolo, altrimenti chiamati i PP.
Barnabiti; sia che si contempli in esso lui il fondatore di quella porzione di cittĂ , cui in vista dei molti fossi navigabili che lâattraversano, fu dato il nome di Venezia nuova; sia perchè a lui deve Livorno il piĂš antico Monte Pio; sia che vogliasi riguardare nello stesso Granduca un felice promotore del sistema di neutralitĂ per il bene della Toscana; oppure che si rifletta al commercio mercè sua riaperto col Levante, dopo la pace del 1664 tra la Porta e lâImperatore; nella quale il Granduca si fece comprendere come alleato della Chiesa dâAustria. Fu conseguenza dello stesso trattato il Firmano spedito nel 1668 dal Gran Signore, con il quale si accordava salvo-condotto a tutti i sudditi toscani per potere liberamente andare e navigare con bandiera e passaporto imperia le, mercanteggiare e stare negli scali e dominii della Sublime Porta, parando il dazio del 3 per cento sopra le merci, tanto dâintroduzione, come d'estrazione. Forse cotesto Firmano fu motore di un grandioso progetto di associazione mercantile, da molti negozianti tedeschi immaginato; quello cioè di formare una societĂ anonima di tanti azionisti per il capitale di due milioni di scudi, destinanati tutti al traffico del levante.
Ma la nuova associazione commerciale esigeva deâprivilegii e delle franchigie contrarie alle veglianti leggi toscane, e contradittorie allâeguaglianza dalle medesime stabilita fra tutte le nazioni che trafficavano in Livorno; nè tali franchigie erano conciliabili con il sistema della neutralitĂ della Toscana verso tutte le potenze che frequentavano o tenevano consoli in quel Porto franco. Tali ostacoli si sarebbero forse sormontati; ma lâassociazione commerciale rimase un desiderio, ed un bel concetto che la morte di Ferdinando II interruppe, ed il governo del suo successore totalmente dissipò.
Per quanto Cosimo III fosse lungi dalle virtĂš paterne capaci a ristorare i sudditi della perdita fatta di Ferdinando II, pure fece egli i suoi sforzi per conservarsi neutrale nella guerra che al suo innalzamento al trono granducale ardeva in Europa. In conseguenza delle sue pratiche la Francia, la Spagna e lâOlanda, che con le loro flotte interrompevano il commercio nei porti del Mediterraneo, rispettarono quello di Livorno, dove ogni bandiera trovando accoglienza, accorrevano a preferenza sopra ogn'altro. Al che coadiuvò sempre piĂš un trattato aperto in Livorno fra i consoli esteri, che fu ratificato dai respettivi sovrani (ottobre 1691) ad oggetto di prvenire le ostilitĂ nel porto e nella rada di Livorno, prescrivendo ai vascelli da guerra uno spazio di tempo per partire dalla stazione, tale da non temere in quellâintervallo di essere inseguiti dai nemici ancorati nella stessa rada. Questo trattato essendo stato confermato nelle guerre successive, divenne la fase piĂš solenne e piĂš preziosa della franchigia del porto di Livorno, trattato che fu quasi costantemente rispettato da tutte le potenze marittime dellâEuropa.
Inoltre Cosimo III nel quinto anno del suo governo (anno 1675) tentò un gran colpo tendente ad aprire un nuovo sbocco ai legni toscani sino in America è negli stabilimenti Portoghesi dell'Asia. Trattavasi niente meno di formare una societĂ mercantile fra i negozianti di Livorno e di Lisbona con la promessa per parte dei Toscani di cancorrervi per la vistosissima somma di quattro milioni di ducati dâoro, dando per loro mallevadoria il notissimo magistralo dei capitani della Parte Guelfa, ossia la Camera delle comunitĂ del Dominio fiorentino.
La quale compagnia mercantile doveva stabilire tre case di commercio, una a Goa, lâaltra a Lisbona e la terza a Livorno. (GALLUZZI, Istor. del Granducato Libr. VIII).
Comecchè il regno regno di Cosimo III portasse lâimpronta dellâintolleranza religiosa, massimamente contro i seguaci della riforma, con tuttociò egli fece ogni sforzo per conservare in Livorno la massima dei suoi maggiori con ammettere la libertĂ delle respettive credenze. Che anzi mostrossi piĂš particolarmente favorevole all'universitĂ ebraica, per la quale non solamente rinnuovò i privilegii concessi dai granduchi suoi predecessori, precipuamente rapporto a un tribunale proprio, ma anche rispetto al regime civile ed al buon governo della nazione medesima, in guisa che, con motuproprio dei 20 dicembre 1715, ne ampliò le onorificenze al punto da erigere fra gli ebri di Livorno una specie di senato ereditario composto di 60 notabili, per la cui entratura doveva ciascuno retribuire alla cassa del principe 200 pezze da otto reali, potendo succedere di padre in figlio per ordine di primogenitura fino almeno alla terza generazione. Era nelle attribuzioni di quella casta israelitica la sorveglianza della polizia, e l'amministrazione economica della loro nazione, sicchè in essi governanti risiedeva la rappresentanza dell'intiero corpo giudaico livornese.
Leggi tanto larghe, franchige e immunitĂ cotanto estese meritarono molti elogii alla dinastia Medicea, in guisa che il celebre Montesquieu ebbe a dire, che Livorno era il loro capo dâopera. In conseguenza di ciò non potevasi a meno con tante elargitĂ di non richiamare in questo paese, oltre i facoltosi di varie regioni, ed i mercanti di buona fede e bene intenzionati, anche i male intenzionati, i falliti, i vagabondi, li fomentatori dâimmoralilĂ . Infatti questa peste della societĂ vi accorse, come fu di sopra avvertito, fino dal tempo delle franchigie elargite da Cosimo I; ma sotto il governo di Cosimo III la ciurma dei bianti era visi talmente propagata che il governatore di Livorno con bando dei 27 marzo (ERRATA: 1607) 1707 fu costretto di esiliarla dalla cittĂ , dal porto e da tutto quel capitanato.
Tre monumenti pubblici rammentano in Livorno la munificenza di Cosimo III, cioè la casa pia dei mendicanti, un secondo monte di pietĂ e il gran magazzino dei bottini da olio. â La casa pia fu in origine (anno 1714) destinata a ricoprire, istruire e addestrare al lavoro i poveri fanciulli dellâuno e dellâaltro sesso; il monte di pietĂ per far fronte e supplire a quello fondato nel 1626 da Ferdinando II, mentre il magazzino dei bottini fu edificato per ricevere e custodire in vasi murati e chiusi fino a 25000 barili di olio, che i negozianti con tenue retribuzione costantemente vi depositano.
Devesi pure a Cosimo III il trattato di neutralitĂ firmato dalle potenze belligeranti per mantener con le franchigie la neutralitĂ al porto d Livorno. â Fu egli che chiamò i Gesuiti, da primo a predicare, quindi per donarli un magnifico locale eretto da un livornese con la mira di farne un conservatorio per lâeducazione di fanciulle spettanti alle famiglie piĂš facoltose della stessa cittĂ .
Alla morte di Cosimo III, salito appena sul trono lâultimo rampollo della dinastia Medicea, le principali potenze dellâEuropa, riunite piĂš volte a congresso, occuparonsi incessantemente della successione eveutuale al granducato di Toscana, quando finalmente a Cambray si accordarono esse di mettere in esecuzione lâarticolo quinto del trattato concluso in Londra sino dallâanno 1718; cioè, di far precedere allâinvio dellâinfante di Spagna don Carlo, destinato a succedere al Granduca Gio.
Gastone, delle truppe spagnuole per guarnire le piazze forti della Toscana, e segnatamente Livorno.
Grandi armamenti navali nelle coste della Spagna, crescenti rinforzi di truppe e di artiglierie a Porto Longone nellâisola dellâElba, esploratori ed ingegneri che segretamente arrivavano a Livorno, erano tutti apparati tendenti ad incuter timore in Giovan Gastone, e a fargli riflettere piĂš spesso al caso della sua morte, per determinarlo a ricevere il destinato successore al suo trono. â Ciò nonostante quel Granduca, fermo nelle sue risoluzioni, rigettò lungo temp o qualsiasi minaccia o proposizione di trattato, la quale fosse della benchè minima parte lesiva della sua libertĂ e delle sovrane prerogative.
Nel 1731 Livorno fu per due fiate il teatro iu cui si raccolse il fiore della nobiltĂ DâItalia e di una gran parte della Toscana; la prima volta di ottobre, quando vide giungervi Una numerosa flotta Anglo-ispana di 41 vascelli, da guerra con 6000 uomini da sbarco; la seconda quando poco dopo fra il rimbombo, dei cannoni vi approdava lâinfante don Carlo.
Un'altra scena meno brillante, non però meno imponente si aprĂŹ due anni appresso nel cospetto di Livorno, allora quando nel suo molo sbarcarono 30000 soldati spagnuoli, destinati ad agire nella guerra che per i troni vacanti, o per quelli che dovevano vacare in Italia, si riaccendeva; e ciò poco innanzi che si stabilissero tra lâimperatore e il re di Francia (3 ottobre 1735) i preliminari di quella pace, che assegnò il Granducato di Toscana alla casa sovrana di Lorena, premessa come base la condizione di confermare al porto-franco di Livorno la sua neutralitĂ .
Innanzi di escire dal periodo mediceo qualcuno forse potrebbe trovare conveniente, che io dassi un cenno del sistema amministrativo, per il quale restava inceppato anzichè incoraggito il commercio, piĂš che interno, esterno; del sistema che sotto gli ultimi sovrani dellâestinta dinastia toscana, terminò per convertirsi danno dellâuniversale in una privativa per favorire pochi furbi denarosi. â Avvegnachè in mezzo a tali motuproprj, a tanti ordini, a tanti statuti fatti per proteggre le persone e le cose, rimanevano infiniti vincoli ed aggravj, nel tempo che le privative e gli appalti, assorbendo quasi tutto il commercio diretto, il restante riducevasi a frodo in guisa che lâindustria languiva da ogni parte della Toscana, e piĂš che altrove in Livorno. â Ma questi giusti rilievi cadranno naturalmente e piĂš opportunamente davanti agli occhi del lettore, allorchĂŠ egli percorrerĂ le vicende del paese in discorso sotto la dinastia regnante.
Piuttosto dirò di una misura politico economica presa sino dai tempi di Ferdinando I, e da altri granduchi Medicei continuata, di quella che mise in commercio una derrata esitabile allâestero senza scapito e senza dilazione. Parlo ora di quel genere di merce, che forma la base di un solido credito, voglio dire, della moneta, di quella misura comune e comoda di tutti; valori, di quella che supplisce a pareggiare il costo delle mercanzie dâimmissione quante volte esse superano in valore i generi indigeni di estrazione.
L'oro e l'argento monetato entrarono nei calcoli di Ferdinando I, che in ogni modo voleva allettare i negoziati esteri a cambiarlo contro le loro merci.
ConciossiachĂŠ egli fu il primo tra i granduchi a ordinare (21 luglio 1595), che si coniassero il Ducato dâargento, altrimenti chiiamato Piastra d Pisa , ed il Tallaro allâuso di Alemagna, per destinare lâuna e lâaltra moneta precipuamente per lo commercio marittimo , a condizione di spender la Piastra per lire 6 soldi 13 e den. 4 fior., sebbene (diceva la legge) fosse di molto maggior valore.
Lo stesso Tallaro fu coniato sotto i granduchi Cosimo II e Ferdinando II, avendo di peso ciascuno di essi ventitrè danari e mezzo. La qual moneta vollero che si spendesse per lire 5. 13. 4, quantunque piÚ tardi si valutasse lire 6 per una.
Diverso dal Tallaro fu il Tollero , corrispondente alla Pezza da otto reali, battuto can il busto e nome di Ferdinando I, nel rovescio con la veduta del porto di Livorno, e la leggenda intorno et patet et favet. â Questa moneta fu coniata per ordine di Ferdinando II, in data del 2 marzo 1655, di peso danari 23 e 1/2 della bontĂ di once undici di fino, e un oncia di lega, stata prezzata in corso lire 6 lâuna.
Dieci anni dopo, previa ordinanza degli 8 maggio 1665, fu battuta la Pezza, detta della Rosa , con la data di Livorno, di peso danari 22, a bontĂ di once 11 di fino, simile alla Pezza da otto reali. Portava nel diritto lâimpronta dell'arme di casa Medici nel suo rovescio due piante di rose, e intorno il motto gratia obvia, ultio quaesita . â Liburni; quasichè fosse stata battuta in Livorno, dove per altro non fu mai zecca. Il suo valore era di lire 5. 13. 4; ma dipoi fu accettata per lire 5 e 15 soldi; e tanto prevalse lâuso della medesima in Livorno che vi si facevano i conteggi, sino allâeditto del 17 gennajo 1837, a preferenza di ogni altra moneta toscana corrente.
La stessa Pezza da otto reali fu battuta sotto Cosimo III negli anni 1700 e 1707 con la solita leggenda e la data di Livorno.
Anche il Tollero ,cosĂŹ il mezzo e il quarto di Tollero furono fatti coniare da Cosimo III a profitto del commercio livornese in piĂš tempi nella zecca fiorentina.
Se non che nel Tollero del 1707 sopra il capo del sovrano manca la corona gran ducale, invece della quale vedesi nel suo rovescio una corona reale sopra lâarme della cittĂ di Livorno, raffigurata da una fortezza a doppio torrione con la parola Fides alla base e la consueta epigrafe intorno: et patet et favet.
Nei mezzi Tolleri, invece dellâarme anzi detta di Livorno, havvi scolpita una nave della forma delle antiche Liburne, con le seguenti parole in giro: praesidium et decus â Liburni â 1682.
In quanto alle monete dâoro, destinate ad accreditare la piazza mercantile di Livorno, merita di essere rammentata quella del Fiorino, ossia Zecchino gigliato fatto coniare da Ferdinando I nell'ultimâanno del suo regno, della solita bontĂ di 24 carati, ma del peso di danari 3 e gr. 1, come quello che si disse ordinato dalla Rep. fior. nel 1422, onde fosse accettato piĂš volentieri nel commercio del Levante.
Il quale zecchino gigliato a quella etĂ si spendeva per sole lire 10. 3. 4. se non che Cosimo II con legge dello dic.
1613 rimise il fiorino di oro al solito peso di 3 danari 1âuno, comâera stato usato di fabbricarlo dal 1596 al 1608.
Una nuova moneta dâoro fu coniata sotto Ferdinando II (anno 1656) del peso di danari 2 e grani 23, a bontĂ di carati 23 e 1/2, uguale in tutto all'unghero dâAlemagna, che chiamavasi Tollero , o Unghero dâoro , avendo per impronta il porto di Livorno, e la solita epigrafe, et patet et favet.
Dell'istessa bontĂ e peso fu battuto in piĂš tempi il medesimo unghero dâoro da Cosimo III; ed ĂŠ da avvertire, come una volta fu coniato con la figura intiera di (Cosimo III vestito come uno spadaccino del medio evo, coperto di corazza con elmo e corona in capo, mentre nel rovescio della moneta in una cartella leggevasi: ad bonitatem aurei ungarici. - Liburni - 1674.
Parimente la Pezza della rosa di oro Con la mezza Pezza fu battuta da Cosimo III simile al conio della Pezza di argento con la data di Livorno, e le parole intorno. gratia obvia, ultio quaesita . La Pezza della rosa d'oro era del peso di danari 5 e grani 21 di oro, alla bontĂ di carati 21 e 3/4 della valuta di lire 23 moneta fiorentina, prezzo correspettivo di 4 Pezze da otto reali. La mezza Pezza dâoro era ragguagliata nel peso e nel prezzo alla prima.
Fu asseguato per queste due ultime monete nuove tantâoro per la somma di 2,450,000 lire toscane.
Anche lâultimo Granduca della casa Medici fece battere i suoi Tolleri dâargento e le Pezze della rosa, i primi con la veduta del porto, le seconde con lo somma della fortezza e lo stendardo portante il motto Fides, impresa che onora il commercio ed i negozianti i di Livorno.
LIVORNO SOTTO I TRE PRIMI GRANDUCHI DELLA CASA DâAUSTRIA-LORENA Allorchè la fortuna portò sul trono della Toscana la dinastia Lorenese (nel luglio del 1737), lâEuropa era di corto tornata in pace, iu guisa che il generoso procedere del successore di Gian Gastone seppe conciliarsi ben tosto fra le varie classi dei nuovi sudditi amore, fedeltĂ e fondata fidanza di una riforma di leggi che fossero per essere piĂš confacenti ai tempi, accompagnate da unâamministrazione meno vessatoria e meno intralciata.
Il sistema di un equilibrio politico che parve aver riannodato i vincoli fra le principali potenze europee, doveva necessariamente influire sopra il ben essere dei respettivi sudditi; e molto piĂš sopra Livorno, che come porto-franco attirava Inglesi, Spagnuoli, Francesi, Tedeschi e Olandesi mentre la capitale della Toscana col suo brio, con le sue maraviglie, con le popolate, deliziose campagne, con gli spettacoli di vario genere gli accoglieva, gli divertiva, gli allettava. Quello spirito dâintolleranza mantenutosi durante il lungo regno di Cosimo III contro i non Cattolici, non era piĂš dâimpedimento al loro passaggio e dimora in Firenze, e molto meno ad un libero e tranquillo stabilimento dei medesimi in Livorno.
Ma troppo profonde e ancora vive erano le piaghe lasciate alla Toscana da quel Granduca, per gli esorbitanti tributi da cui erano stati aggravati i sudditi, per le inutili profusioni dâuna corte asiatica piena di apparenti divoti e di oziosi poeti, intenti solo a proclamare le storie immaginarie del loro protettore, e a mugnere i di lui preziosi scrigni.
Troppo complicate erano le leggi, ed i giudici non infrenati da alcun codice; troppo numerosi erano i tribunali, sicchĂŠ la pubblica amministrazione trovavasi spesso diretta a capriccio degli amministratori, la cui massima principale era quella di favorire il monopolista e dâinceppare ogni mezzo dâindustria, ogni sorta di progresso utile alla civile societĂ .
Arroge a tuttociò i moltissimi sconcerti introdotti, i vituperevoli indizii, i troppi abusi aumentati e tacitamente autorizzati dal Granduca Gian Gastone. Il quale, comecchè operasse in un senso opposto a quello del padre, anzichè variare sistema legislativo e giudiziario, finĂŹ col disperdere il ricco ereditato tesoro senza recare alcun giovamento aglâimpoveriti sudditi.
Infiniti erano i vincoli e gli aggravii; da lunga mano languivano le industrie con lâagricoltura e a passo retrogrado camminava il commercio in Livorno. â E siccome i mali che ne derivavano erano radicati sotto il falso aspetto di un supposto pubblico bene, non potevano pertanto essere quelli eliminati e distrutti da una momentanea e repentina riforma.
A tali cose apportare doveva qualche ritardo lâassenza del nuovo sovrano destinato poco dopo a salire sul trono della casa piĂš angusta di Europa.
Premesso tuttociò, gioverĂ avvertire, che fra le principali cure dellâAugusto Granduca Francesco II, a benefizio di Livorno potremo rammentare la facoltĂ a chiunque fosse (anno 1746) di consegnare e depositare nei magazzini pubblici di quel porto, con lieve diritto di stallaggio, ogni sorta di merce straniera, e di poterla estrarre sopra mare senza alcun dazio, o introdurla dentro terra con tenue diritto di transito, passando per laToscana.
Può noverarsi fra i benefizj dello stesso Granduca lâeditto del 10 ottobre 1748 sulla navigazione marittima toscana; lâintroduzione nel granducato di nuove manifatture, lâavanzamento delle giĂ stabilite, la protezione dimostrata verso quei sudditi che si applicavano piĂš di proposito alla mercatura, e le reciproche convenzioni stibilite con le potenze estere, nelle quali il principe preferĂŹ sempre allâinteresse proprio quello dei suoi sudditi.
Potrei aggiungere la legge dei 21 novembre 1758 destinata a frenare gli abusi dellâesercizio della professione di mezzano in pregiudizio del commercio di Livorno; quella dei 23 novembre dello stesso anno relativa al subborgo nuovo di S. Jacopo dâAcquaviva giĂ cominciato a fabbricare per concederne con privilegj e favorevoli condizioni il suolo o le abitazioni a quei forestieri che vi si volessero stabilire. Devesi finalmente al Granduca Francesco II la fondazione della pia casa del Refugio per i ragazzi mendicanti, e lâistituzione delle prime scuole pubbliche per le fanciulle che si raccolsero nel 1766 nellâeducatorio di S. Giulia, piĂš noto sotto il vocabalo del Paradisino . â Vedere lâarticolo ComunitĂ di Livorno.
Nonostante tuttociò il commercio di Livorno era sempre nelle mani dei monopolisti, tutte le RR. regalie venivano amministrate e percette da ricchi appaltatori, la maggior parte della nazione ebrea.
Quindi è che moltissimi affari si facevano da pochi, i quali tenevano nelle loro mani lâesistenza di una gran parte della popolazione Livornese.
Era riservato alla gran mente e al magnanimo cuore del Granduca Leopoldo I spingere alla meta e perfezionare unâopera di tanto momento, mercè di un piano economico, di un sistema legislativo, cui servĂŹ di principio, di progresso e di fine una piĂš adeguata repartizione di sostanze, di diritti fra i sudditi di tale classi, e una pienamente libera commerciabilitĂ dei beni di qualsiasi specie.
Allorchè il gran Leopoldo, con una fermezza che costituisce la sua vera gloria, con una sapienza da non lasciarsi vincere dai clamori dei falsi economisti, contemplando le vere cause di tanto cronicismo civile, diede mano alla sublime impresa di efficaci rimedii, a partire dalla graduale eliminazione dei metodi governativi che intisichirono la bella Toscana; allora fu che incominciarono a poco a poco a risorgere la fiducia e il coraggio nei possidenti terrieri, negli artisti e nei negozianti, e che Livorno ebbe motivo di riaversi prima di ogni altro paese col risentire i buoni effetti di tanta virtÚ.
Uno pertanto dei maggiori ostacoli finanzieri resultava dal vetusto sistema degli appalti di ogni sorta di regia possessione o regalia; quindi erano di fisico impedimento le anguste malagevoli strade comunitative e provinciali, la moltiplicitĂ dei dazii e delle dogane che per inveterato abuso conservavansi nelle parti interne dello stesso granducato.
Per giungere al conseguimento di cotesto duplice scopo fu primo pensiero de gran legislatore di concedere ai Toscani libera circolazione per tutte le parti del granducato delle vettovaglie ed altri prodotti indigeni, di poter contrattare e vendere le merci a qualsivoglia prezzo, peso e misura senza alcuna servile dependenza dai magistrati dâarte, da quelli dellâannona o grascia. Fu Leopoldo che pensò a togliere di mezzo la maggior parte degli appalti, come pure a sopprimere molte privative, fra le quali a benefizio delle gente di mare e da contarsi la pesca (16 gennajo 1777). Egli fu che corresse e mitigò il modo di esigere i diritti di porto e di ancoraggio in Livorno (12 giugno 1779); che abolĂŹ il privilegio del capitano della bocca di Porto sulle zavorre (8 maggio 1780); che tolse la moltiplicitĂ delle gabelle, delle dogane, passeggerie, o catene intermedie, per cui trovavasi diviso in altrettante frazioni un medesimo stato, un solo dominio, e che davano motivo a infinite vessazioni. Finalmente con la stessa legge abolĂŹ alcuni dazj sopra i generi di prima necessitĂ , e alleggerĂŹ il tributo di quelli atti a fornire materia di mano dâopera, affinchè fossero essi di eccitamento allâindustria dei Toscani.
Fu lo stesso principe che proscrisse dal foro inveterati abusi, che tolse di mezzo tuttociò che tendeva ad opporsi, o a ritardare il benefico scopo di far godere ai suoi amministrati, pel loro benessere, sicurezza individuale e vita tranquilla. Frutto di tali riforme era la legge del 26 novembre 1783, che aboliva lâesecuzione personale per i debiti Civili, quella che ordinava non potersi interporre lâappello delle cause decise nel tribunale di Livorno fuori che davanti al magistrato consolare di Pisa. Merce di tali misure fu provveduto (17 febbrajo 1769) e posto un riparo ai disordini che allora regnavano nel governo della nazione ebrea di Livorno, togliendo il privilegio ad essa concesso da Cosimo III mercè di quella specie di senato ereditario poco sopra rammemorato, quando gli tolse il diritto di succedere per ordine di primogenitura sino a terza generazione; e volle nei casi di rimpiazzo esonerare il candidato dal tributo di pezze 50 solito pagarsi al R.
erario. â Fu pure ad oggetto di preservare lo Stato, per quanto umanamente era permesso, dai pericoli cui poteva esporlo il commercio di Livorno con i paesi soggetti al contagio, che Pietro Leopoldo fece costruire dai fondamenti e aprire nel 1780 il terzo e piĂš vasto Lazzeretto del suo S. nome, per destinarlo alla cura delle persone ed allo spurgo delle mercanzie portate da bastimenti di patente brutta; mentre con le leggi del 30 dic. 1779, dei 15 lug. 1785, e 5 luglio 1787, si prescrivevano regolamenti economici, politici e sanitarii da doversi eseguire in ciascuno dei tre Lazzeretti di quellâemporio. â Finalmente deve Livorno allo stesso principe lâattuale ufizio della posta delle lettere, fabbricato di pianta nel locale della soppressa compagnia deâSS. Cosimo e Damiano.
Ma appunto cotesta soppressione di popolari compagnie, ordinata ed eseguita fino dal 1785 in tutto il granducato, fu lo specioso pretesto di una insurrezione che suscitò in Livorno la classe piu facinorosa di quella plebe dopo che il gran Leopoldo per la morte di Giuseppe II era stato chiamato a salire sul trono ereditario Austriaco Imperiale.
Non erano scorse appena due settimane dacchĂŠ quellâimperante, con editto del 2 marzo 1790, aveva proclamato la conservazione della legge del I agosto 1778 per tener ferma la neutralitĂ della cittĂ e porto di Livorno con le potenze belligeranti, quando si suscitarono tumulti dai facchini, detti dalla contrada che abitano Veneziani, ed il gridare allâarme della plebaglia che vi aderĂŹ fu mosso dal pretesto di ristabilire le compagnie secolari religiose.
â Se fosse possibile eliminare daglâannali istorici di Livorno il maggio del 1790, io lo farei per tacere di tanti insulti, di tante violenze e di tante rapine, cui mosse il furore popolare contro il principe, contro i magistrati, contro i ministri dellâaltare e contro i piĂš ricchi cittadini: furori che piĂš specialmente si diressero a danno degli ebrei, dei greci non uniti, o scismatici, e di chi veniva ai facinorosi segnalato per nen credente a loro modo.
Sotto questi tristi auspicj di turbata tranquillitĂ in Livorno (cui tennero dietro altre cittĂ della Toscana) venne a cuoprire il trono granducale Ferdinando III di sempre gloriosa memoria.
Mal si credĂŠ, per quietare il basso popolo, di tornare a sopprimere la libera commerciabilitĂ dei generi di prima necessitĂ , e, con danno irreparabile delle pubbliche casse, mantenere forni e canove normali ad oggetto di tendere alla plebe il pane venale, il vino e lâolio a un prezzo inferiore al costo reale. Si dovè ristabilire il magistrato della Grascia per avere meno grascia, e andar a rischio di patir la fame per mancanza di vettovaglie.
Infatti i vincoli che la legge del 9 ott. 1792 pose alla libera circolazione e contrattazione dei generi frumentarii e di altri prodotti indigeni nellâinterno del granducato, riprodussero ben presto il tristo resultato di vedere quasi vuoti i mercati, e piĂš alti i prezzi dei commestibili. Quindi ne conseguĂŹ che, dopo avere la comunitĂ provveduto di grani esteri per sfamare la classe piĂš indigente con grave sacrifizio, Ferdinando III con esemplare ritrattazione emanò il motuproprio del 17 agosto 1795, diretto a ristabilire la liberta del trasporto delle vettovaglie da una in altra parte del suo Granducato.
Ad accrescere lâangustie interne si aggiunsero ben presto quelle politiche insorte dopo la risoluzione francese che preparava ai Toscani ed al loro ben amato sovrano nuove disavventure. Si esigevano dal Granduca condizioni contrarie all'indole pacifica della nazione, contrarie alle franchigie ed alla neutralitĂ del porto e cittĂ di Livorno, benchè da lunga mano riconosciute e garantite dalla fede dei trattati.
Quando però la Toscana fatta superiore agli avvenimenti sembrava riposare in pace in mezzo al rimbombo del cannone; mentre Livorno consideravasi come il porto di salvezza di tutti i legni mercantili delle potenze belligeranti a sommo profitto del commercio, ecco che un disgustoso emergente pose a rischio la sua felicitĂ in guisa che la legge fondamentale della neutralitĂ del porto di Livorno dove piĂš per forza, che per deliberazione del governo restare sospesa (dallâottobre 1793 al febbrajo 1795), ed impedita alla bandiera della repubblica francese. Era appunto il tempo in cui, trovandosi chiusi ai navigli delle potenze belligeranti gli altri mercati del mar Mediterraneo, Livorno approfittava dellâannichilamento del commercio di quasi tutte le piazze marittime, in guisa che in quel frattempo la cittĂ crebbe immensamente di popolazione e di ricchezza e divenne perentoriamente uno dei primi emporii dellâEuropa.
Frattanto crescendo ognora piĂš il pericolo dellâItalia e della Toscana, Ferdinando III, mosso costantemente dal santo principio di procurare per tutte le vie possibili la pace e il benessere dei suoi cari sudditi, pensò di concludere un trattato di amicizia col nuovo reggimento deâFrancesii sicchè riconobbe apertamente quello che gia eseguiva con tacita moderazione; ciò facendo nella lusinga di ristabilire quiete e sicurezza al suo popolo e maggiori affari al porto di Livorno.
Bandissi la pace conclusa tra la Rep. francese e il Granduca (9 febbrajo 1795) e a suon di cannoni fu annunziata in Livorno in cospetto della flotta inglese.âSi rallegrarono grandemente i popoli, (se dobbiamo credere allo storico piĂš eloquente deânostri tempi) massimamente i Livornesi, e tutti celebrarono la scienza di Ferdinando III, il quale, non lasciatosi trasportare dallo sdegno dâEuropa, solo alla fedeltĂ dei suoi sudditi mirando. aveva loro quieto vivere, abbondanza di traffichi e sicuro stato acquistato â.
A proporzione che la fortuna militare sotto la condotta di Bonaparte rendeva la Francia padrona di quasi tutta lâalta Italia, andavano maturandosi i disegni del direttorio esecutivo contro lâinnocente Toscana, ma il principal fine del governo francese era quello di cacciare glâInglesi da Livorno, di esplorarne e di carpirne le ricche merci che ivi avevano con quelle dei loro alleati. â Non si omise di onestare simili violenze con dare a divedere, che glâInglesi tanto potessero in Livorno di non avere il Granduca forza bastante per frenargli, a tal segno ehe il commercio francese vi fosse angariato, e la bandiera repubblicana insultata.
I fatti e le rgioni addotte non valsero per dimostrare la costante imparzialità del Granduca, comecchè meglio degli altri lo sapesse il direttorio, e lo conoscesse Bonaparte, che a quel tempo era il generale in capo della loro armata in Italia.
Ordinava intanto questâultimo da Bologna (26 giugno 1796) che una divisione dellâesercito repubblicano fosse condotta celeramente dal generale Murat per la strada di Pistoja a sorprendere e impadronirsi di Livorno. â Appena che glâInglesi stabiliti in questa piazza ebbero avviso del fatto, lasciata con prestezza la cittĂ , trasportarono sulle navi, che a cotal fine tenevano nel molo e nella rada, le migliori proprietĂ loro. â Entravano i Francesi in Livorno quando appunto i bastimenti mercantili inglesi sotto scorta di alcune fregate salpavano dal suo porto verso la Corsica.
Poco dopo entrava Bonaparte. Agli applausi, ai teatri gratuiti, alle illuminazioni eseguite non per voglia, ma per ordine e per paura, succedettero ben tosto le ostili confische e le rovinose vendite delle mercanzie austriache, russe, inglesi, napoletane, e portoghesi. Si obbligarono quindi i negozianti di Livorno alla insoffribile e dura condizione, o di svelare le merci altrui, lo che aborrirono, o di pagare cinque milioni di lire per le mercanzie estere, lo che accettarono.
Si disarmava intanto la cittadinanza di Livorno, che fu la prima fra i Toscani ad offrirsi e ad ottenere da Ferdinando III (22 luglio 1794) il privilegio di formare un corpo di cacciatori volontari, onde mantenere nella cittĂ il buon ordine, e prestare nei bisogni opportuno aiuto alla truppa regolare. Si cacciavano dai posti armati e dalle fortezze i soldati del Granduca, e per colmo di prepotenza si arrestava contro ogni buon diritto il governatore del porto e della cittĂ .
Mentre si eseguivano dai Francesi tali opere incomportabili, le flotte inglesi serravano il porto di Livorno od impedivano il commercio in guisa che quella popolazione di fiorente, attiva e libera divenne in breve ora inoperosa, angustiata ed oppressa.
Ma il genio e lâattivitĂ di Bonaprte non perdendo occasione di nuocere a quei potenti nemici dominatori del mare e della sua patria, teneva un piede in Livorno al doppio scopo di chiuderlo ai collegati, e per tentare di costĂ la conquista della Corsica, dove sapeva che il mal umore contro glâInglesi andava ogni dĂŹ aumentando. â Frattanto i Corsi fuorusciti concorrevano da ogni parte a Livorno, dove si ordinavano in compagnie, cui si fornivano pezzi di artiglieria, cannonieri e capitani animosi ed alti allâuopo. Era il passaggio di mare assai pericoloso a cagione delle navi britanniche che lo percorrevano, ma tanta fu la destrezza del francese a cui tenne affidato lâincarico di quella traversa, che gli riescĂŹ, sul finire di ottobre 1796, malgrado del tempo burrascoso e della sorveglianza inglese, di far partire da Livorno una grossa banda di Corsi comandati dal generale Casalta, e di sbarcarla felicemente in vicinanza del porto di Bastia. â Bentosto ai fuorusciti vennero a congiungersi partigiani in gran numero, e in breve tempo la Corsica sollevata dovĂŠ abbandonarsi agli assalitori.
In questo mezzo tempo (9 luglio 1796) una squadra britannica, volendo prevenire lâintenzione dei Francesi, si era presentata davanti a Portoferrajo nellâIsola dellâElba ad oggetto di obbligare quella garnigione toscana a ricevere presidio inglese. Alla qual cosa si dovette aderire mediante un onorevole capitolazione che accordo di consegnare il paviglione, e lâamministrazione del governo granducale in Portoferrajo, e che prometteva di far ritirare le truppe britanniche, e di rimenere la piazza nelle mani di S. A. R. allâepoca della pace, o quando lâinvasione di Livorno e del littorale toscano per parte dei Francesi fosse cessata.
Ma giĂ lâoccupazione istantanea di due piazze forti, tolte da due potenze fra loro nemiche, aveva costretto Ferdinando III a far sentire le sue lagnanze al re dâInghilterra e al direttorio di Parigi, insistendo sullâingiustizia fatta, e sulla violata neutralitĂ di quei porti, che tutte le al tre nazioni avevano fino allora rispettata.
Ciascuno dei due governi sembrò mostrarsi convinto e persuaso in faccia allâEuropa dei giusti reclami del Granduca di Toscana, e ciò fino al punto di scambievolmeate convenire, che sarebbe si effettuata lâevacuazione dei Francesi da Livorno nel giorno istesso che lâInglesi avessero lasciato Portoferrajo.
Infatti nel 16 aprile del 1797, questi ultimi, dopo avere imbarcato provvisioni e artiglieria, posero alla vela dal porto, trattenendosi però nei paraggi dellâlsola dellâElba fintanto che non gli giunse sicuro riscontro dellâabbandono di Livorno, che fu effettuato nello stesso giorno dalle truppe francesi.
Le insidie, le false accuse, le violenze contro la Toscana nelle raccontate cose non si rimasero; con tutto che il popolo fedele suo principe generosamente concorresse a fornire tutto ciò che possibilmente faceva dâuopo per combinare la sicurezza pubblica e riparare alla deficienza del R. erario tempestato da straordinarii sacrifizj. Tuttociò riescĂŹ vano, e forse tanto amore, tanta fedeltĂ fu un rimprovero tacito ai donatori di falsa libertĂ ; sicchè ognuno spaventato dai tristi e numerosi esempj aveva forte motivo da temere che lâopere tremende e le soperchierie politiche non fossero compiute. Si voleva o per un verso o per lâaltro sloggiare dalla reggia deâPitti il fratello dellâImperatore Francesco; si voleva signoreggiare senza ostacolo sul pacifico popolo toscano; si voleva escludere dalla neutrale cittĂ e porto-franco di Livorno ogni bandiera non francese.
Non mancarono pretesti al direttorio per adonestare codeste mire, ed uno dei maggiori appigli fu quello di non aver il Granduca saputo impedire lo sbarco di truppe napoletane a Livorno (nov. 1798), comecchè queste ben presto (3 genn. 1799) si rimbarcassero dopo la sconfitta del loro grosso esercito nelle campagne di Roma, e il successivo arrivo a Pistoja di una divisione francese destinata ad assalire la divisione napoletana sotto le mura di Livorno. â Ad accrescere materia di lagnanza aggiungevasi il pretesto di segrete adesioni del Granduca alla coalizione delle potenze armate contro la Francia, e sotto tale aspetto si spiegavano i preparativi guerrieri, con lâarmamento delle milizie, che sotto il nome di Bande, lâeditto granducale dei 30 nov. 1798 comandò.
Si andava avvicinando la primavera del 1799; sorgeva lâalba del tristissimo giorno 25 marzo, quando si lesse il tacito daloroso addio dellâottimo Ferdinando, il quale per colmo di sue virtĂš, benchè costretto a lasciare gli amati sudditi, chiedeva da questi in ricambio di amore e di gratitudine un rispettoso congegno verso i suoi nemici, che a torme scendevano lâAppenino per contaminare la bella e fino allora placida Toscana.
Entrava in Firenze una divisione francese il dĂŹ 25 di marzo, nel tempo che avvicinatasi alle porte di Livorno una brigata della medesima nazione.
Tacerò dei cento giorni (dal 25 marzo al 4 luglio 1799), nei quali i Livornesi al pari, se non piÚ degli altri Toscani, furono afflitti da imperiose contribuzioni, da gravosissimi imprestiti, da mentite parole di libertà accompagnate da opere di prepotenza e da oppressiva schiavitÚ.
Passerò eziandio sotto silenzio i non meno lacrimevoli 15 mesi che ai cento tristi giorni succederono (dal 5 lugl.
1799 al 14 ott. 1800), cioè, della insurrezione aretina alla ritirata dellâesercito austriaco dalla Toscana; avvegnachè darebbero essi troppo penoso cordoglio a chi volesse scrivere la cronica di quel periodo, dove forse non troverebbe altra materia da registrare se non che insulti popolari, arresti arbitrarii, sentenze tumultuose, spoliazioni dâogni specie, contribuzioni insopportabili, imprestiti gratuiti forzosi, commercio estero annientato, carestie desolatrici, casse pubbliche sempre aperte e sempre da nuove arpie divorate.
Ă altresĂŹ vero che durante lâoccupazione austriaca il porto di Livorno era divenuto quasi lâunico emporio dei navigli delle varie nazioni, mentre i porti di Genova e di Marsilia erano chiusi dai confederati. Infatti il numero dei bastimenti mercantili, carichi di ogni sorta di produzioni, concorsero in questo tempo a Livorno in quantitĂ molto superiore degli anni precedenti, seppure si eccettuino il 1794 e il 1795. Di questi ricchi carichi non meno di 50 furono sequestrati dai francesi, che da Lucca quasi improvvisi giungevano (ott. 1800) a Livorno, nel tempo che una divisione comandata da Dupont occupava senza ostacolo la capitale della Toscana. In aumento di ciò ben altri danni piĂš gravosi vennero a carico dei commercianti livornesi, sicchè furono essi costretti a somministrare in breve ora un imprestito forzoso di sopra 300,000 lire per liberare dai sequestri le mercanzie presunte nemiche, e gli imbarchi dei bastimenti. Quindi dovette Livorno fornire a titolo di contribuzione di guerra 90.000 sacca di grano. â Ad oggetto di sanare tali larghe ferite di evitare un abisso maggiore e di provvedere per quanto era possibile allâinteresse dei creditori, la ComunitĂ di Livorno dovè andare incontro a un altro abisso piĂš pericoloso, quello cioè dâimporre (16 e 17 nov. 1800) un tributo del 2 per cento sulle mercanzie provenienti di sopra mare, che si scaricavano nel porto, o che transitavano per terra dalle cittĂ , escluse le sole granaglie.
Finalmente nel febbrajo del 1801 fu concluso a Luneville un trattato di pace, per quale il granducato di Toscana fu eretto in regno, e dato in appannaggio allâinfante di Spagna don Lodovico di Borbone fig lio del duca di Parma, nipote e genero di Carlo IV re delle Spagne. â Una delle prime cure di questo nuovo regnante a favore di Livorno può contarsi il motuproprio dei 17 dicembre 1801, mercĂŠ cui convertĂŹ in Camera la deputazione di commercio, composta di negozianti di diverse nazioni, purchè essi fossero stabiliti da qualche tempo in Livorno: e ridusse allâuno per cento il diritto sulle mercanzie provenienti di sopra mare.
Nel settembre del 1809, nella rada di Livorno ancorò una numerosa flotta spagnuola, delineata a imbarcare il re e la regina di Etruria per trasportarli a Barcellona, donde poi ritornarono per la stessa traversa in Toscana innanzi che spirasse quellâanno.
Fu peraltro troppo funesto aâLivornesi e al loro traffico lâanno 1804, mediante la strage di cui fu cagione un bastimento che da Malaga portò quivi il germe contagioso della febbre gialla; e che assai danneggiò il paese ad onta delle misure prese fra il dĂŹ 2 novembre del 1804, e il 19 genn. del 1805, giorno in cui la regina reggente per suo figlio emanò lâordine dello scioglimento del cordone sanitario, quantunque la guarnigione francese fosse di giĂ ritornata ad occupare le fortificazioni di Livorno.
Quando si presero i provvedimenti sanitarj erano passati piĂš di due mesi dalla prima comparsa della febbre gialla, restando quasi tutti fra lâincertezza, Terrore e lâinazione; nel qual frattempo, a proporzione che le comunicazioni crescevano, aumentava ed estendevasi il morbo, il quale nel suo colmo uccise fino a 40 e 50 persone in un giorno.
Ma dacchè lâinterna polizia validamente si oppose per combattere e spegnere quel fuoco micidiale, cioè dal 12 novembre 1804, giorno in cui fu aperto lo spedale provvisorio di S. Jacopo, sino al dĂŹ 19 del susseguente mese di gennajo, in cui fu levato il cordone sanitario per la terraferma, non vi rimase vittima neppure la terza parte in confronto di quella perita nei due mesi antecedenti: e tutto computando fino dai primi inosservati momenti dello sviluppo del morbo in Livorno e nei suoi subborghi, vale a dire, in una popolazione di sopra 50,000 abitanti, non morirono di contagio piĂš che 1500 persone.
La storia medica non dimenticò di tramandare alla posteritĂ , che questa malattia esotica per lâEuropa fu portota in Livorno per parziale inosservanza delle regole sanitarie, allorchè si volle dal governo Borbonico togliere lâabituale contumacia prescritta alle provenienze di Spagna ove la febbre gialla allâimprovviso era scoppiata.
Dopo lunghe titubanze, e contradizioni dei medici, come sempre avviene in simili casi, spesso fatali a chi pubblica con franco giudizio una funesta verità , fu con formale processo riconosciuto, e dimostrato qual fosse stato il naviglio che importò a Livorno questo contagio; avutane la confessione, morendo, dal capitano stesso che lo comandava.
Verificossi che da alcuni marinari del malaugurato naviglio, discesi in terra, tal male ebbe principio nei soli punti e nelle sole case dove alloggiarono (in pescheria vecchia e al mulino a vento). Fu provato che alcuni oggetti levati da bordo, e due dei nostri calafati, che entrarono i primi in quel bastimento, portarono il contagio tropico in altre parti della cittĂ , dove certamente nascere non poteva neppur lâidea dâinsalubritĂ e di poca nettezza di case, nè sospettare che fossero troppo anguste e poco ventilate, come nella gran piazza di Livorno: prova evidente, dirò col celebre dottor Palloni, checchè manifesti un diverso parere lo storico Botta, che in qualunque parte di una cittĂ marittima, sordida o pulita, salubre o insalubre, può svilupparsi la febbre gialla, o altro male contagioso, ove qualche marinaro ammalato, o delle merci contagiate vi siano depositate.
E se esso incomincia per lo piĂš nelle strade e nelle case prossime al porto, assai ristrette, popolate e meno proprie, ciò si deve allâesser in queste ricoverati i primi marinari sbarcati, ed alla maggior facilitĂ delle loro comunicazioni col mare; giacchĂŠ senza aver nulla fatto per variare le condizioni a quelle strade infette, la malattia terminò quasi per incanto appena gli infermi furono separati dai sani, isolando i piĂš aggravati nelle loro abitazioni, e trasportando gli altri in uno spedale espressamente situato lungi dallâabitato e in riva al mare: finalmente spurgando le case infette e portando in Lazzeretto tutti gli oggetti e mobilie suscettibili di contagio.
Dopo tanto flagello, che decimò la popolazione di Livorno, e che quasi annichilò il suo commercio, non vi furono lunghi giorni sereni, avvegnachè era per volgere al suo termine lâanno 1807, quando ripresentavasi nel mondo politico lâultima scena del giovane morente regno di Etruria da chi con eguale indifferenza creava repubbliche di nome, dispensava troni e scettri apparenti, e quindi appropriavasi vecchie e nuove corone.
Veniva a prender possesso del regno dâEtruria a nome di Napoleone il generale Reille, rimpiazzato poco dopo da Menou, capo di una giunta straordinaria, che aveva lâincarico di ridurre la Toscana a regime francese, e di farne tre nuovi dipartimenti pel grande Impero. Allora la cittĂ di Livorno, a preferenza di Pisa, fu dichiarata capo-luogo di uno di essi col nome di dipartimento del Mediterraneo. Da indi in poi mairie, giandarmerie, leggi, tribunali, demanio, diritti riuniti, contribuzioni fondiarie, di porte e finestre, personali, patenti ec., tutto fu montato sul piede francese. Lasciavasi ai Toscani fra i pochi privilegi quello onorevole e singolare di potere usare negli atti pubblici della lingua nazionale in concorrenza con la lingua conquistatrice.
Pertanto la giunta francese non trascurava ogni via per eccitare i Toscani allâindustria, e aumentare il loro commercio interno, giacchĂŠ quello di importazione ed esportazione allâestero nel porto di Livorno era ridotto quasi a nulla. â Si tentò dâintrodurre nelle Maremme la coltivazione del cotone; si propagò in Val Tiberina e in altre parti la sementa del guado; si permise a certe condizioni la piantagione del tabacco; furono incoraggiti i proprietarj di armenti a migliorare le lane; solleticaronsi con premii ed emulazioni le mani fatture toscane per estendere il commercio dei berretti di Prato, dei cappelli di paglia di Firenze, degli alabasiri lavorati di Volterra, delle fabbriche di corallo di Livorno. â Fu domandata grazia al sommo imperante, affinchè permettesse le tratte delle sete nostrali di Livorno per mantenere viva in Toscana la fabbricazione dei drappi e la coltivazione dei gelsi.
Fu contemplata poi dagli adulatori come una distinzione segnalata verso di noi, quando Napoleone, nellâalto di restituire alla Toscana il nome, non lâesistenza politica di granducato, nominò a questa nuova gran dignitĂ dellâImpero la sua sorella Elisa, giĂ principessa di Lucca e di Piombino.
Per tal guisa la miseria del popolo veniva abbagliata dallo splendore di una elegantissima corte, da ampollosi titoli, da imponenti parate ed esercizj militari.
Frattanto si avvicinava a gran passi il tempo in cui parve che nulla piĂš resistesse alla volontĂ dellâuomo straordinario. Solamente gl'Inglesi fra tante potenze abbattute, fra tante battaglie ordinate e vinte, soli essi ricusavano ancora di porgere incensi allâara dellâaltissimo e potentissimo Imperatore; ed i porti dellâEuropa napoleonica trovavansi chiusi al suo commercio dai numerosi navigli della Gran Brettagna. In conseguenza di ciò Livorno, dopo essere stato spogliato di merci e di denaro, restò per piĂš anni deserto di bastimenti mercantili e privo di quel traffico, da cui aveva ricevuto tanta vita e prosperitĂ .
Inebriata la Francia, abbattuta la Germania, doma lâItalia, sembrava strano al vincilore di tanta parte di Europa che il fiero Spagnuolo ed il superbo Inglese gli amareggiassero si gloriosi trionfi.
Ma giĂ i fati del gran capitano erano giunti al suo opogeo; giĂ la capricciosa fortuna lo rovesciava dallâaltissimo seggio, e ciò allâistante in cui egli meditava dilatare il suo dominio dalle cocenti arenc Gaditane fino al mar Caspio e alle desertiche regioni della Moscova.
Era segnato nei destini, che nel settentrione dellâEuropa perissero le speranze di Napoleone, che colĂ si cambiassero le sorti del mondo, colĂ dove il sarmato gelo intirizzĂŹ, assiderò, spense in pochi giorni un esercito numerosissimo, il piĂš bel fiore della parte piĂš popolosa piĂš colta e piĂš bella dellâEuropa, un esercito capace di vincere gli uomini, non mai di vincere il cielo, Allâannunzio sussurrato di tanto flagello i popoli da ogni lato insorgevano, i fautori, di stessi amici di Napoleone maravigliati, commossi, intimoriti piegavano i loro animi a salvare le accumulate ricchezze sino al punto di scuoprirsi mal contenti di lui ed anche suoi nemici.
Di cotal tempra mostrossi il re Gioacchino Murat, quando, vedute le cose di Russia, e poi quelle di Germania andare in fascio, egli si voltò alla corte di Vienna, sperando in tal modo di assicurare con la disgrazia di Napoleone quel real seggio che la buona fortuna di Napoleone avevagli apportato.
Infine il re Giovacchino, fermati i suoi casi con lâImperatore Francesco, si obbligò di far operare l'armi napoletane di concerto con quelle imperiali e con le truppe che andavano raccogliendo glâInglesi per tempestare lâalta Italia. â Infatti poco innanzi che Murat spingesse le sue genti sino al Taro per misurarsi contro lâesercito del principe Eugenio, compariva alla vista di Livorno una flotta brittannica convogliata da qualche migliajo di soldati, da seducenti proclami, da bandiere esprimenti in parole, indipendenza italiana; e portanti impresse due mani giunte, con lâidea di annunziare e di far credere nei nuovi conquistatori solida amicizia e sincera fratellanza.
Ma i Toscani al pari, se non piÚ degli altri Italiani, scotti da ripetuti esempj di simili allettative non si fidarono nè del variabile re Giovacchino, nè del poco generoso lord Bentink.
Era sul terminare dellâanno 1813 quando un migliajo di truppe collettizie sbarcava alla spiaggia di Viareggio per muovere verso Lucca e Livorno, nel tempo che Bentink, veleggiando con i suoi vascelli da guerra davanti a quel littorale, aspettava che il popolo cooperasse al suo scopo.
Non molto dopo, entrarono in Firenze i soldati napoletani, una parte dei quali nel dÏ 18 di febbrajo 1814 occupò senza ostacolo la città di Livorno, e due giorni dopo ricevè pacificamente la consegna delle fortezze dalla guarnigione francese.
Comunque andasse, fatto e che per tali malagevoli vie si liberò la Toscana da uu dominio piĂš odiato che dispotico; si liberò Livorno da un blocco troppo lungo e alla sua fortuna rovinoso; si liberò lâItalia, giĂ mente e maestra dâEuropa, dallo strazio, dal vilipendio, dal timore di un potente conquistatore che tripartitala fra lâimpero gallico, il regno italico ed il siculo, a suo arbitrio, solo per ammaestrarla, per felicitarla, qual inesperta pupilla la dirigeva, la comandava.
CosĂŹ la piĂš bella parte della nostra Penisola dopo una varia luttuosa catastrofe di tre lustri, dopo fortunosi eventi non previsti nè da prevedersi dalla politica piĂš recondita, e dalle menti piĂš perspicaci, con maraviglia pari al lungo desiderio si ricompose al pacifico regime del suo benamato Ferdinando; sicchĂŠ ad unâostinata sanguinosissima guerra terrestre e marittima succedendo giorni di calma e di serenitĂ , Livorno vide aprirsi davanti ed ampliare latamente gli sbocchi per offrire varie immense e durevoli risorse; al suo commercio.
Fra le prime misure governative di Ferdinando III, dopo il suo ritorno al trono avito, essenzialissima per i negozianti livornesi fu quella dettata dal Motuproprio dei 13 ottobre 1814, allorchè il tribunale di commercio, stato eretto in Livorno sotto il governo napoleonico, fu rimpiazzato dal magistrato civile e consolare, traslatatovi da Pisa, dove sino dai tempi della repubblica era stabilito.
Devesi a Ferdinando III lâattivazione del regolamento della camera di commercio di Livorno, ordinata con editto degli 8 aprile 1815; siccome è opera dello stesso Granduca (7 aprile 1818) lâistituzione di due commissarj di polizia in quella piazza, uno per lâinterno e lâaltro per i popolosi subborghi della cittĂ .
Una prova solenne della premura di quel sovrano nel favorire e proteggere il traffico di Livorno fu quella di esentare nel 1822 con apposito motuproprio le merci venute di sopra mare, che si rispedivano per terra allâestero, dal diritto dellâuno per cento. â Frutto della munificenza sua è pure uno dei piĂš eleganti, se non piĂš comodi edifizi i moderni che adornano Livorno, voglio dire la fabbrica marmorea dellâufizio di sanitĂ che fu alzato sullâingresso del molo alla bocca del porto.
Finalmente Livorno da lungo tempo scarseggiante di buone fonti e di acque salubri deve a Ferdinando III lâimmenso benefizio di possedere una copiosa quantitĂ di acque perenni (circa 18,000 barili per giorno) che divise in diversi getti fra poco scatoriranno in tutte le piazze, e nei principali quadrivj della cittĂ . Avvegnachè, se la cittĂ di Livorno fu provveduta nella sua prima fondazione di una sufficiente quantitĂ di acqua per glâindispensabili usi della vita, mediante le pubbliche cisterne e le sorgenti tartarose di Limone che vengono per i condotti vecchi sino alla cittĂ , ora non erano piĂš queste nè quelle bastanti a dissetare una sempre piu numerosa popolazione.
Furono esaminate le sorgenti migliori e piĂš copiose dei monti livornesi, e fu rappresentato al governo, che le sorgenti di Popogna gettavano a ragione di barili 156 lâora; e quelle di Colognole nei mesi di maggiore arsura fornivano 400 barili per ora. Col motuproprio del dĂŹ 7 novembre 1792 Ferdinando III ordinò la costruzione del nuovo acquedotto di Livorno, affidandone lâesecuzione al R. ingegnere Giuseppe Salvetti; e con altro motuproprio degli 11 nov. 1797 furono date ulteriori disposizioni per la continuazione degli acquedotti di Colognole che camminavano circa 11 miglia, e pei quali erano spesi 200,000 scudi la metĂ a carico del R. erario e lâaltra metĂ a carico della comunitĂ di Livorno. â Vedere lâArt, ComunitĂ di Livorno.
LIVORNO SOTTO LEOPOLDO II FELICEMENTE REGNANTE Eccoci giunti allâepoca piĂš brillante, al momento piĂš fortunato che la citta di Livorno offra alla storia dopo la sua prima fondazione.
Imperocchè, se fu grande la celerità per la quale molo, darsena, canali navigabili, mura, bastioni, fortezze, chiese, palazzi pubblici, stabilimenti, magazzini, strade, fonti e piazze se tutto ciò quasi per incanto sul finire del secolo XVI dal Granduca Ferdinando I si ordinò e restò vivente lui presso che compito, non recherà ai posteri minor maraviglia quando sapranno la prestezza con la quale Leopoldo II meditò, decretò nuove cose, e come tosto incoraggi migliaja di operaj, intenti a far sorgere intorno a Livorno un nuovo cerchio di mura della periferia di circa quattro miglia, una piÚ comoda e piu grandiosa darsena per i navicelli, ampie piazze, lunghe strade, deliziosi passeggi, porte, ponti, dogane, superbi edilizi sacri e profani, in guisa che bellezza, prontezza e comodità si diedero scambievolmente la mano per far nascere a contatto della vecchia una nuova città .
Oltre a ciò non è cosa meno degna di essere tramandata alla posteritĂ , che come il Granduca Ferdinando I, mentre fabbricavasi la nascente cittĂ , cercò di popolarla collâampliare le immunitĂ a favore di chi vi concorreva, allâopposto lâAugusto Leopoldo II, dopo compite tante opere portentose, quella legge stessa ha voluto abolire, affinchè nella sua bella e illustre cittĂ marittima non venisse, come a deturparla, gente vagabonda ed immorale.
Tanto cangiossi in meglio e progredĂŹ col pubblico costume la moderna civiltĂ ! Fra le prime benefiche disposizioni da Leopoldo II ordinate a favore dei Livornesi favvi quella di compire la volontĂ del suo benamato Genitore, allorchè in sgravio del commercio, ed in parte anche dei possessi fondiarii, dichiarò di portare a carico del governo il pagamento del debito creato dalla comunitĂ di Livorno per contribuzioni di guerra sotto il regime francese. Al quale oggetto nei primi giorni del 1845 furono posti allâincanto e respettivamente aggiudicati tanti stabili e canoni, di pertinenza del R. erario, per la somma di lire 270,000, da pagarsi in tante azioni di quei creditori.
GiĂ la popolazione di Livorno, aumentata di un terzo nel breve periodo di 20 anni, traboccava da ogni parte fuori delle mura di Livorno, ed i subborghi deâCappuccini e di Acquaviva fabbricati dal Granduca Francesco II, quello amplissimo e popolatissimo del Borgo Reale cresciuto sotto lâimmortale Avo del Granduca regnante, erano tutti pieni di popolo e di case, allorchè in mezzo a sĂŹ care memorie, davanti alla piĂš elevata, piĂš ridente e piĂš salubre pianura, Leopoldo II decretava, nel 28 nov. 1828, nuove opere edificatorie grandiose e regolari, nuova porta della cittĂ , nuovi ponti sui fossi, e tanti altri magnanimi provvedimenti.
Era giĂ vicina al suo termine la bella strada che innoltrare dovevasi a levante della cittĂ per il nascente subborgo della porta nuova di S. Leopoldo, quando si pubblicava lâordine sovrano dei 30 ottobre 1829 per alienare circa 25,000 braccia quadre di terreno rasente gli antichi spalti del Casone e di S. Cosimo , spettanti al dipartimento delle RR. fabbriche, del valore di 84418 lire toscane.
Non dirò dellâistantaneo acquisto di tali fondi, non dirò della metamorfosi accaduta in cotesta parte di cittĂ finâallora lasciata al riposo dei morti, o alla cultura degli orti, e che attualmente vedesi convertita in uno dei piĂš ridenti e meglio fabbricati quartieri; dirò bensĂŹ che la celeritĂ , con la quale tanti e cosĂŹ vaghi edifizj sono stati innalzati e compiti, fu tale da dovere sorprendere chiunque da quattrâanni non vide, e che ora torni a rivedere Livorno; dirò che tanta operositĂ e tanta smania di fabbricare, avendo mosso i Livornesi quasi a nuova speculaziane commerciale, fissò sempre piĂš le vigili cure del Principe. Quindi calcolando Egli il bene che doveva produrre al commercio di Livorno in particolare, ed alla Toscana in generale, la magnanima idea di concedere una piena ed assoluta franchigia a tutta la cittĂ , con estendere i privilegj di porto-franco a tanta e si bella parte di Livorno situata fuori delle antiche, e giĂ troppo anguste mura urbane; e convinto, che tale suo provvedimento dovesse efficacemente contribuire ad accrescere con le industrie nazionali il commercio locale, emanò il memorando motuproprio dei 23 luglio 1834, che fu per i Livornesi il fausto annunzio di unâEra novella. Imperocchè con quella legge venivano tolti di mezzo i diritti di stallaggio, quelli dellâuno per cento sulle merci, le tasse dei mezzani, sui caffettieri, locandieri, osti, ec. e fu levato lâonere di servirsi dei pubblici pesatori. del tempo che tutti questi aggravi, questi ostacoli si andavano ad abolire, lo stesso Legislatore annunziava, che ben presto i numerosi abitanti dei subborghi, sino allora contemplati come affatto staccati da quelli della cittĂ , avrebbero partecipato delle franchigie di quel porto-franco, e sarebbero parificati ed amalgamati coi primi, mercĂŠ di una piĂš larga circonvallazione, di un nuovo giro di mura che abbracciasse il fabbricato dei tre grandi subborghi della cittĂ (dei Cappuccini, del Borgo Reale, e del Casone); e che tutte queste operazioni si sarebbero eseguite a carico del R. erario.
A ciò si aggiunga lâindennitĂ che il governo sâimpegnava di dare ai possidenti dei campi, dei giardini, degli orti, per i quali dovevano attraversare le designate mura, i contigui fossi ed il pomerio della cittĂ .
Da un calcolo approssimativo, fatto allo spirare del 1826, resultò, (ERRATA: che il valore delle merci importate in detto anno a Livorno, e consegueutemente sottoposte al pagamento dei dazj, che toglievasi dalla legge del 23 luglio 1834, ammontarono a 6,000,000 di pezze da otto reali, pari a 34,500,000 lire toscane), che i dazii sul valore delle merci importate nel 1826 calcolaronsi per circa 9,000,000 di pezze da otto reali, pari a 52,000,000 di lire.
Sulla qual somma la dogana avrebbe dovuto percepire per stallaggio e diritto dellâuno per cento , corrispondenti cumulativamente al (ERRATA: 3) due per cento, la somma di L. 1,035,000 Per diritti dei pesatori L. 165,000 Totale dei diritti condonati L. 1,200,000 A compensare il R. erario di tanto sacrifizio, veniva dallâaltra parte il dazio consumo da pararsi dalla numerosa popolazione di circa 35,000 abitanti dei subborghi che restavano inclusi nel nuovo perimetro della cittĂ . (ERRATA: Aggiungevasi la tassa di lire 300,000 annue repartibile fra i negozianti, che la Camera del Commercio si obbligava a pagare per le generose franchigie accordatele; e finalmente lâaumento della tariffa sopra i cereali) Aggiungasi la tassa di lire 300,000 annue repartibile fra i negozianti, imposta a loro indicazione al commercio in correspettivitĂ delle generose franchigie ad essi accordate; fra le quali era quella che concedeva Porto-franco anche per i cereali esteri da introdurre in Toscana, o che fossero per attraversare il territorio del Granducato.
Oltre a ciò importava anche riflettere al maggiore incasso doganale che doveva accedere, dopo che per tali provvedimenti restavano precluse molte vie e tolti i mezzi a tanta gente, la quale da lunga mano era abituata a vivere di contrabbando a scapito del R. erario, a grave nocumento degli onesti negozianti, e a somma vergogna della pubblica morale.
Inoltre avendo S. A. I. e R rivolto le sue cure al miglioramento dei sistemi sanitarj, nel pensiero di mitigar le spese delle quarantene e il tempo delle contumacie, con lo stesso motuproprio del 23 luglio ordinò la redaziene di una nuova tabella per la contumacia delle mercanzie e per rendere proporzionata ai valori correnti delle merci anche la tassa dei diritti di purga da percipersi nei tre diversi Lazzeretti di Livorno, fu comandata nel tempo stesso la compilazione di una tariffa piÚ confacente sopra tali diritti da doversi rinnovare ogni anno.
Per tante elargitĂ che onoreranno sempre mai la munificenza dellâAugusto Principe e la sapienza del suo governo, per tanta prontezza di numerose ed importantissime disposizioni tendenti tutte ad agevolare le transazioni commerciali, ed a sospingere di bene in meglio la prosperitĂ di Livorno, la Camera di Commercio di questa stessa cittĂ volle con atti di beneficenza verso la classe degli indigenti dimostrare il giubbilo che risentiva da si generose concessioni. E però, appena divulgato lâeditto del luglio 1834, essa per collegiale determinazione decise di prelevare lire 7oo dai fondi destinati per le spese impreviste, e inoltre si esibĂŹ di accettare quelle offerte, che per spontanee sottoscrizioni venissero fatte dai negozianti, per destinarne lâammontare allâistesso scopo. Tale infatti e tanta fu la spontaneitĂ dei generosi soscrittori, che in meno di sei giorni le somme raccolte a benefĂŹzio dei poveri ammontarono a circa mille scudi.
Allo studio importantissimo del modo il piĂš opportuno per recingere il nuovo porto-franco di Livorno, prese parte l'ottimo Principe che ne governa, recandosi piĂš volte in persona a visitare i luoghi, sui quali erano stati segnati i progetti dei di versi perimetri di questa grandâopera, la direzione della quale venne affidata al commendatore Alessandro Manetti direttore del Corpo deglâingegneri e del bonificamento idraulico delle Maremme.
Dovevasi alla cittĂ lasciare proporzionata ampiezza anche sulla fondata speranza dei futuri incrementi, circondarla con un perimetro regolare, avere il maggior possibile rispetto per le proprietĂ , mantenere le comunicazioni di terra e dâacqua esistenti fra la campagna e i subborghi, i quali tutti dovevano includersi, tranne il piĂš lontano della cittĂ , quello di S. Jacopo dâAcquaviva. â Vedere COMUNITAâ DI LIVORNO, Cerchi diversi della cittĂ .
Era giĂ condotto a termine nel breve periodo di due anni, non ostante le triste vicende frappostesi, il latoro del piĂš ampio perimetro della cittĂ e porto-franco di Livorno, allorchĂŠ Leopoldo II con motuproprio del 7 marzo 1837 dichiarò, che fossero aperte per lâimminente aprile le nuove barriere.
Mentre da un lato cresceva di edifizj e di spazio Livorno, dallâaltro lato si provvedeva ad uno fra i maggiori bisogni della popolazione, alla bonificazione cioè della Paduletta fuori di Porta S. Marco, fomite inesausto di esalazioni perniciose, e aumentavano le opere dei nuovi acquedotti per fornire di fonti tutto lâampio recinto della cittĂ . GiĂ si disse, che sul declinare del secolo XVIII Ferdinando III faceva per mano dal R. ingegnere Salvetti agli acquedotti di Colognole, e di lĂ pure derivano diverse fonti di quelle acque limpidissime e salubri per dissetare Livorno. Dopo molti anni di sospensione fu ripresa la grandiosa opera dal R. ingegnere attuale, cav. Poccianti, ne molto tempo andrĂ , che ultimati i desiderati lavori, si vedranno fluire tutte le sorgenti di Colognole nel magnifico e sorprendente edifizio del gran Cisternone, onde farne di lĂ una regolare e perenne distribuzione in tutte le parti della cittĂ e porto franco.
Erano inoltre con tanti accrescimenti rimaste insufficienti ai bisogni della popolazione le poche e non molto vaste chiese di Livorno; la onde per provvedere al servizio spirituale, fu dal religioso Principe nel dÏ 22 giugno del 1836 segnato un motuproprio, col quale venne disposto, affinchè venissero edificate dentro Livorno quattro nuove chiese, compresa la maggiore, attualmente in costruzione a levante della città ; e che tutte queste, come quella dei Cappuccini, di S. Benedetto e dei SS. Pietro e Paolo, dovessero erigersi in parrocchie assolute.
Sono accessorj allâincremento in tal guisa dato allâattuale cerchio di questa cittĂ marittima molte altre opere edificatorie, fra le quali la piazza e passeggio di S.
Benedetto, e quello piĂš lontano dellâArdenza. â Entrano, nel numero delle sopraccennate, varie imprese della ComunitĂ , il palazzo del Governatore, le nuove strade fognate, lastricate e illuminate; mentre ai privati appartengono moltissime bene architettate, comode ed eleganti abitazioni, che quasi per incauto da una stagione allâaltra si veggono sorgere dai fondamenti, abbellirsi e senza riposo nè scrupolo da distinte classi di persone tosto abitarsi.
Finalmente lâistituzioni recente della Banca di Sconto (25 gennajo 1837), è divenuta per sua natura la moderatrice dei scontisti, nel tempo che giova moltissimo al maggior disbrigo degli affari commerciali, e allâonore della fede mercantile.
Movimento della popolazione di LIVORNO dentro le antiche mura a tre epoche diverse, divisa per famiglie, esclusi i forestieri e la popolazione avventizia del Porto.
ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici -; eterodossi ed ebrei -; totale delle famiglie 194; totale della popolazione 749.
ANNO 1745: Impuberi maschi 1320; femmine 1259; adulti maschi 6005, femmine 6095; coniugati dei due sessi 2880; ecclesiastici 327; eterodossi ed ebrei 10154; totale delle famiglie 4862; totale della popolazione 28040.
ANNO 1833: Impuberi maschi 3807; femmine 3935; adulti maschi 6158, femmine 5907; coniugati dei due sessi 9665; ecclesiastici 175; eterodossi ed ebrei 5771; totale delle famiglie 5882; totale della popolazione 35418.
COMMERCIO DI LIVORNO DOPO LâABOLIZIONE DEI DAZJ Economisti, calcolatori, negozianti, dotti ed eruditi scrissero, predissero, sentenziarono, chi prò, chi contra la fortuna commerciale di Livorno, e certo al dire degli uni e degli altri non mancava materia; cosicchè se da un lato i primi preconizzavano Livorno, in grazia delle larghe franchigie, in virtĂš della geografica posizione o per effetto delle molte ed importanti cose in poco tempo fatte, destinata a diventare, se non lo è, il primo porto dâItalia; al contrario i secondi, contemplando e protestando di possedere una conoscenza intima della pubblica economia, predicevano dello stesso porto-franco meno lusinghiere speranze.
Era fra questâultimi lâanonimo autore di un elaborato articolo sul commercio di Livorno, stato inserito negli Annali universali di Statistica a Milano nellâultimo mese dellâanno 1837. (Vol. 54 pag. 350 e segg.) Vero e, che quando nascono controversie, sopra circostanze complicate, come quelle chc costituiscono il commercio di una piazza, non servono ragionamenti ipotetici, coi quali non fia difficile poter scendere a conclusioni tanto in favore, come in disfavore del quesito che ognuna delle due parti opinanti vĂ facendosi, quello cioè: Se il commercio di Livorno sia in via di accrescimento o di deperimento? â Quesito difficile a risolversi in modo, se non positivo, almeno persuasivo; poichè chi sostiene la prima opinione si sentirĂ rinfacciare i tempi passati, e chi produce la seconda non vorrĂ tener esatto conto della posizione attuale delle cose commerciali di questo nostro emporio.
Si predicava decadenza al commercio di Livorno sino dal 1758, quando il governo di quel tempo interpellava i negozianti piĂš solidi di varie origini a rispondere conscienziosamente a varj quesiti; fra i quali eravi quello di accennare le cagioni della decadenza del commercio marittimo di Livorno e il modo migliore di ripararvi.
Eppure da quellâepoca in poi, ad eccezione dei casi di emergenze fisiche o politiche impreviste, Livorno andò quasi progressivamente prosperando in popolazione, in ricchezza, in attivitĂ commerciale.
Nel 1758 i negozianti livornesi tremavano per le franchigie state concesse ai porti di Nizza, di Civitavecchia, di Napoli e di Ancona; adesso si trema per il deviato commercio di deposito e di commissione, lâunico lucro che dava da vivere a Livorno 80 anni fa. â (Vedere una memoria dei negozianti Olandesi stabiliti in Livorno posta tra i MSS. della biblioteca Marucelliana.
A. CCXX. 23) Debbo qui esprimere la mia riconoscenza al sig. Console C. A. Dalgas, che figura fra i negozianti piĂš sperimentati di Livorno, ed al sig. Eduardo Mayer Direttore della Banca di Sconto di detta cittĂ , i quali si sono compiaciuti rispondere a vari miei quesiti, e comunicarmi diversi appunti di statistica interessanti sul commercio attuale di quella istessa piazza.
Diversamente vi fu un tempo rispondeva uno di essi al proposto quesito in cui moltissimi affari si operavano da pochi e con quasi niuna briga. Ogni anno, per esempio, nelle debite stagioni venivano gli ordini dal Nord per i prodotti del Levante, e contemporaneamente arrivavano i carichi dei generi richiesti. I mezzani di mercansie ne facevano la repartizione fra le diverse case esportatrici. I mezzani di caricazione assegnavano ad ognuna il posto sulle navi caricatrici; in guisa che vendita, compra, spedizione, tutto si eseguiva nella santa pace del monopolio. CosĂŹ andavano allora le faccende; ma quei tempi passarono e non si rividero piĂš.
Venne altra epoca; la guerra desolava lâEuropa, e pochi erano i luoghi privilegiati che fossero rispettati da questo flagello; Livorno era uno di questi, ed ivi affollavano le navi americane con i loro carichi. Le case di commercio in quel ramo di affari poterono contare alla loro consegna in una volta 8, 10, 12 e perfino 15 carichi di generi coloniali, e questi venderli tutti in pochi giorni a due o tre soli speculatori ...... Quei tempi non sono piĂš. â Furono bei momenti per pochi, seguitati peraltro da lunga e crudele copiazione per lâintiera cittĂ . Chi potrebbe desiderarne il ritorno? Dacchè alle spaventose guerre desolatrici, alle maravigliose battaglie di centomila combattenti alle grandi commozioni politiche sottentrarono giorni piĂš tranquilli, in cui gli studii delle scienze, gli esperimenti dellâindustria, i calcoli del commercio poterono riprendere il loro posto, anche Livorno svelò tra le cittĂ dâItalia tale movimento materiale, morale, manifatturiero e commerciale da sorprendere non solo lâeconomista e il calcolatore, ma il filosofo e chiunque altro senta nellâanimo il pregio del progresso, sicchè ognuno di essi dovrĂ alla fine dei conti concludere, che di tutti quei prodigj è stato opera il commercio.
Non evvi piĂš per dir vero quella regolaritĂ di una volta negli arrivi dei diversi prodotti; saranno anche, se si vuole, piĂš incerti gli affari; le comunicazioni dirette fra le diverse contrade del mondo avranno tolto a Livorno il privilegio di esser piazza di deposito; ed oltre a ciò bisognerĂ attualmente competere con gli altri porti-franchi del Mediterraneo e dellâAdriatico; in generale le circostanze saranno, e sono di fatto diverse da quelle di una volta, quando le cose camminavano da sè. Oggi pertanto governo e commercianti debbono stare allâerta per riparare cantamente e solidamente gli argini di un fiume che fattosi gonfio minaccia di deviare dal suo letto per mille canali.
Non piĂš circostanze fortuite favoriscono i porti di mare; conviene gareggiare con i porti rivali, ed attirare a sè quel maggior traffico possibile, mediante franchigie, mercè delle facilitĂ nelle transazioni, nelle comunicazioni. Non bisogna oggigiorno addormentarsi neppure unâora per non andare a rischio di svegliarsi miseri il giorno dopo.
Ognuno deve aver presente la massima della piĂš ricca casa mercantile della Rep. Senese (la casa Salimbeni), che portava per insegna della sua fortuna questo motto: PER NON DORMIRE. Che se lâattivitĂ dellâuomo è quella che adesso vien chiamata a far bella mostra di sè, non vale essa meglio dellâincertezza dei trambusti politici, o dellâapatia dei tempi passati?.... Se ne giudichi dallo stato attuale del commercio di Livorno, nei diversi quadri sinottici che si pongono in calce al presente articolo.
La posizione geografica di Livorno ĂŠ senza dubbio fra le piĂš felici e favorcevoli del nostro Mediterraneo, perchĂŠ essa trovasi la piĂš centrale delle coste italiane, ed anche perchĂŠ havvi costĂ tal varietĂ di generi di esportazione, che molte navi estere, dopo avere scaricato in altri porti, bene spesso vengono a Livorno in zavorra per prendervi mercanzie da portarle in patria. Che se per il passato molti navigli scansavano questa piazza per i carichi dâimporlazione, sul riflesso di non soggiacere ai dazii ed alle vistose spese delle lunghe quarantene, adesso che un provido governo ha tolto i primi e modificato le seconde, è ben ragionevole il supporre, che le navi mercantili siano per approdare, a preferenza di molti altri, nel porto di Livorno, dove troveranno sempre grandi magazzini pubblici da depositarle e sempre pronto il loro carico di ritorno.
Dato, e concesso per fatto positivo, che il commercio di deposito non si possa mai piĂš riprodurre in Livorno, meno che per impreviste e passeggere cause politiche, in quella grande estensione comâera nei tempi passati, quando infondeva tanta vita e moto a quel mercato; non ne consegue perciò, che il suo traffico debba andare decrescendo nella guisa che si prevedeva dallâaulore dellâarticolo poco sopra citato.
Ammesso anche per vero, che le comuicazioni dirette tra i paesi di produzione e quelli di consumazione vadano sempre piÚ prendendo piede, non per questo un tal fatto potrebbe estendersi al di la dei suoi giusti limiti; dovendosi riflettere, che in molti casi da un simile sistema non si ricaverebbero i vantaggi che al primo aspetto sembrar potessero tali quali si desiderano; avvegnachè non sarebbe difficile dimostrare, che spesse volte ciò risulta a danno degli stessi speculatori.
Citerò fra i molti un esempio. Dacchè glâInglesi vanno direttamente alle Isole ioniche a cercare le uve passoline, essi ne hanno aumentato il prezzo di gran lunga superiore a quello del tempo in cui queglâisolani mandavano lo stesso prodotto a vendere per loro conto a Trieste, a Livorno e a Marsiglia; mentre ora gl'Inglesi colla veduta di lucrare sulle proprie manifatture per pagare la passolina; ve le spediscono di quelle molto al di la del consumo delle Isole stesse; in guisa che, o ne resta incagliata la vendita, oppure oltre modo avvilito il prezzo.
La stessa cosa accade quando si voglion mettere in comunicazione diretta i paesi che non hanno prodotti capaci di scambio; perchè se lo stoccafisso, per esempio, della Norvegia, le aringhe dellâOlanda, gli abeti di Moscovia ec. possono essere generi di consumo nella Grecia, non saprei qual prodotto ellenico fosse convenevole per un carico di ritorno al Nord; ed in conseguenza, o bisogna che i navigli che portarono simili merci ripartano dalla Grecia vuoti, oppure che corrano il rischio di perdere sul carico di ritorno piĂš di quello che non guadagnarono sul carico di andata.
Quindi è che in molti casi trovansi utilissime al commercio certe stazioni di mercato, certi porti di deposito intermedio, onde facilitare le operazioni tra tutti quei paes i che non hanno generi atti ad uno scambio: talchè rendesi moralmente impossibile di poter supplire direttamente con vantaggio ai bisogni di ogni paese.
Senza dubbio per gli articoli principali e di generale necessitĂ , come sono i commestibili, i generi coloniali, cotoni ec. a lungo andare il commercio diretto dal luogo di produzione a quello di consumo deve riescire piĂš vantaggioso di quello indiretto; ma anche un simil traffico va soggetto a delle eccezioni; e lâamericano che imprende a fornire di caffĂŠ e zucchero il mercato di Nauplia, o di Atene, spesse volte ne ricaverebbe miglior costrutto se si fermasse a Livorno. Imperocchè, se ai bisogni di quelle parti fosse stato supplito da qualcuno che lo precedè, lâarrivo di un nuovo carico deve produrre tale dopressione in quel mercato da non porsi a confronto con le vicende del mercato di Livorno; nel quale, essendo solito trovarsi un continuo deposito di generi coloniali, lâarrivo di alcuni carichi piĂš o meno non influisce materialmeute sul prezzo della mercanzia che vi si porta.
Che piĂš devâentrare sempre nei calcoli del capitano americano che viene con le sue merci nel Mediterraneo, non solo la vendita delle proprie derrate, ma anche la compra di quelle che dovrĂ riportare nellâOceano, e bene spesso fisserĂ , secondo lo stato del mercato, lo scopo principale della sua speculazione. In simili casi egli preferirĂ molte volte il porto di Livorno a quello di Trieste, nonostante lo sfogo maggiore che offre questâultimo. Avvegnachè la posizione geografica di Livorno assicura maggiormente al mercante americano il buon esito della sua impresa, e costĂ essendo sicuro di trovare tutti i prodotti piĂš utili alla sua imbarcazione, ed una varietĂ di generi assai superiore a quella di altri scali del Mediterraneo, eviterĂ un piĂš lungo viaggio sino al fondo dellâAdriatico, sul riflesso che tale ritardo possa dar luogo ad altro competitore di sopplire prima di lui a quei bisogni del paese dove egli aveva divisato di approdare.
Non credo poi vero, che Livorno sia destinato a procedere da qui avanti, come disse lâautore del citato articolo, unicamente ai bisogni del Granducato, di Lucca, Massa e Carrara, perchè una gran parte della Romagna provvede a Livorno nei suoi bisogni; e di qua si fa un traffico di qualche conseguenza per contrabbando colla Sicilia, con Napoli, col Genovesato, con la Francia con la Spagna, e piĂš ancora con la Sardegna e la Corsica. E comecchĂŠ glâInglesi mediante Malta e le Isole ioniche, gli Austriaci per la via di Trieste e di Venezia, i Francesi con l'emporio di Marsiglia, i Piemontesi col porto di Genova abbino assorbito una grandissima parte del commercio di Levante, dellâEgitto e della Barberia, pure è rimasta ancora una porzione non indifferente (ERRATA: di questi traffici, alle case commerciali) di questi traffici, specialmente con la Siria, Cipro e lâEgitto, alle case commercianti stabilite in Livorno.
Lâautore dellâarticolo piu volte rammentato si appoggia molto sullâostacolo che presenta la catena dellâAppennino al commercio livornese, a motivo della maggior spesa di trasporto; nè alcuno potra contradirglielo, specialmente quando trattasi di generi voluminosi, pesanti e di poco prezzo; ma per quelli di maggior valore la differenza della condotta si riduce ad unâinezia tale, o da non meritare attenzione, o da doversi contemplare come bilanciata dai vantaggi che offrono la vicinanza dei luoghi e il risparmio del tempo per averla.
E qui cade in acconcio il fare osservare, ehe in Livorno, oltre i generi che vi sâintroducono di sopra mare, si riunisce un deposito di prodotti indigeni assai superiore a quello di Genova, e di altri porti del Mediterraneo, anche senza voler contare lâimportazione delle granaglie valutata negli ultimi due anni sopra 30 milioni di lire. â Vedere il Quadro di N.Âş II.
In quanto allâarrivo dei principali articoli coloniali, dal 1833 a tutto il 1837, i quali generi importarono il valore approssimativamente calcolato di 38,500,000 lire toscane, indicherò al lettore il Quadro di N.Âş III.
Vero è che in Livorno non si posseggono dati officiali per stabilire calcoli precisi di una statistica commerciale, laonde non vi resta altra via da argomentare se non quella per induzione, qualora da questa via si dovessero eccettuare le merci dâimportazione, giacchè per queste vi è il dato dei manifesti dei carichi.
GioverĂ per conoscere a un di presso la quantitĂ dei generi di esportazione un calcolo fatto dai tassatori della Camera di commercio; il quale nel 1835, diede per approssimazione la cifra di circa 50 milioni di lire di valuta di mercanzie esportate, e di 70 milioni di lire per quelle introdotte in Terraferma; di modo che lâesportazione sarebbe stata minore circa dellâimportazione.
Si noti che tanto la quantita, come le valute dei generi importati, distribuiti dei sei gruppi della Tavola di N.ÂşV, vanno naturalmente soggette ad oscillazione per circostanze speciali; comecchĂŠ aperti ne, ozianti livornesi abbiano osservato, che la diminuzione di un anno venga tosto compensata dallâaumento dellâanno seguente.
Qual sia lo sfogo di questâannua quantitĂ di generi portati al mercato di Livorno, si rileva da un breve ragguaglio che qui riportasi per gli articoli principali.
RAGGUAGLIO SUL COMMERCIO DI LIVORNO PRODOTTI IMPORTATI DAL LEVANTE I Cotoni sodi dellâEgitto. â Si spediscono nella Svizzera, in Iughilterra, in Francia e nel Belgio.
Le Lane. â Un terzo dellâimportazione si consuma in Toscana, gli altri due terzi passano in Francia, Inghilterra e Piemonte. â Le Sete. â Oltre i bisogoi della Toscana se ne fanno delle spedizioni dper Genova, e qualche volta vengono richieste per la Barberia.
Le Cere. â Gran parte se ne consuma nel Granducato e molta se ne spedisce in Sicilia.
I Lini. â Si consumano per la maggior parte in Toscana.
Le Galle, Gomme, Sena, Zaffrone ec. â Si esportano per lâlnghilterra, per lâOlanda, il Belgio e la Germania.
L'Oppio. â Si spedisce in Francia, Inghilterra, America ec.
PRODOTTI IMPORTATI DAL PONENTE E DAL NORD Coloniali . â Un gran consumo ne fa la Toscana; quantitĂ imponenti vengono spedite nella Romagna non solo per i suoi bisogni, quanto per quelli degli Abruzzi.
Livorno inoltre supplisce alle richieste del Lucchese, a una parte del Modenese e della Sicilia. Spedizioni Assai rilevanti se ne fanno pure per le Isole Ioniche, per il continente della Grecia, per la Barberia, Soria, Costantinopoli e Odessa.
Manifatture Inglesi, Svizzere, Francesi ec. â Si può calcolare che (ERRATA: 3/4) circa la metĂ delle importazioni di questo ricco ramo di mercatura venga rispedito principalmente per lâEgitto, per la Barberia e per la Soria. Lâaltro quarto si consuma in Toscana e in altre parti dellâItalia.
Salumi . â Quasi tutta lâimporlazione si consuma nello stesso Granducato, nel Lucchese, e una porzione passa in Sardegna, allâIsole Ioniche ec.
Metalli, Legnami, Catrame e Pece. â Prelevato il consumo locale e della Toscana, il restante si esporta per la Romagna, Napoli, Sicilia,Egitto e Levante.
Vacchette di Russia. â Molte consumansi nello Stato, e altre se ne spediscono in Romagna, nel Modenese ec.
Lini. â Servono per il consumo della Toscana.
Fin qui degli articoli principali ed esotici allâItalia ed alla Toscana. Ora parlando del ramo di esportazione dei generi greggi e manifatturati indigeni che provengono dalla Toscana, o che si fabbricano in Livorno, limitandoci ai principali, possono ridursi ai qui appresso registrati.
(Vedere il Quadro N.Âş VI e VIII.) Che se oltre al traffico nei sopranominati articoli si voglia aggiungere la somma di molti altri, come vini forestieri, oggetti di mode, perle, gioje, chincaglierie, bigiotterie ec.
cosĂŹ pure il ramo bancario in verghe di oro e di argento, o in monete estere ec. ec. noi avremo in essi altrettanti elementi dâindustria commerciale per il Porto-franco di Livorno da rincorare anche i piĂš meticolosi.
E se a taluno sembrasse travedere parzialitĂ in questa esposizione, ne appelliamo al giudizio degli esteri, fra i quali vorremmo contare il redattore del giornale di Marsiglia, il Semophore, dove sotto la data del 20 gennajo 1838, può leggersi un articolo sul commercio di detta cittĂ col Levante, dal quale apparisce: che durante lâultimo semestre del 1837 della provenienza dal Levante entrarono: Nei porti dellâInghilterra, Bastimenti Numero 388; dei quali un 3/4 delle Isole Ioniche Nel porto di Genova, N.Âş 392 Nel porto di Livorno, N.Âş428; dei quali (bastimenti entrati nei porti di Genova e Livorno) 3/4 dal Mar Nero Nel porto di Marsilia N.Âş 350 (Va aggiunta lâosservazione del Semophore medesimo : âMarsilia è dunque per questo lato in ultima linea. Ma non si possono negare i progressi rimarchevoli di Trieste, Livorno e Genova che rapidamente crebbero allâombra delle loro franchigieâ - Semophore -).
Ciò nonostante a lode della veritĂ dobbiamo convenire, che il porto di Marsiglia aânostri giorni si è reso il primo mercato del Mediterraneo compresi i mari dipendenti, e che il porto di Livorno nel prospetto comparato del movimento commerciale, stato di recente redatto, dei 15 principali porti del Mediterraneo, Adriatico, Arcipelago, e Mar Nero, viene al certo collocato nel quinto posto: cioè, dopo quelli di Marsiglia, di Trieste, di Costantinopoli e di Genova.
Mi si domanderĂ ora: da chi si fa, e nelle mani di chi passa il commercio dâimmissione e di estrazione di Livorno? al che risponderò; che quasi tutto il suo commercio, se si eccettuano le manifatture, i grani e poco altro, suol farsi per conto dâamici, cioè per interesse degli esteri.
Accade peraltro nou di rado, che le case dei ricevitori stabilite in Livorno prendono interesse nelle consegne di America e dâInghilterra. Vi sono pure dei negozianti di seconda mano che elle volte fanno venire dei generi per loro conto da Trieste, da Marsiglia e da Genova. Ciò ha luogo per esempio in questo momento in cui, mancando di arrivi diretti, si ricevono da Marsiglia Zuccheri, Caffè, Pimenti e Campeggio in gran quantitĂ . In conseguenza di ciò vi ĂŠ stato nellâInverno del 1838 molta esportazione di numerario in oro per la Francia, e in francesconi per Genova, appunto per bilanciare il volore di tali importazioni. (Si aggiunga : E ciò a cagione della crisi americana, per la quale diminuĂŹ molto lâesportazione dei Prodotti toscani, mentre dallâaltro canto gli arrivi delle granaglie dal Mar Nero, essendo stati assai numerosi, vi fu nellâinverno e nella primavera decorsa molta esportazione).
Per la statistica degli stabilimenti commerciali esistenti in Livorno nel principio dellâanno corrente 1838, vedasi il Quadro qui appresso segnato di N.Âş I.
Dal prospetto del N.ÂşIV, indicante il numero dei fallimenti accaduti fra le case di commercio di Livorno di prima, seconda e terza classe, a cominciare dal 1822 sino al 1838, si rileva che la media proporziale dei fallimenti non supera, per le case di prima classe, lâ1 e 4/5 per anno, il 4 per le case di seconda classe, e il 5 e 8/15 per quelle di terza classe. Nel totale pertanto 1a misura media corrisponderebbe al discretissimo numero di 11 e 1/3 per anno in tutto il commercio di Livorno.
Buoni effetti del Vapore per le pronte comunicazioni commerciali Io non parlo dei pericoli e del rischio cui i porti andarono soggetti dopo messa in pratica la corriera velocissima del vapore, poichè Marsiglia, Genova, Napoli e pur troppo il nostro Livorno ne provarono lacrimevoli effetti; dirò solamente, che tutto ciò che accelera e facilita il consorzio commerciale, infondendo nuova vita e maggior vigoria ad ogni sorta dâumana industria, produrrĂ sempre un buon effetto, siccome lo ha risentito Livorno dal commercio acquatico spinto dal fuoco.
Per dirne poche fra molte, le sete di Spagna prima dei battelli a vapore difficilmente giungevano a Livorno, adesso per la via di Marsiglia ne arrivano continuamente per alimentare le fabbriche di Toscana, mentre le sete nostrali di qualitĂ piĂš fina e pregiata si spediscono in Inghilterra. â Le manifatture del Nord della Francia, della Prussia Renana e della Svizzera arrivano a Livorno con la massima facilitĂ e sollecitudine. Serva questo solo esempio. Una spedizione di manifatture dâinvio dalla Svizzera giunse in Livorno e fu venduto il carico, e rispediti i conti con le rimesse del prodotto al fabbricante dentro il brevissimo periodo di un mese, dal giorno châegli ne fece la spedizione suddetta.
Il vapore per via di mare tiene Livorno in continua relazione con Marsiglia, Genova,Civitavecchia e Napoli; il vapore per via di terra, tracciata che sarĂ la strada di ferro progettata da Livorno a Firenze, aumenterĂ senza dubbio il movimento del commercio e delle industrie fra Livorno, Lucca, Pescia, Pistoja, Prato e la Capitale della Toscana, e via facendo altrettanti bracci secondarii, questi agevoleranno e renderanno piĂš economiche e quindi piĂš copiose le comunicazioni con Bologna, con Modena, Parma, la Romagna ec.
Il passaggio frattanto dei forestieri per Livorno in grazia del vapore marittimo si è accresciuto in guisa che, nel 1836, non meno di 26000 furono quelli che transitarono di costà .
Il numero delle corse dei battelli a vapore nel 1836 fu di 322, ma nel 1837 per causa del ritornato, sebbene meno micidiale cholèra, vi fu lunga interruzione.
La Nota Sommaria del Quadro statistico N.ÂşX, indicante la quantitĂ dei bastimenti arrivati in Livorno da un buon secolo a questa parte, sebbene non qualifichi la loro portata, nè le bandiere sotto le quali veleggiarono, nè tampoco le merci che conducevano, o che venivano a caricare, tuttavia può dare unâidea della frequenza progressiva dei navigli a questo emporio.
Bastimenti a vela quadra arrivati coi loro carichi in Livorno negli anni 1836 e 1837, esclusi i battelli a vapore Inglesi, anno 1836 NÂş 156, anno 1837 NÂş185 Francesi, anno 1836 NÂş15, anno 1837 NÂş 40 Russi, anno 1836 NÂş46, anno 1837 NÂş 96 Svedesi, anno 1836 NÂş14, anno 1837 NÂş 23 Danesi, anno 1836 NÂş 11, anno 1837 NÂş 4 Americani, anno 1836 NÂş 32, anno 1837 NÂş 18 Spagnuoli, anno 1836 NÂş 12, anno 1837 NÂş 13 Jonici, anno 1836 NÂş 11, anno 1837 NÂş 22 Ellenici, anno 1836 NÂş 55, anno 1837 NÂş 104 Austriaci, anno 1836 NÂş 55, anno 1837 NÂş 139 Napoletani, anno 1836 NÂş 98, anno 1837 NÂş 80 Sardi, anno 1836 NÂş 191, anno 1837 NÂş 184 Toscani, anno 1836 NÂş 114, anno 1837 NÂş140 Belgi,Olandesi, Anoveresi, Prussiani, Ottomanni e Romani, anno 1836 NÂş 23, anno 1837 NÂş 27 Totale anno 1836 NÂş 831 Totale anno 1837 NÂş 1075 Alle quali due cifre qualora si aggiungono quelle dei bastimenti di vela latina, i vapori ed altri navigli che fanno il cabotaggio, noi avremo per lâanno 1836 un totale di 5503, e per lâanno 1837 di 5897 arrivi.
Fra i 1075 bastimenti di varie nazioni che dopo lunghi viaggi, approdarono nel 1837 a Livorno, quelli toscani figurano per N.Âş140. â La bandiera toscana frattanto intraprende precipuamente i viaggi dâAlessandria, di Barberia e di Soria. Pochissimi passano nel Mar Nero, poichè di 351 arrivi in detto anno da quelle parti, Livorno ne conta solamente undici toscani. Troppo poco per un commercio cotanto utile per la Marina! Mancava a questa piazza per il maggiore disbrigo degli affari una Banca di Sconto, e questa fu aperta ed istantaneamente coperta di azionisti, emanata la notificazione dei 25 gennajo 1837, che approvò la SocietĂ anonima e gli statuti proposti per sĂŹ buona istituzione. La Banca di Sconto di Livorno ha un capitale di due milioni effettivi, con la facoltĂ di potere emettere fino a sei milioni di lire in cedole.
L'interesse del denaro in Livorno, presa la rata media, si può stabilire al 5 per cento lâanno. Se desso è maggiore di quello che praticasi in altre piazze ciò dipende dalla specialitĂ delle circostanze che determinano il prezzo del denaro piĂš o meno caro.
Infatti dal Prospetto delle società mercantili e delle case di commercio, che può vedersi nel quadro qui appresso N.º I, non apparisce che vi sia in Livorno sovrabbondanza di numerario proporzionatamente alle operazioni che vi si fanno. ma vi supplisce una grande attività , e la somma diligenza nelle transazioni.
La regolaritĂ in generale di queste operazioni è tale che Livorno a buon diritto passa per una delle piazze piĂš solide ed è appunto una siffatta attivitĂ quella che mantiene lâinteresse dentro il suddetto limite. La Banca di Sconto, il di cui studio fu di seguitare lâandamento della piazza medesima, ha finora regolato i suoi sconti nel modo seguente: Fino al 3 sett. 1837; 5 per % massimo Dal 4 sett. al 29 ottobre; 4 e 1/2 per % Dal 30 ott. al 1 febb. 1838; 4 per % Dal 19 febb. al 1 marzo detto; 4 e 1/2 per % Dal 2 marzo in poi fu rimesso al 5 per % Dal fin qui detto, dai confronti fatti, dalle cifre officiali riportate, dalle molte industrie, arti e mestieri specificati nel Prospetto qui appresso di NÂş. IX, dai pro'vvedimenti governativi recentemente emanati, sarĂ facile argomentare e definire, se il commercio di Livorno sia nella decadenza, oppure nella via del rialzamento.
N° I QUADRO STATISTICO degli STABILIMENTI COMMERCIALI DI LIVORNO desunto da Note ufficiali dellâanno 1838.
1. Genere di Stabilimenti e Negozii: (ERRATA: Case di Commercio di prima classe) Case di Commercio e fra queste Società Commerciali delle tre specie determinate dal Codice di Commercio - a - Specie e Quantità : Israelitiche N° 100, Nazionali N° 95, Inglesi N° 25, Greche N° 23, Tedesche, Svizzere e di altre Nazioni N° 50 (ERRATA: Numero complessivo: N° 293): in tutto N° 293) Quantità dei Capitali rispettivi: (ERRATA: da mezzo) da 50,000 sino a tre milioni di Lire toscane circa per casa (ERRATA: 2. Genere di Stabilimenti e Negozii: Società Commerciali delle tre specie determinate dal Codice di Commercio - a -) Specie e Quantità : Collettive N° 40, Accomandite N° 40, (ERRATA: Anonime, tra le quali) Anonime N° 5, tra le quali la Banca di Sconto (ERRATA: Numero complessivo: N° 85) Quantità dei Capitali rispettivi: Capitale incalcolabile (per le Collettive), Capitale incalcolabile (per le Accomandite), 2,000,000 in effetttivo (N.B. Questa cifra riferisce unicamente alla banca di Sconto) e 6,000,000 in cedole (per le Anonime) Osservazioni: - a - Nel 1835 in Livorno contavansi 44 scontisti con un capitale effettivo di 12,000,0000 di lire toscane. (ERRATA: La Banca di Sconto) Lo sconto era molto variabile, la Banca però recentemente stabilita, mercè la quale il massimo sconto valutasi al 5 per % è divenuta di sua natura la moderatrice sotto questo importantissimo rapporto commerciale.
3. Genere di Stabilimenti e Negozii: Commercianti in dettaglio, Bottegai e Fabbricanti Specie e Quantità : Nazionali N° 450, Israeliti N° 110, Forestieri N° 71 Numero complessivo: N° 631 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale 4. Genere di Stabilimenti e Negozii: Mezzani maggiori Specie e Quantità : Nazionali N° 230, Israeliti N° 115 Numero complessivo: N° 345 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale 5. Genere di Stabilimenti e Negozii: Osti, Caffettieri Numero complessivo: N° 269 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale Totale dei tassati N° 1538 Piccoli Commercianti, Mezzani minori ed altre industrie non tassate dalla Camera di Commercio (b) N° 226 Quantità dei Capitali rispettivi: Somma incerta del rispettivo capitale Osservazioni: (b) Le sole cinque classi segnate sopra con i numeri da 1 a 5 sono tassate dalla Camera di Commercio.
TOTALE N° 1800 N° II QUADRO STATISTICO dellâIMPORTAZIONE dei CEREALI arrivati a LIVORNO negli anni 1836 e 1837, e loro medio valore.
- qualitĂ dei cereali: Grano quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 929,372 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 1,867,169 - qualitĂ dei cereali: Orzo quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 151 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 32,290 - qualitĂ dei cereali: Fave quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 36,693 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 35,902 - qualitĂ dei cereali: Vettovaglie diverse quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1836: N° 81,452 quantitĂ respettiva della Sacca nellâanno 1837: N° 171,456 - TotalitĂ della Sacca nellâanno 1836: N°1,047,668 - Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L.
10,476,680 - TotalitĂ della Sacca nellâanno 1837: N°2,106,817 - Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L.
21,068,170 - TOTALE Sacca nellâanno 1836: N° 1,047,668 - TOTALE Sacca nellâanno 1837: N° 2,106,817 - TATALITAâ della Sacca: N° 3,154,485 - TOTALE Valore medio (A Lire 10 il Sacco sotto-sopra): L. 31,544,850 N° III QUADRO STATISTICO dei PRINCIPALI ARTICOLI COLONIALI importati a LIVORNO dallâanno 1833 a tutto il 1837, e loro valore approssimativo.
Qualità precipue dei Generi coloniali e dei loro recipienti e Arrivi o Importazioni (con quantità rispettiva dei recipienti) ZUCCHERI Casse: nel 1833 n° 2,650; nel 1834 n° 8,140; nel 1835 n° 4,770; nel 1836 n° 10,660; nel 1837 n° 5,700 Cassoni: nel 1833 n° 450; nel 1834 n° 620; nel 1835 n° 360; nel 1836 n° 250; nel 1837 n° - Mezzi cassoni: nel 1833 n° -; nel 1834 n° 100; nel 1835 n° -; nel 1836 n° -; nel 1837 n° - Botti, barili e sacca: nel 1833 n° 5,550; nel 1834 n° 4,800; nel 1835 n° 5,300; nel 1836 n° 23,930; nel 1837 n° 14,670 CAFFà Sacca: nel 1833 n° 12,500; nel 1834 n° 16,400; nel 1835 n° 1,400; nel 1836 n° 19,300; nel 1837 n° 16,750 Botti: nel 1833 n° 30; nel 1834 n° 250; nel 1835 n° 260; nel 1836 n° 40; nel 1837 n° 240 Barili: nel 1833 n° 85; nel 1834 n° 260; nel 1835 n° 550; nel 1836 n° 560; nel 1837 n° 550 Fardi: nel 1833 n° 200; nel 1834 n° 720; nel 1835 n° 110; nel 1836 n° 190; nel 1837 n° 150 CACAO Sacca: nel 1833 n° 1,700; nel 1834 n° 3,080; nel 1835 n° 3,250; nel 1836 n° 3,450; nel 1837 n° 1,800 PEPE Sacca: nel 1833 n° 2,200; nel 1834 n° 7,050; nel 1835 n° 920; nel 1836 n° 6,300, nel 1837 n° 6,600 Sciolto in libbre: nel 1833 n° 1,800,000; nel 1834 n° 1,600,000; nel 1835 n° 1,200,000; nel 1836 n° 1,100,000; nel 1837 n° 1,000,000 PIMENTI Sacca: nel 1833 n° 860; nel 1834 n° 300; nel 1835 n° 360; nel 1836 n° 1,680, nel 1837 n° 1,600 Valore totale approssimativo in Lire toscane: nel 1833 L.
5,600,000; nel 1834 L. 8,100,000; nel 1835 L. 6,200,000; nel 1836 L. 9,800,000, nel 1837 L. 8,600,000 N° IV PROSPETTO dei FALLIMENTI o SOSPENSIONI di Case di Commercio nella Piazza di LIVORNO dallâanno 1822 a tutto il 1837.
- Anno 1822: case di 1a classe n° 2; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 2; totale n° 8 - Anno 1823: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 1; case di 3a classe n° -; totale n° 2 - Anno 1824: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° -; totale n° 5 - Anno 1825: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° -; case di 3a classe n° -; totale n° - - Anno 1826: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 2; totale n° 6 - Anno 1827: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° -; case di 3a classe n° 2; totale n° 3 - Anno 1828: case di 1a classe n° 2; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 5; totale n° 11 - Anno 1829: case di 1a classe n° 6; case di 2a classe n° 6; case di 3a classe n° 21; totale n° 33 - Anno 1830: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 1; case di 3a classe n° 5; totale n° 6 - Anno 1831: case di 1a classe n° 5; case di 2a classe n° 10; case di 3a classe n° 5; totale n° 20 - Anno 1832: case di 1a classe n° 1; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° 12; totale n° 18 - Anno 1833: case di 1a classe n° 4; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 3; totale n° 10 - Anno 1834: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 2; case di 3a classe n° 7; totale n° 9 - Anno 1835: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 6; case di 3a classe n° 3; totale n° 9 - Anno 1836: case di 1a classe n° -; case di 2a classe n° 3; case di 3a classe n° 5; totale n° 8 - Anno 1835: case di 1a classe n° 3; case di 2a classe n° 5; case di 3a classe n° 10; totale n° 18 - TOTALE: case di 1a classe n° 27; case di 2a classe n° 60; case di 3a classe n° 83; totale n° 170 - Media annua : case di 1a classe n° 1 e 4/5; case di 2a classe n° 4; case di 3a classe n° 5 e 8/15; totale n° 11 e 1/3 OSSERVAZIONI: Prova positiva della soliditĂ del commercio di Livorno è il piccol numero deâfallimenti.
Inoltre molti di questi furono piuttosto sospensioni di pagamenti, qualora non siano provocati da straordinaria calamitĂ . E poi un fatto che onora la Fede mercantile dei Livornesi quello di aver dato un regolare sfogo nellâanno calamitoso del 1835 a tutte le transazioni in corso.
Nessuna proroga per i pagamenti delle cambiali, o pagherò di Piazza fu necessaria, come si dovè praticare altrove. Soltanto in linea di precauzione le operazioni delle stanze dei pagamenti furono trasferite con metamorfosi singolare nella sala del nuovo teatro Carlo Lodovico.
N° V QUADRO STATISTICO approssimativo del Valore medio annuo del Commercio di LIVORNO.
QualitĂ delle Merci che annualmente arrivano distribuito in sei gruppi e Valore in Lire toscane delle Mercanzie annualmente importate 1. Generi coloniali: valore minimo Lire 8,000,000; valore massimo Lire 11,000,000; valore medio Lire 9,500,000 2. Salumi, Prodotti del Nord e Metalli: valore minimo Lire 5,500,000; valore massimo Lire 8,000,000; valore medio Lire 6,750,000 3. Manifatture Francesi, Inglesi, Svizzere, Tedesche, ec.: valore minimo Lire 20,500,000; valore massimo Lire 25,500,000; valore medio Lire 23,000,000 4. Cereali: valore minimo Lire 10,000,000; valore massimo Lire 20,000,000; valore medio Lire 15,000,000 5. Prodotti del Levante: valore minimo Lire 6,000,000; valore massimo Lire 7,000,000; valore medio Lire 6,500,000 7. Prodotti della Toscana e dâaltri stati dâItalia: valore minimo Lire 33,000,000; valore massimo Lire 37,000,000; valore medio Lire 35,000,000 Valore degli articoli di diretta esportazione, in Lire toscane: 20,000,000 Valore degli articoli che restano per importazione, in Lire toscane: 75,750,000 TOTALE: valore minimo Lire toscane 83,000,000; valore massimo Lire toscane 108,500,000; valore medio Lire toscane 95,750,000 TOTALE Valore degli articoli di diretta esportazione, Lire toscane: 20,000,000 TOTALE Valore degli articoli che restano per importazione (*), Lire toscane: 75,750,000 N. B. Gli articoli segnati con lâasterisco (*), venduti per estrazione, ne raddoppiano il movimento, in guisa che Lire 75,750,000 possono crescere nel commercio annuo sino a Lire 151,500,000. â Si avverta (ERRATA: che questo valore di Lire 151,500,000) che il valore delle importazioni e delle esportazioni non comprende il movimento delle verghe e delle monete dâoro e dâargento che montano a piĂš milioni, mentre dal solo Levante arrivano di tempo in tempo dei gruppi di Lire 400,000 per volta.
N° VI QUADRO dei PRODOTTI LIVORNESI che si esportano allâEstero.
1. qualitĂ dei prodotti: Cuoja conce; luoghi principali dove si esportano: molto ricercate in Levante 2. qualitĂ dei prodotti : Cremor di tartaro; luoghi principali dove si esportano : per Inghilterra e Nord dâEuropa 3. qualitĂ dei prodotti: Saponi e Candele di sego; luoghi principali dove si esportano: per America principalmente 4. qualitĂ dei prodotti: Cordaggi; luoghi principali dove si esportano : per Egitto 5. qualitĂ dei prodotti: Coralli lavorati; luoghi principali dove si esportano: per Inghilterra, Prussica, Russia, Indie, ec.
6. qualitĂ dei prodotti: Polvere da botta; luoghi principali dove si esportano: per il Levante, lâEgitto, la Grecia e altrove 7. qualitĂ dei prodotti : Paste da minestra, Giulebbi, Rosolj, Biacca, Mobili, Pettini, Cristalli, ec.; luoghi principali dove si esportano : per il Levante, lâEgitto, la Grecia e altrove OSSERVAZIONI: Questa gran varietĂ di articoli è uno dei precipui vanti di Livorno, e vi richiama annualmente un commercio attivissimo. Per esempio, le 5 fabbriche dei Coralli lavorati somministrano settimanalmente il traffico a 250 persone con una spesa di circa Lire 9500. _ La vendita dei coralli lavorati che da Livorno si esportano allâEstero, può approssimativamente valutarsi 2000,000 di Lire per anno.
N° VII QUADRO STATISTICO delle FABBRICHE MANIFATTURIERE esistenti in LIVORNO nellâanno 1838.
Numero e qualitĂ delle manifatture.
Fabbriche del Corallo lavorato n° 5 Fabbriche del Sal Borace n° 1 Fabbriche di Paste n° 8 Fabbriche di Liquori e Rosolj n° 10 Fabbriche di Sapone sodo n° 4 Fabbriche di Cera n° 3 Fabbriche di Caratteri da stampa n° 2 Fabbriche di Fonderie di rame e bronzo n° 2 Fabbriche di Cappelli di Paglia n° 2 Fabbriche di Candele di sego n° 4 Fabbriche di Birra n° 2 Fabbriche di Amido n° 2 Fabbriche di Berretti ad uso di Levante n° 2 Fabbriche di Biacca n° 2 Fabbriche di Cremor di tartaro n° 1 Fabbriche di Munizioni da caccia n° 5 Fabbriche di Scagliola n° 1 Fabbriche di Carta colorata n° 1 Fabbriche di Cartoni e Carta straccia n° 1 Fabbriche di Tappi di sughero n° 1 Fabbriche di Vetri n° 2 Fabbriche di Lastre di cristallo n° 1 Fabbriche di Conce di cuojo e pelli n° 8 Fabbriche di Cordami n° 9 Fabbriche di Chiodi n° 5 Fabbriche di Tele da vele n° 6 Fabbriche di Polvere da botta n° 4 Fabbriche di Pettini dâavorio n° 2 Fabbriche di Lavori di cotone a maglia n° 1 Fabbriche di Raffinerie da olio n° 4 Vi sono inoltre Mulino a vapore che manda 14 macine fuori della Porta S.
Marco n° 1 Mulini a vento nelle adiacenze di Livorno n° 3 Bagni pubblici n° 8 Alberghi principali n° 10 Teatri n° 2 N° VIII QUADRO dei principali PRODOTTI GREGGI e MANIFATTURATI TOSCANI che si esportano allâEstero per la via di Mare.
1. qualitĂ dei prodotti: Olij fini, Salumi nostr. e lardoni; luoghi dove si esportano: per lâInghilterra, Francia, America, Germania, Danimarca e Russia 2. qualitĂ dei prodotti: Sete grezze; luoghi dove si esportano : per Inghilterra 3. qualitĂ dei prodotti: Seterie di Firenze; luoghi dove si esportano : per lâAmerica e lâEgitto 4. qualitĂ dei prodotti: Cappelli di Paglia; luoghi dove si esportano : per la Svezia, Norvegia e Russia 5. qualitĂ dei prodotti : Paglia per detti; luoghi dove si esportano : per lâInghilterra, Francia e America 6. qualitĂ dei prodotti: Potassa; luoghi dove si esportano : per la Francia, Olanda e Piemonte 7. qualitĂ dei prodotti: Scorza di sughero; luoghi dove si esportano : per lâInghilterra e lâIrlanda 8. qualitĂ dei prodotti: Acido borico e Borace raffinato; luoghi dove si esportano: per lâInghilterra, Francia, Belgio e Olanda 9. qualitĂ dei prodotti: Marmi, Alabastri e Zolfo; luoghi dove si esportano : per lâInghilterra, America, Egitto, Francia, Belgio e Russia 10. qualitĂ dei prodotti: Tartari; luoghi dove si esportano: per lâInghilterra e Nord dâEuropa 11. qualitĂ dei prodotti: Sego, Lana e Canapa; luoghi dove si esportano: per Francia e Inghilterra 12. qualitĂ dei prodotti: Carta da scrivere; luoghi dove si esportano : per il Levante, Egitto, Grecia e America 13. qualitĂ dei prodotti: Berretti rossi di lana; luoghi dove si esportano: per il Levante, Egitto, Grecia, Turchia, ec.
14. qualitĂ dei prodotti: Stracci lini; luoghi dove si esportano: per Inghilterra e America 15. qualitĂ dei prodotti : Coccole di Ginepro e Giaggiolo; luoghi dove si esportano : per America, Inghilterra e Olanda 16. qualitĂ dei prodotti: Dogarelle; luoghi dove si esportano : per Francia e Spagna 17. qualitĂ dei prodotti: Pelli agnelline; luoghi dove si esportano : per Francia, Inghilterra e Svizzera 18. qualitĂ dei prodotti: Legname da costruzione; luoghi dove si esportano: per Inghilterra, Egitto, ec.
19. qualitĂ dei prodotti: Carbone; luoghi dove si esportano : per Genova, Malta, ec 20. qualitĂ dei prodotti: Ferro lavorato; luoghi dove si esportano : specialmente in lastre, per lâEgitto N° IX QUADRO STATISTICO approssimativo deglâINDIVIDUI occupati nel COMMERCIO e nella MARINA DI LIVORNO.
1. Classe deglâImpieghi: Case di Commercio tassate in n° di 293 come dal quadro n°I qualitĂ degli Impiegati : Soci e commessi per ogni Casa n° degli Impiegati : 1465 Onorarj o Salarj rispettivi: per i commessi da Lire 100 a Lire 250 al mese 2. Classe deglâImpieghi: (ERRATA: Negozianti) Commercianti e Fabbricanti tassati in n°di 631 come sopra qualitĂ degli Impiegati: Tre individui per ogni Casa di negozio n° degli Impiegati : 1893 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 80 alle 150 al mese 3. Classe deglâImpieghi: Mezzani tassati in n°di 345 come sopra qualitĂ degli Impiegati: Un individuo aiuto a ciascun Mezzano n° degli Impiegati : 690 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 100 alle 200 al mese 4. Classe deglâImpieghi: Caffettieri, Osti, ec. tassati in n°di 269 come sopra qualitĂ degli Impiegati: Tre individui per Taverna n° degli Impiegati : 807 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 60 alle 120 al mese 5. Classe deglâImpieghi: Negozianti subalterni delle tre ultime categorie non tassati qualitĂ degli Impiegati : Un solo individuo per negozio n° degli Impiegati : 260 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 60 alle 120 al mese 6. Classe deglâImpieghi: Cassieri delle Stanze dei pagamenti qualitĂ degli Impiegati : Cassieri e loro aiuti n° degli Impiegati : 60 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 80 alle 150 al mese 7. Classe deglâImpieghi: Navicellai qualitĂ degli Impiegati : Compresi gli addetti ai navicelli n° degli Impiegati : 200 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 alle 3 per giorno 8. Classe deglâImpieghi: Custodi dei grani qualitĂ degli Impiegati : Compresi i facchini addetti n° degli Impiegati : 150 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 2.13.4 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Compagnia di Facchini Bergamaschi di Dogana qualitĂ degli Impiegati : Individui determinati dalla legge n° degli Impiegati : 50 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro indeterminato 9. Classe deglâImpieghi: Facchini di banco qualitĂ degli Impiegati: Impiegati ai banchi e ai magazzini dei Negozianti n° degli Impiegati : 368 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2.13.4 alle Lire 5 il giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâFacchini a manovella qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 160 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâSaccajoli qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati: 180 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâBaccalaraj qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 60 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Caravana deâCarbonaj qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 300 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 9. Classe deglâImpieghi: Facchini per trasporti deâlegnami qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 43 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 10. Classe deglâImpieghi: Imballatori qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 54 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 4 per giorno 11. Classe deglâImpieghi: Bottaj qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 40 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 3.6.8 per giorno 12. Classe deglâImpieghi: Stivatori di bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 66 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 4 per giorno 13. Classe deglâImpieghi: Maestri dâascia qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 110 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 4 a Lire 5 al giorno 14. Classe deglâImpieghi: Costruttori di bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 7 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro indefinito 15. Classe deglâImpieghi: Costruttori detti per restauramenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 6 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro indefinito 16. Classe deglâImpieghi: Calafattari e Tintori di bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 66 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 4 a Lire 5 al giorno 17. Classe deglâImpieghi: Legnajoli, Intagliatori e Torniaj qualitĂ degli Impiegati: Maestri e aiuti n° degli Impiegati : 23 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2.13.4 a Lire 4 per giorno 18. Classe deglâImpieghi: Lavoranti delle 5 fabbriche di chiodi qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 40 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 3 a Lire 4 per giorno 19. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 5 officine di fabbri qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 32 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 3 a Lire 4 per giorno 20. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 5 fabbriche di Coralli qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 80 Onorarj o Salarj rispettivi: a Lire 3.6.8 per giorno 21. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 2 fonderie di rame e bronzo e in 2 di caratteri qualitĂ degli Impiegati: Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 12 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2.6.8 a Lire 3.6.8 per giorno 22. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 9 fabbriche di cordami qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 110 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3 per giorno 23. Classe deglâImpieghi: Lavoranti in 6 botteghe di velai qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 20 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3 per giorno 24. Classe deglâImpieghi: Venditori di attrazzi per bastimenti qualitĂ degli Impiegati : Compresi i Maestri n° degli Impiegati : 24 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 25. Classe deglâImpieghi: Spenditori, Bottaj ed altri mestieranti qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati: 32 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 2 a Lire 3.6.8 per giorno 26. Classe deglâImpieghi: Zavorranti e Veneziani per portare ajuto ai bastimenti qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 100 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 27. Classe deglâImpieghi: Barchettajoli qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 100 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 28. Classe deglâImpieghi: Baroccianti qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 200 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto 28. Classe deglâImpieghi: Guardie di SanitĂ qualitĂ degli Impiegati : - n° degli Impiegati : 200 Onorarj o Salarj rispettivi: Lucro incerto TOTALE deglâImpiegati: N° 8008 30. Popolazione avventizia del Porto di Livorno: N° 3000 TOTALE degli Uomini: N° 11008 DONNE LAVORANTI IMPIEGATE 1. Alla scelta deâCenci, Gomme, Sena, Giaggiolo, Tartaro, ec. N° 460 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno 2. Lavoranti alle 5 fabbriche di Coralli (ERRATA: N° 170) N° 450 piĂš uomini N° 250 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno 3. Per cucire le vele ed altro alla Marina N° 75 Onorarj o Salarj rispettivi: da Lire 1.3.4 a Lire 2 per giorno TOTALE delle Donne N° 705 N. B. Se al N° degli 11008 che resulta dalla somma deglâIndividui occupati nel Commercio di Livorno si accorda una metĂ almeno di capi di famiglia, avremo con lâaumento di soli tre Individui per ogni padre di famiglia circa 27500 persone, che ricevono la sussistenza direttamente dal Commercio e dalla Marina di Livorno.
N° X NOTA SOMMARIA dei BASTIMENTI a VELA QUADRA e LATINA entrati nel Porto di Livorno dallâanno 1766 a tutto il 1837, non compresi i Battelli a Vapore.
Negli ultimi 34 anni del secolo XVIII - anno dellâarrivo: 1766 n° bastimenti a vela quadra: 173 n° bastimenti a vela latina: 472 - anno dellâarrivo: 1767 n° bastimenti a vela quadra: 462 n° bastimenti a vela latina: 1686 - anno dellâarrivo: 1768 n° bastimenti a vela quadra: ignoto n° bastimenti a vela latina: ignoto - anno dellâarrivo: 1769 n° bastimenti a vela quadra: ignoto n° bastimenti a vela latina: ignoto - anno dellâarrivo: 1770 n° bastimenti a vela quadra: 378 n° bastimenti a vela latina: 1694 - anno dellâarrivo: 1771 n° bastimenti a vela quadra: 380 n° bastimenti a vela latina: 1795 - anno dellâarrivo: 1772 n° bastimenti a vela quadra: 403 n° bastimenti a vela latina: 1717 - anno dellâarrivo: 1773 n° bastimenti a vela quadra: 383 n° bastimenti a vela latina: 1761 - anno dellâarrivo: 1774 n° bastimenti a vela quadra: 529 n° bastimenti a vela latina: 1587 - anno dellâarrivo: 1775 n° bastimenti a vela quadra: 384 n° bastimenti a vela latina: 1659 - anno dellâarrivo: 1776 n° bastimenti a vela quadra: 371 n° bastimenti a vela latina: 1755 - anno dellâarrivo: 1777 n° bastimenti a vela quadra: 375 n° bastimenti a vela latina: 1695 - anno dellâarrivo: 1778 n° bastimenti a vela quadra: 347 n° bastimenti a vela latina: 1591 - anno dellâarrivo: 1779 n° bastimenti a vela quadra: 373 n° bastimenti a vela latina: 1430 - anno dellâarrivo: 1780 n° bastimenti a vela quadra: 345 n° bastimenti a vela latina: 1567 - anno dellâarrivo: 1781 n° bastimenti a vela quadra: 341 n° bastimenti a vela latina: 1508 - anno dellâarrivo: 1782 n° bastimenti a vela quadra: 435 n° bastimenti a vela latina: 1702 - anno dellâarrivo: 1783 n° bastimenti a vela quadra: 480 n° bastimenti a vela latina: 1519 - anno dellâarrivo: 1784 n° bastimenti a vela quadra: 434 n° bastimenti a vela latina: 1299 - anno dellâarrivo: 1785 n° bastimenti a vela quadra: 404 n° bastimenti a vela latina: 1495 - anno dellâarrivo: 1786 n° bastimenti a vela quadra: 553 n° bastimenti a vela latina: 1527 - anno dellâarrivo: 1787 n° bastimenti a vela quadra: 485 n° bastimenti a vela latina: 1749 - anno dellâarrivo: 1788 n° bastimenti a vela quadra: 477 n° bastimenti a vela latina: 1958 - anno dellâarrivo: 1789 n° bastimenti a vela quadra: 461 n° bastimenti a vela latina: 1852 - anno dellâarrivo: 1790 n° bastimenti a vela quadra: 484 n° bastimenti a vela latina: 1746 - anno dellâarrivo: 1791 n° bastimenti a vela quadra: 530 n° bastimenti a vela latina: 1728 - anno dellâarrivo: 1792 n° bastimenti a vela quadra: 661 n° bastimenti a vela latina: 1951 - anno dellâarrivo: 1793 n° bastimenti a vela quadra: 546 n° bastimenti a vela latina: 1925 - anno dellâarrivo: 1794 n° bastimenti a vela quadra: 1211 n° bastimenti a vela latina: 1879 - anno dellâarrivo: 1795 n° bastimenti a vela quadra: 1091 n° bastimenti a vela latina: 1260 - anno dellâarrivo: 1796 n° bastimenti a vela quadra: 535 n° bastimenti a vela latina: 915 - anno dellâarrivo: 1797 n° bastimenti a vela quadra: 719 n° bastimenti a vela latina: 1773 - anno dellâarrivo: 1798 n° bastimenti a vela quadra: 608 n° bastimenti a vela latina: 1664 - anno dellâarrivo: 1799 n° bastimenti a vela quadra: 417 n° bastimenti a vela latina: 1224 - anno dellâarrivo: 1800 n° bastimenti a vela quadra: 1003 n° bastimenti a vela latina: 905 TOTALE bastimenti a vela quadra negli ultimi 34 anni del secolo XVIII: 16778 TOTALE bastimenti a vela latina negli ultimi 34 anni del secolo XVIII: 51978 Nei primi 37 anni del secolo XIX - anno dellâarrivo: 1801 n° bastimenti a vela quadra: 320 n° bastimenti a vela latina: 1276 - anno dellâarrivo: 1802 n° bastimenti a vela quadra: 1017 n° bastimenti a vela latina: 1945 - anno dellâarrivo: 1803 n° bastimenti a vela quadra: 637 n° bastimenti a vela latina: 1734 - anno dellâarrivo: 1804 n° bastimenti a vela quadra: 914 n° bastimenti a vela latina: 2021 - anno dellâarrivo: 1805 n° bastimenti a vela quadra: 712 n° bastimenti a vela latina: 1578 - anno dellâarrivo: 1806 n° bastimenti a vela quadra: 590 n° bastimenti a vela latina: 1896 - anno dellâarrivo: 1807 n° bastimenti a vela quadra: 454 n° bastimenti a vela latina: 2065 - anno dellâarrivo: 1808 n° bastimenti a vela quadra: 134 n° bastimenti a vela latina: 1699 - anno dellâarrivo: 1809 n° bastimenti a vela quadra: 118 n° bastimenti a vela latina: 1440 - anno dellâarrivo: 1810 n° bastimenti a vela quadra: 139 n° bastimenti a vela latina: 1411 - anno dellâarrivo: 1811 n° bastimenti a vela quadra: 81 n° bastimenti a vela latina: 1144 - anno dellâarrivo: 1812 n° bastimenti a vela quadra: 89 n° bastimenti a vela latina: 1242 - anno dellâarrivo: 1813 n° bastimenti a vela quadra: 95 n° bastimenti a vela latina: 2902 - anno dellâarrivo: 1814 n° bastimenti a vela quadra: 422 n° bastimenti a vela latina: 4552 - anno dellâarrivo: 1815 n° bastimenti a vela quadra: 943 n° bastimenti a vela latina: 4396 - anno dellâarrivo: 1816 n° bastimenti a vela quadra: 1124 n° bastimenti a vela latina: 4088 - anno dellâarrivo: 1817 n° bastimenti a vela quadra: 1078 n° bastimenti a vela latina: 3004 - anno dellâarrivo: 1818 n° bastimenti a vela quadra: 1047 n° bastimenti a vela latina: 3984 - anno dellâarrivo: 1819 n° bastimenti a vela quadra: 947 n° bastimenti a vela latina: 3909 - anno dellâarrivo: 1820 n° bastimenti a vela quadra: 847 n° bastimenti a vela latina: 4397 - anno dellâarrivo: 1821 n° bastimenti a vela quadra: 945 n° bastimenti a vela latina: 3674 - anno dellâarrivo: 1822 n° bastimenti a vela quadra: 869 n° bastimenti a vela latina: 4308 - anno dellâarrivo: 1823 n° bastimenti a vela quadra: 780 n° bastimenti a vela latina: 4450 - anno dellâarrivo: 1824 n° bastimenti a vela quadra: 940 n° bastimenti a vela latina: 4631 - anno dellâarrivo: 1825 n° bastimenti a vela quadra: 907 n° bastimenti a vela latina: 4969 - anno dellâarrivo: 1826 n° bastimenti a vela quadra: 903 n° bastimenti a vela latina: 5141 - anno dellâarrivo: 1827 n° bastimenti a vela quadra: 1060 n° bastimenti a vela latina: 4847 - anno dellâarrivo: 1828 n° bastimenti a vela quadra: 986 n° bastimenti a vela latina: 4598 - anno dellâarrivo: 1829 n° bastimenti a vela quadra: 964 n° bastimenti a vela latina: 4465 - anno dellâarrivo: 1830 n° bastimenti a vela quadra: 1101 n° bastimenti a vela latina: 4619 - anno dellâarrivo: 1831 n° bastimenti a vela quadra: 1033 n° bastimenti a vela latina: 4232 - anno dellâarrivo: 1832 n° bastimenti a vela quadra: 1266 n° bastimenti a vela latina: 4390 - anno dellâarrivo: 1833 n° bastimenti a vela quadra: 1150 n° bastimenti a vela latina: 4488 - anno dellâarrivo: 1834 n° bastimenti a vela quadra: 1211 n° bastimenti a vela latina: 4442 - anno dellâarrivo: 1835 n° bastimenti a vela quadra: 1234 n° bastimenti a vela latina: 3986 - anno dellâarrivo: 1836 n° bastimenti a vela quadra: 831 n° bastimenti a vela latina: 4509 - anno dellâarrivo: 1837 n° bastimenti a vela quadra: 1075 n° bastimenti a vela latina: 4356 TOTALE bastimenti a vela quadra nei primi 37 anni del secolo XIX: 28943 TOTALE bastimenti a vela latina nei primi 37 anni del secolo XIX: 126788 COMUNITAâ DI LIVORNO Il territorio della terraferma di questa ComunitĂ , esclusi cioè gli scogli della Meloria, del Fanale e lâisola della Gorgona, abbraccia una superficie di 27879 quadr. agrarii, equivalente a miglia 34 e 2/3 toscane, dei quali quadr.
circa 872 e sono occupati da corsi di acqua e da pubbliche strade.
Vi si trovava nel 1833 una popolazione di 71685 abitanti, escludendo da questa cifra 3060 fra passeggeri, marinari avventizii del porto, ed i pochi abitanti della Gorgona.
Dondechè, prendendo la popolazione in massa, la Comunità di Livorno contava allora 2134 abitanti per migl. quadr. del suo territorio imponibile.
Essa dalla parte di terra confina con due comunitĂ del Granducato, mentre da maestro e scirocco ha per limite il mare. â Si tocca con il territorio della nuova comunitĂ di Colle Salvetti, a partire dal lembo occidentale della spiaggia, nel punto dove sbocca il torrente Ugione. Di costĂ piegando nella direzione da ponente a grecale passa per le colmate paduli; quindi, dopo attraversato il fosso dei Navicelli, seguitando contro corrente lâUgione, arriva al primo ponte di Stagno, dove taglia la strada R. postale pisana. Di lĂ mediante lo stesso torrente sale a levante il poggio di Monte Massi, quindi rasentando il fu convento della Sambuca sâinnoltra sulla cima dei Monti livornesi agli abbandonati Mulini a vento di Val Benedetta. CostĂ incamminandosi verso la direzione di scirocco, entra nella via comunitativa del Gabbro, finchè trova le prime sorgenti della piccola fiumana Chioma , lungo il cui alveo per breve tragitto questa di Livorno seguita a confinare con la ComunitĂ di Colle Salvetti. Poco lungi da Popogna sottentra alla ComunitĂ prenominata quella di Rosignano, dove la prima di queste, voltando faccia a ostro, cammina sempre di conserva con lâaltra di Rosignano mediante l'alveo della stessa Chioma sino al suo sbocco in mare.
Due strade R. attraversano questo territorio; la grande strada postale di Pisa e lâaltra del littorale. Questâultima, finora troppo angusta e mala mente rotabile, sta attualmeute ricostruendosi, a spese della provincia, piĂš comoda e piĂš spaziosa: per la qual opera il governo ha assegnato la somma di lire 400,000 toscane.
Non sâincontrarono, châio sappia, tracce di vie romane nel perimetro del territorio Livornese. â Vedere Via Emilia di Scauro. â Le altre vie sono comunitative, fra le quali frequentatissima è quella che sale al santuario di Monte Nero; ad essa viene seconda la strada provinciale maremmana, che staccasi da Livorno dalla Porta di questo nome, e di lĂ per Salviano dirigesi sui monti livornesi per Val Benedetta e Gabbro, donde scende in Val di Fine per unirsi alla strada regia delle Maremme, giĂ Emilia di Scauro.
Piccoli e brevi corsi dâacqua nascono e non oltrepassano il territorio di questa comunitĂ . Tali sono il Chioma , lâArdensa, lâUgione e, il Cigna; i primi due portano direttamente il loro tributo al mare nel littorale a ostro di Livorno, e di altri due, che scendono dai monti medesimi verso settentrione, attraversano mediante fossi la paduletta a settentrione di Livorno, finchè per il colmato seno del Porto Pisano le loro acque si mescolano coi flutti marini allâingresso, oppure assai dâappresso alla foce stessa di Calambrone.
Lâistituzione della giurisdizione comunitativa di Livorno si perde nella storia di Porto Pisano, o per dir meglio, una comincia quando lâaltra finisce.
Infatti il primitivo distretto territoriale di Livorno sembra corrispondere a quello che portò il nome di plebanato di Pian di Porto. Avvegnachè alla giurisdizione civile di Livorno sino dai primi tempi della repubblica pisana appartenevano tutte quelle chiese battesimali che furono qualificate sotto la denominazione di Piviere del Pian di Porto, per quanto con una tale indicazione sâintendesse compreso il distretto spirituale di piĂš chiese plebane. â Quindi è che il plebanato, o giurisdizione del Pian di Porto, abbracciava 4 pievi; cioè da quella deâSS. Stefano e Cristofano di Carraja, posta presso il lembo orientale del Seno pisano poco lungi dal luogo detto tuttora la Fonte di S. Stefano; e il piviere di S. Giulia di Livorno; e quello di S. Paolo di villa Magna, il quale corrisponde alla chiesa parrocchiale dellâArdenza ; la pieve di S. Andrea di Limone, stata unita a quella di S. Martino a Salviano .
Il distretto territoriale qui sopra designato coincide a un dipresso con quello ceduto nel 1405 dal Visconti signor di Pisa a Buccicaldo governatore di Genova pel re di Francia, stato poi nel 1421 venduto alla repubblica fiorentina. E siccome fino dai tempi della Rep. di Pisa soleva risiedere in Livorno un giudice col titolo di capitano, cosĂŹ il territorio della sua giurisdizione appellosi Capitanato del porto pisano; quindi, dopo il 1606, Capitanato vecchio di Livorno.
Che sulle tracce del Capitanato vecchio fossero apposti i termini di confine allâantico territorio comunitivo di Livorno, ce ne fornisce un documento palpabile la convenzione di Lucca dei 27 aprile 1413, stata da noi riportata al principio di questâarticolo (a pag. 724); dalla quale apperisce, che il distretto livornese, giĂ di Pian di Porto, terminava, dal lato di settentrione, con lo Stagno, e di lĂ fino alla foce dellâUnione nel seno di Porto Pisano; dal lato di ostro, sulla sommitĂ dei Monti livornesi scendendo per il torrente Chioma; verso ponente e libeccio, lungo il littorale; finalmente verso levante e scirocco, dalle fonti del torrente Chioma scendeva sulla schiena dei Monti livornesi, passando presso S. Lucia del Monte, la Sambuca e i muri di Monte Massimo, o Monte Massi.
Tale era il distretto livornese quando il Granduca Ferdinanto I, con motuproprio dei 14 aprile 1606, ne dilatò notabilmente i confini dalla parte di levante, dando a quel Capitanato una piÚ estesa giurisdizione, per cui il suo territorio appellossi da indi in poi Capitanato nuovo di Livorno a distinzione del vecchio, ossia di quello che ha costituito per lungo tempo il perimetro della sua comunila.
I confini pertanto del Capitanato nuovo erano i seguenti.
âpartire verso settentrione dal littorale, e precisamente dallâantico ingresso del seno di Porto Pisano, passando davanti al Marocco sino alla foce di Stagno. CostĂ piegava dentro terra per avviarsi al primo Ponte di Stagno, avendo a confine il territorio di Pisa, col quale continuava rasente la gronda chiamata di Sovese; quindi attraversando lo Stagno arrivava al Fosso Reale, il cui alveo serviva di linea di demarcazione fino alla strada di Collina. Per mezzo di questa dirigendosi a Vicarello ne abbracciava tutta la contrada e la vicina tenuta di Colle Salvetti, attualmente capoluogo di comunita' di la per la via di R. maremmana, o Emilia, seguitava fino alla Casa Bianca; quindi passava il fiume Tora sul ponte Santoro per innoltrarsi alla sua destra verso le vallate di Crapina, Fauglia, Tremoleto, Lorenzana, i di cui territorii vennero compresi nel nuovo Capitanato. Dalla chiesa di S. Biagio a Saletto, ritornando nella Tora, arrivava alla Pievaccia di Colle Pinzuti; poscia avanzandosi a scirocco perveniva nel borro, che porta il nomignolo della valle, e con esso entrava nel fiume Fine, lungo il quale continuava sino alla sua foce in mare.
In questo circondario erano compresi i Monti livornesi ed il littorale, a partire dalla foce del fiume Fine sino a quella di Stagno, il porto di Livorno, lo scoglio della Lanterna, ed allargandosi in mare, anche la secca della Meloria con lâisola della Gorgona. â Peraltro, mentre ampliavasi cotanto la giurisdizione civile e politica del Capitanato nuovo di Livorno, quella economica della sua comunitĂ conservavasi a un di presso al pari del suo Capitanato vecchio; e ciò, fino a che nel 1810 essa dovè cedere una porzione del di lei territorio alla nuova comunitĂ di Colle Salvetti. â Vedere lâArticolo COLLE SALVETTI, ComunitĂ .
Con il regolamento del 20 marzo 1780 relativo allâorganizzazione economica del corpo comunitativo di Livorno, il Granduca Leopoldo I dichiarò, che i confini del Capitanato vecchio dovessero dâallora in poi costituire la nuova ComunitĂ di Livorno. Nella qual congiuntura, volendo quel Legislatore usare di un favorevole riguardo alla nazione ebrea, in vista della considerabile qualitĂ di stabili, che glâindividui della medesima possedevano nella suddetta comunitĂ , ordinò, che uno della nazione giudaica potesse intervenire e risedere in qualitĂ di deputato, o reppresentante, tanto nella magistratura civica, quanto nel consiglio generale, con voto e con lucco senza alcuna disparitĂ dagli altri priori.
Clima di Livorno e della sua campagna. â Dalle meteorologiche, fisiche e mediche osservazioni in varii tempi effettuate, resulterebbe, che quando era in fiore il Porto Pisano, di cui Livorno, come piĂš volte si ĂŠ ripetuto, ha fatto parte integrante, il clima non doveva essere malsano, siccome tale divenne nei secoli successivi, allora quando andò grado a grado ostruendosi quel seno di mare, sino a che si convertĂŹ in altrettanti pestilenti marazzi.
DondechĂŠ, ad onta delle grandi spese e delle franchigie state dalla Rep. fiorentina concesse a coloro che si fossero recati a stabilire in Livorno o nel suo distretto, ad onta dei provvedimenti presi per correggere la cattiva disposizione dellâaria e del crescente impadulamento del littorale a settentrione di Livorno, non ostante tuttociò nel clima di Porto Pisano piĂš presto i cittadini mancavano, o infermi vivevano. â Infatti non era ancora passato il primo decennio, dacchĂŠ i Fiorentini ebbero acquistato Livorno, che i rappresentanti di questa comunitĂ , nellâatto di domandare alla Signoria di Firenze la conferma delle triennali esenzioni, esponevano, come, in vista dei diminuiti abitanti, la quantitĂ del sale, di cui erano obbligati a provvedersi, era divenuta di una terza parte soperiore al loro consumo, e perciò chiedevano di ridurre a sole cento staja lâannua partita del sale da acquistare.
(Vedere in questo Vol. a pag. 728).
Non era frattanto nè punto nè poco migliorato lo stato fisico del paese allâavvicinarsi alla metĂ del suo corso il secolo medesimo XV, tostochè i Livornesi, nellâanno 1449, domandavano alla Signoria di Firenze che volesse esonerarli, non solo dallâannua imposizione di 630 fiorini dâoro, ma ancora dal debito arretrato. La quale inchiesta fu dalla Rep. fiorentina accordata, lasciando fermo il quantitativo delle cento staja di sale per lâannuo consumo di quella scarsa popolazione. (1oc. cit. pag. 729) CosĂŹ ai tempi del duca Alessandro dei Medici e dei primi granduchi, che tanti indulti andarono concedendo a chi voleva recarsi ad abitare familiarmente in Livorno o nel suo capitanato, sembra che ben pochi di tanta elargitĂ profittassero, nè volessero, in grazia di tali allettative, preferire alla loro prospera salute una vita piĂš breve, o almeno infermiccia per giovare alle generazioni future.
Può servire di prova della scarsa popolazione di Livorno quella dellâepoca di Cosimo I, quando tutto il Capitanato vecchio, vale a dire la ComunitĂ nei limiti che aveva innanzi il 1810, non contava piĂš di 1562 abit. repartiti in 194 famiglie. â (Vedere il Quadro del Movimento della Popolazione della Com unitĂ di Livorno a pie del presente articolo.) Lo disse poetando uno dei (ERRATA: giusdicenti di quellâetĂ , il capitano di Livorno) medico-fisici di quellâetĂ , il dottore Orsilago, quando paragonava il suo clima ad una vera bolgia dellâInferno. â Lo dimostrò costantemente la premura del governo nel far cambiare di frequente la guarnigione militare di Livorno, stantechè quei soldati trovavansi afflitti da febbri intermittenti, 6 da quella specie di maremmana, che sino ai tempi nostri fu contrassegnata col nome topico di Livornina.
Giova peraltro avvertire, che coteste febbri e cotesta malignitĂ di clima provenivano dai ristagni palustri della campagna situata a sett. di Livorno, e dalla troppa aillueara delle alghe e di altri corpi organici, i quali spinti dalle maree, abbandonati si lasciavano imputridire sulla spiaggia; finalmente dal difficile scolo dei fossi e dalle fogne della cittĂ . Tali erano le cause principali che concorrevano ad infettare lâaria di Livorno, cause tutte che vanno ora gradatamente distruggendosi dalle incessanti cure del governo, dalla vigilanza del magistrato civico, e dallâinteresse comune di una sempre crescente, sempre piĂš ricca ed istruita popolazione.
Dalle Ricerche di statistica medica, intraprese nel corso continuo di sette anni (dal 1818 al 1825) dai sigg. dott.
Giuseppe Gordini e Niccola Orsini, medici degli ospedali di Livorno, è resultato, che la mortalitĂ in essa cittĂ , da 50 e piĂš anni, proporzionalmente alla popolazione, era considerabilmente diminuita; lochè essi ripetevano, se non in tutto, almeno in gran parte, dal miglioramento dellâaria, mercè la progressiva bonificazione dei marazzi in prossimitĂ del lido e della contigua campagna posta al settentrione di Livorno.
Ciò nonostante le malattie, che si osservarono piĂš spesso negli ospedali di questa cittĂ , furono le febbri intermittenti; per modo che dai 24002 malati, capitati agli ospedali nel giro di quel settennio, 3751 erano stati colpiti da simili febbri. Dopo le intermittenti, andando per ordine di numero, vengono le febbri reumatiche, malattia comunissima in Livorno per il cambiamento istantaneo della temperatura: non essendo raro il caso di sentire caldo e freddo in unâora medesima. Inoltre Livorno, stante la sua posizione marittima, non avendo quasi alcun riparo dai monti che lâavvicinano dal lato di levante, e trovandosi sul lembo di unâaperta campagna, resta straordinariamente esposto ai venti, specialmente a quelli che derivano dal mezzogiorno, da tramontana e da libaccio. Lâultimo dei quali suole talvolta soffiare con tale gagliardia da alzare lâacqua del pelago e convertirla in una nebbia assai umida, cui suol designarsi costĂ con il vocabolo di spolverino.
La acque che in gran copia circondano il paese, osservava nel 1827 il dott. G. Palioni, primo medico dellâufizio di sanitĂ , rendono sempre un poco unita lâaria di Livorno,quandâè tranquilla, al tramontare del sole, con precipitarsi dei vapori innalzatisi nel giorno. Ciò rende forse (diceva egli) ragione del predominio, cui sulle altre malattie febbrili, che sporadicamente si mostrano fra noi, tengon le intermittenti. (Memoria sulle costituzioni epidemiche e sui mali endemici del cav. dott. G. Palloni.
â Livorno 1827).
La stessa incostanza di clima rende assai frequenti e molto pericolose le pleuritidi e le peripneumonie; avvegnachè nei soli due spedali della città , fra uomini e donne, i sopranominati due medici, in un settennio, ne osservarono 1186, con una mortalità del 22 per cento.
Una infermità molto comune, e piÚ delle altre di sinistro successo, è la tise: della quale malattia negli ospedali di Livorno iu sette anni furono curati 800, e morirono 421 individui: benchè tra questi alcuni vi fossero tornati per la seconda volta, onde essi figurarono doppiamente nelle cifre qui sopra accennate.
La frequenza delle scrofole e dei morbi venerei, il poco riguardo nelle tossi, lâabuso dei liquori, lâesercizio di ulcune professioni e la costituzione ereditaria si reputano le cause piĂš palesi e piĂš frequenti della tise in Livorno, ma forse vi concorre eziandio, almeno per le malattie scrofolose, la troppa confĂŹdenza che i Livornesi hanno di abitare le case appena fabbricate, nella fiducia che la loro pietra tufacea assorbisca in guisa lâumiditĂ della calcina da non nuocere alla salute, senza calcolare il mattonato.
Struttura fisica del suolo livornese. â La struttura geognostica del terreno di questa comunitĂ presenta delle varietĂ singolarissime, massime dalla parte dei suoi monti. Al contrario la pianara, che stendesi di lĂ fino alla riva del mare, mancante di tomboli o dune, sembra quasi divisa dal littorale contiguo mediante una specie di Gronda, la quale principia dal luogo delle fornaci sino al ponte dâArcione. La panchina, che dal lato di scirocco costituisce la base apparente in un livello alquanto superiore alla pianura situata a ponti di Stagno, consiste in un tufo arenario ricco di resti organici palustri e ma rini, tanto animali, quanto vegetali.
Questo terreno che incomincia a vedersi nei contorni di Antignano, e di lĂ dirigendosi per lâArdenza e Acquaviva, serve di base alla cittĂ di Livorno, costituisce non solamente una specie di cornice, incrostando i lemb i di detta spiaggia, ma pare che si vada costantemente formando sottâacqua nel continuo littorale. Esso appartiene ad una grossolana lumachella spugnosa, conchiglifera: e mostra chiaramente di essere un prodotto del periodo attuale.
I frammenti di terra cotta, scoperti ultimamente in cotesto tufo presso al Lazzeretto di S. Rocco, hanno fornito argomento al naturalista pisano Paolo Savi per assegnargli il giusto posto che conviene a questa roccia tufacea, ponendola cioè fra quelle formate da cause che sono anche ai tempi nostri in azione.
Quanto alla sua giacitura, e alle rocce che gli servono di base, possono darne un indizio alcuni scavi stati aperti presso lâArdenza, dove si vede che il tufo arenario conchiglifero sovrappone a strati di calcareo compatto (alberese) della natura medesima di quello che scuopresi presso alle falde dei Monti livornesi.
In quanto allâossatura apparente dei monti livornesi, la parte inferiore sembra coperta in molti luoghi da un banco di ghiaje e ciottoli di calcareo ceruleo comp atto, la qual roccia è traversata da grossi filoni di spato bianco. â Ad esso banco sottentrano strati di calcareo argilloso, o di galestro fissile color laterizio; finalmente, salendo ai Mulini a vento di Val Benedetta, si affacciano masse serpentinose imprigionate nel calcareo compatto alterato, ma piĂš spesso nel galestro. Tale alterazione di suolo si riscontra specialmente intorno al paese che porta il nome topico della pietra sulla quale esso è fabbricato. â Vedere Gabbro dei Monti livornesi.
Da un consimile terreno scaturiscono le limpide copiose polle di Camorra sopra Colognole, mezzo miglio a levante delle masse stratiformi di Vallore, dove si cavano pietre arenareo-micacee di grana compattissima, di elementi minuti, e di qualitĂ non inferiore alla pietra serena, ossia macigno di Fiesole.
Scendendo di lassĂš verso le pendici che guardano maestro, continua ad affacciarsi lâarenaria, sebbene piĂš grossolana di quella di Vallore, e sotto di essa il calcareo compatto alquanto argilloso, alternante con strati di schisto marnoso. â Nelle colline di Monte Massi e di Limone alle rocce testĂŠ accennate sottentrano quelle meno antiche di marna orgillosa e di calce solfata: e questa talora laminare e fibrosa (Specchio dâasino) ora granosa e candida, (Alabastro) piĂš spesso compatta e grigia (Gesso). Ă in mezzo a cotesta formazione argillo-gessosa, donde pullula qualche vena di acqua salina e di acqua solforosa epatica di qualitĂ consimile a quella puzzolente di Limone.
Ă forse da un consimile terreno terziario donde scaturisce altrâacqua minerale salina di recente stata scoperta in un pozzo dei bagni di S. Rocco a Livorno, sulla quale il Prof.
Antonio Targioni Tozzetti ha istituito e pubblicato nel 1838 unâesatta analisi chimica.
Al Rio maggiore, e sullâArdenza torna a mostrarsi allo scoperto il calcareo compatto attraversato da larghi filoni di spato, cui sta a ridosso, nella parte inferiore, un banco di ghiaja conglomerata.
Se poi si esamina la natura del suolo di questa comunitĂ dal lato di scirocco, dove i Monti livornesi scendono verso il littorale, veggonsi quelle pendici per la massima parte coperte di macigno grossolano, bene spesso associarsi a schisti calcarei colorati in rosso e in verde con vene di manganese ferrifero. Del qual ultimo minerale trovasi un potente filone nel fianco opposto, dei Monti medesimi. â Tali varietĂ di arenarie e di schisti calcarei, anche costĂ come al Gabbro e ai Mulini a vento, furono alterate e semi-plutonizzate dalle masse serpentinose che le avvicinano; cui fra le altre appartengono le grandi rupi e le scogliere della Torre al Romito, Il suolo della ComunitĂ di Livorno ha richiamato in piĂš tempi le attenzioni di celebri naturalisti, sia per esaminare le piante piĂš rare dei suoi monti, come per le rocce e i resti organici che in essi racchiudonsi. Conterò tra i piĂš noti, nel secolo XVII, Cesalpino e il livornese Giacinto Cestoni; nel secolo XVIII, Vallisnieri, Micheli, Targioni e Giovanni Plancho, senza dire di tanti altri dotti che ai tempi nostri questa stessa contrada hanno giĂ , o vanno tuttora perlustrando.
Il mare di Livorno e ricco di ogni sorta di pesce, dallâacciuga sino allo storione; talchè la pescagione dei suoi paraggi provvede costantemente, oltre la vicina popolosa cittĂ , quelle di Pisa e di Firenze, con moltissime altre terre e paesi intermedii.
Ciò che si ritrae dalla pesca delle acciughe nel mare della Gorgona, fu giĂ avvertito allâarticolo di questâIsola.
Il passo dei muggini ha dato luogo a stabilire lungo le scogliere dei Monti livornesi due mugginaje, una delle quali alla Torre del Romito, lâaltra sulla punta di Castiglioncello. Sotto le scogliere di Monte Nero si pescava anche il corallo, ma da qualche tempo siffatta pescagioine: fu abbandonata per non trovarvisi corallo, nè molto grosso, nè di colore acceso, in confronto di quello delle coste dâAfrica e della Sardegna.
Lâagraria del territorio livornese, per quanto essa, dopo gli eccitamenti promossi dalle leggi Leopoldine, sia andata alzandosi, pure non si può dire che ti abbia fatto quei grandi progressi che dalla ricchezza e intelligenza dei possidenti, e dallâaumentata popolazione si potevano sperare. â Ma, o sia che i Livornesi rivolgevano quasi tutte le loro cure e la maggior parte dei capitali nella branca piĂš lucrativa, ad onta del maggior rischio che essi corrono, del commercio; o sia che la natura del terreno si appalesi alquanto ingrata; fatto è che troppo arido ed arenoso apparisce il suolo posto fra i monti e Livorno, mentre troppo umido mantiensi quello situato a settentrione della stessa cittĂ ; finalmente la qualitĂ del terreno dei suoi monti, comparendo dâindole in generale galestrina, gessosa o serpentinosa, riesce per lo piĂš sterile e in grato alle cure del suo cultore. DondechĂŠ quasi una metĂ del territorio in discorso è rimasta per lo piĂš coperta dĂŹ mortelle, di albatri, di sondri, di lecci, e di altre piante silvestri: oppure vedesi sparsa di rari e sterili pascoli, come sono precipuamente quelli dei terreni metalliferi. â Lâaltra metĂ poi della campagna livornese è dissodata e coltivata a viti, a ulivi, a granaglie e a ortaggi con frutta saporitissime.
Cerchi diversi delle mura di Livorno. â Innanzi il 1421 Livorno, come è stato avvertito qui sopra, era un paese aperto. Il primo giro di mura merlate fu opera dalla Rep.
fiorentina, che lo aveva compito alla metĂ del sec. XV. A quellâepoca la Terra di Livorno fu rinchiusa in un perimetro di circa due terzi di miglio con sole due porte, una delle quali, verso Terraferma, difesa di un torrione, e lâaltra verso il mare, dirimpetto a un piazzale fornito di comodo loggiato, dove ora corrisponde la fortezza vecchia e la darsena, Il secondo cerchio della cittĂ di Livorno ebbe principio nel 1577 sotto Cosimo I, quamlo lâarcivescovo di Pisa, Bartolommeo Giugni, benedĂŹ la prima pietra, nel giorno 28 marzo dellâanno anzidetto. â Ma quella cinta di mura, restò lunghi anni sospesa sino a che Ferdinando I, fra lo spirare del sec. XVI e il sorgere del XVII, vi fece lavorare con tanto impegno, che il nuovo giro di muraglie, i fossi che le contornavano, i baluardi, i rivellini, le batterie e fortezze furono innalzate e compite, nel periodo di un decennio. â Questo secondo cerchio della cittĂ aveva una periferia di braccia 10.500, corrispondente a circa miglia toscane 3, 71. Lâarea del suolo compreso nel secondo cerchio occupa una superficie territoriale di circa un terzo di miglio quadro toscano.
Il terzo, ultimo e piĂš grandioso cerchio fu decretato nellâanno 1835 dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante, e questa grandâopera si è veduta cominciare, progredire e restare compita nel breve spazio di due anni.
âA secconda dellâandamento definitivamente adottato, e dopo le disposizioni generali con notificazione del 6 marzo l835 ordinate per lâesecuzione della nuova cinta di Livorno (la direzione della quale venne andata al Commend. Alessandro Manetti direttore del corpo deglâingegneri, e del bonificamento idraulico delle Maremme) si cominciarono i nuovi fondamonti, a partire dal Bastione chiuso di S. Pietro, situato a settentrione delle vecchie mura, e di lĂ dirigendosi verso grecale per il tenimento dellâantica Bastia di Porto pisano, fu tagliata la strada regia di Pisa presso lâoratorio di S. Antonino. Ma questo punto, volgendo il cammino da grecale a scirocco, si andò a trovare lâaltra via rotabile di Salviano, quindi al bivio detto del Fanale, e in ultimo, costeggiando il canale dei Lazzeretti, arrivossi al Mulinaccio , dove il nuovo recinto va a terminare per quella parte nel littorale presso i fossi del Lazzeretto di S. Rocco.
Tre porte e due barriere interrompono il nuovo cerchio per dare il passo alle comunicazioni di terra; cioè, la prima barriera con triplice cancellata alla via R.
fiorentina; lâaltra barriera alla via provinciale maremmana.
Le tre porte sono state aperte in tre diversi lati della cittĂ .
Guarda il lato orientale la porta S. Leopoldo dalla quale esce la via di Salviano. Apresi dal lato meridionale la porta a mare, fuori della quale si cavalca un nuovo ponte di pietra verso il Mulinaccio, per la via che guida al ridente popoloso littorale di Acquaviva, dellâArdenza e di Antignano. â Ă volta a settentrione la porta S. Marco, ricostruita dâappresso, e sotto il nome che portava quella di Venezia nuova. Essa è situata fra la Bastia di Porto pisano e la nuova Darsena deânavicelli.
Sono conservate sulle antiche mura la porta Colonnella e quella di S. Trinita, per le quali si esce alla darsena e al molo.
Allâingresso ed allâegresso di ogni porta o barriera havvi un ampio piazzale, intorno al quale è vietato di edificare, come pure è vietato dâinnalzar case o aumentare le esistenti ad una distanza minore di cento braccia dal pomerio, ossia dal confine del suolo che fiancheggia la nuova cinta di Livorno.
La principale fra le diverse barriere, o porte, è quella sulla strada R. fiorentina.
Quivi sono due edifizii doganali, uno per la gabellazione delle merci che sâintroducono nel Granducato, lâaltro per quella della maggior parte dei generi di consumo di cittĂ e delle produzioni che si estraggono dalla Terraferma per via di mare. La distribuzione dei suddetti edifizii, stati eretti collâopera dellâarchitetto fiorentino Carlo Reishamer, presenta i comodi piĂš opportuni, specialmente per essere stato separato lâingresso dallâegresso, e per trovarvisi costruiti due vasti locali coperti, nei quali possano ricoverarsi durante le visite doganali, barocci, e vetture.
La superficie quadrata della nuova cinta occupa braccia cube fiorentine 801, 421 equivalenti quasi a miglia 1 e 3/4 quadrate.
Cotesto terzo cerchio non presenta, ne piĂš gli conveniva come alle precedenti mura, lâaspetto di unâopera di fortificazione; imperocchè, destinato comâè a recingere una cittĂ popolosa, un porto-franco neutrale di uno stato e di un principe pacifico, era necessario che esso ne portasse lâimpronta, senza che pertanto fosse omesso quel carattere di edificatoria corrispondente allâoggetto: cioè, di uno stile rustico e a bozze di breccia e di tufo rozzamente tagliate nella faccia, ed in guisa tale che apponesse ai frodatori un ostacolo, sicchè la vigilanza di poche guardie bastasse per impedire il contrabbando.
Tutta lâaltezza del muro è di braccia 13 e 1/2, le prime otto delle quali hanno di grossezza, in base braccia 2 e un sesto con scarpata solamente esterna di un decimo a braccio. Allâaltezza delle braccia otto avvi una modinatura di pietra, consistente in un cordone che ricorre andante allâesterno, sopra il quale innalzasi altra porzione di muro a piombo alta braccia 5 e 1/2.
Dove ha ingresso in citta il canal navigabile, ossia il Fosso dei navicelli che congiunge Pisa con Livorno, stĂ costruendosi un altro importante ufizio doganale. Ă stato pur esso architettato dal Reishamer, in guisa tale che lâingresso dei Navicelli resta separato dallâegresso, ed i navigli hanno ricetto in uno spazio coperto durante le doganali operazioni. Cotestâufizio posa nel centro di unâampia darsena che ha una superficie di braccia 886,000 quadre.
Le mura della nuova cinta gli passano in mezzo, e dividono il bacino interno dallâesterno. Tanto in questo, quanto in quello possono in gran numero aver stazione le barche che introducono, o che escono dal porto-franco.
Un nuovo canale per porre in comunicazione il bacino interno della stessa Darsena col fosso del Rivellino offre una comoda circolazione ai navicelli; e quelle acque, per lo dinanzi stagnanti ed infette, attualmente partecipando al moto del riempifondo sonosÏ efficacemente ravvivate al pari di quelle del fosso reale, che è situato alla base delle fortificazioni.
La muraglia della nuova cinta si estende nei preaccennati limiti per miglia tre e tre quarti in lunghezza senza però calcolare quella estensione che è posta lungo il littorale, cioè, dalle antiche fortificazioni di porta-murata sino al bastione chiuso di S. Pietro, la quale può valutarsi della lunghezza di quasi un altro miglio.
I fondamenti delle mura posano sopra uno stabile terreno, o panchina di tufo pietroso, meno che dalla parte del seno di Parto pisano fra il fosso dei navicelli e la bastia, dove i suoi fondamenti, per un tratto lungo 500 braccia, sono piantati sopra palafitte con reticolato di legname.
Le bracciature cubiche di tali lavori, eseguiti fino al luglio del 1838, per la costruzione della nuova cinta di mura delle sue dipendenze, ammontano a braccia cube fiorentine 452,612; le quali sono da ripartirsi come appresso; Il movimento, sul quale ĂŠ fondata la muraglia di cinta della cittĂ e porto-franco di Livorno, ascende a Braccia cube 160,816 Le chiaviche e ponti Braccia cube 8,412 I muri a rivestimento della darsena per i navicelli e annessi Braccia cube 11,607 I muri di cinta sopra terra Braccia cube 217,882 Le fabbriche sinora costruite per le porte, per le barriere e la dogana dâacqua Braccia cube 52,895 Totale Braccia cube 452,612 Dopo compito il nuovo recinto delle mura urbane di Livorno, sono state demolite alcune tra le porte del secondo cerchio, come inutili ed imbarazzanti il pubblico transito. Contansi fra queste la porta a Pisa , quella del Rivellino di S. Marco, ed anche la piĂš moderna del Casone. La loro distruzione ha giovato, non tanto sotto il rapporto della salubritĂ , quanto sotto quelle di ornato pubblico, alle vicine fabbriche e alle strade.
Numero delle case che costituivano il vecchio Livorno, N° 1459 Case riunite alla cittĂ di Livorno nellâultima circonvallazione, N° 1477 Totale delle case nel 1837, N° 2936 Stabilimenti Sanitarii. â Livorno sotto questo rapporto non ha che insidiare alle principali cittĂ marittime del Mediterraneo e dei mari dipendenti, poichè il suo porto fu provvisto di tre grandi Lazzeretti, e questi collocati a diverse distanze in riva al mare, tutti sulla spiaggia meridionale del porto; vale a dire, nella pianura piĂš salubre livornese. Furono essi eretti lâuno dopo lâaltro da tre Granduchi, e quindi destinati appositamente, secondo i gradi del pericolo, ai diversi bastimenti che venivano accompagnati da patente, cosĂŹ dette, netta, tocca, e brutta; in guisa che ciascuno di quei tre locali veniva governato con regole efficaci sanitarie, e con discipline proporzionate allâoggetto della loro destinazione.
CosĂŹ il Lezzeretto di S. Rocco , il primo per antichitĂ , perchè edificato nel 1604 sotto Ferdinando I, è il piĂš vicino al porto, anzi quello che solo da un largo fosso viene isolato dalla cittĂ . â Dallâepoca dellâerezione del terzo Lazzeretto, di S. Leopoldo, sino a questi ultimi tempi il piĂš antico di S. Rocco servĂŹ alle provenienze con patente netta; ma, in grazia dei piĂš recenti provvedimenti sanitarii (anno 1834), esso attualmente è destinato a ricevere, oltre le merci e le persone delle provenienze suddette anche quelle con patente cosĂŹ detta tocca. Dentro lo stesso locale, sul declinare del secolo passato, per le cure di Ferdinando III fu aperto un piccolo porto ad oggetto di servire alla contumacia delle feluche coralline e di altri piccoli navigli.
Il Lazzeretto di S. Iacopo, distante quasi un miglio dalla cittĂ , fu fabbricato nel 1643 sotto Ferdinando II col disegno dellâarchitetto Antonio Cantagallina.
Esso prese il nome di S. Jacopo dal soppresso vicino convento dei Frati di S. Jacopo in Acquaviva, dovâĂŠ rimasta la chiesa parrocchiale.
Questo secondo Lazzeretto si riservò ai bastimenti con patente brutta, e specialmente a quelli provenienti da paesi, dove soleva dominare la peste bubbonica. Nel Lazzeretto di S. Jacopo, lâanno 1754, per ordine dellâImperatore Francesco I, secondo Granduca di questo nome, vennero eseguiti grandi accrescimenti in fabbriche, in logge e fontane con un recinto di fossi, oltre un canale navigabile destineato a condurre dentro Livorno le merci, dopo essere state ammesse alla pratica. Fu questâedifizio nella stessa occasione circondato e chiuso da una circonvallazione regolare e quadrilunga di mura con porta maggiore davanti a un ponte levatojo, sopra la quale fu apposta lâarme imperiale con la seguente iscrizione, dettate dal celebre letterato Antonio Cocchi: Imp. Caes. Franciscus. Augustus.
Dux. Lothar. M. D. Etr. Ut Liburni.
Portu. Pestilentiae. Contagia. Quam.
Tutissime. Arceantur. Insulam.
purgationibus.
Hominum. Et. Marcium. Habendis.
Restituit. Ampliavit. Instruxit, anno MDCCLIV Dopo compito il terzo Lazzeretto, questo di S. Jacopo venne destinato alle sole provenienze con patente tocca; e ciò finchè, per sovrana disposizione di Leopoldo II, fu ripristinato lâantico sistema di accogliervi tutte le merci e persone portate sopra navigli con patente brutta.
Finalmeale il Lazzeretto di S. Leopoldo, il piĂš distante di tutti (circa un miglio e mezzo dalla cittĂ ) rammenta una delle piĂš grandi opere edificatorie, e uno dei tanti benefizj fatti da Leopoldo I a favore del commercio e della salute pubblica dei Livornesi. â Era esso in origine destinato allo sciorino e alla contumacia di merci e di passeggeri provenienti da paesi appestati: essendochè il fabbricato fu disposto in modo che nel suo interno contiensi un altro Lazzeretto con un giro di mura isolato da quello esterno che lo racchiude. Nel qual secondo recinto venivano perfettamente isolati tutti gli appestati, per modo che il contagio bubbonico rimaneva costĂ obbligatamente estinto.
Framezzo ai due primi Lazzeretti, di S. Rocco e di S.
Iacopo, e parimente in riva al mare, esiste lo spedale di Osservazione, il quale può isolarsi al momento che si vuole dalla Terraferma, e mettersi tosto in una specie di quarantina. Fu eretto provvisoriamente allâepoca della comparsa in Livorno della Febbre Gialla (anno 1804); poscia venne perfezionato e reso piĂš confacente allo scopo nei casi di sopravvenienza di malattie contagiose, come accadde nel 1817 per il tifo petecchiale, e negli anni 1835 e 1837 per lâinfausta comparsa del morbo asiatico.
Esposto tutto lâedifizio ad una libera ventilazione, è anche suscettibile di suddivisione per i diversi gradi di una stessa malattia contagiosa, in guisa che questo spedale può riguardarsi come uno degli stabilimenti in simil genere che onorano lâumanitĂ , la saviezza e la previdenza dal governo toscano.
A maggior comoditĂ degli ufiziali di sanitĂ , dopo il ritorno del Granduca Ferdinando III, fu innalzata alla bocca del porto di Livorno una elegante, se non bastantemente comoda, palazzina di marmo, appellata lâUfizio della SanitĂ .
Tempii sacri al culto Cattolico. â La cittĂ di Livorno proporzionatamente alla sua popolazione ed al suo lustro scarseggia anzi che no di chiese; e quelle che vi esistono non può dirsi che siano di una grande capacitĂ . In vista di ciò il Granduca Leopoldo II ha decretata la fondazione di quattro nuove chiese da doversi erigere in parrocchie assolute, fra le quali la maggiore sta attualmente edificandosi in spaziosa area, a tre grandi navate, per destinarla a nuova piĂš dignitosa cattedrale.
Il duomo attuale, dedicato a S. Maria Assunta e a S.
Francesco e tuttora lâunica parrocchia plebana, siccome lo fu fino da quando Livorno non contava che poche centinaja di abitanti.
Alla chiesa plebana di S. Giulia di Porto Pisano, ossia di Livorno, la quale in origine esisteva fuori del primo cerchio, fu sino dal secolo XVI aggregata unâopera, con altra chiesa sotto il titolo di S. Maria, situata dentro Livorno. Quindi la chiesa plebana associò allâantico titolo quello di S. Maria, finchĂŠ nellâoccasione forse della consacrazione del duomo attuale, fu preso per contitolare del nuovo tempio e per santo compatrono di Livorno, S.
Francesco dâAssisi.
Il pieveno di Livorno venne decorato del titolo di preposto nellâanno 1632, Allâepoca stessa in cui la pieve di S. Maria, di S. Giulia e d; S. Francesco fu eretta in insigne collegiata.
Il titolare della prima parrocchia di Livorno è stato conservato alla compagnia di S. Giulia, che Ê un pubblico oratorio molto ornato situato di fianco al duomo, devotamente frequentato ed ofiziato.
A proporzione che Livorno andò accrescendo di popolazione, prestarono ajuto al preposto pievano diversi cappellani curati di alcune chiese che di mano in mano si eressero in Livorno, le quali divennero perciò altrettante cappelle succursali. Tali sono le cure della Madonna, di S.
Giovanni, di S. Caterina, di S. Sebastiano, di S.
Ferdinando, ec.
Il duomo è a croce latina di una sola navata con altar maggiore isolato e una grandiosa apside o tribuna. Evvi un capitolo composto di venti canonici, fra i quali cinque dignità , e di altrettanti cappellani con un sufficiente numero di chierici. Mancavi tuttora un seminario.
Il duomo ha buoni a fresco nelle soffitte e quadri di pittori rinomati alle pareti ed agli altari. La vasca del battistero è un lavoro di marmo bianco di qualche merito per i tempi in cui fu fatto. Sono pure di marmo diversi mausolei, comecchè troppo gretto apparisca, in confronto del merito e di quanto per Livorno operò, quello ivi innalzato al governatore marchese Carlo Ginori.
La Madonna (SS. Concezione, deâfrati Minori osservanti), è dopo il duomo la chiesa piĂš grande, la piĂš centrale e la meglio uffiziata di tutte. Conta lâepoca stessa della chiesa maggiore, stantechè la sua fabbrica incominciò nellâanno 1598. Ha una sola navata, con lâaggiunta posteriore di un cappellone a cornu epistolae. I cultori di belle arti vi troveranno due eccellenti quadri di Matteo Rosselli, e uno dipinto dal Franceschini, detto dalla sua patria, il Volterrano.
La chiesa di S. Caterina, dei frati Domenicani Gavotti, venuti a Livorno dal convento di S. Marco di Firenze, fu edificata insieme col claustro fra il 1704, e il 1716. La forma del tempio è ottangolare, ornato a stucchi con una cupola grande a proporzione del vaso. Allâincontro piccolissima e sproporzionata ĂŠ la cupola nuova di una piĂš vasta chiesa, S. Benedetto, stata innalzata con i fondi a tal uopo destinati dalla pietĂ del negoziante livornese Benedetto Fagiuoli.
La chiesa ed il collegio di S. Sebastiano furono edificati dopo il 1633 a spese della comunitĂ . Nel quartiere di Venezia nuova esiste la chiesa dei soppressi religiosi Trinitarj Scalzi, edificata ed arricchita da un capitano delle galere granducali.
Dei conventi superstiti fuori della cittĂ di Livorno si conta attualmente il solo monastero della Madonna di Montenero. con meno di quattro altri conventi esistevano nel capitanato vecchio, oltre il vetusto spedale di S.
Leonardo di Stagno; cioĂŠ, il convento di S. Jacopo dâacquaviva, degli Agostiniani Romitani; la Badia deâSS.
Apostoli di Nugola, dei Monaci Maurini; il piccolo claustro di S. Maria della Sambuca, dei PP. Gesuati, ed il monastero di S. Gio. Gualberto di Val Benedetta, dei Vallombrosani. â Vedere Acquaviva (S. Iacopo di) badia di Nugola Val benedetta, Monte nero di Livorno e Sambuca nei monti livornesi.
Altri culti praticati, o tollerati in Livorno. â Io non starò a porre in campo la questione, se debbasi alle larghe franchigie civili della Livornina, o piuttosto ai provvedimenti che accordarono una tolleranza religiosa, il maggior concorso di gente e di ricchezze derivato a Livorno; ne giova bensĂŹ far rilevare, che le piĂš forti case di commercio livornesi appartennero a famiglie professanti culti non cattolici, e che la massima fortuna mercantile sembra importatavi dallo spirito di tolleranza, stato costantemente mantenuto da due e piĂš secoli in questa cittĂ . Checchè ne sia, dirò che, dopo il culto dominante cattolico apostolico romano, si esercitano pubblicamente in Livorno tre riti ortodossi, e sono tollerati privatamente altri tre culti eterodossi, oltre il maomettano e lâebraico. Essi riduconsi ai seguenti.
1. I Greci uniti, quelli cioè di rito ortodosso, i quali professano obbedienza al pontefice romano. â La loro chiesa, dove si esercita il culto in lingua greca letterale, è dedicata allâAnnunziazione di Maria. Fu fondata fino dal 1601, quando i Greci vennero chiamati a Livorno da Ferdinando I per impiegarli nel servizio delle galere. La suddetta chiesa è uffiziata da due preti nazionali, uno parroco lâaltro cappellano; ma non vi si potendo celebrare, a forma di quel rito, piĂš dâuna messa per giorno, havvi una cappella nel chiostro del locale medesimo per comodo del cappellano e dei sacerdoti forestieri dello stesso rito.
Concorrono pure a delta chiesa i preti arabi, chiamati Melchiti, i quali professano un culto consimile, e solo differiscono dai Greci uniti in quanto che i Melchiti usano della litargia in lingua araba, celebrano la messa con pane fermentato, e si comunicano con le due specie.
2. Gli Armeni cattolici. â Essi professano la religione cattolica romana con cerimonie diverse dal rito latino; usano della lingua armena, e consacrano in pane azimo. â La loro chiesa, dedicata a S. Gregorio, è uffiziata da tre sacerdoti, due dei quali fanno le veci di parroco; contuttociò si possono celebrare le messe latine anche i sacerdoti della cittĂ .
3. Gli Arabi maroniti. â Esiste in Livorno espressamente per gli Arabi maroniti un monaco sacerdote del Monte Libano, che ha una cappella nel convento della Madonna dei frati Minori Osservanti. Egli dovrebbe celebrare la messa e gli uffizj divini in lingua siriaca; ma per comodo degli Arabi maroniti, che non la intendono, celebra parte della messa in Siriaco, e parte in Arabo.
4. I Greci non uniti, altrimenti detti Greci orientali, o scismatici. â Nella loro chiesa, che è sotto lâinvocazione della SS. TrinitĂ , si pratica il rito della chiesa greca scismatica, sebbene esteriormente la loro liturgia armonizzi con quella dei Greci uniti, meno che nel simbolo della messa si omette la parola filioque. Essi dipendono dal patriarca greco eterodosso di Antiochia; quindi il loro culto è privato.
Quantunque la religione dei Russi differisca alcun poco dalla Greca orientale, entrambe però si assomigliano perfettamente nelle cerimonie, ancorchè la loro liturgia sia per lo piÚ praticata in lingua russa, o Rutena. Quindi è che della chiesa medesima della SS. Trinita concorrono, oltre i Greci orientali, anche i Russi, il di cui Autocrate ne è il capo e protettore.
I Greci scismatici hanno il loro speciale cimiterio dentro la nuova circonvallazione della cittĂ , fra il camposanto vecchio ed il nuovo cisternone.
5. Gli Anglicani, o Episcopali. â Nella cappella deglâInglesi, nella quale si usa la lingua nazionale, si esercita privatamente il culto dominante in Inghilterra, ossia lâEpiscopale. Havvi un ministro stipendiato dal loro governo, comecchè in essa cappella concorrino tutte le altre sette e riti soliti professarsi daglâInglesi, come: Presbiterani, Metodisti ec. â Nel modo che glâInglesi si servono a comune di uno stesso tempio, cosĂŹ hanno in comune un cimiterio, situato fuori degli spalti della distrutta porta del Casone; cioè, nella parte piĂš ridente e forse la meglio fabbricata della nuova CittĂ .
6. I Luterani e Calvinisti . â La nazione Olandese-Alemanna ebbe origine e cappella propria sotto il regno di Ferdinando I, dal quale ottenne, nel 1607, per mezzo del console della nazione Fiamminga residente in Livorno, la facoltĂ di erigere nella chiesa della Madonna una cappella con altare sotto lâinvocazione di S. Andrea; e costĂ la nazione stessa ebbe anco sepoltura. Ciò dĂ ragione di credere, che glâindividui Olandesi-Alemanni, stabiliti nei primi tempi in Livorno, professassero la religione cattolica, e non la protestante. â Fra i varj provvedimenti stati presi da quella casta, merita particolare menzione uno del 5 dicembre 1679, per essere quello forse il primo documento che dia a conoscere, come si associassero alla universitĂ Olandese-Alemanna, persone attinenti e diverse confessioni eterodosse. Tale fu la deliberazione di acquistare un altro luogo conveniente ad uso di cimiterio, oltre la sepoltura che lâuniversitĂ stessa aveva nella cappella di S. Andrea alla Madonna.
Infatti il giardino châessa comprò nel nov. del 1683, fu ridotto a camposanto, dopo che Cosimo III, con sovrano rescritto del 18 febb. 1695, ne approvò lâuso. I membri della nazione Olandese, Alemanna goderono in passato diversi privilegii, ed il governo soleva dirigerle anco dei quesiti relativi al commercio. â (Vedere i Regolamenti di detta nazione stampati in Livorno nel 1832, e lâArticolo Commercio di sopra riportato). Attualmente nella sala, o cappella della nazione Olandese-Alemanna, si pratica in privato il culto protestante, tanto di rito luterano, quanto calvinista e di tutte le numerose diramazioni di queste due riforme; le quali, sebbene in molti paesi disunite e avverse, in questa sala sembrano fra loro perfettamente concordi. La liturgia è praticata in lingua tedesca, e ne ha la cura un loro predicatore o ministro. â Anche gli Olandesi hanno a comune con tutti gli altri protestanti Tedeschi, Svizzeri ec. il loro camposanto, il quale è situato in fondo al Borgo reale presso il quadrivio delle Spianate.
7. I Maomettani. â Benchè i Turchi non abbiano in Livorno una moschea, ne alcuna sala destinata al loro culto, pure anche a questi il tollerante governo toscano si degnò concedere un cimiterio murato, che può vedersi fuori della nuova porta a Mare, in luogo detto il Mulinaccio.
8. Gli Ebrei. â LâuniversitĂ , o nazione degli Israeliti è la piĂš ricca e piĂš numerosa fra le credenze tollerate in Livorno; ed è costĂ dopo quella di Amsterdam la piĂš decantata sinagoga. â Mentre si agita ancora in Francia, in Inghilterra e in qualche altra parte di Europa la questione, se convenga conferire agli Ebrei i diritti civili, essa fu giĂ da gran tempo risoluta e stabilita in Toscana da Cosimo e da Ferdinando I, convalidata poi dai Granduchi successori, specialmente in favore degli Ebrei che venivano ad abitare familiarmente a Pisa e a Livorno.
Non vi fu per questi ultimi un ghetto proprio, ma sivvero un quartiere sugli spalti meridionali, non però circoscritto nè disgiunto dal restante della città , non ostante che da gran tempo sia stato loro concessa facoltà di acquistare e abitare case in altre strade. Solamente nella prima epoca venne loro interdetto di avere abitazione nella gran via Ferdinanda, come quella che può considerarsi fra tutte le altre la strada piÚ nobile di Livorno.
Col volgere però degli anni, si affievolirono e quindi svanirono le cause, per le quali anche costĂ erano state poste alcune interdizioni aglâIsraeliti. Lâelemento del commercio, assorbendo in Livorno tutti gli altri elementi, ve le ha quasi affatto distrutte.
Lâinterdizione maggiore che colpiva in Livorno lâuniversitĂ giudaica era quella di non includere nella borsa del magistrato civico, fra i nomi dei benestanti, i mercanti o possidenti ebrei; talchè questi ultimi nou potevano essere eletti in rappresentanti il corpo decurionale, siccome non solevano tampoco essere ammessi alle civiche stanze della cittĂ . Ma la prima interdizione fu tolta dalla saviezza di Leopoldo I, la seconda dalla cittadinanza francese; il di cui governo favorĂŹ tanto gli ebrei di Livorno da non applicare a danno loro il decreto napoleonico dei 17 marzo 1808, col quale si sottoponevano glâisraeliti dellâimpero francese a certe misure per frenare i poco caritatevoli usurai della nazione.
Del resto, dopo la distruzione del tempio, e dacchè il popolo dâIsraello divenne vagante, forse da credersi che non vi sia paese al pari di Livorno, in cui lâuniversitĂ ebraica abbia goduto mai piĂš di una migliore esistenza civile, di una maggior quiete pubblica, di piĂš estese onorificenze e favori. In una parola agli israeliti di questo paese non è testata preclusa altra via fuori di quella militare e del foro.
La corporazione israelitica di Livorno fino allâanno 1625 fu soggetta a quella di Pisa; dalla quale chiese ed ottenne indipendenza per sovrano rescritto del Granduca Ferdinando II. Dâallora in poi i capi di famiglia raccolti in sinagoga procedettero allâelezione di 5 massari, sorta di magistrato, il quale presiede per lâeconomico al culto, che ha la gestione delle pubbliche aziende, che una volta conosceva delle cause civili e criminali, le quali insorgevano tra i loro nazionali, eccettuate peraltro quelle che portavano alla pena capitale, o a punizioni infamanti, e le cause dove intervenivano come parte individui di altra religione. Ma questo privilegio di fare gli ebrei da giudici nelle cause criminali fu tolto dal Granduca Leopoldo I, che limitò le attribuzioni dei massari ai giudizj civili e commerciali con lâappello allâauditore del governo, finchè tal privilegio fu abolito dal governo francese.
La popolazione dei sette culti qui sopra nominati non figura in Livorno, appena per una quarta parte in paragone di quella israelitica; la quale ultima sta attualmente in confronto della popolazione cattolica livornese, come uno a dodici.
Nella statistica della popolazione del Granducato redatta nellâanno 1745, quando tutta la popolazione di Livorno, dentro le mura, contava 3836 famiglie con 28040 abitanti, la cifra degli ebrei figura per 993 famiglie contenenti 8988 individui, nel tempo che gli eterodossi non erano piĂš che 166 abitanti ripartiti in 33 famiglie.
Inoltre dallo stato dellâanime del 1790 apparisce, che la popolazione della cittĂ di Livorno, esclusi i passeggieri, e i condannati ai pubblici lavori, nello stesso anno non superava 30349 abitanti, quando di questa stessa cifra facevano parte 8800 tra ebrei ed eterodossi.
Finalmente nellâanno 1837, essendosi numerata la popolazione di Livorno dentro la nuova circonvallazione, senza far conto dei forestieri e dei forzati, ascendeva essa a 59564 abitanti, mentre quella della universitĂ israelitica non appariva piĂš che di 4497 ebrei. Il qual ultimo numero dâisraeliti trovavasi ripartito in 1350 fuochi, tra i quali si noveravano 68 famiglie miserabili, sussidiate dallâuniversitĂ o da sovvenzioni private.
Se da un lato non dobbiamo avventurarci in ipotesi sul numero deglâisraeliti primitivi venuti familiarmente a Livorno, dallâaltro lato non possiamo negare il loro vistoso e progressivo aumento nella prima metĂ del sec.
XVII, tostochĂŠ nellâarchivio della ComunitĂ di Livorno (Filza I a pag. 812) esiste la seguente nota delle bocche di quella cittĂ .
- Anno 1633 Bocche di Livornesi non Ebrei Compresi dentro la cittĂ di Livorno nellâanno 1633, Abitanti 7942 Bocche di Ebrei nellâanno stesso, 700 Totale Abitanti 8642 - Anno 1642 Bocche esistenti in Livorno nel marzo dellâanno fior.
1642, NÂş 10326 Ebrei non compresi in detta nuaerazione, NÂş 1175 Parte della soldatesca della guarnigione sparsa per la cittĂ , escluso il presidio delle fortezze, NÂş Forzati nel Bagno (ne può dar nota lo serivano di quello), N° - Nel nuovo accrescimento di Livorno, NÂş 156 Persone che sono nel Porto sopra i vascelli: (non si sono numerate perchĂŠ vanno e vengono), NÂş - Totale degli abitanti in Livorno e borghi, NÂş 12302 Fuori di Livorno, nel Capitanato vecchio (anno medesimo 1642), N° 827 Totale degli abit. Della Com. di Livorno nel 1642, NÂş Nella filza dellâarchivio medesimo fu notato il numero degli ebrei stabiliti in Livorno nel 1645, i quali ascendevano gia a 1250 persone; sicchè dal 1633 al 1645, vale a dire nel breve periodo di 12 anni, la popolazione israelitica di questa cittĂ si sarebbe aumentata quasi del doppio.
CENSIMENTO degli ebrei di Livorno eseguito in diverse epoche, estratto dalle note ufficiali di quella cancelleria israelitica.
Ad anno compito 1738 ebrei nati: 91, ebrei morti: 72, matrimoni di ebrei: 45, totale della popolazione: 3476 Ad anno compito 1758 ebrei nati: 84, ebrei morti: 149, matrimoni di ebrei: 39, totale della popolazione: 3687 Ad anno compito 1784 ebrei nati: 75, ebrei morti: 79, matrimoni di ebrei: 37, totale della popolazione: 4327 Ad anno compito 1806 ebrei nati: 105, ebrei morti: 131, matrimoni di ebrei: 36, totale della popolazione: 4697 Ad anno compito 1808 ebrei nati: 121, ebrei morti: 111, matrimoni di ebrei: 53, totale della popolazione: 4963 Ad anno compito 1817 ebrei nati: 105, ebrei morti: 124, matrimoni di ebrei: 43, totale della popolazione: 4633 Ad anno compito 1833 ebrei nati: 116, ebrei morti: 117, matrimoni di ebrei: 42, totale della popolazione: 4701 Ad anno compito 1836 ebrei nati: 134, ebrei morti: 107, matrimoni di ebrei: 30, totale della popolazione: 4497 La superiore tabella pertanto ci darebbe a divedere, che la popolazione israelitica in un secolo non si accrebbe appena di una quarta parte, mentre nel periodo medesimo la popolazione cattolica quasi triplicò la sua cifra. Resterà a sapere se i calcoli sono stati in ogni tempo esatti, e se chi comandò la formazione dei rispettivi censimenti possa essere stato mai, e per parte di chi, nelle sue aspettative defraudato.
Prospetto comparativo degli ebrei di Livorno negli anni 1745 e 1837.
Anno 1745 liberi: 3250, libere: 3445, coniugati dei due sessi: 2295, famiglie: 993 Anno 1837 liberi: 1308, libere: 1214, coniugati dei due sessi: 1975, famiglie: 1106 Delle 1106 famiglie israelitiche esistenti nel 1837 in Livorno, piÚ di una quarta parte e stata registrata nel ruolo di mendicità , sovvenuta come si disse, da sussidj mensuali o a determinate ricorrenze, nel tempo che una parte delle medesime è soccorsa da beneficenze private.
Quasi la decima parte degli ebrei possiede beni stabili in Livorno, e circa 4 quinti di loro vi hanno anche domicilio.
I tassati dalla camera di commercio, nel 1837 erano 245, e quelli paganti la tassa di famiglia 473. â I negozianti benestanti, i banchieri e quelli esercenti traffici maggiori, o professioni liberali, nel 1837, ascendevano a 486 notabili; gli altri mestieranti ammontavano a 923 persone; fra tutti 1409 individui.
Nel corso dellâultimo triennio (dal 1834 al 1837) melgrado lâesempio dato da molti ebrei, nelle costruzione di fabbriche intraprese sotto lâaspetto di speculazione commerciale, il numero dei proprietarii israeliti non si mostra accresciuto, nè in proporzione assoluta, ne in relativa. Trovasi solamente nella loro statistica economica un qualche aumento nella massa generale dellâentrate; ma niun fatto dimostra che lâimpiego del denaro in immobili abbia presentato mai agli israeliti delle grandi allettative.
Minorarono forse alle case di Ebrei stabilite costĂ i lucrosi affari che esse facevano mediante i banchi di scontisti, parificati dopo lâapertura della Banca di sconto. Alla qual Banca si affrettarono molti Ebrei di associarsi col prendere quante piĂš azioni potevano. Donde ne conseguĂŹ, che di 2491 azioni dalla Banca medesima dispensate, ne furono in un, fiat, assorbite 915 dagli israeliti, 445 delle quali spettanti a case livornesi.
Stabilimenti Pii, e di pubblica caritĂ esistenti in Livorno.
â Fra le prime istituzioni di beneficenza sono da noverarsi gli ospedali destinati a prestar soccorso dalla languente umanitĂ . â Livorno non ne contava meno di quattro innanzi che Leopoldo I li riunisse o nei due superstiti, Cui piĂš tardi fu anche aggiunto lo spedale di Osservazione destinato alle malattie contagiose. Del primo spedale di Livorno sotto lâinvocazione di S. Ranieri incontransi memorie fino dal principio del secolo XIV. Esso venne accresciuto di beni nel 1671 con quelli del soppresso convento dei Gesuati alla Sambuca, finchè per ordino del Granduca Leopoldo I, nel 1778, fu anchâesso incorporato allo spedale delle donne, sotto il titolo della Misericordia: e ciò nel tempo che lâospedale di S. Barbera, riservato ai militari, restò riunito a quello superstite di S. Antonio.
Questâultimo, destinato per gli uomini, fu edificato nel principio del secolo XVII nel bel centro della cittĂ , ed ai secondi piani di casa; quindi fu progressivamente accresciuto di altre corsie disposte in differenti direzioni e livelli, nè troppo ventilate. Trovasi assistito fino quasi dalla sua origine dai Benfratelli, istituiti da S. Giovanni di Dio.
Allâospedale degli uomini precedĂŠ di pochi anni quello nominato della Misericordia, perchè deve la sua origine alla pia associazione di questo nome, a quella stessa caritatevole congregazioue, fondata nel 1595 con lo scopo filantropico e con i regolamenti presi dalla madre di tutte le arciconfraternite di caritĂ , da quella cioĂŠ della Misericordia di Firenze, Questa di Livorno, negli anni 1834 e 1837, acquistò nuovi titoli alla pubblica riconoscenza, e pareggiò in zelo ed in cristiane virtĂš la Misericordia fiorentina allâepoche delle pestilenze piĂš micidiali.
Oltre il prestere assistenza ed eccorrere in tutti i casi fortuiti di disgrazia, o di morti improvvise che avvengano nelle pubbliche strade, la stessa confraternita procura soccorsi spirituali o temporali ai carcerati, mediante una deputazione che porta il ben meritato titolo di Buonomini ; e lâunico suo assegnamento per supplire alle spese cansiste nelle questue, erogandone lâavanzo a soccorrere le famiglie bisognose che restano vittime di qualcuno di quei casi disgraziati.
Monti Pii. â Livorno possiede due ricchi Monti Pii, stati eretti in due tempi diversi; al primo dei quali, fondato nel 1626 dal Granduca Ferdinando II, fu aggiunto nel 1681 un secondo Monte di PietĂ per sovrano rescritto di Cosimo III. â Essi trovansi riuniti in un solo e vasto edifizio, appositamente fabbricato in via Borra, ed aperto nel 1708 sotto il duplice nome di Monte Rosso e di Monte Nero . â Furono inoltre instituiti tre vetturini, volgarmente detti Montini , per soddisfare in tutti i giorni anche festivi alle urgenze dei bisognosi.
Fra gli stabilimenti di pia beneficenza sono pure due Case Pie, che una destinata a sottrarre dalle funeste conseguense della miseria le fanciulle della classe del popolo nel cosĂŹ detto luogo Pio, e lâaltra i poveri orfanelli nella Casa del Refugio.
Alla prima fu dato principio nel 1682 con caritatevoli sovvenzioni dei cittadini. Tre anni dopo Cosimo III, per rescritto del 16 marzo 1685, assegnò al Luogo Pio tutto ciò che avesse potuto fruttare il diritto di registro delle polizze di sicurtĂ . Nel 1714 restò compita lâornatissima chiesa contigua, della quale leggesi la seguente iscrizione.
Pauperum Tempium, Pauperum Patris, qui Deus est, Domicilium venerari, Cosmi III M. E. D. Regii Pauperum Patroni in hoc Templo excitando, et demirare munificentiam, et imitare. â A.D. 1714.
Nella prima casa ebbero per qualche tempo richiesto i ragazzi poveri dei due sessi, e perciò era chiamata la Casa Pia dei poveri mendicanti, ma in progresso di tempo essa fu limitata alle sole fanciulle povere, oppure orfane.
Trovavasi di ragazzi oziosi, figli di miserabile gente quasi piena la cittĂ , quando il governatore di Livorno, Carlo Ginori, mosse a pietĂ molti deâprincipali negozianti, acciocchè concorressero allâerezione di una fabbrica per accogliervi quei garzoncelli, alimentarli ed istruirli nelle arti e mestieri piĂš comuni col precipuo lodevolissimo scopo di destinare poi il maggior numero di essi al servizio della marina toscana.
Dalla clemenza dellâaugusto Granduca Francesco II fu ottenuta la permissione di erigere a tal uopo nel luogo del primo camposanto di Livorno la fabbrica progettata, per la quale fu posta la prima pietra il di 4 maggio 1755, e, dopo compita, datole il nome di Casa del Refugio.
In questo stabilimento concorse efficacemente la generosa pietĂ dei Livornesi tanto che, nel 1760, si erano giĂ raccolti e alimentati circa 500 orfanelli e ragazzi del povero; i quali per la maggior parte furono impiegati sulle navi per far da marinaro e il restante per garzoni di bottega.
Dice tutto lâiscrizione collocata sopra la porta dello stabilimento. Eccone copia: Imp. Caes. Francisco P. F. Aug. M. Etruriae Duce, publicae felicitatis Propagatore Adnuente, Pueris, Orfanis et inopibus alendis, vacantibus congregandis, rudibus, instituendis, quo formentur mores, tranquillitas constet, artes, et negotiatio civitatis augeantur, liburnenses, conlata pecunia, procotrophion aedificandum curavere; Anno Cristi ortu 1756.
Entra finalmente a far parte (sebbene indirettamente) dellâistituto di pubblica beneficenza la cassa di risparmio aperta in Livorno dopo quella di Firenze, il cui scopo economico morale è quello di allettare lâartigiano a depositarvi quellâobola, che ai necessarii bisogni nei suoi giornalieri guadagni gli avanza, per riaverlo con frutto al giorno delle piĂš pressanti sue urgenze.
Stabilimenti di, istruzione pubblica. â Lo stato delle lettere e delle scienze, per veritĂ , non si può dire che nei tempi andati fosse molto florido in Livorno, come non lo è generalmente nelle piazze mercantili, meno il caso che queste siano attualmente, oppure lo fossero una volta, cittĂ capitali, come Londra, Pietroburgo, Stocholm, Napoli, Genova, Venezia ec. â I Livornesi peraltro hanno tutte le disposizioni per camminare e progredire col secolo, talchĂŠ anche in genere di pubblica istruzione sembra châessi non voglino restare indietro alle altre piĂš cospicue cittĂ .
Vediamo quello che era Livorno sotto questi due rapporti nei secoli trascorsi, o vediamo quello che ĂŠ attualmente.
Le prime scuole pubbliche furono quelle aperte sino dal 1633 in S. Sebastiano a carico della ComunitĂ , la quale, per mostrare la sua gratitudine ai PP. Barnabiti chiamati a Livorno dallâarcivescovo di Pisa Giuliano dei Medici che vi fondò la suddetta chiesa, volle affidare alla loro cura lâistruzione dei giovanetti nella lingua latina, nelle lettere; nella fisica ec. Quindi, nel 1780, tal palazzo comunitativo fu trasportato nello stesso locale la pubblica biblioteca, che conta il suo principio dallâanno 1765, e che va gradatamente accrescendosi a spese della comunitĂ , contandovisi adesso da circa 6000 volumi.
La ComunitĂ di Livorno oltre le scuole di leggere, Scrivere e abbaco stabilite nel collegio di S. Sebastiano, provvede alla istruzione elementare della popolazione degli antichi subborghi, ora compresi nel nuovo cerchio della cittĂ , mediante quattro scuole primarie, due per i maschi e due per le femmine.
Istituto del Paradisino. â Lâorigine di questa scuola per le zittelle rimonta solamente allâanno 1746 quando per 1e cure del preposto Alamanni essa fu aperta alle fanciulle di varie classi del popolo.
Ventâanni dopo il governatore di Livorno, March.
Bourbon del Monte, acquistò e ridusse per il nuovo istituto un palazzo in via S. Francesco che portava il distintivo di Paradisino. Soppresso in seguito per debiti lâistituto, fu ripristinato nel 1809 sotto il medesimo nome di Paradisino, collâaddossarsi gran parte del mantenimento la ComunitĂ di Livorno, che gli assegnò, da primo una casa in Venezia nuova, e quindi, nel 1811, una porzione del giĂ convento dei Gesuiti. Nel 1815 il conservatorio ricevè maggiori garanzie dal Granduca Ferdinando III che gli destinò altri soccorsi, affidandone la sorveglianza a una deputazione presieduta dal vescovo.
Finalmente lâAugusto regnante, oltre al compartirgli nuovi sussidi, ha fatto ampliare il locale, dopo averlo sgravato della spesa annua della pigione.
Nellâistituto del Peradisino si raccolgono tre ordini di fanciulle; quelle di prima classe vi hanno convitto; nella seconda classe sono comprese le giovinette civili che pagano un discreto salario alle maestre; il maggior numero peraltro spetta alla terza classe delle figlie di artigiani e del povero. Questâultime attualmente ascendono a circa 300, quelle di seconda classe sono poco piĂš di 40, e sole cinque si contano di fanciulle a convitto.
Scuole di carita deâSS. Pietro e Paolo. â Poco diverso dal precedente, e con lo scopo medesimo dâistruire cristianamente e civilmente le figlie dei Livornesi di tutte le classi, fu fondato da un ecclesiastico pieno di zelo e di carita, con le elemosine da esso raccolte nelle predicazioni, con i larghi sussidii ottenuti dalle Granduchesse Maria Anna e Maria Ferdinanda, e con lâassegno annuo di 2300 lire, concesso dal Granduca regnante alle istanze del suo fondatore. In questi il prete Giovan Battista Quilici, il quale nel 1828 fuori degli spalti orientali, previa sacra solenne funzione, pose mano allâedificazione del locale, il quale giĂ da un anno trovasi aperto al caritatevole asilo.
Lo scopo delle scuole di caritĂ consiste nel fare apprendere alle fanciulle di ogni condizione ed etĂ unâeducazione religiosa e letteraria, ma specialmente nellâaddestrarle a seconda della loro classe nei lavori femminili. â Lâistruzione è gratuita; bensĂŹ le figlie dei benestanti retribuiscono una mensuale spontanea oblazione, la quale viene impiegata (come nei conservatorj delle Salesiane) per dispensare giornalmente il vitto alle povere fanciulle, o a quelle di civile condizione decadute. Attualmente il numero delle alunne giunge quasi a 300, delle quali contansi un cento fra benestanti e artigiane, e 200 della classe povera. Le maestre che le assistono attualmente non sono piĂš di dieci.
Istituto per la marina e per i cadetti di artiglieria. â Lâistituzione delle guardie marine nel bagno vecchio di Livorno porta la data del 1766, quando Leopoldo I, con rescritto dei 25 marzo, ordinò la scelta di 12 giovani di famiglie distinte da impiegarli nel servizio della marina di guerra della Toscana, farli esercitare sulle navi armate in tempo di campagna, e in tempo del disarmo poterli istruire nella matematica, nella nautica teorica, nella storia, geografia, disegno di fortificazioni, lingua francese e inglese, come anche nel maneggio delle tele e del cannone. Oltre a ciò, nel 1769, lo stesso Granduca ordinò lâistituto per i cadetti militari in apposito locale, nella Fortezza vecchia di Livorno. â Essendo stati col variare dei tempi soppressi entrambi cotesti istituti, essi vennero in qualche modo da Ferdinando III ripristinati, quando nei 1816 fu assegnato ai cadetti asseriti al battaglione di artiglieria lâantico locale della Fortezza vecchia, mentre le guardie marine, senza obbligarle a timorare in Livorno, ebbero facoltĂ dâiniziarsi nelle dottrine opportune nei vari collegi e licei del Granducato e quindi completare il loro corso teorico della nautica e della matematica in Livorno.
Scuola di architettura ed ornato del cav. Carlo Michon . â Ecco unâaltra utile istituzione degna del secolo XIX, istituzione la quale onora il cuore e la mente dellâuomo benemerito che nel 1825 la fondò e che a tutto suo carico la mantiene, mediante lâassegno di un capitale fisso di lire 34500, oltre la gratificazione annua di lire 700 châegli stesso, in aumento: alla prima, vĂ comprtendo agli zelanti maestri del suo istituto.
Ă una scuola tutta destinata ad istruire i giovinetti ed a perfezionare gli artigiani nei mestieri meccanici, siano maestri muratori e ebanisti, legnaiuoli, scarpellini, cesellatori, pittori di riquadrature, tappezzieri, agrimensori, ec. Al qual fine ricevono gli alunni in questa scuola lezioni di geometria teorica e pratica in quella parte che riguarda direttamente lâarchitettura e lâagrimensura, e piĂš lezioni di disegno, di ornato, di architettura, di agrimensura ec.
Il numero degli scolari fu in origine limitato tra i 12 e i 18 giovanetti, dellâetĂ almeno di 12 anni, purchè nativi o domiciliati in Livorno e suo distretto; ma il numero che vi concorse non fa mai minore di 28 a 30 alunni.
La scuola e provvista non solo di arnesi necessarj per le lezioni di agrimensura e le livellazioni, ma possiede libri disegni, stampe e bassirilievi confacenti allo scopo.
Alla fine di ogni biennio il maestro di ornato presenta al fondatore e direttore dellâistituto, cav. Michon, la nota degli alunni capaci di concorrere ai premj consistenti in una medaglia di argento del valore di 40 paoli fatta coniare espressamente. â Livorno giĂ risente lâutilitĂ di questa istituzione, avvegnachè piĂš di cento allievi sono oggi in grado di esercitare con gusto e capacitĂ le arti e mestieri di sopra accennati.
Insegnamento mutuo . â Questo istituto di caritĂ reciproca può dirsi a buon diritto il modello delle scuole primarie dellâinsegnamento infantile, sia per la generosa concorrenza di coloro che lo mantengono, sia per la buona disciplina che vi si pratica, come anche per il numeroso concorso dei figli piĂš poveri del popolo, e per la proprietĂ e comoditĂ dello spazioso locale a tal effetto nel 1836 edificato.
Dei progressi di cotesto istituto, dello stato suo economico, e dei provvedimenti che si vanno prendendo da una societĂ composta di circa 140 individui, rende conto annualmente nel giorno della distribuzione dei premj agli alunni meritevoli il segretario della stessa societĂ , mediante un discarso che suole darsi alle stampe.
Asili infantili. â Anche questo moderno ricovero dellâinfanzia indigente va facendo vistosi progressi, mercè lo spirito di filantropia, gli ottimi sentimenti di alcuni cittadini ed una esemplare caritĂ di molte signore, le quali in numero di 120 concorrono ad alimentare e nobilitare si bella fondazione con sostenerne le spese, provvedere ai bisogni, offrire in dono i lavori delle loro mani, ed assistere a turno le sale di asilo. La prima sala fu aperta nel sett. del 1834, in via S. Carlo dove tuttora esiste. Il metodo che vi si pratica è modellato su quello dellâasilo infantile châera giĂ stato aperto in Pisa.
Nel 1836, fu aperta una seconda sala di asilo in via Erbosa. â Circa 200 sono i fanciulli del povero stati accolti nei due ricoveri di caritĂ , d iretti da esperte affettuose e pazienti maestre, intente ad insinuare in quelle innocenti creature buoni principi di educazione, dietro la scorta dellâesperienza e della ragione.
Istituto dei padri di famiglia. â Nuovissimo e veramente meritevole di elogio è lâistituto letterario che fu aperto in Livorno il primo agosto dellâanno 1833 da una societĂ di padri di famiglia benestanti, con la mira di fere educare nelle lettere e nelle scienze i propri figli, invigilando a turno essi medesimi alla letteraria loro educazione, a cominciare dallâetĂ infantile sino alla loro prima giovinezza.
Gabinetto letterario. â Fu aperto in piazza dâarme a Livorno nel 1823 dai sigg. prof. Giuseppe Doverj e dott.
Giuseppe Gordini, con lo scopo di riunire in un centro comune le notizie dei piĂš lontani paesi, le cognizioni di ogni progresso, i lumi di ogni scoperta, i resultati di ogni ramo scientifico, le cose dâogni letteratura.
Cotesto gabinetto letterario divenne infatti per sua natura il nucleo, dal quale germogliarono e sorsero diverse istituzioni filantropiche, le quali sotto i nomi di societĂ medica, di societĂ pel mutuo insegnamento, di quella per gli asili infantili, dei padri di famiglia, e della cassa di risparmio, naquero successivamente ed anche acquistarono forza e vita in cotesto stabilimento.
Accademia Labronica . â Questâaccademia di scienze, lettere ed arti venne istituita ed approvata con sovrano rescritto dei 19 novembre 1816, ed il civico magistrato lâautorizza tenere le sue pubbliche adunanze nel salone comunitativo. Languiva ancora fanciulla quando, nellâaprile del 1837, credè di rinvigorirsi col rifondere i suoi statuti e (ERRATA: collâallargare) col ristringere le sue attribuzioni, proponendosi di promuovere in patria lâincoraggiamento, la propagazione delle cognizioni teoriche e pratiche, scientifiche ed artistiche, riguardanti lâindustria, il commercio, lâagricoltura qualunque altro ramo di economia pubblica e privata.
LâAccademia è fornita di una biblioteca di circa 6000 volumi, dono per la maggior parte deâsuoi membri, e precipuamente di due benemeriti socj defunti, il dottor Gaetano Palloni, ed il di lei primo presidente, (ERRATA: Pietro Carcuti) Pietro Parenti.
Non dirò delle varie accademie letterarie che sono nate e morte in Livorno in diversi tempi, come quella deâdubbiosi, eretta nel 1644, e lâaltra che gli succedè con il nome degli Aborriti, della quale contasi un volume di produzioni in versi, dedicato a Cosimo III sotto il titolo di Gioje poetiche peâ la liberazione di Vienna.
A queste due estinte di languore vennero dietro nel secolo XVIII le accademie dei Compartiti, degli Adeguati, degli Affidati, dei Toscolidi, e infine quella che figurò ai tempi del governatore di Livorno March. Carlo Ginori, e del preposto archeologo FilippoVenuti; la quale accademia prese per titolo i Curiosi tella Natura.
Finalmente lâunica superstite fra quelle nate nei secoli XVII e XVIII e lâaccademia dei Floridi, che ebbe vita dopo lâanno 1797. â Essa ĂŠ degna di menzione e di lode, perchè fra gli altri oggetti che si propose vi fu quello di stabilire e mantenere a benefizio del pubblico due scuole, una di nautica e lâaltra di lingua inglese; di provvedere i migliori giornali politici esteri per comodo del commercio; di dare due volte lâanno accademie di musica o di poesia. â Possedeva a tal uopo un vasto e magnifico locale accanto al teatro nuovo che fu eretto nel 1806.
Quello denominato il Giardinetto è stato di recente ricomprato da una nuova Accademia, detta del Casino, che lo fa restaurare e ripristinare allâantico uso.
Anche lâaltro teatro pubblico di Livorno fu eretto nel secolo passato da una societĂ di filodrammatici, denominata gli Avvalorati.
Il piĂš moderno di tutti è il teatro diurno, o lâArena, edificato nella parte orientale della cittĂ fuori degli antichi spalti.
Livorno ebbe pure i suoi giornali letterarj. Nel 1752 si diede opera alla mensuale pubblicazione del Magazzino Italiano il quale dopo un anno prese il titolo di Magazzino Toscano, ed ebbe vita fino al 1757. â Sotto nome di il Mercurio delle Scienze mediche compare nel 1823 un giornale bimestrale, compilato e tenuto vivo per cinque anni da un numero di membri della nuova societĂ medica di quella cittĂ .
Finalmente vive e fiorisce in Livorno un giornale ebdomadario che non si occupa di letteratursa nÊ di scoperte, nè di scienze, ma unicamente del commercio.
Tale è il titolo di quello compilato sino dal 1822 da Luigi Nardi, che si pubblica sotto la censura della Camera di commercio. Ha per scopo di accennare il movimento di quel mercato, i prezzi correnti di varii generi, il corso deâcambii, il valore delle monete estere e le osservazioni sul deposito, andamento e vendita delle mercanzie diverse nel porto-franco di Livorno, oltre i movimenti dei porti esteri gli avvisi e le leggi sul commercio dei paesi che trafficano con Livorno medesimo, e cose simili.
Quanto agli uomini scienziati e di lelttere la lista dei Livornesi non ĂŠ molto lunga, se pure non si voglia riempire di nomi sotto la mediocritĂ . â Trovansi alcuni di questi negli elogj pubblicati dal P. Giovan Alberto De Soria, livornese egli stesso stato professore di filosofia in Pisa. â Citerò fra i piĂš distinti un Giacinto Cestoni naturalista che meritò lâamicizia e le lodi di Francesco Redi; citerò fra i meno antichi un poeta compito in Salomone fiorentino, un sobrio letterato in Ranieri Calzabigi, un classico cruscante nel bibliografo Gaetano Poggiali, un esimio maestro di violino in Pietro Nardini, un fortunato poeta in Giovanni dei (ERRATA: Gamura) Gamerra, succedute nella corte Cesarea al gran Metastasio. Fu un eloquente oratore sacro monsig.
Roberto Ranieri Costaguti, vescovo di molte doti fornito; cosĂŹ due Baldasseroni, cioĂŠ Pompeo, autore dellâopera sulle Leggi e Costumi del cambio, lâaltro, Ascanio, scrittore del Dizionario commerciale e del Trattato delle operazioni marittime. â Vuole la modestia che io non parli di alcuni livornesi viventi, per dottrina e per opere esimie da essi date alla luce, al pari che per azioni, meritevoli di non compri elogj.
Stabilimenti pubblici relativi al commercio. â Sebbene allâarticolo Commercio siasi dato un breve cenno degli stabilimenti pubblici destinati al commercio di Livorno, pure dirò non senza maraviglia che una piazza mercantile, qualâĂŠ Livorno, dove il commercio è lo scopo principale, e quasi lâunico pensiero dei Livornesi piĂš facoltosi, fu lungo tempo priva non solo di un tribunale di commercio composto di negozianti, ma ancora lo è di un edifizio destinato alla Borsa; siccome può dirsi, contare essa da pochi anni una Camera di commercio, e da poco piĂš di un anno una Banca di sconto.
Fa tuttora le veci di Borsa una pubblica strada (via Ferdinanda) nel punto piĂš frequentato della cittĂ (la Tromba) in vicinanza della Darsena. CostĂ nelle ore della mattina si trattano i principali negozii; costĂ si fanno glâincanti, costĂ si fissano le compre, le vendite, i cambj, ec. â Esiste bensĂŹ un locale chiamato le Stanze dei pagamenti , stabilimento forse unico nel suo genere, che offre un comodo grandissimo e disbrigativo ai negozianti, perchè vi si eseguiscono tutti i pagamenti di cambiali, di mercanzie, ec. in tre determinati giorni della settimana; ed è costĂ dove concorrono insieme debitori e creditori, i quali, mediante una reciproca compensazione ai ragionieri e cassieri delle Stanze, trovano gli uni e gli altri facilitate grandemente le operazioni di cassa le piĂš laboriose e complicate, qualora eseguire si dovessero nei respettivi banchi, o individualmente.
La Camera di commercio, istituita nel principio del secolo corrente, è composta di 12 negozianti, che cambiansi di due in due anni, scelti fra i nobili indigeni e quelli delle varie nazioni, purchè siano di qualche tempo domiciliati in Livorno. Cotesta Camera, che e la rappresentanza legale del commercio, corrisponde col governo per tutti gli oggetti di sua sfera. Ha la soprintendenza alla polizia della Banca o Stanze dei pagamenti, come pure sopra i sensali o mezzani della città e porto di Livorno.
Attualmente il Tribunale di commercio o formato dallâantico Magistrato consolare di Pisa, che venne nel 1816 traslocato in Livorno. Questo oltre le cause civili, indica in prima istanza quelle di commercio sulle tracce del codice francese, salve alcune modificazioni.
Inoltre nellâanno corrente 1838, è stato aperto in uno dei tre palazzi della piazza dâarme, di fronte al duomo , un vago casino di commercio che conta 200 mercanti contribuenti. â Si stĂ pure trattando di erigere una gran societĂ per le assicurazioni marittime, per glâincendj, e per la vita dellâuomo, alla quale societĂ corre voce che si voglia dare il nome esotico di Lloyd toscano.
Monumenti dâarte. â Per le ragioni di sopra avvertite Livorno conta pochi monumeati di belle arti degni di fissare lâattenzione dei suoi cultori.
Primo di tutti, e sorprendente monumento, è quello davanti alla darsena fatto innalzare da Cosimo II alla memoria di Ferdinando I suo padre, dove, in una piazzetta troppo angusta ergesi la statua pedestre del fondatore della prima cittĂ , scultura in marmo dellâartista fiorentino Giovanni dellâOpera . Alla sua base vi sono incatenati quattro schiavi di bronzo colossali, di etĂ e di atteggiamenti diversi, gettati dallo scultore carrarese Pietro Tacca; e questi soli costituiscono tal monumento che non disdirebbe a una Roma.
Fra le opere architettoniche contansi gli Acquedotti di Colognole, ed il grandioso Cisternone, entrambe le quali ram. menteranno ai posteri che, se i toscani del medio evo giunsero con le loro opere artistiche quasi a pareggiare gli antichi, i toscani moderni hanno saputo emulare quello della capitale del mondo, quello che a preferenza degli altri popoli si distinse specialmente nella costruzione di anfiteatri, di acquedotti e di strade militari.
Ă altresĂŹ vero, che mancava a Livorno lâacqua dei pozzi da potersi dire potabile, allora quando nella prima fondazione a un tal difetto fu provveduto, con solamente col raccogliere quelle piovane in pubbliche cisterne, ma col portare in cittĂ per mezzo di un acquedotto della lunghezza di circa miglia quattro le acque perenni della collina di Limone. â Ma neppure queste sorgenti riescirono allo scopo che desideravasi, stante la copia del tartaro châesse contenevano e che strada facendo depositavano. Quindi è che nel dicembre del 1791, il Granduca Ferdinando III incaricò varii ingegneri di visitare i territorj di Popogna e di Colognole, nel primo dei quali furono trovate sorgenti che gettavano 156 barili di acqua per ora, mentre quelle di Colognole si calcola che avrebbero fornito 400 barili dâacqua per ogni ora. In conseguenza di ciò fu emanato da quel Granduca il motuproprio dei 7 nov. 1792, per lâesecuzione dei nuovi acquedotti e annessi, appoggiandone in seguito la grandiosa spesa (salita a piĂš che 4 milioni di lire toscane) per metĂ al R. erario, e per lâaltra metĂ alla ComunitĂ di Livorno.
Potrei annoverare, fra gli stabilimenti di pubblica utilitĂ , i varii edifizi ad uso dei bagni di mare, i quali richiamano Livorno nellâestiva stagione numeroso concorso di gente di vario ceto, di vario sesso e di diversa patria.
Livorno è residenza di un vescovo suffraganeo dellâarcivescovo di Pisa, di un governatore civile e militare, presidente del dipartimeato di sanitĂ , comandante supremo del littorale toscano dei cacciatori volontarj di costa, e nellâI. e R. marina. Egli è assistito da un auditore di governo faciente le veci di vicario regio. Vi suole stanziare un reggimento di truppe di linea, una compagnia di artiglieri del genio, e una di cacciatori.
Evvi un ufizio della marina mercantile, un magistrato civile e consolare, una camera di commercio, due commissarii di polizia, un ufizio di esazione del registro, uno per la conservazione delle ipoteche, e vi si trova un ingegnere di circondario.
DIOCESI DI LIVORNO La Diocesi di Livorno non è piĂš antica dellâanno 1806, quando, ad istanza della Regina reggente lâEtruria per S.
M. Carlo Lodovico, il pontefice Pio VII, con bolla data in Roma li 25 sett. di quellâanno, eresse il nuovo vescovado di Livorno, distaccando la sua insigne collegista con altre quattordici parrocchie dalla giurisdizione ecclesiastica della chiesa primaziale di Pisa.
Il perimetro del vescovado di Livorno, se si eccettuino alcune chiese in Val di Tora, come Vicarello e Colle Salvetti, rimaste alla diocesi pisana, può dirsi modellato a un di presso su quello della giurisdizione politica e civile del capitanato nuovo di Livorno; mentre la Diocesi di questo nome oltre il territorio della sua comunità , comprende quello di Rosignano, e una gran parte del distretto comunitativo di Colle Salvetti.
Appartengono alla comunitĂ di Livorno, dopo la sua chiesa cattedrale, le cure suffraganee della Madonna, di S.
Giov. Battista, di S. Caterina, di S. Sebastiano, di S.
Ferdinando, di S. Francesco in fortezza, e le 4 nuove parrocchie di S. Andrea, di S. Benedetto, della SS.
Trinità , e dei SS. Pietro e Paolo, tutte dentro la città . Sono inoltre della campagna tre parrocchie suburbane; cioè, S.
Matteo fuori della barriera fiorentina, S. Martino in Salviano fuori della porta maremmana, S. Jacopo in Acquaviva , e S. Lucia: ad Antignano fuori della porta a mare. Sui monti poi livornesi si contano le parrocchie della Madonna di Monte Nero e di S. Gio. Gualberto di Val Benedetta. Appartengono, in quanto alla giurisdizione economica, alla comunitĂ di Colle Salvetti, ma per lâecclesiastica alla Diocesi di Livorno le parrocchie della nativitĂ di Maria di CastellâAnselmo, dei SS. Martino e Giusto alle Parrane, deâSS. Pietro e Paolo a Colognole, deâSS. Cosimo e Damiano a Nugola, e di S. Ranieri alle Guasticce (ERRATA , si aggiunga:) e S. Michele al Gabbro .
Spettano alla stessa Diocesi le parrocchie di S. Stefano a Castelnuovo della Misericordia e di S. Giavanni a Rosignano, entrambe comprese in questâultima comunitĂ .
La Diocesi di Livorno, dalle sua erezione in poi, è stata aumentata di dieci parrocchie, parte delle quali furono cure succursali della sua cattedrale, mentre alcune altre chiese parrocchiali si vanno attualmente edificando, o già sono state fabbricate di nuovo.
Prospetto della popolazione della ComunitĂ di LIVORNO a tre epoche diverse.
ANNO 1551: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; non cattolici -; totale delle famiglie 194; totale della popolazione 1562.
ANNO 1745: Impuberi maschi 1971; femmine 1807; adulti maschi 6989, femmine 6460; coniugati dei due sessi 3778; ecclesiastici dei due sessi 369; non cattolici 11160; numero delle famiglie 4512; totalitĂ della popolazione 32534.
ANNO 1837: Impuberi maschi 9777; femmine 14744; adulti maschi 10050, femmine 12109; coniugati dei due sessi 22781; ecclesiastici dei due sessi 306; non cattolici 6419; numero delle famiglie 11658; totalitĂ della popolazione 76186.
N. 1 PROSPETTO della Popolazione della COMUNITAâ di LIVORNO dellâanno 1833, divisa per Parrocchie.
-PARROCCHIA: CATTEDRALE MASCHI coniugati n° 1145, adulti n° 1105, impuberi n° 954, ecclesiastici secolari n° 36, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 163 FEMMINE coniugate n° 1233, adulte n° 1683, impubere n° 876, religiose n° -, non cattoliche n° 104 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1540 TOTALE DEI MASCHI: n° 3403 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 3896 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 7299 -PARROCCHIA: Annunziazione MASCHI coniugati n° 19, adulti n° 20, impuberi n° 16, ecclesiastici secolari n° 1, ecclesiastici regolari n° 2, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 7, adulte n° 12, impubere n° 18, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 22 TOTALE DEI MASCHI: n° 58 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 95 -PARROCCHIA: La Madonna MASCHI coniugati n° 847, adulti n° 706, impuberi n° 578, ecclesiastici secolari n° 8, ecclesiastici regolari n° 15, non cattolici n° 30 FEMMINE coniugate n° 848, adulte n° 916, impubere n° 562, religiose n° -, non cattoliche n° 68 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1046 TOTALE DEI MASCHI: n° 2184 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2394 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4578 -PARROCCHIA: S. Gregorio degli Armeni MASCHI coniugati n° 5, adulti n° 15, impuberi n° 3, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 4, non cattolici n° 1 FEMMINE coniugate n° 5, adulte n° 12, impubere n° 5, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 9 TOTALE DEI MASCHI: n° 28 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 22 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 50 -PARROCCHIA: S. Caterina MASCHI coniugati n° 382, adulti n° 348, impuberi n° 303, ecclesiastici secolari n° 9, ecclesiastici regolari n° 10, non cattolici n° 148 FEMMINE coniugate n° 355, adulte n° 524, impubere n° 247, religiose n° -, non cattoliche n° 135 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 486 TOTALE DEI MASCHI: n° 1200 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 1261 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 2461 -PARROCCHIA: S. Ferdinando MASCHI coniugati n° 473, adulti n° 314, impuberi n° 522, ecclesiastici secolari n° 6, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 2 FEMMINE coniugate n° 474, adulte n° 610, impubere n° 484, religiose n° -, non cattoliche n° 4 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 620 TOTALE DEI MASCHI: n° 1317 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 1572 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 2889 -PARROCCHIA: Fortezza Vecchia MASCHI coniugati n° 29, adulti n° 217, impuberi n° 19, ecclesiastici secolari n° 2, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 29, adulte n° 25, impubere n° 16, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 31 TOTALE DEI MASCHI: n° 267 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 70 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 337 -PARROCCHIA: Bagno deâCondannati MASCHI coniugati n° 69, adulti n° 128, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° -, adulte n° -, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° - TOTALE DEI MASCHI: n° 197 TOTALE DELLE FEMMINE: n° - TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 197 -PARROCCHIA: S. Gio. Battista MASCHI coniugati n° 1051, adulti n° 1294, impuberi n° 852, ecclesiastici secolari n° 15, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 84 FEMMINE coniugate n° 1074, adulte n° 1580, impubere n° 1019, religiose n° -, non cattoliche n° 20 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1267 TOTALE DEI MASCHI: n° 3296 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 3693 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 6989 -PARROCCHIA: S. Sebastiano MASCHI coniugati n° 725, adulti n° 609, impuberi n° 504, ecclesiastici secolari n° 35, ecclesiastici regolari n° 9, non cattolici n° 48 FEMMINE coniugate n° 710, adulte n° 924, impubere n° 456, religiose n° -, non cattoliche n° 16 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 791 TOTALE DEI MASCHI: n° 1930 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2106 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4036 -PARROCCHIA: Cura Militare MASCHI coniugati n° 67, adulti n° 1371, impuberi n° 54, ecclesiastici secolari n° 1, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 67, adulte n° 61, impubere n° 49, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 60 TOTALE DEI MASCHI: n° 1493 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 177 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 1670 -PARROCCHIA: Spedale della Misericordia MASCHI coniugati n° 6, adulti n° 4, impuberi n° 2, ecclesiastici secolari n° 2, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 14, adulte n° 56, impubere n° 3, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 8 TOTALE DEI MASCHI: n° 14 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 73 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 87 -PARROCCHIA: Spedale di S. Antonio MASCHI coniugati n° 30, adulti n° 27, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 18, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 1, adulte n° 4, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 2 TOTALE DEI MASCHI: n° 75 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 80 -PARROCCHIA: Acquaviva â S. Jacopo MASCHI coniugati n° 1817, adulti n° 1718, impuberi n° 1913, ecclesiastici secolari n° 10, ecclesiastici regolari n° 26, non cattolici n° 185 FEMMINE coniugate n° 1929, adulte n° 2241, impubere n° 2462, religiose n° 1, non cattoliche n° 193 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 2479 TOTALE DEI MASCHI: n° 5669 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 6826 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 12495 -PARROCCHIA: Antignano â S. Lucia MASCHI coniugati n° 141, adulti n° 118, impuberi n° 120, ecclesiastici secolari n° 5, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 141, adulte n° 106, impubere n° 89, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 155 TOTALE DEI MASCHI: n° 384 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 336 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 720 -PARROCCHIA: Montenero â S. Maria MASCHI coniugati n° 284, adulti n° 261, impuberi n° 242, ecclesiastici secolari n° 3, ecclesiastici regolari n° 6, non cattolici n° 1 FEMMINE coniugate n° 284, adulte n° 243, impubere n° 240, religiose n° -, non cattoliche n° 1 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 237 TOTALE DEI MASCHI: n° 797 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 768 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 1565 -PARROCCHIA: Valle Benedetta MASCHI coniugati n° 37, adulti n° 52, impuberi n° 55, ecclesiastici secolari n° 4, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 37, adulte n° 37, impubere n° 66, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 48 TOTALE DEI MASCHI: n° 148 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 140 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 288 -PARROCCHIA: Salviano - S. Martino MASCHI coniugati n° 1683, adulti n° 1618, imp uberi n° 1715, ecclesiastici secolari n° 9, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 158 FEMMINE coniugate n° 1691, adulte n° 1654, impubere n° 1681, religiose n° -, non cattoliche n° 211 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1217 TOTALE DEI MASCHI: n° 5183 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5237 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 10420 -PARROCCHIA: SS. Matteo e Lucia MASCHI coniugati n° 2300, adulti n° 1360, impuberi n° 1601, ecclesiastici secolari n° 15, ecclesiastici regolari n° 4, non cattolici n° 24 FEMMINE coniugate n° 2576, adulte n° 1465, impubere n° 1644, religiose n° -, non cattoliche n° 10 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 1934 TOTALE DEI MASCHI: n° 5304 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 5695 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 10999 -PARROCCHIA: Gorgona MASCHI coniugati n° 5, adulti n° 35, impuberi n° 10, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° 2, non cattolici n° - FEMMINE coniugate n° 5, adulte n° 6, impubere n° 7, religiose n° -, non cattoliche n° - NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 6 TOTALE DEI MASCHI: n° 52 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 18 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 70 -PARROCCHIA: Ebrei del Ghetto MASCHI coniugati n° -, adulti n° -, impuberi n° -, ecclesiastici secolari n° -, ecclesiastici regolari n° -, non cattolici n° 2373 FEMMINE coniugate n° -, adulte n° -, impubere n° -, religiose n° -, non cattoliche n° 2575 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° - TOTALE DEI MASCHI: n° 2373 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 2575 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 4948 - La popolazione avventizia del Porto si considera circa TOTALE DEI MASCHI: n° 3000 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 3000 -TOTALE MASCHI coniugati n° 11115, adulti n° 11320, impuberi n° 9463, ecclesiastici secolari n° 161, ecclesiastici regolari n° 96, non cattolici n° 3217 FEMMINE coniugate n° 11480, adulte n° 12159, impubere n° 9924, religiose n° 1, non cattoliche n° 3337 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11958 TOTALE DEI MASCHI: n° 38372 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36901 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 75273 N° II PROSPETTO STATISTICO della Popolazione della COMUNITAâ DI LIVORNO dal 1814 sino allâanno 1837 -ANNO 1814 MASCHI coniugati n° 8032, adulti n° 6408, impuberi n° 6928, ecclesiastici secolari n° 177, ecclesiastici regolari n° 46, non cattolici n° 2459 FEMMINE coniugate n° 8535, adulte n° 8102, impubere n° 6668, religiose n° 16, non cattoliche n° 2571 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10532 TOTALE DEI MASCHI: n° 24050 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 25892 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 499942 -ANNO 1815 MASCHI coniugati n° 8894, adulti n° 10161, impuberi n° 7186, ecclesiastici secolari n° 162, ecclesiastici regolari n° 59, non cattolici n° 2550 FEMMINE coniugate n° 9337, adulte n° 8449, impubere n° 6889, religiose n° 18, non cattoliche n° 2628 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11322 TOTALE DEI MASCHI: n° 29012 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 27321 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 56333 -ANNO 1816 MASCHI coniugati n° 8745, adulti n° 7892, impuberi n° 7445, ecclesiastici secolari n° 153, ecclesiastici regolari n° 65, non cattolici n° 2551 FEMMINE coniugate n° 9489, adulte n° 8263, impubere n° 6996, religiose n° 20, non cattoliche n° 2577 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10398 TOTALE DEI MASCHI: n° 26851 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 27345 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 54196 -ANNO 1817 MASCHI coniugati n° 9415, adulti n° 9143, impuberi n° 7347, ecclesiastici secolari n° 167, ecclesiastici regolari n° 99, non cattolici n° 2688 FEMMINE coniugate n° 9770, adulte n° 8756, impubere n° 6852, religiose n° 21, non cattoliche n° 2626 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11787 TOTALE DEI MASCHI: n° 28859 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 28025 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 56884 -ANNO 1818 MASCHI coniugati n° 9669, adulti n° 8942, impuberi n° 7573, ecclesiastici secolari n° 168, ecclesiastici regolari n° 105, non cattolici n° 2806 FEMMINE coniugate n° 10036, adulte n° 9196, impubere n° 7347, religiose n° 17, non cattoliche n° 2739 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11373 TOTALE DEI MASCHI: n° 29263 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29335 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 58598 -ANNO 1819 MASCHI coniugati n° 9622, adulti n° 12274, impuberi n° 7487, ecclesiastici secolari n° 172, ecclesiastici regolari n° 99, non cattolic i n° 2811 FEMMINE coniugate n° 10146, adulte n° 9507, impubere n° 7214, religiose n° 20, non cattoliche n° 2780 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10596 TOTALE DEI MASCHI: n° 32465 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29647 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 62112 -ANNO 1820 MASCHI coniugati n° 9823, adulti n° 12026, impuberi n° 7766, ecclesiastici secolari n° 173, ecclesiastici regolari n° 82, non cattolici n° 2839 FEMMINE coniugate n° 10189, adulte n° 9320, impubere n° 7618, religiose n° 34, non cattoliche n° 2830 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 10575 TOTALE DEI MASCHI: n° 32709 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 29991 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 62700 -ANNO 1821 MASCHI coniugati n° 10672, adulti n° 11673, impuberi n° 7720, ecclesiastici secolari n° 144, ecclesiastici regolari n° 83, non cattolici n° 2815 FEMMINE coniugate n° 11207, adulte n° 9082, impubere n° 7673, religiose n° 28, non cattoliche n° 2794 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11123 TOTALE DEI MASCHI: n° 33107 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 30784 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 63891 -ANNO 1822 MASCHI coniugati n° 10726, adulti n° 12007, impuberi n° 7991, ecclesiastici secolari n° 163, ecclesiastici regolari n° 92, non cattolici n° 2737 FEMMINE coniugate n° 11413, adulte n° 9033, impubere n° 7791, religiose n° 18, non cattoliche n° 2856 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11275 TOTALE DEI MASCHI: n° 33716 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31111 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 64827 -ANNO 1823 MASCHI coniugati n° 10744, adulti n° 12308, impuberi n° 7849, ecclesiastici secolari n° 156, ecclesiastici regolari n° 90, non cattolici n° 2873 FEMMINE coniugate n° 10927, adulte n° 9736, impubere n° 7795, religiose n° 26, non cattoliche n° 2928 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11400 TOTALE DEI MASCHI: n° 34020 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31412 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 65432 -ANNO 1824 MASCHI coniugati n° 10784, adulti n° 12480, impuberi n° 8040, ecclesiastici secolari n° 151, ecclesiastici regolari n° 87, non cattolici n° 2984 FEMMINE coniugate n° 11150, adulte n° 9807, impubere n° 7937, religiose n° 18, non cattoliche n° 3026 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11509 TOTALE DEI MASCHI: n° 34526 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 31938 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 66464 -ANNO 1825 MASCHI coniugati n° 10530, adulti n° 12653, impuberi n° 8640, ecclesiastici secolari n° 146, ecclesiastici regolari n° 87, non cattolici n° 3005 FEMMINE coniugate n° 10973, adulte n° 10294, impubere n° 8181, religiose n° 18, non cattoliche n° 3035 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11498 TOTALE DEI MASCHI: n° 35064 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 32501 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 67565 -ANNO 1826 MASCHI coniugati n° 10417, adulti n° 12913, impuberi n° 8247, ecclesiastici secolari n° 162, ecclesiastici regolari n° 91, non cattolici n° 2982 FEMMINE coniugate n° 10860, adulte n° 11087, impubere n° 8688, religiose n° 18, non cattoliche n° 3033 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12057 TOTALE DEI MASCHI: n° 34812 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 33686 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 68498 -ANNO 1827 MASCHI coniugati n° 10373, adulti n° 12849, impuberi n° 8543, ecclesiastici secolari n° 258, ecclesiastici regolari n° 106, non cattolici n° 3037 FEMMINE coniugate n° 10652, adulte n° 11335, impubere n° 9047, religiose n° 18, non cattoliche n° 3095 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12080 TOTALE DEI MASCHI: n° 35066 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 34147 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 69213 -ANNO 1828 MASCHI coniugati n° 10673, adulti n° 12901, impuberi n° 8729, ecclesiastici secolari n° 168, ecclesiastici regolari n° 109, non cattolici n° 3040 FEMMINE coniugate n° 11081, adulte n° 11364, impubere n° 9118, religiose n° 17, non cattoliche n° 3153 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12100 TOTALE DEI MASCHI: n° 35620 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 34733 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 70353 -ANNO 1829 MASCHI coniugati n° 10948, adulti n° 13742, impuberi n° 8902, ecclesiastici secolari n° 184, ecclesiastici regolari n° 104, non cattolici n° 3097 FEMMINE coniugate n° 11264, adulte n° 11558, impubere n° 9203, religiose n° 18, non cattoliche n° 3183 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12374 TOTALE DEI MASCHI: n° 36977 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 35226 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 72203 -ANNO 1830 MASCHI coniugati n° 10929, adulti n° 13484, impuberi n° 9212, ecclesiastici secolari n° 183, ecclesiastici regolari n° 100, non cattolici n° 3081 FEMMINE coniugate n° 11358, adulte n° 10967, impubere n° 9463, religiose n° 30, non cattoliche n° 3117 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12415 TOTALE DEI MASCHI: n° 36989 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 35935 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 72924 -ANNO 1831 MASCHI coniugati n° 10978, adulti n° 13823, impuberi n° 9303, ecclesiastici secolari n° 140, ecclesiastici regolari n° 119, non cattolici n° 3171 FEMMINE coniugate n° 11562, adulte n° 11695, impubere n° 9636, religiose n° 16, non cattoliche n° 3187 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12519 TOTALE DEI MASCHI: n° 37534 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36096 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 73630 -ANNO 1832 MASCHI coniugati n° 11125, adulti n° 13629, impuberi n° 9345, ecclesiastici secolari n° 147, ecclesiastici regolari n° 101, non cattolici n° 3205 FEMMINE coniugate n° 11639, adulte n° 12199, impubere n° 9698, religiose n° 18, non cattoliche n° 3271 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 12782 TOTALE DEI MASCHI: n° 37552 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36825 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 74377 -ANNO 1833 MASCHI coniugati n° 11115, adulti n° 14320, impuberi n° 9463, ecclesiastici secolari n° 161, ecclesiastici regolari n° 96, non cattolici n° 3217 FEMMINE coniugate n° 11480, adulte n° 12159, impubere n° 9924, religiose n° 1, non cattoliche n° 3337 NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 11958 TOTALE DEI MASCHI: n° 38372 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36901 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 75273 -ANNO 1834 MASCHI coniugati n° 11077, adulti n° 13871, impuberi n° 9314, ecclesiastici secolari n° 154, ecclesiastici regolari n° 101, non cattolici n° 2872 FEMMINE coniugate n° 11710, adulte n° 11711, impubere n° 10340, religiose n° 18, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13247 TOTALE DEI MASCHI: n° 37389 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36753 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 74142 -ANNO 1835 MASCHI coniugati n° 11400, adulti n° 14229, impuberi n° 9766, ecclesiastici secolari n° 156, ecclesiastici regolari n° 105, non cattolici n° 3052 FEMMINE coniugate n° 11876, adulte n° 11967, impubere n° 10436, religiose n° 16, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13146 TOTALE DEI MASCHI: n° 38708 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37550 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76258 -ANNO 1836 MASCHI coniugati n° 11174, adulti n° 14849, impuberi n° 9838, ecclesiastici secolari n° 174, ecclesiastici regolari n° 116, non cattolici n° 3268 FEMMINE coniugate n° 11773, adulte n° 11628, impubere n° 10121, religiose n° 16, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 13389 TOTALE DEI MASCHI: n° 39419 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 36978 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76397 -ANNO 1837 MASCHI coniugati n° 11164, adulti n° 14744, impuberi n° 9777, ecclesiastici secolari n° 177, ecclesiastici regolari n° 114, non cattolici n° 3137 FEMMINE coniugate n° 11617, adulte n° 12109, impubere n° 10050, religiose n° 15, non cattoliche n° NUMERO DELLE FAMIGLIE: n° 14596 TOTALE DEI MASCHI: n° 39113 TOTALE DELLE FEMMINE: n° 37073 TOTALE DELLA POPOLAZIONE: n° 76186 N° III MOVIMENTO della Popolazione della COMUNITAâ DI LIVORNO dallâanno 1818 al 1837.
-ANNO 1818 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 58,598 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1264, femmine n° 1210, totale n° 2474 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 960, femmine n° 851, totale n° 1811 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 586 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 163 CENTENARJ: n° 2 -ANNO 1819 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 62,112 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1276, femmine n° 1270, totale n° 2546 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 810, femmine n° 864, totale n° 1674 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 532 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 194 CENTENARJ: n° 2 -ANNO 1820 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 62,700 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1318, femmine n° 1300, totale n° 2618 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1012, femmine n° 984, totale n° 1996 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 601 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 177 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1821 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 63,891 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1366, femmine n° 1260, totale n° 2626 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 854, femmine n° 918, totale n° 1772 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 526 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 192 CENTENARJ: n° - -ANNO 1822 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 64,827 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1373, femmine n° 1225, totale n° 2598 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 774, femmine n° 800, totale n° 1574 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 544 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 170 CENTENARJ: n° - -ANNO 1823 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 65,432 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1348, femmine n° 1230, totale n° 2578 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 822, femmine n° 799, totale n° 1621 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 486 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 156 CENTENARJ: n° - -ANNO 1824 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 66,464 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1311, femmine n° 1274, totale n° 2585 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 895, femmine n° 835, totale n° 1730 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 535 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 227 CENTENARJ: n° - -ANNO 1825 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 67,565 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1326, femmine n° 1302, totale n° 2628 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1118, femmine n° 1193, totale n° 2313 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 537 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 173 CENTENARJ: n° - -ANNO 1826 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 68,498 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1351, femmine n° 1347, totale n° 2698 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 908, femmine n° 994, totale n° 1902 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 531 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 141 CENTENARJ: n° - -ANNO 1827 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 69,213 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1356, femmine n° 1313, totale n° 2669 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 941, femmine n° 988, totale n° 1929 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 585 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 152 CENTENARJ: n° 2 -ANNO 1828 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 70,353 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1429, femmine n° 1290, totale n° 2719 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 840, femmine n° 915, totale n° 1755 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 552 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 162 CENTENARJ: n° - -ANNO 1829 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 72,203 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1386, femmine n° 1278, totale n° 2664 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1267, femmine n° 1309, totale n° 2576 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 533 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 160 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1830 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 72,924 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1367, femmine n° 1380, totale n° 2747 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1078, femmine n° 1070, totale n° 2148 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 542 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 141 CENTENARJ: n° - -ANNO 1831 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 73,630 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1399, femmine n° 1336, totale n° 2735 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1081, femmine n° 1078, totale n° 2159 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 530 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 146 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1832 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 74,377 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1352, femmine n° 1338, totale n° 2690 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1133, femmine n° 1092, totale n° 2225 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 524 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 144 CENTENARJ: n° - -ANNO 1833 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 75,273 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1390, femmine n° 1317, totale n° 2707 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1118, femmine n° 1126, totale n° 2244 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 557 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 155 CENTENARJ: n° - -ANNO 1834 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 74,142 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1450, femmine n° 1417, totale n° 2867 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1057, femmine n° 1009, totale n° 2066 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 590 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 149 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1835 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 76,258 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1324, femmine n° 1295, totale n° 2619 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1732, femmine n° 1704, totale n° 3436 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 510 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 144 CENTENARJ: n° - -ANNO 1836 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 76,397 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1384, femmine n° 1305, totale n° 2689 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1056, femmine n° 1019, totale n° 2075 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 679 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 134 CENTENARJ: n° 1 -ANNO 1837 POPOLAZIONE di tutta la ComunitĂ di Livorno: n° 76,186 NUMERO DEI NATI: maschi n° 1401, femmine n° 1298, totale n° 2699 NUMERO DEI MORTI: maschi n° 1410, femmine n° 1448, totale n° 2858 NUMERO DEI MATRIMONJ: n° 583 NUMERO DEI NATI DA IGNOTI GENITORI: n° 136 CENTENARJ: n° - N° IV RISTRETTO dei BASTIMENTI venuti nel PORTO di LIVORNO nellâanno 1837.
NEL MEDITERRANEO - PROCEDENTI dai PORTI della TOSCANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 1 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 35, pollacche e bombarde n° 10, tartane n° 19, barche e sciabecchi n° 22, feluche n° 32, leuti n° 904, navicelli n° - PROCEDENTI dai PORTI dello STATO PONTIFICIO da GUERRA: pacchetti a vapore n° 1, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 61, navi e brigantini n° 5, pollacche e bombarde n° 6, tartane n° 5, barche e sciabecchi n° 5, feluche n° 5, leuti n° 151, navicelli n° 44 - PROCEDENTI dai PORTI di NAPOLI, SICILIA e MALTA da GUERRA: pacchetti a vapore n° 2, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 54, navi e brigantini n° 95, pollacche e bombarde n° 19, tartane n° 5, barche e sciabecchi n° 18, feluche n° 24, leuti n° 222, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI del MAR NERO e COSTANTINOPOLI da GUERRA: pacchetti a vapore n° 16, navi e fregate n° - , brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 347, pollacche e bombarde n° 31, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâADRIATICO da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 45, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dia PORTI dellâARCIPELAGO, sue COSTE e ISOLE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 3, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 34, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâEGITTO, CIPRO e COSTA dâASIA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 38, pollacche e bombarde n° 2, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI della BARBERIA e MAROCCO da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 55, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 3, feluche n° 1, leuti n° 76, navicelli n° 1 - PROCEDENTI dai PORTI della SPAGNA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 28, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 2, feluche n° 1, leuti n° 22, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI della FRANCIA MERIDIONALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 26, navi e fregate n° 3, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 101, navi e brigantini n° 54, pollacche e bombarde n° 21, tartane n° 19, barche e sciabecchi n° 5, feluche n° 5, leuti n° 46, navicelli n° 3 - PROCEDENTI dai PORTI di GENOVA, sua RIVIERA, NIZZA ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 2, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 88, navi e brigantini n° 85, pollacche e bombarde n° 50, tartane n° 24, barche e sciabecchi n° 136, feluche n° 162, leuti n° 494, navicelli n° 59 - PROCEDENTI dai PORTI della CORSICA, SARDEGNA ed ELBA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° 3, bastimenti latini n° 6 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 30, navi e brigantini n° 11, pollacche e bombarde n° 5, tartane n° 32, barche e sciabecchi n° 15, feluche n° 42, leuti n° 611, navicelli n° 21 OLTRE LO STRETTO - PROCEDENTI dai PORTI del PORTOGALLO da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI della FRANCIA SETTENTRIONALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâOLANDA, AMBURGO ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 16, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâINGHILTERRA, SCOZIA, IRLANDA ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 101, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dalla SVEZIA, DANIMARCA, RUSSIA, ec.
da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 39, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâAMERICA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 37, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - PROCEDENTI dai PORTI dellâINDIE ORIENTALI da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - TOTALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 10, brigantini/golette ec. n° 5, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 334, navi e brigantini n° 1029, pollacche e bombarde n° 175, tartane n° 104, barche e sciabecchi n° 206, feluche n° 272, leuti n° 2526, navicelli n° 1261 RICAPITOLAZIONE DEI BASTIMENTI da GUERRA N° 67 MERCANTILI N° 5907 TOTALE N° 5974 N° V BASTIMENTI venuti nel PORTO di LIVORNO nellâanno 1837 con la distinzione delle rispettive Bandiere NEL MEDITERRANEO e OLTRE LO STRETTO - Con Bandiera TOSCANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 83, navi e brigantini n° 129, pollacche e bombarde n° 30, tartane n° 32, barche e sciabecchi n° 36, feluche n° 55, leuti n° 1354, navicelli n° 888 - Con Bandiera PONTIFICIA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 16, navicelli n° - - Con Bandiera NAPOLETANA e SICILIANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 81, navi e brigantini n° 80, pollacche e bombarde n° 8, tartane n° 4, barche e sciabecchi n° 24, feluche n° 37, leuti n° 253, navicelli n° - - Con Bandiera AUSTRIACA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 134, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera ELLENICA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 93, pollacche e bombarde n° 12, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera OTTOMANNA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 3, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera BARBERESCA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 2, pollacche e bombarde n° 1, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 1, navicelli n° - - Con Bandiera SPAGNUOLA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 10, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° 2, feluche n° 2, leuti n° 28, navicelli n° - - Con Bandiera FRANCESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 6, brigantini/golette ec. n° 3, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 88, navi e brigantini n° 31, pollacche e bombarde n° 16, tartane n° 25, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 106, navicelli n° 1 - Con Bandiera SARDO e PIEMONTESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 82, navi e brigantini n° 183, pollacche e bombarde n° 63, tartane n° 40, barche e sciabecchi n° 144, feluche n° 177, leuti n° 493, navicelli n° 85 - Con Bandiera JONICA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 21, pollacche e bombarde n° 2, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera PORTOGHESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera OLANDESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 11, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera AMERICANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 16, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera INGLESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° 1, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 190, pollacche e bombarde n° 5, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° 1, navicelli n° - - Con Bandiera SVEDESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 22, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera DANESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 5, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera RUSSA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° 1, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 88, pollacche e bombarde n° 7, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera ANNOVERESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 3, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera PRUSSIANA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 1, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera CITTAâ ANSEATICHE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 1, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera BELGIA da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° 4, pollacche e bombarde n° -, tartane n° -, barche e sciabecchi n° -, feluche n° -, leuti n° -, navicelli n° - - Con Bandiera LUCCHESE da GUERRA: pacchetti a vapore n° -, navi e fregate n° -, brigantini/golette ec. n° -, bastimenti latini n° - MERCANTILI: pacchetti a vapore n° -, navi e brigantini n° -, pollacche e bombarde n° -, tartane n° 3, barche e sciabecchi n° -, feluche n° 274, leuti n° -, navicelli n° 287 - TOTALE da GUERRA: pacchetti a vapore n° 45, navi e fregate n° 10, brigantini/golette ec. n° 5, bastimenti latini n° 7 MERCANTILI: pacchetti a vapore n° 334, navi e brigantini n° 1029, pollacche e bombarde n° 175, tartane n° 104, barche e sciabecchi n° 206, feluche n° 272, leuti n° 2526, navicelli n° 1261
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1835, Volume II, p. 717.
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