LUCCA
(LUCA) in Val di Serchio.
â CittĂ insigne, di origine etrusca, poi ligure, quindi romana prefettura, colonia, e municipio: piĂš tardi residenza di duchi Greci e Longobardi, cui sottentrarono i conti e marchesi imperiali, sotto i quali Lucca si costituĂŹ in repubblica; e tale quasi continuamente si resse fino al principio del secolo XIX, quando fu destinata capitale di un principato napoleonico, siccome attualmente lo è divenuta di un borbonico ducato.
Trovasi la cittĂ di Lucca sulla ripa sinistra del fiume Serchio che le passa circa un terzo di miglio distante, in mezzo ad una fertile e irrigatissima pianura, circoscritta, dal lato di scirocco e libeccio dal monte, per cui i Pisan veder Lucca non ponno; da ponente a maestro mediante le branche dellâAlpe Apuana; da settentrione a grecale le fanno spalliera le balze dellâAppennino fra le quali scendono il Serchio, la Lima e le Pescie; mentre di lĂ dalle foci che si avvallano a levante e a libeccio di Lucca, giacciono i due laghi piĂš vasti della Toscana attuale.
Incontrasi la stessa cittĂ sotto il grado 28° 10â di longitudine e 43° 51â di latitudine, sopra un piano appena 32 braccia toscane piĂš elevato del livello del mare Mediterraneo; 13 miglia toscane a settentrione-grecale di Pisa, passando per Ripafratta, e sole 10 miglia toscane per lâantica strada del Monte pisano; 26 miglia toscane per la stessa direzione lontana da Livorno; 24 miglia toscane a levante-scirocco di Massa di Carrara; 12 a ponente- libeccio di Pescia; 14 a ostro dei Bagni di Lucca; e 46 miglia toscane a ponente di Firenze.
Senza far conto della congettura sullâetimologia del suo nome, di Lucca etrusca e ligure sâignorano non solo le vicende, ma qualunque siasi rimembranza istorica al pari, se non di piĂš, di quelle che si desiderano per altre cittĂ antichissime della Toscana. Dondechè quel piĂš che di Lucca si può sospettare, come un indizio di opera etrusca, sarebbero i fondamenti superstiti delle sue antiche mura ciclopiche, che in qualche parte a scirocco dentro la cittĂ , tuttora fra le muraglie di piĂš moderna etĂ si nascondono.
â Vedere LUCCA COMUNITAâ.
Non vi sono tampoco dati positivi, tostochè glâistorici del tempo non ne parlano, per farci conoscere, in qualche anno le armi romane cacciassero da Lucca i Liguri che al loro arrivo nella Valle del Serchio dominavano.
Nonostante rispetto a Lucca e Pisa, essendo queste le due cittĂ della Toscana che conservano a preferenza maggiori memorie tanto dei tempi romani, quanto dei periodi piĂš oscuri dellâistoria del medio evo, sarĂ gioco forza discorrerne piĂš di quanto comporterebbe il nostro libro.
Quindi gioverà che io percorra le vicende civili e politiche di Lucca 1°. sotto i Romani; 2°. sotto i re Longobardi ; 3°.
sotto i re Franchi e Italiani; 4°. sotto i re Sassoni e Svevi ; 5°. durante il periodo della sua repubblica; 6°. finalmente Lucca nei primi sette lustri del secolo XIX.
LUCCA SOTTO I ROMANI Quantunque non manchino valenti scrittori, i quali, appoggiandosi a un aneddoto di strategia militare raccontato da S. Giulio Frontino nella sua opera degli Stratagemmi , opinarono, che Lucca era in potere dei Liguri quando alla testa deâsoldati romani un Gneo Domizio Calvino lâassediò, e poi con semplicissimo inganno le sue genti vâintrodusse: contutto ciò, se io non temessi di porre il piè in fallo, azzarderei dire, che quella sola e troppo vaga asserzione non sia sufficiente a decifrare, se la comparsa ostile di Gneo Domizio Calvino sotto le mura di Lucca abbia a risalire allâepoca in cui i Romani conquistarono la prima volta sopra i Liguri questa cittĂ ; o sivvero, se lo stratagemma raccontato da Frontino debba riportarsi a qualcuna delle guerre civili e delle grandi fazioni di partito fra le cittĂ italiane sul declinare della repubblica romana guerreggiate.
NĂŠ io credo che osterebbe alle mie dubbiezze lâavere Frontino qualificato Lucca oppidum Ligurum, volendo probabilmente quello scrittore riferire alla contrada ligustica, nella quale Lucca fu per molti secoli dai Romani conservata; nella stessa guisa che il geografo Pomponio Mela, coetaneo di Frontino, chiamò Luna Ligurum, per quanto questa ultima cittĂ , giĂ da gran tempo innanzi staccata dalla provincia ligure, facesse parte della Toscana.
Quantunque la perdita della seconda Decade di T. Livio ne privi di documenti meno equivoci, relativi a chiarirci rapporto allâepoca, nella quale Lucca venne conquistata dalle armi romane, altronde i fatti istorici intorno alle prime guerre e al primo trionfo riportato dai consoli nellâanno 516 di Roma e quelli immediatamente posteriori ai libri perduti, ci danno a divedere che innanzi alla seconda guerra punica i Lucchesi giĂ ubbidivano o almeno erano alleati di Roma; tostochè dopo la battaglia della Trebbia (anno 536) in Lucca potè con sicurezza fissare i suoi alloggiamenti il console Sempronio. â E se è vero, come ne assicura lo storico patavino, che lâimpresa delle guerre lingustiche e galliche soleva dal senato affidarsi ai consoli, cui talvolta veniva prolungato il comando, è altresĂŹ noto, che niuno dei Domizj Calvini ottenne il consolato nel secolo sesto di Roma, tempo cui ci richiama la conquista del paese fra lâArno e la Magra.
Per altro di un Gn. Domizio Calvino, stretto in amicizia con Cesare e con Ottaviano, parlano glâistorici Dione Cassio e Ammiano Marcellino; talchè sembra lostesso personaggio che ottenne la prima volta il consolato nellâanno di Roma 701, e la seconda nel 714: cioè, due anni dopo la battaglia di Filippi. Fu allora quando Ottaviano Augusto faceva dispensare alle sue legioni, in ricompensa della riportata vittoria, sostanze e terreni a scapito deglâinquilini e dei loro legittimi possessori in tutta Italia. Si trattava nientemeno che di saziare lâaviditĂ di circa 170 mila soldati a danno e a carico di vecchie colonie, di nobili municipii, di ragguardevolissime cittĂ .
Non è questo un libro, nĂŠ io sono tale scrittore da dovermi permettere, quante volte manchino documenti istorici, delle congetture, dopo che ho preso per mia norma e divisa quel passo di Cicerone: Ex monumentis testes excitamus. Quindi io lascerò volentieri ai piĂš valenti lâincarico dâindagare, se lo stratagemma raccontato da Frontino, relativamente alla cittĂ di Lucca dei Liguri, quando essa fu assediata da Gneo Domizio Calvino, fosse possibilmente accaduto in quella calamitosa etĂ , in cui Piacenza dovè a forza di denaro redimersi dallâaviditĂ dei legionari; allorchè Virgilio fu costretto ad abbandonare la patria per essergli stato rapito il suo piccolo podere, e ciò nel tempo medesimo in cui molte altre cittĂ coraggiosamente si opponevano alle sfrenate coorti di Ottaviano.
Rimetterò pure a chi ha fior di senno la soluzione del quesito: se il popolo lucchese, a imitazione di quello di Norcia, di Sentino e di Perugia, potè allora sentire di sÊ tal forza e tanto stimolo di patrio onore da chiudere le porte della città in faccia alla prepotente milizia condotta da un luogotenente dei due primi Cesari, siccome piÚ tardi ebbe coraggio di fare lo stesso contro un piÚ numeroso esercito guidato dal vittorioso Narsete.
Comecchè sia di tutto ciò, non vi ha dubbio che Lucca sino da quellâetĂ doveva essere cittĂ di solide mura e di valide difese munita, siccome lo dĂ a congetturare la ritirata costĂ del Console Sempronio dopo la sinistra giornata della Trebbia.
Quello che fosse in tal epoca dello stato politico e della condizione civile di Lucca, è tale ricerca che rimansi ancora tra le cose da desiderare. Avvegnachè di tante guerre lingustiche nei lucchesi confini guerreggiate, di tanti fatti dâarme da Tito Livio con minute particolaritĂ e con enfasi oratoria raccontate, neppure una volta venne a lui fatto di nominare la cittĂ di Lucca. â Solamente, e quasi per incidenza, la rammentò allâanno di Roma 577, quando vi fu dedotta una colonia di diritto romano, composta di 2000 cittadini; a ciascuno dei quali vennero consegnati jugeri 51 e 1/2 di terreno stato tolto ai Liguri, aggiungendo egli, che quel territorio, prima che fosse dei Liguri, apparteneva agli antichi Etruschi.
Non dirò della lite insorta nove anni dopo, e piatita da Roma davanti ai Padri Coscritti, quando i Pisani querelavansi di esser respinti dal loro contado dai coloni romani di Lucca, e allâincontro i Lucchesi affermavano, che il terreno di cui si contendeva dai triunviri della colonia era stato loro consegnato; nĂŠ dirò del luogo fra i due popoli controverso, non trovandosi specificata la localitĂ ; nĂŠ altro resultato sapendosi dopo che il senato mandò i periti a conoscere e giudicare dei confini fra i due paesi disputanti, non se ne può arguire da qual parte i Lucchesi penetrassero nellâEtruria, ossia nel territorio della colonia di Pisa, spettante a questâultima regione.
(LIV. Histor. Rom. Lib. 45.). â Solamente aggiungerò che la cittĂ di Lucca anche innanzi la deduzione della sua colonia possedeva senza dubbio un territorio suo proprio, siccome avere doveva una magistratura civica e leggi diverse da quelle che erano peculiari della sua colonia.
Vi furono è vero molti, i quali opinarono, che i Lucchesi allâarrivo della romana colonia (177 anni avanti GesĂš Cristo) dovessero restare spogliati delle proprie leggi e dei loro magistrati municipali per godere dei privilegii e dei diritti portati insieme con i costumi e la forma di governo dai nuovi coloni; e ciò tanto piĂš, in quanto che di casi simili si contavano esempj da A. Gellio; il quale ne avvisò che molti municipj, rinunziando ai loro usi e alle proprie leggi, cercarono di ottenere il diritto delle colonie.
Quando però si vogliono contemplare le espressioni di due autori non meno classici di A. Gellio, si dovrà concedere che piÚ frequenti furono i casi, nei quali si combinavano in un paese medesimo colonie di diritto romano e magistrati municipali con leggi proprie.
Il primo è Cicerone, il quale nellâarringa a favore di P.
Silla (cap. 21) chiaramente distingue i cittadini di Pompei dai coloni stati colĂ inviati dal dittatore L. Silla. Il secondo scrittore è S. Pompeo Festo, alla voce Praefaecturae, lĂ dove in modo generale egli si espresse, che le prefetture erano cittĂ ridotte in soggezione dei Romani, e che perciò, se anche avevano colonie di loro, erano in tutto da questo disferenziate. â Dopo le quali testimonianze, (se la storia altro non dicesse) dovrĂ ognuno concedere, che in un paese medesimo potè trovarsi una colonia con prefettura, cioè, senza i suoi magistrati, ed esservene altri con magistrati distinti da quelli della sua colonia.
Ecco perchĂŠ Cicerone in una lettera scritta a Decimo Bruto, quando questi sopravvedeva alla Gallia Cisalpina, raccomandavagli lâamico L. Castronio Peto patrono principale del municipio di Lucca, nello stesso modo che lâoratore arpinate aveva qualificato col titolo di municipio le cittĂ di Piacenza, di Cossa, di Arpino, ec., ciascuna delle quali era nel tempo medesimo colonia.
CosĂŹ A. Gello appellò illustre municipio la cittĂ di Teramo (Interamna) sul Liri, nel cui vasto territorio trovavasi fino allâanno 569 di Roma dedotta una colonia latina (Liv. Lib. XXX 5). â Ma per lasciare tanti altri esempj gioverommi di quello solo che piĂš direttamente spetta al caso nostro, citando il compendio dellâopera di Pompeo Festo, scritto da Paolo Diacono, nel quale apparisce, qualmente Lucca, Pisa, Bologna, Piacenza e altre cittĂ godevano dei diritti di municipio, e di quelli proprii della colonia. (De Verborum Significatione, alla voce Municipium).
Conchiudasi adunque che, dovendo a buon diritto distinguere i coloni dai cittadini del luogo in cui la colonia fu dedotta, nel caso nostro è buono di avvertire, qualmente il terreno dato ai 2000 coloni lucchesi, non fu tolto ai cittadini indigeni, ma sibbene venne ad essi distribuito tutto, o la maggior parte di quello montuoso lasciato deserto dalle guerre, o dallâespulsione dei Liguri Apuani, deâFriniati e di altre simili congregazioni di Appennigeni fra loro limitrofe. â Vedere LUCCA DUCATO, LUNI e LUNIGIANA.
La colonia pertanto di Lucca andò prosperando insieme col municipio lucchese: nĂŠ pare che dappoi decimasse, o che la sua popolazione andasse declinando, siccome avvenne di tante altre cittĂ che spontanee chiesero, o forzate dovettero accogliere nel loro seno colonie militari, non piĂš come quelle dei tempi della repubblica. Fra queste ultime, dice Tacito, (Annal. Lib. XIV c. 27) si vedevano legioni intere coâlor tribuni, centurioni e soldati dâun corpo stesso, perchĂŠ dâafferto concordi, che amorevolmente avevano formato una piccola repubblica; mentre le altre invece erano di quelle colonie composte di soldati sconosciuti fra loro, di varie compagnie, senza capo, senza affezioni reciproche, quasi dâun'altra razza dâuomini, che alla rinfusa insieme accozzavansi, tali corpi in fine, come in due parole quellâaureo scrittore si espresse, cioè, formati numeris magis quam colonia.
Non ho creduto totalmente inutile alla storia cotesta disgressione, sul riflesso che potrà essa fornire un titolo a dimostrare, che Lucca per buona sorte restò una di quelle colonie romane non piÚ manomesse da altre carovane di soldati faziosi.
Ă altresĂŹ vero che di questa fatta la diede a conoscere anche il greco geografo Strabone; il quale, parlando della situazione di Lucca e dellâindole dei suoi abitanti, ne avvisò, come da questa contrada aâtempi suoi si raccoglievano grandi compagnie di soldati e di cavalieri, donde il senato sceglieva le sue legioni.
Uno degli ultimi e piĂš clamorosi avvenimenti di cui Lucca, mentrâera cittĂ della Liguria, divenne teatro, fu quando Giulio Cesare proconsole delle Gallie invitò a Lucca Crasso e Pompeo, per fissare la famosa triumvirale alleanza che decise della sorte politica dellâorbe romano.
(anno di Roma 698, avanti GesĂš Cristo anno 56.) In tale occorrenza Lucca accolse fra le sue mura i primi magistrati di varie provincie ro mane, moltissimi senatori, e circa 120 fasci di littori che servirono di treno ai proconsoli, ai propretori ec. Al quale proposito non senza ragione uno storico moderno ebbe a esclamare: âTanto erano allora degenerati i romani dai padri loro, che essi adopravansi a favorire la tirannide con eguale ardore con quanto i prischi travagliato avevano per spegnerlaâ. â (PLUTAR. e SVETON. in Vit. Caesar. â MAZZAROSA, St. di Lucca Lib. I.) Una cittĂ , comâera Lucca al tempo dei Cesari, centro di un paese molto esteso e popoloso, doveva necessariamente essere fornita e decorata di grandiosi monumenti e di pubblici edifizj sacri e profani. Che se ora non restano di quella etĂ altro che rarissimi avanzi e sepolte sostruzioni dâinformi mura, vedesi però il suo anfiteatro, specialmente nei muri esterni, in gran parte conservato sino alla nostra etĂ . E fu ben provvida la misura presa da quel corpo decurionale di liberare da tanti imbarazzi di orride case lâinterna arena per convertirla in una piazza regolare, e tale che ne richiami a prima vista la forme dellâantico edifizio.
Dal congresso di Cesare a Lucca fino alla disfatta dei Goti data da Narsete, cioè, durante il lungo periodo di circa 600 anni, tace la storia sulle vicende speciali al governo di queste cittĂ ; e solamente per incidenza è rammentata da Plinio il vecchio la colonia di Lucca, con avvertire che aâtempi suoi, Colonia Luca a mari recendes, non si accostava, come poi avvenne, col suo territorio sino al lido del mare. â Vedere LUCCA DUCATO.
Sotto il regno di Teodorico gli ordini delle magistrature continuarono però a un di presso come quelli introdotti durante il romano impero; talchĂŠ si può ben credere, che Lucca al pari di Pisa e di altre cittĂ primarie della Toscana annonaria avesse i suoi Decurioni, Duumviri, Edili, Questori, Censori, Quinquennali ed altri magistrati, molti dei quali sono rammentati ai paragrafi 52 e 53 nellâEditto di quel savio re dei Goti.
Nellâanno 553 dellâEra volgare la cittĂ di Lucca sostenne un lungo assedio contro lâesercito dei greci, condotto dal valoroso Narsete. CosicchĂŠ nel tempo, in cui le altre cittĂ della Toscana inviavano i loro ambasciatori incontro allâarmata vittoriosa, Lucca sola osò chiudere le sue porte al favorito eunuco di Giustiniano.
Che se dopo una resistenza di tre medi questa cittĂ fu costretta a capitolare, ciò non ostante, o fosse in riguardo al dimostrato valore, o fosse in vista dei vetusti suoi pregj, fatto è, che Lucca ottenne dal prode vincitore onorevolissime condizioni, e tali da poter contare da quellâepoca il suo primo governatore civile e militare col titolo di duca; titolo che venne posteriormente, e forse con una piĂš estesa giurisdizione, sotto il regno deâLongobardi rinnovato.
LUCCA SOTTO I RE LONGOBARDI Due quesiti lascia tuttora indecisi la storia allâoggetto di sapere; 1.° lâanno preciso dellâoccupazione della Toscana per parte dei Longobardi; 2.° qual forma di governo politico nei primi tempi essi vi stabilirono. â Quindi in tanto bujo e incertezza convien limitarsi a dire che, almeno dal lato occidentale della Toscana, e conseguentemente i territori di Pisa, di Lucca e di Luni dovevano essere caduti in balia dei nuovi conquistatori dellâItalia, allora quando un loro duce, Gummarit, verso lâanno 574 o 575, metteva a ferro e fuoco le maremme di Populonia, sicchĂŠ quella contrada fu poi riunita alla giurisdizione politica lucchese. â Vedere CORNIA, e CORNINO (CONTADO e SUBURBIO.) Ignorasi egualmente, se uno o piĂš duchi esistessero in questa Marca nel tempo medesimo; se vi fossero conti, oppure, se i soli gastaldi regii presedessero nel primo secolo al governo delle cittĂ di Toscana. â AvvegnachĂŠ ad eccezione del passeggero conquistatore delle maremme di Piombino, e di un duca Allovisino rammentato nella copia di un diploma del re Cuniperto, dato in Pavia nellâanno 686, riguardante la fondazione della chiesa di S. Frediano a Lucca: ad eccezione di due lettere di S. Gregorio Magno, che danno un cenno del ministero municipale di Pisa e di Sovana, poco piĂš ne sappiamo dei Longobardi e del loro governo (ERRATA: nel secolo IV) sulla fine del secolo VI dellâEra cristiana introdotto in Toscana.
In una penuria di tanta sproporzione in confronto del desiderio che avrei di porgere qualche munuscolo allâistoria patria, mi converrĂ imitare quel villico, che per bisogno di pane va e poi torna piĂš volte a spigolare il suo piccolo campo, per raccattare anche le piĂš sterili spighe.
Per quanto Lucca possa dirsi fra tutte le cittĂ della Toscana la sede prediletta di alcuni duchi, per quanto essa conservi negli archivii della sua cattedrale documenti vetusti e preziosissimi, pure conviene ingenuamente confessare, che di Lucca longobarda e dei suoi duchi non si scuoprirono finora memorie sicure anteriori al secolo VIII.
Il primo frattanto a comparire alla luce col titolo speciale di duca lucchese è quel Walperto, di cui troviamo fatta menzione in un istrumento di donazione stipulato in Lucca nel mese di agosto dellâanno 713, cum gratia Domni Walperti Duci nostro (sic) civitatis nostre Lucensis. (MURAT. Ant. Med. Aevi.) Mancato ai vivi il duca Walperto, incontrasi nella cronologia dei duchi di Lucca una lacuna, dal 737 al 754, non ancora châio sappia, riempita da memorie coeve. Lo stesso Muratori trasse fuori da quel dovizioso venerando archivio arcivescovile una pergamena dellâanno 755, che il Bertini per intiero, esattamente copiandola dallâoriginale, ristampò nel T. IV delle Mem. Lucch. Nella medesima carta si rammenta un altro duca per nome Alperto, il quale nellâanno 754 (di luglio) aveva preseduto a un contratto di permuta di beni che il pittore Auriperto teneva dal patrimonio regio, per cambiarli con altri della chiesa lucchese.
NÊ vi sono documenti sufficienti a far ammettere fra i duchi lucchesi Desiderio, che fu poi re, e il di lui figlio Adelchi, per quanto il primo tale venisse contemplato dal Sigonio, ed il secondo dallo storico lucchese Niccolò Tucci.
Allâultimo periodo del regno dei Longobardi dovrebbe bensĂŹ appartenere il duca Tachiperto rammentato col titolo di duca in una pergamena dellâArchivio Arcivescovile Lucchese del giugno 773. Sebbene anche in quella carta non sia specificato altro che una casa del duca Tachiperto dentro Lucca, pure alcune circostanze sembra che concorrano a dar peso alla congettura, cioè, che il duca Tachiperto corrisponda allo stesso personaggio, il quale assisteva come testimone a un istrumento celebrato nel luglio del 783 in Cantignano nel lucchese. Col quale atto Perprando figlio del fu Walperto (forse di Walperto che trovammo nel 713 duca di Lucca) donò ad una sua figlia terreni posti nel distretto di Rosignano, cui si sottoscrisse come testimone, Tachiperto flilius b. m.
Ratcausi de Pisa testis. â (ARCH. ARC. PIS.) Se io qui male non mi appongo, questo documento mi sembra di tale importanza da farci rintracciare nel donatario Perprando , e nel testimone Tachiperto, i progenitori di due illustri famiglie longobarde stabilite fino dâallora nella cittĂ di Pisa. Voglio dire, in Perprando il fratello del vescovo di Lucca Walprando e di Petrifunso, figli tutti di quel Walperto che fu duca della cittĂ di Lucca; mentre in Tachiperto, figlio del fu Ratcauso pisano, potria per avventura trovarsi un fratello di S. Walfredo fondatore del monastero di Monteverdi, che nacque pur esso da Ratcausi cittadino di Pisa, e che possedeva insieme con Tachiperto corti, predii e saline nel territorio di Rosignano e di Vada.
Fino a qui dei duchi lucchesi sotto il regno dei longobardi, durante il quale regime Lucca ci fornisce un pittore regio, qualche orefice e dei lavori dâoro e di cesello, mentre al medesimo periodo gli archeologi assegnano alcuni dei piĂš vetusti tempj esistenti tuttora in Lucca. â Finalmente contasi tra i privilegii piĂš segnalati che gli ultimi re Longobardi concederono a Lucca egualmente che a Pisa, quello della zecca per battere in queste due cittĂ moneta di argento e dâoro; giacchĂŠ fino dallâanno 746 si contrattava in Toscana a soldi buoni nuovi lucchesi e pisani. â (Murat. Ant. M. Aevi Dissert. 74.) LUCCA SOTTO I RE FRANCHI E ITALIANI Se la storia non fu generosa abbastanza per indicarci il tempo preciso della conquista della Toscana fatta dai Longobardi, essa per altro non ne ha in qualche modo ricompensati col mostrarci fino dai primi anni della venuta di Carlo Magno in Italia un duca di Pisa e di Lucca nella persona medesima e al tempo istesso.
Intendo dire di quellâAllone di nazione longobardo, il quale verso lâanno 775 tentò di far uccidere lâabate Gausfrido pisano, tornato ostaggio dalla Francia. Che cotesto Gausfrido fosse abate del Monastero di S. Pietro a Monteverdi, e succeduto immediatamente al governo di quella badia dopo la morte dellâabate Walfredo suo padre, ce lo disse il terzo abate di quel cenobio nella vita di S.
Walfredo, riportata negli Annali benedettini, e ce lo confermano tre documenti dellâArchivio Arcivescovile di Lucca pubblicati nel T. IV delle piĂš volte rammentate Memorie. â Vedere lâArticolo ABAZIA di MONTEVERDI.
Non si è a parer mio fatto quel conto che merita di una lettera del Pontefice Adriano a Carlo Magno, registrata col numero 55 nel codice Carolino: sia per rapporto al personaggio qui sopra nominato, che Adriano raccomandava alla clemenza del re: sia per rintracciare lâepoca in cui dovĂŠ quella lettera essere scritta, e a quali vittorie di Carlo volesse appellare.
Nella stessa occasione Adriano supplicava la benignitĂ del re, affinchĂŠ, come aveva fatto di Gausfrido dopo le vittorie da lui riportate, col rimandarlo a casa, cosĂŹ volesse favorire i vescovi delle cittĂ di Pisa, di Lucca e di Reggio, che egli riteneva sempre in ostaggio: ut ipsi Episcopi propriis sedibus restituantur etc.
Presedeva in quel tempo alla chiesa lucchese il vescovo Peredeo, della di cui assistenza e richiamo in Francia fa egualmente fede una pergamena di quellâArchivio del 16 gennajo 783. Ma poco dopo la sconfitta dellâesercito di Ratcauso duca del Friuli (anno 776) Peredeo dovĂŠ essere ritornato libero alla sua sede; avvegnachĂŠ nel marzo del 777, in Lucca egli stesso firmava un contratto di compra di beni per conto della cattedrale di S. Martino.
(BERTINI, Mem. Lucch. T. IV).
Da questo ultimo fatto ne conseguita, che le vittorie, cui appellava nella epistola 55 Adriano I, debbono richiamarci allâanno 776, quando Carlo Magno vinse e castigò i ribelli del Friuli. Alla stessa epoca pertanto doveva governare, se non tutta, una gran parte della Toscana quel duca Allone, contro cui nuovamente il Pontefice Adriano ebbe a reclamare presso il re Carlo, allorchĂŠ nella lettera 65 del codice citato egli si lagnava di Allone medesimo, a motivo che non potĂŠ mai indurlo ad armare una flottiglia per dar la caccia e incendiare le navi dei Greci, i quali scendevano nel lido di Toscana per raccogliere i Longobardi, costretti dallâindigenza e dalla fame a sacrificare la propria libertĂ . Dalla qual lettera resulta, che lâautoritĂ del duca Allone non ristringevasi al solo territorio di Lucca, tostochĂŠ Pisa e molta parte delle toscane maremme dipendevano dagli ordini di un solo governatore.
Ciò sembra dimostrato eziandio dalla giĂ indicata lettera 55 di Adriano I, con la quale pregava lo stesso re a ordinare al duca Allone di restituire le masse concesse a Gausfrido abate di Monteverdi. Le quali possessioni è noto, che esistevano in Pisa e nelle sue maremme, lĂ dove tuttora conserva un vasto territorio la casa illustre della Gherardesca discendente da quella prosapia. Inoltre sappiamo, che a confine dei beni della Gherardesca, fra Bibbona, Casale e Bolgheri, possedeva terreni ed un palazzo di campagna lo stesso duca Allone, palazzo che fu designato per molti secoli sotto il nome speciale di Sala del Duca Allone. â Vedere BOLGHERI della Gherardesca.
Lâultima memoria del duca Allone sembra quella di un placido contro un chierico, celebrato in Lucca nellâagosto del 785, cui presedĂŠ con il Vescovo Giovanni anche il duca che si sottoscrisse: Signum Allonis gloriosi ducis, qui hanc notitiam judicati fieri elegit. â (MURATORI Ant. M. Aevi T. I.) Deve finalmente Lucca al duca medesimo la fondazione di una delle sue piĂš antiche chiese con monastero, quella di S. Salvatore, alla quale nel secolo susseguente (anno 851) fu dato il nome che porta tuttora di S. Giustina, e che lâimperatore Lottario I assegnò in benefizio ad Ermengarda sua consorte e a Gisla loro figlia.
Successe ad Allone nel governo di Lucca il duca Wicheramo, di cui si conservano tre documenti scritti; il primo dellâanno 796, il secondo dellâ800, e il terzo dellâ810, tutti originali esistenti nellâArchivio Arcivescovile Lucchese.
Due fatti, per la storia dei tempi che percorriamo meritevoli di qualche attenzione sono questi; cioè, lâintervento e lâannuenza (secundum Edicti paginam) dellâautoritĂ regia per mezzo dei duchi, gastaldi o altri messi regj, la maggior parte delle volte, se non in tutti i casi, in cui si trattava di permutare dei beni spettanti al patrimonio ecclesiastico. Lâaltro fatto degno di considerazione è quello di trovare Wicheramo (dallâanno 799 allâ801) qualificato Duca, mentre in altra carta del 13 ottobre 810 si sottoscriveva col semplice titolo di Conte.
Vero è che intorno a questâetĂ incominciò ad introdursi lâuso di dare al personaggio medesimo talvolta il titolo di Conte, e tale altra quello di Duca, siccome sul progredire del secolo vi si aggiunse anche il qualificativo, forse con una giurisdizione piĂš estesa, di Marchese. â Di un Duca e Conte nel tempo stesso può citarsi in esempio quel famoso conte Bonifazio I che, nel marzo dellâanno 812, intervenne in qualitĂ di Duca a un placido celebrato in Pistoja, dove assistĂŠ pure, come delegato del Pontefice Leone III, Pietro Duca romano: mentre in altro giudicato celebrato in Lucca nellâaprile dellâ813, al testĂŠ rammentato Bonifazio fu dato il titolo dâillustrissimo conte nostro (cioè di Lucca); essendo intervenuto al giudicato medesimo uno Scabino di Pisa in qualitĂ di delegato di Bonifazio, che ivi la seconda volta è chiamato laudabilis Ducis.
Con il medesimo titolo di Conte, Bonifazio I è dichiarato nellâistrumento dellâ823, quando Richilda del quondam conte Bonifazio fu ordinata badessa del monastero deâSS.
Benedetto e Scolastica in Lucca; al quale atto prestò il suo consenso il di lei fratello Bonifazio II, che ivi si sottoscrisse dopo Richilda cosĂŹ: Signum Bonifatii Comitis germanus suprascriptae Abbatissae, per cujus licentiam hoc factum est. â Le quali ultime espressioni denotano a parer mio, non solo il consenso dato da Bonifazio come fratello di Rachilda, donna libera, ma ancora la licenza dellâautoritĂ regia che Bonifazio II a quellâanno esercitava probabilmente in Lucca come conte della cittĂ .
Dopo Bonifazio II incontrasi fra lâ838 e lâ845 un conte Agnano, del quale ci forniscono notizie varj istrumenti lucchesi e pisani. â Il primo di essi consiste in un deposto di testimoni esaminati in Lucca nel mese di aprile allâanno 838; nella qual scrittura si dichiara Agano comes istius civitatis, e con lo stesso titolo di Conte ivi si sottoscrisse.
Il secondo atto rogato lĂŹ 31 marzo dellâ839, verte sopra un cambio di beni fatto da Berengario vescovo di Lucca a nome della sua chiesa, ricevendone altri posti in Sorbano; al qual contratto di permuta il conte Agnano diresse i suoi messi e periti.
Lo stesso conte nellâ840, di febbrajo, sedeva in giudizio in Lucca nella corte della Regina con i messi imperiali e con altri giudici straordinarii per decidere di una controversia fra il Monastero di S. Silvestro e quello di S.
Ponziano fuori Lucca.
Finalmente in due carte dellâ842 e del 844 si rammentano le terre che possedeva in Lucca il conte Agano , chiamato talvolta conte Aganone.
Ma questo conte, non si sa per qual causa, privato che fu della sua carica, per contratto del 2 novembre dellâanno 845, ottenne da Ambrogio vescovo di Lucca ad enfiteusi precaria per sĂŠ e per la sua moglie Teuberga per 5 anni i beni che la chiesa di S. Michele in Foro possedeva in Cascio nella Garfagnana col padronato della stessa chiesa, obbligandosi di retribuire ognâanno un censo di 20 soldi dâargento.
Finalmente in quella scrittura fu dichiarato, che se lâex conte Agano, innanzi che terminassero i cinque anni dellâenfiteusi suddetta, ricevesse dal suo sovrano un benefizio super illud quod modo habemus, allora il contratto in questione dovesse rescindersi e dichiararsi nullo, e la chiesa di S. Michele con i suoi beni ritornasse tosto in potere e dominio della cattedrale di S. Martino senza alcun danno. (BARSOCCHINI, Mem. Lucch. T. V, P. II, p. 375.) Come andassero tali bisogne non lo so; la verità è, che del conte Agano dopo lâanno 845 non se ne parla piĂš, e solo si rammenta in una carta dellâArchivio Arcivescovile di Pisa allâanno 858, quando si tenevano i giudizii in questa cittĂ in sala olim Aganonis comitis; lo che è nuova conferma che i conti e duchi di Lucca presedevano al governo di queste due cittĂ .
Il successore piĂš immediato di Agano, giĂ conte di Lucca e di Pisa, lo presenta lâistoria nel potente Marchese Adalberto I figlio di Bonifazio II, che trovammo nellâ823 conte in Lucca. â La memoria piĂš antica relativa al figlio di Bonifazio II la fornisce un placito del 25 giugno 847 pronunziato in Lucca nella corte ducale dallâillustrissimo Duca Adalberto, assistito da Ambrogio vescovo di essa cittĂ , dal gastaldo, da varii scabini giudici e da altri personaggi, in causa di beni reclamati dallâavvocato della pieve di Controne. â Vedere CONTRONE in Val di Lima.
Egli è quello stesso Adalberto, che col titolo e in qualitĂ di Marchese, come inviato dellâImperatore Lodovico II, unitamente a Giovanni vescovo di Pisa, sentenziò in Lucca in una causa dâappello, nellâaprile dellâ853, ad oggetto di annullare un contratto enfiteutico. Ă quellâAdalberto medesimo, che nellâanno istesso e pochi giorni innanzi (13 marzo 853) come Conte di Lucca, inviò i suoi messi a S. Gervasio in Val dâEra per accordare il consenso regio a un contratto di permuta di beni di una chiesa di quel pievanato (S. Maria di Val di Chiesa) presso Feruniano, situata alla destra del fiumicello Rotta.
Nella stessa qualitĂ di conte di Lucca e per un consimile oggetto troviamo di nuovo Adalberto I nominato in altri istrumenti di permute di beni ecclesiastici, fatti in Lucca li 29 giugno dellâ855, e sotto i 26 agosto dellâ856.
(BARSOCCHINI, Memor. Lucch. T. V. P. II) Per quanto dai documenti poco sopra accennati resulti che il figlio del conte Bonifazio II usasse, ora del titolo di marchese, ora di quello di duca, e piĂš spesse volte di conte, non sempre per altro egli riunĂŹ le doppie ingerenze di conte della cittĂ di Lucca e di marchese della Toscana.
AvvegnachĂŠ, se nel giudicato del 25 giugno 847 egli figurava in Lucca come duca, non comparisce però in un placito straordinario del dicembre 858, celebrato nella corte ducale dai giudici dallâimperatore Lodovico II destinati a rivedere le cause nelle parti della Toscana, dove vâintervenne con Geremia vescovo di Lucca il conte Ildebrando di lui fratello. Allâincontro in qualitĂ di duca il Marchese Adalberto, nel 27 giugno 873, tornò a presedere nella corte ducale di Lucca in una causa promossa a nome di quella cattedrale. â (MURATORI, e BARSOCCHINI nelle Opere citate).
Che il nominato conte Ildebrando nellâ857, ed anche diversi anni dopo, esercitasse le funzioni di conte in Lucca, dove era vescovo il di lui fratello, e dove teneva la sua piĂš costante residenza il di lui amico Adalberto marchese di Toscana, mi confortano a crederlo due altri documenti di questa stessa cittĂ .
Il primo è un contratto del 9 ottobre 862, fatto in Lucca e firmato dal conte Ildebrando figlio del fu Eriprando, riguardante un cambio di beni che la mensa vescovile lucchese possedeva nelle maremme di Roselle, cambiati con altri possessi del conte Ildebrando situati in Val di Serchio, e che il contraente medesimo rilasciò a Geremia, il quale ivi si qualifica gratia Dei hujus Lucanae ecclesiae humilis episcopus germano meo. â Vedere ISCHIA dâOMBRONE.
Verte il secondo contratto intorno ad altri beni, che il vescovo Geremia a nome della sua cattedrale, li 29 marzo 863, affittò al di lui fratello conte Ildebrando, consistenti in certe possessioni che questâultimo nellâanno antecedente aveva cambiate con altre della chiesa lucchese situate nelle Maremme.
In questo suddetto anno nel dĂŹ 20 di agosto, trovavasi pure in Lucca il duca Adalberto, la di cui annuenza fu interposta in una delle solite permute di beni spettanti a una chiesa di Marlia; e nella stessa cittĂ due anni dopo capitò, inviato dallâImperatore Lodovico II come messo straordinario, il conte Winigisi, quello stesso che piĂš tardi ritroveremo conte ordinario della cittĂ di Siena e del suo contado.
Come duca viene il Marchese Adalberto designato in altra memoria dellâanno 866 (11 ottobre), e con doppio titolo di conte e di marchese trovasi qualificato in un placito celebrato in Lucca li 17 dicembre dellâanno 871; al quale atto furono presenti non solo i vescovi di Lucca, di Pisa, di Pistoja e di Firenze, ma ancora il conte Ildebrando ed Ubaldo fedele dellâimperatore Lodovico II.
Questi due personaggi uniti al Marchese Adalberto I sono celebrati daglâistorici di quellâetĂ : mentre il Marchese Adalberto I figura per un sempre piĂš crescente potere, non che per la sua versatile politica negli affari diplomatici dellâItalia; il secondo personaggio ci richiama a quel conte Ildebrando che lo storico Liutprando disse conte assai potente, e che fu costante amico ed alleato dei due marchesi Adalberti; dal quale Ildebrando trasse la sua origine la casa principesca dei conti Aldobrandeschi di S.
Fiora e di Sovana.
Nel terzo personaggio veggo quel Marchese Teubaldo di legge ripuaria, ossia quel valoroso Ubaldo , che Cosimo della Rena segnalò padre del Marchese Bonifazio di Spoleto e Camerino; cioè lo stesso di quello che nellâ892 alla presenza di tre eserciti regj nei campi di Pavia con la spada fece valere lâonore italiano vilipeso da unâinsolente soldato tedesco (LUITPRANDI, Histor. LIB. I cap. 7.) In una parola dai documenti del secolo IX accennati dal Fiorentini, e resi di pubblica ragione dal Muratori o dagli Accademici lucchesi nelle Memorie per servire alla storia del ducato di Lucca , si ha motivo di concludere, che non solo il Marchese Adalberto I fece in Lucca la sua piĂš ordinaria residenza, ma che egli qualificossi senza alcuna distinzione di tempo, conte, duca ed anche marchese.
Basta per tutti il contratto del 25 aprile 873 riguardante una delle consuete permute di beni spettanti alla chiesa di S. Donato fuori la porta di Lucca, beni che confinavano con il prato e le terre della contessa Rotilde conjux Adalberti comitis; ad esaminare lâutilitĂ della quale permuta Adalbertus Dux direxit missos suos. Questo documento giova anche a scuoprirci lâepoca, nella quale il prato di S. Donato, attualmente detto il prato del Circo, prese e conservò per lunga etĂ il nome di prato del Marchese.
Fra le pergamene inedite pubblicate di corto nelle Memorie lucchesi trovasi un diploma di Carlomanno spedito in Verona li 22 novembre dellâ877, a favore e ad istanza del vescovo di Lucca Gherardo che trovossi presente a quellâatto. â Se in compagnia del Vescovo si recasse a Verona presso Carlomanno anche il conte della cittĂ non è noto. Furono bensĂŹ rese note dalla storia le violenze che il marchese Adalberto I usò contro il Pontefice Giovanni VIII per favorire il partito di Carlomanno, allorchĂŠ nellâanno 878 insieme col suo cognato Lamberto duca di Spoleto corse a Roma con gente armata per indurre quel sommo gerarca a porre la corona imperiale sul capo del re Carolingio. Il quale affronto tirò addosso ai due principi lâecclesiastiche censure, benchĂŠ restassero nellâanno dopo assoluti. â In questo mezzo tempo il Marchese Adalberto era ritornato alla sua residenza ordinaria di Lucca, dove lo ritroviamo nel novembre dellâanno 878, ed anche nel settembre successivo, insieme col suo potente amico il conte Ildebrando degli Aldobrandeschi. â Dissi alla sua sede ordinaria di Lucca, mentre lo stesso marchese governava anche altre cittĂ , e forse fin dâallora da lui dipendeva tutta la Toscana. Infatti in una delle consuete permute di beni, fatta nellâottobre dellâanno 878 da Giovanni vescovo di Pisa, vâintervenne un messo dâAdalberto, che in quella carta viene qualificato col semplice titolo di conte, quasi per dirci che un solo conte presedeva, come un solo duca ai tempi dei Longobardi, alle due cittĂ e contadi lucchese e pisano. â (MURAT. Ant. M. Aevi T. III).
Dal settembre dellâ879 al giugno dellâ881, e quindi da questo mese al maggio dellâanno 885, mancano istrumenti che diano un qualche cenno del governo di Lucca e del suo reggitore Marchese Adalberto; ed è ben pochissimo ciò che le pergamene superstiti dellâArchivio Arcivescovile Lucchese accennano di lui, del suo figlio e molto meno dei di lui nipoti succeduti quasi a titolo ereditario nel marchesato della Toscana.
Uno fra i piĂš importanti documenti relativi al Marchese Adalberto I è quello della fondazione della Badia dellâAulla, rogato in Lucca li 26 maggio dellâ884; documento, in cui si nominano tre generazioni di quella potente prosapia; cioè, il conte Bonifazio e la contessa Berta sua moglie, dai quali nacque Adalberto I che ebbe in prime nozze Anansuare, ed in seconda moglie Rotilda figlia di Guido duca di Spoleto. Questâultima partorĂŹ Adalberto II ed un altro conte Bonifazio, entrambi sottoscritti col padre a piè dellâistrumento di fondazione testĂŠ citato.
Quando precisamente cessasse di vivere Adalberto I non è ben chiarito. Giova bensĂŹ aggiungere, qualmente fra lâ888 e lâ889, Adalberto I cominciò a dar saggio della sua torbida politica; mentre, dopo aver giurato fedeltĂ al re Berengario, ribellò la Toscana affidata al suo governo per favorire il re Guido zio della sua seconda moglie, a di cui sostegno accorse alla testa di 300 corazze anche il valoroso Ubaldo, quello stesso che tre anni dopo ritornò sotto Pavia seguace sempre del re Guido. â (ANONIM ., Panegiric. Berengarii in Rer. Ital. Script. T. II. P. I.) Come segno indubitato del riportato trionfo sopra Berengario, e della gratitudine del re Guido verso il marchese Adalberto I, può contarsi un diploma spedito da questo re li 26 maggio 890 dal contado di Pavia, ad istanza del Marchese Adalberto suo diletto nipote in favore di Zanobi vescovo di Fiesole. â Vedere FIESOLE.
Frattanto andavano di male in peggio gli affari del re Berengario, troppo soperchiato da maggiori forze dellâImperatore Guido e dei molti principi suoi fautori.
Altro ripiego non avendo, egli si rivolse al potente Arnolfo re di Alemagna, dal quale, nellâanno 893, ottenne valido ajuto, collâinviare unâarmata sotto il comando di un figlio, il quale sâincamminò a dirittura alla volta di Pavia, dove era postato col nerbo delle sue genti lo stesso Imperatore Guido.
Fu in questa circostanza, e in mezzo agli accampamenti di Pavia, quando il valoroso Ubaldo, non volendo soffrire le invettive di un soldato dellâesercito di Arnolfo contro glâitaliani, andò ad incontrarlo nel campo, e venuto seco a duello, gli trapassò con la lancia il cuore.
Da questo fatto presero ardire glâItaliani, terrore i Bavaresi, ed il figlio del re Arnolfo, o per pecunia avuta, o comâaltri vogliono, per richiamo del padre, se ne tornò con le sue truppe in Baviera: cui tenne ben tosto dietro Berengario per supplicare con piĂš efficacia il re Arnolfo di venire egli stesso in Italia a prendere possesso del regno che gli avrebbe rinunziato. Alla qual risoluzione Arnolfo fu indotto dalle istanze eziandio di molti baroni italiani inviati dal Pontefice Formoso con lettere piene di lamenti sulle oppressioni fatte dallâImperatore Guido alla chiesa romana, per cui caldamente lo invitava a sollecitare quella spedizione.
DondechĂŠ Arnolfo avendo raccolto una formidabile armata, sulla fine dellâanno 893 si mosse verso lâItalia, accompagnato dal suo protetto Berengario. â Dopo le prime favorevoli imprese nella Lombardia, corsero i marchesi dâItalia a sottomettersi al vittorioso re; fra i quali specialmente si contarono Adalberto II marchese di Toscana, e Bonifazio suo fratello. E perchĂŠ non piacquero ad Arnolfo le indiscrete pretensioni di questi, che volevano lâinvestitura di varii feudi o governi, prima di tutto li fece arrestare, poi liberare, previo giuramento di fedeltĂ ; comecchĂŠ i due fratelli se ne fuggissero di lĂ senza far caso della giurata fede. â (MURAT. Annal.
allâann. 894 .) Glâistorici lasciaron con tuttociò a desiderare, se fu per non dispiacere Arnolfo, o piuttosto per qualche altra ragione, che in Lucca al pari che in altre cittĂ della Toscana si lasciò di notare il nome e i titoli del re Berengario, dopo morto lâImperatore Guido (dicembre dellâ894). ImperocchĂŠ un istrumento dellâarchivio Arcivescovile Lucchese, rogato li 30 novembre di quellâanno, segna la data cronica: regnante domino nostro Wido gratia Dei Imp. Augusto, anno imperii ejus tertio, pridie Kal. Decembris, Indit. XIII, e in altro di data posteriore leggesi: Anno ab Incarnatione Dom. nostri J.
Xti 894 post ovito Dni. nostri Widoni imperatoris anno primo. Kal. Januarii, Indit. XIII.
Durò bensĂŹ pochi mesi a stare Lucca in siffatta incertezza di regnanti, tostochĂŠ nellâaprile dellâ895 essa giĂ riconosceva per sovrano Lamberto, siccome lo dimostra una carta del citato Archivio Arcivescovile scritta, Regnante Dno. Nostro Lamberto gratia Dei Imp. Aug.
Anno imperii ejus quarto, quinto idus aprilis, Indit XIII.
La stessa nota leggesi in tutti glâistrumenti lucchesi posteriori allâaprile dellâ895, mentre quelli del piĂš volte citato archivio arcivescovile, allâanno 896, non hanno data cronaca di alcun regnante, notandovisi solamente quella dellâEra volgare. (Memor. Lucch. T. V. P. II.) Ciò starebbe in armonia con la istoria del tempo, la quale ne insegna, che il re Arnolfo stimolato da nuove e calde istanze del papa Formoso, nel settembre dellâanno 895 sâincamminò per la seconda volta con un numeroso esercito nellâalta Italia, che prestò soggiogò; in modo tale che, nel dicembre dellâanno medesimo, con una grossa divisione varcando lâAppennino di Pontremoli egli recavasi in Toscana, dove lâattendeva il Marchese Adalberto II per degnamente festeggiarlo, non a Luni, ma nella cittĂ di Lucca, dove Arnolfo celebrò il S. Natale.
(MURAT. Annal. allâann. 895.) Mentre però questo monarca con parte del suo esercito svernava in Toscana, egli ebbe sentore che il marchese Adalberto II, forse mal soddisfatto del procedere del re bavaro, segretamente si maneggiava con Berengario per ribellarsi contro esso lui; sicchĂŠ Arnolfo avviatosi a Roma, dopo essere stato dal Pontefice Formoso incoronato imperatore, se ne ritornò in Germania, lasciando campo ai suoi rivali di risorgere dallâabbattimento e riacquistare piĂš sicuro dominio, a Berengario e Lamberto sulla Lombardia, ad Adalberto sulla Toscana.
Infatti da un documento dato alla luce nel T. V. P. II. delle Memorie lucchesi, si conosce, che sul finire dellâanno 896 lâautoritĂ dellâImperatore Lamberto era nuovamente riconosciuta in Lucca, siccome lo doveva essere per tutta la marca, e segnatamente in Firenze. Realmente in questâultima cittĂ , nel 4 marzo dellâ897, fu tenuto un placito da Amedeo conte del S. palazzo, in qualitĂ di messo straordinario, inviato dallâimperatore Lamberto in Toscana, dove sedĂŠ col giudice imperiale il Marchese Adalberto II.
Però questo nostro marchese non istette lungo tempo fermo nel partito dellâImperatore Lamberto; avvegnachĂŠ alcuni istrumenti lucchesi, del marzo dellâanno 897, notano solamente lâepoca dellâEra volgare, tacendo il nome e gli anni del sovrano che allora dominava in Italia.
Alla primavera dellâanno 898, per istigazione della principessa Berta figlia del defunto Lottario re della Lorena, il di lei marito Adalberto II tornò ad alienarsi dallâaugusto Lamberto; per modo che egli con il suo amico conte Ildebrando, dopo aver ragunato per la Toscana un esercito tumultuario sâincamminarono insieme per Pontremoli e monte Bardone fino a Borgo S.
Donnino.
Intanto avvertito di questa mossa lâImperatore con una mano di gente a cavallo venne da Marengo incontro ai ribelli, i quali al primo impeto si dispersero con la fuga del conte Ildebrando, e la prigionia del marchese Adalberto.
Quindi ne conseguĂŹ che, prima del settembre dellâ848, Lamberto tornò ad essere riconosciuto imperatore in Lucca e nella Toscana, siccome lo dimostrano le note cronologiche di un istrumento della cattedrale lucchese, sotto il di 13 agosto 897, senza dire degli altri, dal marzo alla fine di settembre dellâanno 898, celebrati nella stessa cittĂ o nel suo territorio, i quali atti portano tutti la nota cronica: Regnante Domno nostro Lamberto gr. Dei Imperatore Augusto, anno regni ejus septimo. â Simili avvertenze giovano a confermare, che realmente al principio di ottobre dellâ898 dovè accadere il caso funesto che tolse di vita il giovine imperatore.
Tale inaspettato accidente fece risorgere la fortuna del re Berengario suo emulo, in guisa che questi assai presto senza aperta opposizione venne accolto nella capitale dei re Longobardi; e in seguito di ciò il Marchese Adalberto, Lucca e le altre città della Toscana prestarono a Berengario obbedienza ed omaggio.
Il primo fra glâistrumenti lucchesi dati alla luce, con il nome di Berengario segna lâanno XII del suo regno, e porta la data del 24 ottobre dellâ899, nella cittĂ di Pavia, dove quel sovrano liberò dalla prigionia il Marchese Adalberto, per rinviarlo al suo pristino governo della marca di Toscana.
Che realmente questa provincia di buon ora si assoggettasse, e riconoscesse in Berengario il suo monarca, ne fanno piena fede i documenti lucchesi comparsi recentemente alla luce; dai quali si ha pure indizio che, nel novembre dello stesso anno, il Marchese Adalberto II era tornato alla sua residenza di Lucca.
Appartengono a questâultimo periodo del secolo IX due gravi sciagure pubbliche quella, cioè, dei fierissimi Ungheri scesi a devastare lâalta Italia, dove fecero provare tutta la loro rabbia e furore ad un esercito numerosissimo comandato dal re Berengario; lâaltra fu la comparsa di qua dalle Alpi di unâarmata di Provenzali e Borgognoni condotta da Lodovico III figlio di Bosone re di Provenza; il quale, per broglio di alcuni magnati italiani della fazione dei due estinti imperatori, Guido e Lamberto, fu invitato a calare in Lombardia, comecchè dovesse egli tosto rivalicare le Alpi per essere corso a combatterlo con forze molto maggiori il re Berengario assistito eziandio dal Marchese Adalberto.
Fuvvi anche chi scrisse, esser nato in seguito di ciò qualche dissapore fra Berengario e Adalberto; sicchè questi, ad instigazione specialmente dellâambiziosissima sua moglie Berta, movesse desiderio in altri principi dâItalia dâinvitare di nuovo Lodovico di Borgogna e unire in comune le forze e maneggi, per assisterlo alla conquista di un sĂŹ bel regno.
Comunque sia è certo, che Lodovico III tornò a ripassare di qua dalle Alpi, e giĂ nellâottobre dellâanno 900 egli era signore della capitale di Lombardia. Fu costĂ in una gran dieta di vescovi, di marchesi, di conti e notabili del regno, quando ad istanza di Adalberto illustre marchese della Toscana il nuovo re dâItalia concedè un privilegio a Pietro vescovo di Arezzo, con la data del 12 ottobre anno primo del suo regno. Il qual privilegio venne poi dallo stesso monarca riconfermato li 2 marzo dellâanno successivo (901) davanti al Pontefice Benedetto IV in Roma, dove Lodovico erasi recato a ricevere la corona imperiale.
Accadde probabilmente al ritorno dallâalma cittĂ , allorchè lâImperatore Lodovico III, si trasferĂŹ con tutta la sua corte a Lucca. Tale fu la magnificenza e lo sfarzo, di cui in questa circostanza il ricco marchese Adalberto volle far mostra, che lâImperatore dovè prorompere in non equivoche parole di sorpresa, quasi dicendo: che cotesto signore in nulla cedeva a un re, toltone il nome.
Ciò bastò ad Adalberto e allâaccortissima sua donna per cambiare nuovamente bandiera, e rivolgere piĂš benigni il loro animo verso lâabbattuto Berengario, col fine di ajutarlo a scacciare dâItalia il re provenzale.
Se non dicesse la storia in qual tempo preciso ciò accadeva, restano negli archivii scritture sufficienti a indicarci che Lucca, allora sede e capitale della provincia Toscana, sino dai primi mesi dellâanno 903 era tornata a riconoscere in sovrano quello stesso Berengario che fu poi dal Marchese Adalberto, nel giorno 10 novembre dellâanno 915, accolto in una sua villa suburbana di Lucca, mentre nellâanno XXVIII° del suo regno quel re passava di Toscana per recarsi a Roma a prendere dal Pontefice Giovanni X la corona e il titolo dâimperatore.
Intorno a questo tempo alcuni scrittori pongono un atto di donazione, col quale il Marchese Adalberto II, per rimedio dellâanima sua, rilasciò a favore della cattedrale lucchese le decime di 5 corti che egli possedeva in Lucca, a Brancoli , in Garfagnana, a Pescia e nel Borgo S.
Genesio.
Comecchè non si sappia con sicurezza lâanno della morte del Marchese Adalberto II, la quale da molti per congettura fu fissata allâanno 917, è certo per altro châegli mancò di vita in Lucca il mese di settembre: âin sextodecimo septembre notante calendasâ. CosĂŹ almeno leggesi in una lapida posta in quella cattedrale contenente un lungo elogio di quel marchese, per quanto egli fosse stato frequenti volte terrore dei papi, deglâimperatori e dei re.
Aggiungasi, che un passo scorretto delle storie di Liutprando ha dato appiglio a molti scrittori per parlare di questo ricchissimo principe anche con piĂš discredito di quel che voleva la veritĂ ; e ciò per aver confuso il Marchese Adalberto di Toscana con il Marchese Alberico di Roma: stantechè questo e non quello maritossi alla famosa Marozia patrizia romana. â (ERRATA: MURAT.
Annal. ad anno 817. â RENA DeâMarch. di Toscana) (MURAT. Annal. allâanno 917. â RENA DeâMarch. di Toscana).
Se dopo la morte del Marchese Adalberto II non fu tanto presto investito nel governo di Lucca e della Toscana il Marchese Guido con la di lui madre duchessa Berta, ciò accadde probabilmente per trovarsi entrambi arrestati in Mantova dâordine del re Berengario. Ma non potendo cotesto sovrano cavare dalle mani dei ministri fedeli allâaccortissima duchessa le cittĂ e i popoli della Toscana, dovè finalmente risolversi a rimettere madre e figlio in libertĂ col rinviarli in Toscana per governarla a nome di Berengario, e non giĂ del re Rodolfo sopraggiunto di Borgogna. Imperrocchè sebbene questi con lâappoggio di varii principi avesse cacciato da Milano e da Pavia il vecchio Augusto, facendosi riconoscere per re dâItalia (anno 921), glâistrumenti lucchesi ne accertano, che il duca Guido nel mese di marzo del 924 risiedeva in Lucca, dove egli governava a nome dellâimperatore Berengario, cioè nel mese medesimo, in cui un ingrato traditore a Verona barbaramente trafiggeva il Nestore deglâimperatori italiani.
Fu compianta dai piĂš la morte di cosĂŹ buon principe, sicchè negli atti pubblici di Lucca e di altri luoghi della Toscana, dal marzo del 924 fino al settembre del 927, riguardavasi come vacante il regno dâItalia. E sebbene Rodolfo credesse di avere in pugno questo regno, egli non doveva oramai ignorare che aspirava a salire sullo stesso trono un figlio del primo letto della duchessa Berta vedova del Marchese Adalberto II. Però questa donna dopo sessantatrè anni di clamorose vicende, nel dĂŹ 8 marzo del 925, mancò alla vita in Lucca, dove fu sepolta presso le ossa del marito nella cattedrale con un epitaffio che onora quella duchessa dei titoli di benigna e pia con molte altre pompose, e adulatorie attribuzioni.
Era in questo mezzo tempo restata vedova per la morte di Adalberto marchese dâIvrea la di lui consorte Ermengarda, figlia del fu Adalberto il Ricco, e di Berta duchessa di Toscana, la sorella in conseguenza del marchese Guido. Ella dunque non meno intrigante, nĂŠ meno ardita dei suoi genitori, prevalendosi dellâassenza del re Rodolfo dallâItalia, seppe far tanto che, entrata in Pavia, sollevò contro quel monarca tutta la Lombardia per quindi governare il regno a suo arbitrio. Per la qual cosa accorso Rodolfo dalla Borgogna, ed assediata in Pavia Ermengarda, questa seppe con seducenti lusinghe chiamare a se Rodolfo e staccarlo dalle sue genti in guisa che, sbandatosi lâesercito, fu liberata dallâassedio della cittĂ . Laonde sdegnati di tanta leggerezza del re borgognone, i principi italiani, ad insinuazione di papa Giovanni X, nellâanno 926 elessero in re dâItalia Ugo duca di Provenza fratello della stessa donna Ermengarda e di Giulio marchese di Toscana.
PartĂŹ bentosto Ugo dalle coste della Francia per la Toscana, e nellâestate del 926 approdò insieme col fratello Bosone a Pisa, o piuttosto al Porto pisano, dove il Marchese Guido attendeva il fratello uterino eletto re.
Appena si seppe il di lui arrivo in Italia, accorsero da Roma e da molte altre parti della penis ola ambasciatori, principi e magnati a Pisa; la quale città pare che anche allora avvicendasse con Lucca la sede dei duchi di Toscana; dondechÊ Luitprando scrittore quasi contemporaneo qualificò Pisa, Tusciae provinciae caput.
â (LUITPR. Histor. Lib. III c. 5).
La prima scrittura pubblica, trovata in Lucca con lâintitolazione del testĂŠ nominato re dâItalia, è un contratto del 3 settembre dellâanno primo del regno di Ugo, indizione XV: vale a dire dellâera volgare, anno 926. â Immediatamente dopo la suddetta epoca gli atti pubblici lucchesi e dellâintiera Toscana portarono la nota dello stesso regnante, a nome del quale continuò a governare la provincia il duca Guido figlio di Adalberto II, siccome lo dimostra, tra gli altri, un istrumento di permuta di beni ecclesiastici, previa la disamina dei messi di quel duca. Il quale istrumento di permuta fu rogato in Lucca il dĂŹ primo di gennajo del 928, nellâanno secondo del regno di Ugo: ipsa die Kalend. Januarii, Indicatione prima. â Ma nellâanno medesimo 928 il marchese Guido dovè allontanarsi da Lucca e dal governo della Toscana per recarsi in Roma a operare inique cose insieme con la prepotente donna Marozia, dopo essersi unito a lei in matrimonio. ImperocchĂŠ entrambi, nel 928, avendo segretamente armato una mano di sgherri, penetrarono nel palazzo del Laterano per trucidare sugli occhi del Pontefice Giovanni il di lui fratello; e fu allora, quando per colmo dâiniquitĂ le genti di Guido posero le mani addosso e cacciarono in unâoscura prigione a finire in brevi giorni una vita agitata il gerarca della chiesa apostolica romana.
Ă ignoto se, dopo tante abominevoli azioni, Guido tornasse a Lucca e al suo marchesato, come pure resta a sapere lâanno preciso, in cui egli cessò di vivere, poichĂŠ nulla dicono su di ciò li scrittori del tempo, e in alcuna memoria, châio sappia, tra quelle finora venute alla luce, dopo il 928 si fa di quel marchese menzione.
Si crede da molti che al Marchese Guido succedesse nel governo di Lucca e nel ducato di Toscana il suo fratello Lamberto, ma gli storici su di ciò non presentano documenti fuori di quanto raccontò nella sua il pavese Luitprando (Lib. III cap. 13) che descrisse in Lamberto un uomo bellicoso capace di gran fatti, e una spina sugli occhi del re Ugo, che temeva in lui un possibile rivale alla corona dâItalia, mentre dallâaltro canto il fratello Bosone ardentemente anelava rimpiazzarlo nel governo della Toscana.
Arroge a ciò che il re Ugo, essendosi deciso di sposare la principessa Marozia vedova di due, se non di piĂš mariti, cercava modo e verso di levar di mezzo lâimpedimento della parentela col mezzo di una calunnia sparsa a disonore di sua madre. Andossi pertanto vociferando, che Berta giĂ duchessa di Toscana non aveva avuto dal marchese Adalberto II alcun figliuolo, e che i tre fratelli, Guido, Lamberto ed Ermengarda, erano tutti figli di altre donne, finti da Berta di averli essa partoriti, onde potere continuare anche morto il marito la sua autoritĂ sulla Toscana. Poco dopo essersi sparsa per la corte simile ciarla, il re Ugo intimò al duca Lamberto che non ardisse di appellarsi piĂš suo fratello. Allora quel duca, trovandosi colpito nellâonore, non meno che diffamato in quello dei genitori, fece sapere al re di esser pronto a provare con la spada che, tanto Lamberto come Ugo, erano stati partoriti da una medesima madre. Destinato dal sovrano il suo campione, si venne alla prova dellâonore collâaccettato duello; nel quale Lamberto restò vincitore. Ma non per questo cessò la persecuzione regia contro il Marchese di Toscana: fino a che Ugo, avuto fra le mani lâodiato fratellastro, fece accecarlo, e cacciarlo dal suo governo per conferirlo al di lui fratello carnale. CosĂŹ dopo la quarta generazione della progenie del primo conte Bonifazio, che signoreggiò circa 120 anni senza intervallo sulla provincia della Toscana, Lucca, dovè accogliere un principe di Provenza. Del dominio peraltro di Lamberto nella suddetta cittĂ , o in altri luoghi di Toscana, non esistono, ripeto, documenti che giovino a confermare quanto fu scritto su tale rapporto dallo storico Luitprando.
Si trova bensĂŹ un primo indizio del duca Bosone, eletto marchese della Toscana, in un diploma dato in Lucca nel dĂŹ primo di luglio dellâanno 933, indizione V; col quale il re Ugo ad istanza del Marchese Bosone donò al capitolo della cattedrale di S. Martino la corte di Massarosa , quella possessione, cioè, che fu di proprietĂ della duchessa Berta loro madre.
Il quale Bosone troviamo insieme col fratello monarca in altre parti della Toscana, e precisamente nel gennajo dello stesso anno 933 in Arezzo, dove il re Ugo, per aderire alle istanze del suo fratello Bosone, inclito marchese, confermò ai canonici della cattedrale aretina i beni lasciati loro dal vescovo Pietro.
Ebbe Bosone conforme ai suoi antecessori il titolo di marchese promiscuamente a quello di duca, siccome da altri istrumenti lucchesi degli anni 935 e 936 apparisce.
Quello del 16 settembre 936 è per avventura lâultimo documento che faccia fede della presenza e del dominio del marchese Bosone in Lucca; conciossiachè dopo il settembre di detto anno accadde unâatto di soperchieria del re Ugo contro il giĂ ben amato fratello. Aveva questi per moglie Willa, nata da nobile famiglia di Borgogna, la quale partorĂŹ a Bosone quattro femmine senza maschi.
Pervenne allâorecchio del re Ugo, che Bosone, ad istigazione della moglie, macchinasse contro di lui delle novitĂ . Trovò bene Ugo la maniera di far imprigionare il Marchese di Toscana, e di spogliare i due conjugi delle accumulate ricchezze, ordinando che la moglie di Bosone fosse ricondotta in Borgogna. (LUITPRAND. Hist. Lib.
IV, c. 5 â FREDOARD. Chron. ad ann. 936.) Dopo la caduta di Bosone mancano per molti anni i nomi dei governatori che ressero la Toscana. Esistono, è vero, negli archivii lucchesi e pisani due carte contenenti i giudicati dei re Ugo e Lottario, celebrati nel marzo dellâanno 941 nella corte regia di quelle due cittĂ .
Dai quali documenti sâintende, che il Marchese Uberto figliuolo spurio del re Ugo, era in quel tempo duca della Toscana, e conte del sacro palazzo; e quasi fosse poco tanto onore egli dal monarca padre fu due anni dopo innalzato al governo della marca di Spoleto e Camerino.
Peraltro allâanno 944 la sorte sembra che cominciasse a distaccarsi dal re Ugo, reso ormai odioso a tutte le classi della nazione; e giĂ Berengario marchese dâIvrea nipote dellâimperatore di questo nome, sospirato dallâuniversale, con poche truppe era calato dal Tirolo in Italia (anno 945) acclamato e festevolmente accolto qual liberatore da molte cittĂ della Venezia e di Lombardia.
Questa repentina mutazione di cose influĂŹ non poco sulla fortuna del Marchese Uberto figlio del re Ugo, tostochĂŠ intorno al 946 troviamo investito del ducato di Spoleto e di Camerino un Bonifazio che fu figlio del Marchese Teobaldo o Ubaldo, che Cosimo della Rena ebbe ragione di credere lo stesso personaggio di quel valoroso Ubaldo amico del Marchese Adalberto I, piĂš di una volta da noi qui sopra agli anni 871, e 893 rammentato.
Nel 947 il re Ugo tornossne in Provenza dopo aver raccomandato il re Lottario suo figlio alla fede dellâacclamato Berengario, che in lui qualche altro tempo conservò la dignitĂ insieme con la potestĂ regia. Infatti Lottario era in Lucca nel 5 luglio del 948, nel qual giorno ad istanza del conte Aledramo egli firmò un privilegio a favore di un suo fedele. (MURATORI Annal. allâanno 948.) Ă ignoto in quale cittĂ il conte Aledramo governasse, se nella marca di Toscana, o seppure egli era un personaggio medesimo di quello che fu poi marchese in Piemonte, nato dal conte Guglielmo e da Gelberga figlia dello stesso re Berengario, personaggio che tiensi per il progenitore dei marchesi di Monferrato.
Si trovano bensĂŹ nellâarchivio Arcivescovile lucchese altre pergamene, dalle quali si apprende, che il re Lottario nel marzo del 950, e forse fintantochĂŠ egli visse (novembre dello stesso anno), continuò a essere riconosciuto in Lucca per il legittimo sovrano.
Poco dopo (15 dicembre 950) fu coronato in Pavia come re dâItalia Berengario II insieme col figliuolo Adalberto e con Willa di lui madre nata da quel Bosone che fu Marchese di Toscana.
Se il Marchese Uberto riavesse il governo della Toscana in nome dei nuovi due re, non ci offrono memorie da poterlo asserire; bensĂŹ da un istrumento di vendita di beni posti a Pozzevoli e a Porcari, fatta dal Marchese Uberto a favore del nobile Teudimundo figlio di Fraolmo, si comprende, che nel 3 maggio del 942 in Lucca non si riconosceva ancora lâautoritĂ dei due sovrani novelli, e neppur quella del re Ottone, che era di corto disceso la prima volta in Italia: giacchĂŠ lâistrumento porta unicamente la data dellâEra volgare. â Che anzi in quel documento nominandosi Uberto col semplice titolo di Marchio filio bonae memoriae domni Ugoni regii, senza specificare di qual marca egli fosse duca, ciò indurrebbe a far credere che il Marchese Uberto si fosse ritirato dal governo di Lucca e della Toscana. Molto meno vien fatta parola di lui in tutto il tempo che regnarono Berengario II e Adalberto, sotto il cui dominio alcuni credettero che signoreggiasse per poco in Lucca il conte AlbertâAzzo figlio di Sigifredo illustre magnate lucchese. Dissi, per poco, avvegnacchè il conte AlbertâAzzo fu quegli che ben presto si tirò addosso lâodio di Berengario, specialmente dopo che il re fu chiarito avere il Conte AlbertâAzzo ricovrata nella sua rocca di Canossa Adelaide restata vedova in fresca etĂ del re Lottario, e dallo stesso conte offerta al grande Ottone, che sulla fine del 951 la sposò in Pavia. NĂŠ corse molto tempo dacchĂŠ Berengario II, dopo il ritorno di Ottone in Sassonia, saputo che la regina Adelaide era in Canossa, si portò con un esercito allâassedio di quella rocca, in cui AlbertâAzzo per tre anni e mezzo si tenne saldo, finchĂŠ nel 956 accadde la sua liberazione mercĂŠ di un esercito inviato di Germania dal re Ottone.
Non ha la storia nostra autore alcuno, nĂŠ comparvero finora alla luce scritture, dalle quali possa ricavarsi chi fossero i marchesi, che dal 951 al 960 dominarono Lucca.
PerciocchĂŠ del Marchese Uberto, figliuolo spurio del re Ugo, non se ne parla piĂš dopo il maggio del 952, almeno nelle carte sincrone lucchesi.
Infatti in un istrumento dellâArchivio Arcivescovile di Lucca dellâ11 gennajo 960, sopra una rinunzia fatta in mano del Vescovo Corrado da Teuderada vecchia badessa del Monastero di S. Salvatore di Lucca, adesso di S. Giustina, a favore della monaca Grima eletta in sua vece al governo di quellâasceterio, si dichiara fatto quel rogito in Lucca, regnando Berengario e Adalberto, senza accennarsi lâintervento dâalcun duca, marchese o conte speciale di questa cittĂ .
Il piĂš che è da dire intorno ai governatori di Toscana durante il regno di Berengario II e del suo figlio, sarebbe di rammentare un diploma, dato in Verona nel 30 maggio 961, a favore dellâabbadia di Vangadizza, per le premure fatte ai due re, da Ugo marchese di Toscana, cioè, interventu ac petitione Ugonis marchionis Thusciae nostri dilectissimi fidelis. Dal che venghiamo a scuoprire, non solo che il Marchese Uberto non risiedeva piĂš in Toscana, ma che gli era succeduto un Marchese Ugo dal Muratori tenuto per il gran conte figliuolo dello stesso Uberto, quando il Rena aveva opinato, che qui si trattava di un personaggio affatto diverso e forse a parere mio, del Marchese Ugo di legge ripuaria autore dei marchesi di Petrella, di Sorbello e del Monte S. Maria.
LUCCA SOTTO I RE SASSONI E SVEVI Stava sempre a cuore del re Ottone, dopo la sua prima discesa in Italia (anno 951), di tornarvi con maggiori forze e con piĂš stabilitĂ , richiesto ed anche stimolato dalle ripetute istanze dei principi laicali ed ecclesiastici, che desideravano di avere un sovrano cotanto saggio non solamente re dâItalia, ma anche di vederlo Augusto, essendo lâimperio vacante sino dalla morte di Berengario I.
Era giĂ stato dalla dieta germanica dichiarato re dâAlemagna Ottone II, sebbene nella tenera etĂ di sette anni, allorchĂŠ il di lui padre nel 961 calò per la valle di Trento collâesercito suo in Lombardia, dove fu ben accolto dallâuniversale, e in Milano proclamato re dâItalia.
Recatosi quindi Ottone I a Roma, fra gli applausi del popolo con gran solennitĂ nel dĂŹ 2 febbrajo dellâanno 962 fu dal Pontefice Giovanni XII incoronato Imperatore Augusto.
Reduce di lĂ i Toscana e in Lombardia, egli trovavasi ai 13 marzo dello stesso anno in Lucca; nel qual giorno spedĂŹ due diplomi, uno a favore di Uberto vescovo di Parma, che lo dichiarò conte, ossia governatore di quella cittĂ , lâaltro ai canonici della cattedrale lucchese, cui confermò le donazioni delle corti lasciate loro da Ugo e Lottario. Un terzo privilegio a favore della badessa Grima e delle sue monache in S. Giustina di Lucca lo stesso Augusto compartĂŹ nel 29 luglio dellâanno 964 allâoccasione di un secondo suo ritorno da Roma in quella medesima cittĂ .
Anche nel 3 agosto dellâanno stesso 964 Ottone I continuava a stare in Lucca, tostochè porta la data di esso giorno un diploma compartito al Monastero del Monte Amiata. â (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia Amiatina).
Oltre i documenti qui sopra accennati e quelli citati dal Rena e dai Fiorentini non trovo altre notizie della condizione civile di Lucca sotto il regno dei due primi Ottoni, nĂŠ di alcunâaltro dei suoi governanti, eccetto il gran conte Ugo figliuolo del Marchese Oberto salico e della contessa Willa nata da Bonifazio marchese di Spoleto. â Non sto a dire di un placito dato in Lucca nel 964 dal Marchese Oberto conte del S. palazzo, sotto i due primi Ottoni, trattandosi qui di un giudicato della corte suprema che in ultimo appello soleva darsi dai messi imperiali o dai conti del sacro palazzo, i quali ad intervalli inviavansi dai regnanti a render giustizia ai reclami che allâImperatore presentavansi nelle varie parti dellâItalia.
Il gran conte Ugo pertanto dovè governare, finchĂŠ visse, la marca di Toscana oltre quella dellâUmbria, e fare di Lucca la sede principale. Infatti abitava in questa cittĂ la di lui madre quando essa, nel dĂŹ 8 luglio del 969, acquistò da un tal Zanobi la chiesa di S. Stefano in Firenze con case e terre annesse, situate nel luogo stesso dove quella pia donna fondò la badia fiorentina. Troviamo lo stesso Marchese Ugo, nellâaprile del 970, e di nuovo nel marzo del 971, ad esercitare atti governativi in Lucca, dove diede solennissime prove del suo potere, non solamente sopra la cittĂ ma sopra tutta la Toscana. Appella infatti ad una delle principali pre rogative riservate ai regnanti quella per la quale il Marchese Ugo fece battere nella zecca di Lucca moneta in nome proprio. Tali sono appunto quei due denari di argento illustrati dal cav. San Quintino, uno dei quali porta il monogramma di Ugo, e nel giro Marchio, mentre nel rovescio sono le lettere di Luca con la parola in giro, Civitate. Nellâaltro denaro sta il nome di Ugo in mezzo e nel contorno Dux Tuscii; nella faccia opposta la parola Luca e intorno il nome della consorte di Ugo, cioè: Dux Judita. â (Atti dellâAccademia di Lucca T.I.).
In realtà il marchese Ugo figurò sopra ogni altro principe italiano alla corte imperiale, tanto durante il regno di Ottone II, quanto sotto la reggenza e la minorotà di Ottone III.
Dopo la morte accaduta in Sassonia, nel giugno del 991, dellâimperatrice madre del terzo Ottone, è credibile che il marchese Ugo tornasse da quella corte al governo delle sue provincie in Italia, tostochĂŠ nellâanno 993 Ottone III mandò ordine al gran conte Ugo di mettere insieme un esercito per condurlo, come fece, a punire i ribelli e gli assassini di Landolfo principe di Capua.
Di lĂ reduce in Toscana, troviamo nellâaprile del 995 lo stesso Marchese in Lucca, e quivi firmò un atto di donazione da esso fatta alla badia di Firenze fondata dalla Contessa Willa defunta sua madre. Ma sulla fine dellâanno medesimo egli passava dalla maremma di Orbetello, dove nel luogo Marta (ora la Torre delle saline sullâAlbegna) nel dĂŹ 23 dicembre del 995 segnò un privilegio a favore dei monaci del MontâAmiata. â (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia Amiatina).
Nel luglio del 996 il marchese Ugo era tornato a stare nella sua cittĂ di Lucca per ricevervi e onorare lâImperatore Ottone III reduce da Roma; e fu nella villa di Vico poco lungi dalla stessa cittĂ , dove quellâAugusto a preghiere del gran conte emanò un diploma per confermare allâabate di S. Salvatore a Sesto, fra le altre cose, il castello di Verruca che quel principe aveva rinunziato al suddetto monastero. Nuovamente nella villa di Marlia, fra lâagosto e il settembre del 998, Ottone III fu festeggiato dal suo dilettissimo marchese, e ciò dopo avere lo stesso toparca lasciato in Poggibonsi unâinsigne testimonianza della sua pietĂ verso lâordine monastico con una vistosissima dotazione allâabbadia da esso fondata nel poggio di Marturi (Poggibonsi).
I documenti posteriori al 998 danno a conoscere, che il Marchese Ugo continuò fino allâultima ora a fare la sua corte ad Ottone III, di cui apparisce che fu costantemente intimo e affezionato consigliere.
Tale ce lo mostrano due privilegii imperiali, uno dei quali dato in Roma li 3 ottobre del 999, e lâaltro in Bologna li 22 settembre del 1001. Con lâultimo di essi Ottone III, per condiscendere alle istanze del suo dilettissimo duca, e marchese Ugo, donò a un di lui vassallo una possessione del patrimonio regio situata nella villa di Rigoli del territorio pisano. (CAMICI, dei Duchi di Toscana T.I.) Il privilegio ora citato sembra per avventura lâultimo relativo agli affari del marchese Ugo in Toscana. Infatti egli nel novembre del 1001 corteggiava lâaugusto sovrano a Bologna e a Ravenna; quindi nellâultimo mese dellâanno essendosi egli recato insieme con lâimperatore a Roma, insorse costĂ una rivoluzione, nella quale molti cortigiani, e probabilmente lo stesso Marches e Ugo, per salvare Augusto furono fatti prigionieri o rimasero dai rivoltosi trucidati.
Accaduta poco dopo la morte eziandio di Ottone III, molta parte dellâalta Italia, e forse anche Lucca, abbracciò il partito di quei principi che avevano chiamato sul trono dellâItalia il marchese Arduino dâIvrea. Difatti da questo re dâItalia fu spedito in Pavia, li 20 agosto 1002, un privilegio a favore del monastero di S. Giustina, giĂ di S.
Salvatore di Lucca. SennonchĂŠ due anni dopo il popolo lucchese e le altre cittĂ della Toscana, cambiando consiglio, risolvettero di riconoscere in legittimo re dâItalia Arrigo di Sassonia, detto il Santo, che fu primo re e secondo imperatore di questo nome. Quindi è che a nome del popolo toscano, nel mese di luglio del 1004, una deputazione recossi in Lombardia a prestare ubbidienza al monarca alemanno; lo che parve al Muratori indizio non dubbio, che allora la provincia della Toscana fosse senza capo, sia duca, oppure marchese, che la governasse.
Realmente a questâanno medesimo 1004 gli annali riportano un fatto dâarmi combattuto fra i Lucchesi e i Pisani poco lungi da Ripafratta, fatto che per avventura può designarsi per il primo embrione di due nascenti repubbliche e di due cittĂ che rimasero per tanti secoli rivali.
Se per altro la cittĂ di Lucca restò qualche anno priva del suo governatore, non è per questo che alla maggior parte dei Toscani mancasse il suo bassĂ . Tale ci sembra rappresentato dallâistoria quel Marchese Bonifazio di legge ripuaria figlio del conte Alberto, che può dirsi lâautore piĂš remoto dei conti Alberti di Mangona. Veniva ad essere cotesto Bonifazio, per parte della contessa Willa, nipote del di lei marito, il Marchese Ugo, talchĂŠ, o fosse astio e mal dâanimo contro il defunto zio, o che i beni da questâultimo alla badia di Poggibonsi donati, appartenessero alla di lui moglie, sorella del Conte Alberto e figlia di Bonifazio Marchese di Spoleto, cosicchĂŠ vi fosse ragione di riguardarli come beni allodiali della casa dei conti Alberti (la quale costĂ neâcontorni di Poggibonsi e per tutta la Val dâElsa ebbe e mantenne per molto tempo estesa signoria); fatto è, che dopo entrato al governo della Toscana il Marchese Bonifazio, questi spogliò la badia di Poggibonsi dâogni sostanza, costringendo i monaci ed il loro venerando abate Bonomio ad abbandonare quel claustro. â (ANNALI CAMALD. T. I. â CAMICI Opera citata).
Le quali violenze contro i claustrali del poggio Marturi dovevano tre anni dopo essere cessate, seppure unâazione empia con unâazione pia non si voleva contemp oraneamente offuscare oppure contrappesare; tostochĂŠ nel settembre dellâanno 1004 troviamo lo stesso Marchese Bonifazio nella montagna pistojese, per concedere in dono ai monaci di S. Salvatore di Fonte Taona un bosco o cafaggio con altre terre di sua pertinenza, situate in Baggio sopra Pistoja. â Vedere BAGGIO.
Arroge a ciò unâaltra donazione fatta, li 12 agosto 1009, nel castello di Pianoro nel territorio bolognese dal marchese medesimo alla badia fondata in Firenze dalla sua zia, alla qual badia egli cedĂŠ alcune corti poste nel Chianti e nella Val dâElsa; donazione che fu poi confermata dallâImperatore Arrigo II nel 1012, quando il Marchese Bonifazio non era piĂš tra i vivi.
Sebbene alcuni storici non si trovino dâaccordo ad ammettere questâultimo marchese per governatore della Toscana, pure per tale ci confortano a crederlo due atti, di luglio 1008, e di ottobre 1014, esercitati alla presenza di due gastaldi del Marchese prenominato. (CAMICI. Oper.
Cit.) Che piĂš in una scrittura contemporanea appartenuta alla badia di Poggibonsi, quindi alle monache del Paradiso in Pian di Ripoli, ora nellâArch. Dipl. Fior., si legge, Mortuo Ugo Marchio, cum Bonifatius filius Alberti factus esset Marchio, et monasterium, quod Ugo aedificaverat, devastaret, venit Marturi, etc.
Comunque sia, sembra certo però che, dal 1002 sino almeno al 1016, in Lucca non fosse riconosciuto per capo del governo alcun marchese o duca di Toscana, mentre, nÊ il marchese Bonifazio di legge ripuaria, nÊ un marchese Adalberto di origine longobarda, che in Lucca nel 1002, e nel suo contado nel 1011 alienò dei beni aviti, nessuno di questi due signori sembra avere esercitato mai alcun dominio nella città e contado lucchese.
Ve lo esercitò bensĂŹ il Marchese Ranieri figlio del conte Guido, progenitore dei marchesi del Monte S. Maria e di Sorbello, nominato da S. Pier Damiano; il quale Ranieri sino dal 1014 figurava in qualitĂ di marchese di Toscana; e come tale in nome dellâImperatore Arrigo II, nellâottobre del 1016, celebrò in Arezzo un placito assistito da Ugo conte della CittĂ , Rainerius Marchio et Dux Tuscanus.
Ă quel marchese Ranieri, rammentato dagli storici agli anni 1026 e 1027, il quale risiedeva in Lucca nel tempo in qui quasi tutta lâalta Italia, eccetto la Toscana, si era sottomessa allâimpero del re Corrado. â Infatti fu nellâinverno dellâanno 1026, mentre questo re si avanzava dal Piemonte verso Roma per sottomettere strada facendo i Toscani, ed il ribelle Marchese Ranieri che in Lucca erasi fortificato, fu allora quando i Lucchesi col loro governatore, trovandosi a mal partito, si recarono supplichevoli incontro al monarca per sottomettersi ai suoi voleri. Volendo però stare al cronista Ermanno Contratto, sembra che cotesta sottomissione fosse preceduta da un qualche apparato di assedio, o da altra dimostrazione ostile accaduta nei contorni e sotto le mura della cittĂ di Lucca.
Frattanto abbiamo in tale avvenimento un terzo memorabile esempio della posizione militare di Lucca e delle solide mura che dovettero difenderla, 1.° al tempo della repubblica Romana; 2.° sotto lâimpero di Giustiniano; 3.° durante il governo dei marchesi di Toscana.
Tali dimostrazioni dâinsubordinazione a Corrado il Salico, incoronato poco dopo (26 marzo 1027) imperatore in Roma, fruttarono al marchese di Toscana, se non la vita, al certo la carica di governatore e la disgrazia del monarca. Quindi non fa maraviglia, se da quellâepoca in poi non si sente piĂš rammentarlo negli atti pubblici di Lucca, nĂŠ in quelli di altre cittĂ della Toscana.
BensĂŹ la storia ci mostra sino dallâanno 1028 a governatore della Toscana il padre della contessa Matilde, Bonifazio figlio del Marchese Tedaldo di Lombardia, e ciò nel tempo in cui un fratello del marchese Bonifazio sedeva nella cattedrale aretina.
Ci appalesa questo nuovo marchese prima di tutti una carta del luglio 1028, pubblicata dallâUghelli (ITALIA SACRA, in Archiep. florent.) sfuggita alla diligenza di tanti accurati scrittori.â Ă una conferma di donazione della chiesa e Monastero di S. Miniato al Monte presso Firenze, con la quale il vescovo Lamberto approvò quellâopera pia del suo predecessore Ildebrando a benefizio spirituale del fondatore, dellâImperatore Corrado, dellâimperatrice Gisla di lui consorte, del figlio loro Arrigo, come pure per la salute del clarissimo marchese Bonifazio.
Anche piÚ chiaramente questo principe è qualificato col titolo di serenissimo duca e marchese di Toscana in altro istrumento del 1032, mercè cui Jacopo Bavaro vescovo di Fiesole assegnò una dote al clero della sua cattedrale.
Il valore militare, le ricchezze, lâestensione dei possessi ed i cospicui matrimonii fecero aumentare via via il potere e lâinfluenza politica del Marchese Bonifazio sulle faccende dellâItalia, talchè uno storico del secolo XII, (ARNULFI, Histor. Mediolan.) parlando dei principali magnati che in Italia fiorirono sotto lâimpero di Corrado e di Arrigo III suo figlio, segnalò fra i primi Eriberto arcivescovo di Milano ed il marchese Bonifazio, qualificandoli duo lumina Regni.
Non debbo omettere che, se Bonifazio non vi nacque, traeva bensĂŹ lâorigine da Lucca, mentre egli era un discendente di quel Sigisfredo, che il biografo della contessa Matilde dichiarò Principe preclaro del contado di Lucca, equivalente cioè a un conte rurale.
Che se la distanza dei secoli e lâoscuritĂ dei tempi in cui visse il bisavolo di Bonifazio, non ci permisero di scuoprire in qual luogo fu il castello dovâegli ebbe i natali, restano per altro memorie di una villa del marchese Bonifazio piĂš prediletta, e forse una di quelle ereditate dal bisavo Sigifredo. Intendo dire del palazzo di Vivinaja situato fra lâAltopascio, la Pescia minore e il castel di Porcari sopra una prominenza orientale del poggio su cui risiede la Terra di Montecarlo.
Infatti era costĂ il padre della gran contessa nel febbrajo dellâanno 1038, quando nel resedio campestre di Vivinaja con magnificenza regale accolse a onorevole ospizio il Pontefice Benedetto IX, lâImperatore Corrado con lâaugusta consorte e figlio, cioè: infra comitatu lucense intus casa domnicata domni Bonifacii marchionis; e costĂ , il 22 febbrajo dellâanno 1038, fu celebrato un placito preseduto dal cancelliere imperiale con lâassistenza di alcuni vescovi, conti e giudici, nel luogo medesimo in cui nel giorno dopo lâimperatore Corrado emanò tre privilegii a favore dei canonici e della cattedrale di Lucca. (FIORENTINI, Memorie della contessa Matilda.) Chi volesse rintracciare lâubicazione della villa signorile, testè rammentata, della sede di tante delizie, dove Bonifazio festeggiava la piĂš illustre comitiva del mondo; chi volesse riconoscere quel luogo famigerato, animato da tanta gente e da tanto brio, non ritroverebbe attualmente che lutto e segni di tristezza; giacchè il luogo dove fu il palazzo ducale di Vivinaja, ora è destinato al riposo dei morti, al camposanto della popolazione di Montecarlo! Sic transit gloria mundi! Delle esorbitanti ricchezze di Bonifazio fece pompa strabocchevole egli stesso, sia allorchè contrasse le seconde nozze con Beatrice figlia di Federigo duca di Lorena, dalla quale nacque la gran contessa; sia allâoccasione in cui il marchese medesimo fece presentare in Mantova dal suo visconte, e in Piacenza da altri suoi ministri, sontuosissimi ragali allâImperatore Arrigo III; il quale stupefatto da tal pomposo procedere in un principe subalterno, si vuole che esclamasse: Quis vir habet servos quales Bonifacius? Dai versi poi di Donizzone apparisce, come da Guido venerabile abate della Pomposa venne ingiunta al nostro Bonifazio una penitenza, per il mercato abominevole che si permetteva di molti beni di chiese da esso lui sotto varii pretesti appropriatisi; in guisa che il Muratori non potè esimersi da qualificare Bonifazio , bonorum ecclesiasticorum belluo .
Quindi è che lâabate Camici non potè difenderlo dallo stessa taccia; che anzi ne trovò la conferma in molte memorie da lui prodotte alla luce. NĂŠ fu egli solo a dubitare, che la morte violenta, da cui Bonifazio restò colpito, impedisse a questo marchese di restituire alle chiese quanto sotto moltiformi maniere aveva ad esse tolto.
Nelle AntichitĂ del medio evo trovansi a dovizia argomenti atti a dimostrare, con quale franchezza Bonifazio ed i suoi ministri sâimpadronivano dei beni ecclesiastici. Basta leggere, rapporto alle diocesi di Verona e di Volterra, due diplomi di Arrigo III, dal primo dei quali si conosce essere stata la chiesa di Verona afflitta non solo dalle genti estranee, ma anche dalle domestiche, ed in special modo tartassata dal Marchese Bonifazio che tutto il distretto di unâisola arbitrariamente le aveva occupato. In quanto a Volterra havvi un diploma spedito un mese dopo la morte di Bonifazio (17 giugno del 1052) a favore del vescovo di essa cittĂ ; il quale recossi a piè del trono ad oggetto di reclamare dallâImperatore Arrigo contro il conte di Volterra, che durante il governo del marchese Bonifazio aggravò fuor di modo tanto esso vescovo, quanto anche il clero, gli amministratori dei beni della mensa, e tutti coloro che tenevano a fitto le sostanze della sua cattedrale. â Lo dice la lunga lista dei castelli, pievi e cappelle che furono con i loro effetti ceduti in feudo dal Vescovo di Reggio al marchese predetto, e poscia da esso lui ad altri suoi vassalli dati o venduti. â Lo dice un diploma dello stesso Arrigo III, spedito da Verona li 11 novembre del 1055, ad istanza dellâabate del Monastero di S. Zenone di quella cittĂ ; il quale reclamava moltissimi beni che il fu Marchese Bonifazio e i di lui servi ingiustamente e violentemente si erano appropriati. â Ma per avvicinarmi alle operazioni fatte in Lucca e nel suo contado sotto il governo del Marchese Bonifazio, rammenterò un placito celebrato il dĂŹ 5 maggio 1055 alla presenza dello stesso imperatore nei campi di Roncaglia; dove erasi recato Guido vescovo di Luni per reclamare la terza parte della corte, del monte e del castello di Aghinolfo posto presso Porta Beltrame (Montignoso), che aveva usurpato Gandolfo, essendo proprietĂ della cattedrale di Luni. â Per quello poi che riguarda il trattamento, le sevizie ed angarie introdotte da Bonifazio a danno dei Lucchesi lo indica il Fiorentini medesimo, quando accenna i privilegi concessi daglâImperatore Arrigo IV e Arrigo V, che furono per la cittĂ di Lucca i primi segni della riacquistata libertĂ . Avvegnachè quegli Augusti condannarono e abolirono alcune angarie, e perverse usanze introdotte da Bonifazio a danno dellâantica sua patria, siccome i diplomi si esprimono con le seguenti parole: Consuetudines etiam perversas a tempore Bonifacii marchionis duriter iisdem hominibus (Lucensibus) impositas omnino interdicimus, et ne ulterius fiant praecipimus. â (FIORENTINI, Memorie della Contessa Matilda . Lib. I., e ARCHIV. DI STATO DI LUCCA).
Quindi non fa maraviglia se Ermanno Contratto, allorchè annunziò nella sua Cronica, sotto lâanno 1052, lâuccisione del marchese Bonifazio accaduta presso Mantova, non difficultò dare al ricchissimo Marchese il brutto nome di tiranno . Fu detto ancora che la gran potenza di Bonifazio, cagionasse in Arrigo II tal gelosia, da cercare modo e verso per allontanarlo dallâItalia, e togliergli le redini del governo marchionale. Che per altro ciò fosse una mera congettura, lo fece conoscere lâevento dopo la morte di Bonifazio, nella cui carica marchionale della Toscana sottentrò pacificamente la sua consorte Beatrice. Diede bensĂŹ ombra ad Arrigo III il nuovo matrimonio senza sua saputa nellâanno 1054 conchiuso dalla vedova di Bonifazio con Goffredo duca di Lorena, tanto piĂš che il secondo marito fu ribelle dellâImperatore. Quindi avvenne, che al ritorno di Arrigo III in Italia (marzo del 1055), non potendo egli avere nelle mani il duca Goffredo, ritenne in ostaggio la sua moglie con i figli da lei partoriti al Marchese Bonifazio. â Nella primavera del 1055 Arrigo III inviò Erberardo vescovo di Ratisbona suo rappresentante a Lucca; e costĂ nel palazzo dellâImperatore presso le mura della cittĂ , sedendo quel messo in giudizio con Ubaldo conte di Pisa e con altri magnati, pronunciò un placito a favore del vescovo e della cattedrale di Lucca, a cagione della corte e chiesa di S.
Terenzio a Marlia. â (BERTINI, Memor. Lucch. T.IV.
P.II.) Venne poco dopo in Toscana passando per Lucca e Pisa lo stesso Imperatore non tanto per assicurarsi dellâinclinazione dei popoli governati dal successore di Bonifazio e dalla sua donna, quanto per far posare le armi ai Pisani e ai Lucchesi, châerano tornati a farsi guerra nei campi di Vaccoli sotto il Monte pisano.
I Lucchesi, sebbene allora mancassero di un proprio governatore, stavano in pace con i loro vicini, quando Augusto, infermato in Germania e assistito dal romano pontefice, cui raccomandò il figlio, a dĂŹ 3 ottobre del 1056 passò allâaltra vita.
La morte assai sollecita di Arrigo III, e la troppo tenera etĂ del figliuolo Arrigo IV (la cui tutela fu appoggiata allâimperatrice madre) furono le prime cause di mali immensi e dellâorribile sconvolgimento di cose, che, non solo a Lucca e alla Toscana, ma a tutta Italia apportarono; tostochè di qua incomincia la storia che fu esordio di tali avvenimenti politici, per i quali si emanciparono quasi del tutto i conti e i marchesi dal loro monarca, i sudditi dai marchesi, dai duchi e dai conti, gli uni per governare a loro arbitrio, gli altri per costituirsi a poco a poco in regime repubblicano.
A intercessione del pontefice Vittorio II il fanciullo rè perdonò al duca Goffredo, e liberò dallâostaggio la sua moglie contessa Beatrice con la superstite figlia, le quali donne dopo due anni di prigionia tornarono a dominare la Toscana.
Accaddero poco appresso due avvenimenti gloriosi a Goffredo e alla cittĂ di Lucca; il primo quando fu acclamato in Roma per pontefice, sotto il nome di Stefano IX, Federigo il fratello del duca di Toscana. Dondechè Federigo nel giro di pochi mesi eletto abate di Monte Cassino, poi cardinale ed infine papa, non piccolo aumento di reputazione e di potenza preparava al fratello suo e alla cognata contessa Beatrice; per modo che, al dire di Leone Ostiense, disegnavasi fare di Goffredo un re dâItalia al momento in cui mancò di vita il Pontefice Stefano. â Lâaltro avvenimento assai piĂš glorioso pei Lucchesi fu lâesaltazione avvenuta nel 1061 dalla cattedra di S. Martino di Lucca a quella di S. Pietro di Roma di Anselmo da Badagio, eletto dopo la morte del testè nominato Stefano IX. Il quale novello gerarca favorito dal duca e duchessa di Toscana, e massimamente dal cardinale Ildebrando deâconti Aldobrandeschi, fu intronizzato col nome di Alessandro II.
Eccoci frattanto al punto dove cominciano gli Annali di Tolomeo lucchese, nei quali trovansi accennate le principali vicende istoriche, e piĂš specialmente quelle di Lucca, a cominciare dallâanno 1062 sino al 1304; vicende che vennero piĂš tardi con aurea latinitĂ ed eloquenza rifuse dal padre Bartolommeo Breverini, con lâaggiunta dei fatti accaduti dal 1304 sino al declinare del secolo XVII.
Che se a queste due opere celebratissime si aggiungano lâaltre non meno egregie delle Memorie scritte da Francesco Maria Fiorentini, di quelle che vanno tuttavia pubblicando i deputati dellâAccademia lucchese, e la Storia di Lucca recentemente data alla luce dal marchese Antonio Mazzarosa, avranno i cultori delle cose patrie in questi sullodati libri pascolo copioso alla loro dotta curiositĂ , nel tempo che tali opere servono a me di motivo per tralasciare discorrere di tante minute fazioni ostili, di tante piccole guerre di municipio, cui tennero dietro brevissime paci, in guisa che, limitandomi a discorrere delle principali mutazioni civili e politiche, potrò progredire piĂš franco nel cammino del presente articolo.
Per le notizie dellâannalista Tolomeo, per i documenti dal Fiorentini accennati, e dai compilatori delle Memorie lucchesi testè pubblicati, veniamo in cognizione che papa Alessandro II, imitando il suo predecessore Niccolò II vescovo di Firenze, ritenne, oltre il triregno, anche la mitra e il pastorale del suo vescovato, e che in Lucca piĂš volte egli tornò. Per piĂš mesi vi si trattenne nel 1064, quando accordava privilegii alla cattedrale di S. Martino, quando alla cittĂ di Lucca donava un sigillo del Comune con lâimpronta del Santo patrono, siccome vedremo qui appresso, e quando decorava i canonici di essa cattedrale della mitra cardinalizia da portarsi nelle processioni, al pari deâcanonici di Ravenna e di Campostella.
Ebbe occasione lo stesso pontefice di passare nel 1067 e ripassare di Lucca nel 1068, prima e dopo aver preseduto un concilio che si adunò in Mantova. Nella quale ultima circostanza (giugno del 1068) stando nel Brolio, o giardino dell'episcopio di Lucca, la duchessa Beatrice, alla presenza di molti vescovi, conti e visconti, emanò un placito a favore della mensa vescovile lucchese, col quale fu confermata lâinvestitura di alcuni beni posti ad Asciano e a Vico Auseressole nel territorio di Pisa.
Tornato in Lucca Alessandro II nel 1070 consacrò ed elargÏ nuovi privilegii al rinnovato tempio della cattedrale di S. Martino, nel cui episcopio, se non continuamente, molti mesi degli anni 1071 e 1072, egli abitava corteggiato e onorato dalle sue governatrici della Toscana, Beatrice e Matilde.
FinĂŹ di vivere il buon pontefice nellâaprile dellâanno 1073 in Roma, dove nel giorno successivo alla morte fu eletto in successore suo quel cardinale arcidiacono Ildebrando della casa Aldobrandesca, che, dopo avere singolarmente influito allâelezione di quattro papi suoi predecessori, salĂŹ egli stesso sulla cattedra di S. Pietro col nome di Gregorio VII. Il qual pontefice nelle emergenze tra la chiesa e lâimpero mostrò tanta fortezza, da renderlo celebre a tutti i secoli avvenire.
Frattanto Matilde, ora sola, ora in compagnia della madre, esercitava atti di dominio quasi assoluto sopra Lucca e su tutto il restante della Toscana.
Dissi, quasi assoluto, perchĂŠ ancora unâombra di dipendenza regia in qualche modo nella celebrazione dei placiti di lei traspariva. Tale, per esempio, fu quello dellâ8 febbrajo 1073, dato nel Borgo S. Frediano fuori delle mura di Lucca, cui assistè con la contessa Matilde un messo di Arrigo IV; tale un giudicato del 25 febbrajo dello stesso anno, emanato in Firenze nel palazzo vescovile da Beatrice Marchesa di Toscana, ad istanza di Berta priora del monastero di S. Felicita presso il Ponte vecchio di Firenze, tostochè il suo avvocato invocava il bando del re.
Ma poco si stette, dacchè il pertinace monarca alemanno, sordo ai decreti di due romani concilii, che fulminarono terribili anatemi contro i fautori o complici di simonie, e contro lâabuso delle investiture ecclesiastiche; ed irritato dalle scomuniche della S. Sede Apostolica, la sprezzò a segno che in una dieta di vescovi e abati avversi a Gregorio VII, da Arrigo riunita in Vormazia (anno 1076) fu qualificato illegittimo il vero pontefice e scomunicato.
In questo mezzo tempo medesimo nel palazzo Laterano, alla presenza delle due principesse di Toscana, erasi aperto un terzo concilio, nel quale si dichiarava Arrigo IV fuori della chiesa, decaduto dal regno, mentre si assolvevano i sudditi, i vassalli ed i ministri di lui dal giuramento di ubbidienza e di fedeltĂ .
Dâallora in poi la devota contessa Matilde cominciò a regnare da assoluta padrona con intitolarsi negli atti pubblici, che se ella contava qualcosa, era tale per la sola grazia di Dio; cioè, Matilda Dei gratia si quid est.
Quantunque i Lucchesi ed in generale i popoli toscani non avessero motivo da lodarsi del suo governo, pure a confessione del panegirista di questa principessa, essi per amore o per forza doverono uniformarsi ai voleri di quella padrona: Marchia volendo sibi paruit, atque nolendo.
Per consiglio del Pontefice Gregorio prese Matilde per cappellano e consigliere Anselmo nipote di Alessandro II, che a lui successe nel vescovato di Lucca, sebbene viaggiava con la contessa anche dopo la sua elezione episcopale. Infatti nellâagosto del 1073 troviamo Anselmo in Verona in compagnia delle due duchesse di Toscana, e costĂ fu testimone a un atto pubblico, col quale le stesse donne rinunziarono, o piuttosto restituirono, al monastero di S. Zenone di Verona alcune terre prese dal marchese Bonifazio, di quelle che facevano parte delle stesse possessioni, delle quali Arrigo III sino dal 1055 aveva ordinata la restituzione al monastero prenominato.
Sono troppo noti per non dovere rammentare gli avvenimenti politico-ecclesiastici che dopo la scomunica di Arrigo IV posero sossopra i popoli e principi della Germania e dellâItalia, e per conoscere qual parte attiva la contessa Matilda prendesse nelle infauste contese fra il trono e lâaltare, fra due re di Germania rivali, fra un papa legittimo e tre scismatici. Solamente dirò che Matilde, appena rimasta orbata della madre, e vedovata del marito Gozzelone duca di Lorena, si dichiarò piĂš francamente quasi propugnacolo della S. Sede Apostolica e il braccio forte del Pontefice Gregorio VII.
A sostegno di questo e di quella la gran contessa armò un esercito, che di ottobre del 1080 nel territorio di Mantova fu battuto e disfatto dai combattenti fautori del IV Arrigo.
Al quale monarca piuttostochè alla marchesana di Toscana aderiva a quei tempi un buon numero di Lucchesi, e una gran parte del loro clero, tostochè molti canonici, trascurando i precetti di una disciplina piĂš severa e piĂš casta, ricusarono ubbidire al legittimo loro pastore, eleggendosi invece un vescovo scismatico. Infatti al passaggio che fece nel 1081 dalla Toscana lâImperatore, volle lasciare alle sue fedeli cittĂ di Pisa e di Lucca, tali generosi privilegj, che possono dirsi a parer mio i primi efficacissimi segnali della loro municipale emancipazione.
LUCCA NEL PRIMO PERIODO DELLA REPUBBLICA SINO ALLA MORTE DI CASTRUCCIO PiĂš di uno probabilmente si maraviglierĂ che io mi arresti quasi a mezzo il corso della vita e delle gloriose gesta della gran contessa, alla quale erano collegate somme faccende politico-religiose della Toscana, e dirò anche della cristianitĂ . Ma cesserĂ , io spero, ogni sorpresa quante volte si vorrĂ riflettere, che fu appunto in mezzo a tante agitazioni e tempeste, fra lâurto violento di opposte passioni, fra lâintolleranza e lâassolutismo, donde incominciò a germogliare e crescere quello spirito di libertĂ , che andò gradatamente aumentando, finchĂŠ giunse a costituire in repubblica non solamente Lucca, ma molte altre cittĂ dellâItalia.
Fra gli elementi primordiali, che contribuirono a predisporre i Lucchesi a regime costituzionale, sono da contarsi (se male non mi appongo) i diplomi da Arrigo IV nel 1081 concessi, da Arrigo V nel 1116 e da Lottario III nel 1133 confermati a favore di quei cittadini, diplomi che vide Tolomeo negli archivii di Lucca. Quelli che tuttora ivi conservansi sono copie autentiche, mancando giĂ da lungo tempo le carte originali. Con altro diploma del 1100 Arrigo IV convalidò le concessioni del 1081 ai Lucchesi, a favore dei quali aggiunse il diritto di potere senza difficoltĂ navigare nel fiume Serchio, e aver libero accesso allo scalo di Motrone. Nel primo diploma del 1081 lâAugusto diceva, che, per ricompensare i Lucchesi della loro fedeltĂ e dei servigii a lui resi, vietava a qualunque autoritĂ ecclesiastica o laicale di demolire il recinto delle mura della cittĂ ; di edificar castella nel distretto delle sei miglia; aboliva le consuetudini perverse imposte loro con durezza dal marchese Bonifazio; esentava i medesimi dai placiti e sentenze di giudici longobardi, dal ripatico pisano, dagli obblighi del fodro e di curatura da Pavia sino a Roma, non che degli alloggi; prometteva di non far costruire dentro la cittĂ o nĂŠ subborghi alcun palazzo reale o imperiale; e finalmente permetteva ai Lucchesi di recarsi a comperare e vendere nei mercati di S. Donnino e di Parma, dichiarando espressamente esclusi da questâultimo permesso i Fiorentini.
In conseguenza dellâenunciato privilegio il popolo di Lucca cominciò dal distruggere nellâanno 1086 il vic ino castello eretto in Vaccoli da alcuni nobili di contado; e nellâanno 1100 lo stesso Comune mandò gente ad atterrare la torre di Castagnore sulla riva destra del Serchio di pertinenza di altri cattani; quindi nel 1104, a cagione del castello di Ripafratta, i Lucchesi rinnovarono contro i Pisani un lungo conflitto nei campi medesimi, dove centâanni innanzi gli uomini delle due cittĂ rivali avevano acerbamente dopo tanti secoli combattuto.
Ad oggetto pertanto di tutelare con piĂš sicurezza il castello di Ripafratta, per il quale al dire di Tolomeo durarono cinque anni di conflitto, uno di quei valvassori, Ubaldo figlio del fu Sigismondo, nellâanno 1111, si pose sotto lâaccomandigia degli arcivescovi e dei consoli pisani, dichiarando di cedere ad utilitĂ di quella primaziale e del popolo di Pisa la porzione che gli apparteneva del castello, di tutto il poggio e distretto di Ripafratta con le terre e possessioni che il sopradetto Ubaldo e Matilde sua consorte possedevano nel contado lucchese.
Questo documento, oltre che ci sembra che dia a conoscere, che il distretto di Ripafratta a quellâepoca doveva essere compreso nel perimetro delle sei miglia del contado di Lucca, conferma eziandio qualmente la cittĂ di Pisa, e forse Lucca, fino dal principio del secolo XII avevano magistrati proprj, o rappresentanti municipali, ai quali, ad esempio della repubblica romana, fu dato il titolo di Consoli.
Per quanto non vi sia da indicare lâanno preciso, in cui nelle due nominate cittĂ fu stabilito il consolare magistrato; per quanto manchino finora documenti che prima del regno di Arrigo IV ne facciano menzione, ciò non ostante è da credere, che intorno al 1090 i Consoli maggiori, ossiano municipali, esercitassero il loro uffizio in Lucca, al pari che in molte altre cittĂ e terre della Toscana.
Per quelli di Pisa, oltre il documento del 1111 qui sopra citato, dobbiamo al Muratori la pubblicazione di una carta del 5 ottobre 1095 spettante a Daiberto arcivescovo della metropolitana di Pisa, nella quale viene rammentato il magistrato dei consoli hujus civitatis qui pro tempore fuerint.
Per ciò che spetta a Lucca non è finora, châio sappia, comparso alla luce alcun documento anteriore a quello (ERRATA: dellâanno 1119, in cui si nominano i consoli di questa cittĂ ) dellâanno 1107, in cui si nominano i consoli maggiori di questa cittĂ (Mem. Lucchesi). Ă un istrumento del dĂŹ 21 ottobre col quale un sindaco di Benedetto vescovo di Lucca, alla presenza di diversi testimonj e di Goffredo del fu Giovanni, tunc lucensis consul, restituĂŹ 2300 soldi di moneta lucchese a chi avevali imprestati al vescovo Rodolfo suo antecessore; mediante il qual pagamento il vescovo Benedetto riebbe il castello di Montopoli stato dato al creditore, come a titolo di pegno.
(Memor. Lucch. T. IV, P. II).
Molte per altro sono le scritture del secolo XII e XIII, nelle quali si rammentano diverse classi di consoli in Lucca. ImperrochĂŠ oltre i consoli maggiori, che tenevano la prima magistratura, vi erano i consoli delle curie, cioè i treguani, ossia i giudici di pace, la di cui esistenza è antica quanto quella dei consoli maggiori, vi erano i consoli dei mercanti, i consoli foretani, ed ogni vicinanza o contrada aveva i suoi. Quindi è che al giudicato famoso dellâanno 1124, tenuto nella chiesa di S. Alessandro di Lucca per decidere una causa che agitavasi tra il vescovo di Luni e i marchesi Malaspina, intervennero come giudici non meno di sessanta consoli lucchesi.
(MURATORI Ant. Estens. P. I).
Non erano però questi consoli delle curie, ma bensĂŹ i consoli maggiori, cui spettava lâingerenza governativa, ed ai quali appella un privilegio spedito da Federigo I lĂŹ 9 luglio del 1162 ai diletti suoi fedeli i consoli di Lucca e a tutto quel popolo. Nel qual documento leggesi la formula del giuramento che, in presenza del monarca e di Rainaldo arcicancelliere del regno dâItalia, dei conti Gherardo, Ildebrandino ed Alberto, e di alcuni consoli pisani, fiorentini, e pistojesi, tre consoli di Lucca prestarono nel Borgo di S. Genesio, mentre cinque giorni dopo in Lucca giurarono gli altri tre consoli rimasti in cittĂ , davanti al pubblico parlamento convocato presso la cattedrale di S. Martino e alla presenza del prenominato Rainaldo arcicancelliere del regno.
Dal qual diploma si viene anche meglio a conoscere, non solo il numero dei consoli maggiori che costituivano allora il corpo decurionale di Lucca, ma ancora di qual libertĂ al tempo di Federigo I fruissero i Lucchesi.
Avvegnachè ciascuno di quei consoli giurar doveva fedeltĂ allâImperatore dicendo, sicut de jure debeo domino Imperatori meo; ed anche promettere di buona fede che avrebbe in ogni caso ajutato Augusto nel possesso del regno dâItalia non che di Lucca e suo contado. Aggiungasi, che ciascun console, innanzi di entrare in uffizio, giurava di pagare allâImperatore le regalie che di diritto se gli pervenivano; di piĂš: et conventionem factam de pecunia 400 librarum annuatim solvenda observabo; et nullum recipiam in CONSULATU, qui hoc sacramentum de pecunia solvenda non juret etc.
(MEMOR. LUCCH. T. I.) Nello stesso privilegio permettevasi ai Lucchesi lâannuale elezione dei loro consoli, con che per altro gli eletti giurassero, che essi avrebbero governato il popolo e la cittĂ a onor di Dio e a servizio dellâImperatore e re; e con che i nuovi consoli si recassero in persona a riceverne lâinvestitura dal sovrano, quando egli fosse in Italia, bastando uno di loro per tutti, quando Augusto si ritrovasse in Germania.
In proposito del pubblico parlamento tenuto nella curia di S. Martino di Lucca, allorchĂŠ i tre consoli giurarono le condizioni dallâimperatore Federigo I nel 1162 stabilite e concesse, cade in acconcio ricordare un altro giuramento singolare che fino dallâetĂ della contessa Matilde facevasi costĂ dai banchieri, cambisti e mercanti: i quali a quel tempo tenevano i loro banchi, fondachi o botteghe nella corte della chiesa di S. Martino, dovâerano pure situati gli alberghi per i forestieri.
La formula trovasi tuttora scolpita in marmo sotto il portico della cattedrale con la data dellâanno 1111, dicendo di averla ivi posta, affinchĂŠ: Adveniens quisquis scripturam perlegat istam, de qua confidat et sibi nil temeatâŚâŚUt omnes homines possint cum fiducia cambiare et vendere, et emere, juraverunt omnes Cambiatores et Speciarii, qui ad cambium vel species stare voluerint, quod ab illa hora in antea non furtum faciant, nec treccamentum, aut falsitatem infra curtem S.
Martini, nec in dominibus illis, in quibus homines hospitantur⌠Sunt etiam insuper qui curtem istam custodiunt, et quicquid male factum fuerit, emendare faciunt. Anno Domini MCXI.
Chi non leggerebbe in questa memoria il simbolo dei consoli dellâarte del cambio, e dei mercanti? Chi non riconoscerebbe nella corte di S. Martino un luogo consimile a quello che prese piĂš tardi e che conserva in Firenze il nome di Mercato nuovo? Nei custodi poi della corte medesima incaricati a giudicare e condannare chiunque dei contraenti facesse danno o falcidia, chiaramente mi si rappresenta la curia dei consoli dellâarte del cambio, unita ai mercanti di generi lucchesi.
Per egual modo piĂš tardi si aprĂŹ in Lucca unâaltra curia, chiamata di S. Cristofano dalla chiesa presso la quale aveva la sua residenza, e la cui ingerenza consisteva in giudicare le cause civili della cittĂ e subborghi sino al merito di 25 lire.
La curia dei consoli treguani, residente nella soppressa chiesa di S. Senzio, aveva per ispezione di stabilire tregue, pronunziare lodi e sentenze per ragione di livelli, di penali incorse, di cause civili, ed anche ecclesiastiche ec.
Vi era poi la curia detta deâconsoli foretani, ossia foranei, per le cause tra forestieri e lucchesi, ovvero tra forestieri e forestieri; e questa faceva le sue adunanze nella chiesa di S. Alessandro.
In quanto ai consoli dei mercanti di Lucca il Muratori pubblicò un accordo fatto nel 22 febbrajo 1182 tra consoli maggiori, i consoli deâmercanti di Modena da una parte, e i consoli maggiori e consoli deâmercanti di Lucca dallâaltra parte, mercĂŠ cui i consoli della cittĂ Modena obbligaronsi per 9 anni a difendere chiunque persona della cittĂ e distretto di Lucca in tutto il territorio Modenese, e di rendergli buona ragione tutte le volte che ne venisse fatto reclamo dai consoli lucchesi, o dalle loro lettere segnate col sigillo della cittĂ di Lucca .
A confermare che i consoli maggiori sin dâallora fossero i rappresentanti del corpo decurionale della cittĂ , rammenterò una lettera del pontefice Eugenio III, diretta verso la metĂ del secolo XII ai suoi diletti figli, i consoli di Lucca, per esortarli ad assistere e proteggere i frati che il loro vescovo Gregorio aveva di corto introdotto nella chiesa e monastero di S. Pantaleone fuori di Lucca, sul monte di S. Giuliano. (BALUZII, Miscellan. T. IV).
In una parola tutte le memorie superstiti tendono a dimostrare che Lucca, a partire dal privilegio di Arrigo IV, godeva di magistrati proprj, siccome dâallora in poi possedĂŠ di buon diritto un territorio di sua esclusiva giurisdizione.
Il contado di sei miglia tutto attorno alla città di Lucca fu posteriormente (anno 1160) ridonato da Guelfo VI duca di Baviera, quando era marchese di Toscana col rilasciare ai Lucchesi ogni regalia marchionale. Oltre di ciò lo stesso duca rinunziò pure a favore del comune di Lucca agli allodiali della contessa Matilde, di cui egli si qualificava legittimo Signore ed erede, purchÊ i beni della defunta contessa fossero stati dentro Lucca o nel distretto delle sei miglia.
Tale importantissimo privilegio, oltre ad essere una conferma dei diplomi da Arrigo IV e V concessi ai Lucchesi, li sopravanza in quanto al dono delle molte possessioni che ebbe in Lucca e nel suo contado la ricchissima contessa Matilde, possessioni che lâImperatore Federigo I, appena che venne innalzato al trono (anno 1152) dichiarò proprietĂ del duca Guelfo VI di Baviera, come nipote per parte di padre di Guelfo V Bavaro Estense, giĂ qualificato per scritta matrimoniale erede dalla stessa Matilde. (Cronic. Weingartensis de Guelis Princibus, apud Leibnitz.) La gran contessa però, non essendosi trovata molto contenta del secondo, come non fu del primo marito, allontanossi dal consorzio di Guelfo al segno che annullò i patti dotali. Quindi essa, nel 17 novembre del 1102, stando nella rocca di Canossa, alla presenza del cardinal Bernardo degli Uberti legato pontificio in Lombardia e di altri illustri personaggi, volle rinnovare per rogito lâatto di donazione giĂ da lei in tempo fatta nelle mani del pontefice Gregorio VII. In vigore del quale atto ella donò alla chiesa romana omnia bona mea, dice la carta, jure proprietario, tam quae nunc habeo, quam quae in posterum acquisitura sum, etc.
Quali conseguenze, a danno specialmente del Comune di Lucca, questâultima donazione matildiana apportasse, lo vedremo tra poco.
Si erano i Lucchesi per la mediazione di Federigo I riconciliati con i Pisani, i sindaci dei quali, nel 1175 alla presenza di Augusto in Pavia, sottoscrivessero un trattato di pace. Lo che avvenne due anni innanzi lâaltra piĂš memorabile pacificazione per la cristianitĂ , fermata in Venezia nellâestate del 1177, quando Federigo I discese alle richieste del Pontefice Alessandro III, specialmente rapporto alle investiture dei benefizii, ed alla restituzione dei beni della chiesa romana, salvo però le terre e i possessi appartenuti alla contessa Matilde.
Esiste nellâarchivio dei canonici di S. Martino un privilegio dello stesso Augusto, dato li 25 gennajo 1178 apud Lucam civitatem in palatio episcopale, che può servire a confermare due fatti: il primo che lâImperatore, avendo preso alloggio nella casa del vescovo, mostra che anche ai suoi giorni non esisteva in Lucca palazzo regio o imperiale, siccome era stato da Arrigo IV promesso di non fabbricarvelo, e come infatti nel 1209 in altro diploma dallâImperatore Ottone IV fu nuovamente ai lucchesi promesso di non farvelo.
Il secondo fatto è, che Federigo I, dopo il 25 gennajo, dovè da Lucca passare direttamente a Genova, tostochĂŠ nello stesso mese ed anno in questâultima cittĂ ce lo danno arrivato i continuatori degli Annali di Caffaro, dopo essere stato Federigo I preceduto di un giorno dallâImperatrice, e raggiunto il giorno appresso dal re Arrigo VI suo figliuolo.
Accadde alla fine di agosto dellâanno 1187 lâesaltazione al trono pontificio di Lucio III nella persona del cardinal Ubaldo dellâestinta casata lucchese degli Allucingoli . â Abbiamo dallâannalista Tolomeo, come sotto questo medesimo anno 1181, a nativitate, fu rinnovata pace fra i Lucchesi e i Pisani. In conferma di ciò lâarchivio della casa Rosselmini di Pisa conserva nel suo originale la formula dei varii capitoli di quella concordia, giurati li 16 giugno dellâanno 1181 nella chiesa di S. Prospero a Setuano, piviere del Flesso presso Lucca. Anche le Memorie Lucchesi (T. IV, P. II) hanno pubblicato la formula del giuramento, che prestarono nel giorno e luogo stesso i consoli di Lucca e di Pisa, quando i primi promisero di rispettare la giurisdizione dellâarcivescovo di Pisa nel loro contado; e viceversa i consoli di Pisa di rispettare la giurisdizione e i diritti che avevano i vescovi di Lucca nel territorio civile pisano.
Una condizione singolarissima di detta pace fu quella, per la quale si divise fra le due cittĂ il lucro delle rispettive zecche e lâobbligo impostosi dai Pisani di non piĂš fabbricare o coniare la moneta simile a quella di Lucca. E siccome nella moneta lucchese era impresso il nome di Lucca e dellâImperatore Arrigo, quella pisana doveva dâallora in poi portar il nome di Pisa e dellâimperatore Federigo o del re Corrado, ed essere ancora di una grandezza e rotonditĂ maggiore della lucchese, in maniera da distinguere chiaramente lâuna dallâaltra. E qui è da avvertire una clausola importantissima specificata dai consoli pisani, la quale starebbe a provare che, il bando mandato nel 1176 da Federigo I, e citato dagli annalisti genovesi e lucchesi, quando fu interdetto ai Pisani di fabbricare monete del conio, della forma e col nome di Lucca, non fu cosĂŹ per fretta eseguito. Avvegnachè nella concordia del 1181 i consoli di Pisa, dopo la sopra espressa dichiarazione, giurarono: Et faciam finem et refutationem et transactionem pro me et pisano comuni consulibus lucensis recipientibus pro se et lucensi comuni de omni actione et jure, seu dirictu mihi vel pisano comuni pro pisana civitate pertinenti, de potestate faciendi lucensem monetam vel de ipsa moneta EX CONCESSIONE SEU DATIONE CONRADI REGIS, AUT FEDERICI IMPERATORIS , seu alio quocumque modo vel jure. â Quindi poco sotto i consoli pisani soggiunsero: Et predictam monetam lucanam non falsabo, nec falsari faciam⌠neque permittam, neque concedam fieri extra lucanam civitatemâŚet faciam ipsam monetam lucensem accipi et currere in mea civitate et fortia atque districtu, etc. â (ERRATA: ARCHIV. RONCIONI di via S. Maria a Pisa) (ARCHIV. ROSSELMINI di via S. Maria a Pisa).
Se non è da dubitarsi sullâautenticitĂ e originalitĂ del documento qui sopra accennato, io domanderò ai critici, qual conto si abbia a fare delle cose dette dallâannalista lucchese, sia quando rammenta agli anni 1175 e 1176 una sentenza e un bando dellâImperatore Federigo contro i Pisani di non coniare moneta simile alla lucchese; sia quando parla sotto lâanno 1178 di una misura inaudita dallo stesso imperatore ordinata, privando tutte le cittĂ della Toscana di qualunque sia giurisdizione nel loro contado? Domanderò pure, se debba tenersi per vera, rispetto alla moneta di Lucca, la sentenza di anatema fulminata nel 1158 dal Pontefice Adriano IV, che inibiva a tutte le cittĂ della Toscana di coniare nelle loro zecche moneta lucchese, comandando alle medesime di accettare nel loro commercio e di far uso di quella di Lucca. Dicasi la stessa cosa di un breve di Lucio III, col quale, nel 1182, questo papa concedĂŠ ai Lucchesi il diritto della zecca, consigliando le cittĂ della Toscana, della Romagna e della Campania di accettare tali monete per estenderne il commercio in quelle parti, eo quod (soggiunse Tolomeo) dicta civitas (Lucensis) Romanae ecclesiae semper fuit subiecta . Sul qual proposito il Muratori non tralasciò di fare avvertire che i pontefici, non avendo avuto mai giurisdizione temporale sopra la cittĂ di Lucca, non potevano concederle quel diritto che fu sempre uno dei principali articoli di regalia della sovranitĂ .
Inoltre, da molte espressioni che leggonsi nella concordia del 1181 tra i Lucchesi e i Pisani, apparisce che sino da quel tempo, tanto nella cittĂ di Lucca, quanto in Pisa esistere dovevano oltre i magis trati consolari, anche il potestĂ , ossia rettore della giustizia. â Infatti un Pagano di Ronzino, rammentato da Tolomeo allâanno 1188, esercitava in Lucca lâufizio di potestĂ ; nellâanno cioè in cui insorse una rissa popolare fra le genti del quartiere di Porta S. Frediano e quelle del quartiere di Borgo, alle quali si unirono gli abitanti della Porta S. Donato, mentre quelli di Porta S. Gervasio e di Porta S. Pietro presero le parti dellâaltro quartiere; per causa di che sâintromisero i Fiorentini a ristabilire fra i rivoltosi la pace, sin qui Tolomeo. â Ma il Bernardini, appoggiandosi alle parole di una carta dellâospedale della Misericordia di Lucca, assicura, che al tempo del potestĂ Alcherio (fra il 1188 e il 1189) furono cacciati da Lucca i consoli, perchĂŠ contrariavano gli ordini suoi e quelli di Guglielmo Vescovo di Lucca. (BAVERINI, Annal. Lucens. Urbis.
Lib. III.) Dopo tali gare civili, altre se ne accesero di assai maggior momento per la morte accaduta nel 1197 di Arrigo VI, stante che il trono imperiale per lungo tempo fu contrastato fra Federigo duca di Svevia di setta ghibellina e Ottone IV di Sassonia sostenitore dei Guelfi.
Infatti cotesti sconcerti provocarono fra le cittĂ e i magnati della Toscana una dieta, che fu bandita nellâautunno del 1197 nel borgo di S. Genesio sotto Sanminiato, cui presederono il cardinal Bernardo giĂ canonico regolare lucchese, ed il cardinal Pandolfo Masca di Pisa. Al detto borgo pertanto, eccettuati i sindaci pisani e pistojesi, concorsero gli ambasciatori di quasi tutte le cittĂ e terre della Toscana, fra i quali furono due consoli di Lucca. Scopo di essa dieta era di far giurare i detti sindaci a non riconoscere alcuno per imperatore, re, duca o marchese senza espresso consenso della chiesa romana.
â Che però Ottone IV, appena che fu nellâanno 1209 dichiarato imperatore da Innocenzo III, egli, venne riconosciuto in legittimo monarca dai diversi comuni e magnati della Toscana, e specialmente dalla cittĂ di Lucca. A favore della quale nellâanno stesso il nuovo Augusto, ai 12 dicembre, spedĂŹ dalla cittĂ di Fuligno un privilegio piĂš largo di quello compartitole dagli altri Cesari; ed in Fuligno stessa due giorni dopo spedĂŹ altro amplissimo diploma in benefizio della cattedrale lucchese. Fra le concessioni dallâimperatore Ottone IV accordate ai Lucchesi merita attenzione questa: che a niuna persona, o potestĂ qualunque, sia lecito di rompere il muro antico, oppure quello nuovo del cerchio della cittĂ di Lucca come pure le case che dentro tal circuito di mura si fabbricheranno, o che erano giĂ fabbricate. â Se non mâinganno, a me sembra di scoprire in questo privilegio un indizio, che ai tempi di Ottone IV, e forse qualche anno prima, prosperando le cose dei Lucchesi, dovevano questi aver dato principio al secondo cerchio delle mura di Lucca, senza frattanto abbattere le vecchie.
â (CIANELLI, Memor. Lucch. T.I.) Arroge a ciò un altro diploma dello stesso Ottone, dato in Sanminiato il dĂŹ due novembre 1209, a favore della chiesa e canonici di S. Frediano di Lucca, cui confermò quello concessole da Arrigo VI suo antecessore. Dal qual diploma emerge una notizia finora (credo io) ignota, col farci conoscere, come i canonici di S. Frediano a spese del loro monastero avevano fatto alzare un muro di lĂ dalla chiesa per allontanare il corso del Serchio dalla cittĂ . Ecco le parole che si leggono nella pergamena priginale: Item jubemus et firmiter interdicimus, ut inter murum, quem dicti canonici de propriis fecerunt expensis ad arcendum flumen (Sercli), et ecclesiam S. Fridiani via publica non fiat, nec a potestate aliqua, seu Consulibus; sive a Comuni lucanae civitatis, nec ab aliqua persona... nisi de voluntate et assensu prioris et capituli dictae ecclesiae, etcâŚ. Termina il diploma come appresso: Firmiter quoque precipientes, ut supradictae libertates et concessiones Eccl. S. Fridiani indultas justitiam faciendam pro tempore nunciis ecclesiae non denegent coram Treguanis, seu Consulibus et aliis, qui pro tempore habuerint regimen civitatis. (ARCH. di S. FREDIANO di LUCCA. Arca I Lett. A 112).
Dovendo stare allâasserto di Francesco Bandinelli, autore di una storia inedita della sua patria, dovremmo fissare verso il principio del secolo XIII lâistituzione in Lucca di una magistratura civile e militare. ImperrochĂŠ egli ne avvisò che, bramando il senato provvedere alla difesa della libertĂ lucchese, nellâanno 1206, adunatosi nella chiesa di S. Pietro maggiore, si elessero 12 priori, ossiano Tribuni e Capitani delle milizie, i quali con le loro insegne, o gonfaloni, insieme con i Consoli maggiori, nel dĂŹ 22 marzo di detto anno, riuniti nella chiesa di S. Senzio nominarono in potestĂ di Lucca un tale Aldobrandino Malpigli.
In quanto poi alla classazione e allâordine dei magistrati, che nei primi secoli dopo il mille regolavano gli affari della repubblica di Lucca, pochi documenti ce li danno a conoscere meglio di quello del 26 luglio 1234, edito dal Muratori. â (Ant. Med. Aevi Dissert. 46).
GiĂ da qualche tempo la corte di Roma, massime sotto Onorio III e Gregorio IX, aveva messo in campo lâereditĂ lasciata al patrimonio di S. Pietro dalla contessa Matilde; nella quale ereditĂ erano comprese molte terre e feudi da quella principessa e dai suoi maggiori, piĂš che altrove, posseduti nelle parti di Garfagnana. Sono conosciute le lettere del Pontefice Gregorio IX ai Pistojesi, al loro vescovo, allâarcivescovo di Pisa, ai vescovi di Lucca, di Luni e di Volterra, per non aver dâuopo ripetere qui quanto fu bastantemente accennato allâArticolo GARFAGNANA, rapporto alle censure minacciate, quindi scagliate dal pontefice romano contro i Lucchesi a cagione di alcuni luoghi della Garfagnana. Per i quali dissapori Gregorio IX, nel 1231, disfece in quattro parti la diocesi lucchese, con distribuirne un pezzo a ciascuna delle cattedrali limitrofe, nel tempo stesso che ai canonici di Lucca fu annullato il privilegio della mitra e di altre onorificenze.
Ciò non ostante i Lucchesi tenner saldo, dandosi ogni premura per difendere i loro diritti; comecchÊ alcuni del governo di Lucca, per iscrupolo, dice un moderno istorico, inchinavano a non far onta al Papa, mentre altri stavan forti nel sostener la ragione.
Finalmente nel 1234 si concluse la bramata pacificazione con un trattato pubblico dal Muratori, nel quale si scoprono per avventura varie magistrature di quelle che allora reggevano la cittĂ e il distretto di Lucca.
Avvegnachè, volendo quel popolo (dice il documento) ubbidire agli ordini del papa a cagione degli eccessi, i quali richiamarono sopra di lui le sentenze di scomunica ed interdetto, tanto per i danni fatti al clero e chiese dello stato di Lucca, quanto per conto della Garfagnana, con deliberazione approvata nel consiglio generale, adunato in Lucca nella chiesa di S. Michele in piazza, lĂŹ 26 luglio dello stesso anno 1234, accordarono e consegnarono a maestro Pietro di Guarcino delegato speciale del Pontefice Gregorio IX, ricevente per la Romana chiesa, il possesso e la custodia della rocca, torre e castello di Castelnuovo di Garfagnana, e della rocca, torre e castello di Aquilata, entrambi da tenersi per conto del Papa in pegno delle 4000 marche dâargento che il Comune di Lucca si obbligava di pagare alla R. Camera apostolica nel termine di quattro anni. Alla quale deliberazione intervennero cinque consoli maggiori di Lucca, i capitani o tribuni della contrada di S. Pietro maggiore, i capitani della contrada di S. Cristofano; inoltre 25 consiglieri speciali per ciascuna porta di Lucca, 12 del Borgo, 24 consiglieri speciali della stessa cittĂ , oltre un numero di 207 cittadini ivi ad uno nominati, appartenenti al consiglio maggiore. La quale assemblea componeva tuttâinsieme il consiglio generale di Lucca, che allora ascendeva a 380 persone; numero corrispondente appunto ad altra assemblea tenuta 60 anni dopo (26 febbrajo 1294) nel nuovo palazzo comunale della canonica presso la chiesa di S. Michele in Piazza.
Fu in contemplazione di voler ampliare il palazzo del Comune di Lucca testĂŠ rammentato, che il governo acquistò in compra per il prezzo di mille fiorini dâoro di grossi, a peso retto di Lucca, ed a ragione di soldi 45 e denari 6 per ogni fiorino, dal possessore Puccino del fu Lamberto medico, due case contigue al detto palazzo. Il contratto fu rogato il 22 giugno 1297 in palatio in quo detinentur consilia Lucani Comunis, quod est canonicae S. Michaelis in Foro . â Presenti allâistrumento di compra furonvi il potestĂ , il capitano del popolo, gli anziani e priori, tanto quelli che erano in carica, quanto quelli che dovevano entrare in uffizio nei due mesi futuri di luglio e di agosto dello stesso anno. (Memor. Lucch. T. I.) Ecco frattanto un documento confacente a far conoscere non solamente le diverse magistrature primarie della repubblica di Lucca, ma che ancora ci notifica gli anziani subentrati ai consoli maggiori, i quali cambiavansi in Lucca ogni due mesi, nella guisa medesima che a Firenze, dove sino dallâanno 1250 i consoli vennero rimpiazzati dagli anziani. â Aggiungasi, che nel 1250 appunto in Firenze occupava la carica di capitano del popolo un anziano lucchese, Uberto Rosso ; il quale troviamo cinque anni dopo fra gli anziani della sua patria. â (G. VILLANI, Cronic. Lib. VI c. 39. AMMIR. Istor. fior. Lib.II.
CIANELLI, Memor. Lucch. T. I.) Ma ciò che nientemeno importa di essere qui segnalato si è, di trovare che il Comune di Lucca prese la deliberazione dâingrandire il suo palazzo nellâanno istesso in cui la Repubblica fiorentina dava principio al suo nella piazza del popolo, che prese perciò il nome di palazzo della Signoria, attualmente di palazzo vecchio.
Dopo tali avvertenze, volendo ritornare in via per accennare le principali vicende civili e politiche accadute nella cittĂ di Lucca posteriormente alla pacificazione con la corte romana, dirò, che le cose pubbliche dei Lucchesi dopo la morte dellâImperatore Federigo II, nei primi dieci anni dellâimpero vacante, camminarono di bene in meglio e prosperarono, non tanto riguardo al modo di condurre gli affari del comune, come di conservare i paesi che i Lucchesi a forza dâarmi andavano acquistando, ad onta che in Lucca non mancassero a disturbare la pace interna le malaugurate fazioni dei guelfi contro i ghibellini, dei nobili di contado contro la comunitĂ , del popolo grasso contro il magro , in una parola dei popolani contro i magnati.
Erano nel secolo XIII i Lucchesi per uniformitĂ dâistituzioni municipali e per sentimenti politici coi Fiorentini sĂŹ strettamente uniti e collegati che, ogni affronto, qualsasi danno e pericolo dellâaltro; quindi nelle guerre, come nelle tregue, cosĂŹ nelle paci, il governo di Lucca in tutto il secolo XIII, e nel principio del susseguente, camminò quasi costantemente dâaccordo con quello di Firenze; ed i Signori della repubblica fiorentina uniti di massime con gli Anziani lucchesi furono per lunga etĂ lâanima e il maggior nerbo della lega guelfa in Toscana.
Fra le dimostrazioni di scambievole amicizia dei due governi debbo rammentare quella del 1228, quando i Fiorentini, interponendosi mediatori, furono dichiarati arbitri di una pace fra i Lucchesi e i Pistojesi. Ciò apparisce dal lodo pronunziato in pieno consiglio, nel dicembre di detto anno, nel palazzo del Comue di Firenze, presenti Parenzo Romano potestĂ di Lucca, e varii sindaci della stessa cittĂ , fra i quali trovavasi quellâUberto Rosso , che 22 anni appresso fu eletto il primo in Firenze tra i capitani del popolo.
Ma la prova piĂš solenne, piĂš generosa, di cui a buon diritto il governo lucchese deve onorarsi, fu dimostrata, se io non fallo, allâoccasione della battaglia di Montaperto.
AvvegnachĂŠ di 30,000 fanti, e di 1300 cavalli, di cui è fama che nei campi dellâArbia si componesse lâesercito guelfo innanzi la pugna, dopo la funesta sconfitta, molti di quelli scampati al macello vennero immolati alla rabbia del vincitore ghibellino, e gli altri (circa 11,000) meschinamente in dure prigioni cacciati. Mai rovina maggiore aveva percorso le cittĂ guelfe di Firenze e di Lucca; mai piĂš si pianse in Toscana tanto, quanto dopo la terribile giornata del 4 settembre 1260; talchĂŠ si disse non esservi stata famiglia che non avesse a piangere la morte di un suo congiunto.
Da tanta desolazione molte cittĂ e terre della Toscana spaventate, inermi e scoraggite dovettero aprire le porte e far buon viso a vincitori orgogliosi e sempre caldi dâira.
La sola cittĂ di Lucca tenne forte, e nel tempo che vegliava a tener lontani i fuoriusciti ghibellini, serviva di refugio e di sostegno ai guelfi che da ogni parte oppressi e scacciati accorrevano costĂ .
Per altro, Lucca divenuta in tal guisa asilo ed ostello dellâavvilita parte guelfa, fece risolvere le armi dei ghibellini di Toscana tutta di voltarsi ai danni di lei e del suo territorio. Le quali aggressioni, benchĂŠ talvolta dai Lucchesi respinte fossero con danno dei nemici, pure per il maggior numero di questi fu ridotto a tale strettezza da esser costretti i suoi reggitori dopo quattrâanni a venire ad un accordo.
Fu pattuito pertanto che i Lucchesi, salve le patrie leggi, ad esempio dei Fiorentini, riconoscerebbero in loro vicario Manfredi re di Napoli, giurando di stare nella parte ghibellina; che essi allontanerebbero dalla città e dal contado i guelfi refugiati forestieri, a condizione però di riavere il castello di Motrone, ed i prigionieri fatti alla battaglia di Montaperto.
A questa epoca il Beverini attribuisce, sebbene senza prove, la mutazione dellâordine antico del governo municipale di Lucca, accaduta, dice lâannalista, dopo 190 anni che avevano governato i Consoli; dondechĂŠ il regime della repubblica fu trasferito al decemvirato degli Anziani, eletti due per ciascuna delle 5 regioni o porte della cittĂ . Di piĂš lo stesso scrittore supponeva, che tal cangiamento accadesse per far partecipare onori eguali nella suprema magistratura tanto ai guelfi come ai riammessi ghibellini lucchesi.
Qualora però si rifletta, che una simile mutazione di statuti, fino dal 1250, era stata fatta dai Fiorentini a danno dei ghibellini e dei magnati; quando si è visto, che il popolo di Firenze in detta occasione nominò in suo capitano Uberto Rosso di Lucca; che per consiglio di lui furono eletti, in vece dei Consoli, dodici cittadini, due per ogni Sesto, chiamandoli questi Anziani del Popolo ; e che in tale occasione, per asserto del cronista piĂš vetusto, Ricordano Malespini, si diedero dallo stesso capitano venti gonfaloni a certi caporali ripartiti per compagnia dâarmi e per vicinanze, come abbiam visto praticato anche i Lucca; tutto ciò, io diceva, darebbe motivo di credere che la mutazione dellâordine governativo fosse accaduta in questa cittĂ molto innanzi che il partito ghibellino avesse acquistato preponderanza in Lucca come in varie altre cittĂ e terre della Toscana.
Con tuttociò, Lucca guelfa per genio e per principii, dalla sola necessità obbligata di piegare alla parte ghibellina, ritornò ad esser guelfa tosto che il piÚ potente sostenitore del ghibellinismo, il re Manfredi, nel 1266 rimase vinto ed estinto nei campi di Benevento.
Sebbene dâallora in poi non mancassero frequenti guerre battagliate per tenere in moto e in allarme il popolo lucchese, ora nellâanno 1271 per conquistare il forte castello di Montecatini in Val di Nievole, fatto nido deâghibellini; ora (anno 1275 e seguenti) per unirsi ai Fiorentini e ai Genovesi contro il governo della cittĂ rivale di Pisa; ora (anno 1288) per inviare in sussidio della lega guelfa fanti e cavalli nel Val dâArno aretino; ciò non ostante può dirsi, che le cose interne dei Lucchesi si rimasero tranquille per tutto il resto del secolo XIII.
Frutto di stabilita tranquillitĂ e del felice stato dei Lucchesi credo potersi riguardare la costruzione di molti edifizii sacri e profani, di strade e piazze ampliate dentro e fuori di cittĂ . Delle quali cose diede un cenno anche Tolomeo, agli anni 1296, e 1298; quando cioè fu ingrandita la piazza di S. Michele e trasportati altrove gli ospedali di S. Michele in Foro, e di S. Donato; e ciò nel tempo istesso in cui i priori compravano con i denari e con i beni dei soppressi Templari una parte dellâorto dei frati predicatori di S. Romano ad oggetto di costruire in quel suolo case e borgate.
Mentre tutto andava a seconda del desiderio dei governatori e dei governati, tornò in campo un malumore che fu preludio non solo di gravi amarezze, ma che ogni bella speranza e i disegnati progetti travolse. â Era appena incominciato il secolo XIV, allorquando antichi odii di famiglie e semi di cittadine discordie germogliarono in guisa tale, che resero oltracotante il ghibellino contro il guelfo sotto una nuova divisa, quello di bianca , questo di nera . â Vinse naturalmente in Lucca la fazione piĂš numerosa del popolo, cioè la parte nera , di cui era lâanima un potente anziano, molto in grazia della plebe, e tornato di corto da una legazione al Pontefice Bonifazio VIII.
Dico di quel Buonturo Dati uomo guelfissimo, e conseguentemente mal visto dallâAlighieri, che con ironia maligna volle sferzarlo insieme con i suoi concittadini, dicendo, che costĂ Ogni uom vâè barattier fuor che Bonturo (Inferno, Cant. XXI.) Per abbattere la sede donde sotto nuove forme era partito lâincendio delle politiche fazioni, si unirono ai Fiorentini i Lucchesi, i quali dâaccordo stabilirono dâinviare i loro rispettivi eserciti ad attaccare le castella del territorio di Pistoja, e quindi assediare la cittĂ fornite e primario sostegno della parte bianca, fatta nido dei piĂš acerrimi ghibellini.
Sarebbe ozioso il rammentare le lacrimevoli conseguenze di quellâassedio e della resa di detta cittĂ dopo undici mesi di ostinata difesa, per non aver duopo di qui solamente avvertire, che la lega vincitrice spartissi il governo della soggiogata Pistoja, riservandosi i Lucchesi lâelezione di un loro cittadino per potestĂ , mentre era nella scelta dei Fiorentini la nomina del capitano del popolo.
Insorse in Lucca poco tempo di poi (anno 1308) un tumulto fra il popolo e i nobili, in conseguenza del quale il governo, che per principio politico teneva dalla parte popolare, riescĂŹ a far escludere dalle borse tutti i magnati o potenti, eccetto quelli che ad una delle compagnie delle armi, ossia dei venti gonfaloni di contrade, si trovavano ascritti.
Tale fu una delle ragioni per riformare gli antichi statuti del Comune di Lucca, e per sostituire quelli compilati nel 1308, che sono rimasti i primi fra i conosciuti. â (Vedere Statuta Lucens. anni 1308, Lib. III. rubric. 165 e 169).
Supera il numero di cento la nota delle famiglie nobili lucchesi con quella riforma state escluse dalle prime magistrature, oltre i nobili di contado, ossiano cattani, di qualunque essi fossero origine e razza.
Bonturo Dati con altri due colleghi popolani, potenti presso la plebe, furono quelli, che a detta epoca formarono in Lucca una specie di triumv irato, dal cui arbitrio era regolato quanto spettava alla Signoria e al governo della repubblica.
Fu tolta lâautoritĂ agli anziani, e la giurisdizione ai giudici delle diverse vicarĂŹe del territorio per mettere al loro posto dei popolani. Quindi è che molte famiglie vennero ammonite, molte altre esiliate, e moltissime disgustate abbandonarono la patria, menomando cosĂŹ la cittĂ di uomini dâingegno, di artisti, di preziose industrie e di ricchezze.
A tanti mali si aggiunsero per colmo le rovine, le oppressioni, le stragi e i saccheggi che Lucca ebbe a sopportare allâarrivo impensato ed ostile di Uguccione della Faggiuola, (allâanno 1314), cioè poco dopo essere stato Uguccione eletto in capitano generale di una popolazione, che per troppa vicinanza, per indole del governo e per circostanze di localitĂ nacque, crebbe e invecchiò quasi sempre nemica del popolo lucchese.
Era morto di corto lâImperatore Arrigo VII terrore dei guelfi in Italia, sostegno dei ghibellini, quando tornò a ridestare le speranze in questâultimi Uguccione della Faggiuola, che i Pisani elessero in signore, invitato da Genova per succedere ad Arrigo VII nel comando generale dei ghibellini di Toscana. Inoltre era mancato ai vivi il Pontefice Clemente V affezionato a Roberto rè di Napoli; lo che aprĂŹ a Uguccione una piĂš agevole via al conquisto di Lucca, cui giĂ meditava. Infatti cominciò egli a travagliare sĂŹ fattamente i Lucchesi, da costringerli alla restituzione delle castella state cedute dal conte Ugolino. Volle inoltre, ed ottenne, che gli usciti rientrassero in Lucca; tra i quali Castruccio di Geri degli Antelminelli rivide la patria. â Infine Uguccione alla testa di 11000 e piĂš soldati mosse improvviso da Pisa (14 giugno 1314) e arrivò dinanzi a Lucca contemporaneamente alla mossa di un allarme dei ghibellini di corto riaccettati in patria; lo che agevolò lâingresso in cittĂ del Faggiolano e delle sue masnade. I Lucchesi sopraffatti da interni e da esterni nemici, nĂŠ potendo resistere a tanta piena, videro in brevissimâora fuggire la cavalleria catalana che poco innanzi dal re Roberto a tutela loro fu inviata, e la cittĂ fatta preda degli assalitori. Fu allora quando con spaventosa rabbia, con isfrenata libidine e insazievole avarizia si manomesse, si calpestò onore, pudore, religione, ed ogni piĂš rispettabile diritto divino e umano. Il saccheggio piĂš feroce che fosse dato mai a una cittĂ da chi avesse sostenuto lunghissime fatiche e grande morĂŹa, sembra un nulla al confronto di quello che al dire deglâistorici lucchesi ebbe a soffrire la loro patria dai fautori e dai soldati di Uguccione della Faggiuola. Seguitò la tragedia otto giorni continui, durante il qual periodo furono non solo saccheggiate e vilipese le cose dei privati, ma profanate e spogliate le chiese insieme col ricco tesoro che il Pontefice Clemente V vi aveva congregato; in fine a colmo di tanti mali si aggiunse un incendio desolatore, di cui restarono preda non solo 400 case, ma preziose suppellettili, e pubblici archivii, i quali, o furono espilati dagli uomini, o abbruciati e distrutti dalle fiamme.
In tal guisa Lucca fatta bottino dei ghibellini, con unâapparente formalitĂ legale dovè acclamare (13 luglio 1314) Uguccione in capitano generale del suo popolo, nel modo che lo era del pisano: e cosĂŹ lasciarsi governare ad arbitrio dei bianchi suoi fuoriusciti. I quali, ricattandosi con usura sopra i loro concittadini, e specialmente contro quelli che parevano piĂš cari al popolo, lĂŹ scacciarono tosto in patria, o gli spensero affatto con la vita. In tal guisa il capitano del popolo lucchese consolava i ghibellini toscani della morte di Arrigo di Lussemburgo; rendendosi sempre piĂš formidabile e piĂš spaventoso ai guelfi colui che, a sentimento di un eruditissimo scrittore della nostra etĂ , dal divino Alighieri fu simboleggiato nel Veltro allegorico, come il Messo di Dio, il quale uccidere doveva la rea donna, E quel gigante che con lei delinque.
(Purgatorio Cant. XXVIII) Ma giĂ della sciagura di Lucca, i Fiorentini dolenti, veduto il Faggiolano poggiarsi tantâalto per lâacquisto e lâassoluto dominio sopra due vicine repubbliche, si davano ogni premura di associare alle loro forze quelle dei Comuni di parte guelfa, sollecitando nel tempo stesso ajuti da Siena, da Bologna, da Perugia, da Gubbio e da Roberto re di Napoli.
Consapevole Uguccione di tali preparativi di guerra, si mise nel caso di validamente combatterli; sicchĂŠ dopo aver egli riunito insieme da 20,000 fanti, e 2500 cavalieri, con questi mosse verso la Val di Nievole per conquistare il castello di Montecatini; sennonchĂŠ dallâaltro lato era assai maggiore lâesercito della lega guelfa, messo insieme dai Fiorentini. In fine i due nemici, ai 29 agosto del 1315, scontraronsi nella valle sul piccolo torrente Borra , fiacco riparo a tanta ira. Al primo assalto le schiere della vanguardia comandata da Francesco figlio del Faggiolano penetrarono con tanto impeto nel campo dei Fiorentini, che quel potestĂ dei Lucchesi, ferito a morte, spirò in mezzo alla pugna; e giĂ gli assalitori indietreggiavano, quando accorse Uguccione con il nerbo della sua armata, i respinti rianimò, e piĂš caldi li ricondusse al cimento.
Allora fu che la giornata essendo divenuta campale, dai ghibellini si combattĂŠ con tale impeto, ardire e valore da portare dovunque la morte, lo scompiglio e il terrore. I primi capitani fra i guelfi rimasti estinti nella pugna furono, un fratello e un nipote del re Roberto; ed un grandissimo numero di nemici cacciati ed affogati rimasero nelle vicine paludi, talchĂŠ Firenze, Siena e molti paesi piansero i suoi prodi. Il lucchese Castruccio sino dâallora si fece conoscere per buon guerriero, avendo in questa giornata dato prove di coraggio e di militare perizia, nelle quali cose cotanto grandeggiò pochi anni dopo.
La vittoria pertanto di Montecatini fruttò a Uguccione non solo un piÚ sicuro dominio in Pisa, ma aprÏ a lui la strada per rendere totalmente ligia al suo volere la città di Lucca.
Infatti egli con piede sempre piĂš fermo vi prese a dominare, tostochĂŠ in luogo del testĂŠ estinto potestĂ di Lucca, elesse a succedergli lâaltro suo figliuolo Neri.
Trovavasi questi in uffizio quando, pochi mesi dopo la vittoria di Montecatini, occorse che Castruccio di suo arbitrio, o come altri vogliono, dâordine di Uguccione erasi recato con dei compagni nelle parti della Versilia e di Massa Lunense, ponendo a ruba il paese. Per la qual cosa appena tornato a Lucca Castruccio, accusato di furti e di uccisioni, fu carcerato e sommariamente condannato ad avere il capo reciso. GiĂ giĂ la scure stava per piombare sul collo del valoroso capitano, se il popolo lucchese non minacciava di levarsi a stormo; in guisa che intimorito il potestĂ , ne mandò tosto avviso al padre in Pisa. Si mosse quel capitano con le sue bande, ma pervenuto a metĂ del cammino fra Lucca e Pisa, ricevĂŠ avviso della repentina sollevazione dei Pisani, che le genti fedeli al Faggiuolano cacciarono di cittĂ . Nel mentre però Uguccione retrocedeva per riacquistare in Pisa il perduto dominio, i Lucchesi dal canto loro imitando lâesempio dei Pisani corsero a liberare Castruccio dalle catene e dalla morte, gridandolo tosto capitano del popolo. CosĂŹ Uguccione in un giorno medesimo (11 aprile 1316) videsi spogliato della signoria di due importanti cittĂ .
La popolare elezione di Castruccio in capitano generale e difensore della cittĂ di Lucca fu confermata per sei mesi dagli anziani e dal consiglio generale con atto solenne dei 12 giugno 1316. Ma innanzi che terminasse il semestre del concesso capitanato, Castruccio seppe cosĂŹ destramente operare, che dal senato e dal popolo lucchese, con deliberazione del 4 novembre dello stesso anno, fu confermato nella carica medesima, non solo per sei mesi, ma per un intiero anno; e prima che arrivasse la fine di questo secondo periodo fu proceduto a nuova elezione, nella quale venne deciso, che Castruccio, col titolo di Signore e Difensore della cittĂ e dello stato di Lucca , la repubblica ancora per dieci anni governasse. Finalmente, arrivato il 26 aprile dellâanno 1320, gli amici e fautori, con tacito consenso del capitano lucchese, operarono in guisa tale che il magistrato degli anziani, poi i capitani delle contrade, e finalmente il parlamento generale sulla piazza di S. Michele adunato, tutti concordemente proclamassero Castruccio Castracani in Dittatore della Repubblica a vita.
Quando si dovesse porre a confronto le qualitĂ e le azioni di due grandi uomini, proporzionando i tempi, le imprese, la forza dei mezzi e la grandezza della repubblica francese con la piccolezza della repubblica di Lucca, chi non riconoscerebbe in Castruccio il Napoleone del medio evo? Perciocchè lâAntelminelli per ascendente e per virtĂš militare fu uomo non solamente raro dei tempi suoi, ma ancor per molti di quelli che innanzi erano passati, e perchè lâarte strategica, la celeritĂ delle marcie e la destrezza nel campeggiare fu meglio conosciuta e trattata da lui che da ognâaltro capitano della sua etĂ , e fra tutti coloro che avevano da gran tempo indietro figurato in Italia. â Duole certamente che la sua patria, la sede delle sue glorie non abbia conservato monumento che valga a degnamente rammentarlo al passeggiero; e tanto piĂš ne duole, in quanto che nei pubblici archivii mancano memorie relative alle provvisioni sul reggimento civile, politico e militare nei dodici anni del suo glorioso governo in Lucca emanate. Parlarono bensĂŹ di lui tanto che basta gli scrittori; parlarono le opere sotto il di lui governo, sia dentro la capitale, sia nel suo territorio eseguite, specialmente di ponti, di strade, di rocche, di fortificazioni di vario genere; parlarono le deliberazioni dei Comuni a Lucca limitrofi, spaventati dal genio intraprendente di Castruccio, e dalle sue armi costernati, vinti, o sullâorlo di essere da quel fulmine di guerra domati.
Figurava capo del partito guelfo in Italia Roberto re di Napoli, il quale sino dal 1317 erasi intromesso per procurare pace fra i diversi popoli della Toscana. Infatti un trattato di pace fu conchiuso per opera sua in Napoli, li 12 maggio 1317, presenti gli ambasciatori delle varie cittĂ e terre di Toscana, ed una delle condizioni di pace fu quella, che tutti i prigioni fatti nella sconfitta di Montecatini fossero alle varie comunitĂ restituiti.
ColĂ rappresentò glâinteressi della cittĂ e Comune di Pistoja sua patria Andrea deâRossi, il quale un mese dopo, nella stessa qualitĂ dâambasciatore, e pel subietto medesimo, fu inviato con ser Mazzeo Guidi a Lucca. â Al chè ci richiama una lettera del potestĂ ed anziani lucchesi sotto dĂŹ 23 giugno 1317 diretta al conte Ugo da Battifolle, vicario regio di Pistoja, e gli anziani della stessa cittĂ per dir loro: che ai due soprannominati ambasciatori pistojesi eglino non potevano dare una risposta adeguata, stante lâassenza del capitano Castruccio, il quale ritrovavasi in quel momento ai Bagni di Corsena. â Vedere BAGNI DI LUCCA.
Con altra lettera scritta il giorno dopo da Castruccio, appena arrivato in Lucca; e diretta da questi al potestĂ , anziani, gonfaloniere e consiglio Comunale di Pistoja, gli avvisava: che egli aveva esternato le sue intenzioni ai reduci ambasciatori verbalmente sopra quello che credeva di sua convenienza.
Il padre Zaccaria, cui dobbiamo la pubblicazione delle due lettere estratte dallâarchivio della cittĂ di Pistoja, (Anecd. Pistor. M. Aevi pag. 95 e 96) non tralasciò di avvisare, che quella prima lettera, scritta dagli anziani in nome del Comune di Lucca, era sigillata con lâimpronta di un militare a cavallo che brandisce uno scudo nel braccio sinistro, (credo S. Martino) e intorno le parole â Sigillum Comunis Lucani; sigillo che ci rammenta quello donato alla cittĂ di Lucca dal Pontefice Alessandro II restauratore della cattedrale lucchese di S. Martino. â Il sigillo poi alla lettera di Castruccio raffigurava nella parte superiore un animale simile a un cane avente al di sotto uno scudo, e intorno al detto blasone le leggenda â S.
Castrucci Vicecomitis Lunensis.
Cotesta impronta, oltre di essere una conferma dellâarme gentilizia châebbe fino dâallora la casa degli Antelminelli Castracani, ci scuopre in Castruccio il grado di Visconte Lunense; di che sino dal 1317 egli era stato insignito da Gherardino Malaspina vescovo di Luni. â Per la qual causa, scrisse il biografo Tegrimo: Castruccio occupò in Lunigiana Fosdinovo e gli altri castelli di qua dalla Magra, cacciandone i marchesi Malaspina. NĂŠ contento di ciò, il capitano lucchese si avanzò con buon numero di armati fino a Pontremoli, al cui popolo, diviso in due fazioni, assegnava due giudici, uno rettore della parte guelfa, lâaltro della ghibellina, nel tempo stesso che faceva erigere una torre, chiamata tuttora Cacciaguerra, nel centro del borgo che divideva la terra in due contrade e in due governi. â Vedere PONTREMOLI.
Se dovessimo credere al testĂŠ nominato biografo, il dittatore di Lucca, benchĂŠ da tante guerre occupato, non lasciava di far decreti savissimi per il pubblico bene, affinchĂŠ sotto un dominio assoluto una qualche forma di libertĂ trasparisse; figurando, secondo il Tegrimo, che nulla di suo arbitrio negli affari politici trasparisse; quantunque dalla lettera degli anziani lucchesi, scritta nel 1317 al Comune di Pistoja, la faccenda in realtĂ tutta al contrario venga dimostrata.
Comunque sia, restano tuttora nellâarchivio di S. Frediano di Lucca due documenti, uno dei quali giova a far conoscere la pietĂ di Castruccio, lâaltro la giustizia che fu resa sotto il di lui governo per la restituzione di una parte del tesoro di S. Frediano di Lucca, espilato durante il saccheggio del giugno (ERRATA: 1814) 1314. Il primo documento è un atto rogato in Lucca li 7 aprile del 1321, col quale il priore dei canonici Lateranensi di S. Frediano, per la reverenza verso lâegregio uomo Castruccio Antelminelli signor di Lucca, volendo aderire alla di lui domanda, diede licenza alla priora e monache di S.
Martino di Gello, che allora dimoravano nella contrada di S. Leonardo in Capo di Borgo nella stessa parrocchia di S. Frediano, di poter far celebrare messe, dire i divini uffizii, sonare campane ec., e ciò a beneplacito di detto priore, senza pregiudizio però dei suoi privilegi parrocchiali.
Lâaltro documento consiste in varii contratti, riuniti in un libro membranaceo, soto li 19 novembre 1322; dai quali atti apparisce, che molti lucchesi avevano acquistato per proprio uso degli argenti, e altri oggetti preziosi, in una, o in altra guisa avuti, di quelli del tesoro della chiesa romana che era in serbo in S. Frediano di Lucca. I quali argenti o altro, a tenore delle decretali pontificie, furono dagli acquirenti per ordine del governo alla chiesa medesima restituiti.
Difatto Castruccio durante il suo dominio, nelle attribuzioni giuridiche, fu servato da un fedelissimo giureconsulto suo vicario, Ugolino da Celle, mentre per consiglieri di stato egli si giovava di uomini espertissimi nella politica, fra i quali un Lippo Garzoni da Pescia, un Luparo Lupari da Benabbio. CosĂŹ nelle cose di guerra ebbe al suo servizio valenti capitani presi da diverse contrade; tenendo Castruccio per massima: che non alla patria, o alla schiatta, ma alle virtĂš bisogna che i buoni principi abbiano lâocchio.
In quanto poi alla costituzione militare da Castruccio ordinata per fare di tutto il territorio, non che di Lucca, un esercito mobile pronto ad ogni occasione, egli ripartÏ lo stato in tante divisioni quante eralo le porte della città di Lucca, cioè, di S. Pietro, S. Donato, S. Grervasio, e S.
Frediano, ossia del Borgo; e ciascun villaggio, borgata o castello organizzò in compagnie sotto periti ufiziali e insegne proprie, con lâobbligo di esercitarle e star pronte a marciare al primo cenno. Per modo che circa venti ore dopo lâavviso dato, da un polo allâaltro della repubblica, dalla Val di Magra alla Val di Nievole, le milizie lucchesi comparivano, assalivano, e i piĂš muniti castelli conquistavano si presto e con tanta celeritĂ , che le aquile serventi dâinsegna alle castrucciane legioni sembravano ai nemici suoi che avessero le ali per volare.
Dopo tali ordinamenti, dopo assicurato un costante potere, Castruccio alzò i suoi pensieri a cose maggiori, tendenti niente meno che a far crollare forti città costituite a repubblica, le quali per principii e per natura di governo dovevano essere naturalmente sue avversarie.
Ad effetto pertanto di abbattere la piĂš potente di tutte, Firenze, senza esitanza e rispetto ai patti giurati, dirigeva bene spesso il nerbo maggiore delle sue forze, ora in Val dâArno, ora in Val di Nievole per insignorirsi dâimportanti terre e castella, e finalmente per conquistare Pistoja; la quale cittĂ , dopo la pace del 1317, tenevasi dalla parte guelfa sotto il patrocinio del re Roberto e della Signoria di Firenze. Tanto fece Castruccio coi suoi maneggi, e tanto con le sue armi operò, che i Pistojesi trovaronsi costretti, nel maggio dellâanno 1322, a riconoscere il capitano lucchese in loro protettore, salva la libertĂ del paese.
Nel frattempo che Castruccio dimorava nella sua capitale, fece innalzare unâopera colossale per servire di vasta cittadella, nella quale rinchiuse, oltre il suo palazzo, arsenali dâarmi, caserme, chiese, conventi, abitazioni private e intiere strade, in guisa che a cotesta piccola cittĂ , circondata dal secondo recinto delle mura, fu dato il nome confacente di Augusta , quasi per rammentare essere dessa unâimpresa degna dei Cesari.
Non contento di aver tolto dalle mani dei guelfi il governo di Pistoja, volle Castruccio tentare, sebbene senza effetto, di fare lo stesso verso la terra di Prato, sperando divenirne padrone. Nè un miglior successo egli ottenne dal lato di Pisa, città allora governata dal conte Ranieri della Gherardesca, col quale il dittatore lucchese era già alleato.
Ma siccome per esso ogni modo, purchÊ fosse utile, era buono, trattò segretamente di toglier di vita quel signore, e poscia di far gridare il proprio nome per le vie della città . Ma la congiura venne agli orecchi della Gherardesca, che pagò del meritato guiderdone i congiurati, mettendo altresÏ una taglia grossissima sulla testa di Castruccio.
Frattanto che il signor di Lucca da un lato tentava per forza o per astuzia di soggiogare Pistoja, Pisa e Firenze, dallâaltro canto dava compimento alle ambiziose sue mire col rendere ereditario nella sua famiglia il supremo potere, coi mezzi altre volte adoprati. Fu colto il momento, in cui il capitan generale era nellâatto di partire con lâesercito per proseguire la guerra contro i Fiorentini nelle parti di Pistoja, onde per qualunque caso di novitĂ , o di accidente, essendo dubbiosi gli eventi di guerra, ed anche allâoggetto di ricompensare il valore e le opere egregie del capitano a favore della patria, venne insinuato nel popolo e nei magistrati di Lucca il modo di eleggere Enrico figlio primogenito di Castruccio in compagno del padre nella signoria della patria, a vita. La qual proposizione, ai 18 giugno del 1325, per voto unanime degli anziani, dei collegi e del popolo lucchese fu convertita in legge fondamentale.
Per tali mezzi lâAntelminelli affaticavasi per manifesta guerra, o per vie secrete di far sempre maggiore la sua grandezza. Ma i Fiorentini che vedevano un giorno piĂš dellâaltro mal sicuro il loro stato a contatto di un nemico, il quale correva a gran passi alla conquista di tutta la Toscana, si diedero ad accumulare quante maggiori forze poterono con stipendiare compagnie di borgogni e di catalani, e con cercare soccorsi ai loro amici a Bologna, a Siena e presso tutti i popoli della lega guelfa toscana.
DondechĂŠ, appena essi poterono riunire una buona armata, la mossero verso Pistoja, e in Val di Nievole fino allâAltopascio. CostĂ accadde, nel settembre del 1325, il terribile scontro fra lâoste fiorentina e la lucchese; costĂ fu il celebre campo di battaglia, nel quale Castruccio fece prodigii di valore, e dove diĂŠ le piĂš evidenti prove della sua perizia nellâarte della guerra. La battaglia dellâAltopascio fu pei Lucchesi gloriosa e completa.
Pochi dei nemici che avanzarono allâeccidio poterono scampare dalle mani del vincitori; e si raccontò, che infino a 15,000 ascendesse il numero dei prigioni, tra i quali il generale in capo dellâesercito fiorentino, e moltissimi personaggi cospicui di Firenze e di altre cittĂ della Toscana, dellâItalia, e per fino di oltremonti.
Per non dar tempo al governo fiorentino di riparare in si terribile frangente allâimmenso danno, Castruccio si avanzò tosto con le sue genti fino alle mura di Firenze, guastando e depredando tutto il contado compreso i subborghi della cittĂ .
Quindi onusto di preda, e provvisto di un buon numero di prigioni, egli diresse nuovamente lâesercito al campo delle sue glorie, allâAltopascio.
GiĂ lâeroe lucchese nel giorno di tanta vittoria aveva seco stesso determinato di offrire alla patria uno spettacolo grande, inusitato e non mai piĂš visto in alcuna cittĂ , meno che in Roma, allora quando quel senato decretava lâonor del trionfo ai consoli e proconsoli vincitori di qualche provincia, o di un barbaro regno.
Divulgossi per la Toscana il programma di simil feste trionfale; e affinchè gli stessi nemici ne fossero spettatori, Castruccio concedeva per quei giorni salvo condotto a tutti coloro che a Lucca desiderassero concorrere.
Il giorno di S. Martino, festa titolare della chiesa cattedrale Lucchese, il dĂŹ 11 novembre del 1325, fu per Lucca memorando; poichĂŠ in detto giorno seguĂŹ il pomposo ingresso dei vincitori con le prede e i vinti prigioni: trionfo da molti istorici minutamente descritto, e reso anco piĂš solenne da molti atti di beneficenza e magnanimitĂ del trionfatore.
Seguitarono dopo di ciò le scorrerie delle masnade lucchesi in tutto il Val dâArno sino alle porte di Firenze, finchĂŠ la parte guelfa della Toscana, il papa e il re di Napoli, capi di quel partito, risolverono di fare tutti gli sforzi per arrestare tanto impeto del capitano lucchese, e frenare la sua baldanza, cui dava un maggiore impulso lâamicizia di Lodovico il Bavaro giunto in Italia.
GiĂ Castruccio decorato del grado eminente di senatore di Roma, si godeva nellâalma cittĂ dei migliori onori nei giorni che succederono alla festa dellâincoronazione del nominato imperatore, quando gli arrivò la novella che ai 28 gennajo del 1328 fu improvvisamente dai Fiorentini assalita e tolta dalle mani dei Lucchesi la cittĂ di Pistoja.
Contristato da tale annunzio, Castruccio lasciò bentosto Cesare e Roma, e di lĂ avviatosi per le maremme con poche delle sue genti, passando da Pisa, senza rispetto alcuno al nuovo Augusto, nè al di lui vicario, cominciò a farla da padrone, ponendo tasse ai Pisani e manomettendo le pubbliche casse affine di accrescer modi di riconquistare Pistoja. CosicchĂŠ di lĂ recatosi nella sua capitale, in pochi mesi fu in grado di marciare alla testa di numerose forze per espugnare la perduta cittĂ . RiescĂŹ Castruccio con la sua tattica allâintento desiderato (3 agosto 1328); se non che le molte fatiche che egli ebbe a sostenere nel lungo assedio sotto Pistoja, fruttarongli una febbre che in pochi dĂŹ lo tolse dai vivi.
Mancò questâuomo straordinario il dĂŹ 3 settembre del 1328, nellâanno 47° della sua etĂ , col lasciare di sĂŠ tale opinione, che se non gli fosse stata cosĂŹ breve la vita, egli sarebbe pervenuto a signoreggiare gran parte dâItalia, non che della intiera Toscana.
Castruccio morĂŹ qual visse, cioè, da uomo forte; e conservò fino allâestremo suo respiro tranquillitĂ di spirito, cosicchĂŠ potĂŠ dare un ultimo saggio del suo senno, come profondo conoscitore delle cose umane. Che sebbene egli fosse piĂš prode capitano, che dotto legislatore, ciò non ostante morendo previde, e predisse quanto pur troppo, mancato lui, accadde di Lucca e della sua vasta signoria.
Fra le opere superstiti che rammentino il governo di Castruccio, oltre la cittadella dellâAugusta, alla costruzione della quale sâimpiegarono i materiali di undici grandi torre e molti casamenti pubblici e privati, fu opera dellâAntelminelli la spaziosa strada che dalla porta della cittĂ guida al ponte S. Pietro sul Serchio, la strada e il ponte di Squarciabocconi sulla Pescia di Collodi, la strada costruita alla marina lucchese da Montramito a Viareggio, la nuova torre in questâultimo luogo, oltre diversi ponti costruiti o restaurati sopra i fiumi Serchio e Lima, senza dire di molte rocche, torri e fortezze sparse in vari punti del dominio lucchese.
LUCCA NEL SECONDO PERIODO DELLA REPUBBLICA SINO ALLA CACCIATA DEL GUINIGI Pur troppo si trova vero quel detto dellâAlighieri che, rade volte discende per li rami la prudenza ed il valore, nĂŠ si scambia un basso in unâeminentissimo stato da chi in se stesso non ha gli elementi di quella grandezza, cui per proprio impulso, piĂš che per casi fortuiti, ordinatamente suol pervenire.
Enrico figlio primogenito di Castruccio, ricco delle gloriose doti paterne, con tutti i saggi avvertimenti ascoltati da lui moribondo, fu riconosciuto piĂš per gratitudine del popolo verso il gran capitano che per i meriti proprii in signore di Lucca e degli altri stati acquistati dal padre. Ma Lodovico il Bavaro, per un tratto dâingratitudine, o per vendicarsi di Castruccio, perchĂŠ dopo la sua partita da Roma tolsegli Pisa, mentre la cittĂ era quieta, prendendola per sua: lâimperatore Lodovico, io diceva, poco si stette a spogliare lâerede del gran capitano degli stati di Lucca, di Lunigiana, di Pistoja e di Garfagnana, figurando di rimettere i Lucchesi allâantico regime repubblicano, mediante però lo sborso di una vistosa somma di denaro.
Ma ben presto si scuoprĂŹ, come la promessa libertĂ fosse un vano nome; conciossiachĂŠ tutto il reggimento della repubblica fu ridutto nellâarbitrio di un vicario imperiale; e ciò sino a che le milizie tedesche, lasciate dal Bavaro senza il soldo reclamato, sâimpadronirono di Lucca per venderla al maggior offerente. â Primi a comparire furono i Fiorentini, i quali sullo stringere del negozio, per dubbio di esser burlati, non vollero rischiare di perdere 80,000 fiorini. Vennero di poi i Pisani a presentar la loro offerta di 60,000 fiorini; ma dopo avere questi consegnato ai venditori 15,000 fiorini di caparra, non ebbero Lucca, nè riebbero il loro denaro: avverandosi per tal guisa il caso previsto dai Fiorentini; ai quali per due volte, ma sempre invano, venne riofferta la ballottata cittĂ . Giunse in questo mezzo a Lucca un ricco genovese, Gherardino Spinola, e questi per istrumento dei 2 settembre 1329, si obbligò di pagare 60,000 fiorini ai soldati di Cesare, sborsandone 20,000 nellâatto del contratto e 40,000 da darsi nel mese di ottobre successivo. Per questâultima somma però, presa a cambio da quattro signori di Genova, dovette loro prestare garanzia il Comune di Lucca, in guisa che i Signori di Lucca per liberarsi da un governo militare, concorsero con la loro mallevadoria nel vendere ad un ghibellino genovese la propria libertĂ .
I Fiorentini però indispettiti del concluso trattato, e forse pentiti della non fatta compra, incominciarono dal togliere al nuovo signore di Lucca una parte dei paesi stati da Castruccio nel pistojese e in Val di Nievole conquistati; dopo di che essi diressero una numerosa oste sotto le mura di Lucca con ordine al condottiero di strettamente assediarla.
Allora fu che i Lucchesi, avuto il consenso dello Spinola, inviarono ambasciatori a Giovanni re di Boemia in Lombardia, per offrirgli il dominio della loro patria, purchĂŠ egli sollecitamente inviasse forze sufficienti a liberarli dallâassedio deâFiorentini.
Venne in tempo il soccorso desiderato, sicchĂŠ non solamente lâoste fu costretta a lasciare la desiderata preda, ma lo stesso Spinola ebbe a rinunziare la mal compra signoria di Lucca al re boemo, che dichiarò sua questa cittĂ . Per la qual cosa gli assedianti ebbero a ritirarsi dentro ai confini del loro territorio, mentre il genovese, divenuto gioco del piĂš forte, senza speranza di rimborso fu costretto a partirsene dal paese comprato, dove appena 18 mesi aveva comandato.
A consolidarsi il dominio di Lucca e del suo territorio, il re Giovanni ordinò che gli anziani, il popolo e gli uomini di ciascuna comunitĂ lucchese, dichiarassero legalmente sudditanza al re boemo. â Fu veramente obbligante il metodo ordinato per fare che tutti aderissero alla volontĂ del re, e cosĂŹ per amore o per forza promettere a lui servitĂš. Conciossiachè lâordine sovrano diceva: che i giurati soltanto avrebbero goduto della protezione reale, e che, chi avesse ricusato di giurare, verrebbe privato del diritto di cittadino, e nelle cause civili non ascoltato. Dai registri che tuttora esistono nellâarchivio di Stato si rileva, che il dominio lucchese allora consisteva in 9 vicarie, con 288 comunelli, compresi quelli suburbani, e alcuni altri popoli situati sulla riva sinistra dellâArno, oppure di quelli appartenuti al territorio pistojese.
Gli ordini della magistratura furono i soliti anche durante i trambusti; cioè, anziani, consiglio maggiore, e consiglio generale; ma il potere di tanti uffiziali civili rendevasi affatto illusorio: tostochĂŠ niuno di quei magistrati si poteva legalmente adunare senza lâautoritĂ regia, e quando piaceva al magnifico vicario, ossia luogotenente pel re Giovanni.
Le cose camminarono tranquille per quasi due anni sino allâarrivo in Lucca di Carlo figlio del re (gennajo 1333), il quale fu accolto con dimostrazioni di sincero affetto.
Presto però alla festevole accoglienza venne dietro una regia domanda di 40,000 fiorini dâoro.
Quindi per trarre dalle borse dei Lucchesi facilmente nuovi danari, lo stesso re Giovanni, nel dĂŹ 9 agosto dellâanno medesimo, passando per Lucca, sottoscrisse alcuni articoli tendenti a moderare costĂ lâautoritĂ regia, a determinare le gravezze, a far osservare le leggi municipali nelle cause civili e criminali, promettendo perfino di non cedere a chicchessia alcun castello, terra, o altro paese fra quelli del territorio e giurisdizione di Lucca.
Pure con atto tanto solenne il figlio e il padre altro non avevano in mira che di mungere meglio e piĂš delicatamente i buoni Lucchesi. Nè passò gran tempo in mezzo prima che si manifestasse cotesta politica; perciocchĂŠ, ai 17 dello stesso mese ed anno, il figlio del re Giovanni diè fuori in Parma un privilegio, col quale conferĂŹ a un anziano di Lucca, Vanni del fu Jacopo Forteguerra, il castello di Cotrosso nel piviere di Brancoli, togliendolo alla repubblica. â Vedere COTROSSO.
Per egual modo il re padre di lui passando di Lucca, ai 5 ottobre del 1333, invece di restituire al Comune la promessa vicaria di Coreglia, che aveva tolto a un Castracani dei Falabrini, la conferĂŹ con titolo di contea a un altro Castracani del ramo degli Antelminelli. â Vedere COREGLIA.
In quel suddetto giorno, 5 ottobre 13333, il re Giovanni diresse a Marsilio deâRossi di Parma, suo vicario in Lucca, lâordine di sospendere lâesecuzione di alcune concessioni e grazie individualmente dallo stesso re e dal figlio di lui accordate; lochĂŠ dal regio vicario fu fedelmente eseguito. â (CIANELLI, Memor. Lucch. T. I).
Mentre si facevano queste cose dal re boemo, mentre figurava in Lucca come suo rappresentante Marsilio deâRossi, il re medesimo nello stesso mese ed anno impegnava a Orlando deâRossi suo vicario, e ai di lui fratelli la cittĂ Lucca con tutto il distretto per la somma di 35,000 fiorini.
Per altro non poterono i nuovi signori possedere Lucca per lungo tempo, obbligati per indegne vie di doverla cedere (1 novembre 1335) a Mastino della Scala tiranno di Verona, che restituĂŹ ai Rossi i 35,000 fiorini dâoro pagati per lâacquisto di tutto lo stato lucchese. Finalmente lo Scaligero, dopo avere signoreggiato in Lucca quasi per un lustro, nel luglio del 1340, la vendĂŠ per 180,000 fiorini dâoro a quei Fiorentini che undici anni innanzi sâerano lasciata sfuggire dalle mani per una somma di gran lunga minore.
Non fu pertanto senza nuovi sacrifizii, e senza dover fare una penosa anticamera che i Fiorentini dopo tre mesi entrarono in Lucca. AvvegnachĂŠ i Pisani ingelositi per detto acquisto, corsero armati ad assediare la venduta cittĂ per impedire che vi entrassero gli acquirenti nuovi. RiescĂŹ frattanto a questi ultimi dâaccordo con i governanti di Lucca di forzare il campo pisano e poter introdurre pochi Fiorentini a prenderne possesso. Fuvvi tra questi, ai 25 settembre del 1341, Giovanni deâMedici, venuto in qualitĂ di luogotenente del Comune di Firenze. Egli incominciò ad esercitare la sua carica nellâultimo giorno di quel mese medesimo di settembre col ricevere dal senato degli anziani lucchesi il giuramento di obbedienza alla Repubblica fiorentina.
Non si avvilirono per questo i Pisani, emuli egualmente del popolo comprante che del comprato; sicchĂŠ, stringendo ognor piĂš lâassedio intorno a Lucca, tanto fecero che costrinsero i Fiorentini per mancanza di vettovaglie a capitolare (4 luglio 1342) e cedere quasi intatta ai Pisani la costosa preda.
A volontà di questi novelli malvisti padroni, e della increscevole dominazione pisana, Lucca dovette soffrire quel misero stato, che fu da essi distinto col brutto vocabolo di servitÚ babilonica; la qual servitÚ continuò per il lungo periodo di 27 anni.
Giunse finalmente il 1369, anno fortunato per i Lucchesi, perchĂŠ i loro lamenti resi piĂš sensibili dalla magia dellâoro, poterono indurre lâImperatore Carlo IV a liberare Lucca dalla soggezione dei Pisani, concedendo ai primi un diploma emanato nel dĂŹ 8 aprile del 1369; nel qual giorno cadde in detto anno la prima domenica dopo Pasqua. Al qual diploma si sottoscrissero fra i piĂš cospicui personaggi il Cardinale Guido vescovo di Porto consanguineo di Carlo IV e suo vicario in Toscana, i Vescovi di Spira, di Lucca, di Treviri, di Spoleto e, fra i primi nobili della corte imperiale, lo spettabile conte Francesco degli Albertini di Prato.
A memoria perpetua di tale liberazione i Lucchesi edificarono nella loro cattedrale una cappella con lâaltare, che tuttora porta il nome della LibertĂ (Ara Deo Liberatori); dove da quellâepoca in poi, nella domenica in Albis, i magistrati e il popolo di Lucca con processioni e divini ufizj concorsero, e finchĂŠ durò la repubblica, annualmente ripeterono.
Non ostante la libertĂ come fu concessa (ERRATA: da Carlo V) da Carlo IV ai Lucchesi, sarebbe rimasta inceppata e subalterna agli ordini del vicario imperiale, qualora questi, stimolato dal senato e caldamente officiato dai Fiorentini, previo lo sborso di 125,000 fiorini dâoro e lâassenso di Augusto, non rinunziava, come fece per atto pubblico (ERRATA: febbrajo 1276) (febbrajo 1376), il suo potere trasfondendolo nel corpo degli anziani, e dichiarando questi vicarii perpetui di Cesare.
Per tal guisa Lucca ricuperò dopo 56 anni quella libertĂ che aveva perduta, ora per opera di estranei, una volta tolta da un suo cittadino, e piĂš spesso dallâambizione dei principi o per gelosia di repubbliche sue vicine menomata. â Una delle prime operazioni dei reggitori della risorta repubblica lucchese fu quella di riorganizzare il governo mediante una nuova costituzione; per la qual opera si presero quasi a modello le istituzioni del governo fiorentino giĂ ritornato dei Lucchesi sinceramente amico.
In vista di ciò, in quanto al compartimento territoriale dello stato, venne esso diviso, come lo è attualmente, in vicarie; ma per rapporto allâinterno della cittĂ , fu questa ripartita in tre terzieri; dandogli il nome di alcune loro chiese; cioè di terzieri di S. Paolino, di S. Salvadore e di S. Martino.
Il primo magistrato della repubblica, ossia degli anziani, si compose di dieci cittadini, quattro nel primo terziere, e tre per ciascuno degli altri due, e cosĂŹ a vicenda; sicchĂŠ fra i dieci si eleggeva un capo, cui fu dato il titolo di Gonfaloniere di giustizia, con lâobbligo a tutti gli anziani di risedere stabilmente in palazzo nel tempo del loro uffizio, fissato a due mesi. A pubblica difesa furono istituiti 12 compagnie o gonfaloni, quattro per terziere: e ciascuno gonfaloniere di compagnia aveva sotto di se quattro pennonieri. Invece del consiglio del popolo, giĂ composto di 50 individui, se ne formò uno di soli 26, il quale unitamente ai gonfalonieri di compagnia e alla Signoria, ossia al magistrato degli anziani, e a tutti gli altri consiglieri, che eleggevansi per ischede dai due corpi prenominati, costituirono, dopo le riforme del 1369, i primi poteri. Finalmente il consiglio generale fu composto, non giĂ di 73, come scrisse il Macchiavelli, ma di 180 cittadini, 60 per ciascun Terziere. Sopra questi tre corpi: vale a dire, di anziani, consiglio di credenza, e consiglio generale, si aggirò dopo il 1369 tutto il pondo della repubblica. Per quello che spetta alle attribuzioni governative di ciascuno dei tre corpi testè accennati, ciascuno potrĂ saperle dal Sommario delle cose di Lucca scritto dal Macchiavelli, o dalle Memorie lucchesi del Cianelli T. II, Dissertazione VII.
GioverĂ bensĂŹ avvertire, che al suddetto anno 1369, lo stato lucchese componevasi di undici vicarie, tra le quali le vicarie di Massa Lunense, e di Camporgiano. In tutto 277 comuni, fra i quali i suburbani.
Una delle prime misure del nuovo governo repubblicano lucchese, fu il decreto del 3 aprile 1370, che comparve alla luce in occasione della festa della LibertĂ , per dar facoltĂ al popolo di demolire lâantica bastiglia. Detto, e fatto; la vasta cittadella dellâAugusta, lâopera piĂš grandiosa che lasciasse Castruccio, il suo castello, le reggia, lâemblema insomma della passata schiavitĂš, tutto, comprese le torri che la circondavano, fu con grande ardore dalla massa del popolo gettato a terra, demolito, e anichilato in guisa da non saper quasi piĂš il luogo dovâera lâAugusta.
Ă fama bensĂŹ, che le macerie di quel disfacimento sâimpiegassero nella costruzione di due antiporti alle porte di S. Pietro e S. Donato, come pure alla fabbricazione e ingrandimento di varie chiese dentro la cittĂ .
Distrutte tali memorie di sofferta servitĂš, i lucchesi magistrati dieronsi ogni cura per conservare la riacquistata libertĂ . Al qual oggetto fu creato un consiglio (5 agosto 1370) di 18 cittadini, cui fu dato il nome di conservatori della pubblica sicurezza , ridotti piĂš tardi (18 ottobre 1375) al numero di 12 con titolo di conservatori della libertĂ ; finchĂŠ questi, nel 1385, cambiaronsi nel magistrato dei commissarii del Palazzo . â Mentre provvedevasi a tutto ciò, compilavansi gli statuti del 1372, nel cui proemio fu rammentato quello dato ai Pisani nel 1342, come il frutto della tirannide, e perciò incompatibile col nuovo ordine di cose.
Infatti lo statuto lucchese del 1372, con alcune addizioni del 1381, e 1392 porta una forma piĂš regolare di tutti quelli anteriormente conosciuti; cioè, del 1308, 1331 e 1342; poichĂŠ il primo libro contiene la costituzione della repubblica, ossia de Regimine; il secondo libro verte sul codice e procedura criminale; il terzo appartiene al gius privato e alla procedura civile; ed il quarto tiene luogo de statuti delle diverse curie di sopra rammentate; le quali curie di tribunali speciali per tal effetto cessarono dalle loro funzioni. Oltre i quattro libri qui rammentati, sonovi le aggiunte degli anni 1382 e 1392, e quelle dellâultimo anno del secolo XIV, state dal senato lucchese ordinate.
Però lâerudito Sig. Girolamo Tommasi, attuale archivista di Stato, è riuscito a verificare sui libri delle riformagioni della repubblica, che lo statuto de Regimine redatto sulla fine del secolo XIV, appena messo in vigore, fu abrogato con provvisione dei 18 giugno 1400; per modo che tornossi ad osservare lâantecedente del 1372.
Fra le rubriche riportate nello statuto testè menzionato, fuvvi quella di escludere quasi affatto dalla carica di anziani diverse casate di nobili lucchesi, e tra queste gli Obizi, i Salamoncelli , i Quartigiani, i del Poggio , e tutti gli Antelminelli; in guisa che piĂš dâuno per volta di quelle casate non poteva essere eletto anziano, e ogni due anni solamente uno per agnazione, fra le famiglie designate, acquistava il diritto di sedere gonfaloniere. Tali precauzioni furono dettate a cagione dei tentativi delle designate famiglie, che piĂš volte contro la quiete pubblica palesaronsi a danno della patria libertĂ .
Con queste disposizioni dirette al ben pubblico si era sistemato il governo di Lucca dopo la sua liberazione dai Pisani. Cotesti provvedimenti però, nella serie degli anni che succedettero non ebbero quel felice successo che sembrava doverne conseguire; sia per le pestilenze che, nel 1371 e 1373, afflissero la città e il contado; sia per le militari compagnie di masnadieri di varie nazioni, le quali infestarono la Toscana, e, specialmente nel 1380, recarono aggravio sommo e rovine allo stato di Lucca; sia finalmente per le intestine civili discordie che tolsero alla repubblica la quiete desiderata.
Sono troppo palesi nella istoria lucchese per non ridire tante perniciose discordie che, sul finire del secolo XIV, in special modo si accesero fra alcune famiglie potenti di Lucca; solamente dirò, che dopo replicate agitazioni e congiure terminò la tragica scena con la morte di Bartolommeo Forteguerra e poscia di Lazzero Guinigi, capi entrambi di due contrarie fazioni, in mezzo alle quali potĂŠ farsi innanzi Paolo Guinigi tantochĂŠ, per intrigo e piĂš di tutti del Ser Cambi, nellâottobre del 1400, venne gridato per Lucca in capitano del popolo.
Primo pensiero del Guinigi fu quello dâinviare unâonorevole ambasciata per notificare il suo esaltamento al duca di Milano, e cercare la continuazione della benevolenza di lui. Allâistante Paolo nulla cambiò negli ordini dello stato, lasciando che gli anziani dellâultimo bimestre di quellâanno entrassero in carica, e dimorando con essi loro in palazzo. Questo modo modesto fece di prima giunta reputare il Guinigi uomo da poco e facile da opprimersi; per lo che alcuni congiurandogli contro tentarono di levarlo proditoriamente dal mondo.
La trama fu scoperta, ma un solo deâcongiurati pagò la pena con la vita, gli altri con lâesilio o un poco di prigionia.
Ma da cotesto primo tentativo Paolo seppe trarre opportunamente quel partito che dalle congiure sventate i grandi insidiati sogliono rivolgere in loro profitto. Egli infatti crebbe in potenza, in guisa che domandò imperiosamente al magistrato di balĂŹa di essere nominato in signore assoluto di Lucca. Niuno osando contradirgli, Paolo diede principio ad un governo assoluto quasi un mese dopo essere stato acclamato difensore del popolo, collâabolire il senato degli anziani ed ogni celebrazione di comizii consueti ad adunarsi per lâelezione dei collegi; alla mancanza delle quali magistrature egli fece supplire in qualche modo da un vicario e da un consiglio di stato di sua elezione.
ComecchĂŠ altri passi fatti dal Guinigi fossero quelli di rimettere in patria un buon numero di esuli politici mediante lo sborso di una data somma di danaro, e collâottenere dal Pontefice Benedetto XII lâassoluzione delle censure ecclesiastiche che gravavano sui Lucchesi sino dai tempi di Castruccio, per cagione di Lodovico il Bavaro: con tutto ciò, conoscendo egli di avere in casa e fuori assai nemici, pensò alla propria sicurezza; sicchĂŠ, imitando per questo lato il suo antecessore Castruccio, ordinò che sâinnalzasse con sollecitudine dentro le mura e a scirocco della cittĂ (dal maggio allâottobre del 1401,) un fortilizio nel quartiere che porta tuttora il nome di Cittadella .
Poco per altro è da dire del governo di Paolo Guinigi, sebbene da assoluto signore per 30 anni dominasse nella patria. Imperrochè, qualora si accettuino le misure prese per provvedere ai casi di carestia, per incoraggire le prime sorgenti della ricchezza nazionale, sia allorchĂŠ esentò per dieci anni dalle pubbliche gravezze coloro che venivano dallâestero a coltivare il suolo lucchese, sia col promuovere la coltivazione, per cotesta contrada preziosa, del castagno; sia col purgare il paese dagli oziosi e vagabondi; sia finalmente quando egli proibĂŹ lâespatriazione dei lavoranti di seta; ad eccezione di tali e di poche altre misure governative il regime assoluto di Paolo Guinigi fu simile a quello che i politici appellerebbero oggidĂŹ del giusto mezzo . DondechĂŠ tutto il di lui studio consisteva nel cercare di far buon viso per essere amato dai suoi e per non inimicarsi i governi esteri, mancando al tiranno lucchese la forza per farsi da quelli temere e da questi rispettare.
Se da un lato vi furono encomiatori di un uomo di tal fatta, che lodarono fino alle stelle la sua bontĂ di cuore e le dolci maniere, vi furono altresĂŹ molti che, contemplando il carattere e il governo sostenuto per un trentennio dal Guinigi, trovarono il primo debole, di contegno sempre sospettoso, in tutti i casi perplesso, costantemente dappoco; e paragonarono il secondo a un lungo sonno disturbato da continue paure, le quali finalmente si convertirono per il governatore e per i governati in mali evidentissimi.
Dal suo carteggio epistolare, dal contenuto delle sue ambascierie, dalle risposte ai reclami delle varie potenze, trasparisce anche meglio la nullitĂ di questâusurpatore, collocato sul seggio della signoria di Lucca piĂš per lâastuzia degli aderenti, che pei meriti suoi. âQuesta debolezza di carattere (concludeva lo storico Mazzarosa) serviva di per se stessa a render molto probabili i sospetti, che i nemici destramente sâingegnarono spargere su di lui, col fine di perderlo; ed esso poi venne a confermarli in qualche modo con la sua avarizia; difetto che infine lo aveva acciecato. Insomma Paolo Guinigi sarebbe stato degno di regnare per le qualitĂ del cuore, ma difettava di quelle dello spirito.â Il carattere di Paolo si adattava piĂš che altro a intromettersi mediatore in qualche accordo fra principi e repubbliche; ed egli ne adempĂŹ le parti in varie circostanze. Rammentò fra le altre quella del 1413, allorchĂŠ con soddisfazione delle parti ripianò fra il governo di Genova e Firenze ogni difficoltĂ rapporto allâacquisto di Livorno, con una trattativa conclusa in Lucca nellâanno medesimo. â Vedere LIVORNO.
Non solo da mediatore, ma anche da politico qualche volta il Guinigi volle figurare tra due potenze nemiche.
Tale ce lo rappresenta una risposta data alla Signoria di Firenze dal vecchio Cosimo dei Medici, il quale sino dal 20 di maggio del 1423 fu inviato ambasciatore straordinario al magnifico Paolo Guinigi Signor di Lucca, per notificargli lâostile procedere del duca di Milano contro il trattato di pace verso lâOrdelaffi di ForlĂŹ, deâFiorentini raccomandato; nel tempo stesso che la Signoria di Firenze insinuava al Guinigi di essere propenso verso la repubblica fiorentina, piuttosto che lasciarsi aggirare dal duca di Milano. (AMMIRAT. Istor.
fior. Lib. XVIII e ARCHIV. delle RIFORMAZIONI di FIRENZE.) FinchĂŠ un complesso di fortunate circostanze favorĂŹ il sistema del giusto mezzo, Guinigi potĂŠ riescire a trarsi dâimpaccio in varie emergenze politiche assai delicate; ma alla lunga è ben difficile ad un principe, seppur non è per se stesso fortissimo, lo starsi di mezzo tra due contendenti di maggiori forze delle sue, mentre non solo non può guadagnare da alcuna parte, ma rischia fortemente di cader vittima di uno dei due rivali; e questo alla fine del gioco accadde al Guinigi.
Allarmati i Fiorentini dal vedere Filippo Maria Visconti, ora sotto uno, ora sotto altro pretesto, inviare le sue genti in Ro magna, in Lunigiana e impacciarsi assai delle cose di Toscana e di Bologna, dopo essersi impadronito di Genova, finalmente la Signoria si decise alla guerra, e cercò al Guinigi un qualche ajuto nel tempo che a lui faceva una simil domanda il duca milanese. Sulle prime il signor di Lucca si schermĂŹ con lâuna e con lâaltro, ma alla fine stretto dalle istanze del Visconti, spedĂŹ in di lui soccorso in Lombardia 700 uomini a cavallo sotto la condotta del figlio. Cotesto procedere offese i Fiorentini, tanto piĂš in quanto che, col pretesto di voler essere il riconciliatore fra le due potenze, Guinigi aveva ricusato lâofferta di unâalleanza offensiva. Ciò bastò alla Signoria di Firenze per vendicarsi con Paolo alla prima occasione, e questa venne, allorchĂŠ nellâaprile del 1428 fu conclusa in Ferrara la pace fra il Visconti e i Fiorentini, compresi gli aderenti delle parti belligeranti, senza però rammentare il signor di Lucca. NĂŠ per questa sola misura impolitica fia da addebitarsi il dominatore di Lucca, mentre altre molte concorsero a perderlo, fra le quali è da dire quella usata verso due potenti lucchesi lasciati in stato di nuocergli dopo essere stati convinti di congiura.
Al qual fuoco aggiugevanâesca piĂš essenziali dissapori per conto di confini territoriali; dondechĂŠ, ai 15 dicembre del 1429, fu decretata la guerra dalla Signoria e dal popolo di Firenze al governo di Lucca, e tosto furono in campagna e sotto le mura di questa cittĂ 16000 uomini dellâoste fiorentina. â Visto però il Guinigi sollecito a procurare la difesa di Lucca, forse per non aver forze sufficienti da contrapporre in campo aperto, i commissari di guerra fiorentini ordinarono i preparativi per i lavori di assedio. Aveva incontrato favore lâopinione del celebre architetto Brunelleschi, che spacciava per sicura la presa di Lucca, voltandogli contro il Serchio; e non ostante che Neri Capponi, uno dei dieci della guerra, vi parlasse contro, si lavorò indifessamente dagli assedianti piĂš di due mesi a fare un fosso assai profondo dal letto del fiume verso la cittĂ . Si cercò anche di rattenere lâacqua nel letto del Serchio inferiormente allâimboccatura del fosso per averne in maggior copia nel giorno destinato allâinnondazione della cittĂ assediata.
Ma i Lucchesi piĂš pratici dei dotti, e dei forestieri architetti nelle cose di casa, non erano stati dal canto loro oziosi, conciossiachĂŠ essi alzarono un argine alla destra del fosso artefatto per salvarsi dallâallargamento minacciato. NĂŠ a questo solo riparo si arrestarono, essendo fama, che dopo terminati dagli assedianti gli argini del canale, e questo essendosi pieno dâacqua per scaricarla in tempo opportuno sopra la cittĂ , una bella notte gli assediati, esciti in buon numero da Lucca, ruppero lâargine alla sinistra del fosso, in guisa che lâacqua, correndo verso il piano di Lunata e di Capannori, inondò con tal violenza il campo degli assedianti, posto allâoriente di Lucca, che questi vi dovettero lasciare armi, bandiere e macchine da guerra per salvare il personale nei colli piĂš vicini.
Non ostante lâaccaduto tristo successo, i Fiorentini non desisterono dallâassedio; che anzi vi sâimpegnavano ognor piĂš, decisi di volere ad ogni modo entrare in Lucca, quando ebbero avviso, che dal lato della Garfagnana approssimavasi una numerosa banda di soldati a piedi e a cavallo sotto la condotta di Francesco Sforza, fintosi licenziato dal soldo del duca di Milano, comecchĂŠ da costui realmente un tal soccorso venisse inviato.
Ma il generale dei milanesi era poco amico del Guinigi, corrucciato con esso lui, perchÊ aveva chiesto al Visconti il suo rivale Niccolò Piccinino a condottiero delle forze inviate. Al primo scontro peraltro dei due eserciti, il fiorentino essendo rimasto perdente, dovÊ in fretta e furia levarsi dal campo intorno a Lucca e contentarsi di un largo blocco, traslocando i suoi quartieri a Ripafratta.
Il signor di Lucca, per timore di perdere il principato, avendo ricusato di mettere lo Sforza con i suoi dentro la cittĂ , cotesto rifiuto fu segnale della perdita del Guinigi: giacchĂŠ alcuni dei principali Lucchesi sospettando che egli volesse vendergli agli odiati Fiorentini, e lusingati dallâidea di poter riacquistare la perduta libertĂ , si fecero caporioni di una congiura, della quale misero a parte lo Sforza. Questi non solo lâapprovò, ma temendo anchâesso della vendita di Lucca alla Repubblica di Firenze, promise di secondarla. Tutte le file essendo state tese e preparate, nella notte del 14 agosto del 1430, alcuni nobili dei piĂš audaci fra i congiurati corsero al palazzo, e superate le guardie, penetrarono nelle stanze dove riposava il Guinigi; del quale felicemente sâimpadronirono nel tempo medesimo che gli altri gridavano per le vie della cittĂ popolo e libertĂ .
La mattina dopo entrò in Lucca lo Sforza, ricevuto come liberatore con le sue soldatesche. Bisognò peraltro consentire loro il sacco al palazzo del deposto signore, benchĂŠ il tumultuante popolo lucchese lo avesse rispettato: e inoltre dovĂŠ sborsare loro la somma di 12000 fiorini dâoro.
Paolo fu consegnato al generale del Visconti per inviarlo a Milano a quel duca, che lo fece trasportare e rinchiudere nel castello di Pavia, dove, col crepacuore di aver perduto la signoria della sua patria, Guinigi, allâetĂ di 59 anni, nel 1432 terminò la vita.
LUCCA NEL TERZO PERIODO DELLA REPUBBLICA SINO ALLA LEGGE MARTINIANA DEL 1556.
PiĂš validamente di ogni altra forza concorsero alla rovina del Guinigi 50,000 ducati dai Fiorentini esibiti e presto pagati al conte Francesco Sforza, a condizione però châegli ritirasse le sue genti dal territorio di Lucca; sicchè con la speranza di quel conquisto i reggitori di Firenze miravano di buon occhio tuttociò che tendere potesse ad allontanare il dittatore ed anche il protettore dei Lucchesi.
Tornati questi ultimi al regime repubblicano, crearono ben presto il collegio, il consiglio di credenza e quello generale, composto di 120 cittadini, affidando a una balia di 12 cittadini il governo supremo. Ma i Fiorentini, appena partito lo Sforza, stante il convegno fatto e i danari pagati, tornarono a stringere dâassedio la cittĂ , perchĂŠ ricusava di riceverli in signori. Ricorsero di nuovo i Lucchesi al duca di Milano, il quale, per impedire lâingrandimento della Repubblica Fiorentina, praticò la consueta via di danneggiare nascondendo la mano che nuoce, sempre con lâaria di non mancare ai patti giurati.
E, come poco innanzi aveva mandato lo Sforza a soccorrere Lucca, col dichiararlo fuori del di lui servizio, cosĂŹ questa fiata figurò che i genovesi, allora suoi sudditi, assoldassero il Piccinino e genti armate per inviarle prestamente verso Lucca. Eran giĂ queste, li 2 dicembre 1430, arrivate con 3000 cavalli, e 6000 fanti presso la cittĂ al punto che il solo fiume divideva i due eserciti, quando di notte tempo il capitano milanese guadando il Serchio fu improvvisamente addosso ai Fiorentini, nel tempo che la guarnigione esciva dalla cittĂ a sorprenderli alle spalle. Lo scompiglio degli assedianti fu tale che, senza grande uccisione, tutto il campo e un buon numero di prigioni cadde in potere del Piccinino e dei Lucchesi; e questi, dopo 13 mesi di assedio, viddersi liberati (3 dicembre 1430) da un modesto nemico. Dâallora in poi per decreto pubblico ogni anno una festa popolare celebrò in quel giorno tal memoria ai Lucchesi faustissima.
Alla fine di febbrajo del 1432 tornarono i Fio rentini per tentare un subito assalto sopra Lucca, ma inutilmente; per modo che abbattuti dalla guerra, e disperando della conquista, aprirono un trattato di pace, quale restò conclusa nellâaprile del 1433, a condizione che Lucca riottenesse i paesi perduti nellâultima guerra. Ma questa piuttosto che pace riescĂŹ una tregua, poichĂŠ nei primi mesi del 1437, veduto che i Lucchesi erano rimasti privi di ajuti esterni, e sapendo, che questi dalla parte dei Genovesi si trovavano soprammodo infievoliti, credettero i Fiorentini esser giunto il tempo opportuno di ritornare sotto Lucca, a ciò precipuamente consigliati da Cosimo deâMedici, tornato di corto in Firenze dallâesilio, mercè gli amici e lâaura popolare. Fu perciò decretata la guerra contro Lucca, e Francesco Sforza, preso al soldo dai fiorentini, sâincamminò con lâarmata nel territorio lucchese, dove di prima giunta occupò, dal lato della marina i paesi di Viareggio e Camajore, e dalla parte dei monti diversi villaggi e castella in Garfagnana; dopo di che si occupò a situare gli alloggiamenti intorno a Lucca.
Erano i lucchesi a tutto disposti, salvo a soggiacere ai Fiorentini. Ricorsero pertanto, ed ebbero validi soccorsi dal Visconti, il quale usava ogni mezzo affinchĂŠ cotesta cittĂ non cadesse nelle mani di tal nemico. Infatti nel tempo che il Piccinino con le masnade del Visconti marciava ad osteggiare nellâAppennino fra Bologna e Firenze, il duca di Milano faceva offrire al largo guiderdone allo Sforza, per farlo tornare al suo servizio.
Non potevano questi due modi mancare di produrre lâeffetto desiderato, cosicchĂŠ la Signoria di Firenze, vedendosi da un lato attaccata dentro al suo dominio, e dallâaltro lato scorgendo la disposizione del suo capitano propensa ad accettare il partito offertogli dal duca, si piegò a trattative di pace. La quale venne conclusa in Pisa il 28 aprile del 1438, e quandâera sul terminare del triennio, per altri cinquantâanni venne dalle parti confermata.
In vigore del primo e del secondo accordo, nel novembre del 1441, i Fiorentini restituirono tutti i luoghi stati ai Lucchesi ostilmente durante lâultima guerra occupati, meno la terra di Monte Carlo, e la fortezza di Motrone. â Tacquero gli storici la causa che indusse la Signoria di Firenze a si fatta generosa restituzione; ma qualunque fosse la ragione di un tal procedere, in ogni modo il fatto stĂ a dimostrare: che se i Fiorentini, per il corso rare volte interrotto di 123 anni, dissentendo nei principi politici, furono in urto e guerreggiarono contro i Lucchesi, ciò non accadde mica per odio che avessero agli abitanti, ma sivvero al governo ghibellino, da cui Lucca per sĂŹ lungo tempo era stata dominata. â Infatti i Fiorentini, dopo la pace del 1438, non solo dentro il termine dai patti prescritto restituirono le terre ai Lucchesi occupate, ma diedero costantemente a questi ultimi prove della loro fiducia e amorevolezza. E ben corrisposero dal canto loro i Lucchesi, allorchĂŠ Firenze difettando di granaglie, di cui Lucca, per misura di annona, trovavasi provvista, appena richiesti, inviarono colĂ 2400 moggia di grano. In conseguenza di ciò i Lucchesi, godendo di stabile quiete, poterono rivolgere le loro cure a dare un miglior ordine agli affari interni per la conservazione di un viver libero.
La qual cosa apparisce da una nuova costituzione, promulgata nel 1446 sotto il titolo di Statum de Regimine palatii dominorum Antianorum. Il quale statuto fu diviso in due parti; la prima relativa a tuttociò che risguardava lâesecutiva potestĂ , e lâaltra parte, che fu poi pubblicata in Lucca nel 1490 da Arrigo di Colonia, comprendeva le leggi civili e criminali con le regole delle procedure respettive.
Dondechè, qualora si vogliano eccettuare le insidie tentate da Ladislao figlio di Paolo Guinigi, con lo scopo di riacquistare la paterna signoria, Lucca non ebbe piĂš scontri pericolosi alla sua quiete e governo fino alla venuta di Carlo VIII re di Francia in Toscana. Realmente alla discesa di quei Francesi in Italia si riaccesero le estinte amarezze fra i Fiorentini e i Lucchesi, perchĂŠ a questâultimi il re franco per pecunia aveva consegnato la terra e rocca di Pietrasanta, stata presa qualche tempo innanzi dai Fiorentini ai Genovesi; e piĂš ancora contribuirono al mal umore fra le due repubbliche gli ajuti che i Lucchesi copertamente ai ribellati Pis ani somministrarono.
Quindi avvenne che, dopo avere i Fiorentini riconquistato Pisa (anno 1509) essi cominciarono a trattare ostilmente Lucca; la quale avrebbe fortemente rischiato di perdere la sua indipendenza senza lâappoggio dellâimperatore Massimiliano I, che inviò costĂ una mano di soldati veterani, cui aveva aperto una bella strada lo sborso di 9000 fiorini dâoro, che fruttarono un ampio diploma in favore della lucchese libertĂ . Il qual privilegio fu rinnovato nel 1522 da Carlo V, confermando non solamente quanto era stato ai Lucchesi dai Cesari antecessori accordato, ma di piĂš dichiarò nulla la cessione di alcune terre obbligatamente fatta al Comune di Firenze.
Lâassedio peraltro e la caduta di questâultima cittĂ con la perdita della sua libertĂ svegliò lâallarme nel popolo lucchese per timore di unâugual sorte. E tanto piĂš ne temeva in quanto che la somma del potere e glâimpieghi piĂš lucrosi, stando fra le mani dei nobili, perpetuavansi fra loro in ogni rinnovazione di governo. Al che si aggiungevano i soprusi per conto di altre misure economiche, tendenti ad inceppare, anzi che incoraggire lâindustria principale del paese, quale si era quella dellâarte della seta; sconcerti tutti che contribuirono a inasprire la plebe contro i grandi; il popolo minuto contro il popolo grasso.
Con questa concitazione dâanimi accadde che, nellâaprile del 1531, i tessitori da leggi oppressive indispettiti, e da governanti orgogliosi vilipesi, si adunarono, si armarono e gridarono morte al governo aristocratico. â Fu allora che Lucca vide i suoi Ciompi, cui fu dato il nome di Straccioni, perchĂŠ sotto le insegne di un vessillo nero stracciato, formati in compagnie e aventi alla testa un tessitore dei piĂš loquaci, assediarono il palazzo degli anziani, facendosi quasi padroni della cittĂ . Mancavagli però un Michele di Lando, a voler che i Straccioni di Lucca potessero riuscire nel progetto di ristabilire nella loro patria il governo popolare. â Lâirresolutezza dei sediziosi calmò a poco a poco il timore dei senatori, che erano tutti dal partito dei magnati; e tanto in lungo andò il gioco, che di notte tempo, dâintelligenza degli anziani, sâintrodussero in cittĂ da mille uomini armati del contado di Cemajore, i quali sorpresero, vinsero e dissiparono gli ammutinati. Allora il senato lucchese in benemerenza del servigio dai Camajoresi prestato, decretarono che si esigesse a memoria di ciò dentro Camajore una specie di arco trionfale. â Vedere CAMAJORE.
Altre penose cure il governo di Lucca ebbe a sopportare, allorchĂŠ la quiete interna della cittĂ fu nuovamente nel 1542 in procinto di perdersi, se non andava fallita altra congiura di un nobile lucchese. Pietro Fatinelli andò meditando di farsi arbitro della patria, credendo gli potesse spianare la via il favore che egli godeva alla corte di Carlo V, presso cui dagli anziani di Lucca era stato piĂš di una volta inviato; ma appena scoperta la macchinazione, fu incarcerato lâautore, e dopo aver confessato fra i tormenti il delitto, dovĂŠ lasciare sul patibolo il capo.
In questo mezzo temp o andava serpeggiando per Lucca un altro piĂš serio male. Lâeresia di Lutero vi era stata introdotta per opera specialmente di varii ecclesiastici regolari; per cui si agĂŹ contro i settarii con tale rigore, che quelli i quali eransi da Lucca preventivamente allontanati, vennero dichiarati ribelli, ed i beni loro confiscati e pubblicati.
A siffatte convulsioni civili e religiose ne succedĂŠ ben presto una politica di grandissimo impegno, che mise il governo della repubblica in un doppio imbarazzo per la sicurezza propria e dei potentati dâItalia. â Comparve nel 1546 un altro Cola di Renzo in Francesco Burlamacchi, nato di cospicua famiglia lucchese, il quale, infatuato delle eroiche gesta dei capitani della Grecia, che con i piccoli mezzi avevano operato cose grandi, nientemeno agognò che rivendicare a libertĂ i popoli italiani.
Sentiva egli con pena la servitĂš di Firenze, lo strazio di Siena, lâabiezione di Pisa; compiangeva Perugia percossa, Bologna in catene; in una parola imaginava che dovesse tornare libera Italia tutta, non che la Toscana. Ma non erano piĂš i tempi delle repubbliche del Peloponneso, i popoli dellâItalia o per vizio degli uomini piĂš non si reggevano a comune, o giĂ andavano assuefacendosi ai sistemi dellâaristocrazia e dellâassolutismo. Per conseguenza lâidea del Burlamacchi potĂŠ paragonarsi al sogno di un febbricitante che vaneggia negli accessi della sua malattia. â Un falso amico del Cola lucchese rivelò al duca di Firenze lâardito progetto del Burlamacchi, quasi nel tempo medesimo che un cittadino senese, stato messo a parte del segreto, lo palesava agli anziani del governo di Lucca.
Ciò bastò, perchĂŠ il Burlamacchi fosse preso, sostenuto in palazzo, ed in presenza di un commissario dellâImperatore, sulla tortura processato: fino a che, vinto egli dal dolore, confessare dovĂŠ il chimerico disegno da esso immaginato. Allora per ordine di Carlo V il reo di stato fu condotto a Milano, e costĂ con altre persone implicate in simile pensamento, venne in pubblico giustiziato.
Dopo di tutto ciò si aggiunse la caduta della repubblica di Siena, colpo fatale per quei popoli che contavano di mantenersi liberi, e molto piÚ per i vinti che speravano di risorgere a regime repubblicano.
La fallita rivoluzione degli Straccioni nocque in vece di giovare al subbietto cui era stata promossa; il disegno del Burlamacchi, e la caduta di due repubbliche vicine, avvertivano i signori di Lucca dei pericoli che da ogni parte li minacciavano. â Nel 1556 il gonfaloniere martino Bernardini fu per i nobili lucchesi quale era stato nel 1297 il doge Pietro Gradenigo per i veneziani. Egli propose al senato di convertire in legge la seguente riforma statutaria: âAmmettere alle cariche del governo solamente quelle famiglie che allora godevano di tali onori, col diritto di trasferirli alla loro discendenza; escluso però da questo diritto chiunque fosse nato in Lucca da padre forestiero, e tutti i figli di persone del contado, salvi quelli tra loro, i quali allâepoca della proposta riforma partecipavano aglâimpieghi governativi.â Il progetto piacque agli anziani talmente, che lo convertirono in quella legge organica della repubblica, la quale, ad esempio del senato di Roma, chiamossi col nome dellâautore, Legge Martiniana. Cotesta legge, pubblicata nel dicembre del 1556, fece schiama zzo tra il popolo, ma furono voci senza effetto. La memoria fresca dei mali sofferti per la ribellione degli Steaccioni , i pericoli cui erano scampati per le posteriori congiure, la caduta non antica della repubblica di Firenze, e quella recentissima di Siena, servirono di esempio al popolo lucchese per adattarsi alle circostanze. â In conseguenza di ciò gli statuti de Regimine, lâultimo dei quali era stato compilato nel 1539, riceverono da questa legge unâalterazione di gravissima importanza sul conto delle disposizioni relative al diritto di eligibilitĂ dei pubblici funzionarii. In una parola la repubblica di Lucca dâallora in poi divenne di diritto quello che giĂ da molto tempo indietro lo era di fatto, cioè, aristocratica.
LUCCA NELLâULTIMO PERIODO DELLA SUA ANTICA REPUBBLICA SINO AL 1799 Se la legge Martiniana, suggerita senza dubbio dallâorgoglio, riescisse in effetto utile piuttosto che dannosa, o viceversa, non seppe deciderlo un erudito autore moderno; il quale con disinvoltura ed imparzialitĂ , scrivendo della sua patria, su tal proposito diceva: âche forse la quiete ne guadagnò, concentrandosi a poco a poco il potere in chi era interessato piĂš che altri alla pubblica felicitĂ . E ciò sarebbe molto, e pareggerebbe almeno il danno che ne venne a riguardo di tanti, che amorosi della liberĂ non avrebbero mancato di portarsi qua con le loro fortune dai proprii paesi ridotti in servitĂš, quando fossero stati a suo tempo ricevuti come veri cittadini i loro figliâ.
â (MAZZAROSA, Storia di Lucca Lib. VII).
A rendere piĂš stabile il regime dellâordine interno coadiuvò una prudente condotta esterna, massime verso lâintraprendente Cosimo duca di Firenze. La cui potenza fu accresciuta in quei giorni con lâacquisto di Siena e del suo vasto territorio, cedutogli da Filippo II re di Spagna. â Il trattato di pace nel 1559, firmato tra la Spagna e la Francia, concorse vieppiĂš ad assicurare lâaristocrazia lucchese, tostochĂŠ in detta pace fu compresa anche Lucca come paese libero e neutrale.
CosicchĂŠ il governo, tranquillo al di fuori e in casa, potĂŠ occuparsi deâlavori di pubblica utilitĂ , sia collâarginare il Serchio di contro alla cittĂ , sia col risvegliare maggior operositĂ nella costruzione delle attuali sue mura, sia col far scavare un fosso navigabile per mettere in comunicazione Lucca collâOzzeri, e di lĂ continuando il cammino a levante entrare nel lago di Sesto, donde poi per lâemissario della Seressa sboccare nellâArno, navigando verso Firenze o a Pisa.
Tante spese però avendo depauperato il pubblico erario, impossibilitarono il governo di soddisfare per intiero alle inchieste dellâImperatore Massimiliano II, che nel 1565 aveva domandato alla repubblica scudi 70,000, a titolo di sussidio per la guerra contro il Turco; per modo che soli 15,000 scudi gli furono dati.
Per turbare questâultima cominciarono nel 1607 a risuscitare antichi dissapori tra i reggitori della repubblica e il duca di Modena, uno per conservare o accrescere, gli altri per far valere dei diritti disusati sopra una porzione di Garfagnana da lungo tempo perduta. Si praticarono fra le due parti parziali ostilitĂ , o piuttosto ladronerie, le quali, brevemente sospese da corta pace, si convertirono poscia in una manifesta guerra, sino a che per ordine dellâImperatore i Lucchesi e i Modenesi dovettero sospendere la guerra e quindi starsene alla sentenza che dalla corte cesarea di Milano sarebbesi pronunziata. â Vedere GARFAGNANA.
Posate le armi, il governo di Lucca si occupò a ristringere la borsa degli eligibili alle pubbliche cariche: e bene vi riescirono gli anziani che sedevano signori nel primo semestre del 1628, quando essi nel 21 gennajo, fecero approvare dal consiglio la provvisione seguente: âche il diritto di governare, salva una grazia del potere supremo, dovesse dâallora in poi risiedere nelle sole famiglie che ne erano al possesso dallâepoca della legge Martiniana.
Quindi è che in ordine alla stessa provvisione in un libro, chiamato libro dâoro , furono registrati i nomi e le armi di tutti coloro, cui fini a quel suddetto giorno un tale diritto si apparteneva.
Si volle dare una qualche apparenza di ragione a siffatta restrizione, dimostrando tutto ciò essere diretto al fine dâimpedire, che qualcuno sâintroducesse nelle famiglie senatorie con nomi falsi e persone supposte. Ma piuttosto che ragione, dice il prelodato storico lucchese, era questo un pretesto, atteso che molti altri piĂš facili espedienti avrebbero potuto, se mai, levar via questo male decantato, in vista delle cittĂ non grande, e del proporzionato ristretto numero degli eligibili. La vera ragione stava nel volere quelle famiglie, che allora moderavano lo stato, perpetuare fra loro il comando a somiglianza di ciò che operato si era nelle due repubbliche di Venezia e di Genova. â Dal libro dâoro, che tuttora conservasi nellâarchivio di stato, apparisce, che 224 erano a detta epoca le casate con armi e blasoni diversi fra loro, tra le quali 212 famiglie di cognome differenziato.
Nuovi dispiaceri poco dopo si aggiunsero ad amareggiare i Lucchesi, la prepotenza di un loro concittadino vescovo cardinale, MarcâAntonio Franciotti; il quale, non volendo uniformarsi alla legge comune del paese, ricusò costantemente di far punire un suo familiare, perchĂŠ con danno del terzo aveva abusato del privilegio di portare armi da fuoco. â Lâaltra piĂš generale e piĂš funesta sciagura fu la morĂŹa che in Lucca e nel suo contado ripetutamente per la peste del 1631, e maggiormente del 1648, infierĂŹ. I governanti per quanto era in suo potere provvedevano ai bisogni con aprire spedali nei subborghi, procurare medici, medicine, vettovaglie e sussidii di ogni materia, mossi quei senatori da sentimento di pietĂ paterna, e forse anche dalla politica di gratificarsi la moltitudine per accostumarla vie meglio allâobbedienza di una classe distinta e perciò invidiata.
Quello però che stava piĂš a cuore ai padri coscritti lucchesi era di allontanare chicchessia, a furia di punizioni severe, e non di rado ingiuste, dallâidea di machinare contro il nuovo regime. La storia ha tramandato ai posteri la tirannica maniera, con la quale un Agostino Mansi, un del Poggio, un Vincenzo Altogradi, personaggi tutti distinti e nobilissimi, furono per lievi cause politiche, quello mandato per dieci anni alla galera, e questi per un pensiero libero manifestato, condannati a lasciar la testa sul patibolo.
Del resto non furonvi dappoi turbamenti politici di grande importanza, o di qualche grave conseguenza; sicchĂŠ il governo, dalla metĂ del secolo XVII sino al 1700, visse quieto. â Lievi cagioni dâinconsiderata violenza e di parziali ingiurie recarono ai senatori di Lucca, nel 1700, un qualche imbarazzo per parte di Cosimo III granduca di Toscana, poi sedici anni dopo per conto del duca di Massa Carrara.
Ma le corti mediatrici fecero posare loro il corruccio con rimettere in calma i popoli insieme coi governi allarmati.
Diede pur motivo di qualche amarezza fra il senato lucchese e la corte di Roma lâinchiesta stata dal primo avanzata per avere il diritto di presentare al papa una terna di tre soggetti idonei ad ogni vacanza della sede vescovile di Lucca; inchiesta che finalmente nel 1754 dal Pontefice Benedetto XIV fu secondata. â Mosse maggiore rumore per conto del clero lucchese una legge dalla ragione politica e civile sulle Mani morte consigliata, la quale fu discussa, e finalmente li 7 settembre del 1764 decretata, per modo che niuno potesse per lâavvenire alle corporazioni morali donare o testare un valsente superiore alla ventesima parte del suo patrimonio, nĂŠ mai una somma maggiore di scudi 200. La qual legge si credĂŠ comandata dal vedere la classe degli ecclesiastici a sovrabbondanza provvista di beni; i quali si calcolò che superassero il valore di nove milioni di scudi, goduti da circa 1500 individui dei due sessi; lo che veniva a equiparare circa la metĂ del patrimonio deâprivati di tutto lo stato, il quale fu calcolato essere di venti milioni di scudi, in una popolazione di circa 140,000 abitanti. â Vedere DIOCESI di LUCCA.
Il tempo aveva fatto scorgere un vizio grande nel sistema aristocratico, vizio che a guisa di tarlo a poco a poco si rodeva nelle famiglie senatorie il midollo della loro repubblica.
Le casate ascritte al libro dâoro, dal numero di 224, che si riscontrarono nel 1628, a sole 88 erano ridotte nel 1787.
Al fine di riparare cotesta progressiva diminuzione si erano introdotte negli anni 1726 e 1750, delle vistose alterazioni nella costituzione della repubblica lucchese.
Ma il cambiamento piĂš valutabile fu quello del 1768, quando, per la mancanza di un conveniente numero di nobili, si tolse via lâavvicendamento stabilito dalla legge che aveva diviso il senato in due congregazioni, dalle quali, un anno per cadauna, costumavasi di scegliere i senatori attivi, per non perpetuare il comando in una sola classe o sezione. Fu allora che si ebbe piĂš forte ragione di temere, che il governo, ristretto in mano di pochi, potesse convertirsi in una pretta oligarchia.
Finalmente, nellâanno 1787, continuando le famiglie nobili a venir meno, e mancati essendo in 19 anni undici ceppi, si decretò, che non meno di novanta dovessero essere gli stipiti di famiglie nobili originarie, e dieci quelle delle famiglie dal senato ascritte alla nobiltĂ , con facoltĂ di crearne di queste ultime a proporzione che si fossero estinte le prime.
Quanto alla politica esterna, la condotta dei regitori di Lucca fu quella di umili feudatarii; cioè, costantemente ligii al supremo dominatore dellâItalia. Quindi è che ad ogni avvenimento al trono di un Augusto, si cercava con dimostrazione solenne rispettosissima di guadagnare la benevolenza di Cesare, ed anche ne domandavano umilmente lâaccomandigia, col supplicarlo di confermare quei privilegii, che dopo Carlo IV, per una successione progressiva di 15 diplomi, da Massimiliano I fino allâassunzione al trono cesareo di Francesco II (anno 1792) i signori della repubblica di Lucca, come vicarii dellâimpero costantemente qualificarono.
Dâallora in poi la pace esterna, lo stato politico ed anche la calma interna dei governi di Europa, non che dellâaristocrazia lucchese, cominciarono a scombujarsi.
Finalmente, sulla fine del secolo XVIII, le vittorie riportate dai Francesi in Italia cambiarono affatto le sorti della penisola; sicchĂŠ i padri coscritti di Lucca inutilmente con lâambascerie e con lâoro travagliavansi di guadagnare la protezione del direttorio di Francia, di acquistare la benevolenza del loro generalissimo in Italia, di blandire le fervidissime neonate repubbliche Cispadana e Transpadana. Lusinghe vane, danari e parole gettate; perciocchĂŠ lâoccupazione di Lucca, per parte dei Francesi da lungo tempo meditata, ebbe finalmente il suo effetto nei primi giorni del 1799, quando vi entrò con una parte della sua divisione il general Serrurier; quello medesimo che aveva di corto dato prove di arti inique sullâinfelice Venezia. Spietate requisizioni di vettovaglie, di pecunia e di vestiario accompagnate da minacce terribili, spaventavano ogni giorno, sgomentavano, avvilivano i Lucchesi dâogni ceto. Pure abiezioni siffatte, si gravose imposizioni, cotanti spogli violenti, sopportavansi da quei senatori nella difficile speranza di poter continuare a dirigere il timone della repubblica. Che però, pensando essi al modo di riescirvi, nel 15 gennajo del 1799, deliberarono di far ritorno allâantica costituzione democratica, collâannullare la legge Martiniana del 1556, e le riforme posteriori. Si fece anche di piĂš. Dalla classe privilegiata dei nobili furono eletti dodici personaggi collâincarico di modificare, adattando alle circostanze le antiche costituzioni; e questi, nel dĂŹ 28 dello stesso gennajo, decretarono, che per le future elezioni verrebbero esclusi dai comizi coloro destinati a costituire il nuovo regime della rigenerazione lucchese.
Ciononostante i voti e la scelta degli elettori cadde sopra soggetti non preoccupati da spirito di novitĂ , sopra persone specchiate e meritevoli della fiducia comune. I patriotti se ne lagnarono, scongiurando il general francese di provvedere alla causa loro, che era pur quella della Francia; ed egli vi provvide alla maniera orientale. Furono invitati a palazzo per la mattina del 4 febbrajo 1799, a un ora medesima, e in due sale separate, tanto quelli da lui segretamente destinati a prendere le redini del nuovo governo, come anco i senatori ed il gonfaloniere della vecchia repubblica. Allâora determinata Serrurier accompagnato dal suo seguito recossi ai due corpi da lui congregati per dichiarare a nome del generale in capo dellâesercito dâItalia, al vecchio senato, che dâallora in poi restava abolita fra i Lucchesi la nobiltĂ e ogni sorta di casta privilegiata, e dirgli nel tempo stesso, che egli aveva scelto da ogni classe di cittadini quelli destinati a governare in un modo provvisorio la repubblica di Lucca, e di avere in quella scelta cercato uomini virtuosi che fossero per appagare il voto di tutti i buoni.
Di lĂ recandosi nella sala, dove eransi raccolti i nuovi da esso eletti, disse: che per ordine del potere esecutivo di Francia, il generale in capo aveva partecipato al Serrurier, come il direttorio francese per secondare i voti degli abitanti per una costituzione intieramente democratica, vuole che io (Serrurier) la componga di quei soli, i quali, per lâattaccamento loro alle massime repubblicane, per la vastitĂ dei loro lumi, e per la saviezza dello spirito loro, compariranno i piĂš adatti a mantenere la libertĂ senza reazione e la quiete senza terrore. Quindi soggiunse: Io vi consegno la carta del sistema dâorganizzazione provvisoria, cui invito voi tutti di conformarvi.
CosĂŹ finĂŹ dopo 243 anni il governo aristocratico di Lucca, non per fiacchezza di vetustĂ , ma per quella forza irresistibile calata dalle alpi a rovesciare da capo a fondo non meno che i regni e le duchee, le vecchie repubbliche.
La costituzione data ai Lucchesi dal Serrurier fu la stessa di quella della repubblica Ligure. La parte organica riducevasi a un potere legislativo diviso in due consigli, quello dei giuniori di 48, lâaltro di seniori di 24 membri, oltre un potere esecutivo quinquevirale, che si nominò direttorio, assistito da cinque ministri di stato. â Non tacque dei nuovi reggitori il sentimento del ben pubblico, e varie buone leggi sino dai primi mesi furono proposte, discusse ed emanate; ma non si moveva passo nellâordine governativo senza lâapprovazione del general comandante e del direttorio francese. Erano i rappresentanti della repubblica di Lucca tanti automi, che venivano copertamente o visibilmente maneggiati dalla maestria dei rigeneratori. AvvegnachĂŠ nulla si accordava ai consigli e alle loro deliberazioni, ogni cosa doveva farsi a voglia dei Francesi, i quali tenevano governo e cittadini ubbidienti e pieghevoli ad ogni loro discreta o indiscreta voglia. La libertĂ civile al pari della politica non si conosceva che per ironia, o per sfregio del suo nome; oppressi i nobili, perseguitati gli ecclesiastici, smunti di numero i facoltosi e i mercanti, vessati i cittadini da esigentissima soldatesca di guarnigione, tali furono i frutti primaticci e piĂš manifesti della rigenerazione lucchese. Quindi non è da meravigliare, se i Francesi erano costĂ assai malvisti ed odiati dallâuniversale.
Trovandosi in tal guisa mal disposti gli animi degli abitanti di Lucca, e piĂš ancora delle genti di contado, queste sâincalorirono viemaggiormente, e si ammutinarono allâannunzio del primo successo ottenuto in Lombardia dallâesercito alleato: e piĂš ancora dopo la notizia avuta delle tre giornate della Trebbia (17, 18, 19 giugno del 1799) contro Macdonald battagliate.
Appena avuto sentore dellâarrivo degli Austriaci in Toscana, fu vano esigere dal popolo ubbidienza al governo e tranquillitĂ . Le falangi tedesche, nel luglio del 1799, furono accolte in Lucca con entusiasmo. Se non che la prima misura dei nuovi arrivati fu quella di dover consegnare tutte le armi da fuoco dellâarsenale e i bellissimi grossi cannoni di bronzo, che in numero di 120 guarnivano gli undici bastioni sulle mura della cittĂ .
Presto i tripudii si convertirono in lagnanze, e quindi in angustie, per le forti esigenze che si richiedevano dalle truppe arrivate. Al che si aggiunse un abisso di mali maggiori, quando si vollero annullare tutte le leggi del cacciato governo democratico, poscia istituire un tribunale criminale statario sommarissimo, con lâincarico di scrutinare degli individui le passate azioni politiche e perfino i pensieri.
Ma giĂ le sorti di Lucca e dellâintiera Italia stavano unâaltra volta per pendere a favore dei Francesi, mercĂŠ il genio di Bonaparte. Il quale, dopo avere diviato spento il direttorio, comparve quel fulmine con un rinnovato ardentissimo esercito sui gioghi dellâAlpi e di lĂ calando in Italia, nelle pianure di Alessandria riacquistò a Marengo in un giorno, (14 giugno 1800) quando i generali suoi predecessori avevano perduto in un anno.
LUCCA NEI PRIMI SETTE LUSTRI DEL SECOLO DECIMONONO Sarebbe nojoso il ridire le tante mutazioni di reggimento, e le varie imperiose contribuzioni che a cortissimi periodi sorsero e gravitarono sopra il popolo lucchese. â Launey generale di Francia, che, nel 7 luglio del 1800, annunzia lâimminente arrivo della sua brigata in Lucca; Massena maresciallo, il quale comanda da Genova gli si sborsi un milione di franchi, la metĂ tempo 24 ore, dieci giorni per lâaltra metĂ , ordinando di sequestrare le pubbliche casse e di arrestare i rappresanti del governo che reclamavano contro tanta iniquitĂ . Si costringevano i nobili a tornare a Lucca, e si confiscavano i beni di coloro che a un tal comando non ubbidivano. Tutto ciò si operava alla vigilia in cui altre forze riunite dal generale tedesco Sommariva erano per ritornare costĂ . Infatti ai 13 di settembre dello stesso anno, appena arrivata in Lucca unâaltra sorta di padroni, fu istituito un governo di nobili. â Non avevano però gli Austriaci ancora compito il mese, che dovettero di qua ripartirsene (9 ottobre) per dar luogo ai Francesi tornati in maggior numero sotto un altro general di brigata, ma con le stesse molestissime intenzioni di spolpare perfino al midollo i bersagliati popoli italiani.
Durissimi e rovinosi erano tutti i modi che essi adoprarono, onde lucrare danaro dai Lucchesi ridotti alla miseria.
In mezzo a queste angustie, la pace conclusa a Luneville (19 febbrajo 1801), e lâaltra tra la Francia e Napoli, segnata in Firenze il 28 marzo dello stesso anno, facevano sperare a questo popolo un vicino sollievo. Se non che gli restava tuttavia un gran crepacuore nellâanimo per lâincertezza della sua sorte. â Piacque per allora a Napoleone di ridonare a Lucca una tal quale esistenza politica mediante un reggimento repubblicano, di cui ordinò lâorganizzazione al Saliceti con lâistruzione, che si badasse, nella scelta dei governanti, al maggior censo, e per il resto si desse la preferenza ai letterati, ai negozianti e agli artisti piĂš famigerati.
La preparata costituzione, pubblicata nel 31 dicembre successivo, in generale fu ben accolta, perchĂŠ basata sui principii di una repubblica democratica temperata, e perchĂŠ nella scelta dei soggetti designati a governarla eranvene parecchi rispettabili per dottrina, per probitĂ e per amor di patria.
Entrò il potere esecutivo in attivitĂ il primo giorno dellâanno 1802. â Il governo cominciò le sue operazioni con un pieno perdono e unâassoluta dimenticanza su qualsivoglia delitto politico; al che conseguitarono utilissime cose. Fra le altre merita di essere registrata dalla storia la legge per la formazione del catasto, basata su principii dâimparzialitĂ , di ponderata e retta giustizia rispetto a una generale proporzionata repartizione della tassa fondiaria.
Infatti la quiete interna andava a ristabilirsi, in guisa che le antipatie politiche, se non affatto svanite, erano assai scemate, e la benevolenza del primo console della repubblica francese da parole lusinghiere e affettuose veniva pubblicamente dimostrata al governo lucchese, sicchè questo incoraggito occupavasi con saviezza e con lode degli affari, e specialmente di quello sulla riforma delle leggi civili e criminali.
Glâinteressi pertanto di questa piccola repubblica procedevano, non solo con regolaritĂ , ma con profitto della generalitĂ : cosicchè ogni cittadino non fanatico prevedeva un felice avvenire nellâaccordo comune e nel buon effetto di provvide istituzioni decretate. â Ma comâera piaciuto al sommo imperante di rispettare fino allora i sacri diritti dei Lucchesi, venuto il maggio del 1805, epoca dellâincoronazione dellâimperatore deâFrancesi in re dâItalia, mentre Genova con le solite apparenze spontanee costringevasi a chiedere a Napoleone la sua aggregazione alla Francia, nel tempo medesimo il ministro Talleyrand per insinuazione dellâoracolo, cui allora porgeva incenso, dovè far sentire al ministro Girolamo Lucchesini questa imperatoria sentenza: e voi altri a Lucca non farete nulla? Favvi tosto chi spiegò il mistero, e che suggerĂŹ il modo di coonestare il pretesto, che la costituzione della repubblica lucchese non era piĂš adattata ai tempi, al sistema delle altre nazioni e alle circostanze generali dellâEuropa.
Bisognava pregare il sommo imperante a dare uno statuto politico speciale per Lucca, e a confidarne il governo a uno dei principi della napoleonica prosapia. A tenore della suggerita inchiesta fu redatta una costituzione semi- liberale, per lâaccettazione della quale si apersero i registri in tutte le parrocchie dello stato lucchese, onde ricevere dai votanti nel termine di tre giorni la dichiarazione della propria volontĂ , previa la condizione, che chi non firmava sâintendesse avere approvato. â Pochi infatti manifestarono la loro adesione, i piĂš si tacquero, e perciò secondo la lettera del decreto governativo tutti approvarono. Ognuno stava in aspettazione del principe che lâimperatore deâFrancesi e re dâItalia aveva in mente sua a tale piccola sovranitĂ destinato. Ma presto fu appagata la curiositĂ , conciossiachè il governo di Lucca, per insinuazione altissima, il 12 giugno manifestò al pubblico, che avrebbe chiesto per capo S. A. S. Felice Baciocchi principe di Piombino, sposo di Elisa sorella di Napoleone. Unâapposita deputazione in Bologna presentò a questâultimo il voto della nazione lucchese, e costĂ sotto la direzione dellâimperiale segreteria di stato fu redatto il nuovo statuto organico di Lucca, nel quale, per salutevole accorgimento dei deputati fu inserito un articolo riguardante lâesenzione dei Lucchesi dalla coscrizione militare francese.
Di cotal maniera accadde che, chi aveva al popolo di Lucca ridonato la libertĂ , fece sparire la piĂš vecchia repubblica toscana, per quanto al paese conservasse quella indipendenza che tante volte per brighe domestiche, o per propria debolezza, o per ragioni di stato i Lucchesi stettero in procinto di vedere sparire.
Aveva perduto bensĂŹ la sua politica esistenza il vicino piccolo ducato di Massa e Carrara sino da quando fu incorporato alla repubblica Cisalpina, poi al regno Italico.
Da questâultimo esso fu staccato, con decreto napoleonico deâ30 marzo 1806, dichiarandolo feudo imperiale, ma per lâamministrazione governativa fu riunito con la Garfagnana (eccetto Barga) al principato di Lucca. Dopo il quale accrescimento si ordinò ai principi di Lucca, non solamente di porre in vigore in tutto il loro dominio il codice di Napoleone, lo che poteva dirsi un altro benefizio, ma fu ingiunto lâobbligo di far valere nel loro stato il concordato per gli affari ecclesiastici fatto e sottoscritto fra la corte di Roma e il regno italico; lo che riuscĂŹ non poco discaro ai Lucchesi, massimamente ai corpi religiosi dellâuno e dellâaltro sesso.
Non si contavano allora in Lucca meno di 32 conventi, 15 di uomini e 17 di donne: e ad eccezione di sette, spettanti a mendicanti, gli altri tutti possedevano piĂš o meno vasti patrimonii. Aggiungansi i beni di varj capitoli, seminarii, cappellanie, confraternite e benefizii semplici; i quali tutti vennero colpiti da una sola sentenza pronunziata da piĂš alto scanno che non era quello dei principi di Lucca. La quale sentenza comandava la soppressione dei luoghi pii, e la indemanazione delle loro sostanze mobili e immobili.
In grazia di ciò il dominio di Lucca accumulò un patrimonio sopra venti milioni di franchi.
Vero è che questa risorsa vastissima pose in grado il governo di fare in gran parte uso benefico ed utile dei beni indemaniati senza per questo aggravare di troppo i sudditi di contribuzioni e di tasse.
Lâuso principale e utilissimo châElisa fece del demanio lucchese fu quello di dotare spedali, ajutare i poveri, mantenere glâinvalidi e somministrare i mezzi opportuni affine di rendere piĂš utili e incoraggire le arti belle, le scienze e le industrie nazionali. Cosicchè si dotarono le accademie, si accrebbero di cattedre gli studii, si fondarono collegii, istituti e conservatorii per educare la gioventĂš dei due sessi e di varie classi nelle scienze, nelle lettere e nella morale. Si ridusse un vasto convento per farne un locale migliore per carcerati. Furono rese piĂš praticabili le vecchie, e si aprirono di nuovo per lo stato e in varie direzioni molte e belle strade, nel tempo che altre vie troppo anguste si ampliavano dentro la cittĂ , dove furono fatte piĂš spaziose varie piazze con qualche pubblico palazzo. Si arginarono canali e fiumi: ma specialmente si lavorò intorno al Serchio, il cui alveo, trovandosi a livello del piano di Lucca, minacciava ad ogni piena straordinaria di annegare gli abitanti dei subborghi e le loro case.
Fu istituita una commissione dâincoraggiamento per lâagricoltura e per lâarti con facoltĂ di comprare macchine e di perfezionare le antiche onde animare il genio naturalmente industrioso dei Lucchesi.
Con lâidea benefica di provvedere Lucca di acqua potabile, sotto i principi Baciocchi fu dato principio alla fabbrica degli acquedotti, che lâattual governo ducale borbonico con vistoso dispendio e piĂš grandiosamente condusse dentro Lucca dalle falde settentrionali del Monte pisano a utilitĂ e decoro della cittĂ .
Tali furono le somme opere dei principi napoleonici; molte altre ne fecero utili in generale per una pronta e piĂš retta amministrazione della giustizia, e dellâentrate municipali, per la libertĂ commerciale, ec. ec. Tutte queste cose faceva Felice Baciocchi di nome, Elisa Bonaparte di fatto e di suo arbitrio, sebbene esse avessero lâapparenza di essere state deliberate, come la costituzione prescriveva, previo il consiglio e approvazione del senato lucchese; il qual corpo stette interi anni senza essere tampoco congregato.
Dopo trentaquattro mesi di stabile dimora nel principato, in virtĂš di un decreto di Napoleone, del 3 marzo 1809, Elisa recossi a Firenze col titolo di granduchessa governatrice della Toscana. Imperciocchè il regno di Etruria, cominciato il 12 agosto 1801, essendo finito col 10 dicembre del 1807, fu per volere dellâonnipotente imperatore, levata di lĂ Maria Luisa, regina reggente quel regno pel tenero figlio Infante don Carlo Lodovico di Borbone, e tosto la Toscana dichiarata provincia del grande impero.
Quantunque però i principi Baciocchi, dallâaprile del 1809 in poi, risiedessero in Firenze, Elisa non rinunziò totalmente al suo prediletto soggiorno di Lucca, dove gli pareva di essere in mezzo alla sua famiglia. E veramente ella ambiva, e si stimava di aver rigenerato cotesto paese, giacchè le scienze, le arti, il gentil costume, la eleganza del vestire, un migliore vivere e molte altre cose anche piĂš importanti, tutte si attribuivano al grande impulso da essa dato, non che alla docile indole del popolo lucchese ed ella corrispondenza trovata nei zelanti suoi ministri che vi coadiuvarono.
Ma i tempi fatali per dare il crollo al grande edifizio napoleonico si accostavano. Dopo la terribile campagna di Mosca, il mondo parve destarsi per avventarsi contro colui che lo voleva tutto per sĂŠ. Mentre pericolava in Lombardia la sorte del regno italico, si affacciarono davanti alla spiaggia di Viareggio (9 dicembre del 1813) navi inglesi per eseguirvi lo sbarco di una fazione di armati; i quali in numero di un migliajo marciarono prestamente verso Lucca con la bandiera spiegata, che indicar voleva ai balordi: Indipendenza dâItalia .
Ma la popolazione giĂ ammaestrata da simile esca, non curando le parole, fu indifferente e muta allâapparire dei sedicenti liberatori. Perciò nulla ottenendo di quanto speravano, e invece rischiando fortemente di perdere se stessi piuttosto che acquistare gli altri, il giorno dopo, per la via donde quelli erano a Lucca venuti se ne ritornarono per mettersi in mare.
Non corsero però molte settimane che il re Giovacchino, alleato di corto con lâImperatore dâAustria, inviava una divisione dellâesercito napoletano in Toscana per cacciarne Elisa sua cognata, la quale principessa dovè abbandonare anche la sua Lucca innanzi che si affacciasse il giorno 14 marzo del 1814, avendo affidato la cura del paese al consiglio di stato.
Entrarono in questa cittĂ i Napoletani nel giorno stesso 14 marzo; ma ben presto vennero a rimpiazzarli (5 maggio 1814) gli Austriaci, che tennero Lucca da padroni, finchè Maria Luisa di Borbone, giĂ regina di Etruria, non dichiarò di accettare per se e per lâInfante don Carlo Lodovico suo figlio Lucca con lâantico suo territorio sotto il titolo di Ducato; e in conformitĂ degli articoli segreti deliberati col trattato di Vienna del 9 giugno, anno 1815; di tener fermo il diritto di subentrare nellâavito ducato di Parma quando fosse vacato per morte o per altra destinazione dellâex-imperatrice di Francia, Maria Luisa di Austria. â Verificato che sarĂ un tal caso, il ducato di Lucca, salvo alcuni distretti distaccati, a tenore dello stesso trattato devâessere incorporato al granducato della Toscana.
Maria Luisa di Borbone con lâInfante suo figlio ed erede entrò in Lucca il giorno 7 dicembre del 1817. Le prime cure di quella sovrana furono dirette alla ripristinazione dei conventi, monasteri e compagnie soppresse. Fu pagato ai corpi morali lâusufrutto dei beni ecclesiastici invenduti, il cui capitale ascendeva al valore di circa undici milioni di lire lucchesi; al che poco dopo si aggiunse lâabolizione della legge sulle mani-morte fatta dalla repubblica lucchese, per modo che i corpi morali di cotesto ducato sono nuovamente in grado di ritornare i possidenti piĂš ricchi del ducato.
Fu istituita piĂš tardi (anno 1819) la confraternita detta della CaritĂ , sul modello di quella esemplarissima e antichissima della Misericordia di Firenze, della quale volle il Reale Infante farsene capo e protettore; e ciò nel tempo medesimo, in cui lo stesso principe dava il suo nome al collegio giĂ chiamato Felice, e Maria Luisa allâIstituto fondato da Elisa, mentre la figlia Luisa Carlotta dichiaravasi protettrice del conservatorio delle fanciulle in S. Nicolao.â Si ripristinò allâantico uso nel palazzo deâBorghi, ossia nella Quarquonia, il deposito di mendicitĂ ; finalmente furono riattivate le cessate sovvenzioni alle famiglie civili cadute in bassa fortuna, che anticamente pagava ad esse loro la repubblica lucchese.
Sotto il governo di Maria Luisa, in quanto alle opere di pubblica utilità , fu sopra ogni altra presa di mira quella dispendiosissima degli acquedotti, stata interrotta dopo la partenza dei principi Baciocchi, opera che prosperò e che va compiendosi sopra un piano piÚ grandioso del R.
architetto Nottolini; in grazia del quale vennero allacciate maggiori vene nel Monte pisano, e portate per acquedotto a un livello tale che le acque potessero innalzarsi sino ai primi piani delle case. Nella quale impresa il governo ha consumato finora la vistosa somma di circa 1,400,000 lire lucchesi. â Vedere ACQUEDOTTI LUCCHESI.
Anche lâorto botanico ebbe incominciamento nellâanno 1820, e progredisce sotto gli auspicii del duca felicemente regnante.
Inoltre fu terminato il Regio teatro che porta il nome del Giglio, fondato sulle vestigia di quello nazionale davanti a una moderna piazza, col disegno dellâarchitetto Giovanni Lazzarini.
Fu rimodernata, nobilitata, ingrandita e resa in ogni parte piĂš bella e piĂš ornata la reggia di Lucca; fu comprato un palazzo appositamente per il Liceo, dalla stessa sovrana dotato e corredato di macchine; e finalmente ad impulso del celebre baron di Zach, fu eretto un osservatorio astronomico a Marlia sopra un tempietto dedicato alla musa Urania.
Il duca ed Infante Carlo Lodovico di Borbone, succeduto nel 1824 nel trono di Lucca, ha procurato quieto vivere al paese, e migliorato dâogni maniera il materiale della cittĂ .
Uno dei provvedimenti diretti a questâultimo scopo fu il motuproprio del 19 aprile 1828, col quale venne ordinato, che tutti gli edifizii pubblici e privati della cittĂ di Lucca dentro lâanno 1830 fossero intonacati e datogli di tinta o di bianco, e che questâultima operazione a ogni decennio si rinnovasse; che fossero fatti i canali ai tetti fino in terra, fognate le strade, ed altre eccellenti disposizioni circa al murare allâesterno. Inoltre fu creata unâapposita commissione, nominata degli Edili, affinchè vigilasse sulle fabbriche pubbliche e private; allo zelo della quale devesi il vantaggio di aver restituito a molti vetusti edifizii sacri la loro antica fisionomia, sia col fare togliere lâintonaco sovrapposto alle interne pareti di marmo, sia collâaver ordinato che si sgombrasse da orride botteghe, e da meschine casupole lâarena dellâantico anfiteatro per ridonargli la pristina sua forma, e per convertire quellâarea in una commoda piazza.
DUCATO, ossia STATO DI LUCCA Non parlo per ora delle vicende accadute al territorio di Lucca dopo i tempi romani; solamente mi limito qui a contemplare il dominio lucchese nello stato attuale. â Sotto tal rapporto si deve distinguere il Ducato di Lucca in due parti: una unita, e lâaltra disunita, perchĂŠ dalla prima affatto isolata. Sono in tutte undici comunitĂ suddivise in 251 sezioni, ossiano parrocchie. Fra i capoluoghi delle 11 comunitĂ si contano due cittĂ , Lucca e Viareggio: le altre hanno per residenza delle terre, deâcastelli, o dei villaggi.
Nel territorio unito del Ducato lucchese trovasi la sua capitale con nove comunitĂ . Esso è circondato quasi da ogni lato dal Granducato di Toscana, meno che da settentrione e da ponente. â Dalla parte di tramontana ha a confine la Garfagnana granducale ed estense, e dal lato di ponente termina col lido del mare Tosco per il tragitto di dieci miglia.
In quanto al territorio disunito lucchese, esso è attualmente ridotto a due vicarie e comunitĂ , (Minucciano e Montignoso) situate sopra due fianchi opposti dellâAlpe Apuana. Minucciano è nel lato di settentrione, e Montignoso dalla parte di mezzogiorno; la prima di esse fra la Garfagnana estense e la Lunigiana granducale, la seconda fra il ducato di Massa e il vicariato granducale di Pietrasanta.
LâAppennino toscano, dal lato di grecale, serve di confine al territorio unito lucchese, mentre a levante viene chiuso dalle diramazioni che dallâAppennino medesimo si avvallano fra le fiumane delle due Pescie sino allâAltopascio. CostĂ il territorio lucchese attraversa da grecale a libeccio il lago di Bientina o di Sesto; quindi, volgendosi a ostro, serve al Pisano e al Lucchese di confine la cresta dentellata del Monte pisano sino alla ripa del Serchio: alla destra del quale inoltrasi per la palustre pianura di Massaciuccoli e nella direzione da levante a ponente attraversa il lago omonimo per quindi arrivare alla spiaggia del mare. Di costĂ , andando verso maestro, percorre il littorale fino a Motrone, finchè voltando direzione verso settentrione-grecale fra Pietrasanta e Camajore sale per uno sprone meridionale dellâAlpe Apuana, e varcando il giogo, ritorna nella valle del Serchio lungo il torrente di Torrita Cava.
Il territorio unito del Ducato di Lucca è posto fra il grado 27° 53â e 28° 24â di longitudine e il grado 43° 45â 4â e il grado 44° 7â 5â di latitudine. â Gli passa in mezzo il fiume Serchio; la porzione piĂš settentrionale è bagnata dallâultimo tronco della Lima e da quelli della Petrosciana , e della Torrita Cava tre fiumane, che una a sinistra e lâaltre due a destra del Serchio, le quali tutte si versano nel nominato fiume sullâingresso della Garfagnana.
La struttura fisica della pianura lucchese va progressivamente rialzandosi sopra un terreno di recente alluvione. â Le colline che fanno spalliera ai monti sono formate delle loro respettive roccie costituenti la superficiale ossatura, le quali a mano a mano dagli agenti meteorici piĂš che dallâarte vengono disfatte e sopra quelle pendici arrestate e convertite in terreno coltivabile.
Stante la variata situazione ed elevatezza del suolo che cuopre il territorio lucchese, il suo clima al pari deâsuoi prodotti mostrasi variatissimo; perocchè dalle osservazioni termometriche e barometriche, fatte nel periodo di 30 anni, apparisce, che la temperatura media di Lucca e dei luoghi piĂš bassi, nella sera e nel mattino segna il grado 14 di Reaumur e il grado 16 nel mezzogiorno; che il massimo caldo fa salire lâistrumento medesimo a gradi 26,60, e che nel massimo freddo discende a gradi 6 sotto il zero. Nei luoghi per altro piĂš elevati dellâAppennino e della Pania lucchese le nevi, se non possono dirvisi perpetue, in alcune situazioni vi stanziano piĂš mesi dellâanno. â Lâaltezza media del barometro, situato a braccia 60 sopra il livello del mare, fu riscontrata di pollici 28,60,6 e lâaltezza massima di 28,90, mentre la minima fu di 26,11,75.
ALTEZZE ASSOLUTE di vari punti della PIANURA e della CITTAâ di LUCCA al di sopra del livello del Mare Mediterraneo, dedotte trigonometricamente e partecipatemi dal Prof. P. Michele Bertin nellâanno 1838.
Altezze dei luoghi della pianura di Lucca - nome della localitĂ : Cupola degli Acquedotti, alla loro origine; situazione rispettiva: alla base settentrionale del Monte S.
Giuliano; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: (ERRATA: 268,4) 57,0 - nome della località : Lammari, sommità del campanile; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 92,2 - nome della località : Lammari, nel piazzale della chiesa; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 39,6 - nome della località : Antraccoli, palla del campanile; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 90,9 - nome della località : Antraccoli, nel piazzale; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: (ERRATA: 39,6) 30,6 - nome della località : La Nave, palla del campanile; situazione rispettiva: pianura occidentale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 81,2 - nome della località : Gronda della Dogana di S. Genese di Compito; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Capannori; altezza in braccia lucchesi: 39,1 - nome della località : Guamo, a piè del campanile sulla strada; situazione rispettiva: alla base settentrionale del Monte S.
Giuliano; ComunitĂ a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 37,8 - nome della localitĂ : Pian della Casa del Lago di Bientina, o di Sesto; situazione rispettiva: Lago di Bientina o di Sesto; ComunitĂ a cui spetta: Capannori; altezza in braccia lucchesi: 16,1 - nome della localitĂ : Pelo del Lago suddetto; situazione rispettiva: Lago di Bientina o di Sesto; ComunitĂ a cui spetta: Capannori; altezza in braccia lucchesi: 14,7 Altezze dei luoghi dentro la cittĂ di Lucca - nome della localitĂ : Piede della Torre dellâOre; altezza in braccia lucchesi: 31,3 - nome della localitĂ : Piazza di S. Pietro Sonaldi; altezza in braccia lucchesi: 29,8 - nome della localitĂ : Soglia della Porta di Borgo; altezza in braccia lucchesi: 29,6 - nome della localitĂ : Piazza di S. Maria di Cortelandini; altezza in braccia lucchesi: 29,0 - nome della localitĂ : Piede del campanile di S. Frediano; altezza in braccia lucchesi: 28,3 - nome della localitĂ : Orto di S. Francesco; altezza in braccia lucchesi: 28,2 - nome della localitĂ : Piede del campanile della Cattedrale; altezza in braccia lucchesi: 27,6 - nome della localitĂ : Piazza di S. Maria Forisportam; altezza in braccia lucchesi: 25,6 - nome della localitĂ : Chiesa suburbana di S. Marco; altezza in braccia lucchesi: 32,7 ALTEZZE ASSOLUTE di varie MONTUOSITAâ del DUCATO di LUCCA al di sopra del livello del Mare Mediterraneo, calcolate e comunicatemi dalla cortesia dellâAstronomo Prof. P. Michele Bestini di Lucca in braccia lucchesi, le quali stanno alle braccia fiorentine come (ERRATA: 10,000 a 10,117) 10,000 a 9,883 rispetto alle braccia fiorentine - nome del monte: Rondinajo; catena alla quale appartiene: Appennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Coreglia; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3323,8 - nome del monte: Pisanino; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Minucciano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3296,7 - nome del monte: Tre Potenze, a levante (ERRATA: delle Fore, il Giovo) della Foce a Giovo; catena alla quale appartiene: Appennino centrale presso Rondinajo; ComunitĂ in cui è situato: Coreglia; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3275,0 - nome del monte: Tambura; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Minucciano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3203,1 - nome del monte: Prato Fiorito; catena alla quale appartiene: Sprone del Rondinajo; ComunitĂ in cui è situato: Bagni di Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2197,7 - nome del monte: Calabaja; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Gallicano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2099,6 - nome del monte: Ciglione di Pascoso; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Camajore; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2079,6 - nome del monte: Monte Piano; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Camajore; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2066,7 - nome del monte: Palodina; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Gallicano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1983,0 - nome del monte: Battifolle; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Villa e Bagni; altezza assoluta in braccia lucchesi: (ERRATA: 1875,2) 1876,2 - nome del monte: Le Pizzorne, alla Pietra Pertusa ; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1642,4 - nome del monte: Torricelle di Pescaglia; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Pescaglia, giĂ di Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1634,1 - nome del monte: Bargilio, sommitĂ della torre; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Borgo a Mozzano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1493,8 - nome del monte: Croce delle Pizzorne; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1373,7 - nome del monte: Gaglione sui monti di Brancoli; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1336,1 - nome del monte: Gombitelli, sommitĂ del monte; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Camajore; altezza assoluta in braccia lucchesi: (ERRATA: 1186,7) 1253,8 - nome del monte: Brancoli, sommitĂ della torre; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: (ERRATA: 1253,3) 1186,7 - nome del monte: Tereglio, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Sprone meridionale del Rondinajo; ComunitĂ in cui è situato: Coreglia; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1013,5 - nome del monte: Penna del Monte Pisano; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 921,7 - nome del monte: Monte di S. Cerbone; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 741,0 - nome del monte: (ERRATA: Vaccoli) Vecoli, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 622,9 - nome del monte: Rocca, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Borgo a Mozzano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 570,3 - nome del mo nte: Castelluccio di Compito, sommitĂ del monte; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 494,5 - nome del monte: S. Ginese, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 179,0 - nome del monte: Pieve S. Stefano, sommitĂ del monte; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 492,4 - nome del monte: Marlia, sommitĂ del terrapieno della Specola; catena alla quale appartiene: Base meridionale delle Pizzorne; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 268,4 - nome del monte: Nozzano, piano del campanile; catena alla quale appartiene: Ultimo sprone australedellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 116,0 Fra le produzioni naturali sono celebri per lâEuropa non che in Italia le acque termali di Corsena, note sotto il nome generico deâBagni di Lucca; mentre il paese abbonda di marmi e di macigni. Cavansi i primi dal fianco settentrionale del Monte S. Giuliano, dove pure si lavora la pietra steaschistosa di Guamo. Lâescavazione dei migliori macigni è presso Chifenti, come pure alla base occidentale e meridionale delle Piazzorne. â Si trovano rocce di diaspro nel Monte Fegatese e a Gello sotto il Monte di Pescaglia.
In un ragionamento sulla peste del 1576 un medico lucchese di quellâepoca scrivendo ad un amico lo informava: "che Lucca, essendo da tutte le bande circondata dai monti, è dominata piĂš dai venti caldi che freddi mediante la foce aperta verso Ripafratta, per la quale spesso piglia strada il libeccio, vento pessimo per Lucca. Quanto spetta allâaria voi sapete benissimo essere molto umida, e perciò sono nella nostra cittĂ tante scese, tanti catarri, tanti doloro di fianche, tante ernie e tante febbri lunghe ec." Ă altresĂŹ vero che le condizioni fisiche del clima di Lucca dal secolo XVI a questa parte sono assai migliorate in grazia di una maggior cura nelle opere idrauliche, sia perchĂŠ si tengono piĂš puliti i fossi e canali di scolo, quanto ancora per la custodia degli argini e il prosciugamento della pianura traversata dallâOzzeri e dal Serchio. Altronde la cittĂ di Lucca avendo una lunga foce dal lato di settentrione, e largheggiando la sua pianura dalla parte di levante, riceve conforto dai venti salutiferi che soffiano da oriente per cacciar via gli umidi vapori.
In quanto allâindustria agraria lucchese, tipo e modello di tutti i paesi, essa può dividersi in tre porzioni, sia per la qualitĂ del suolo, sia per la posizione ed elevazione respettiva del paese. In vista di ciò i Lucchesi distinguono il loro territorio agricola in tre maniere; la prima nel contado delle sei miglia, che comprende il piano intorno alla cittĂ di Lucca con le adiacenti colline; la seconda nel territorio della marina, in cui è Massarosa, Montramito, Viareggio e Camajore con la sua ubertosa vallecola; la terza è compresa nellâagricoltura dellâAppennino, cui spettano, in tutto o in parte, le comunitĂ di Villa Basilica, del Borgo a Mozzano, di Gallicano e dei Bagni di Lucca.
â Dalla prima si hanno nella pianura grani, ortaggi, siciliani, legumi, fieni, foglia di gelso e vini comuni in abbondanza; nelle colline adiacenti, olio squisito e il piĂš accreditato di tutti quelli dâItalia, dei frutti dâogni sorta, e, specialmente nei colli esposti a levante e a mezzogiorno, vini generosi. Nella parte posta fra i poggi e la marina suole raccogliersi grandissima quantitĂ di granturco, di fieno, e di giunchi per uso di seggiolame ed altro con vaste pinete. Il vino che quel suolo produce è salmastroso e fiacco. â Nei poggi delle interne vallecole, oltre il vino e lâolio, abbondano selve di castagni. Finalmente la terza porzione, detta dellâAppennino, nelle parti meglio esposte e meno elevate, olio e vino eccellente; in generale poi una gran quantitĂ di castagne, superiori quasi sempre al consumo del contado lucchese, talchè nelle buone annate se ne fa un commercio anche allâestero.
Le terre nella pianura di Lucca sono per lo piĂš date a livello agli stessi coltivatori mediante un annuo canone.
Nelle colline ha luogo il sistema della mezzerĂŹa. Alla marina i possidenti ordinariamente costumano di far lavorare a proprio conto i loro fondi posti a piè del monte, che sono per lo piĂš ulivati, mentre nella porzione spettante allâAppennino molti coltivatori sono padroni diretti del terreno, o affittuarii per lâutile dominio.
Non si conosce ancora con esatezza la superficie quadrata del territorio unito lucchese, comecchè esso approssimativamente sia calcolata insieme con la porzione staccata del suo territorio a circa 360 miglia quadrate toscane. Nella stessa superficie, allâanno 1832, si trovavano 150,225 abitanti; i quali, proporzionatamente ripartiti, darebbero 415 individui per ogni miglio quadrato a misura toscana, lo che starebbe a confermare lâopinione invalsa, che il territorio lucchese sia uno dei piĂš popolati che contino gli Stati d i Europa.
Popolazione del TERRITORIO LUCCHESE in epoche diverse.
Nellâanno 1733 la popolazione era di 113,190 Nellâanno 1744 la popolazione era di 114,693 Nellâanno 1758 la popolazione era di 118,128 Nellâanno 1781 la popolazione era di 119,209 Nellâanno 1818 la popolazione era di 126,645 Nellâanno 1819 la popolazione era di 127,895 Nellâanno 1820 la popolazione era di 129,513 Nellâanno 1821 la popolazione era di 132,045 Nellâanno 1822 la popolazione era di 135,175 Nellâanno 1823 la popolazione era di 136,927 Nellâanno 1824 la popolazione era di 138,698 Nellâanno 1827 la popolazione era di 145,825 Nellâanno 1828 la popolazione era di 147,980 Nellâanno 1832 la popolazione era di 150,225 Nellâanno 1837 la popolazione era di 164,151 Dallâenunziato prospetto pertanto apparisce, che la popolazione in 104 anni aumentò di 50,961 abitanti, quasi un terzo maggiore di quella del 1733, e del 1744; e che negli ultimi 19 anni (dal 1818 al 1817) fu sĂŹ rapido e straordinario lâaumento da trovare un soprappiĂš di 37, 506 abitanti.
Rapporto alle rispettive comunità il DUCATO DI LUCCA nel 1832 somministrò i seguenti resultati.
Nel Territorio unito ComunitĂ di Lucca, Abitanti N° 59,096 ComunitĂ di Capannori, Abitanti N° 31,431 ComunitĂ di Villa Basilica, Abitanti N° 6,851 ComunitĂ del Borgo (a Mozzano), Abitanti N° 9,631 ComunitĂ dei Bagni di Lucca, Abitanti N° 8,056 ComunitĂ di Coreglia, Abitanti N° 3,733 ComunitĂ di Gallicano, Abitanti N° 3,078 ComunitĂ di Camajore, Abitanti N° 13,722 ComunitĂ di Viareggio, Abitanti N° 11,166 Nel Territorio disunito ComunitĂ di Montignoso, Abitanti N° 1,378 ComunitĂ di Minucciano, Abitanti N° 2,083 TOTALE, Abitanti N° 150,225 Divisa per classi la popolazione del DUCATO DI LUCCA nellâanno 1832 presentò i seguenti resultamenti.
Famiglie nobili, N° 105 Clero secolare e regolare, N° 1,898 Forzâarmata di linea, non compresi i due battaglioni di guardia urbana, N° 750 Impiegati civili, N° 1,270 Possidenti terrieri e livellarii, N° 40,000 Addetti alle Arti e Mestieri, N° 6,300 Addetti alla Pesca e alla Marina, N° 450 SOMMA deglâindividui delle classi suddette, N° 50,793 Sulle quali classi vivevano gli altri abitanti dei due sessi di tutto il ducato, cioè, N° 99,432 TOTALE , N° 150,225 Donde ne consegue, che fra 4 abitanti contasi nello stato lucchese un possidente.
Il valore di tutti i beni stabili del Ducato di Lucca, a tenore del casato compilato al principio del presente secolo, ammontò a 112,500,000 di lire lucchesi. Giova per altro avvertire che, quando saranno terminate le attuali operazioni geodetiche e catastali del territorio lucchese, le suddette cifre, sia di misura come di valore, dovranno subire una variazione.
Una porzione però di tanta gente raccolta in sĂŹ piccolo spazio trae di che vivere il restante dellâanno lungi dalla patria. Avvegnachè due mila uomini con parte delle loro famiglie passano nelle fredde e temperate stagioni per lavorare in altri paesi, un migliajo nellâisola della Corsica, sette centinaja a un circa nelle granducali maremme; il restante poi gira attorno allâEuropa, e per fino al di lĂ di questa, dove vendono figurine di gesso e di stucco, per quindi recare il profitto che ne ritraggono in patria.
VICENDE PIUâ RIMARCHEVOLI DELLO STATO LUCCHESE Una questione di alta e difficile lena si addosserebbe colui che volesse dimostrare, quali fossero stati i confini dello stato di Lucca anteriormente allâimpero romano.
Avvegnachè poco piĂš vi è da sapere che il territorio in questione, quando faceva parte della Liguria dipendeva dal governo provinciale della Gallia Cisalpina, e ciò nel tempo in cui Pisa col distretto era compresa nella Toscana, ultima provincia occidentale dellâItalia propriamente detta, durante il dominio della romana repubblica. â Che se Polibio nelle sue istorie, se Sillace nel suo Periplo, fecero dellâArno il confine occidentale dellâEtruria; niuno di essi due, nĂŠ alcun altro scrittore, che a me sia noto, sembra essersi occupato di tramandare ai posteri, se il territorio antico pisano a quellâetĂ oltrepassasse o nò il fiume maggiore della Toscana. Ciò non ostante vi ha qualche ragione per indurci a credere, che il contado allâoccidente della cittĂ di Pisa verso la marina di Viareggio sâinoltrasse.
Per dar peso a tale congettura, quando altra testimonianza non vi fosse, giovano le parole di Tito Livio, il quale ne avvisò, che allâanno 561 di Roma il territorio di Luni confinava lungo il mare immediatamente con quello di Pisa. Un tal vero piĂš che altrove ci si rende manifesto lĂ dove lo storico, (libro XXXIV cap. 56) racconta, come Marco Cincio, allora prefetto in Pisa, mandò un avviso per lettere al senato, che ventimila Liguri di varie tribĂš avevano improvvisamente invaso e devastato le campagne di Luni, e di lĂ oltrepassando nel confine pisano fatta incursione in tutta quella spiaggia, cioè: Lunensem primum agrum depopulatos, Pisanum deide finem transgressos, omnem oram maris peragrasse. â Vedere ALPE APUANA Vol. I. pag. 71.
Inoltre dalle stesse espressioni, non che da altri riscontri dello storico menzionato, sembra resultare, che la cittĂ di Luni sino dâallora non solo dipendeva dal prefetto residente in Pisa, ma che il territorio di Luni verso il mare attaccava con quello pisano, e per conseguenza la cittĂ col porto lunese dovevano far parte dellâetrusca e non della ligustica regione.
A convalidare un tal fatto qui si presta opportunamente Strabone, il quale nella sua geografia istorica, sebbene scritta sotto lâimpero, e neâprimi anni di Tiberio, egli conservò la divisione politica delle provincie italiane secondo la ripartizione fatta dalla repubblica romana, piuttosto che adottare le innovazioni attribuite allâImperatore Ottaviano. Avvegnachè nella Toscana, e non nella Liguria, dal greco geografo fu inclusa la cittĂ e per fino il golfo ossia porto di Luni, comecchè questâultimo si trovi alla destra del fiume Magra, e conseguentemente nella provincia ligustica. Per lo contrario, rapporto al territorio lucchese, Stradone seguitando le tracce degli antichi storici romani, situò nella Gallia Cisalpina o Togata la cittĂ di Lucca insieme al suo territorio con tutto il restante della vecchia Liguria.
In ogni caso ne conseguita, che lâArno nei secoli VI e VII di Roma non era piĂš, e forse non servĂŹ mai di confine preciso fra la Toscana e la provincia dei Liguri, siccome sembra che non lo divenisse neppure il fiume Magra allâoccasione che la cittĂ insieme col porto di Luni fu riunita al dominio romano. Molto meno poi doveva a quellâetĂ fra la Liguria e lâEtruria servire di limite il Serchio, siccome fu supposto dallâerudito storico fiorentino Vincenzio Borghini; sia perchĂŠ questo fiume terminava collâArno a Pisa, sia perchĂŠ la valle da esso attraversata, a partire dalle confluenze dei due Serchii, cioè, da quello di Soraggio con lâaltro di Minacciano, fino da tempo immemorabile fu sotto la giurisdizione di Lucca.
Frattanto se mi venisse fatto il quesito: qual linea di demarcazione dividesse il territorio ligustico di Lucca da quello toscano di Luni e di Pisa? risponderei, che troppi ostacoli si frappongono per soddisfare a cotesta domanda, tosto che niuno a quel che ne sembra prese finora di mira la dilucidazione di cotesto importante subbietto di antica geografia patria.
Se però vogliamo affidarci alle cose da Tito Livio asserite; e se dobbiamo tener conto delle espressioni di Plinio il vecchio, fia gioco forza concedere, che il territorio della colonia di Lucca, punto nÊ poco si accostasse al litorale pietrasantino, ossia della Versilia, siccome avvenne realmente nei tempi posteriori.
Se poi amiamo di stare alla peculiare divisione fra la Toscana e la Gallia Cisalpina indicataci da Stradone nel quinto libro della sua opera storico-geografica, vedremo, che egli la traccia in termini equivalenti a un dipresso ai confini qui sotto espressi: LâAppennino (dice Stradone) progredendo dalla Liguria nellâEtruria lascia unâangusta spiaggia alla sua base, finchè dal mare a poco a poco si discosta, appena che arriva nel territorio pisano; e costĂ , voltando nella direzione di oriente, attraversa la penisola, finchè giunge alla marina tra Rimini e Ancona.
Quindi lâautore medesimo soggiunge: Cotesta traversa montuosa separa la Toscana e lâUmbria dalla Gallia Cisalpina. Se dobbiamo tener conto, io diceva, di coteste indicazioni, credo che non anderebbe molto lungi dal vero colui che supponese aver servito in quel tempo di linea di confine la piccola giogana dellâAlpe Apuana, la cui pendice meridionale, camminando da Fosdinovo a Pietrasanta, fu sempre della giurisdizione lunense; sicchè essa servisse di limite fra la toscana e la ligustica contrada, fra il litorale della Versilia, di Massa e Carrara e la valle di Garfagnana percorsa dal Serchio: in una parola fra il distretto di Luni e quello di Lucca. Lâultimo deâquali intorno allâanno 538 di Roma (216 anni innanzi GesĂš Cristo) venne compreso nella provincia della Gallia Cisalpina, nel tempo, cioè, in cui questa regione dal romano senato fu dichiarata provincia pretoriale.
In tale stato continuò a restare la cittĂ di Lucca con tutto il suo distretto, fino a che la Gallia Cisalpina, per Senatus consulto dellâanno 713 di Roma, e 41 avanti Ge sĂš Cristo, fu riunita allâItalia propriamente detta, affinchĂŠ dipendesse immediatamente dalle leggi ed istituzioni di Roma. (DION. CASS. Histor. Rom. Lib. XLVIII.) ResterĂ non ostante una grandissima difficoltĂ da superare, come sarebbe quella di sapere: quali fossero i confini fra il territorio lucchese e il distretto pisano dalla parte meridionale di Lucca: e se mai poteva esser quello, che servĂŹ poi di linea di demarcazione lungo il giogo del Monte pisano; in guisa che avvallandosi a Bientina, dovesse poi voltare faccia per andare incontro ai contrafforti dellâAppennino pesciatino e pistojese? In quanto spetta al territorio della colonia di Lucca verso settentrione, abbiamo dâonde arguire, châesso arrivasse sulla schiena dellâAppennino di Parma e di Piacenza dalla Tavola alimentaria scoperta nel 1747 presso la ripa del fiume Nura nellâantico territorio di Veleja. Nel quale monumento dellâetĂ di Trajano veggonsi incisi, non solo i nomi di molte famiglie che ipotecarono i loro fondi per sicurezza del denaro preso a frutto, ma ancora vi si legge la loro patria ed i titoli dei vici, o pagi, in cui i detti fondi erano situati. Arroge che, fra i 40 pagi ivi designati, avvenne uno (il pago Minervio) situato nella parte montuosa dellâAppennino velejate, il quale apparteneva alla colonia lucchese. Inoltre ivi si avvisa, che il pago Valerio, il pago Vellejo , il pago Albense, e molti boschi compresi nel territorio di Veleja, a quella etĂ confinavano con il territorio lucchese; et obbligare fundos Terentianos et Malapacios, qui sunt in Velejate pago Statiello, AD FINES REIPUBLICAE LUCENSIUM. Item fundos Lucilianos, Didianos, qui sunt in Velejate pago Valerio, ad fines LUCENSIBUSâŚ. Item fundum SatrianumâŚ. in Velejate pago Vellejo, ad FINES LUCENSIBUSâŚ. Item saltum Bittuniam Albitemium, QUI EST IN VELEJATE ET IN LUCENSI pagis Albense, et Minervio, et Statiello, AD FINES REIP. LUCENSIUM, etc.
Dopo letta quella preziosa Tavola chi oserebbe contraddire che lâantico agro della colonia lucchese non oltrepassasse di lĂ dai monti pontremolesi e di Borgo Taro onde giungere sino al territorio di Veleja? Cotesta Tavola alimentaria potrebbe giovare eziandio a scuoprirci la sede delle tribĂš di quei Liguri, i quali tra lâanno 565 e 575 di Roma furono combattuti ed espulsi dalle valli superiori del Taro e della Magra, ed il cui territorio, per lâestensione di (ERRATA: 303,000) 103,000 jugeri, nellâanno 577 di Roma, dâordine del senato venne distribuito fra i duemila cittadini romani della colonia dedotta a Lucca.
Forse qualcun altro domanderĂ : da qual parte il territorio, che fu nel 577 assegnato alla mentovata colonia di Lucca, fronteggiasse con quello dato tre anni innanzi alla colonia di diritto latino dedotta a Pisa? E come mai il territorio della lucchese colonia, penetrando nel rovescio dellâAppennino verso la Lombardia, conciliare si potrebbe con le parole di Tito Livio, il quale ne assicura, che i 303,000 jugeri del terreno assegnato alla colonia di Lucca, sebbene fosse stato tolto ai Liguri, innanzi tutto esso apparteneva agli Etruschi? Questioni importantissime, ma non confacenti a un dizionario istorico. â Dirò solo, in quanto allâultimo quesito, che le parole di Livio e la Tavola Velejate concordar potrebbero con le vicende istoriche, quante volte lâerudito, distinti bene i tempi e le cose, richiami alla sua memoria altri fatti di natura consimile. Citerò a modo di esempio, il caso non infrequente pel quale i legislatori del Campidoglio costumavano concedere ad una stessa colonia terreni distaccati dal territorio distrettuale della cittĂ , o capoluogo, da cui prendevano nome i coloni. â Per tal guisa non sembrerĂ strano, se Cicerone raccomandava a Decimo Bruto la sorveglianza e tutela sugli affitti ed entrate provenienti dai terreni che il municipio di Arpino, posto negli Abruzzi, possedeva nellâalta Italia. (Epist. Famil. Lib. XIII. n° 11 e 12).
NÊ tampoco fa opposizione il detto di Tito Livio in quanto al territorio assegnato alla colonia lucchese, per aver detto, tolto ai Liguri sebbene in origine stato degli Etruschi. Avvegnachè anche costassÚ nei contorni di Modena, di Parma ec. prima dei Liguri e dei Galli vi signoreggiò per lunga età quella confederazione che si appellò degli Etruschi Circompadani. E nella guisa che lo storico patavino disse, essere stato dei Toscani innanzi che fosse occupato dai Galli Boj il territorio, sul quale furono dedotte le colonie romane di Bologna, di Modena e di Parma (Histor. Lib. XXXVII, e XXXIX), per la ragione medesima quello consegnato alla colonia di Lucca potè per avventura essere un dÏ appartenuto agli Etruschi Circompadani o Transappennini; i quali furono espulsi dai contorni di Piacenza e di Parma dai Liguri Montani, Levi, Apuani, Briniati, e da altre simili tribÚ.
Dove apparisce anche meno chiara la verità , mi sembra dalla parte orientale del territorio lucchese; tostochè ignorasi affatto quali fossero i suoi confini sotto il romano dominio con quelli della Toscana.
Comunque vada la bisogna, ad ogni modo non mancano ragioni da conchiudere, che il territorio lucchese allâepoca romana abbracciava unâassai grande estensione di paese.
E questa doveva trovarsi ben popolata alla decadenza della Romana repubblica, essendochè la contrada di Lucca, per asserto di Stradone, era sparsa di frequenti casali e borgate abitate da gente rinomata per probità : e dalla quale il senato romano traeva gran moltitudine di scelte milizie a piedi e a cavallo: Regio tamen probitate virorum (disse quello scrittore) floret, et robur militare magnum hinc educitur, et equitum multitudo, ex quibus senatus militares capit ordines, etc. (GEOGRAPH. Lib.
V.) Da quali colonie si scegliessero le legioni e le coorti del senato di Roma ai tempi del greco geografo lo diede a conoscere Cornelio Tacito (Annales Lib. IV c. 5), quando avvertiva, che una milizia speciale e piĂš distinta tenevasi di guarnigione nella capitale dellâimpero; cioè, tre coorti urbane, e nove coorti pretoriane scelte dallâEtruria, dallâUmbria, dal vecchio Lazio e dalle colonie anticamente romane (et coloniis antiquitus romanis). Le quali ultime espressioni, a parere dellâeruditissimo istorico Borghini, vanno intese per colonie romane non state mai manomesse, nĂŠ riformate.
Da quanto ho qui accennato può quasi stabilirsi, che il decreto sulla nuova divisione politico-geografica, che staccò dalla Gallia Cisalpina il territorio lucchese per riunirlo alla Toscana, dovè pubblicarsi verso il principio del triumvirato di Ottaviano con Marcantonio e Lepido; cioè, 38 anni innanzi GesĂš Cristo. E sebbene piĂš volte nominato Stradone nella sua geografia adottasse lâantica divisione, e descrivesse Lucca col suo contado nella Gallia Citeriore, egli pertanto non mancò di avvertire, che fino daâsuoi tempi molti scrittori designavano la Magra per confine fra la Liguria e la Toscana, per quanto le cittĂ di Lucca e di Luni, anche nei temp i posteriori al romano impero, tenessero una parte del loro territorio nella ligustica regione. â Vedere LUNI e LUNIGIANA.
Altronde vi fu piĂš di uno scrittore il quale opinò, che non solo dal lato dellâAppennino anticamente sâinnoltrasse il territorio lucchese, ma eziandio credè che si estendesse di qua verso la Toscana fino nel volterrano e nelle grossetane maremme. Alla quale opinione presentavano un buon appoggio varii documenti dei secoli intorno al mille, appartenenti alla chiesa cattedrale di Lucca. Ma per aderire a tale opinione troppe difficoltĂ mi si affacciano, quali mi riserbo di esternare qui appresso. Vedere Articolo DIOCESI DI LUCCA.
Se nel trascorrere i tempi romani non troppo copiose furono le memorie che riferire potevano al territorio lucchese, anche piĂš scarse mi si presentano quelle relative ai secoli barbari. Durante i quali, se la giurisdizione civile ed ecclesiastica della cittĂ di Lucca venne accorciata e suddivisa dal lato settentrionale, sembra allâincontro che essa per nuovi acquisti andasse allargando dalla parte occidentale e meridionale sino al punto da pervenire verso ponente sul lido del mare, e dalla parte di scirocco arrivare nel Val dâArno inferiore sulle colline dellâEvola nel territorio sanminiatese, e verso la Valle dellâEra attraversare la vallecola della Cascina fino in Val di Tora.
Mancano è vero documenti anteriori al secolo VIII per dimostrare lâacquisto fatto dai Lucchesi nella Marina di Viareggio e di Pietrasanta. â Che se non fosse perduta la pergamena originale della fondazione della badia di Monte verdi, fatta nellâanno 754 da due signori longobardi, uno di Pisa, lâaltro di Lucca, forse potrebbesi da quel documento intendere meglio una espressione relativa alla chiesa e monastero di S. Salvatore di Versilia, (ora parrocchiale di S. Salvatore presso le mura di Pietrasanta), il qual monastero ivi si dichiara edificato nei predii di Walfredo nobile pisano situati sul confine dellâagro pisano e lunense: quem nos (Walfredo) edificavimus super campo Pisanica et Luniensi.
Infatti il fiume Versilia per lunga etĂ servĂŹ di confine orientale alla diocesi e giurisdizione lunense, siccome sembra che lo fosse durante il dominio romano rapporto al contiguo distretto civile di Pisa. Se non che col progredire dei secoli, a principiare almeno dalla dinastia Carolingia, dubito che le divisioni territoriali di alcune cittĂ della Toscana, e specialmente di quelle di Lucca e di Pisa, soffrissero una sensibile variazione. Alla qual epoca certamente ne richiamano le carte dellâArchivio Arcivescovile Lucchese, le quali dimostrano, come al secolo IX i confini dello stato lucchese, almeno per la giurisdizione spirituale, eransi dilatati al di lĂ della base meridionale dei monti di Camajore e di Pietrasanta, comecchè la diocesi ecclesiastica di Lucca avesse giĂ da lunga mano oltrepassato i confini dellâArno ed esteso il suo dominio alla sinistra di questo fiume sopra lâantica Toscana, a scapito verosimilmente del territorio di Pisa.
Infatti il distretto di San Miniato, ossia lâantico ed esteso pievanato di S. Genesio, nel secolo IX dipendeva dal governo di Lucca anche nel civile, siccome da lungo tempo innanzi gli era sottoposto per lâecclesiastico. Del qual vero non ne lascia dubitare una donazione fatta dal Marchese Adalberto il Ricco alla cattedrale di S. Martino sul cadere del suddetto secolo IX, o al principio del X; avvegnachè in quellâistrumento si dichiara, che il Marchese Adalberto donava le sue corti poste a Pescia e a S. Genesio, quas habere visus sum in Comitatu Lucense.
Ma se in tanta distanza di tempi e con scarsissime memorie fia difficile lâinvestigazione degli antichi limiti del territorio lucchese, alquanto meno oscuri essi appariscono dopo che la cittĂ di Lucca, nel secolo XII, emancipossi dal governo dei marchesi, duchi e conti imperiali.
In questo mezzo tempo, perciò che riguarda lâamministrazione civile e giudiciaria, a Lucca fu assegnata una gran parte della Val di Cornia, benchĂŠ compresa nella giurisdizione ecclesiastica di Populonia; sicchè essa valle, per diritto di conquista divenuto patrimonio del fisco, fu divisa fra il re e i duchi, dai quali passò per dono, o per successione ereditaria in altri potenti longobardi pisani e lucchesi. Vedere CORNINO (CONTADO e SUBDOMINIO).
Per lo stesso modo, come paese di prima aggressione deâLongobardi, Luni col suo territorio dipendere dovè nel civile e nel politico dal governo dei duchi lucchesi, almeno persino allâistituzione dei conti di Luni nella persona dei vescovi di quella cittĂ . â Vedere LUNI e LUNIGIANA.
In quanto poi allâestensione del territorio di Lucca nei secoli intorno al mille, oltre la carta di donazione del Marchese Adalberto II qui sopra rammentata, colla quale si dichiarano le corti di S. Genesio e di Pescia del contado lucchese, io giĂ feci conto, allâArticolo CERRETO GUIDI, di unâatto pubblico dellâano 1086, rogato ad istanza dei conti Guidi nel loro castello di Cerreto, giudicaria lucchese. Il quale rogito giova a dimostrare, che a quella etĂ il territorio lucchese estendevasi nel Val dâArno inferiore fino alle falde del Monte Albano; comecchè allâArticolo FUCECCHIO non omettesi di accennare un istrumento del 1034, in cui si dichiarava questâultimo castello della giurisdizione di Pistoja.
Per egual modo la chiesa di S. Donnino a Cerbaja , ora a Castel Martini, posta dentro i confini dellâantica Diocesi Lucchese, nel secolo XIII dipendeva nel politico da Pistoja. â Vedere DONNINO (S.) a CASTEL MARTINI.
Confinando pertanto il territorio di Lucca con quelli di Pisa e di Firenze, nei secoli posteiori al mille dovè andar soggetto a frequenti variazioni, secondo gli eventi delle guerre per cagione appunto di castella scambievolmente pretese e guerreggiate, tanto nella Val di Nievole come nella Versilia e nella Lunigiana, e ciò per sino a che la repubblica di Lucca, dallâanno 1439 al 1513, dovè lasciare affatto dal lato orientale il dominio della vicaria di Val di Nievole, ossia di Pescia, e le cinque terre di Val dâArno; dal lato settentrionale le vicarie di Barga, di Castelnuovo, e di Camporgiano, tutte in Garfagnana; e dal lato di ponente le vicarie di Massa Lunense, Carrara e Pietrasanta.
Furono erette posteriormente in vicarie, Gallicano, Minacciano e Montagnoso. Quelle di Capannori e di Viareggio sono di piĂš moderna istituzione; la prima di esse venne formata con una parte del contado delle sei miglia, e lâaltra con porzione della vicaria di Camajore.
La comunitĂ di Pescaglia conta la sua origine dallâanno 1838. Essa componesi di 17 sezioni o parrocchie con una popolazione di 5455 abitanti, che figura nel Quadro qui appresso insieme con la popolazione delle limitrofe comunitĂ di Lucca, di Borgo e di Camajore.
Il piÚ recente smembramento del territorio lucchese è stato fatto dalla dinastia attualmente regnante, la quale rinunziò a favore del duca di Modena il territorio di Castiglione in Garfagnana, circondato per ogni lato dagli Stati Estensi.
QUADRO della popolazione del DUCATO di LUCCA a tre epoche diverse.
- nome del Capoluogo di ComunitĂ : LUCCA cittĂ e comunelli compresi nella ComunitĂ .
Capitale: abitanti anno 1744 n° 20,770, abitanti anno 1832 n° 21,829, abitanti anno 1837 n° 23,167, famiglie nel 1837 n° 4,778 Sezioni (N° 83): abitanti anno 1744 n° 12,312, abitanti anno 1832 n° 37,267, abitanti anno 1837 n° 42,192, famiglie nel 1837 n° 7,110 - nome del Capoluogo di Comu nità : Viareggio città e comunelli compresi nella Comunità .
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 469, abitanti anno 1832 n° 4,883, abitanti anno 1837 n° 5,590, famiglie nel 1837 n° 1,041 Sezioni (N° 12): abitanti anno 1744 n° 1,810, abitanti anno 1832 n° 6,283, abitanti anno 1837 n° 7,281, famiglie nel 1837 n° 1,221 - nome del Capoluogo di Comunità : Camajore terra e comunelli compresi nella Comunità .
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 8,616 (compresi gli abitanti delle 20 sezioni), abitanti anno 1832 n° 2,661, abitanti anno 1837 n° 2,120, famiglie nel 1837 n° 2,692 (comprese le famiglie delle 20 sezioni) Sezioni (N° 20): abitanti anno 1744 n° 8,616 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 9,061, abitanti anno 1837 n° 12,127, famiglie nel 1837 n° 2,692 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Capannori borgata e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 32,595 (compresi gli abitanti delle 39 sezioni), abitanti anno 1832 n° 1,820, abitanti anno 1837 n° 33,952 (compresi gli abitanti delle 39 sezioni), famiglie nel 1837 n° 5,499 (comprese le famiglie delle 39 sezioni) Sezioni (N° 39): abitanti anno 1744 n° 32,595 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 29,611, abitanti anno 1837 n° 33,952 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 5,499 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Villa Basilica borgata e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 7,275 (compresi gli abitanti delle 11 sezioni), abitanti anno 1832 n° 3,472, abitanti anno 1837 n° 7,505 (compresi gli abitanti delle 11 sezioni), famiglie nel 1837 n° 1,473 (comprese le famiglie delle 11 sezioni) Sezioni (N° 11): abitanti anno 1744 n° 7,275 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 5,379, abitanti anno 1837 n° 7,505 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 1,473 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Montignoso villaggio e rocca senza comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 921, abitanti anno 1832 n° 1,378, abitanti anno 1837 n° 1,582, famiglie nel 1837 n° 341 Sezioni (N° -) - nome del Capoluogo di Comunità : Borgo a Mozzano villaggio e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 7,178 (compresi gli abitanti delle 25 sezioni), abitanti anno 1832 n° 741, abitanti anno 1837 n° 10,375 (compresi gli abitanti delle 25 sezioni), famiglie nel 1837 n° 1,981 (comprese le famiglie delle 25 sezioni) Sezioni (N° 25): abitanti anno 1744 n° 7,178 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 8,890, abitanti anno 1837 n° 10,375 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 1,981 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Bagno villaggio e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 7,567 (compresi gli abitanti delle 16 sezioni), abitanti anno 1832 n° 780, abitanti anno 1837 n° 8,470 (compresi gli abitanti delle 16 sezioni), famiglie nel 1837 n° 1,641 (comprese le famiglie delle 16 sezioni) Sezioni (N° 16): abitanti anno 1744 n° 7,567 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 7,276, abitanti anno 1837 n° 8,470 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 1,641 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Coreglia castello e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° -, abitanti anno 1832 n° 1,159, abitanti anno 1837 n° 4,228 (compresi gli abitanti delle 6 sezioni), famiglie nel 1837 n° 806 (comprese le famiglie delle 6 sezioni) Sezioni (N° 6): abitanti anno 1744 n° -, abitanti anno 1832 n° 2,574, abitanti anno 1837 n° 4,228 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 806 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Gallicano castello e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 2,464 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), abitanti anno 1832 n° 1,087, abitanti anno 1837 n° 3,359 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), famiglie nel 1837 n° 601 (comprese le famiglie delle 9 sezioni) Sezioni (N° 9): abitanti anno 1744 n° 2,464 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 1,991, abitanti anno 1837 n° 3,359 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 601 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Minucciano castello e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 2,016 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), abitanti anno 1832 n° 324, abitanti anno 1837 n° 2,203 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), famiglie nel 1837 n° 361 (comprese le famiglie delle 9 sezioni) Sezioni (N° 9): abitanti anno 1744 n° 2,016 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 1,759, abitanti anno 1837 n° 2,203 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 361 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Castiglione di Garfagnana.
Abitanti anno 1744 n° 2,606, abitanti anno 1832 n° -, abitanti anno 1837 n° -, famiglie nel 1837 n° - - Totale degli abitanti anno 1744 n° 106,599 - Totale degli abitanti anno 1832 n° 150,225 - Totale degli abitanti anno 1837 n° 164,151 - Totale delle famiglie anno 1837 n° 29,545 DIOCESI DI LUCCA La diocesi di Lucca è una delle piĂš antiche, siccome lo era tra le piĂš vaste della Toscana, il di cui gerarca, prima di essere arcivescovo (cioè nel 1726) fu sempre immediatamente soggetto alla Chiesa maggiore del cristianesimo, a quella cioè di Roma, come lo furono fino dal 4 secolo dellâEra volgare tutte le cattedrali della provincia etrusca. Quindi è che i vescovi di Lucca si trovano talvolta sottoscritti nei sinodi romani del secolo IV come suffraganei del sommo pontefice.
Che il martire S. Paolino, uno dei discepoli di S. Pietro, fosse il primo battezzatore dei Lucchesi venuti dal paganesimo alla fede di Cristo, ritiensi da ognuno per tal vero da non aver duopo di riandarvi sopra. BensĂŹ non tutti la penseranno come la pensò cinque secoli addietro il fiorentino Fazio degli Uberti, il quale nel suo Dittamondo scriveva di Lucca: Ma perchĂŠ illuminata dalla fede Fu pria châaltra cittade di Toscana Cangiò il suo nome, e LUCE se le diede.
Sebbene posteriormente allâepoca di S. Paolino la storia ecclesiastica abbia trovato qualche nome di altri presidi della chiesa lucchese, non avendo noi intorno a ciò dati positivi, ci conviene scendere per la serie dei piĂš antichi vescovi di Lucca a quel Massimo che nellâanno 347 di GesĂš Cristo assistè al concilio di Sardice celebrato nellâIllirio contro gli Ariani, e negli atti del quale si trovò segnato un Maximus a Thuscia de Luca.
Frattanto se, a opinione dei piĂš, le diocesi ecclesiastiche allâepoca della loro prima istituzione costituironsi sul perimetro distrettuale delle giurisdizioni civili, nel modo che allora trovavansi ripartiti i distretti delle cittĂ provinciali, resterĂ sempre da sapere, come giĂ dissi altre volte, quali fossero i limiti giurisdizionali di Lucca al IV secolo dellâEra cristiana, allora quando cioè esisteva egualmente che a Lucca il pontefice della diocesi di Pisa.
Certo è che dal terzo allâottavo secolo una profonda lacuna si pone innanzi a colui che tentasse cimentarsi ad attraversarla; nĂŠ io penso, che fosse per trovare ragioni plausibili da persuaderci colui che cercasse dedurlo dal perimetro che mostrava la diocesi lucchese sotto il regno dei Longobardi; cioè allora quando un personaggio medesimo col titolo di duca presedeva al governo di Pisa, di Luni e di Lucca. Aggiungasi ancora, qualmente le persone affini, e persino i figli dei duchi venivano promossi alla prima dignitĂ della chiesa lucchese, in guisa che eglino a preferenza degli altri vescovi furono beneficati e protetti a scapito forse delle vicine diocesi.
Non ha luogo pertanto a domandare, se, trovando noi al secolo VIII la diocesi di Lucca nelle colline di San Miniato, di Palaja e di Lari, il territorio lucchese fosse lo stesso dellâepoca romana, e conseguentemente che sin dâallora avesse oltrepassato gli antichi limiti per entrare in Toscana? Arroga a ciò, che lâuso dâinvadere arbitrariamente le parrocchie continuava eziandio ai tempi di Carlo Magno, siccome lo dimostrò Adriano I, tostochè egli chiedeva assistenza e cooperazione al nuovo re di Lombardia, acciocchĂŠ comandasse a certi vescovi dâItalia, e specialmente della Toscana, che non invadessero le diocesi e pievi antiche degli altri prelati, ec. (BARONII, Annal. Eccles. ad ann. 799).
Dopo tali premesse reputo superfluo di qui trattenermi per rispondere ad alcuni per altro rispettabili scrittori, i quali non contenti di dare alla diocesi lucchese, nei secoli anteriori al mille, unâestensione maggiore di quanto realmente se gli apparteneva, ne portarono i limiti non solamente dentro i contadi di Luni, di Pistoja, di Volterra e di Pisa, ma ancora in mezzo ad altre diocesi dalla lucchese afatto distaccate. â Il quale equivoco fu motivato segnatamente dal riscontrare nelle diocesi di Volterra, di Populonia, di Roselle e perfino di Sovana delle chiese, oratorii e cappelle di giuspadronato dei vescovi di Lucca, cui erano pervenute per donazioni, ossia per diritto ereditario. Comecchè andasse, non cade dubbio sopra un fatto piĂš confacente a dimostrare la giurisdizione episcopale, quello, intendo dire, di non riscontrarsi mai nelle diocesi e contadi sopra rammentati alcuna chiesa battesimale, o altra parrocchiale, dipendente dalla giurisdizione ecclesiastica di Lucca.
Che però in ogni caso non credo che la diocesi di Lucca fosse maggiore di quella dimostrata in un catalogo delle sue chiese, monasteri e pivieri redatto nel 1260 per ordine del Pontefice Alessandro IV. Da quel registro si conoscono non solamente i varii luoghi con chiesa succursale, i diversi ospedali, monasteri ed eremi, ma ancora le respettive rendite di ciascuna di esse e dei luoghi pii posti dentro i confini della diocesi. Dal prospetto medesimo resulta, che nel secolo XIII la diocesi di Lucca noverava 526 chiese; 58 di esse dentro la città con 4 canoniche, 13 ospedaletti, e 5 monasteri; altre 22 chiese erano suburbane con 6 monasteri e 3 spedali; mentre nel restante della diocesi esistevano 419 chiese, fra le quali 59 pievi, 32 spedaletti e 38 monasteri celle e romitorii.
Tutte coteste chiese e stabilimenti sacri al culto, allâanno 1260, possedevano la rendita annua di 164,433 lire senza contare lâentrate speciali del vescovato, che erano di 3500 lire allâanno. CosicchĂŠ, computandosi allora il fiorino dâoro a poco piĂš di lire due e mezzo per ciascuno, la rendita annuale del patrimonio ecclesiastico della diocesi di Lucca veniva a corrispondere intorno a 120,000 scudi di lire sette per scudo, della moneta corrente; per cui si richiedeva un capitale di 2,400,000 scudi, vale a dire 16,800,000 lire toscane!! Sappiamo frattanto da Paolo Warnefrido (De Reb.
Langobard. Lib. IV. 6.) che i Longobardi al loro apparire in Italia impossessaronsi della massima parte dei beni di chiesa; e con tutto che la regina Teodolinda fosse la prima ad impetrare dal re Agilulfo la restituzione di una parte del patrimonio alle chiese cattoliche, queste non tornarono ad arricchirsi se non dopo spariti i vescovi Ariani.
Finalmente a favorire le pie istituzioni di Lucca concorsero i devoti magnati di questa città e molti vescovi eletti tra le principali famiglie. Dondechè non deve far meraviglia, se la cattedrale lucchese giunse ad acquistare molti beni e giuspadronati di chiese, non solo dentro i confini della sua, ma ancora nei territorii di altre diocesi della Toscana, e specialmente nelle pisane e rosellane maremme.
Basta leggere i 150 documenti lucchesi spettanti allâepoca longobarda, che furono pubblicati nei volumi IV e V delle Memorie per servire alla storia di questo ducato, onde persuadersi delle ricchezze dalla cattedrale di S. Martino acquistate, e della grande quantitĂ di oratorii, monasteri e spedali dentro e fuori di Lucca fondati. Delle quali chiese, sebbene molte siano state ad altro uso destinate, o distrutte, pure ve ne restano tante anche oggidĂŹ aperte, e conservate al culto, da potere dar a Lucca lâepiteto di CittĂ devota.
Che se poi si voglia discendere dal secolo VIII sino al X per esaminare altri 1300 documenti di quel tempo, sempre piĂš si farĂ manifesto, quanto il patrimonio della chiesa lucchese andasse aumentando: in guisa che per causa di livelli si resero dei vescovi tributarie non solo le primarie famiglie della cittĂ e del contado, che figurano dopo il mille nella storia di Lucca, ma molti altri cittadini e perfino degli ebrei, i quali ottennero ad enfiteusi beni di chiesa. â Leggasi su questo rapporto un documento dellâ11 novembre anno mille, spettante allâArchivio Arcivescovile Lucchese edito nelle Mem. Cit. T. IV P. II, col quale atto il vescovo Gherardo rilasciò ad enfiteusi a Kanomino del fu Giuda, e a Samuele del fu Isacco, entrambi ex genere Ebreorum, beni in Sorbanello di pertinenza della chiesa di S. Maria Forisportam.
Essendo i vescovi riguardati fra i primi dignitarii del regno longobardo, incombeva ad essi lâobbligo in tempo di guerra di recarsi allâarmata per far la corte al re, o per incoraggiare con la loro presenza i soldati. Fu di questo numero il vescovo lucchese Walprando nato dal duca Walperto, il quale innanzi di partire per lâesercito, nel luglio dellâanno 754, fece il suo ultimo testamento in Lucca, che piĂš non si rivide. Con tale atto egli assegnò il suo pingue patrimonio sparso in Lunigiana, in Garfagnana, in Versilia e nelle pisane maremme, per metĂ alla mensa vescovile di S. Martino, e per lâaltra metĂ alle chiese di S. Frediano e di S. Reparata di Lucca, dichiarando il testatore che i suoi fratelli superstiti si contentassero di un legato in denaro.
NĂŠ da meno in ricchezze e per lustro di natali fu il vescovo Peredeo successore di Walprando, il quale destinò alla sua chiesa cattedrale il vasto patrimonio, châegli aveva ereditato dal di lui padre Pertualdo posto nel lucchese, nel pisano, volterrano, populoniense, e perfino nel rosellano, e sovanese territorio.
QUADRO SINOTTICO delle Pievi, Capitoli, Monasteri, Cappelle e Spedali della DIOCESI di LUCCA con le loro rendite allâanno 1260. (Le chiese della cittĂ di Lucca e suo distretto sono distinte per quartieri, in suburbane e in pivieri).
- LUCCA Porta S. Gervasio, n° delle chiese del quartiere: 19, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: 4, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 20,606 - LUCCA Porta S. Pietro, n° delle chiese del quartiere: 9, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 14,425 - LUCCA Porta S. Donato, n° delle chiese del quartiere: 20, n° dei monasteri: 4, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 20,609 - LUCCA Porta S. Frediano, n° delle chiese del quartiere: 10, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 14,425 - Suburbio della cittĂ di Lucca, n° delle chiese del suburbio: 22, n° dei monasteri: 6, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 18,830 - 1 Pieve di Compito, n° delle chiese del piviere: 17, n° dei monasteri: 4, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 6,640 - 2 Pieve di Vorno, n° delle chiese del piviere: 3, n° dei monasteri: 3, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 755 - 3 Pieve di Massa pisana, n° delle chiese del piviere: 11, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 3,785 - 4 Pieve di Vico Pelago, n° delle chiese del piviere: 3, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,755 - 5 Pieve di Flexo ora di Montuolo, n° delle chiese del piviere: 10, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,028 - 6 Pieve di Arliano, n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 556 - 7 Pieve di S. Macario, n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 664 - 8 Pieve di S. Stefano, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,050 - 9 Pieve di Mostesigradi, n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,146 - 10 Pieve di Torri, n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 536 - 11 Pieve di Sesto a Moriano, n° delle chiese del piviere: 12, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,354 - 12 Pieve di Brancoli, n° delle chiese del piviere: 12, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,523 - 13 Pieve di S. Pancrazio, n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 756 - 14 Pieve di Marlia, n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 971 - 15 Pieve di Lammari, n° delle chiese del piviere: 1, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 450 - 16 Pieve di Segromigno, n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 2,053 - 17 Pieve di S. Gennaro, n° delle chiese del piviere: 2, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 330 - 18 Pieve di Lunata, n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 890 - 19 Pieve di S. Paolo, n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,620 - 20 Pieve di Camajore, n° delle chiese del piviere: 15, n° dei monasteri: 3, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Versilia, rendita annua delle chiese: 3,485 - 21 Pieve di S. Felicita, n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Versilia, rendita annua delle chiese: 1,995 - 22 Pieve dâIlici, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Versilia, rendita annua delle chiese: 395 - 23 Pieve di Villa Basilica, n° delle chiese del piviere: 4, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Valle Ariana, rendita annua delle chiese: 490 - 24 Pieve di Valle Ariana, n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Valle Ariana, rendita annua delle chiese: 1,173 - 25 Pieve Avellana o Vellano, n° delle chiese del piviere: 1, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Valle Ariana, rendita annua delle chiese: 140 - 26 Pieve di Vico Pancelloro, n° delle chiese del piviere: 4, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Lima, rendita annua delle chiese: 516 - 27 Pieve di Controne, n° delle chiese del piviere: 10, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Lima, rendita annua delle chiese: 1,012 - 28 Pieve di Casabasciana, n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Lima , rendita annua delle chiese: 603 - 29 Pieve di Mozzano, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 392 - 30 Pieve di Decimo, n° delle chiese del piviere: 17, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,830 - 31 Pieve di Villa Terenzana, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Lima, rendita annua delle chiese: 528 - 32 Pieve di Loppia (*), n° delle chiese del piviere: 24, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 2,106 - 33 Pieve di Gallicano, n° delle chiese del piviere: 19, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,709 - 34 Pieve di Fosciana (*), n° delle chiese del piviere: 40, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,677 - 35 Pieve di Caregine (*), n° delle chiese del piviere: 1, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 490 - 36 Pieve di San Pietro in Campo (*), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 820 - 37 Pieve di Pescia (*), n° delle chiese del piviere: 19, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: 3, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 3,733 - 38 Pieve di Massa Buggianese (*), n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri del piviere: 4, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 1,743 - 39 Pieve di Montecatini (*), n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 2,302 - 40 Pieve di Vajano ora in Monte Vettolini (*), n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 765 - 41 Pieve di Cappiano (*), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: 2, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 4,265 - 42 Pieve di Cerreto (*), n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 1,097 - 43 Pieve di Ripoli (*), n° delle chiese del piviere: 3, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 340 - 44 Pieve di S. Maria a Monte (*), n° delle chiese del piviere: 19, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 1,846 - 45 Pieve di Laviano (distrutta), n° delle chiese del piviere: 2, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 120 - 46 Pieve di Appiano ora a Ponsacco (*), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEra, rendita annua delle chiese: 810 - 47 Pieve di Triana ora a Lari (*), n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 1,245 - 48 Pieve di Milliano e Leccia (distrutta), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora, rendita annua delle chiese: 271 - 49 Pieve di Tripallo (*), n° delle chiese del piviere: 11, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora, rendita annua delle chiese: 650 - 50 Pieve di Gello delle Colline, ora S. Eremo (*), n° delle chiese del piviere: 4, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 185 - 51 Pieve di Acqui (*), n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 606 - 52 Pieve di Suvilliana (disf.), n° delle chiese del piviere: 15, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 2,338 - 53 Pieve di Padule (distrutta), n° delle chiese del p iviere: 2, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 220 - 54 Pieve di S. Gervasio con la chiesa di S. Colombano (*), n° delle chiese del piviere: 23, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 2,370 - 55 Pieve di Musicano ora in Montopoli (*), n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEvola e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 1,350 - 56 Pieve di Barbinaja (*), n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEvola e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 624 - 57 Pieve di Quarazano (*), n° delle chiese del piviere: 12, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEvola e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 1,300 - 58 Pieve di S. Genesio ora in S. Miniato (*), n° delle chiese del piviere: 26, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 4,344 - 59 Pieve di Fabbrica (*), n° delle chiese del piviere: 20, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 2,012 - Totale chiese comprese nei quartieri e pivieri: 430 - Totale monasteri compresi nei quartieri e pivieri: 43 - Totale spedali compresi nei quartieri e pivieri: 53 - Totale rendite annue delle chiese comprese nei quartieri e pivieri: 164,433 N. B. Le pievi contrassegnate con lâasterisco (*) spettano ad altre Diocesi, e specialmente a quella di Sanminiato, di Pescia e di Massa di Carrara.
VICENDE TERRITORIALI DELLA DIOCESI DI LUCCA DOPO IL SECOLO XII Se ai monumenti poco sopra accennati si aggiunga la deliberazione presa dal Comune di Modena, nel luglio del 1222, per apporre i termini lungo il giogo dellâAppennino tra la diocesi modenese e quelle di Lucca e Pistoja, facilmente apparirĂ , che la giurisdizione ecclesiastica lucchese nel secolo XIII, al pari di quella di Arezzo, era senza dubbio la piĂš estesa della Toscana. PoichĂŠ, se lâaretina toccava gli estremi suoi confini dal grado 42° 58â al 43° 48â di latitudine, e dal grado 29° 15â al 29° 45â di longitudine; questa di Lucca nella sua piĂš lunga estensione arrivava dal grado 43° 31â al 44° 12â di latitudine, e dal grado 27° 53â sino al grado 28° 35â di longitudine.
Tale fu, ed in simile guisa il territorio ecclesiastico lucchese intatto si mantenne, finchè il Pontefice Leone X separò dallâantica sua cattedrale (anno 1519) la pieve di Pescia per dichiarare il suo parroco Preposto Nullius Dioecesis. Alla quale chiesa semi-episcopale lo stesso Papa volle assoggettare, oltre le consuete chiese suddite, ossia filiali della pieve pesciatina, molte altre parrocchie della Val di Nievole e di Valle Ariana, a partire dalla pieve Avellana, o di Castel vecchio, sino ai confini di quella di Vajano, ora di Monte Vettolini; per modo tale che la prepositura e collegiata di Pescia, nel 1727, dal Pontefice Benedetto XIII fu eretta in chiesa cattedrale. â Vedere PESCIA DIOCESI.
Il secondo e piĂš vasto smembramento della Diocesi di Lucca accadde nel 1622, quando il Pontefice Gregorio XI, per erigere in sede vescovile la prepositura di S. Maria e S. Genesio in Sanminiato, staccò dalla Diocesi lucchese i pivieri della giurisdizione civile del Granducato di Toscana compresi nella Valle inferiore dellâArno, in Val dâEvola, in Val dâEra e in Val di Tora, a partire cioè dalle terre fra lâArno e le Cerbaje, fino a Carigi sul Roglio di Val dâEra; a Colle Mattaccino in Val di Cascina, a Tremolato e Faglia in Val di Tora, a Crespina e Cenaja in Val Triana.
La terza riduzione della Diocesi di Lucca seguÏ sotto il pontificato di Pio VI; il quale per bolla del 18 luglio 1789 distaccò dalle parrocchie lucchesi quelle dei vicariati granducali di Barga e di Pietrasanta, oltre il distretto di Ripafratta, che assegnò tutti alla diocesi di Pisa, dalla quale la lucchese ebbe in cambio 7 chiese costituenti il piviere di Massaciuccoli.
Finalmente lâultimo e recentissimo smembramento fu decretato nel 1823 dal Pontefice Leone XII, nel tempo in cui fu eretta in cattedrale la collegiata di Massa di Carrara a carico delle diocesi di Luni-Sarzana e di Lucca.
Lâultima delle quali dovè perdere tutte le chiese comprese negli antichi pivieri della Garfagnana; cioè, quelle di Pieve Fosciana e di Caregine con una porzione del piviere di Gallicano.
In vista pertanto dei 4 smembramenti accennati la Diocesi di Lucca trovasi attualmente ristretta dentro i limiti del territorio unito del suo Ducato. Essendochè la comunitĂ staccata di Montagnoso dipende per lâecclesiastico dal vescovo di Massa, e lâaltra di Minucciano conservasi costantemente sotto gli antichi suoi pastori, che sono i vescovi di Luni-Sarzana.
Nello stato presente la Diocesi lucchese conta 251 chiese parrocchiali, undici delle quali dentro la cittĂ , e 32 pievi sotto matrici sparse nel territorio.
Vi sono in città quattro capitali, ossiano chiese collegiate, compresa la cattedrale: cioè, il duomo che conta 18 canonici e quattro dignità ; S. Michele con 10 canonici e una dignità ; S. Paolino con 10 canonici e una dignità ; S.
Alessandro con 8 canonici e una dignitĂ . Tra quelle fuori della capitale vi è Camajore, la quale è decorata di unâinsigne collegiata con 14 canonici e una dignitĂ , il Priore, cui fu concesso il privilegio dei pontificali.
Conservansi in Lucca due seminarii, uno addetto al servizio della cattedrale, lâaltro alla collegiata di S.
Michele.
I vescovi di Lucca ottennero il privilegio del pallio dal Pontefice Calisto II (anno 1120) e, per concessione del papa Alessandro II, quello della croce come gli arcivescovi. Finalmente per bolla del di 11 settembre 1726, Benedetto XIII innalzò la cattedra di S. Martino allâonore di sede arcivescovile, ma senza suffraganei.
La chiesa lucchese fornĂŹ un copioso numero di prelati celebri per santitĂ , per dottrina e virtĂš. Contansi fra i primi S. Paolino Antiocheno, lâapostolo dei Lucchesi; S.
Frediano, insigne loro patrono; Walprando e Peredeo per influenza politica e per vistose donazioni alla loro chiesa; S. Anselmo che col nome di Alessandro II riedificò lâattuale cattedrale, accrescendo onori e privilegii alla cittĂ di Lucca ed al suo clero; e S. Anselmo II, il consigliere della contessa Matilde, ec. â Furono famosi per dottrina e per esemplaritĂ di costumi un vescovo Sandonnini nel secolo XV, un Guidiccioni nel declinare del secolo XVI, un Mansi nel secolo XVIII; un Sardi al principio del secolo attuale, ec. ec.
COMUNITAâ DI LUCCA La comunitĂ di Lucca abbraccia, oltre la cittĂ , una campagna dâirregolare periferia, la di cui superficie non è stata ancora completamente misurata dai geometri che al presente si occupano nei lavori del catasto lucchese. â Innanzi la erezione della nuova comunitĂ di Pescaglia, cioè alla fine dellâanno 1837, questa di Lucca abbracciava, nella campagna 89 sezioni, con una popolazione di 42,192 abitanti, ripartita in 7110 famiglie, mentre la cittĂ era abitata da 23167 individui; sicchè nel 1837 tutta la popolazione della ComunitĂ di Lucca ascendeva al 65359 persone appartenenti a 11888 famiglie; lo che, equivale a individui 5 e 1/2 per ogni capo di casa.
Questa suddetta ComunitĂ confina con altre sette, cinque delle quali appartenenti al suo Ducato e le altre due spettanti al Granducato di Toscana. â Infatti, dalla parte di scirocco e di grecale essa tocca i confini della ComunitĂ di Capannori; dal lato di settentrione rasenta la ComunitĂ del Borgo a Mozzano; dalla parte di maestro ha la ComunitĂ di Camajore, dal lato di ponente quella di Viareggio ; dalla parte volta a libeccio tocca la ComunitĂ di Vecchiano, appartenente al Granducato; alla quale sottentra lâaltra ComunitĂ dei Bagni a S. Giuliano, pure del Granducato, e questâultima confina dal lato di ostro con la ComunitĂ di Lucca mediante la criniera del Monte pisano.
Il territorio della ComunitĂ in discorso consiste in una pianura profondamente coperta di ghiaja e di terre di recente alluvione, coronata alla destra del Serchio, cioè dal lato di grecale e di settentrione da colline di macigno (arenaria), di basciajo (schisto-marnoso), di grès color castagnuolo, di calcarea-compatta e di galestro; questo generalmente superiore, e quella inferiore alli strati di macigno. Dietro alle stesse colline si alzano le cosĂŹ dette Pizzorne, e il monte di Brancoli, mentre dal lato di maestro, di ponente e di grecale gli fanno spalliera lâalpe di Pascoso , di Montemagno , e il monte di Quiesa; la cui ossatura è formata di rocce di calcarea-semi-cristallina con vene metallifere, di schisto argilloso e di macigno; il tutto spesse volte coperto da galestro e da schisto marnoso alterato. Dal lato poi di ostro serve di cornice alla stessa pianura il marmoreo-verrucano monte di S. Giuliano, ossia Pisano, anchâesso sovrapposto nei fianchi, e alla base da un macigno a grossi elementi (selagite) dal grès castagnolo, e dal galestro. â Vedere MONTE PISANO.
Il territorio comunitativo di Lucca, a tenore dei diplomi di Arrigo IV, V e di Lottario III, stendevasi fino alle sei miglia intorno alla cittĂ . Quali fossero le borgate, ville, popoli e pivieri di esso contado, lo dichiarò un altro diploma di Arrigo VI dato nel Borgo di S. Donnino li 30 aprile del 1186. Col qual privilegio non solo fu confermata ai Lucchesi la giurisdizione dentrò le sei miglia attorno la cittĂ , ma affinchè non nascesse dubbio sulle ville comprese in detto contado, volle a sufficiente cautela, che fossero distintamente nominate per distretti di pivieri; cioè, di Sexto a Moriano, di Mostesigradi (ora Monsagrati), di S. Stefano, di S. Macario, di Arliano, di Massa (pisana), di Vorno, di Compito, di S. Paolo, di Lunata, di Lammari, di Marlia, di S. Pancrazio, di Subgromigno, e di S. Gennaro con tutte le ville e borgate comprese dentro i confini dei 15 pivieri, fra i quali però non si trova quello di Ripafratta. (Memor. Lucch. T. I.) I maggiori corsi dâacqua che attraversano il territorio della ComunitĂ di Lucca, dopo il Serchio che scorre fra le estreme falde occidentali delle Pizzorne e quelle orientali dellâAlpe di Pascoso, di Monte magno e del monte di Quiesa, si contano i torrenti Vinchiana , Fraga, Freddana, Cerchia e Contesora , che i primi due scendono a sinistra, e gli altri tre a destra per vuotarsi nel fiume sunnominato.
Considerando ora il Serchio nella sola sezione spettante al territorio comunitativo di Lucca, a partire dai secoli posteriori allâVIII dellâEra volgare, mi sembra rilevare dalle scritture del tempo, che questo fiume discendesse a Lucca tripartito, in guisa che il primo ramo passava a ponente poco lungi da Lucca, presso a poco comâora succede, lambendo il monticello di S. Quirico, davanti al quale era il ponte omonimo, altre volte detto del Marchese. Il ramo di mezzo rasentava le mura occidentali dei primi due cerchi della cittĂ , e questo appellossi parimente Serchio, o talvolta Auserclo; mentre il terzo ramo, che passava a levante di Lucca, fu chiamato costantemente Auxer, Auxere, poscia Ozzeri.
Io non rimonterò ad epoche troppo recondite, quando una delle tre diramazioni del Serchio, conosciuta tuttora col nome suo vetusto di Ozzeri (Auxer) scorreva da maestro a scirocco nella pianura orientale di Lucca per vuotarsi nel Lago di Bientina, e di lĂ per lâemissario della Auxerissola (vecchia Seressa) nel fiume Arno. Ma qui non debbo ommettere di rammentare la mirabile direzione data per opera di S. Frediano nel sesto secolo dellâEra volgare, forse al sinistro piuttosto che al ramo destro del Serchio, affine di liberare dalle inondazioni la pianura di Lucca, quando cioè questo medesimo Auxer discostandosi dalla cittĂ prese la direzione di Lammari, di Antraccoli, della pieve di S. Paolo in Gurgite, di Turingo, ec. â Di tale maravigliosa operazione e dellâandamento dellâAuxer (Ozzeri) dopo il sesto secolo piĂš non esistono tracce, se non forse quella accennata dallâalveo del fiumicello Ozzeretto, il quale scorre per Antraccoli, per la pieve di S.
Paolo, per Turingo e Sorbano, finchè sottentra lâattuale canale dellâOzzeri.
Sul qual proposito mi gioverò della non dubbia testimonianza di un antico e santo scrittore, cioè di S.
Gregorio Magno, il quale al lib. III cap. 9 dei suoi dialoghi diede a conoscere, che lâAuxe r innanzi allâepoca di S. Frediano scorreva vicino alle mura della cittĂ , e che spesse volte traboccava dal suo alveo con danno delle vicine campagne. Che poi lo stesso Auxer, tradotto in Ozzeri, fosse diverso dal Serchio, il quale passava dal lato occidentale della cittĂ , anche meglio lo mostrava un rozzo poeta, scrittore del secolo XII, allorchè, decantando le azioni di S. Frediano, disse che, dopo il prodigioso deviamento dellâAuxer, piacque al S. Vescovo di recarsi nella campagna di Lunata, vico quasi tre miglia a levante di Lucca; nella quale circostanza alcuni villani di quella vicinanza fecero al santo vescovo tali insulti da giungere persino a percuoterlo, indispettiti, dice il Bertini, di vedere occupato al nuovo alveo dellâAuxer i loro terreni. â (BERTINI Memor. Lucch. T. IV pag. 260 e 261.) Infatti moltissime pergamene lucchesi posteriori al secolo VII danno bastantemente a divedere lâandamento del nuovo alveo dellâAuxer, nelle vicinanze di S. Paolo, di Turingo, di Sorbano ec., siccome fu accennato allâArticolo GORGO (S. PAOLO IN) â Vedere LAGO DI BIENTINA, OZZERI, SERCHIO, SORBANO ec.
Che però limitandomi qui a far parola del corso dellâOzzeri, che attraversa attualmente nella direzione da levante a ponente la campagna allâostro di Lucca, dirò, che in grazia delle antiche naturali colmate di cotesta pianura posta lungo la base settentrionale del Monte pisano, questo corso dâacqua ha una doppia, sebbene languida inclinazione; tostochè la parte occidentale scola nel Serchio, mentre il armo orientale dellâOzzeri fluisce nel Lago di Sesto, ossia di Bientina, sotto nome di canale Rogio.
Contuttociò la livellazione del piano di Lucca e dellâalveo del Serchio, essendo decisamente superiore al livello del Lago suddetto (Vedere le due Tavolette dellâAltezze a pagg. 873 e 874), si dovette ricorrere nel 1786 alla costruzione delle cateratte in bocca dâOzzeri, onde con esse riparare al rigurgito del Serchio fluente nel Lago, e cosĂŹ impedire le frequenti innondazioni, cui era soggetta la pianura orientale di Lucca. â Vedere OZZERI e SERCHIO.
Allo stesso scopo di rimediare in parte simili inconvenienti dello spagliamento delle acque, che per lâantico alveo dellâOzzeri scorrevano vaganti e senza ripe nella pianura di Lucca, il governo della repubblica nei secoli andati risolvè di ridurre il Serchio in un solo alveo col dare a questo unâampiezza maggiore.
Nel 1562 pertanto incominciossi la costruzione del grande argine di Saltocchio, che si continuò fin verso la cittĂ , di maniera che in una estensione di quasi quattro miglia furono restituiti alla cultura circa mille quadrati agrarii di terreno giĂ stato ricoperto da ciottoli e da grosse ghiaje. â La quale arginazione fu con maggiore impegno accresciuta dopo che le straordinarie piene del 1624 diressero gran parte dellâacque del Serchio nel Lago di Bientina; donde avvenne che ne conseguirono forti reclami per parte del governo di Firenze, in guisa che la repubblica di Lucca nel 1627 deliberò di far di nuovo allargare lâalveo del Serchio sino a 300 braccia, e di destinare braccia 200 per la golena dalla parte sinistra, e braccia 40 dal lato destro del fiume.
Finalmente neppure questi argini essendo riesciti a contenere il Serchio nelle sue maggiori escrescenze, e veduti i danni da esso apportati nella piena del 1812 alle campagne di Lucca, per ordine della principessa Elisa furono rifatti importantissimi e dispendiosissimi lavori, e quindi rialzati gli argini tre braccia piĂš che non lo erano nel 1812.
Resta a dire del canale denominato il Fosso , il quale entra ed attraversa la cittĂ di Lucca da tempi remotissimi, sebbene abbia variato direzione, e sia stato ampliato dalla repubblica lucchese per benefizio della popolazione e degli edifizii manifatturieri. â Cotesto Fosso prende le acque dal Serchio presso S. Gimignano a Moriano, e di lĂ per Saltocchio, per S. Pietro, e S. Cassiano a Vico, dopo aver servito allâirrigazione di quelle campagne, col somministrare lâacqua a diversi mulini, gualchiere, e ad altri edifizii economici, entra in cittĂ , le cui strade percorre da grecale a libeccio in guisa di una copiosissima gora, ora scoperto, ora coperto, ma sempre difeso da parapetti e fornito di frequenti ponti per attraversarlo.
Lâorigine di questo canale, come dissi, è antichissima, tostochè le memorie di una gora che entrava in cittĂ presso la Porta S. Gervasio, rimontano al secolo IX. La qual gora a quellâepoca passava per la corte della Regina, mentre fra S. Giusto e la piazza ducale esisteva una pescaja che metteva in moto le macine di un mulino spettante alla chiesa di S. Pietro ad Vincula, siccome lo prova un contratto di fitto di quellâedifizio fatto nel 5 novembre dellâanno 862. (Memor. Lucch. T. V. P. II.) La stessa gora, o Fossa dirigevasi dalla corte della Regina verso la piazza di S. Michele in Foro , dovâera attraversata da un ponticello e quindi da una seconda pescaja, nel modo che leggesi in un istrumento del 1134 dellâArchivio di S. Paolino, in cui sono descritti i confini di una casa posta in Lucca juxta pontem, qui dicitur ad Forum, ab alia parte coheret cum sepe, etc. In altri documenti di poco posteriori, sotto gli anni 1169, 1183, e 1206, la chiesa medesima è designata con questa indicazione: Ecclesia S. Michaelis de Ponte ad Forum, et juxta pontem S. Angeli in Foro. (MORICONI, DellâantichitĂ di Lucca ec. Lib. II. MS.) A rintracciare la continuazione dellâantico fosso giova al caso nostro un istrumento del 1178, in cui cotesta gora macinante nella sezione tra la chiesa di S. Michele e quella di S. Matteo appellavasi la Fossa di Natale, dicendosi: in Eccl. S. Mathaei in civitate lucana juxta fossam, quae dicitur Natalis.
Era probabilmente una derivazione della stessa Fossa quella di cui fa parola nello statuto lucchese del 1308 al capitolo 33. â Finalmente con provvisione del 29 agosto 1369 la Signoria di Lucca ordinò, che per comodo deâcittadini, per difesa e splendore della cittĂ , e per vantaggio e facilitĂ delle manifatture si costruisse un acquedotto che traesse lâacqua dal Serchio, e sul quale si fabbricassero dei mulini, ed altri utili edifizj. La deliberazione peraltro non specificò il punto donde lâacquedotto dovesse partire, se dal Serchio direttamente, o dalla continuazione di quello che negli Statuti del 1308 trovasi rammentato.
Non essendo però quel fosso difeso da cateratte e da argini sufficienti ad assicurare la circostante pianura dalle escrescenze del medesimo, con provvisione dei 21 febbrajo 1505, e dei 13 agosto 1507 fu deliberato, che la presa delle sue acque si facesse di contro alla pieve di Sesto a Moriano. Ma neppur qui potè sussistere la cangiata imboccatura dellâacquedotto, la quale nel 1585 fu tolta di lĂ e aperta sopra il paese di Sesto a Moriano, onde condurre il canale nella guisa che tuttavia sussiste con grande vantaggio delle adiacenti campagne e della cittĂ . Essendochè il fosso mette in moto alcuni mulini, e diversi edifizii manifatturieri, oltre il benefizio che apporta alle tintorie, alle fabbriche di conce, ai lavandari, e allâirrigazione di molti giardini.
Dovendo rammentare i ponti che attualmente cavalcano il Serchio e lâOzzeri, dirò, che il primo nel tragitto che fa per il territorio della ComunitĂ di Lucca, cioè da Brancoli sino al di sotto di Nozzano, viene attraversato da tre ponti di pietra. Il piĂš alto è detto Ponte a Moriano , di cui si hanno memorie fino dal secolo VIII. Era anticamente di legname, poi di macigno, rifatto nel 1490 da Matteo Civitali; ma nel 1580 essendo in parte rovinato, furono riedificati i due archi nel 1582 da Vincenzio Civitali nipote del primo artista.
Nel secolo però che corre (anno 1832) un nuovo ponte vi è stato edificato di pietra serena levata delle vicine cave.
Ă del primo piĂš largo e piĂš pianeggiante, disegnato e diretto dallâarchitetto lucchese Giovanni Lazzarini.
Il secondo ponte, che prese nome dallâopposta collina di S. Quirico, è il piĂš prossimo di tutti a Lucca. Esso trovasi fuori della Porta al Borgo circa 1250 braccia lontano dalla cittĂ . Era egualmente del primo tutto di legname, talchè molte volte nelle guerre della repubblica lucchese, per impedire ai nemici il passaggio del fiume, veniva appositamente disfatto; ma nel 1363, scrive il Donati, furono fatti i piloni di pietra, servendosi, a detta di quellâautore, dei materiali della distrutta cittadella dellâAugusta; lo che, se fosse vero, converrebbe ammettere che lâAugusta venisse demolita innanzi il 1369, siccome ne informa la storia. Peraltro neppur questo ponte resistè allâurto violento delle acque, sicchè in una straordinaria escrescenza del fiume furono rovesciati i piloni, e il ponte cadde in unâistante.
Allora fu che si tornò a fabbricarlo intieramente di legname. Variate però le circostanze politiche dopo lâestinzione delle repubbliche a Lucca limitrofe, il ponte minacciando di rovinare fu ordinato a Bramante Soldini, che tutto di pietra lo rifacesse, siccome avvisava unâiscrizione. Ma in vista del rialzamento dellâalveo del fiume, essendo rimasta angusta la luce degli archi, fu atterrato nel 1813, e quindi riedificato piĂš ampio tra il 1816 e 1818; al quale anno appella la lapida in lettere dâoro posta in mezzo al ponte medesimo davanti a unâedicola avente una statuina di S. Frediano.
Il terzo ponte è quello detto di S. Pietro , distante piĂš di due miglia dalla porta della cittĂ . La sua origine per altro non dovrebbâessere piĂš antica del secolo IX o X, quando signoreggiavano in Lucca i ma rchesi di Toscana. E forse devesi a uno di questi toparchi la sua fondazione, essendochè fu chiamato il ponte del Marchese, seppure non ebbe tale indicazione per la ragione delle possessioni che i marchesi Adalberti e Bonifazii tenevano fra la Porta S. Pietro e il Serchio. â Comunque fosse la bisogna, innanzi la fondazione del ponte S. Pietro, costĂ presso doveva esservi per il passaggio del Serchio una Nave, il cui vocabolo è rimasto alla contigua contrada di S. Matteo alla Nave. â Vedere NAVE (S. MATTEO ALLA).
Dallâanno 1372 al 1375 il ponte S. Pietro fu rifatto, e nellâanno 1535 nuovamente ricostruito, ma sempre di legname, fino a che nel principio del secolo XVIII si riedificò tutto di pietra.
In quanto ai ponti dellâOzzeri mancano i documenti per far parola di quelli che dovevano cavalcare lâantichissimo ramo dellâAuxer che scendeva dal Serchio, a levante della cittĂ , deviato dalle sue mura per opera, come si disse, di S. Frediano.
I ponti pertanto che attraversano attualmente il canale dellâOzzeri, a partire dalle pendici settentrionali del monte S. Giuliano sino al perno variabile, dove le acque dellâOzzeri bilanciano con quelle che fluiscono per il Rogio nel Lago di Bientina, sono i seguenti, 1° il ponte Strada dirimpetto alla chiesa di Guamo; 2° il ponte deâFrati, il quale è posto sotto la confluenza dellâOzzeretto, dove termina lo stradello lungo il canale della Formica. Poco distante di lĂ trovasi il terzo ponte piĂš famoso di tutti, sulla strada maestra di S. Maria del Giudice, o del Monte S. Giuliano. Questo ponte, che porta il nome di Ponte tetto , era difeso da due torri, e costĂ lâOzzeri doveva avere un alveo assai piĂš largo del fosso attuale, tostochè alcuni archi dellâantico ponte trovansi sotterrati dagli argini piĂš angusti. Infatti lâannalista Tolomeo, parlando della sorpresa di una mano di soldati comandati dal re Corradino, il quale si mosse da Pisa per la via del Monte S. Giuliano contro Lucca; ma dovè retrocedere per aver trovato il passo di Ponte tetto difeso dai Lucchesi, soggiungendo: che ivi est Auxeris aqua profunda et lata, neque vadabilis. â Il ° e il 5° ponte sullâOzzeri diconsi di Salissimo e di Gattajola dalla contrada compresa in questâultima parrocchia. Il 6° cavalca il canale fra le chiese di Fagnano e di Meati; finalmente il 7° ponte è sulla strada postale fra Ripafratta e Lucca presso la pieve di Montuolo, giĂ del Flesso; la quale chiesa innanzi il mille era situata sulla ripa sinistra, e non giĂ , come lo è adesso, sulla destra dellâOzzeri. â Vedere MONTUOLO.
Strade maestre mantenute a carico dello stato nel Ducato di Lucca 1. Le 4 strade postali che escono dalle 4 porte della cittĂ di Lucca sono, la strada Pisana, la strada Pesciatina o Fiorentina, la strada deâBagni e la strada Massese o di Genova.
2. La strada detta delle Tagliate; per la porzione che gira al largo degli spalti di levante, settentrione e maestro. â Essa staccasi dalla strada postale Pesciatina, passando dalla chiesa di S. Marco, dal luogo denominato ai Giannotti e dal Campo santo per riunirsi alla postale Pisana. Il restante della strada medesima dal lato di ponente e di ostro è a carico della ComunitĂ di Lucca.
3. La strada traversa di Marlia, che dalla postale Pesciatina conduce alla Regia villa e parco di Marlia.
4. Altra strada traversa per Marlia, che staccasi da quella postale deâBagni e conduce lungo il torrente Fraga alla stessa Regia villa.
5. Strada dellâAltopascio, ossia lâantica strada Francesca, che staccasi dalla postale Pesciatina fuori di Porta nuova, e per S. Paolo, Paganico e Turchetto entra nel Granducato al porto dellâAltopascio.
6. Strada del Tiglio che si parte dalla Francesca, al di lĂ della pieve di S. Paolo, e varcando il Rogio sul Ponte Maggiore passa per la Badia a Sesto, sotto Castel vecchio di Compito, e al Tiglio sul Lago di Bientina, dove sottentra il territorio granducale.
7. Strada del Monte S. Giuliano. â Ă lâantica via maestra che esce dalla Porta S. Pietro, per dirigersi a Vaccoli, quindi passa lâOzzeri sul Ponte tetto, e di lĂ per Massa pisana sale il monte S. Giuliano, sul cui vertice continua il cammino nel territorio granducale dei Bagni di S.
Giuliano.
8. Strada per Barga e Castelnuovo di Garfagnana. â Staccasi dalla postale deâBagni di Lucca presso alla confluenza della Lima sul ponte di Chifenti, rasentando la sponda sinistra del Serchio, sino alla confluenza dellâAnia, dove continua nel territorio granducale sino a Barga. â La strada poi di Castelnuovo traversa il Serchio sul ponte di Calporno, e di lĂ presso il borgo di Gallicano sâincammina a Castelnuovo dello Stato Estense.
9. Strada da Montramito a Viareggio. â Staccasi a Montramito dalla postale Massese per condurre a Viareggio.
10. Strada da Montramito alla Regia villa di Stiava . â Ă un breve tratto di due miglia a grecale di Montramito.
11. Strada Regia Modanese aperta da Maria Luisa di Borbone nella terza decade del secolo attuale. â Staccasi dalla strada di Barga fra la Lima e la Fegana, e rimonta lungo la ripa sinistra di questâultimo torrente sul fiano occidentale del monte Fegatese; di lĂ trapassando diversi ponti sale per tortuosi giri sino al varco occidentale del Rondinajo , che è il monte piĂš elevato di tutto lâAppennino toscano. CostassĂš alla foce al Giogo, sottentra il territorio modanese, nel quale la strada scende lungo le prime fonti del fiume Scoltenna per dirigersi a Pieve a Pelago, dove si riunisce alla postale che viene da Bosco lungo dellâAbetone nel Granducato.
12. Finalmente la strada per Camajore lungo la Freddana, per la fiumana di Nocchi, va ad ampliarsi per la parte di Val di Serchio a carico della ComunitĂ di Lucca, e per la parte della vallecola di Camajore sarĂ tenuta dallo Stato.
Una nuova strada, che chiamerò provinciale, perchĂŠ ampia rotabile e utilissima a piĂš dâuna comunitĂ , è quella che sta attualmente per compirsi fra Lucca e Massaciuccoli. La medesima si stacca dalla postale Massese passato il ponte S. Pietro, di lĂ dirigesi sotto il colle di Nozzano, passa per Balbano, e sale i poggi che corrono fra il monte di Quiesa e Castiglioncello, i quali poggi servono di anello di comunicazione fra lâAlpe Apuana ed il Monte Pisano. Di lĂ la stessa strada scende fra le masse di calcarea semigranosa sino allâorlo del lago di Massaciuccoli, dove per via di fosse trasportansi le merci venute di oltremare a Viareggio.
Fin qui del territorio comutativo, ora della cittĂ . â Ogni qual volta si potessero avere dati sicuri, che il lastrico in questâanno ed anche nei tempi addietro scoperto a quattro e perfino a braccia sei e mezzo sotto le strade attuali della cittĂ di Lucca, ogni qualvolta dico quel lastrico fosse appartenuto ad antiche vie, noi avremmo un dato positivo per conchiudere, che il piano piĂš vetusto di Lucca e della circostante pianura era almeno cinque in sei braccia inferiore allâattuale. Alla qual conclusione mi sembra che in parte si prestino le vestigia dellâanfiteatro lucchese: avvegnachè lo zoccolo dei suoi archi esteriori trovasi basato qualche braccio sotto la strada che fiancheggia quellâedifizio eretto nei primi secoli dellâimpero romano.
Primo cerchio delle mura di Lucca. â Tre sono i successivi cerchi delle mura di questa cittĂ . â A qual epoca risalga il primo, ignorasi assolutamente; poichĂŠ, sebbene qualcuno abbia sospettato essere stata quellâopera eseguita durante lâimpero di Probo, e qualcun altro ne abbia fatto autore il re Desiderio, vi sono peraltro migliori ragioni per credere il primo cerchio assai piĂš antico, sia perchĂŠ Frontino diede a conoscere Lucca munita di mura sino dai tempi della repubblica romana, sia perchĂŠ non poche vestigia di quel cerchio di costruzione allâetrusca incontraronsi nei secoli ultimi scorsi, ed anche alla nostra etĂ . Infatti delle antiche mura sussistono visibili tracce sul canto del palazzo arcivescovile nella parte volta a scirocco che guarda il bastione di S. Colombano, e sul muro cui si appoggia lâoratorio di S. Maria della Rosa. La qual venerata immagine fu dipinta sulla vecchia muraglia dalla parte esterna della cittĂ , nel luogo istesso dove fu costruita nel 1309 quella graziosa chiesina che tuttora vi resta.
Sono visibili costĂ grandi massi di pietra calcarea di forma parallelepippeda, scavati dal Monte S. Giuliano.
Dei quali massi recentemente se nâestrassero alcuni dalla parete dello stesso oratorio, della grossezza di quattro e piĂš braccia. Attualmente, sopra la muraglia medesima posa la facciata posteriore del palazzo arcivescovile.
Di altre consimili pietre, cavate in altri luoghi dai fondamenti delle stesse mura, fece testimonianza quasi due secoli indietro il canonico LibertĂ Moriconi nella sua opera MS delle AntichitĂ di Lucca.
Dallâoratorio suddetto, dirigendosi in linea retta a settentrione lungo la strada della Rosa, il muro del primo cerchio doveva attraversare la piazza di S. Maria del Presepe, ossia di S. Maria Maggiore, detta Forisportam, per essere stata fabbricata fuori di cittĂ insieme colla distrutta chiesa contigua di S. Gervasio. Da questâultima prese il nome la porta di S. Gervasio, giĂ romana, per dove esciva la via Francesca, o Romèa. Stanno in appoggio di ciò molti istrumenti dellâArchivio Arcivescovile Lucchese dal secolo VIII al XII, i quali rammentano la chiesa di S. Maria e S. Gervasio posta juxta murum civitatis Lucae. â E meglio ancora ce lo manifesta altra pergamena dellâanno 1063 dello spedale della Misericordia, in cui si legge: Ecclesiae S. Mariae, quae dicitur Majoris, aedificata extra civitatem Lucensem, prope muros ipsius civitatis, et prope portam, quae dicitur S. Gervasii.
Continuando lâandamento del primo giro, questo dirigevasi lungo la strada oggi detta dellâAngelo Custode fino dietro la chiesa di S. Simone, che dal lato della tribuna appoggiavasi al muro della cittĂ . Ciò vien provato, fra i molti, da un istrumento del 22 aprile 839, col quale il proprietario rinunziò al vescovo di Lucca Ecclesia mea S.
Simeonis sita infra hanc civitatem recta muro istius civitatis, etc. (Mem. Lucch. T. V. P. II.) A questo punto pare che terminasse la linea orientale, sicchè voltando faccia da levante a grecale, le vecchie mura della cittĂ per una traversa diretta a maestro passavano dal canto oggi detto dellâImpresa sulla via del Fil lungo, la dove escir doveva dalla Porta settentrionale che prese il nome dal borgo di S. Frediano. CostĂ il muro piegando alquanto in fuori passava per mezzo alle case Boccella e giungeva a tergo della distrutta chiesa di S.
Giovanni in Muro , presso alla quale nel secolo XIV fu eretto il Monastero con la chiesa di S. Agostino.
In cotesta traversa veniva incluso dentro la cittĂ il teatro romano, i di cui ruderi sâincontrano tuttora fra la chiesa di S. Agostino e il convento di S. Maria Cortelandini; mentre lâanfiteatro con le chiese di S. Pietro Somaldi, di S. Pietro Cigoli, di S. Andrea, di S. Micheletto, di S.
Frediano, di S. Leonardo e molte altre restavano nei borghi fuori del primo cerchio della cittĂ .
A S. Giovanni in Muro , cosĂŹ detto per esser contiguo alle mura settentrionali, queste voltavano direzione da maestro a libeccio, passando rasenti alla chiesa di S. Tommaso, situata, come dice un documento del 924, infra hanc civitatem et recta muro istius civitatis. â Progredendo di lĂ le mura lasciavano dentro la chiesa e monastero di S.
Giorgio, siccome ne avvisano diverse membrane dellâArchivio Arcivescovile di Lucca dei secoli intorno al mille.
La linea di fronte a libeccio percorreva da S. Giorgio fino alla cosĂŹ detta Cittadella ; in mezzo al quale tragitto, nel canto corrispondente a un dipresso alla moderna piazza dei Malcontenti, doveva trovarsi la porta occidentale, alquanto piĂš indietro di quella del secondo e del terzo cerchio, cui fu dato il nome di S. Donato da unâantica chiesa che restava fuori della cittĂ insieme con quelle di S. Giustina (giĂ S. Salvatore in Brisciano) di S.
Benedetto, ora del Crocifisso dei Bianchi, ed altre.
Finalmente dal luogo della Cittadella le mura dirigendosi verso levante e grecale arrivavano al palazzo vescovile dopo aver rasentato lâorto, ossia il Brolio della canonica di S. Martino; dalla qual linea restavano esclusi dalla cittĂ il monastero di S. Maria del Corso , fondato nel 722, e le chiese ora distrutte di S. Pietro ad Vincula, deâSS. Filippo e Giacomo, di S. Colombano, di S. Silvestro e delle estinte S. Bartolommeo in Silice.
In mezzo a questâultimo lato trovavasi la porta S. Pietro, presso cui sino dallâanno 720 fu eretta la chiesa di S.
Silvestro e lâannesso ospedale per alloggiarvi e nutrirvi i pellegrini. â (Memor. Lucch. T. V. P. II.) A poca distanza dalla porta S. Pietro esisteva una porticciuola, che nel secolo XI dicevasi postierla di Leone Giudice, ossia che costĂ fossero le case di quel ricco magnate lucchese, o perchĂŠ da tale postierla esciva la strada maestra che guida in linea retta a S. Maria di Leone Giudice, e di lĂ per il Monte S. Giuliano a Pisa. Forse era la porticciuola stessa che innanzi lâepoca di Leone appellavasi Posterula Maggiore, della quale è fatta menzione in un documento degli 11 gennajo dellâanno (ERRATA: 951) 851. (Memor. cit. T. IV. P. II).
A confermare lâandamento del testè designato perimetro del primo cerchio di Lucca giovano varie scritture anteriori allâepoca del secondo giro della stessa cittĂ , molte delle quali furono giĂ , o stanno per pubblicarsi, mercè lâoperositĂ degli accademici lucchesi, nelle Memorie per servire alla storia della loro patria.
Inoltre lo dĂ in qualche modo a divedere un rituale della cattedrale di Lucca scritto nel 1230, in cui trovasi registrato il giro che nel secolo XII facevano le processioni di quel capitolo nei tre giorni delle rogazioni, passando fuori o dâappresso al primo e secondo cerchio della cittĂ , nello stesso modo che un egual uso conservano sempre altre cittĂ della Toscana, segnatamente Firenze e Pistoja.
Dal citato scrittore Moriconi, e piĂš modernamente dal Diario Sacro delle chiese di Lucca, ristampato nel 1836, si rammenta il giro che allora faceva quellâitinerario sacro, il quale giova al mio scopo, perchĂŠ qui ne dia un breve sunto.
âIl primo giorno delle rogazioni la processione esciva dalla porta orientale della cittĂ per recarsi alla chiesa di S.
Maria Maggiore (cioè di Forisportam), di là a S. Pietro Somaldi, poi a S. Frediano, quindi a S. Giustina e a S.
Donato e finalmente a S. Ponziano, dopo di che rientrava in cittĂ e nella chiesa di S. Reparata finiva con la messa cantataâ.
âIl secondo giorno il clero partiva dalla cattedrale per recarsi a S. Dalmazio, poscia esciva dalla cittĂ per porta S. Pietro e andava a S. Silvestro e a S. Colombano, e di lĂ alla chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, dipoi a S.
Bartolommeo in Silice, dove faceva stazione e predica; finalmente visitava la chiesa di S. Michele di Borghicciuolo (ora S. Micheletto) e rientrava in cittĂ per la porta S. Gervasioâ.
âIl terzo giorno la processione partendo dalla cattedrale esciva dalla cittĂ per la porta S. Pietro, dove visitava la chiesa di S. Pietro Maggiore e quella di S. Maria (del Corso), indi lâaltra di S. Romano e di S. Benedetto; di poi rientrava in cittĂ (dalla porta S. Donato) per visitare la chiesa di S. Giorgio, poscia quella di S. Alessandro Maggiore e di S. Michele in Foro , dalla quale recavasi alla Corte del Re (S. Maria in Palazzo) dove faceva stazione epredica, finalmente, data la benedizione, ritornava alla cattedraleâ.
Secondo cerchio di Lucca. â Col secondo cerchio delle mura restarono rinchiuse nella cittĂ diversi subborghi, varie strade e case che avvicinavano il primo giro, massimamente dalla parte di oriente e di grecale. La popolazione di cotesti subborghi dopo il secolo XII costituiva nel regime della repubblica una sezione della cittĂ , designata col titolo di Quartiere dei Borghi, e conseguentemente diversa dallâaltra denominata dalla Porta S. Frediano, ossia del Borgo. â Vedere qui a pag. 845 e segg.
Ă opinione che il secondo cerchio di Lucca venisse decretato dal governo nellâanno 1200, e che restasse terminato nel 1260, comecchè vi siano documenti di data anteriore confacenti a dimostrare, che fino dal 1095 si era presa qualche misura per mettere in piĂš largo cerchio la cittĂ , siccome fra gli altri lo dĂ a conoscere un istrumento dellâArchivio deâcanonici di S. Martino dellâanno 1095, nel quale si parla di un orto presso S. Colombano e S.
Alessandro (detto poi S. Alessandretto), il quale orto confinava con una via, quae est juxta murum veteris civitatis.
Comunque sia, lâannalista Tolomeo ne avvisò, che allâanno 1184 Alcherio di Pagano, allora console di Lucca, fece escavare i fossi attorno alla cittĂ , dicendo, che sotto di lui costruironsi le carbonaje .
GiĂ poco sopra, a pagina 845, fu accennato un diploma dellâanno 1209 da Ottone IV concesso ai Lucchesi, nel quale si rammenta, non solo il muro vecchio, ma anche il nuovo della cittĂ di Lucca.
Dovendo pertanto rintracciare il giro del secondo cerchio, sembra che esso dal lato di scirocco, a incominciare dal luogo ora detto la Scesa di piaggia, sâindirizzasse lungo la strada, che vien percorsa dal fosso, dirigendosi contrâacqua da ostro a settentrione quasi in linea retta fino al luogo detto la Fratta: costĂ dove nel secolo trapassato fu innalzata in mezzo ad una crociata di strade la colonna della Madonna dello Stellario. Questa porzione di mura non può realmente contare unâetĂ piĂš antica del secolo XIII; e lo prova fra i molti un contratto del 1197 dellâarchivio di S. Maria Forisportam, ora nella biblioteca di S. Frediano in cui si legge: Actum extra muros civitatis, videlicet in ecclesia S. Mariae Forisportam, sicchè alla fine del secolo XII la chiesa di S. Maria Maggiore, oggi detta S. Maria Bianca, era sempre fuori di cittĂ . â Esiste tuttora la grandiosa porta di S. Gervasio, attualmente appellata il portone dei Servi, oppure il portone dellâAnnunziata da una chiesa contigua di tal titolo; la qual porta, oltre lâincassatura fatta per la Sanacinesca, trovasi in mezzo a due torrioni circolari, tutti da capo a fondo lavorati con mirabile arte di pietra squadrata, nella guisa appunto che essi con la porta medesima furono descritti da Ciriaco Anconitano, quando nellâanno 1442 passò da Lucca. Ecco le sue parole: Vidimus praeterea in praefata egregia civitate Lucana moenia ex vivo lapide circum noviter recensita conspicua arte elaborata, sed aliqua ex parte vetustatum vestigia nonnulla videntur, et inter potiora portam duabus rotundis turribus insignem vivis ex lapidibus mirifice instructam; et hinc inde ab utraque summitatis listarum parte leonem marmoreum habentem; quam vero portam Romanam antiqui vocarunt indigenae, nunc vero S. Gervasii nomine incertum vulgus appellat; etc. (CYRIACI ANCON. Commentar. Nova Fragmenta.) Proseguendo il giro del secondo cerchio, coteste mura da settentrione a maestro dirigevansi verso il borgo S.
Leonardo, il quale insieme con la sua chiesa, allora in Capite Burg i, restava escluso dalla cittĂ , mentre venivano dal cerchio medesimo rinchiuse le chiese di S. Maria Forisportam, di S. Pietro Somaldi, di S. Pier Cigoli, di S.
Bartolommeo in Silice, di S. Micheletto, e di S. Andrea, detta allora in Pelleria, perchÊ in quella contrada vi erano le conce delle pelli, e vi passava quel fosso che in tempi piÚ antichi attraversò la città per i luoghi di sopra indicati.
â Esisteva probabilmente da questo lato la postierla che si disse di Pagano , forse dal padre del console che nel 1184 edificò le carbonaje , di cui si è fatta testè menzione. â Il Moriconi in appoggio di essa postierla cita, senza data, un istrumento dellâarchivio dei canonici di S. Martino, segnato (NN. 102) con la seguente indicazione: Domus juxta posterulam, quae dicitur Pagani, in contrata S.
Petri Cigoli: tenet unum latus in muro civitatis, etc.
Continuando lâandamento del secondo giro della cittĂ , sembra che al principio del borgo di S. Leonardo il muro dovesse piegare da maestro a ponente, e voltasse faccia a settentrione. In questa linea fu aperta la nuova porta di S.
Frediano, che vedesi tuttora nel cosĂŹ detto Portone dei Borghi, difesa, come lâaltra di S. Gervasio, da due torrioni. Se non che questa di S. Frediano ha doppio ingresso, i cui archi tuttora sussistono della forma rotonda e costruiti di pietra concia. Se non che i torrioni del Portone dei Borghi sono stati mozzati e in gran parte nascosti fra le adiacenti abitazioni. Nella facciata esteriore di questa, come dallâaltra porta S. Gervasio, trovasi murato lâemblema della Redenzione, in forma di croce quadra di marmo bianco in campo di pietra nera.
Dal Portone dei Borghi le mura proseguivano verso ponente-libeccio fra il bastione attuale di S. Frediano e la chiesa di S. Agostino. E qui giova avvertire, che nel muro del terzo cerchio, posto fra la porta di Borgo e il bastione di S. Frediano, avvi una porta murata costruita non giĂ di mattoni, nĂŠ a sdrajo come sono i muri del terzo cerchio, ma di pietra squadrata simile alle muraglia del secondo cerchio, cioè a quelle mura conspicua arte elaborata, che Ciriaco Anconitano allâanno 1442 disse, noviter recensita. Sarebbe mai questo tratto del muro del secondo cerchio conservato per cortina nella riedificazione del terzo giro della cittĂ ? Niuno altronde, châio sappia, parlò della porta ivi murata, seppure non fu questa una postierla. Certo è che allâestremitĂ del borgo S. Frediano presso le mura del secondo cerchio passava il Serchio, dove fu un ponte e uno spedale per i pellegrini, chiamato di S. Giovanni in Capo di Borgo, per essere appartenuto alla distrutta chiesa di S. Giovanni in Muro , manuale di quella di S. Frediano. Infatti un contratto dellâarchivio di S. Frediano del dĂŹ 8 dicembre 1260, segnato (B. 65. Arca 2.) tratta di un livello perpetuo fatto da un canonico rettore della chiesa e spedale di S. Giovanni de Capite Pontis, col consenso del priore e capitolo di S. Frediano, a fovore di un tal Luparello abitante in detta contrada di Capo di Borgo fuori della porta, per cui il rettore concede al fittuario per lâannuo canone di soldi 22 lucchesi un orto posto presso i nuovi muri di Lucca, vicino al ponte della porta di Borgo S. Frediano.
A S. Giovanni in Muro il secondo recinto della cittĂ dubito che andasse parallelo ai bastioni attuali fino presso alla porta. S. Donato, nel quale tragitto includeva in cittĂ la chiesa col monastero di S. Giustina, e quella di S.
Benedetto, ora detto il Crocifisso deâBianchi.
CostĂ le mura dirigendosi a scirocco passavano fra la porta attuale di S. Donato e quella del primo cerchio, la quale si doveva trovare in capo alla via di S. Paolino. â A sinistra della porta medesima il muro, rasentando dâappresso la chiesa di S. Luca e lo spedale della Misericordia, lasciava fuori di cittĂ il prato del Marchese, ossia del corso, per arrivare alla cosĂŹ detta Cittadella, dove voltando faccia a ostro dirigevasi verso levante sino al bastione di S. Colombano, dietro il palazzo vescovile. â In questo lungo tragitto, di fronte a libeccio e ostro esistevano oltre le porte di S. Donato e di S. Pietro alcune postierle, per le quali, a forma delli statuti antichi di Lucca (Lib. ultimo, cap. 55.) non era permesso il passaggio ai carri. Da questo lato il secondo cerchio rinchiuse in cittĂ le chiese di S. Romano, di S. Maria del Corso, di S. Alessandro, ossia di S. Alessandretto insieme con lâannesso ospizio, ed altre antiche chiese state fino allora suburbane.
Terzo cerchio delle mura di Lucca. â Il terzo e lâattuale piĂš grandioso giro delle mura di Lucca fu decretato nellâanno 1504, dalla repubblica, che vi fece lavorare dalla parte di levante e di mezzodĂŹ sino al 1544. Per altro fattisi accorti, che quel modo di costruire i bastioni circolari e le mura forse con poca scarpa, non era il piĂš confacente a ridurre Lucca, come si voleva, una piazza forte, gli Anziani affidarono lâesecuzione ad altri ingegneri, fra i quali meritossi maggior lode Vincenzio Civitali.
Questa grandiosa opera non restò compita intieramente prima dellâanno 1645, madiante la spesa di scudi 995,162, pari a 5,510,550 franchi, senza contare il valore di 120 grossi cannoni di bronzo che guarnivano gli 11 bastioni dai quali è difesa la cittĂ . â Le mura dalla parte che guardano la cittĂ sono fornite di larghi terrapieni, lungo i quali campeggia una spaziosa strada carrozzabile. Ă questa via fiancheggiata dal lato della campagna da un comodo marciapiede, mentre dalla parte esterna le mura sono difese da opere avanzate contornate da fossi e da terrapieni. A questi fa corona da ogni lato una libera e aperta pianura sino alla distanza di circa 750 braccia, chiamata la Tagliata , per la ragione che in quello spazio è vietato piantare alberi di sorta alcuna. Da questo punto bella e variata offresi la prospettiva della coltivatissima campagna intorno a Lucca, contornata da colline, da poggi e da monti sparsi di ville signorili, di paesetti, di chiese, di torri e di borgate. Il passeggio sopra le mura non è tampoco interrotto dalle porte della cittĂ , poichĂŠ lâampia strada vi passa sopra pianeggiante lungo tutto il giro della cittĂ che misura 7100 braccia lucchesi, pari a metri 4192,55.
La superficie del suolo occupata dal fabbricato di Lucca, compreso il giro esterno delle mura e delle fortificazioni degli spalti, corrisponde a coltre lucchesi quadre 481,3, equivalenti a quadrati fiorentini 566,6, ossiano a undici sedicesimi di miglia toscane quadrate.
In questo terzo cerchio di Lucca esistevano tre sole porte, (Porta al Borgo, Porta S. Donato e Porta S. Pietro) innanzi che dirimpetto a una magnifica, veramente strada regia, fosse aperta la Porta Nuova, o di S. Croce, già detta Elisa , perchÊ questa principessa la ordinò nel 1806.
Da cotesta Porta nuova, volta a levante, esce lâampia strada postale Pesciatina fiancheggiata da doppio marciapiede e difesa da quadrupla linea di alberi. â Dalla Porta al Borgo, detta anche S. Maria, esce la strada nuova dei Bagni e di Barga; dalla Porta S. Donato, escono le strade postali di Pisa e di Genova; e dalla Porta S. Pietro parte la strada vecchia del Monte di S. Giuliano.
EDIFIZJ E STABILIMENTI PUBBLICI DELLA CITTAâ DI LUCCA Chiese piĂš grandiose e piĂš celebri della cittĂ . â Quantunque sussistino molti documenti scritti innanzi al mille, nei quali si rammentano fra le molte chiese alcune delle piĂš insigni tuttora esistenti in Lucca, se debbasi eccettuare la cattedrale di S. Martino, e dirò anche la chiesa di S. Frediano, non sembra che le altre fossero di quella dimensione e struttura architettonica che dopo il secolo X hanno acquistato; tanto piĂš che poche di esse prima di quel tempo furono da piĂš di un prete, o da piĂš dâuna persona ecclesiastica dirette e governate.
Che la chiesa, ora insigne collegiata di S. Michele in Piazza , nel secolo IX fosse poco piĂš di un oratorio, lo danno a divedere le carte state recentemente pubblicate nelle Memor. Lucch. T. IV. e T. V. P. II. e III; alle quali aggiungere si può quel poco che fu accennato qui sopra alla pagina 825. â Fu bensĂŹ dopo il mille che si riunirono nella chiesa di S. Michele in Piazza alcuni preti per vivere canonicamente, finchè poi vi passarono i monaci Benedettini; per opera dei quali nellâanno 1142 quel tempio si restaurò, e forse allora fu nella grandezza e forma attuale riedificato.
Realmente la facciata trovasi eseguita per la massima parte nellâanno 1188, per opera dellâarchitetto Guidetto, autore di quella cattedrale. Il secondâordine però delle colonnette dal lato sinistro della facciata è unâaggiunta fatta nel 1377. Il campanile, e gli ornati dalla parte volta a levante, al pari che lâesterna tribuna dal lato di settentrione, contano lâepoca della signoria, di Paolo Guinigi, per ordine del quale furono fatti. â (Vedere DIARIO SACRO delle chiese di Lucca, di Mons. Mansi, accresciuto dal Barsocchini. â GUIDA di Lucca del Mazzarosa).
Della chiesa di S. Maria Forisportam si hanno notizie fino dallâanno 788 nelle carte dellâArchivio Arcivescovile ed anche da altri archivii; due delle quali, del 7 marzo 844 e del 31 dicembre 854, sono state pubblicate nel supplemento al T. IV delle piĂš volte citate Memorie lucchesi. Perocchè da quei documenti chiaro apparisce, che le chiese riunite di S. Maria e S. Gervasio, quae sitae sunt prope murum istius civitatis lucense: o come dice lâaltro istrumento, foras civitate ista lucense prope portam S. Gervasii, quelle chiese cioè che rispondono a S.
Maria Forisportam, non erano altro che meri oratorii dal vescovo concessi in benefizio a un ecclesiastico, cui era ingiunto lâobbligo dâuffiziarli, di tenervi il lume giorno e notte, e di pagare ognâanno 90 denari alla mensa vescovile, piĂš qualchâaltro tributo ivi specificato.
Anche nellâanno 900 la chiesa medesima di S. Maria e SS. Gervasio e Protasio, situata foras civitate ista Lucense, fu concessa in benefizio da Pietro vescovo di Lucca per lâannuo censo di 20 denari dâargento (loc. cit.).
Appella alla stessa chiesa di Forisportam un calendario della cattedrale di S. Martino, scritto innanzi la prima metĂ del secolo XIII, nel quale si racconta, châessa sul declinare del secolo VIII era giĂ rovinata, mentre, trattandosi ivi del vescovo Jacopo che presedè alla chiesa lucchese sul principiare del secolo IX, si dice, che egli ricostruĂŹ questa chiesa di Forisportam tutta di materiale, la quale innanzi era una chiesupola: quae nuper diruta fuerat, ei cum columnis ligneis (episcopus Jacopus) ipsum altare fecit, nec officium, nec luminaria, nisi tantum in die dominicae aestivo tempore missa celebratur. Modo numero⌠sacerdotes ibidem diurno et nocturno officium plenum peragunt sicut in ecclesia S. Martini, etc.
Infatti in un libro di contratti dellâArchivio capitolare di S. Martino esiste un istrumento del 1230, in cui si rammenta il prete Orlando Maestro di scuola e Canonico di S. Maria Forisportam. (MEMOR. LUCCH. T. IX. pag.
21).
Del luogo dove fu la distrutta chiesa di S. Gervasio ne dà notizia un istrumento del 22 giugno 1034, col quale Giovanni II vescovo di Lucca allivellò fundamentum illud, ubi jam fuit ecclesia SS. Gervasii et Protasii, quod est posito et fundato foris hanc urbem Lucae prope ecclesiam S. Mariae et prope Portam, quae dicitur S.
Gervasii. â (BERTINI, Memor. Lucch. T. IV. P. II.) Cattedrale di S. Martino. â Troppe memorie confermano a cotesto chiesa matrice lâonorificenza fra le piĂš antiche cattedrali dellâItalia, comecchè il bel tempio attuale sia stato riedificato in dimensioni assai piĂš grandiose dal vescovo Anselmo di Badagio, mentre egli sedeva contemporaneamente nella cattedra di S. Pietro sotto nome di Alessandro II; e fu lo stesso Pontefice che, ai 6 ottobre del 1070, la cattedrale medesima solennemente consacrò. In quella occasione fu collocato il simulacro del Volto Santo nella cappella, in cui attualmente si trova.
Questa elegante cappella in forma di tempietto ottagono venne rifatta nel 1484 col disegno e direzione del Fidia lucchese, voglio dire di Matteo Civitali, châè pure lâautore della bellissima statua di S. Sebastiano nella nicchia esterna dietro lâaltare del Volto Santo. â La facciata esteriore del duomo fu eseguita nel 1204 dallâarchitetto Guidetto, da quello stesso che nel 1188 diresse lâarchitettura della facciata di S. Michele in piazza. â Gli ornamenti dellâatrio sopra la porta minore, a sinistra entrando nel duomo di S. Martino, sono del celebre Niccola Pisano.
Questo grandioso tempio, della prima maniera cosĂŹ detta gotica, è a tre navate divise da nove grandi archi per parte; otto deâquali a mezzo-tondo; ma lâultimo di essi, che arriva alla tribuna, essendo a sesto acuto fece dubitare essere stata unâaggiunta fatta nel principio del secolo XIV. La lunghezza interna della maggior navata è di braccia lucchesi 140,4; la larghezza di braccia 44,5; la crociata braccia 61,2, e lâaltezza della nave di mezzo braccia 45,3. â Nella navata maggiore è praticato un secondâordine di archi in numero doppio di quelli del primo ordine, figurati da altrettanti finestroni in due gallerie che percorrono tutta la chiesa sino alla tribuna.
Ciascuno di cotesti archi è suddiviso da due sottili colonnette gotiche che sostengono degli ornati traforati in archivolto di sesto semi -acuto.
Lâedifizio al di fuori è tutto incrostato di marmo del vicino Monte Pisano, e nellâinsieme presenta allâocchio unâarmonia e regolaritĂ che per il tempo in cui fu fatto può dirsi portentosa.
La cattedrale lucchese abbonda di belle opere di scultura, di pittura e di orificeria. Allâaltare del Volto Santo esistono preziosi lavori di cesello in argento dorato; cosĂŹ in sagrestia, dove si custodisce una croce dâargento dorato dal peso di libbre 30, della la Croce dei Pisani, lavoro del secolo XIV assai delicato, e ricco di figurine. Nellâaltare della stessa sagrestia havvi una bella tavola di Domenico Ghirlandajo, ed in una stanza contigua va visitato il sarcofago dâIlaria del Carretto, moglie di Paolo Guinigi, per essere un pregiato lavoro dâJacopo della Quercia.
Dentro alla chiesa poi si ammira sopra tutte le opere di scalpello il monumento sepolcrale di Pietro da Noceto, e vicino a questo il ritratto parlante di Domenico Bertini mecenate dellâartefice insigne, Matteo Civitali, cui si debbono eziandio i bassorilievi del pulpito, li due angeletti di marmo al tabernacolo del Sacramento, e le tre statue coi basso-rilievi nellâaltare di S. Regolo, mentre le figure scolpite a Cornu Evangelii sullâaltare della LibertĂ sono lavorate da Giovan Bologna.
Rapporto agli oggetti di pittura, trovasi di fronte al sarcofago di Pietro da Noceto una tavola di Fra Bartolommeo della Porta rappresentante la Beata Vergine, opera delle piĂš pregiate di quellâinsigne pittore, fatta nel 1509, e contornata da pilastri di marmo scolpiti ad ornato dallo stesso Civitali. Agli altari delle navate una Visitazione, dâJacopo Ligozzi; la Presentazione al tempio, di Alessandro Allori; la Cena del Signore, del Tintoretto; la Crocifissione e la NativitĂ , due tele del Passignano, lâAdorazione dei Magi, di Federigo Zuccari, e una bella Resurrezione, del vivente Michele Ridolfi lucchese.
In quanto alla fabbrica della contigua canonica, essa conta la sua prima fondazione sotto il vescovo Giovanni II, il quale nellâanno 1048 prescrisse al clero della sua cattedrale la vita comune secondo le regole canoniche, per cui concedè al capitolo di S. Martino un pezzo di terreno con casa contigua alla cattedrale e allâepiscopio; al quale dono fu da Alessandro II, nel 1063, aggiunto un altro pezzo di terra posto presso la stessa cattedrale. (Memor.
Lucch. T. IV. P. II.) Chiesa di S. Frediano. â Ădopo la cattedrale una delle piĂš antiche e piĂš vaste chiese di Lucca, giacchè la sua prima riedificazione rimonta allâanno 685, sebbene vi sia da dubitare che non fosse tale come ora la si vede. Ciò nonostante essa è stata segnalata per unâopera dei tempi longobardici, e quasi la sola chiesa che sia rimasta in Italia di quellâepoca la meno alterata nellâinterno; qualora si eccettuino le cappelle in fondo alla chiesa, e il presbitero visibilmente rialzato sopra il gradino posto verso la metĂ della navata maggiore, e del quale abbiamo consimili in S. Croce, ed in S. Maria Novella di Firenze ec.
GiĂ da qualche tempo esisteva la chiesa dei SS. Lorenzo, Vincenzio e Stefano Martiri nella quale sul declinare del sesto secolo fu sepolto il corpo del santo vescovo Frediano, quando la stessa chiesa nel 685 fu riedificata da Faulone, creduto maggiordomo del re Cuniberto, e da esso lui dotata e assegnata a Babbino abate ed ai suoi monaci, lo che indica esservi stato fino dâallora costĂ presso un monastero di claustrali. Infatti nellâanno stesso Felice vescovo di Lucca diè facoltĂ a quei monaci di vivere conventualmente, e di amministrare la loro chiesa, promettendo ai medesimi di non assegnare ad altro luogo pio alcuna parte della pecunia e dei beni che Faulone aveva donati alla stessa chiesa, e di lasciare allâarbitrio di quei claustrali la nomina dellâabate, dopo che fosse per mancare il vivente abate Babbino.
Questa famiglia religiosa alla metĂ del secolo VIII doveva esistere in credito, tostochè Walfredo nella fondazione della badia di S. Pietro a Monte-verdi nellâanno 754, nominò fra gli altri lâabate della chiesa di S. Frediano di Lucca, ubi et ejus corpus quiescit humatum. BensĂŹ nel secolo IX, alcuni testimoni esaminati nellâ838 deposero che la chiesa di S. Frediano molto innanzi quel tempo era stata data in benefizio dal vescovo Giovanni al di lui fratello Jacopo; il quale appena fatto vescovo, nellâanno 801, rinunziò il benefizio della chiesa medesima in favore di un prete e di un diacono, cui diede ancora facoltĂ di amministrare il di lei patrimonio.
Anche nel secolo X, e segnatamente nellâanno 923, con istrumento del 5 settembre, il vescovo Pietro ordinò il prete Willerado rettore della chiesa di S. Frediano; ut in tua (egli dice) sit protestate una cum secretario, seu subdito, et casis recta ipsa ecclesia, et prope eandem ecclesiam cum edificiis suis, seu curte et orto, etc.
(MEMOR. LUCCH. Tomo IV. P. II. e T. V. P. II. e III.).
In conclusione, fino allâepoca del 923 si parla di S.
Frediano come di una chiesa semplice, senza dichiararla parrocchiale, e molto meno battesimale. Allâonore per altro di parrocchia plebana era stata innalzata, quando con atto pubblico del 2 dicembre, nellâanno 1042, il vescovo di Lucca Giovanni II ordinò il chierico Benedetto e lo investĂŹ della chiesa battesimale deâSS. Vincenzio, Frediano, Stefano e Lorenzo, la qual chiesa, (dice il testo) est aedificata foris civitatem istam lucensem prope fluvio Serclo. (loc. cit.).
Posto adunque ciò, converrebbe credere che non prima del secolo XI la chiesa di S. Frediano divenisse pieve, e conseguentemente, che lâuso in essa introdotto della benedizione del fonte nel sabato santo della Pentecoste non contasse unâepoca molto piĂš antica dellâaccennata.
Alla qual funzione della benedizione del S. fonte appella un privilegio di Pasquale II del 24 maggio 1106 in aumento di altra bolla dello stesso pontefice, data in Laterano il 28 ottobre del 1105, quando egli, ad istanza di Rotone preposto e pievano di S. Frediano, instituĂŹ in mezzo a quella famiglia di preti e curati una nuova congregazione regolare di canonici, denominati poi Lateranensi di S. Frediano. Comecchè sia, allora fu che il priore della nuova canonica si diede a riedificare in piĂš ampia forma la sua chiesa, siccome venne registrato in unâantica scrittura di quellâarchivio, ora smarrita. â Tale poi era lâimpegno del Pontefice Pasquale II nel favorire cotesto istituto, che molte lettere su di ciò furono pubblicate nel Tomo IV delle Miscellanee del Baluzio raccolte dallâerudito vescovo Gio. Domenico Mansi; alcune delle quali leggonsi dirette al vescovo ed ai canonici dalla cattedrale di Lucca invitandoli a mostrarsi piĂš propensi verso i canonici di S. Frediano.
Infatti mancato di vita il priore Rotone, e poco dopo anche il Pontefice Pasquale II, la congregazione agostiniana di S. Frediano, o per scandali eccitati, o per insistente persecuzione, come disse il Pontefice Callisto II, restò per poco tempo soppressa, finchè sotto il priore Attone successore di Rotone dallo stesso Pontefice Callisto II venne ripristinata. Dâallora in poi crebbe in fama quellâordine di canonici regolari tanto, che sotto i Papi Innocenzo II ed Eugenio III riescĂŹ loro di ottenere dal vescovo di Lucca la chiesa di S. Salvatore in Mustiolo con le chiese ed eremi di S. Antonio e di S. Giuliano, e poscia il convento di S. Pantaleone nel Monte pisano; dal vescovo di Luni la pieve di Carrara; da quello di Siena la chiesa di S. Martino, e dal Pontefice Adriano IV il Monastero di S. Maria di Bagno in Romagna.
Non deve perciò far maraviglia, se in tanta prosperitĂ di quei claustrali venne con maggiore lustro restaurata o rifatta la chiesa di S. Salvatore in Mustiolo; di che può far fede un bassorilievo sullâarchitrave della porta di fianco scolpito da quel Beduino, che lavorò nellâanno 1180 alla chiesa di S. Casciano presso Pisa; e ritengo ancora che da essi fosse rifatto la chiesa di S. Frediano, il cui altare, per attestato del Pontefice Alessandro III, consacrò Eugenio III alla presenza di Gregorio vescovo di Lucca. (BALUZI, Op. cit.) Questo tempio è a tre navate, la maggiore delle quali è lunga braccia 107 lucchesi; larga nella crociata braccia 36,7; e alta braccia 35,8. La nave di mezzo ha 12 archi per parte a intiero sesto, sostenuti da colonne di marmi diversi, e alcune diseguali per lâaltezza, con capitelli e basi di antico stile, tutte sproporzionate rispetto alla mole ed allâaltezza del muro che sorreggono. â Danno luce alla stessa navata delle finestre a strombo, divise da un colonnina di marmo, alla maniera usata nei primi secoli dopo il mille.
Vi si vede tuttora una gran vasca marmorea che serviva pel battistero dâimmersione, nella quale sono scolpite varie storie del testamento vecchio, e sullâorlo superiore il nome di chi la fece, cioè Robertus magister laâŚ, forse uno scultore del secolo XII o XIII. Il moderno battistero è di Nicolao Civitali, nipote dellâegregio Matteo.
Fra le altre opere di scultura esistono in questa chiesa alcune figurine ad alto rilievo sullâaltare del Sacramento, e due statue sopra i sepolcri della stessa cappella, lavori creduti dei meno pregiati di Jacopo della Quercia.
Assai piĂš pregevole bensĂŹ è il sarcofago che lâamicizia ha di corto innalzato in S. Frediano al defunto letterato lucchese Lazzaro Papi, scultura esprimentissima del fiorentino Luigi Pampaloni.
Non spenderò parole sopra molte altre chiese di antica etĂ e fattura, come quelle di S. Alessandro, di S. Pietro Somaldi, di S. Giovanni, di S. Pier Cigoli, ossia del Carmine, di S. Maria in Corte-Landini, di S. Cristofano ec. Non dirò quelle piĂš vaste erette in Lucca nel XIV e XV secolo, come a S. Agostino e a S. Francesco; non dellâaltra di S. Paolino innalzata nel secolo XVI col disegno di Baccio da Montelupo; nĂŠ finalmente parlerò della chiesa di S. Romano rifatta nel secolo XVII, giacchè ognuno che il voglia può trovare assai meglio che io nol potrei materia da soddisfare alle sue indagini nelle Guide di Lucca, che da due nobili ed eruditi lucchesi, Tommaso Trenta nel 1820, e Antonio Mazzarosa nel 1829, hanno pubblicato. Dirò solamente, che, fra le tavole pittoriche piĂš segnalate, di che sono adorni i tempii di Lucca, non si può ammirare tanto che basta il capo dâopera di Fra Bartolommeo della Porta nella chiesa di S. Romano che dipinse per questa chiesa un altro meno celebre quadro.
Secondo per merito possono dirsi due tavole di Guido Reni in S. Maria Corte-Landini, lâAssunta del lucchese Zacchia il vecchio in S. Agostino; al qual pittore spettano pure altre due tavole a S. Salvatore in Mustiolo, e a S.
Pietro Somaldi. In questâultima chiesa esiste anche una tavola di Palma il vecchio; due del Guercino sono in S.
Maria Forisportam, e unâaltrâAssunta del nominato Zacchia sta in S. Francesco, per tralasciare di altri quadri di buoni artisti posteriori al secolo XVI.
Palazzo Ducale. â Innanzi di lasciare i monumenti di belle arti incombe di rammentare lâantica residenza del Gonfa loniere e dei Signori della repubblica lucchese, attualmente reggia ducale.
Ebbe principio questo palazzo nel 1578 col disegno e direzione del celebre Bartolommeo Ammannato, cui appartiene il portico interno e lâesterna facciata, a partire dal lato meridionale sino alla gran porta dâingresso. Tutto il restante della facciata davanti alla piazza, e quella laterale volta a settentrione, restò terminato verso lâanno 1729 dallâarchitetto lucchese Francesco Pini secondo il disegno, sebbene alquanto alterato, del primo autore.
Quantunque il palazzo nello stato attuale, fornito di due grandi atrii, comparisca grandioso, e sia divenuto uno dei piĂš comodi e dei piĂš confacenti a un a reggia, pure esso è un buon terzo minore di quello in origine ideato dallâAmmannato.
La principale facciata doveva esser voltata a mezzogiorno, ed è quella parte che si trova nellâinterno del secondo cortile, cui doveva servire di adornamento un portico simile al primo atrio. Fra questi due è stato aperto un magnifico peristilio di colonne doriche della pietra di Guamo (Selagite) esso dĂ lâaccesso ad una grandiosa scala con gradini di marmo bianco carrarese di sei braccia, tutti di un pezzo. Tale opera fu eseguita, per ordine della duchessa Maria Luisa di Borbone, dallâarchitetto lucchese Lorenzo Nottolini.
Da questa scala veramente regia si sale agli appartamenti nobili, i quali furono riccamente addobbati di drapperie e mobilie, quasi tutte ordinate e lavorate da fabbricanti e manifattori lucchesi.
Ciò che piĂš importa di esser veduto è la galleria dei quadri per le opere di autori di primo ordine. Citerò fra questi la Madonna deâCandelabri, di Raffaello; una tavola della Beata Vergine con S. Anna e quattro Santi, châera in S. Frediano, dipinta dal Francia; una Vergine col bambino, di Leonardo da Vinci; una piccola tavola di S.
Giovanbattista fanciullo, colorita dal Coreggio; unâaltra rappresentante Cristo in croce con la Vergine e S.
Giovanni, di Michel Angelo Buonarroti; la Strage deglâInnocenti, di Niccolò Poussin, una S. Cecilia, mezza figura in tela, di Guido Reni, e una S. Apollonia dipinta sul rame, dello stesso Guido; un Noli me tangere, del Barocci; una mezza figura della Vergine, del Sassoferrato; un quadro della S. Casa di Loreto, del Domenichino; un Cristo davanti al giudice, di Gherardo delle Notti; tre quadri in tela rappresentanti tre miracoli di GesĂš Cristo, dipinti dai tre Caracci ec.
Fra le tele moderne ivi figurano il Camuccini di Roma, il Landi di Piacenza, il Nocchi, il Giovannelli ed il Ridolfi, tre egregii pittori lucchesi del nostro secolo.
Non parlo dellâantico palazzo pubblico di S. Michele in piazza, da dove sino dal secolo XVIII si traslocò in questo ducale la Signoria di Lucca. Dirò una parola sullâaltro edifizio o palazzo deâtribunali, perchè richiama alla memoria il secondo magistrato della repubblica lucchese.
Tale è il palazzo pretorio, giĂ residenza del potestĂ ora dei tribunali, situato nella piazza di S. Michele; la cui fabbrica, incominciata nel secolo XV e terminata al principio del XVI, presenta uno stile che sembra della scuola dellâOrcagna, tra il gotico italico e il gusto moderno. â Essa in gran parte si regge sopra una loggia che ha dirimpetto alla piazza tre arcate a sesto intero, mentre un solo arco trovasi dal lato della strada, per la quale si vĂ al palazzo ducale.
In quanto allâedifizio della zecca non ne resta piĂš indizio alcuno, essendo giĂ scorsi molti secoli dalla distruzione di quello che servĂŹ per simile uso al tempo deâLongobardi.
Essendo che la zecca lucchese, la quale, come giĂ fu avvertito alla pagina 823, era la piĂš accreditata per la bassa Italia, nei secoli intorno al mille esisteva presso la chiesa di S. Giusto, siccome ne avvisa fra le altre una carta dellâArchivio Arcivescovile Lucchese dellâanno 1040, ed un istrumento scritto li 15 giugno dellâanno 1068, presso al monastero di S. Ponziano, allora fuori di Lucca. Trattasi in esso dellâaffitto di una casa di proprietĂ della badia di Poggibonsi; la qual casa si dichiara situata dentro la cittĂ di Lucca in vicinanza della chiesa di S.
Giusto prope Monetam, etc. â (ARCH. DIPL. FIOR.
Carte dello Spedale di Bonifazio).
Assai tardi la fabbrica della zecca lucchese fu eretta dove attualmente si trova, cioè, nella via del Fosso fra la porta S. Pietro e quella di S. Donato.
Tra le fabbriche destinate allâuso pubblico deve rammentarsi la Torre, che appellasi delle Ore, perchĂŠ sopra di essa è collocato uno dei piĂš antichi orologi a peso. Fu deliberato questo meccanismo con provvisione del giugno anno 1391, e ne fu commessa lâesecuzione allâartefice lucchese Labruccio Cerotti con lâobbligo di compiere quel lavoro dentro il mese di febbrajo del 1392; a condizione che egli dovesse fabbricare un orologio della grandezza di quello di Pisa al prezzo di fiorini 200 dâoro, e collocarlo al posto sulla torre della casa Diversi, stata dal governo a tale oggetto acquistata. â (CIANELLI, Memor. Lucch. T. II.) Stabilimenti pii e di pubblica caritĂ , Ospedali, Orfanotrofi, e Depositi di MendicitĂ . â I Lucchesi diedero antiche e cospicue prove di questi due generi dâistituzioni, sopra tutto rapporto alla fondazione di spedali presso le porte della cittĂ e lungo le strade maestre del contado. Da gran tempo però quegli ospedali, e simili ospizii sono cessati, destinando il loro patrimonio ad altri usi di pubblica utilitĂ , o riunendoli ad ospedali superstiti. â Tale si è quello della Misericordia dotato dallâarte dei mercanti lucchesi sotto la protezione di S. Luca, cui è dedicata la chiesa. Fu edificato presso i beni dei marchesi Adalberti e della gran contessa Matilde, giacchè il suo locale trovasi accosto al Prato del Marchese, ossia al Circo di porta S.
Donato.
Se dobbiamo credere allâiscrizione posta nel muro esterno della strada che va da S. Paolino alla porta prenominata, lâepoca della fondazione di questâospedale sarebbe dellâanno 1287; essendochè ce lo dice una lapida ivi murata con lâarme dellâospedale della Misericordia, simboleggiata in una balla di seta, sotto una M con queste parole: Anno Domini MCCLXXXVII, i Mercanti dâArti. â Unâaltra lapida piĂš vicina al canto della chiesa di S. Luca, dellâanno 1288, câindica il nome dello spedalingo, per opera del quale lâospedale medesimo fu eretto: Hoc Hospitale fecit fieri Dominus Bonaccursus Rector Hospitalis Misericordiae. An. MCCLXXXVIII.
Sul fianco esteriore del portico della chiesa vedesi scolpita altra iscrizione con lâarme suddetta per avvisare che, nel 1340, sotto il vescovo Fr. Guglielmo fu riedificato, o piuttosto ingrandito lâospedale della Misericordia dellâArte dei Mercadanti. La chiesa però è stata rimodernata nel 1735, col farne in gran parte le spese lo spedalingo, o rettore di quel tempo, il nobile lucchese Francesco Balbani.
La nomina dello spedalingo dipendeva probabilmente dai consoli della curia, ossia dellâarte deâmercanti lucchesi per vigilare sullâamministrazione di questo stabilimento.
Appena sottentrò in Lucca il reggimento dei principi Baciocchi, quel governo avocò a se il giuspadronato di questo e do ogni altro luogo pio.
La fabbrica è divisa in due separate e spaziose corsie, una per gli uomini e lâaltra per le donne; cui formano annesso le sale per la clinica medica e chirurgica. Contiguo allâospedale degli uomini esiste lâospizio dei fanciulli esposti, e quello dei maschi orfani.
Sino dallâanno 1809 fu ridotto per ricovero delle femmine orfane lâantichissimo monastero di S. Giustina, giĂ S.
Salvatore in Bresciano , dopo avere servito per il lungo periodo di dieci secoli alle monache che professavano la regola di S. Benedetto. Attualmente cotesto deposito è popolato da circa 550 ragazze fra orfane, figlie esposte, oppure dai proprii genitori abbandonate. In mezzo però a tante persone vi si trova buon ordine, nettezza e provida educazione.
Spedale deâPazzi. Allâassistenza dellâumanitĂ piĂš compassionevole, dallâanno 1770 in poi, fu destinato il suburbano soppresso convento dei canonici regolari Lateranensi. â Questo bel claustro è tre miglia a ponente di Lucca, sopra una deliziosa collinetta che porta il nome di Fregionaja ; luogo amenissimo per il sito, e per la salubritĂ dellâaria, dove si ammira la pazienza e caritĂ di chi vi assiste, ma che reclama maggiori ajuti e comoditĂ stante il cipioso numero dei dementi (attualmente sopra cento) cui mostrasi angusta la fabbrica a tal uopo destinata.
Deposito di MendicitĂ . Nel vasto palazzo deâBorghi, il quale fu fondato nel 1413, con disegno gotico-moderno, da Paolo Guinigi che lo destinò pei divertimenti del popolo, tre secoli dopo venne convertito a piĂš proficuo e caritatevole uso, quando la repubblica lucchese nel 1726 vi raccolse glâinvalidi e questuanti della cittĂ , per apprendervi le arti e mestieri onde sostentarne la vita.
Soppressa quella pia instituzione, che portò il nome di Quarconia, venne convertito il locale in un bagno di galeotti; fino a che nel 1823 il palazzo deâBorghi fu ripristinato allâabitazione e mantenimento dei poveri vagabondi di ambedue i sessi, per occuparli in mestieri confacenti alla loro capacitĂ .
Gli usi, a cui nei diversi tempi questo palazzo fu destinato, sono ricordati da unâiscrizione ivi affidata a un legno, meritevole però di essere scolpita in marmo. Essa fu dettata dal celebre Cesare Lucchesini nelle espressioni seguenti: Paulus Guinisius A fundamentis ann. MCCCCXIII Principis splendidissima aedes Ad populi voluptates scenicis ludis cessit.
Religione et veterum Patrum pietate In Pauperum custodia Varietate temporum deserta Dehinc ad Triremes clausit, Maria Aloysia Borbonia Pia clemens benefica ingenti cura Vagantium egenorum utriusque sexu Vindicavit Ex vestigiis magnifice evexit.
An. Dom. sui Sexto R. S. MDCCCXXIII.
Confraternita della CaritĂ . â Fu istituita dal generale governatore austriaco nel 1816, e quindi avvalorata dal duca regnante che ne prese la protezione. Sembra modellata su quella della Misericordia di Firenze, perchĂŠ i confratelli accorrono ai casi di disgrazie, si prestano allâassistenza deâmalati, non che al trasporto dei defunti.
Monte di PietĂ . â Col fine di riparare al disordine delle gravose usure che gli ebrei andavano esercitando in Lucca a pregiudizio dei bisognosi, il governo della repubblica, nellâanno 1489, fondò un Monte di pietĂ sulla piazza di S.
Martino, ove mantiensi costantemente attivo.
Stabilimenti dâistruzione pubblica. â Fra le concessioni nel 1369 dallâImperatore Carlo IV fatte alla repubblica di Lucca vi fu quella di possedere una universitĂ ; lochè poi nel 1387 venne confermato dal pontefice Urbano VI per tutte le facoltĂ , tranne la teologale. â Contuttociò bisogna confessare, che il governo di Lucca non si valse di questi privilegii prima del 1780. Imperocchè, se dalle lauree di dottorati state conferite dal vescovo di Lucca mercè i privilegii imperiali e papali di sopra allegati, se da ciò in certa guisa trasparisce lâesistenza di uno studio lucchese, nondimeno dalla storia letteraria dellâerudito Cesare Lucchesini, pubblicata nei volumi IX e X delle Memorie lucchesi, si rileva che il governo si limitò a chiamare in Lucca, o a pensionare qualche maestro di umane lettere, di geometria, di calcolo e poco piĂš. Arroge a ciò, che per le indagini fatte nei libri della repubblica da quel diligente archivista di Stato (il signor Girolamo Tommasi), ne conseguita, che, sebbene nellâanno 1455 e di nuovo nel 1477 si proponesse dal gonfaloniere al senato, e da questo si approvasse lo stabilimento del suddetto studio nel modo consueto di altre cittĂ dâItalia, niuna realmente delle due deliberazioni ebbe il suo effetto. Avvegnachè la Signoria di Lucca nel 1521 adottò provvedimenti affatto contrarii allâesistenza del ridetto studio generale, quando cioè fu deliberato di somministrare mezzi e soccorsi ai giovani bene istruiti nella lingua latina, onde si ponessero in grado di recarsi presso qualche universitĂ per acquistare le nozioni scientifiche. In una parola, dai capitoli in varii tempi dal governo lucchese sopra le pubbliche scuole riformati e approvati, chiaramente risulta, che anteriormente al 1780 non insegnavasi in Lucca a spese pubbliche altro che grammatica, rettorica, principii dâaritmetica, e talvolta musica, geometria, logica, elementi di filosofia, e le istituzioni civili.
A dimostrare però che anche in tempi di barbarie il clero lucchese veniva istruito in teologia, citerò non solamente lâopera di quel Pietro da Lucca distinto oratore sacro che in una sua opera stampata in Bologna nel 1506 si qualifica canonico regolare di S. Frediano indegno professore di sacra Teologia, ma dirò, che fino dal principio del secolo XIII nella canonica del Duomo di Lucca tenevansi le scuole per il clero. Avvegnachè nellâarchivio di quel capitolo havvi una carta del 1226, in cui si rammenta il prete Orlando magistro scolarum S.
Martini. Il quale prete Orlando era nel tempo stesso canonico della chiesa di S. Maria Forisportam, siccome viene meglio specificato da un documento dellâanno 1231 e da altro contratto del 1230, fatto in Lucca nel claustro di S. Martino, in presenza fra gli altri del maestro delle scuole. (Memor. Lucch. T. IX.) Che si professassero in Lucca anche fuori del clero di S.
Martino scuole di umane lettere fino dal secolo XII, ne abbiamo una luminosa prova in quel prete Enrico, benemerito non che saggio maestro di grammatica e di canto, di cui si conserva memoria in unâiscrizione sepolcrale in versi leonini posta nella facciata esteriore della chiesa deâSS. Vincenzio e Anastasio in Lucca, dove quel prete era rettore, e dove morĂŹ nellâanno 1167.
Basteranno i seguenti versi; Clauditur hoc parvo vita venerandus in arvo Presbiter Henricus sapiens pius atque pudicus, Grammaticus, Cantor, Scholas tenuitque magister, Istius Ecclesiae splendor, decus, atque minister, etc.
Ad un altro piĂš famigerato professore di belle lettere la repubblica fece grande onore, cioè, a Gio. Pietro dâAvenza, detto da Lucca, il quale ebbe egli stesso a maestro il celebre Vittorino da Feltre. Imperocchè Gio.
Pietro riescĂŹ valente nelle greche e nelle latine lettere al segno che, dopo avere ottenuto, nel 1446, la cattedra di umanitĂ in Venezia, la Repubblica lucchese, per decreto del 22 giugno 1456, lo volle in patria a precettore di eloquenza greca e latina con lâonorario di ducati 107 annui. Al quale stipendio con deliberazione del 28 giugno 1457 furono aggiunti 25 fiorini dâoro per pagare un ripetitore, stante il soverchio concorso châebbe di scolari.
Ma in quellâanno medesimo (3 ottobre 1457) essendo rimasto vittima del contagio, in Duomo furono celebrati a Gio. Pietro solenni funerali collâassistenza della signoria, incoronando il suo capo dâalloro, e perpetuando la sua memoria in un medaglione di marmo, il quale scolpito si vede nel portico della cattedrale con questa iscrizione attorno: âJo. Petrus Lucensis doctus Graece et Latine ingenio miti proboqueâ.
Liceo di Lucca. â Il governo della estinta repubblica domandò ed ottenne dal Papa nel 1780 la soppressione dei canonici regolari Lateranensi di S. Frediano, a condizione dâimpiegare il loro patrimonio e destinare il vasto e ben disposto locale del convento per pubblica istruzione.
Il nuovo liceo, che non fu da prima molto numeroso di cattedre pel carico delle pensioni vitalizie ai canonici soppressi, di prima giunta portò il titolo dâIstituto deâpubblici studii, poi nel 1802 quello troppo fastoso di UniversitĂ .
Cotesto Liceo attualmente è fornito di 26 cattedre, compresevi due di teologia dogmatica e morale. Ă repartito in tre facoltĂ ; legale, medico-chirurgica, e fisico- matematica, con un gabinetto di macchine e un orto botanico. La laurea in legge si conferisce dallâarcivescovo; nelle altre facoltĂ la dĂ il direttore della pubblica istruzione, delegato dal sovrano.
Scuole dei chierici regolari della Madre di Dio. â Nel convento di S. Maria in Cortelandini, dove ebbe origine nel 1583 questa dotta e pia Congregazione, si danno pubbliche lezioni di umane lettere, e, specialmente ai seminaristi di S. Michele, unâistruzione religiosa e scientifica confacente alla loro carriera.
Inoltre esiste nel convento medesimo una pregevole biblioteca corredata di circa 4000 volumi, molti dei quali appartenuti a Mons. Gio. Domenico Mansi, al Franciotti, al Beverini, al Paoli, che furono altrettanti luminari di quella famiglia di regolari.
Scuola del disegno e pubblica biblioteca. â Accanto alla chiesa di S. Frediano sino dal 1802 fu aperta una scuola del disegno diretta da un professore di pittura lucchese, provvista di sufficienti modelli con lo studio del nudo.
La sala della biblioteca che fa parte del fabbricato di S.
Frediano, può dirsi, e meglio poteva dirsi provvista di libri e di codici innanzi che vi si appiccasse il fuoco la sera del 30 gennajo 1822; dal quale accidente tuttora arcano restò danneggiato assaissimo anche un quadro grandioso rappresentante il convito dato da S. Gregorio ai poveri, dipintura di Pietro Paolini di Lucca, che sente della maniera di Paolo Veronese.
In questa biblioteca esistono circa 15000 volumi stampati, molti libri manoscritti e costĂ furono riunite le pergamene dei conventi e monasteri soppressi al tempo dei principi Baciocchi.
Collegio Carlo Lodovico . â Sino dal 1809 nel claustro di S. Frediano, oltre il liceo e la biblioteca fu aperto un collegio di giovani alunni, cui il governo borbonico nel 1819, cambiando il nome di Felice in quello di Collegio Carlo Lodovico, accrebbe mezzi e locale, quando fu traslocato il liceo nel palazzo giĂ Lucchesini, a tale scopo acquistato, per lasciare esclusivamente il fabbricato di S.
Frediano ad uso delle pubbliche scuole di umane lettere, e per uso solamente deâcollegiali.
La Regia biblioteca palatina, sebbene da poco tempo creata, conta sopra 25000 volumi, molti dei quali sono pregevoli per lâedizione, per il merito degli autori, o per lâimportanza dei manoscritti.
Conservatorii. â Sebbene Lucca nei secoli scorsi non mancasse di stabilimenti per le fanciulle, conosciuti sotto il nome di Ritirate, di Convertite ec. pure mancava un conservatorio per lâeducazione della fanciulle civili. Due di questi si videro sorgere nel secolo attuale, il primo dei quali prese il nome dâIstituto Elisa , poi di Maria Luisa , dalle due sovrane cui doveva la fondazione e la protezione. â Lâaltro conservatorio di S. Nicolao fu appellato di Luisa Carlotta dalla principessa sorella del duca regnante. â Se non che lâIstituto Maria Luisa , in grazia del sistema signorile e del troppo lusso introdottovi, trovandosi in decadenza per lâesaurimento dei fondi, fu creduto meglio il sopprimerlo (anno 1834) piuttosto che riformarlo, per rilasciare quel vasto locale libero alle monache domenicane, le quali giĂ sono tornate ad abitarlo.
Dopo la soppressione dellâIstituto Maria Luisa non è rimasto per le fanciulle civili altro che il conservatorio Luisa Carlotta , dove convivono attualmente circa 40 educande; le quali in breve saranno traslocate nel restaurato monastero di S. Ponziano, per cedere tutto il locale alle loro vicine, che sono monache di Agostiniane in S. Nicolao.
Archivii di Lucca. â Non vi è erudito che non conosca per fama, e che capitando a Lucca non visiti il ricchissimo Archivio Arcivescovile e quello dei Canonici. Fu specialmente dal primo donde trassero tesori i piĂš celebri diplomatici, ed è costĂ dove per le cure dellâAccademia lucchese, e coi mezzi che fornisce il tesoro si vanno da quei dotti con diligenza copiando le molte pergamene originali e quindi tutte si pubblicano e sâillustrano per ordine cronologico, sieno o no altre volte state date alle stampe.
NellâArchivio poi dello Stato, ossia delle Riformagioni della repubblica lucchese furono riuniti i documenti officiali dello Stato, tanto quelli in copie autentiche, quanto in originale, i quali ultimi sono posteriori a Castruccio: e tutti con somma diligenza e perizia dallâattuale archivista disposti e registrati.
Merita pure di essere rammentato lâArchivio pubblico degli Atti notariali , attualmente collocato in un palazzo, che il governo a talâuopo nel 1822 acquistò dallâillustre famiglia Guidiccioni. Questo che può dirsi uno dei buoni palazzi di Lucca, fu fabbricato sulla fine del secolo XVI col disegno di Vincenzo Civitali. â Resta sopra una piazzetta dincontro al palazzo deâSanminiati, ora detto degli Uffizii, essendo costĂ attualmente riunite le segreterie di stato, e i primi dicasteri politici, amministrativi e finanzieri del Ducato.
Accademie scientifiche e letterarie. â La Regia Accademia lucchese, appellata per due secoli degli Oscuri, fu tra le piĂš illustri di quante altre societĂ letterarie sorsero in Lucca nei tempi trapassati sotto i variati vocaboli degli Accesi, dei Freddi, dei Balordi, dei Principianti , e dei Raffreddati, sino a quella che chiamossi Accademia dellâAnca. Questâultima ottenne cortese ricovero fra i chierici regolari della Madre di Dio in Cortelandini, dove pur nacque verso la metĂ del secolo XVIII unâaltra societĂ dedicata alla storia ecclesiastica.
LâAccademia degli Oscuri ebbe dai principi Baciocchi il titolo di Napoleone, a da quellâepoca fu ad essa affidato lâonorevole incarico di far tesoro e pubblicare i documenti patrii nelle Memorie per servire alla storia della cittĂ e territorio di Lucca; impresa che onora assaissimo chi la dettò, il governo attuale che la protegge, ed i zelanti illustri socii dellâAccademia, ai quali essa fu o trovasi affidata.
NĂŠ a questo solamente si limitano gli accademici lucchesi, mentre nelle loro adunanze mensuali leggono componimenti letterarii e scientifici di vario argomento, gran parte dei quali sono fatti degni di stampa nella collezione dei loro Atti.
Non dirò di un gabinetto letterario aperto di corto da una societĂ di cultori dei lumi e promotori delle industrie nazionali, poichĂŠ essi trovasi ancora nella sua infanzia. â Piuttosto sarebbe da dire di unâaltra patriottica associazione destinata a incoraggire con apposite commissioni gli artisti piĂš abili della cittĂ , collâesporne annualmente i lavori per dispensarli ai socii medesimi che vi contribuiscono, mediante una lotteria.
NĂŠ meno utile fia lâistituzione della Cassa di risparmio, aperta in Lucca nel 1837; sicchè anche costĂ trovando il suo profitto lâonesto artigiano, il sobrio figlio di famiglia e la giovane lavoratrice, naturalmente ne consegue che ogni giorno vanno aumentando i concorrenti per depositar alla Cassa e rendere fruttifero il loro obolo di risparmio.
Teatri. â Di questi stabilimenti fondati col lodevole scopo dâistruire il popolo dilettando, Lucca ne conta tre; il Teatro del Giglio per la Musica, il Teatro della Pantera e quello di Nota, giĂ Castiglioncelli, per la prosa; comecchè mai tutti insieme aperti, e non di rado tutti chiusi.
Manifatture nazionali. â Dopo lâagricoltura, una delle principali industrie dei Lucchesi, e di antichissima data è lâarte della seta, la quale va ognor piĂš estendendosi nella cittĂ e nel territorio. Avvegnachè non solo lâducazione dei filugelli sta a cura di quasi tutti i campagnoli e dei cittadini che abitano fissi, o che appositamente nella stagione di primavera villeggiano nei loro casini di campagna, ma ancora si aumentano in Lucca le telaja, e vi si procura migliorare di ogni maniera la fabbricazione dei drappi lisci e delle stoffe a opera.
In veritĂ si può dire che in questa cittĂ lâarte di tessere risalga ad unâepoca piĂš remota di quello che comunemente si opina. Conciossiachè comparvero documenti atti a provare, che perfino dal secolo IX in Lucca si tessevano drappi in seta e lana, e tappeti. Citerò fra gli altri un instrumento celebrato costĂ nel dĂŹ 10 maggio dellâ846, col quale Ghisolfo del fu Simone promise al vescovo Ambrogio, finchè vivesse Ildeconda abbadessa del monastero di S. Pietro posto dentro la stessa cittĂ , di consegnargli ognâanno un vestito di lana tessuto in seta, un tappeto ed un'altra specie di drappo chiamato dungartin, ec. (Memor. Lucch. T. IV. P. II.) Quindi troviamo in Lucca la corte, ossia il collegio dei mercanti di generi e di prodotti lucchesi fino dal principio del secolo XII stabilito, come fu avvertito a pag. 843, nei contorni del Duomo di S. Martino; poscia un secolo dopo i mercanti di seta apposero la loro insegna della balla allâospedale della Misericordia; e ciò nel tempo che essi tenevano case e societĂ di commercio non solo nellâalta Italia, ma nelle cittĂ principali dellâEuropa.
Ă altresĂŹ vero che la maggior prosperitĂ dellâarte della seta per Lucca dovè essere verso la metĂ del secolo XVI, tempo in cui molte famiglie ricche, negozianti e fabbricanti di drappi, alla caduta della Repubblica Fiorentina si ricovrarono in detta cittĂ , dove si conta che vi fossero allora fino a 3000 telaja di drappi con una popolazione di 30,000 abitanti, dei quali una gran parte lavorava alla manifattura della seta. â Allâincontro nel principio del secolo XVII lâarte medesima era decaduta al segno che, nel 1614, si contavano in Lucca soli 700 telai.
Dai dati statistici i piĂš recenti resulta, che esistono attualmente in questa cittĂ cinque grandi fabbriche di stoffe di seta, con altrettanti filatoj e torcitoj, il maggiore dei quali si compone di 2400 rocchetti. Tali fabbriche danno di continuo lavoro a 2500 persone. â Vi sono mille telai, fra i quali 17 alla Jacquard . Due fabbriche di galloni e nastri di seta impiegano continuamente 20 telai. â Havvi una gran fabbrica di panni lani, una nuova di panni a pressione, e una di berretti allâuso di levante che danno lavoro a 5000 donne, e a un migliajo di uomini e ragazzi.
Si contano inoltre nel restante del ducato altri 1600 telaj che tessono tele di canapa, di lino, e altre di filo e lana, dei bordatini di cotone con canapa o lino, ec.
Terza dopo lâarte del tessere si distigne in Lucca per gusto e precisione quella degli ebanisti, intarsiatori e lavoranti di mobilia di legno. â Vi sono tre principali fabbriche di cappelli di feltro, 5 di cappelli di paglia, una fornace di vetri e una di terraglie; e sparse per il territorio 30 cartiere, varie conce e 3 ferriere, ec.
Commercio di Lucca. â Il commercio deâcereali, meno che alle fiere, si fa unicamente a Lucca. â I mercati settimanali cadono nel giorno di sabato; il commercio per altro del bestiame grosso si fa ancora nei mercati di Viareggio. Il bestiame bovino dello stato lucchese ascende a circa 4,000 capi, senza dire di quello pecorino, porcino ec.- Il principale, e piĂš ricco articolo di esportazione consiste nellâolio dâoliva, la di cui ottima qualità è bastantemente famigerata, per lâolio in specie raccolto nel distretto delle sei miglia attorno alla cittĂ . La media esportazione annua del medesimo può calcolarsi a circa 700,000 lire toscane.
Uomini illustri lucchesi. â Non dirò qui degli uomini saliti a eminenti dignitĂ , essendo bastantemente noto che Lucca diede due pontefici, due principi assoluti della sua patria, non compresivi il marchese Bonifazio, la gran contessa Matilde, gli Adalberti ec., oltre i molti cardinali, un maggior numero di vescovi e arcivescovi, e moltissimi diplomatici insigni, tutti lucchesi.
NĂŠ dirò dei tanti dotti il novero, il merito e le gesta dei quali hanno empito due volumi della storia compilata dal letteratis simo lucchese Cesare Lucchesini. Chi volesse pertanto da quella lodevole fatica coglierne il piĂš bel fiore troverebbe nel primo di quei volumi moltissimi letterati anteriori al secolo XVI, fra i quali per opere edite di maggior grido meritano di essere citati un Bonagiunta Orbiciani, poeta del secolo XIII distinto dallâAlighieri nel suo Purgatorio (canto 24); un Fr. Tolomeo Fiadoni, autore dei primi annali lucchesi; un Nicolao Tegrimi, primo biografo del vaolroso Castruccio; un Giovanni Guidiccioni, oratore e poeta; un Fra Santi Pagnini, celebre orientalista; un Simone Cardella, e un Bartolommeo Civitali, primi tipografi a Roma e a Lucca (anno 1471 e 1477); finalmente un insigne scultore in Matteo Civitali.
Nei secoli che succedettero al XVI la lista dei dotti lucchesi è anche piÚ copiosa; basta dire che il Beverini, il Franciotti, Gio. Domenico Mansi, Sebastiano Paoli e tanti altri eruditi e scienziati escirono tutti dalla Congregazione di Cortelandini, che fu per Lucca una pepiniera di uomini di merito in varie dottrine.
A questi giova aggiungere lâillustre giureconsulto Lelio Altogradi, il celebre idraulico Attilio Arnolfini, lâeruditissimo medico e illustre storico Francesco Maria Fiorentini, il ch. Lazzero Papi troppo presto rapito alle lettre, e poco innanzi preceduto dalla perdita che fece Lucca in pochi anni del P. Cianelli, di Domenico Bertini, dei due fratelli Girolamo e Cesare Lucchesini, cui venne dietro la veterana improvvisatrice Bandettini, ec. ec.
QUADRO della Popolazione della Comunità di LUCCA a due epoche diverse - nome della sezione: LUCCA città capitale; totale degli abitanti delle 10 chiese parrocchiali: anno 1832 n° 21,829, anno 1837 n° 23,167; famiglie del 1837 n° 4,778.
- nome della sezione: S. Alessio; titolo della chiesa: S.
Alessio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 676, anno 1837 n° 742; famiglie del 1837 n° 122.
- nome della sezione: S. Anna; titolo della chiesa: S. Anna (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,852, anno 1837 n° 2,076; famiglie del 1837 n° 319.
- nome della sezione: Santissima Annunziata; titolo della chiesa: SS. Annunziata (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 294, anno 1837 n° 314; famiglie del 1837 n° 53.
- nome della sezione: Antraccoli; titolo della chiesa: S.
Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 674, anno 1837 n° 739; famiglie del 1837 n° 123.
- nome della sezione: Aquilea; titolo della chiesa: S.
Leonardo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 474, anno 1837 n° 521; famiglie del 1837 n° 93.
- nome della sezione: Arancio; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo in Silice (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 275, anno 1837 n° 315; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Arliano; titolo della chiesa: S.
Giovanni Battista (Pieve); abitanti anno 1832 n° 127, anno 1837 n° 133; famiglie del 1837 n° 21.
- nome della sezione: Arsina; titolo della chiesa: S.
Frediano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 263, anno 1837 n° 278; famiglie del 1837 n° 43.
- nome della sezione: Balbano; titolo della chiesa: S.
Donato (Pieve); abitanti anno 1832 n° 512, anno 1837 n° 563; famiglie del 1837 n° 96.
- nome della sezione: Brancoli (Deccio di); titolo della chiesa: S. Frediano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 191, anno 1837 n° 187; famiglie del 1837 n° 37.
- nome della sezione: Brancoli (S. Giusto e S. Lorenzo di); titolo della chiesa: SS. Giusto e Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 391, anno 1837 n° 451; famiglie del 1837 n° 80.
- nome della sezione: Brancoli (S. Ilario di); titolo della chiesa: S. Ilario (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 86, anno 1837 n° 84; famiglie del 1837 n° 13.
- nome della sezione: Brancoli (Ombreglio di); titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 154, anno 1837 n° 165; famiglie del 1837 n° 28.
- nome della sezione: Brancoli (Piazza di); titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 306, anno 1837 n° 341; famiglie del 1837 n° 69.
- nome della sezione: Brancoli (Pieve di) con Grignano; titolo della chiesa: S. Giorgio (Pieve) con lâannesso di S.
Genesio; abitanti anno 1832 n° 358, anno 1837 n° 381; famiglie del 1837 n° 67.
- nome della sezione: Brancoli (Tramonte di); titolo della chiesa: S. Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 93, anno 1837 n° 91; famiglie del 1837 n° 14.
- nome della sezione: Busdagno e Carignano; titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 401, anno 1837 n° 457; famiglie del 1837 n° 67.
- nome della sezione: Campo (S. Angelo in); titolo della chiesa: S. Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 872, anno 1837 n° 995; famiglie del 1837 n° 163.
- nome della sezione: Cappella e Montecatino; titolo della chiesa: S. Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 567, anno 1837 n° 611; famiglie del 1837 n° 95.
- nome della sezione: Castagnori; titolo della chiesa: S.
Tommaso (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 137, anno 1837 n° 132; famiglie del 1837 n° 17.
- nome della sezione: Castiglioncello; titolo della chiesa: S. Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 160, anno 1837 n° 170; famiglie del 1837 n° 33.
- nome della sezione: Cerasomma; titolo della chiesa: S.
Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 360, anno 1837 n° 392; famiglie del 1837 n° 65.
- nome della sezione: Chiatri; titolo della chiesa: SS.
Giusto e Barbera (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 253, anno 1837 n° 258; famiglie del 1837 n° 41.
- nome della sezione: Ciciana; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 174, anno 1837 n° 175; famiglie del 1837 n° 32.
- nome della sezione: Colombano (S.), S. Concordio, Pulia, S. Pietro maggiore e S. Ponziano; titolo della chiesa: S. Concordio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,564, anno 1837 n° 1,654; famiglie del 1837 n° 280.
- nome della sezione: Colle e Fregionaja; titolo della chiesa: S. Maria a Colle (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 939, anno 1837 n° 1,011; famiglie del 1837 n° 167.
- nome della sezione: Convalle; titolo della chiesa: SS.
Simone e Giuda (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 375, anno 1837 n° 424; famiglie del 1837 n° 87.
- nome della sezione: Donato (S.) nel suburbio; titolo della chiesa: S. Donato (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 708, anno 1837 n° 729; famiglie del 1837 n° 138.
- nome della sezione: Escheto; titolo della chiesa: S.
Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 162, anno 1837 n° 166; famiglie del 1837 n° 30.
- nome della sezione: Fagnano; titolo della chiesa: S.
Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 339, anno 1837 n° 400; famiglie del 1837 n° 59.
- nome della sezione: Farneta; titolo della chiesa: S.
Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 278, anno 1837 n° 291; famiglie del 1837 n° 42.
- nome della sezione: Fiano; titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 434, anno 1837 n° 463; famiglie del 1837 n° 88.
- nome della sezione: Filippo (S.) nel suburbio; titolo della chiesa: S. Filippo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 455, anno 1837 n° 503; famiglie del 1837 n° 83.
- nome della sezione: Focchia e Barbamento; titolo della chiesa: S. Paolo (Cappellania); abitanti anno 1832 n° -, anno 1837 n° 257; famiglie del 1837 n° 38.
- nome della sezione: Formentale; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 78, anno 1837 n° 90; famiglie del 1837 n° 12.
- nome della sezione: Freddana; titolo della chiesa: S.
Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 237, anno 1837 n° 253; famiglie del 1837 n° 47.
- nome della sezione: Gattajola e Salissimo; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 316, anno 1837 n° 335; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Gugliano; titolo della chiesa: S.
Stefano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 135, anno 1837 n° 148; famiglie del 1837 n° 23.
- nome della sezione: Loppeglia, Batone e Frenello; titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 333, anno 1837 n° 354; famiglie del 1837 n° 62.
- nome della sezione: Macario (S.); titolo della chiesa: S.
Macario (Pieve); abitanti anno 1832 n° 607, anno 1837 n° 642; famiglie del 1837 n° 105.
- nome della sezione: Maggiano; titolo della chiesa: S.
Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 192, anno 1837 n° 220; famiglie del 1837 n° 37.
- nome della sezione: Marco (S.) nel suburbio; titolo della chiesa: SS. Marco e Jacopo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,162, anno 1837 n° 1,220; famiglie del 1837 n° 260.
- nome della sezione: Maria (S.) del Giudice; titolo della chiesa: S. Maria (Pieve); abitanti anno 1832 n° 1,766, anno 1837 n° 1,936; famiglie del 1837 n° 370.
- nome della sezione: Massa Pisana; titolo della chiesa: S.
Ambrogio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 300, anno 1837 n° 310; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Mastiano e Mammoli; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 298, anno 1837 n° 351; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Meati; titolo della chiesa: S.
Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 188, anno 1837 n° 200; famiglie del 1837 n° 35.
- nome della sezione: Monsagrati; titolo della chiesa: S.
Giovanni Battista (Pieve); abitanti anno 1832 n° 388, anno 1837 n° 475; famiglie del 1837 n° 60.
- nome della sezione: Monsanquilici e Vallebuja; titolo della chiesa: S. Quirico (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,384, anno 1837 n° 1,520; famiglie del 1837 n° 260.
- nome della sezione: Montuoso e Cocombola; titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve); abitanti anno 1832 n° 593, anno 1837 n° 684; famiglie del 1837 n° 117.
- nome della sezione: Moriano (S. Cassiano di); titolo della chiesa: S. Cassiano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 148, anno 1837 n° 149; famiglie del 1837 n° 29.
- nome della sezione: Moriano (S. Concordio di); titolo della chiesa: S. Concordio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 140, anno 1837 n° 145; famiglie del 1837 n° 24.
- nome della sezione: Moriano (S. Gemignano di); titolo della chiesa: S. Gemignano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 264, anno 1837 n° 266; famiglie del 1837 n° 50.
- nome della sezione: Moriano (S. Lorenzo e S. Michele di); titolo della chiesa: SS. Lorenzo e Michele (Pieve); abitanti anno 1832 n° 454, anno 1837 n° 472; famiglie del 1837 n° 74.
- nome della sezione: Moriano (S. Quirico di); titolo della chiesa: S. Quirico (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 244, anno 1837 n° 270; famig lie del 1837 n° 42.
- nome della sezione: Moriano (S. Stefano di); titolo della chiesa: S. Stefano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 490, anno 1837 n° 538; famiglie del 1837 n° 96.
- nome della sezione: Moriano (Sesto a); titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Pieve); abitanti anno 1832 n° 310, anno 1837 n° 315; famiglie del 1837 n° 60.
- nome della sezione: Mugnano; titolo della chiesa: S.
Michele (Cappellania); abitanti anno 1832 n° 166, anno 1837 n° 197; famiglie del 1837 n° 32.
- nome della sezione: Mutigliano; titolo della chiesa: SS.
Ippolito e Cassiano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 219, anno 1837 n° 236; famiglie del 1837 n° 35.
- nome della sezione: Nave; titolo della chiesa: S. Matteo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 612, anno 1837 n° 685; famiglie del 1837 n° 112.
- nome della sezione: Nozzano; titolo della chiesa: S.
Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,174, anno 1837 n° 1,226; famiglie del 1837 n° 225.
- nome della sezione: Palmata; titolo della chiesa: S.
Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 151, anno 1837 n° 159; famiglie del 1837 n° 30.
- nome della sezione: Pancrazio (S.); titolo della chiesa: S.
Pancrazio (Pieve); abitanti anno 1832 n° 335, anno 1837 n° 392; famiglie del 1837 n° 58.
- nome della sezione: Pascoso; titolo della chiesa: S.
Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° -, anno 1837 n° 851; famiglie del 1837 n° 157.
- nome della sezione: Pascoso (S. Rocco di); titolo della chiesa: S. Rocco (Cappellania); abitanti anno 1832 n° -, anno 1837 n° 339; famiglie del 1837 n° 54.
- nome della sezione: Pescaglia; titolo della chiesa: SS.
Pietro e Paolo (Propositura); abitanti anno 1832 n° 879, anno 1837 n° 965; famiglie del 1837 n° 198.
- nome della sezione: Piazzano; titolo della chiesa: S.
Frediano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 217, anno 1837 n° 238; famiglie del 1837 n° 43.
- nome della sezione: Picciorana; titolo della chiesa: S.
Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 461, anno 1837 n° 512; famiglie del 1837 n° 85.
- nome della sezione: Piegajo; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 209, anno 1837 n° 439; famiglie del 1837 n° 85.
- nome della sezione: Ponte S. Pietro; titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 253, anno 1837 n° 298; famiglie del 1837 n° 55.
- nome della sezione: Pontetetto; titolo della chiesa: S.
Maria delle Grazie (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 261, anno 1837 n° 327; famiglie del 1837 n° 65.
- nome della sezione: Pozzuolo; titolo della chiesa: S.
Stefano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 134, anno 1837 n° 145; famiglie del 1837 n° 18. - nome della sezione: Saltocchio; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 475, anno 1837 n° 547; famiglie del 1837 n° 109.
- nome della sezione: Sorbano del Giudice; titolo della chiesa: S. Giorgio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 247, anno 1837 n° 269; famiglie del 1837 n° 41.
- nome della sezione: Sorbano del Vescovo; titolo della chiesa: S. Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 343, anno 1837 n° 381; famiglie del 1837 n° 69.
- nome della sezione: Stefano (S.) Forci e Greco; titolo della chiesa: S. Stefano (Pieve); abitanti anno 1832 n° 457, anno 1837 n° 495; famiglie del 1837 n° 58.
- nome della sezione: Stabbiano; titolo della chiesa: S.
Donato (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 160, anno 1837 n° 183; famiglie del 1837 n° 29.
- nome della sezione: Tempagnano di Lunata; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 405, anno 1837 n° 435; famiglie del 1837 n° 76.
- nome della sezione: Torcigliano di Monsagrati; titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 165, anno 1837 n° 177; famiglie del 1837 n° 50.
- nome della sezione: Torre, Pieve e Cerreto; titolo della chiesa: S. Nicolao (Pieve); abitanti anno 1832 n° 491, anno 1837 n° 545; famiglie del 1837 n° 86.
- nome della sezione: Vaccoli; titolo della chiesa: S.
Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1.121, anno 1837 n° 1,212; famiglie del 1837 n° 214.
- nome della sezione: Vecoli; titolo della chiesa: SS.
Annunziata e S. Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 142, anno 1837 n° 180; famiglie del 1837 n° 22.
- nome della sezione: Vico (S. Cassiano a); titolo della chiesa: S. Cassiano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,096, anno 1837 n° 1,161; famiglie del 1837 n° 206.
- nome della sezione: Vico (S. Pietro a); titolo della chiesa: S. Pietro (Prioria); abitanti anno 1832 n° 1,161, anno 1837 n° 1,279; famiglie del 1837 n° 211.
- nome della sezione: Vico Pelago; titolo della chiesa: S.
Giorgio (Pieve); abitanti anno 1832 n° 160, anno 1837 n° 185; famiglie del 1837 n° 28.
- nome della sezione: Vignale; titolo della chiesa: S.
Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 151, anno 1837 n° 159; famiglie del 1837 n° 20.
- nome della sezione: Vito (S.) a Lunata; titolo della chiesa: S. Vito (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 513, anno 1837 n° 613; famiglie del 1837 n° 101.
- Totale abitanti anno 1832 n° 58,768 - Totale abitanti anno 1837 n° 65,359 - Totale famiglie anno 1837 n° 11,999
Trovasi la cittĂ di Lucca sulla ripa sinistra del fiume Serchio che le passa circa un terzo di miglio distante, in mezzo ad una fertile e irrigatissima pianura, circoscritta, dal lato di scirocco e libeccio dal monte, per cui i Pisan veder Lucca non ponno; da ponente a maestro mediante le branche dellâAlpe Apuana; da settentrione a grecale le fanno spalliera le balze dellâAppennino fra le quali scendono il Serchio, la Lima e le Pescie; mentre di lĂ dalle foci che si avvallano a levante e a libeccio di Lucca, giacciono i due laghi piĂš vasti della Toscana attuale.
Incontrasi la stessa cittĂ sotto il grado 28° 10â di longitudine e 43° 51â di latitudine, sopra un piano appena 32 braccia toscane piĂš elevato del livello del mare Mediterraneo; 13 miglia toscane a settentrione-grecale di Pisa, passando per Ripafratta, e sole 10 miglia toscane per lâantica strada del Monte pisano; 26 miglia toscane per la stessa direzione lontana da Livorno; 24 miglia toscane a levante-scirocco di Massa di Carrara; 12 a ponente- libeccio di Pescia; 14 a ostro dei Bagni di Lucca; e 46 miglia toscane a ponente di Firenze.
Senza far conto della congettura sullâetimologia del suo nome, di Lucca etrusca e ligure sâignorano non solo le vicende, ma qualunque siasi rimembranza istorica al pari, se non di piĂš, di quelle che si desiderano per altre cittĂ antichissime della Toscana. Dondechè quel piĂš che di Lucca si può sospettare, come un indizio di opera etrusca, sarebbero i fondamenti superstiti delle sue antiche mura ciclopiche, che in qualche parte a scirocco dentro la cittĂ , tuttora fra le muraglie di piĂš moderna etĂ si nascondono.
â Vedere LUCCA COMUNITAâ.
Non vi sono tampoco dati positivi, tostochè glâistorici del tempo non ne parlano, per farci conoscere, in qualche anno le armi romane cacciassero da Lucca i Liguri che al loro arrivo nella Valle del Serchio dominavano.
Nonostante rispetto a Lucca e Pisa, essendo queste le due cittĂ della Toscana che conservano a preferenza maggiori memorie tanto dei tempi romani, quanto dei periodi piĂš oscuri dellâistoria del medio evo, sarĂ gioco forza discorrerne piĂš di quanto comporterebbe il nostro libro.
Quindi gioverà che io percorra le vicende civili e politiche di Lucca 1°. sotto i Romani; 2°. sotto i re Longobardi ; 3°.
sotto i re Franchi e Italiani; 4°. sotto i re Sassoni e Svevi ; 5°. durante il periodo della sua repubblica; 6°. finalmente Lucca nei primi sette lustri del secolo XIX.
LUCCA SOTTO I ROMANI Quantunque non manchino valenti scrittori, i quali, appoggiandosi a un aneddoto di strategia militare raccontato da S. Giulio Frontino nella sua opera degli Stratagemmi , opinarono, che Lucca era in potere dei Liguri quando alla testa deâsoldati romani un Gneo Domizio Calvino lâassediò, e poi con semplicissimo inganno le sue genti vâintrodusse: contutto ciò, se io non temessi di porre il piè in fallo, azzarderei dire, che quella sola e troppo vaga asserzione non sia sufficiente a decifrare, se la comparsa ostile di Gneo Domizio Calvino sotto le mura di Lucca abbia a risalire allâepoca in cui i Romani conquistarono la prima volta sopra i Liguri questa cittĂ ; o sivvero, se lo stratagemma raccontato da Frontino debba riportarsi a qualcuna delle guerre civili e delle grandi fazioni di partito fra le cittĂ italiane sul declinare della repubblica romana guerreggiate.
NĂŠ io credo che osterebbe alle mie dubbiezze lâavere Frontino qualificato Lucca oppidum Ligurum, volendo probabilmente quello scrittore riferire alla contrada ligustica, nella quale Lucca fu per molti secoli dai Romani conservata; nella stessa guisa che il geografo Pomponio Mela, coetaneo di Frontino, chiamò Luna Ligurum, per quanto questa ultima cittĂ , giĂ da gran tempo innanzi staccata dalla provincia ligure, facesse parte della Toscana.
Quantunque la perdita della seconda Decade di T. Livio ne privi di documenti meno equivoci, relativi a chiarirci rapporto allâepoca, nella quale Lucca venne conquistata dalle armi romane, altronde i fatti istorici intorno alle prime guerre e al primo trionfo riportato dai consoli nellâanno 516 di Roma e quelli immediatamente posteriori ai libri perduti, ci danno a divedere che innanzi alla seconda guerra punica i Lucchesi giĂ ubbidivano o almeno erano alleati di Roma; tostochè dopo la battaglia della Trebbia (anno 536) in Lucca potè con sicurezza fissare i suoi alloggiamenti il console Sempronio. â E se è vero, come ne assicura lo storico patavino, che lâimpresa delle guerre lingustiche e galliche soleva dal senato affidarsi ai consoli, cui talvolta veniva prolungato il comando, è altresĂŹ noto, che niuno dei Domizj Calvini ottenne il consolato nel secolo sesto di Roma, tempo cui ci richiama la conquista del paese fra lâArno e la Magra.
Per altro di un Gn. Domizio Calvino, stretto in amicizia con Cesare e con Ottaviano, parlano glâistorici Dione Cassio e Ammiano Marcellino; talchè sembra lostesso personaggio che ottenne la prima volta il consolato nellâanno di Roma 701, e la seconda nel 714: cioè, due anni dopo la battaglia di Filippi. Fu allora quando Ottaviano Augusto faceva dispensare alle sue legioni, in ricompensa della riportata vittoria, sostanze e terreni a scapito deglâinquilini e dei loro legittimi possessori in tutta Italia. Si trattava nientemeno che di saziare lâaviditĂ di circa 170 mila soldati a danno e a carico di vecchie colonie, di nobili municipii, di ragguardevolissime cittĂ .
Non è questo un libro, nĂŠ io sono tale scrittore da dovermi permettere, quante volte manchino documenti istorici, delle congetture, dopo che ho preso per mia norma e divisa quel passo di Cicerone: Ex monumentis testes excitamus. Quindi io lascerò volentieri ai piĂš valenti lâincarico dâindagare, se lo stratagemma raccontato da Frontino, relativamente alla cittĂ di Lucca dei Liguri, quando essa fu assediata da Gneo Domizio Calvino, fosse possibilmente accaduto in quella calamitosa etĂ , in cui Piacenza dovè a forza di denaro redimersi dallâaviditĂ dei legionari; allorchè Virgilio fu costretto ad abbandonare la patria per essergli stato rapito il suo piccolo podere, e ciò nel tempo medesimo in cui molte altre cittĂ coraggiosamente si opponevano alle sfrenate coorti di Ottaviano.
Rimetterò pure a chi ha fior di senno la soluzione del quesito: se il popolo lucchese, a imitazione di quello di Norcia, di Sentino e di Perugia, potè allora sentire di sÊ tal forza e tanto stimolo di patrio onore da chiudere le porte della città in faccia alla prepotente milizia condotta da un luogotenente dei due primi Cesari, siccome piÚ tardi ebbe coraggio di fare lo stesso contro un piÚ numeroso esercito guidato dal vittorioso Narsete.
Comecchè sia di tutto ciò, non vi ha dubbio che Lucca sino da quellâetĂ doveva essere cittĂ di solide mura e di valide difese munita, siccome lo dĂ a congetturare la ritirata costĂ del Console Sempronio dopo la sinistra giornata della Trebbia.
Quello che fosse in tal epoca dello stato politico e della condizione civile di Lucca, è tale ricerca che rimansi ancora tra le cose da desiderare. Avvegnachè di tante guerre lingustiche nei lucchesi confini guerreggiate, di tanti fatti dâarme da Tito Livio con minute particolaritĂ e con enfasi oratoria raccontate, neppure una volta venne a lui fatto di nominare la cittĂ di Lucca. â Solamente, e quasi per incidenza, la rammentò allâanno di Roma 577, quando vi fu dedotta una colonia di diritto romano, composta di 2000 cittadini; a ciascuno dei quali vennero consegnati jugeri 51 e 1/2 di terreno stato tolto ai Liguri, aggiungendo egli, che quel territorio, prima che fosse dei Liguri, apparteneva agli antichi Etruschi.
Non dirò della lite insorta nove anni dopo, e piatita da Roma davanti ai Padri Coscritti, quando i Pisani querelavansi di esser respinti dal loro contado dai coloni romani di Lucca, e allâincontro i Lucchesi affermavano, che il terreno di cui si contendeva dai triunviri della colonia era stato loro consegnato; nĂŠ dirò del luogo fra i due popoli controverso, non trovandosi specificata la localitĂ ; nĂŠ altro resultato sapendosi dopo che il senato mandò i periti a conoscere e giudicare dei confini fra i due paesi disputanti, non se ne può arguire da qual parte i Lucchesi penetrassero nellâEtruria, ossia nel territorio della colonia di Pisa, spettante a questâultima regione.
(LIV. Histor. Rom. Lib. 45.). â Solamente aggiungerò che la cittĂ di Lucca anche innanzi la deduzione della sua colonia possedeva senza dubbio un territorio suo proprio, siccome avere doveva una magistratura civica e leggi diverse da quelle che erano peculiari della sua colonia.
Vi furono è vero molti, i quali opinarono, che i Lucchesi allâarrivo della romana colonia (177 anni avanti GesĂš Cristo) dovessero restare spogliati delle proprie leggi e dei loro magistrati municipali per godere dei privilegii e dei diritti portati insieme con i costumi e la forma di governo dai nuovi coloni; e ciò tanto piĂš, in quanto che di casi simili si contavano esempj da A. Gellio; il quale ne avvisò che molti municipj, rinunziando ai loro usi e alle proprie leggi, cercarono di ottenere il diritto delle colonie.
Quando però si vogliono contemplare le espressioni di due autori non meno classici di A. Gellio, si dovrà concedere che piÚ frequenti furono i casi, nei quali si combinavano in un paese medesimo colonie di diritto romano e magistrati municipali con leggi proprie.
Il primo è Cicerone, il quale nellâarringa a favore di P.
Silla (cap. 21) chiaramente distingue i cittadini di Pompei dai coloni stati colĂ inviati dal dittatore L. Silla. Il secondo scrittore è S. Pompeo Festo, alla voce Praefaecturae, lĂ dove in modo generale egli si espresse, che le prefetture erano cittĂ ridotte in soggezione dei Romani, e che perciò, se anche avevano colonie di loro, erano in tutto da questo disferenziate. â Dopo le quali testimonianze, (se la storia altro non dicesse) dovrĂ ognuno concedere, che in un paese medesimo potè trovarsi una colonia con prefettura, cioè, senza i suoi magistrati, ed esservene altri con magistrati distinti da quelli della sua colonia.
Ecco perchĂŠ Cicerone in una lettera scritta a Decimo Bruto, quando questi sopravvedeva alla Gallia Cisalpina, raccomandavagli lâamico L. Castronio Peto patrono principale del municipio di Lucca, nello stesso modo che lâoratore arpinate aveva qualificato col titolo di municipio le cittĂ di Piacenza, di Cossa, di Arpino, ec., ciascuna delle quali era nel tempo medesimo colonia.
CosĂŹ A. Gello appellò illustre municipio la cittĂ di Teramo (Interamna) sul Liri, nel cui vasto territorio trovavasi fino allâanno 569 di Roma dedotta una colonia latina (Liv. Lib. XXX 5). â Ma per lasciare tanti altri esempj gioverommi di quello solo che piĂš direttamente spetta al caso nostro, citando il compendio dellâopera di Pompeo Festo, scritto da Paolo Diacono, nel quale apparisce, qualmente Lucca, Pisa, Bologna, Piacenza e altre cittĂ godevano dei diritti di municipio, e di quelli proprii della colonia. (De Verborum Significatione, alla voce Municipium).
Conchiudasi adunque che, dovendo a buon diritto distinguere i coloni dai cittadini del luogo in cui la colonia fu dedotta, nel caso nostro è buono di avvertire, qualmente il terreno dato ai 2000 coloni lucchesi, non fu tolto ai cittadini indigeni, ma sibbene venne ad essi distribuito tutto, o la maggior parte di quello montuoso lasciato deserto dalle guerre, o dallâespulsione dei Liguri Apuani, deâFriniati e di altre simili congregazioni di Appennigeni fra loro limitrofe. â Vedere LUCCA DUCATO, LUNI e LUNIGIANA.
La colonia pertanto di Lucca andò prosperando insieme col municipio lucchese: nĂŠ pare che dappoi decimasse, o che la sua popolazione andasse declinando, siccome avvenne di tante altre cittĂ che spontanee chiesero, o forzate dovettero accogliere nel loro seno colonie militari, non piĂš come quelle dei tempi della repubblica. Fra queste ultime, dice Tacito, (Annal. Lib. XIV c. 27) si vedevano legioni intere coâlor tribuni, centurioni e soldati dâun corpo stesso, perchĂŠ dâafferto concordi, che amorevolmente avevano formato una piccola repubblica; mentre le altre invece erano di quelle colonie composte di soldati sconosciuti fra loro, di varie compagnie, senza capo, senza affezioni reciproche, quasi dâun'altra razza dâuomini, che alla rinfusa insieme accozzavansi, tali corpi in fine, come in due parole quellâaureo scrittore si espresse, cioè, formati numeris magis quam colonia.
Non ho creduto totalmente inutile alla storia cotesta disgressione, sul riflesso che potrà essa fornire un titolo a dimostrare, che Lucca per buona sorte restò una di quelle colonie romane non piÚ manomesse da altre carovane di soldati faziosi.
Ă altresĂŹ vero che di questa fatta la diede a conoscere anche il greco geografo Strabone; il quale, parlando della situazione di Lucca e dellâindole dei suoi abitanti, ne avvisò, come da questa contrada aâtempi suoi si raccoglievano grandi compagnie di soldati e di cavalieri, donde il senato sceglieva le sue legioni.
Uno degli ultimi e piĂš clamorosi avvenimenti di cui Lucca, mentrâera cittĂ della Liguria, divenne teatro, fu quando Giulio Cesare proconsole delle Gallie invitò a Lucca Crasso e Pompeo, per fissare la famosa triumvirale alleanza che decise della sorte politica dellâorbe romano.
(anno di Roma 698, avanti GesĂš Cristo anno 56.) In tale occorrenza Lucca accolse fra le sue mura i primi magistrati di varie provincie ro mane, moltissimi senatori, e circa 120 fasci di littori che servirono di treno ai proconsoli, ai propretori ec. Al quale proposito non senza ragione uno storico moderno ebbe a esclamare: âTanto erano allora degenerati i romani dai padri loro, che essi adopravansi a favorire la tirannide con eguale ardore con quanto i prischi travagliato avevano per spegnerlaâ. â (PLUTAR. e SVETON. in Vit. Caesar. â MAZZAROSA, St. di Lucca Lib. I.) Una cittĂ , comâera Lucca al tempo dei Cesari, centro di un paese molto esteso e popoloso, doveva necessariamente essere fornita e decorata di grandiosi monumenti e di pubblici edifizj sacri e profani. Che se ora non restano di quella etĂ altro che rarissimi avanzi e sepolte sostruzioni dâinformi mura, vedesi però il suo anfiteatro, specialmente nei muri esterni, in gran parte conservato sino alla nostra etĂ . E fu ben provvida la misura presa da quel corpo decurionale di liberare da tanti imbarazzi di orride case lâinterna arena per convertirla in una piazza regolare, e tale che ne richiami a prima vista la forme dellâantico edifizio.
Dal congresso di Cesare a Lucca fino alla disfatta dei Goti data da Narsete, cioè, durante il lungo periodo di circa 600 anni, tace la storia sulle vicende speciali al governo di queste cittĂ ; e solamente per incidenza è rammentata da Plinio il vecchio la colonia di Lucca, con avvertire che aâtempi suoi, Colonia Luca a mari recendes, non si accostava, come poi avvenne, col suo territorio sino al lido del mare. â Vedere LUCCA DUCATO.
Sotto il regno di Teodorico gli ordini delle magistrature continuarono però a un di presso come quelli introdotti durante il romano impero; talchĂŠ si può ben credere, che Lucca al pari di Pisa e di altre cittĂ primarie della Toscana annonaria avesse i suoi Decurioni, Duumviri, Edili, Questori, Censori, Quinquennali ed altri magistrati, molti dei quali sono rammentati ai paragrafi 52 e 53 nellâEditto di quel savio re dei Goti.
Nellâanno 553 dellâEra volgare la cittĂ di Lucca sostenne un lungo assedio contro lâesercito dei greci, condotto dal valoroso Narsete. CosicchĂŠ nel tempo, in cui le altre cittĂ della Toscana inviavano i loro ambasciatori incontro allâarmata vittoriosa, Lucca sola osò chiudere le sue porte al favorito eunuco di Giustiniano.
Che se dopo una resistenza di tre medi questa cittĂ fu costretta a capitolare, ciò non ostante, o fosse in riguardo al dimostrato valore, o fosse in vista dei vetusti suoi pregj, fatto è, che Lucca ottenne dal prode vincitore onorevolissime condizioni, e tali da poter contare da quellâepoca il suo primo governatore civile e militare col titolo di duca; titolo che venne posteriormente, e forse con una piĂš estesa giurisdizione, sotto il regno deâLongobardi rinnovato.
LUCCA SOTTO I RE LONGOBARDI Due quesiti lascia tuttora indecisi la storia allâoggetto di sapere; 1.° lâanno preciso dellâoccupazione della Toscana per parte dei Longobardi; 2.° qual forma di governo politico nei primi tempi essi vi stabilirono. â Quindi in tanto bujo e incertezza convien limitarsi a dire che, almeno dal lato occidentale della Toscana, e conseguentemente i territori di Pisa, di Lucca e di Luni dovevano essere caduti in balia dei nuovi conquistatori dellâItalia, allora quando un loro duce, Gummarit, verso lâanno 574 o 575, metteva a ferro e fuoco le maremme di Populonia, sicchĂŠ quella contrada fu poi riunita alla giurisdizione politica lucchese. â Vedere CORNIA, e CORNINO (CONTADO e SUBURBIO.) Ignorasi egualmente, se uno o piĂš duchi esistessero in questa Marca nel tempo medesimo; se vi fossero conti, oppure, se i soli gastaldi regii presedessero nel primo secolo al governo delle cittĂ di Toscana. â AvvegnachĂŠ ad eccezione del passeggero conquistatore delle maremme di Piombino, e di un duca Allovisino rammentato nella copia di un diploma del re Cuniperto, dato in Pavia nellâanno 686, riguardante la fondazione della chiesa di S. Frediano a Lucca: ad eccezione di due lettere di S. Gregorio Magno, che danno un cenno del ministero municipale di Pisa e di Sovana, poco piĂš ne sappiamo dei Longobardi e del loro governo (ERRATA: nel secolo IV) sulla fine del secolo VI dellâEra cristiana introdotto in Toscana.
In una penuria di tanta sproporzione in confronto del desiderio che avrei di porgere qualche munuscolo allâistoria patria, mi converrĂ imitare quel villico, che per bisogno di pane va e poi torna piĂš volte a spigolare il suo piccolo campo, per raccattare anche le piĂš sterili spighe.
Per quanto Lucca possa dirsi fra tutte le cittĂ della Toscana la sede prediletta di alcuni duchi, per quanto essa conservi negli archivii della sua cattedrale documenti vetusti e preziosissimi, pure conviene ingenuamente confessare, che di Lucca longobarda e dei suoi duchi non si scuoprirono finora memorie sicure anteriori al secolo VIII.
Il primo frattanto a comparire alla luce col titolo speciale di duca lucchese è quel Walperto, di cui troviamo fatta menzione in un istrumento di donazione stipulato in Lucca nel mese di agosto dellâanno 713, cum gratia Domni Walperti Duci nostro (sic) civitatis nostre Lucensis. (MURAT. Ant. Med. Aevi.) Mancato ai vivi il duca Walperto, incontrasi nella cronologia dei duchi di Lucca una lacuna, dal 737 al 754, non ancora châio sappia, riempita da memorie coeve. Lo stesso Muratori trasse fuori da quel dovizioso venerando archivio arcivescovile una pergamena dellâanno 755, che il Bertini per intiero, esattamente copiandola dallâoriginale, ristampò nel T. IV delle Mem. Lucch. Nella medesima carta si rammenta un altro duca per nome Alperto, il quale nellâanno 754 (di luglio) aveva preseduto a un contratto di permuta di beni che il pittore Auriperto teneva dal patrimonio regio, per cambiarli con altri della chiesa lucchese.
NÊ vi sono documenti sufficienti a far ammettere fra i duchi lucchesi Desiderio, che fu poi re, e il di lui figlio Adelchi, per quanto il primo tale venisse contemplato dal Sigonio, ed il secondo dallo storico lucchese Niccolò Tucci.
Allâultimo periodo del regno dei Longobardi dovrebbe bensĂŹ appartenere il duca Tachiperto rammentato col titolo di duca in una pergamena dellâArchivio Arcivescovile Lucchese del giugno 773. Sebbene anche in quella carta non sia specificato altro che una casa del duca Tachiperto dentro Lucca, pure alcune circostanze sembra che concorrano a dar peso alla congettura, cioè, che il duca Tachiperto corrisponda allo stesso personaggio, il quale assisteva come testimone a un istrumento celebrato nel luglio del 783 in Cantignano nel lucchese. Col quale atto Perprando figlio del fu Walperto (forse di Walperto che trovammo nel 713 duca di Lucca) donò ad una sua figlia terreni posti nel distretto di Rosignano, cui si sottoscrisse come testimone, Tachiperto flilius b. m.
Ratcausi de Pisa testis. â (ARCH. ARC. PIS.) Se io qui male non mi appongo, questo documento mi sembra di tale importanza da farci rintracciare nel donatario Perprando , e nel testimone Tachiperto, i progenitori di due illustri famiglie longobarde stabilite fino dâallora nella cittĂ di Pisa. Voglio dire, in Perprando il fratello del vescovo di Lucca Walprando e di Petrifunso, figli tutti di quel Walperto che fu duca della cittĂ di Lucca; mentre in Tachiperto, figlio del fu Ratcauso pisano, potria per avventura trovarsi un fratello di S. Walfredo fondatore del monastero di Monteverdi, che nacque pur esso da Ratcausi cittadino di Pisa, e che possedeva insieme con Tachiperto corti, predii e saline nel territorio di Rosignano e di Vada.
Fino a qui dei duchi lucchesi sotto il regno dei longobardi, durante il quale regime Lucca ci fornisce un pittore regio, qualche orefice e dei lavori dâoro e di cesello, mentre al medesimo periodo gli archeologi assegnano alcuni dei piĂš vetusti tempj esistenti tuttora in Lucca. â Finalmente contasi tra i privilegii piĂš segnalati che gli ultimi re Longobardi concederono a Lucca egualmente che a Pisa, quello della zecca per battere in queste due cittĂ moneta di argento e dâoro; giacchĂŠ fino dallâanno 746 si contrattava in Toscana a soldi buoni nuovi lucchesi e pisani. â (Murat. Ant. M. Aevi Dissert. 74.) LUCCA SOTTO I RE FRANCHI E ITALIANI Se la storia non fu generosa abbastanza per indicarci il tempo preciso della conquista della Toscana fatta dai Longobardi, essa per altro non ne ha in qualche modo ricompensati col mostrarci fino dai primi anni della venuta di Carlo Magno in Italia un duca di Pisa e di Lucca nella persona medesima e al tempo istesso.
Intendo dire di quellâAllone di nazione longobardo, il quale verso lâanno 775 tentò di far uccidere lâabate Gausfrido pisano, tornato ostaggio dalla Francia. Che cotesto Gausfrido fosse abate del Monastero di S. Pietro a Monteverdi, e succeduto immediatamente al governo di quella badia dopo la morte dellâabate Walfredo suo padre, ce lo disse il terzo abate di quel cenobio nella vita di S.
Walfredo, riportata negli Annali benedettini, e ce lo confermano tre documenti dellâArchivio Arcivescovile di Lucca pubblicati nel T. IV delle piĂš volte rammentate Memorie. â Vedere lâArticolo ABAZIA di MONTEVERDI.
Non si è a parer mio fatto quel conto che merita di una lettera del Pontefice Adriano a Carlo Magno, registrata col numero 55 nel codice Carolino: sia per rapporto al personaggio qui sopra nominato, che Adriano raccomandava alla clemenza del re: sia per rintracciare lâepoca in cui dovĂŠ quella lettera essere scritta, e a quali vittorie di Carlo volesse appellare.
Nella stessa occasione Adriano supplicava la benignitĂ del re, affinchĂŠ, come aveva fatto di Gausfrido dopo le vittorie da lui riportate, col rimandarlo a casa, cosĂŹ volesse favorire i vescovi delle cittĂ di Pisa, di Lucca e di Reggio, che egli riteneva sempre in ostaggio: ut ipsi Episcopi propriis sedibus restituantur etc.
Presedeva in quel tempo alla chiesa lucchese il vescovo Peredeo, della di cui assistenza e richiamo in Francia fa egualmente fede una pergamena di quellâArchivio del 16 gennajo 783. Ma poco dopo la sconfitta dellâesercito di Ratcauso duca del Friuli (anno 776) Peredeo dovĂŠ essere ritornato libero alla sua sede; avvegnachĂŠ nel marzo del 777, in Lucca egli stesso firmava un contratto di compra di beni per conto della cattedrale di S. Martino.
(BERTINI, Mem. Lucch. T. IV).
Da questo ultimo fatto ne conseguita, che le vittorie, cui appellava nella epistola 55 Adriano I, debbono richiamarci allâanno 776, quando Carlo Magno vinse e castigò i ribelli del Friuli. Alla stessa epoca pertanto doveva governare, se non tutta, una gran parte della Toscana quel duca Allone, contro cui nuovamente il Pontefice Adriano ebbe a reclamare presso il re Carlo, allorchĂŠ nella lettera 65 del codice citato egli si lagnava di Allone medesimo, a motivo che non potĂŠ mai indurlo ad armare una flottiglia per dar la caccia e incendiare le navi dei Greci, i quali scendevano nel lido di Toscana per raccogliere i Longobardi, costretti dallâindigenza e dalla fame a sacrificare la propria libertĂ . Dalla qual lettera resulta, che lâautoritĂ del duca Allone non ristringevasi al solo territorio di Lucca, tostochĂŠ Pisa e molta parte delle toscane maremme dipendevano dagli ordini di un solo governatore.
Ciò sembra dimostrato eziandio dalla giĂ indicata lettera 55 di Adriano I, con la quale pregava lo stesso re a ordinare al duca Allone di restituire le masse concesse a Gausfrido abate di Monteverdi. Le quali possessioni è noto, che esistevano in Pisa e nelle sue maremme, lĂ dove tuttora conserva un vasto territorio la casa illustre della Gherardesca discendente da quella prosapia. Inoltre sappiamo, che a confine dei beni della Gherardesca, fra Bibbona, Casale e Bolgheri, possedeva terreni ed un palazzo di campagna lo stesso duca Allone, palazzo che fu designato per molti secoli sotto il nome speciale di Sala del Duca Allone. â Vedere BOLGHERI della Gherardesca.
Lâultima memoria del duca Allone sembra quella di un placido contro un chierico, celebrato in Lucca nellâagosto del 785, cui presedĂŠ con il Vescovo Giovanni anche il duca che si sottoscrisse: Signum Allonis gloriosi ducis, qui hanc notitiam judicati fieri elegit. â (MURATORI Ant. M. Aevi T. I.) Deve finalmente Lucca al duca medesimo la fondazione di una delle sue piĂš antiche chiese con monastero, quella di S. Salvatore, alla quale nel secolo susseguente (anno 851) fu dato il nome che porta tuttora di S. Giustina, e che lâimperatore Lottario I assegnò in benefizio ad Ermengarda sua consorte e a Gisla loro figlia.
Successe ad Allone nel governo di Lucca il duca Wicheramo, di cui si conservano tre documenti scritti; il primo dellâanno 796, il secondo dellâ800, e il terzo dellâ810, tutti originali esistenti nellâArchivio Arcivescovile Lucchese.
Due fatti, per la storia dei tempi che percorriamo meritevoli di qualche attenzione sono questi; cioè, lâintervento e lâannuenza (secundum Edicti paginam) dellâautoritĂ regia per mezzo dei duchi, gastaldi o altri messi regj, la maggior parte delle volte, se non in tutti i casi, in cui si trattava di permutare dei beni spettanti al patrimonio ecclesiastico. Lâaltro fatto degno di considerazione è quello di trovare Wicheramo (dallâanno 799 allâ801) qualificato Duca, mentre in altra carta del 13 ottobre 810 si sottoscriveva col semplice titolo di Conte.
Vero è che intorno a questâetĂ incominciò ad introdursi lâuso di dare al personaggio medesimo talvolta il titolo di Conte, e tale altra quello di Duca, siccome sul progredire del secolo vi si aggiunse anche il qualificativo, forse con una giurisdizione piĂš estesa, di Marchese. â Di un Duca e Conte nel tempo stesso può citarsi in esempio quel famoso conte Bonifazio I che, nel marzo dellâanno 812, intervenne in qualitĂ di Duca a un placido celebrato in Pistoja, dove assistĂŠ pure, come delegato del Pontefice Leone III, Pietro Duca romano: mentre in altro giudicato celebrato in Lucca nellâaprile dellâ813, al testĂŠ rammentato Bonifazio fu dato il titolo dâillustrissimo conte nostro (cioè di Lucca); essendo intervenuto al giudicato medesimo uno Scabino di Pisa in qualitĂ di delegato di Bonifazio, che ivi la seconda volta è chiamato laudabilis Ducis.
Con il medesimo titolo di Conte, Bonifazio I è dichiarato nellâistrumento dellâ823, quando Richilda del quondam conte Bonifazio fu ordinata badessa del monastero deâSS.
Benedetto e Scolastica in Lucca; al quale atto prestò il suo consenso il di lei fratello Bonifazio II, che ivi si sottoscrisse dopo Richilda cosĂŹ: Signum Bonifatii Comitis germanus suprascriptae Abbatissae, per cujus licentiam hoc factum est. â Le quali ultime espressioni denotano a parer mio, non solo il consenso dato da Bonifazio come fratello di Rachilda, donna libera, ma ancora la licenza dellâautoritĂ regia che Bonifazio II a quellâanno esercitava probabilmente in Lucca come conte della cittĂ .
Dopo Bonifazio II incontrasi fra lâ838 e lâ845 un conte Agnano, del quale ci forniscono notizie varj istrumenti lucchesi e pisani. â Il primo di essi consiste in un deposto di testimoni esaminati in Lucca nel mese di aprile allâanno 838; nella qual scrittura si dichiara Agano comes istius civitatis, e con lo stesso titolo di Conte ivi si sottoscrisse.
Il secondo atto rogato lĂŹ 31 marzo dellâ839, verte sopra un cambio di beni fatto da Berengario vescovo di Lucca a nome della sua chiesa, ricevendone altri posti in Sorbano; al qual contratto di permuta il conte Agnano diresse i suoi messi e periti.
Lo stesso conte nellâ840, di febbrajo, sedeva in giudizio in Lucca nella corte della Regina con i messi imperiali e con altri giudici straordinarii per decidere di una controversia fra il Monastero di S. Silvestro e quello di S.
Ponziano fuori Lucca.
Finalmente in due carte dellâ842 e del 844 si rammentano le terre che possedeva in Lucca il conte Agano , chiamato talvolta conte Aganone.
Ma questo conte, non si sa per qual causa, privato che fu della sua carica, per contratto del 2 novembre dellâanno 845, ottenne da Ambrogio vescovo di Lucca ad enfiteusi precaria per sĂŠ e per la sua moglie Teuberga per 5 anni i beni che la chiesa di S. Michele in Foro possedeva in Cascio nella Garfagnana col padronato della stessa chiesa, obbligandosi di retribuire ognâanno un censo di 20 soldi dâargento.
Finalmente in quella scrittura fu dichiarato, che se lâex conte Agano, innanzi che terminassero i cinque anni dellâenfiteusi suddetta, ricevesse dal suo sovrano un benefizio super illud quod modo habemus, allora il contratto in questione dovesse rescindersi e dichiararsi nullo, e la chiesa di S. Michele con i suoi beni ritornasse tosto in potere e dominio della cattedrale di S. Martino senza alcun danno. (BARSOCCHINI, Mem. Lucch. T. V, P. II, p. 375.) Come andassero tali bisogne non lo so; la verità è, che del conte Agano dopo lâanno 845 non se ne parla piĂš, e solo si rammenta in una carta dellâArchivio Arcivescovile di Pisa allâanno 858, quando si tenevano i giudizii in questa cittĂ in sala olim Aganonis comitis; lo che è nuova conferma che i conti e duchi di Lucca presedevano al governo di queste due cittĂ .
Il successore piĂš immediato di Agano, giĂ conte di Lucca e di Pisa, lo presenta lâistoria nel potente Marchese Adalberto I figlio di Bonifazio II, che trovammo nellâ823 conte in Lucca. â La memoria piĂš antica relativa al figlio di Bonifazio II la fornisce un placito del 25 giugno 847 pronunziato in Lucca nella corte ducale dallâillustrissimo Duca Adalberto, assistito da Ambrogio vescovo di essa cittĂ , dal gastaldo, da varii scabini giudici e da altri personaggi, in causa di beni reclamati dallâavvocato della pieve di Controne. â Vedere CONTRONE in Val di Lima.
Egli è quello stesso Adalberto, che col titolo e in qualitĂ di Marchese, come inviato dellâImperatore Lodovico II, unitamente a Giovanni vescovo di Pisa, sentenziò in Lucca in una causa dâappello, nellâaprile dellâ853, ad oggetto di annullare un contratto enfiteutico. Ă quellâAdalberto medesimo, che nellâanno istesso e pochi giorni innanzi (13 marzo 853) come Conte di Lucca, inviò i suoi messi a S. Gervasio in Val dâEra per accordare il consenso regio a un contratto di permuta di beni di una chiesa di quel pievanato (S. Maria di Val di Chiesa) presso Feruniano, situata alla destra del fiumicello Rotta.
Nella stessa qualitĂ di conte di Lucca e per un consimile oggetto troviamo di nuovo Adalberto I nominato in altri istrumenti di permute di beni ecclesiastici, fatti in Lucca li 29 giugno dellâ855, e sotto i 26 agosto dellâ856.
(BARSOCCHINI, Memor. Lucch. T. V. P. II) Per quanto dai documenti poco sopra accennati resulti che il figlio del conte Bonifazio II usasse, ora del titolo di marchese, ora di quello di duca, e piĂš spesse volte di conte, non sempre per altro egli riunĂŹ le doppie ingerenze di conte della cittĂ di Lucca e di marchese della Toscana.
AvvegnachĂŠ, se nel giudicato del 25 giugno 847 egli figurava in Lucca come duca, non comparisce però in un placito straordinario del dicembre 858, celebrato nella corte ducale dai giudici dallâimperatore Lodovico II destinati a rivedere le cause nelle parti della Toscana, dove vâintervenne con Geremia vescovo di Lucca il conte Ildebrando di lui fratello. Allâincontro in qualitĂ di duca il Marchese Adalberto, nel 27 giugno 873, tornò a presedere nella corte ducale di Lucca in una causa promossa a nome di quella cattedrale. â (MURATORI, e BARSOCCHINI nelle Opere citate).
Che il nominato conte Ildebrando nellâ857, ed anche diversi anni dopo, esercitasse le funzioni di conte in Lucca, dove era vescovo il di lui fratello, e dove teneva la sua piĂš costante residenza il di lui amico Adalberto marchese di Toscana, mi confortano a crederlo due altri documenti di questa stessa cittĂ .
Il primo è un contratto del 9 ottobre 862, fatto in Lucca e firmato dal conte Ildebrando figlio del fu Eriprando, riguardante un cambio di beni che la mensa vescovile lucchese possedeva nelle maremme di Roselle, cambiati con altri possessi del conte Ildebrando situati in Val di Serchio, e che il contraente medesimo rilasciò a Geremia, il quale ivi si qualifica gratia Dei hujus Lucanae ecclesiae humilis episcopus germano meo. â Vedere ISCHIA dâOMBRONE.
Verte il secondo contratto intorno ad altri beni, che il vescovo Geremia a nome della sua cattedrale, li 29 marzo 863, affittò al di lui fratello conte Ildebrando, consistenti in certe possessioni che questâultimo nellâanno antecedente aveva cambiate con altre della chiesa lucchese situate nelle Maremme.
In questo suddetto anno nel dĂŹ 20 di agosto, trovavasi pure in Lucca il duca Adalberto, la di cui annuenza fu interposta in una delle solite permute di beni spettanti a una chiesa di Marlia; e nella stessa cittĂ due anni dopo capitò, inviato dallâImperatore Lodovico II come messo straordinario, il conte Winigisi, quello stesso che piĂš tardi ritroveremo conte ordinario della cittĂ di Siena e del suo contado.
Come duca viene il Marchese Adalberto designato in altra memoria dellâanno 866 (11 ottobre), e con doppio titolo di conte e di marchese trovasi qualificato in un placito celebrato in Lucca li 17 dicembre dellâanno 871; al quale atto furono presenti non solo i vescovi di Lucca, di Pisa, di Pistoja e di Firenze, ma ancora il conte Ildebrando ed Ubaldo fedele dellâimperatore Lodovico II.
Questi due personaggi uniti al Marchese Adalberto I sono celebrati daglâistorici di quellâetĂ : mentre il Marchese Adalberto I figura per un sempre piĂš crescente potere, non che per la sua versatile politica negli affari diplomatici dellâItalia; il secondo personaggio ci richiama a quel conte Ildebrando che lo storico Liutprando disse conte assai potente, e che fu costante amico ed alleato dei due marchesi Adalberti; dal quale Ildebrando trasse la sua origine la casa principesca dei conti Aldobrandeschi di S.
Fiora e di Sovana.
Nel terzo personaggio veggo quel Marchese Teubaldo di legge ripuaria, ossia quel valoroso Ubaldo , che Cosimo della Rena segnalò padre del Marchese Bonifazio di Spoleto e Camerino; cioè lo stesso di quello che nellâ892 alla presenza di tre eserciti regj nei campi di Pavia con la spada fece valere lâonore italiano vilipeso da unâinsolente soldato tedesco (LUITPRANDI, Histor. LIB. I cap. 7.) In una parola dai documenti del secolo IX accennati dal Fiorentini, e resi di pubblica ragione dal Muratori o dagli Accademici lucchesi nelle Memorie per servire alla storia del ducato di Lucca , si ha motivo di concludere, che non solo il Marchese Adalberto I fece in Lucca la sua piĂš ordinaria residenza, ma che egli qualificossi senza alcuna distinzione di tempo, conte, duca ed anche marchese.
Basta per tutti il contratto del 25 aprile 873 riguardante una delle consuete permute di beni spettanti alla chiesa di S. Donato fuori la porta di Lucca, beni che confinavano con il prato e le terre della contessa Rotilde conjux Adalberti comitis; ad esaminare lâutilitĂ della quale permuta Adalbertus Dux direxit missos suos. Questo documento giova anche a scuoprirci lâepoca, nella quale il prato di S. Donato, attualmente detto il prato del Circo, prese e conservò per lunga etĂ il nome di prato del Marchese.
Fra le pergamene inedite pubblicate di corto nelle Memorie lucchesi trovasi un diploma di Carlomanno spedito in Verona li 22 novembre dellâ877, a favore e ad istanza del vescovo di Lucca Gherardo che trovossi presente a quellâatto. â Se in compagnia del Vescovo si recasse a Verona presso Carlomanno anche il conte della cittĂ non è noto. Furono bensĂŹ rese note dalla storia le violenze che il marchese Adalberto I usò contro il Pontefice Giovanni VIII per favorire il partito di Carlomanno, allorchĂŠ nellâanno 878 insieme col suo cognato Lamberto duca di Spoleto corse a Roma con gente armata per indurre quel sommo gerarca a porre la corona imperiale sul capo del re Carolingio. Il quale affronto tirò addosso ai due principi lâecclesiastiche censure, benchĂŠ restassero nellâanno dopo assoluti. â In questo mezzo tempo il Marchese Adalberto era ritornato alla sua residenza ordinaria di Lucca, dove lo ritroviamo nel novembre dellâanno 878, ed anche nel settembre successivo, insieme col suo potente amico il conte Ildebrando degli Aldobrandeschi. â Dissi alla sua sede ordinaria di Lucca, mentre lo stesso marchese governava anche altre cittĂ , e forse fin dâallora da lui dipendeva tutta la Toscana. Infatti in una delle consuete permute di beni, fatta nellâottobre dellâanno 878 da Giovanni vescovo di Pisa, vâintervenne un messo dâAdalberto, che in quella carta viene qualificato col semplice titolo di conte, quasi per dirci che un solo conte presedeva, come un solo duca ai tempi dei Longobardi, alle due cittĂ e contadi lucchese e pisano. â (MURAT. Ant. M. Aevi T. III).
Dal settembre dellâ879 al giugno dellâ881, e quindi da questo mese al maggio dellâanno 885, mancano istrumenti che diano un qualche cenno del governo di Lucca e del suo reggitore Marchese Adalberto; ed è ben pochissimo ciò che le pergamene superstiti dellâArchivio Arcivescovile Lucchese accennano di lui, del suo figlio e molto meno dei di lui nipoti succeduti quasi a titolo ereditario nel marchesato della Toscana.
Uno fra i piĂš importanti documenti relativi al Marchese Adalberto I è quello della fondazione della Badia dellâAulla, rogato in Lucca li 26 maggio dellâ884; documento, in cui si nominano tre generazioni di quella potente prosapia; cioè, il conte Bonifazio e la contessa Berta sua moglie, dai quali nacque Adalberto I che ebbe in prime nozze Anansuare, ed in seconda moglie Rotilda figlia di Guido duca di Spoleto. Questâultima partorĂŹ Adalberto II ed un altro conte Bonifazio, entrambi sottoscritti col padre a piè dellâistrumento di fondazione testĂŠ citato.
Quando precisamente cessasse di vivere Adalberto I non è ben chiarito. Giova bensĂŹ aggiungere, qualmente fra lâ888 e lâ889, Adalberto I cominciò a dar saggio della sua torbida politica; mentre, dopo aver giurato fedeltĂ al re Berengario, ribellò la Toscana affidata al suo governo per favorire il re Guido zio della sua seconda moglie, a di cui sostegno accorse alla testa di 300 corazze anche il valoroso Ubaldo, quello stesso che tre anni dopo ritornò sotto Pavia seguace sempre del re Guido. â (ANONIM ., Panegiric. Berengarii in Rer. Ital. Script. T. II. P. I.) Come segno indubitato del riportato trionfo sopra Berengario, e della gratitudine del re Guido verso il marchese Adalberto I, può contarsi un diploma spedito da questo re li 26 maggio 890 dal contado di Pavia, ad istanza del Marchese Adalberto suo diletto nipote in favore di Zanobi vescovo di Fiesole. â Vedere FIESOLE.
Frattanto andavano di male in peggio gli affari del re Berengario, troppo soperchiato da maggiori forze dellâImperatore Guido e dei molti principi suoi fautori.
Altro ripiego non avendo, egli si rivolse al potente Arnolfo re di Alemagna, dal quale, nellâanno 893, ottenne valido ajuto, collâinviare unâarmata sotto il comando di un figlio, il quale sâincamminò a dirittura alla volta di Pavia, dove era postato col nerbo delle sue genti lo stesso Imperatore Guido.
Fu in questa circostanza, e in mezzo agli accampamenti di Pavia, quando il valoroso Ubaldo, non volendo soffrire le invettive di un soldato dellâesercito di Arnolfo contro glâitaliani, andò ad incontrarlo nel campo, e venuto seco a duello, gli trapassò con la lancia il cuore.
Da questo fatto presero ardire glâItaliani, terrore i Bavaresi, ed il figlio del re Arnolfo, o per pecunia avuta, o comâaltri vogliono, per richiamo del padre, se ne tornò con le sue truppe in Baviera: cui tenne ben tosto dietro Berengario per supplicare con piĂš efficacia il re Arnolfo di venire egli stesso in Italia a prendere possesso del regno che gli avrebbe rinunziato. Alla qual risoluzione Arnolfo fu indotto dalle istanze eziandio di molti baroni italiani inviati dal Pontefice Formoso con lettere piene di lamenti sulle oppressioni fatte dallâImperatore Guido alla chiesa romana, per cui caldamente lo invitava a sollecitare quella spedizione.
DondechĂŠ Arnolfo avendo raccolto una formidabile armata, sulla fine dellâanno 893 si mosse verso lâItalia, accompagnato dal suo protetto Berengario. â Dopo le prime favorevoli imprese nella Lombardia, corsero i marchesi dâItalia a sottomettersi al vittorioso re; fra i quali specialmente si contarono Adalberto II marchese di Toscana, e Bonifazio suo fratello. E perchĂŠ non piacquero ad Arnolfo le indiscrete pretensioni di questi, che volevano lâinvestitura di varii feudi o governi, prima di tutto li fece arrestare, poi liberare, previo giuramento di fedeltĂ ; comecchĂŠ i due fratelli se ne fuggissero di lĂ senza far caso della giurata fede. â (MURAT. Annal.
allâann. 894 .) Glâistorici lasciaron con tuttociò a desiderare, se fu per non dispiacere Arnolfo, o piuttosto per qualche altra ragione, che in Lucca al pari che in altre cittĂ della Toscana si lasciò di notare il nome e i titoli del re Berengario, dopo morto lâImperatore Guido (dicembre dellâ894). ImperocchĂŠ un istrumento dellâarchivio Arcivescovile Lucchese, rogato li 30 novembre di quellâanno, segna la data cronica: regnante domino nostro Wido gratia Dei Imp. Augusto, anno imperii ejus tertio, pridie Kal. Decembris, Indit. XIII, e in altro di data posteriore leggesi: Anno ab Incarnatione Dom. nostri J.
Xti 894 post ovito Dni. nostri Widoni imperatoris anno primo. Kal. Januarii, Indit. XIII.
Durò bensĂŹ pochi mesi a stare Lucca in siffatta incertezza di regnanti, tostochĂŠ nellâaprile dellâ895 essa giĂ riconosceva per sovrano Lamberto, siccome lo dimostra una carta del citato Archivio Arcivescovile scritta, Regnante Dno. Nostro Lamberto gratia Dei Imp. Aug.
Anno imperii ejus quarto, quinto idus aprilis, Indit XIII.
La stessa nota leggesi in tutti glâistrumenti lucchesi posteriori allâaprile dellâ895, mentre quelli del piĂš volte citato archivio arcivescovile, allâanno 896, non hanno data cronaca di alcun regnante, notandovisi solamente quella dellâEra volgare. (Memor. Lucch. T. V. P. II.) Ciò starebbe in armonia con la istoria del tempo, la quale ne insegna, che il re Arnolfo stimolato da nuove e calde istanze del papa Formoso, nel settembre dellâanno 895 sâincamminò per la seconda volta con un numeroso esercito nellâalta Italia, che prestò soggiogò; in modo tale che, nel dicembre dellâanno medesimo, con una grossa divisione varcando lâAppennino di Pontremoli egli recavasi in Toscana, dove lâattendeva il Marchese Adalberto II per degnamente festeggiarlo, non a Luni, ma nella cittĂ di Lucca, dove Arnolfo celebrò il S. Natale.
(MURAT. Annal. allâann. 895.) Mentre però questo monarca con parte del suo esercito svernava in Toscana, egli ebbe sentore che il marchese Adalberto II, forse mal soddisfatto del procedere del re bavaro, segretamente si maneggiava con Berengario per ribellarsi contro esso lui; sicchĂŠ Arnolfo avviatosi a Roma, dopo essere stato dal Pontefice Formoso incoronato imperatore, se ne ritornò in Germania, lasciando campo ai suoi rivali di risorgere dallâabbattimento e riacquistare piĂš sicuro dominio, a Berengario e Lamberto sulla Lombardia, ad Adalberto sulla Toscana.
Infatti da un documento dato alla luce nel T. V. P. II. delle Memorie lucchesi, si conosce, che sul finire dellâanno 896 lâautoritĂ dellâImperatore Lamberto era nuovamente riconosciuta in Lucca, siccome lo doveva essere per tutta la marca, e segnatamente in Firenze. Realmente in questâultima cittĂ , nel 4 marzo dellâ897, fu tenuto un placito da Amedeo conte del S. palazzo, in qualitĂ di messo straordinario, inviato dallâimperatore Lamberto in Toscana, dove sedĂŠ col giudice imperiale il Marchese Adalberto II.
Però questo nostro marchese non istette lungo tempo fermo nel partito dellâImperatore Lamberto; avvegnachĂŠ alcuni istrumenti lucchesi, del marzo dellâanno 897, notano solamente lâepoca dellâEra volgare, tacendo il nome e gli anni del sovrano che allora dominava in Italia.
Alla primavera dellâanno 898, per istigazione della principessa Berta figlia del defunto Lottario re della Lorena, il di lei marito Adalberto II tornò ad alienarsi dallâaugusto Lamberto; per modo che egli con il suo amico conte Ildebrando, dopo aver ragunato per la Toscana un esercito tumultuario sâincamminarono insieme per Pontremoli e monte Bardone fino a Borgo S.
Donnino.
Intanto avvertito di questa mossa lâImperatore con una mano di gente a cavallo venne da Marengo incontro ai ribelli, i quali al primo impeto si dispersero con la fuga del conte Ildebrando, e la prigionia del marchese Adalberto.
Quindi ne conseguĂŹ che, prima del settembre dellâ848, Lamberto tornò ad essere riconosciuto imperatore in Lucca e nella Toscana, siccome lo dimostrano le note cronologiche di un istrumento della cattedrale lucchese, sotto il di 13 agosto 897, senza dire degli altri, dal marzo alla fine di settembre dellâanno 898, celebrati nella stessa cittĂ o nel suo territorio, i quali atti portano tutti la nota cronica: Regnante Domno nostro Lamberto gr. Dei Imperatore Augusto, anno regni ejus septimo. â Simili avvertenze giovano a confermare, che realmente al principio di ottobre dellâ898 dovè accadere il caso funesto che tolse di vita il giovine imperatore.
Tale inaspettato accidente fece risorgere la fortuna del re Berengario suo emulo, in guisa che questi assai presto senza aperta opposizione venne accolto nella capitale dei re Longobardi; e in seguito di ciò il Marchese Adalberto, Lucca e le altre città della Toscana prestarono a Berengario obbedienza ed omaggio.
Il primo fra glâistrumenti lucchesi dati alla luce, con il nome di Berengario segna lâanno XII del suo regno, e porta la data del 24 ottobre dellâ899, nella cittĂ di Pavia, dove quel sovrano liberò dalla prigionia il Marchese Adalberto, per rinviarlo al suo pristino governo della marca di Toscana.
Che realmente questa provincia di buon ora si assoggettasse, e riconoscesse in Berengario il suo monarca, ne fanno piena fede i documenti lucchesi comparsi recentemente alla luce; dai quali si ha pure indizio che, nel novembre dello stesso anno, il Marchese Adalberto II era tornato alla sua residenza di Lucca.
Appartengono a questâultimo periodo del secolo IX due gravi sciagure pubbliche quella, cioè, dei fierissimi Ungheri scesi a devastare lâalta Italia, dove fecero provare tutta la loro rabbia e furore ad un esercito numerosissimo comandato dal re Berengario; lâaltra fu la comparsa di qua dalle Alpi di unâarmata di Provenzali e Borgognoni condotta da Lodovico III figlio di Bosone re di Provenza; il quale, per broglio di alcuni magnati italiani della fazione dei due estinti imperatori, Guido e Lamberto, fu invitato a calare in Lombardia, comecchè dovesse egli tosto rivalicare le Alpi per essere corso a combatterlo con forze molto maggiori il re Berengario assistito eziandio dal Marchese Adalberto.
Fuvvi anche chi scrisse, esser nato in seguito di ciò qualche dissapore fra Berengario e Adalberto; sicchè questi, ad instigazione specialmente dellâambiziosissima sua moglie Berta, movesse desiderio in altri principi dâItalia dâinvitare di nuovo Lodovico di Borgogna e unire in comune le forze e maneggi, per assisterlo alla conquista di un sĂŹ bel regno.
Comunque sia è certo, che Lodovico III tornò a ripassare di qua dalle Alpi, e giĂ nellâottobre dellâanno 900 egli era signore della capitale di Lombardia. Fu costĂ in una gran dieta di vescovi, di marchesi, di conti e notabili del regno, quando ad istanza di Adalberto illustre marchese della Toscana il nuovo re dâItalia concedè un privilegio a Pietro vescovo di Arezzo, con la data del 12 ottobre anno primo del suo regno. Il qual privilegio venne poi dallo stesso monarca riconfermato li 2 marzo dellâanno successivo (901) davanti al Pontefice Benedetto IV in Roma, dove Lodovico erasi recato a ricevere la corona imperiale.
Accadde probabilmente al ritorno dallâalma cittĂ , allorchè lâImperatore Lodovico III, si trasferĂŹ con tutta la sua corte a Lucca. Tale fu la magnificenza e lo sfarzo, di cui in questa circostanza il ricco marchese Adalberto volle far mostra, che lâImperatore dovè prorompere in non equivoche parole di sorpresa, quasi dicendo: che cotesto signore in nulla cedeva a un re, toltone il nome.
Ciò bastò ad Adalberto e allâaccortissima sua donna per cambiare nuovamente bandiera, e rivolgere piĂš benigni il loro animo verso lâabbattuto Berengario, col fine di ajutarlo a scacciare dâItalia il re provenzale.
Se non dicesse la storia in qual tempo preciso ciò accadeva, restano negli archivii scritture sufficienti a indicarci che Lucca, allora sede e capitale della provincia Toscana, sino dai primi mesi dellâanno 903 era tornata a riconoscere in sovrano quello stesso Berengario che fu poi dal Marchese Adalberto, nel giorno 10 novembre dellâanno 915, accolto in una sua villa suburbana di Lucca, mentre nellâanno XXVIII° del suo regno quel re passava di Toscana per recarsi a Roma a prendere dal Pontefice Giovanni X la corona e il titolo dâimperatore.
Intorno a questo tempo alcuni scrittori pongono un atto di donazione, col quale il Marchese Adalberto II, per rimedio dellâanima sua, rilasciò a favore della cattedrale lucchese le decime di 5 corti che egli possedeva in Lucca, a Brancoli , in Garfagnana, a Pescia e nel Borgo S.
Genesio.
Comecchè non si sappia con sicurezza lâanno della morte del Marchese Adalberto II, la quale da molti per congettura fu fissata allâanno 917, è certo per altro châegli mancò di vita in Lucca il mese di settembre: âin sextodecimo septembre notante calendasâ. CosĂŹ almeno leggesi in una lapida posta in quella cattedrale contenente un lungo elogio di quel marchese, per quanto egli fosse stato frequenti volte terrore dei papi, deglâimperatori e dei re.
Aggiungasi, che un passo scorretto delle storie di Liutprando ha dato appiglio a molti scrittori per parlare di questo ricchissimo principe anche con piĂš discredito di quel che voleva la veritĂ ; e ciò per aver confuso il Marchese Adalberto di Toscana con il Marchese Alberico di Roma: stantechè questo e non quello maritossi alla famosa Marozia patrizia romana. â (ERRATA: MURAT.
Annal. ad anno 817. â RENA DeâMarch. di Toscana) (MURAT. Annal. allâanno 917. â RENA DeâMarch. di Toscana).
Se dopo la morte del Marchese Adalberto II non fu tanto presto investito nel governo di Lucca e della Toscana il Marchese Guido con la di lui madre duchessa Berta, ciò accadde probabilmente per trovarsi entrambi arrestati in Mantova dâordine del re Berengario. Ma non potendo cotesto sovrano cavare dalle mani dei ministri fedeli allâaccortissima duchessa le cittĂ e i popoli della Toscana, dovè finalmente risolversi a rimettere madre e figlio in libertĂ col rinviarli in Toscana per governarla a nome di Berengario, e non giĂ del re Rodolfo sopraggiunto di Borgogna. Imperrocchè sebbene questi con lâappoggio di varii principi avesse cacciato da Milano e da Pavia il vecchio Augusto, facendosi riconoscere per re dâItalia (anno 921), glâistrumenti lucchesi ne accertano, che il duca Guido nel mese di marzo del 924 risiedeva in Lucca, dove egli governava a nome dellâimperatore Berengario, cioè nel mese medesimo, in cui un ingrato traditore a Verona barbaramente trafiggeva il Nestore deglâimperatori italiani.
Fu compianta dai piĂš la morte di cosĂŹ buon principe, sicchè negli atti pubblici di Lucca e di altri luoghi della Toscana, dal marzo del 924 fino al settembre del 927, riguardavasi come vacante il regno dâItalia. E sebbene Rodolfo credesse di avere in pugno questo regno, egli non doveva oramai ignorare che aspirava a salire sullo stesso trono un figlio del primo letto della duchessa Berta vedova del Marchese Adalberto II. Però questa donna dopo sessantatrè anni di clamorose vicende, nel dĂŹ 8 marzo del 925, mancò alla vita in Lucca, dove fu sepolta presso le ossa del marito nella cattedrale con un epitaffio che onora quella duchessa dei titoli di benigna e pia con molte altre pompose, e adulatorie attribuzioni.
Era in questo mezzo tempo restata vedova per la morte di Adalberto marchese dâIvrea la di lui consorte Ermengarda, figlia del fu Adalberto il Ricco, e di Berta duchessa di Toscana, la sorella in conseguenza del marchese Guido. Ella dunque non meno intrigante, nĂŠ meno ardita dei suoi genitori, prevalendosi dellâassenza del re Rodolfo dallâItalia, seppe far tanto che, entrata in Pavia, sollevò contro quel monarca tutta la Lombardia per quindi governare il regno a suo arbitrio. Per la qual cosa accorso Rodolfo dalla Borgogna, ed assediata in Pavia Ermengarda, questa seppe con seducenti lusinghe chiamare a se Rodolfo e staccarlo dalle sue genti in guisa che, sbandatosi lâesercito, fu liberata dallâassedio della cittĂ . Laonde sdegnati di tanta leggerezza del re borgognone, i principi italiani, ad insinuazione di papa Giovanni X, nellâanno 926 elessero in re dâItalia Ugo duca di Provenza fratello della stessa donna Ermengarda e di Giulio marchese di Toscana.
PartĂŹ bentosto Ugo dalle coste della Francia per la Toscana, e nellâestate del 926 approdò insieme col fratello Bosone a Pisa, o piuttosto al Porto pisano, dove il Marchese Guido attendeva il fratello uterino eletto re.
Appena si seppe il di lui arrivo in Italia, accorsero da Roma e da molte altre parti della penis ola ambasciatori, principi e magnati a Pisa; la quale città pare che anche allora avvicendasse con Lucca la sede dei duchi di Toscana; dondechÊ Luitprando scrittore quasi contemporaneo qualificò Pisa, Tusciae provinciae caput.
â (LUITPR. Histor. Lib. III c. 5).
La prima scrittura pubblica, trovata in Lucca con lâintitolazione del testĂŠ nominato re dâItalia, è un contratto del 3 settembre dellâanno primo del regno di Ugo, indizione XV: vale a dire dellâera volgare, anno 926. â Immediatamente dopo la suddetta epoca gli atti pubblici lucchesi e dellâintiera Toscana portarono la nota dello stesso regnante, a nome del quale continuò a governare la provincia il duca Guido figlio di Adalberto II, siccome lo dimostra, tra gli altri, un istrumento di permuta di beni ecclesiastici, previa la disamina dei messi di quel duca. Il quale istrumento di permuta fu rogato in Lucca il dĂŹ primo di gennajo del 928, nellâanno secondo del regno di Ugo: ipsa die Kalend. Januarii, Indicatione prima. â Ma nellâanno medesimo 928 il marchese Guido dovè allontanarsi da Lucca e dal governo della Toscana per recarsi in Roma a operare inique cose insieme con la prepotente donna Marozia, dopo essersi unito a lei in matrimonio. ImperocchĂŠ entrambi, nel 928, avendo segretamente armato una mano di sgherri, penetrarono nel palazzo del Laterano per trucidare sugli occhi del Pontefice Giovanni il di lui fratello; e fu allora, quando per colmo dâiniquitĂ le genti di Guido posero le mani addosso e cacciarono in unâoscura prigione a finire in brevi giorni una vita agitata il gerarca della chiesa apostolica romana.
Ă ignoto se, dopo tante abominevoli azioni, Guido tornasse a Lucca e al suo marchesato, come pure resta a sapere lâanno preciso, in cui egli cessò di vivere, poichĂŠ nulla dicono su di ciò li scrittori del tempo, e in alcuna memoria, châio sappia, tra quelle finora venute alla luce, dopo il 928 si fa di quel marchese menzione.
Si crede da molti che al Marchese Guido succedesse nel governo di Lucca e nel ducato di Toscana il suo fratello Lamberto, ma gli storici su di ciò non presentano documenti fuori di quanto raccontò nella sua il pavese Luitprando (Lib. III cap. 13) che descrisse in Lamberto un uomo bellicoso capace di gran fatti, e una spina sugli occhi del re Ugo, che temeva in lui un possibile rivale alla corona dâItalia, mentre dallâaltro canto il fratello Bosone ardentemente anelava rimpiazzarlo nel governo della Toscana.
Arroge a ciò che il re Ugo, essendosi deciso di sposare la principessa Marozia vedova di due, se non di piĂš mariti, cercava modo e verso di levar di mezzo lâimpedimento della parentela col mezzo di una calunnia sparsa a disonore di sua madre. Andossi pertanto vociferando, che Berta giĂ duchessa di Toscana non aveva avuto dal marchese Adalberto II alcun figliuolo, e che i tre fratelli, Guido, Lamberto ed Ermengarda, erano tutti figli di altre donne, finti da Berta di averli essa partoriti, onde potere continuare anche morto il marito la sua autoritĂ sulla Toscana. Poco dopo essersi sparsa per la corte simile ciarla, il re Ugo intimò al duca Lamberto che non ardisse di appellarsi piĂš suo fratello. Allora quel duca, trovandosi colpito nellâonore, non meno che diffamato in quello dei genitori, fece sapere al re di esser pronto a provare con la spada che, tanto Lamberto come Ugo, erano stati partoriti da una medesima madre. Destinato dal sovrano il suo campione, si venne alla prova dellâonore collâaccettato duello; nel quale Lamberto restò vincitore. Ma non per questo cessò la persecuzione regia contro il Marchese di Toscana: fino a che Ugo, avuto fra le mani lâodiato fratellastro, fece accecarlo, e cacciarlo dal suo governo per conferirlo al di lui fratello carnale. CosĂŹ dopo la quarta generazione della progenie del primo conte Bonifazio, che signoreggiò circa 120 anni senza intervallo sulla provincia della Toscana, Lucca, dovè accogliere un principe di Provenza. Del dominio peraltro di Lamberto nella suddetta cittĂ , o in altri luoghi di Toscana, non esistono, ripeto, documenti che giovino a confermare quanto fu scritto su tale rapporto dallo storico Luitprando.
Si trova bensĂŹ un primo indizio del duca Bosone, eletto marchese della Toscana, in un diploma dato in Lucca nel dĂŹ primo di luglio dellâanno 933, indizione V; col quale il re Ugo ad istanza del Marchese Bosone donò al capitolo della cattedrale di S. Martino la corte di Massarosa , quella possessione, cioè, che fu di proprietĂ della duchessa Berta loro madre.
Il quale Bosone troviamo insieme col fratello monarca in altre parti della Toscana, e precisamente nel gennajo dello stesso anno 933 in Arezzo, dove il re Ugo, per aderire alle istanze del suo fratello Bosone, inclito marchese, confermò ai canonici della cattedrale aretina i beni lasciati loro dal vescovo Pietro.
Ebbe Bosone conforme ai suoi antecessori il titolo di marchese promiscuamente a quello di duca, siccome da altri istrumenti lucchesi degli anni 935 e 936 apparisce.
Quello del 16 settembre 936 è per avventura lâultimo documento che faccia fede della presenza e del dominio del marchese Bosone in Lucca; conciossiachè dopo il settembre di detto anno accadde unâatto di soperchieria del re Ugo contro il giĂ ben amato fratello. Aveva questi per moglie Willa, nata da nobile famiglia di Borgogna, la quale partorĂŹ a Bosone quattro femmine senza maschi.
Pervenne allâorecchio del re Ugo, che Bosone, ad istigazione della moglie, macchinasse contro di lui delle novitĂ . Trovò bene Ugo la maniera di far imprigionare il Marchese di Toscana, e di spogliare i due conjugi delle accumulate ricchezze, ordinando che la moglie di Bosone fosse ricondotta in Borgogna. (LUITPRAND. Hist. Lib.
IV, c. 5 â FREDOARD. Chron. ad ann. 936.) Dopo la caduta di Bosone mancano per molti anni i nomi dei governatori che ressero la Toscana. Esistono, è vero, negli archivii lucchesi e pisani due carte contenenti i giudicati dei re Ugo e Lottario, celebrati nel marzo dellâanno 941 nella corte regia di quelle due cittĂ .
Dai quali documenti sâintende, che il Marchese Uberto figliuolo spurio del re Ugo, era in quel tempo duca della Toscana, e conte del sacro palazzo; e quasi fosse poco tanto onore egli dal monarca padre fu due anni dopo innalzato al governo della marca di Spoleto e Camerino.
Peraltro allâanno 944 la sorte sembra che cominciasse a distaccarsi dal re Ugo, reso ormai odioso a tutte le classi della nazione; e giĂ Berengario marchese dâIvrea nipote dellâimperatore di questo nome, sospirato dallâuniversale, con poche truppe era calato dal Tirolo in Italia (anno 945) acclamato e festevolmente accolto qual liberatore da molte cittĂ della Venezia e di Lombardia.
Questa repentina mutazione di cose influĂŹ non poco sulla fortuna del Marchese Uberto figlio del re Ugo, tostochĂŠ intorno al 946 troviamo investito del ducato di Spoleto e di Camerino un Bonifazio che fu figlio del Marchese Teobaldo o Ubaldo, che Cosimo della Rena ebbe ragione di credere lo stesso personaggio di quel valoroso Ubaldo amico del Marchese Adalberto I, piĂš di una volta da noi qui sopra agli anni 871, e 893 rammentato.
Nel 947 il re Ugo tornossne in Provenza dopo aver raccomandato il re Lottario suo figlio alla fede dellâacclamato Berengario, che in lui qualche altro tempo conservò la dignitĂ insieme con la potestĂ regia. Infatti Lottario era in Lucca nel 5 luglio del 948, nel qual giorno ad istanza del conte Aledramo egli firmò un privilegio a favore di un suo fedele. (MURATORI Annal. allâanno 948.) Ă ignoto in quale cittĂ il conte Aledramo governasse, se nella marca di Toscana, o seppure egli era un personaggio medesimo di quello che fu poi marchese in Piemonte, nato dal conte Guglielmo e da Gelberga figlia dello stesso re Berengario, personaggio che tiensi per il progenitore dei marchesi di Monferrato.
Si trovano bensĂŹ nellâarchivio Arcivescovile lucchese altre pergamene, dalle quali si apprende, che il re Lottario nel marzo del 950, e forse fintantochĂŠ egli visse (novembre dello stesso anno), continuò a essere riconosciuto in Lucca per il legittimo sovrano.
Poco dopo (15 dicembre 950) fu coronato in Pavia come re dâItalia Berengario II insieme col figliuolo Adalberto e con Willa di lui madre nata da quel Bosone che fu Marchese di Toscana.
Se il Marchese Uberto riavesse il governo della Toscana in nome dei nuovi due re, non ci offrono memorie da poterlo asserire; bensĂŹ da un istrumento di vendita di beni posti a Pozzevoli e a Porcari, fatta dal Marchese Uberto a favore del nobile Teudimundo figlio di Fraolmo, si comprende, che nel 3 maggio del 942 in Lucca non si riconosceva ancora lâautoritĂ dei due sovrani novelli, e neppur quella del re Ottone, che era di corto disceso la prima volta in Italia: giacchĂŠ lâistrumento porta unicamente la data dellâEra volgare. â Che anzi in quel documento nominandosi Uberto col semplice titolo di Marchio filio bonae memoriae domni Ugoni regii, senza specificare di qual marca egli fosse duca, ciò indurrebbe a far credere che il Marchese Uberto si fosse ritirato dal governo di Lucca e della Toscana. Molto meno vien fatta parola di lui in tutto il tempo che regnarono Berengario II e Adalberto, sotto il cui dominio alcuni credettero che signoreggiasse per poco in Lucca il conte AlbertâAzzo figlio di Sigifredo illustre magnate lucchese. Dissi, per poco, avvegnacchè il conte AlbertâAzzo fu quegli che ben presto si tirò addosso lâodio di Berengario, specialmente dopo che il re fu chiarito avere il Conte AlbertâAzzo ricovrata nella sua rocca di Canossa Adelaide restata vedova in fresca etĂ del re Lottario, e dallo stesso conte offerta al grande Ottone, che sulla fine del 951 la sposò in Pavia. NĂŠ corse molto tempo dacchĂŠ Berengario II, dopo il ritorno di Ottone in Sassonia, saputo che la regina Adelaide era in Canossa, si portò con un esercito allâassedio di quella rocca, in cui AlbertâAzzo per tre anni e mezzo si tenne saldo, finchĂŠ nel 956 accadde la sua liberazione mercĂŠ di un esercito inviato di Germania dal re Ottone.
Non ha la storia nostra autore alcuno, nĂŠ comparvero finora alla luce scritture, dalle quali possa ricavarsi chi fossero i marchesi, che dal 951 al 960 dominarono Lucca.
PerciocchĂŠ del Marchese Uberto, figliuolo spurio del re Ugo, non se ne parla piĂš dopo il maggio del 952, almeno nelle carte sincrone lucchesi.
Infatti in un istrumento dellâArchivio Arcivescovile di Lucca dellâ11 gennajo 960, sopra una rinunzia fatta in mano del Vescovo Corrado da Teuderada vecchia badessa del Monastero di S. Salvatore di Lucca, adesso di S. Giustina, a favore della monaca Grima eletta in sua vece al governo di quellâasceterio, si dichiara fatto quel rogito in Lucca, regnando Berengario e Adalberto, senza accennarsi lâintervento dâalcun duca, marchese o conte speciale di questa cittĂ .
Il piĂš che è da dire intorno ai governatori di Toscana durante il regno di Berengario II e del suo figlio, sarebbe di rammentare un diploma, dato in Verona nel 30 maggio 961, a favore dellâabbadia di Vangadizza, per le premure fatte ai due re, da Ugo marchese di Toscana, cioè, interventu ac petitione Ugonis marchionis Thusciae nostri dilectissimi fidelis. Dal che venghiamo a scuoprire, non solo che il Marchese Uberto non risiedeva piĂš in Toscana, ma che gli era succeduto un Marchese Ugo dal Muratori tenuto per il gran conte figliuolo dello stesso Uberto, quando il Rena aveva opinato, che qui si trattava di un personaggio affatto diverso e forse a parere mio, del Marchese Ugo di legge ripuaria autore dei marchesi di Petrella, di Sorbello e del Monte S. Maria.
LUCCA SOTTO I RE SASSONI E SVEVI Stava sempre a cuore del re Ottone, dopo la sua prima discesa in Italia (anno 951), di tornarvi con maggiori forze e con piĂš stabilitĂ , richiesto ed anche stimolato dalle ripetute istanze dei principi laicali ed ecclesiastici, che desideravano di avere un sovrano cotanto saggio non solamente re dâItalia, ma anche di vederlo Augusto, essendo lâimperio vacante sino dalla morte di Berengario I.
Era giĂ stato dalla dieta germanica dichiarato re dâAlemagna Ottone II, sebbene nella tenera etĂ di sette anni, allorchĂŠ il di lui padre nel 961 calò per la valle di Trento collâesercito suo in Lombardia, dove fu ben accolto dallâuniversale, e in Milano proclamato re dâItalia.
Recatosi quindi Ottone I a Roma, fra gli applausi del popolo con gran solennitĂ nel dĂŹ 2 febbrajo dellâanno 962 fu dal Pontefice Giovanni XII incoronato Imperatore Augusto.
Reduce di lĂ i Toscana e in Lombardia, egli trovavasi ai 13 marzo dello stesso anno in Lucca; nel qual giorno spedĂŹ due diplomi, uno a favore di Uberto vescovo di Parma, che lo dichiarò conte, ossia governatore di quella cittĂ , lâaltro ai canonici della cattedrale lucchese, cui confermò le donazioni delle corti lasciate loro da Ugo e Lottario. Un terzo privilegio a favore della badessa Grima e delle sue monache in S. Giustina di Lucca lo stesso Augusto compartĂŹ nel 29 luglio dellâanno 964 allâoccasione di un secondo suo ritorno da Roma in quella medesima cittĂ .
Anche nel 3 agosto dellâanno stesso 964 Ottone I continuava a stare in Lucca, tostochè porta la data di esso giorno un diploma compartito al Monastero del Monte Amiata. â (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia Amiatina).
Oltre i documenti qui sopra accennati e quelli citati dal Rena e dai Fiorentini non trovo altre notizie della condizione civile di Lucca sotto il regno dei due primi Ottoni, nĂŠ di alcunâaltro dei suoi governanti, eccetto il gran conte Ugo figliuolo del Marchese Oberto salico e della contessa Willa nata da Bonifazio marchese di Spoleto. â Non sto a dire di un placito dato in Lucca nel 964 dal Marchese Oberto conte del S. palazzo, sotto i due primi Ottoni, trattandosi qui di un giudicato della corte suprema che in ultimo appello soleva darsi dai messi imperiali o dai conti del sacro palazzo, i quali ad intervalli inviavansi dai regnanti a render giustizia ai reclami che allâImperatore presentavansi nelle varie parti dellâItalia.
Il gran conte Ugo pertanto dovè governare, finchĂŠ visse, la marca di Toscana oltre quella dellâUmbria, e fare di Lucca la sede principale. Infatti abitava in questa cittĂ la di lui madre quando essa, nel dĂŹ 8 luglio del 969, acquistò da un tal Zanobi la chiesa di S. Stefano in Firenze con case e terre annesse, situate nel luogo stesso dove quella pia donna fondò la badia fiorentina. Troviamo lo stesso Marchese Ugo, nellâaprile del 970, e di nuovo nel marzo del 971, ad esercitare atti governativi in Lucca, dove diede solennissime prove del suo potere, non solamente sopra la cittĂ ma sopra tutta la Toscana. Appella infatti ad una delle principali pre rogative riservate ai regnanti quella per la quale il Marchese Ugo fece battere nella zecca di Lucca moneta in nome proprio. Tali sono appunto quei due denari di argento illustrati dal cav. San Quintino, uno dei quali porta il monogramma di Ugo, e nel giro Marchio, mentre nel rovescio sono le lettere di Luca con la parola in giro, Civitate. Nellâaltro denaro sta il nome di Ugo in mezzo e nel contorno Dux Tuscii; nella faccia opposta la parola Luca e intorno il nome della consorte di Ugo, cioè: Dux Judita. â (Atti dellâAccademia di Lucca T.I.).
In realtà il marchese Ugo figurò sopra ogni altro principe italiano alla corte imperiale, tanto durante il regno di Ottone II, quanto sotto la reggenza e la minorotà di Ottone III.
Dopo la morte accaduta in Sassonia, nel giugno del 991, dellâimperatrice madre del terzo Ottone, è credibile che il marchese Ugo tornasse da quella corte al governo delle sue provincie in Italia, tostochĂŠ nellâanno 993 Ottone III mandò ordine al gran conte Ugo di mettere insieme un esercito per condurlo, come fece, a punire i ribelli e gli assassini di Landolfo principe di Capua.
Di lĂ reduce in Toscana, troviamo nellâaprile del 995 lo stesso Marchese in Lucca, e quivi firmò un atto di donazione da esso fatta alla badia di Firenze fondata dalla Contessa Willa defunta sua madre. Ma sulla fine dellâanno medesimo egli passava dalla maremma di Orbetello, dove nel luogo Marta (ora la Torre delle saline sullâAlbegna) nel dĂŹ 23 dicembre del 995 segnò un privilegio a favore dei monaci del MontâAmiata. â (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia Amiatina).
Nel luglio del 996 il marchese Ugo era tornato a stare nella sua cittĂ di Lucca per ricevervi e onorare lâImperatore Ottone III reduce da Roma; e fu nella villa di Vico poco lungi dalla stessa cittĂ , dove quellâAugusto a preghiere del gran conte emanò un diploma per confermare allâabate di S. Salvatore a Sesto, fra le altre cose, il castello di Verruca che quel principe aveva rinunziato al suddetto monastero. Nuovamente nella villa di Marlia, fra lâagosto e il settembre del 998, Ottone III fu festeggiato dal suo dilettissimo marchese, e ciò dopo avere lo stesso toparca lasciato in Poggibonsi unâinsigne testimonianza della sua pietĂ verso lâordine monastico con una vistosissima dotazione allâabbadia da esso fondata nel poggio di Marturi (Poggibonsi).
I documenti posteriori al 998 danno a conoscere, che il Marchese Ugo continuò fino allâultima ora a fare la sua corte ad Ottone III, di cui apparisce che fu costantemente intimo e affezionato consigliere.
Tale ce lo mostrano due privilegii imperiali, uno dei quali dato in Roma li 3 ottobre del 999, e lâaltro in Bologna li 22 settembre del 1001. Con lâultimo di essi Ottone III, per condiscendere alle istanze del suo dilettissimo duca, e marchese Ugo, donò a un di lui vassallo una possessione del patrimonio regio situata nella villa di Rigoli del territorio pisano. (CAMICI, dei Duchi di Toscana T.I.) Il privilegio ora citato sembra per avventura lâultimo relativo agli affari del marchese Ugo in Toscana. Infatti egli nel novembre del 1001 corteggiava lâaugusto sovrano a Bologna e a Ravenna; quindi nellâultimo mese dellâanno essendosi egli recato insieme con lâimperatore a Roma, insorse costĂ una rivoluzione, nella quale molti cortigiani, e probabilmente lo stesso Marches e Ugo, per salvare Augusto furono fatti prigionieri o rimasero dai rivoltosi trucidati.
Accaduta poco dopo la morte eziandio di Ottone III, molta parte dellâalta Italia, e forse anche Lucca, abbracciò il partito di quei principi che avevano chiamato sul trono dellâItalia il marchese Arduino dâIvrea. Difatti da questo re dâItalia fu spedito in Pavia, li 20 agosto 1002, un privilegio a favore del monastero di S. Giustina, giĂ di S.
Salvatore di Lucca. SennonchĂŠ due anni dopo il popolo lucchese e le altre cittĂ della Toscana, cambiando consiglio, risolvettero di riconoscere in legittimo re dâItalia Arrigo di Sassonia, detto il Santo, che fu primo re e secondo imperatore di questo nome. Quindi è che a nome del popolo toscano, nel mese di luglio del 1004, una deputazione recossi in Lombardia a prestare ubbidienza al monarca alemanno; lo che parve al Muratori indizio non dubbio, che allora la provincia della Toscana fosse senza capo, sia duca, oppure marchese, che la governasse.
Realmente a questâanno medesimo 1004 gli annali riportano un fatto dâarmi combattuto fra i Lucchesi e i Pisani poco lungi da Ripafratta, fatto che per avventura può designarsi per il primo embrione di due nascenti repubbliche e di due cittĂ che rimasero per tanti secoli rivali.
Se per altro la cittĂ di Lucca restò qualche anno priva del suo governatore, non è per questo che alla maggior parte dei Toscani mancasse il suo bassĂ . Tale ci sembra rappresentato dallâistoria quel Marchese Bonifazio di legge ripuaria figlio del conte Alberto, che può dirsi lâautore piĂš remoto dei conti Alberti di Mangona. Veniva ad essere cotesto Bonifazio, per parte della contessa Willa, nipote del di lei marito, il Marchese Ugo, talchĂŠ, o fosse astio e mal dâanimo contro il defunto zio, o che i beni da questâultimo alla badia di Poggibonsi donati, appartenessero alla di lui moglie, sorella del Conte Alberto e figlia di Bonifazio Marchese di Spoleto, cosicchĂŠ vi fosse ragione di riguardarli come beni allodiali della casa dei conti Alberti (la quale costĂ neâcontorni di Poggibonsi e per tutta la Val dâElsa ebbe e mantenne per molto tempo estesa signoria); fatto è, che dopo entrato al governo della Toscana il Marchese Bonifazio, questi spogliò la badia di Poggibonsi dâogni sostanza, costringendo i monaci ed il loro venerando abate Bonomio ad abbandonare quel claustro. â (ANNALI CAMALD. T. I. â CAMICI Opera citata).
Le quali violenze contro i claustrali del poggio Marturi dovevano tre anni dopo essere cessate, seppure unâazione empia con unâazione pia non si voleva contemp oraneamente offuscare oppure contrappesare; tostochĂŠ nel settembre dellâanno 1004 troviamo lo stesso Marchese Bonifazio nella montagna pistojese, per concedere in dono ai monaci di S. Salvatore di Fonte Taona un bosco o cafaggio con altre terre di sua pertinenza, situate in Baggio sopra Pistoja. â Vedere BAGGIO.
Arroge a ciò unâaltra donazione fatta, li 12 agosto 1009, nel castello di Pianoro nel territorio bolognese dal marchese medesimo alla badia fondata in Firenze dalla sua zia, alla qual badia egli cedĂŠ alcune corti poste nel Chianti e nella Val dâElsa; donazione che fu poi confermata dallâImperatore Arrigo II nel 1012, quando il Marchese Bonifazio non era piĂš tra i vivi.
Sebbene alcuni storici non si trovino dâaccordo ad ammettere questâultimo marchese per governatore della Toscana, pure per tale ci confortano a crederlo due atti, di luglio 1008, e di ottobre 1014, esercitati alla presenza di due gastaldi del Marchese prenominato. (CAMICI. Oper.
Cit.) Che piĂš in una scrittura contemporanea appartenuta alla badia di Poggibonsi, quindi alle monache del Paradiso in Pian di Ripoli, ora nellâArch. Dipl. Fior., si legge, Mortuo Ugo Marchio, cum Bonifatius filius Alberti factus esset Marchio, et monasterium, quod Ugo aedificaverat, devastaret, venit Marturi, etc.
Comunque sia, sembra certo però che, dal 1002 sino almeno al 1016, in Lucca non fosse riconosciuto per capo del governo alcun marchese o duca di Toscana, mentre, nÊ il marchese Bonifazio di legge ripuaria, nÊ un marchese Adalberto di origine longobarda, che in Lucca nel 1002, e nel suo contado nel 1011 alienò dei beni aviti, nessuno di questi due signori sembra avere esercitato mai alcun dominio nella città e contado lucchese.
Ve lo esercitò bensĂŹ il Marchese Ranieri figlio del conte Guido, progenitore dei marchesi del Monte S. Maria e di Sorbello, nominato da S. Pier Damiano; il quale Ranieri sino dal 1014 figurava in qualitĂ di marchese di Toscana; e come tale in nome dellâImperatore Arrigo II, nellâottobre del 1016, celebrò in Arezzo un placito assistito da Ugo conte della CittĂ , Rainerius Marchio et Dux Tuscanus.
Ă quel marchese Ranieri, rammentato dagli storici agli anni 1026 e 1027, il quale risiedeva in Lucca nel tempo in qui quasi tutta lâalta Italia, eccetto la Toscana, si era sottomessa allâimpero del re Corrado. â Infatti fu nellâinverno dellâanno 1026, mentre questo re si avanzava dal Piemonte verso Roma per sottomettere strada facendo i Toscani, ed il ribelle Marchese Ranieri che in Lucca erasi fortificato, fu allora quando i Lucchesi col loro governatore, trovandosi a mal partito, si recarono supplichevoli incontro al monarca per sottomettersi ai suoi voleri. Volendo però stare al cronista Ermanno Contratto, sembra che cotesta sottomissione fosse preceduta da un qualche apparato di assedio, o da altra dimostrazione ostile accaduta nei contorni e sotto le mura della cittĂ di Lucca.
Frattanto abbiamo in tale avvenimento un terzo memorabile esempio della posizione militare di Lucca e delle solide mura che dovettero difenderla, 1.° al tempo della repubblica Romana; 2.° sotto lâimpero di Giustiniano; 3.° durante il governo dei marchesi di Toscana.
Tali dimostrazioni dâinsubordinazione a Corrado il Salico, incoronato poco dopo (26 marzo 1027) imperatore in Roma, fruttarono al marchese di Toscana, se non la vita, al certo la carica di governatore e la disgrazia del monarca. Quindi non fa maraviglia, se da quellâepoca in poi non si sente piĂš rammentarlo negli atti pubblici di Lucca, nĂŠ in quelli di altre cittĂ della Toscana.
BensĂŹ la storia ci mostra sino dallâanno 1028 a governatore della Toscana il padre della contessa Matilde, Bonifazio figlio del Marchese Tedaldo di Lombardia, e ciò nel tempo in cui un fratello del marchese Bonifazio sedeva nella cattedrale aretina.
Ci appalesa questo nuovo marchese prima di tutti una carta del luglio 1028, pubblicata dallâUghelli (ITALIA SACRA, in Archiep. florent.) sfuggita alla diligenza di tanti accurati scrittori.â Ă una conferma di donazione della chiesa e Monastero di S. Miniato al Monte presso Firenze, con la quale il vescovo Lamberto approvò quellâopera pia del suo predecessore Ildebrando a benefizio spirituale del fondatore, dellâImperatore Corrado, dellâimperatrice Gisla di lui consorte, del figlio loro Arrigo, come pure per la salute del clarissimo marchese Bonifazio.
Anche piÚ chiaramente questo principe è qualificato col titolo di serenissimo duca e marchese di Toscana in altro istrumento del 1032, mercè cui Jacopo Bavaro vescovo di Fiesole assegnò una dote al clero della sua cattedrale.
Il valore militare, le ricchezze, lâestensione dei possessi ed i cospicui matrimonii fecero aumentare via via il potere e lâinfluenza politica del Marchese Bonifazio sulle faccende dellâItalia, talchè uno storico del secolo XII, (ARNULFI, Histor. Mediolan.) parlando dei principali magnati che in Italia fiorirono sotto lâimpero di Corrado e di Arrigo III suo figlio, segnalò fra i primi Eriberto arcivescovo di Milano ed il marchese Bonifazio, qualificandoli duo lumina Regni.
Non debbo omettere che, se Bonifazio non vi nacque, traeva bensĂŹ lâorigine da Lucca, mentre egli era un discendente di quel Sigisfredo, che il biografo della contessa Matilde dichiarò Principe preclaro del contado di Lucca, equivalente cioè a un conte rurale.
Che se la distanza dei secoli e lâoscuritĂ dei tempi in cui visse il bisavolo di Bonifazio, non ci permisero di scuoprire in qual luogo fu il castello dovâegli ebbe i natali, restano per altro memorie di una villa del marchese Bonifazio piĂš prediletta, e forse una di quelle ereditate dal bisavo Sigifredo. Intendo dire del palazzo di Vivinaja situato fra lâAltopascio, la Pescia minore e il castel di Porcari sopra una prominenza orientale del poggio su cui risiede la Terra di Montecarlo.
Infatti era costĂ il padre della gran contessa nel febbrajo dellâanno 1038, quando nel resedio campestre di Vivinaja con magnificenza regale accolse a onorevole ospizio il Pontefice Benedetto IX, lâImperatore Corrado con lâaugusta consorte e figlio, cioè: infra comitatu lucense intus casa domnicata domni Bonifacii marchionis; e costĂ , il 22 febbrajo dellâanno 1038, fu celebrato un placito preseduto dal cancelliere imperiale con lâassistenza di alcuni vescovi, conti e giudici, nel luogo medesimo in cui nel giorno dopo lâimperatore Corrado emanò tre privilegii a favore dei canonici e della cattedrale di Lucca. (FIORENTINI, Memorie della contessa Matilda.) Chi volesse rintracciare lâubicazione della villa signorile, testè rammentata, della sede di tante delizie, dove Bonifazio festeggiava la piĂš illustre comitiva del mondo; chi volesse riconoscere quel luogo famigerato, animato da tanta gente e da tanto brio, non ritroverebbe attualmente che lutto e segni di tristezza; giacchè il luogo dove fu il palazzo ducale di Vivinaja, ora è destinato al riposo dei morti, al camposanto della popolazione di Montecarlo! Sic transit gloria mundi! Delle esorbitanti ricchezze di Bonifazio fece pompa strabocchevole egli stesso, sia allorchè contrasse le seconde nozze con Beatrice figlia di Federigo duca di Lorena, dalla quale nacque la gran contessa; sia allâoccasione in cui il marchese medesimo fece presentare in Mantova dal suo visconte, e in Piacenza da altri suoi ministri, sontuosissimi ragali allâImperatore Arrigo III; il quale stupefatto da tal pomposo procedere in un principe subalterno, si vuole che esclamasse: Quis vir habet servos quales Bonifacius? Dai versi poi di Donizzone apparisce, come da Guido venerabile abate della Pomposa venne ingiunta al nostro Bonifazio una penitenza, per il mercato abominevole che si permetteva di molti beni di chiese da esso lui sotto varii pretesti appropriatisi; in guisa che il Muratori non potè esimersi da qualificare Bonifazio , bonorum ecclesiasticorum belluo .
Quindi è che lâabate Camici non potè difenderlo dallo stessa taccia; che anzi ne trovò la conferma in molte memorie da lui prodotte alla luce. NĂŠ fu egli solo a dubitare, che la morte violenta, da cui Bonifazio restò colpito, impedisse a questo marchese di restituire alle chiese quanto sotto moltiformi maniere aveva ad esse tolto.
Nelle AntichitĂ del medio evo trovansi a dovizia argomenti atti a dimostrare, con quale franchezza Bonifazio ed i suoi ministri sâimpadronivano dei beni ecclesiastici. Basta leggere, rapporto alle diocesi di Verona e di Volterra, due diplomi di Arrigo III, dal primo dei quali si conosce essere stata la chiesa di Verona afflitta non solo dalle genti estranee, ma anche dalle domestiche, ed in special modo tartassata dal Marchese Bonifazio che tutto il distretto di unâisola arbitrariamente le aveva occupato. In quanto a Volterra havvi un diploma spedito un mese dopo la morte di Bonifazio (17 giugno del 1052) a favore del vescovo di essa cittĂ ; il quale recossi a piè del trono ad oggetto di reclamare dallâImperatore Arrigo contro il conte di Volterra, che durante il governo del marchese Bonifazio aggravò fuor di modo tanto esso vescovo, quanto anche il clero, gli amministratori dei beni della mensa, e tutti coloro che tenevano a fitto le sostanze della sua cattedrale. â Lo dice la lunga lista dei castelli, pievi e cappelle che furono con i loro effetti ceduti in feudo dal Vescovo di Reggio al marchese predetto, e poscia da esso lui ad altri suoi vassalli dati o venduti. â Lo dice un diploma dello stesso Arrigo III, spedito da Verona li 11 novembre del 1055, ad istanza dellâabate del Monastero di S. Zenone di quella cittĂ ; il quale reclamava moltissimi beni che il fu Marchese Bonifazio e i di lui servi ingiustamente e violentemente si erano appropriati. â Ma per avvicinarmi alle operazioni fatte in Lucca e nel suo contado sotto il governo del Marchese Bonifazio, rammenterò un placito celebrato il dĂŹ 5 maggio 1055 alla presenza dello stesso imperatore nei campi di Roncaglia; dove erasi recato Guido vescovo di Luni per reclamare la terza parte della corte, del monte e del castello di Aghinolfo posto presso Porta Beltrame (Montignoso), che aveva usurpato Gandolfo, essendo proprietĂ della cattedrale di Luni. â Per quello poi che riguarda il trattamento, le sevizie ed angarie introdotte da Bonifazio a danno dei Lucchesi lo indica il Fiorentini medesimo, quando accenna i privilegi concessi daglâImperatore Arrigo IV e Arrigo V, che furono per la cittĂ di Lucca i primi segni della riacquistata libertĂ . Avvegnachè quegli Augusti condannarono e abolirono alcune angarie, e perverse usanze introdotte da Bonifazio a danno dellâantica sua patria, siccome i diplomi si esprimono con le seguenti parole: Consuetudines etiam perversas a tempore Bonifacii marchionis duriter iisdem hominibus (Lucensibus) impositas omnino interdicimus, et ne ulterius fiant praecipimus. â (FIORENTINI, Memorie della Contessa Matilda . Lib. I., e ARCHIV. DI STATO DI LUCCA).
Quindi non fa maraviglia se Ermanno Contratto, allorchè annunziò nella sua Cronica, sotto lâanno 1052, lâuccisione del marchese Bonifazio accaduta presso Mantova, non difficultò dare al ricchissimo Marchese il brutto nome di tiranno . Fu detto ancora che la gran potenza di Bonifazio, cagionasse in Arrigo II tal gelosia, da cercare modo e verso per allontanarlo dallâItalia, e togliergli le redini del governo marchionale. Che per altro ciò fosse una mera congettura, lo fece conoscere lâevento dopo la morte di Bonifazio, nella cui carica marchionale della Toscana sottentrò pacificamente la sua consorte Beatrice. Diede bensĂŹ ombra ad Arrigo III il nuovo matrimonio senza sua saputa nellâanno 1054 conchiuso dalla vedova di Bonifazio con Goffredo duca di Lorena, tanto piĂš che il secondo marito fu ribelle dellâImperatore. Quindi avvenne, che al ritorno di Arrigo III in Italia (marzo del 1055), non potendo egli avere nelle mani il duca Goffredo, ritenne in ostaggio la sua moglie con i figli da lei partoriti al Marchese Bonifazio. â Nella primavera del 1055 Arrigo III inviò Erberardo vescovo di Ratisbona suo rappresentante a Lucca; e costĂ nel palazzo dellâImperatore presso le mura della cittĂ , sedendo quel messo in giudizio con Ubaldo conte di Pisa e con altri magnati, pronunciò un placito a favore del vescovo e della cattedrale di Lucca, a cagione della corte e chiesa di S.
Terenzio a Marlia. â (BERTINI, Memor. Lucch. T.IV.
P.II.) Venne poco dopo in Toscana passando per Lucca e Pisa lo stesso Imperatore non tanto per assicurarsi dellâinclinazione dei popoli governati dal successore di Bonifazio e dalla sua donna, quanto per far posare le armi ai Pisani e ai Lucchesi, châerano tornati a farsi guerra nei campi di Vaccoli sotto il Monte pisano.
I Lucchesi, sebbene allora mancassero di un proprio governatore, stavano in pace con i loro vicini, quando Augusto, infermato in Germania e assistito dal romano pontefice, cui raccomandò il figlio, a dĂŹ 3 ottobre del 1056 passò allâaltra vita.
La morte assai sollecita di Arrigo III, e la troppo tenera etĂ del figliuolo Arrigo IV (la cui tutela fu appoggiata allâimperatrice madre) furono le prime cause di mali immensi e dellâorribile sconvolgimento di cose, che, non solo a Lucca e alla Toscana, ma a tutta Italia apportarono; tostochè di qua incomincia la storia che fu esordio di tali avvenimenti politici, per i quali si emanciparono quasi del tutto i conti e i marchesi dal loro monarca, i sudditi dai marchesi, dai duchi e dai conti, gli uni per governare a loro arbitrio, gli altri per costituirsi a poco a poco in regime repubblicano.
A intercessione del pontefice Vittorio II il fanciullo rè perdonò al duca Goffredo, e liberò dallâostaggio la sua moglie contessa Beatrice con la superstite figlia, le quali donne dopo due anni di prigionia tornarono a dominare la Toscana.
Accaddero poco appresso due avvenimenti gloriosi a Goffredo e alla cittĂ di Lucca; il primo quando fu acclamato in Roma per pontefice, sotto il nome di Stefano IX, Federigo il fratello del duca di Toscana. Dondechè Federigo nel giro di pochi mesi eletto abate di Monte Cassino, poi cardinale ed infine papa, non piccolo aumento di reputazione e di potenza preparava al fratello suo e alla cognata contessa Beatrice; per modo che, al dire di Leone Ostiense, disegnavasi fare di Goffredo un re dâItalia al momento in cui mancò di vita il Pontefice Stefano. â Lâaltro avvenimento assai piĂš glorioso pei Lucchesi fu lâesaltazione avvenuta nel 1061 dalla cattedra di S. Martino di Lucca a quella di S. Pietro di Roma di Anselmo da Badagio, eletto dopo la morte del testè nominato Stefano IX. Il quale novello gerarca favorito dal duca e duchessa di Toscana, e massimamente dal cardinale Ildebrando deâconti Aldobrandeschi, fu intronizzato col nome di Alessandro II.
Eccoci frattanto al punto dove cominciano gli Annali di Tolomeo lucchese, nei quali trovansi accennate le principali vicende istoriche, e piĂš specialmente quelle di Lucca, a cominciare dallâanno 1062 sino al 1304; vicende che vennero piĂš tardi con aurea latinitĂ ed eloquenza rifuse dal padre Bartolommeo Breverini, con lâaggiunta dei fatti accaduti dal 1304 sino al declinare del secolo XVII.
Che se a queste due opere celebratissime si aggiungano lâaltre non meno egregie delle Memorie scritte da Francesco Maria Fiorentini, di quelle che vanno tuttavia pubblicando i deputati dellâAccademia lucchese, e la Storia di Lucca recentemente data alla luce dal marchese Antonio Mazzarosa, avranno i cultori delle cose patrie in questi sullodati libri pascolo copioso alla loro dotta curiositĂ , nel tempo che tali opere servono a me di motivo per tralasciare discorrere di tante minute fazioni ostili, di tante piccole guerre di municipio, cui tennero dietro brevissime paci, in guisa che, limitandomi a discorrere delle principali mutazioni civili e politiche, potrò progredire piĂš franco nel cammino del presente articolo.
Per le notizie dellâannalista Tolomeo, per i documenti dal Fiorentini accennati, e dai compilatori delle Memorie lucchesi testè pubblicati, veniamo in cognizione che papa Alessandro II, imitando il suo predecessore Niccolò II vescovo di Firenze, ritenne, oltre il triregno, anche la mitra e il pastorale del suo vescovato, e che in Lucca piĂš volte egli tornò. Per piĂš mesi vi si trattenne nel 1064, quando accordava privilegii alla cattedrale di S. Martino, quando alla cittĂ di Lucca donava un sigillo del Comune con lâimpronta del Santo patrono, siccome vedremo qui appresso, e quando decorava i canonici di essa cattedrale della mitra cardinalizia da portarsi nelle processioni, al pari deâcanonici di Ravenna e di Campostella.
Ebbe occasione lo stesso pontefice di passare nel 1067 e ripassare di Lucca nel 1068, prima e dopo aver preseduto un concilio che si adunò in Mantova. Nella quale ultima circostanza (giugno del 1068) stando nel Brolio, o giardino dell'episcopio di Lucca, la duchessa Beatrice, alla presenza di molti vescovi, conti e visconti, emanò un placito a favore della mensa vescovile lucchese, col quale fu confermata lâinvestitura di alcuni beni posti ad Asciano e a Vico Auseressole nel territorio di Pisa.
Tornato in Lucca Alessandro II nel 1070 consacrò ed elargÏ nuovi privilegii al rinnovato tempio della cattedrale di S. Martino, nel cui episcopio, se non continuamente, molti mesi degli anni 1071 e 1072, egli abitava corteggiato e onorato dalle sue governatrici della Toscana, Beatrice e Matilde.
FinĂŹ di vivere il buon pontefice nellâaprile dellâanno 1073 in Roma, dove nel giorno successivo alla morte fu eletto in successore suo quel cardinale arcidiacono Ildebrando della casa Aldobrandesca, che, dopo avere singolarmente influito allâelezione di quattro papi suoi predecessori, salĂŹ egli stesso sulla cattedra di S. Pietro col nome di Gregorio VII. Il qual pontefice nelle emergenze tra la chiesa e lâimpero mostrò tanta fortezza, da renderlo celebre a tutti i secoli avvenire.
Frattanto Matilde, ora sola, ora in compagnia della madre, esercitava atti di dominio quasi assoluto sopra Lucca e su tutto il restante della Toscana.
Dissi, quasi assoluto, perchĂŠ ancora unâombra di dipendenza regia in qualche modo nella celebrazione dei placiti di lei traspariva. Tale, per esempio, fu quello dellâ8 febbrajo 1073, dato nel Borgo S. Frediano fuori delle mura di Lucca, cui assistè con la contessa Matilde un messo di Arrigo IV; tale un giudicato del 25 febbrajo dello stesso anno, emanato in Firenze nel palazzo vescovile da Beatrice Marchesa di Toscana, ad istanza di Berta priora del monastero di S. Felicita presso il Ponte vecchio di Firenze, tostochè il suo avvocato invocava il bando del re.
Ma poco si stette, dacchè il pertinace monarca alemanno, sordo ai decreti di due romani concilii, che fulminarono terribili anatemi contro i fautori o complici di simonie, e contro lâabuso delle investiture ecclesiastiche; ed irritato dalle scomuniche della S. Sede Apostolica, la sprezzò a segno che in una dieta di vescovi e abati avversi a Gregorio VII, da Arrigo riunita in Vormazia (anno 1076) fu qualificato illegittimo il vero pontefice e scomunicato.
In questo mezzo tempo medesimo nel palazzo Laterano, alla presenza delle due principesse di Toscana, erasi aperto un terzo concilio, nel quale si dichiarava Arrigo IV fuori della chiesa, decaduto dal regno, mentre si assolvevano i sudditi, i vassalli ed i ministri di lui dal giuramento di ubbidienza e di fedeltĂ .
Dâallora in poi la devota contessa Matilde cominciò a regnare da assoluta padrona con intitolarsi negli atti pubblici, che se ella contava qualcosa, era tale per la sola grazia di Dio; cioè, Matilda Dei gratia si quid est.
Quantunque i Lucchesi ed in generale i popoli toscani non avessero motivo da lodarsi del suo governo, pure a confessione del panegirista di questa principessa, essi per amore o per forza doverono uniformarsi ai voleri di quella padrona: Marchia volendo sibi paruit, atque nolendo.
Per consiglio del Pontefice Gregorio prese Matilde per cappellano e consigliere Anselmo nipote di Alessandro II, che a lui successe nel vescovato di Lucca, sebbene viaggiava con la contessa anche dopo la sua elezione episcopale. Infatti nellâagosto del 1073 troviamo Anselmo in Verona in compagnia delle due duchesse di Toscana, e costĂ fu testimone a un atto pubblico, col quale le stesse donne rinunziarono, o piuttosto restituirono, al monastero di S. Zenone di Verona alcune terre prese dal marchese Bonifazio, di quelle che facevano parte delle stesse possessioni, delle quali Arrigo III sino dal 1055 aveva ordinata la restituzione al monastero prenominato.
Sono troppo noti per non dovere rammentare gli avvenimenti politico-ecclesiastici che dopo la scomunica di Arrigo IV posero sossopra i popoli e principi della Germania e dellâItalia, e per conoscere qual parte attiva la contessa Matilda prendesse nelle infauste contese fra il trono e lâaltare, fra due re di Germania rivali, fra un papa legittimo e tre scismatici. Solamente dirò che Matilde, appena rimasta orbata della madre, e vedovata del marito Gozzelone duca di Lorena, si dichiarò piĂš francamente quasi propugnacolo della S. Sede Apostolica e il braccio forte del Pontefice Gregorio VII.
A sostegno di questo e di quella la gran contessa armò un esercito, che di ottobre del 1080 nel territorio di Mantova fu battuto e disfatto dai combattenti fautori del IV Arrigo.
Al quale monarca piuttostochè alla marchesana di Toscana aderiva a quei tempi un buon numero di Lucchesi, e una gran parte del loro clero, tostochè molti canonici, trascurando i precetti di una disciplina piĂš severa e piĂš casta, ricusarono ubbidire al legittimo loro pastore, eleggendosi invece un vescovo scismatico. Infatti al passaggio che fece nel 1081 dalla Toscana lâImperatore, volle lasciare alle sue fedeli cittĂ di Pisa e di Lucca, tali generosi privilegj, che possono dirsi a parer mio i primi efficacissimi segnali della loro municipale emancipazione.
LUCCA NEL PRIMO PERIODO DELLA REPUBBLICA SINO ALLA MORTE DI CASTRUCCIO PiĂš di uno probabilmente si maraviglierĂ che io mi arresti quasi a mezzo il corso della vita e delle gloriose gesta della gran contessa, alla quale erano collegate somme faccende politico-religiose della Toscana, e dirò anche della cristianitĂ . Ma cesserĂ , io spero, ogni sorpresa quante volte si vorrĂ riflettere, che fu appunto in mezzo a tante agitazioni e tempeste, fra lâurto violento di opposte passioni, fra lâintolleranza e lâassolutismo, donde incominciò a germogliare e crescere quello spirito di libertĂ , che andò gradatamente aumentando, finchĂŠ giunse a costituire in repubblica non solamente Lucca, ma molte altre cittĂ dellâItalia.
Fra gli elementi primordiali, che contribuirono a predisporre i Lucchesi a regime costituzionale, sono da contarsi (se male non mi appongo) i diplomi da Arrigo IV nel 1081 concessi, da Arrigo V nel 1116 e da Lottario III nel 1133 confermati a favore di quei cittadini, diplomi che vide Tolomeo negli archivii di Lucca. Quelli che tuttora ivi conservansi sono copie autentiche, mancando giĂ da lungo tempo le carte originali. Con altro diploma del 1100 Arrigo IV convalidò le concessioni del 1081 ai Lucchesi, a favore dei quali aggiunse il diritto di potere senza difficoltĂ navigare nel fiume Serchio, e aver libero accesso allo scalo di Motrone. Nel primo diploma del 1081 lâAugusto diceva, che, per ricompensare i Lucchesi della loro fedeltĂ e dei servigii a lui resi, vietava a qualunque autoritĂ ecclesiastica o laicale di demolire il recinto delle mura della cittĂ ; di edificar castella nel distretto delle sei miglia; aboliva le consuetudini perverse imposte loro con durezza dal marchese Bonifazio; esentava i medesimi dai placiti e sentenze di giudici longobardi, dal ripatico pisano, dagli obblighi del fodro e di curatura da Pavia sino a Roma, non che degli alloggi; prometteva di non far costruire dentro la cittĂ o nĂŠ subborghi alcun palazzo reale o imperiale; e finalmente permetteva ai Lucchesi di recarsi a comperare e vendere nei mercati di S. Donnino e di Parma, dichiarando espressamente esclusi da questâultimo permesso i Fiorentini.
In conseguenza dellâenunciato privilegio il popolo di Lucca cominciò dal distruggere nellâanno 1086 il vic ino castello eretto in Vaccoli da alcuni nobili di contado; e nellâanno 1100 lo stesso Comune mandò gente ad atterrare la torre di Castagnore sulla riva destra del Serchio di pertinenza di altri cattani; quindi nel 1104, a cagione del castello di Ripafratta, i Lucchesi rinnovarono contro i Pisani un lungo conflitto nei campi medesimi, dove centâanni innanzi gli uomini delle due cittĂ rivali avevano acerbamente dopo tanti secoli combattuto.
Ad oggetto pertanto di tutelare con piĂš sicurezza il castello di Ripafratta, per il quale al dire di Tolomeo durarono cinque anni di conflitto, uno di quei valvassori, Ubaldo figlio del fu Sigismondo, nellâanno 1111, si pose sotto lâaccomandigia degli arcivescovi e dei consoli pisani, dichiarando di cedere ad utilitĂ di quella primaziale e del popolo di Pisa la porzione che gli apparteneva del castello, di tutto il poggio e distretto di Ripafratta con le terre e possessioni che il sopradetto Ubaldo e Matilde sua consorte possedevano nel contado lucchese.
Questo documento, oltre che ci sembra che dia a conoscere, che il distretto di Ripafratta a quellâepoca doveva essere compreso nel perimetro delle sei miglia del contado di Lucca, conferma eziandio qualmente la cittĂ di Pisa, e forse Lucca, fino dal principio del secolo XII avevano magistrati proprj, o rappresentanti municipali, ai quali, ad esempio della repubblica romana, fu dato il titolo di Consoli.
Per quanto non vi sia da indicare lâanno preciso, in cui nelle due nominate cittĂ fu stabilito il consolare magistrato; per quanto manchino finora documenti che prima del regno di Arrigo IV ne facciano menzione, ciò non ostante è da credere, che intorno al 1090 i Consoli maggiori, ossiano municipali, esercitassero il loro uffizio in Lucca, al pari che in molte altre cittĂ e terre della Toscana.
Per quelli di Pisa, oltre il documento del 1111 qui sopra citato, dobbiamo al Muratori la pubblicazione di una carta del 5 ottobre 1095 spettante a Daiberto arcivescovo della metropolitana di Pisa, nella quale viene rammentato il magistrato dei consoli hujus civitatis qui pro tempore fuerint.
Per ciò che spetta a Lucca non è finora, châio sappia, comparso alla luce alcun documento anteriore a quello (ERRATA: dellâanno 1119, in cui si nominano i consoli di questa cittĂ ) dellâanno 1107, in cui si nominano i consoli maggiori di questa cittĂ (Mem. Lucchesi). Ă un istrumento del dĂŹ 21 ottobre col quale un sindaco di Benedetto vescovo di Lucca, alla presenza di diversi testimonj e di Goffredo del fu Giovanni, tunc lucensis consul, restituĂŹ 2300 soldi di moneta lucchese a chi avevali imprestati al vescovo Rodolfo suo antecessore; mediante il qual pagamento il vescovo Benedetto riebbe il castello di Montopoli stato dato al creditore, come a titolo di pegno.
(Memor. Lucch. T. IV, P. II).
Molte per altro sono le scritture del secolo XII e XIII, nelle quali si rammentano diverse classi di consoli in Lucca. ImperrochĂŠ oltre i consoli maggiori, che tenevano la prima magistratura, vi erano i consoli delle curie, cioè i treguani, ossia i giudici di pace, la di cui esistenza è antica quanto quella dei consoli maggiori, vi erano i consoli dei mercanti, i consoli foretani, ed ogni vicinanza o contrada aveva i suoi. Quindi è che al giudicato famoso dellâanno 1124, tenuto nella chiesa di S. Alessandro di Lucca per decidere una causa che agitavasi tra il vescovo di Luni e i marchesi Malaspina, intervennero come giudici non meno di sessanta consoli lucchesi.
(MURATORI Ant. Estens. P. I).
Non erano però questi consoli delle curie, ma bensĂŹ i consoli maggiori, cui spettava lâingerenza governativa, ed ai quali appella un privilegio spedito da Federigo I lĂŹ 9 luglio del 1162 ai diletti suoi fedeli i consoli di Lucca e a tutto quel popolo. Nel qual documento leggesi la formula del giuramento che, in presenza del monarca e di Rainaldo arcicancelliere del regno dâItalia, dei conti Gherardo, Ildebrandino ed Alberto, e di alcuni consoli pisani, fiorentini, e pistojesi, tre consoli di Lucca prestarono nel Borgo di S. Genesio, mentre cinque giorni dopo in Lucca giurarono gli altri tre consoli rimasti in cittĂ , davanti al pubblico parlamento convocato presso la cattedrale di S. Martino e alla presenza del prenominato Rainaldo arcicancelliere del regno.
Dal qual diploma si viene anche meglio a conoscere, non solo il numero dei consoli maggiori che costituivano allora il corpo decurionale di Lucca, ma ancora di qual libertĂ al tempo di Federigo I fruissero i Lucchesi.
Avvegnachè ciascuno di quei consoli giurar doveva fedeltĂ allâImperatore dicendo, sicut de jure debeo domino Imperatori meo; ed anche promettere di buona fede che avrebbe in ogni caso ajutato Augusto nel possesso del regno dâItalia non che di Lucca e suo contado. Aggiungasi, che ciascun console, innanzi di entrare in uffizio, giurava di pagare allâImperatore le regalie che di diritto se gli pervenivano; di piĂš: et conventionem factam de pecunia 400 librarum annuatim solvenda observabo; et nullum recipiam in CONSULATU, qui hoc sacramentum de pecunia solvenda non juret etc.
(MEMOR. LUCCH. T. I.) Nello stesso privilegio permettevasi ai Lucchesi lâannuale elezione dei loro consoli, con che per altro gli eletti giurassero, che essi avrebbero governato il popolo e la cittĂ a onor di Dio e a servizio dellâImperatore e re; e con che i nuovi consoli si recassero in persona a riceverne lâinvestitura dal sovrano, quando egli fosse in Italia, bastando uno di loro per tutti, quando Augusto si ritrovasse in Germania.
In proposito del pubblico parlamento tenuto nella curia di S. Martino di Lucca, allorchĂŠ i tre consoli giurarono le condizioni dallâimperatore Federigo I nel 1162 stabilite e concesse, cade in acconcio ricordare un altro giuramento singolare che fino dallâetĂ della contessa Matilde facevasi costĂ dai banchieri, cambisti e mercanti: i quali a quel tempo tenevano i loro banchi, fondachi o botteghe nella corte della chiesa di S. Martino, dovâerano pure situati gli alberghi per i forestieri.
La formula trovasi tuttora scolpita in marmo sotto il portico della cattedrale con la data dellâanno 1111, dicendo di averla ivi posta, affinchĂŠ: Adveniens quisquis scripturam perlegat istam, de qua confidat et sibi nil temeatâŚâŚUt omnes homines possint cum fiducia cambiare et vendere, et emere, juraverunt omnes Cambiatores et Speciarii, qui ad cambium vel species stare voluerint, quod ab illa hora in antea non furtum faciant, nec treccamentum, aut falsitatem infra curtem S.
Martini, nec in dominibus illis, in quibus homines hospitantur⌠Sunt etiam insuper qui curtem istam custodiunt, et quicquid male factum fuerit, emendare faciunt. Anno Domini MCXI.
Chi non leggerebbe in questa memoria il simbolo dei consoli dellâarte del cambio, e dei mercanti? Chi non riconoscerebbe nella corte di S. Martino un luogo consimile a quello che prese piĂš tardi e che conserva in Firenze il nome di Mercato nuovo? Nei custodi poi della corte medesima incaricati a giudicare e condannare chiunque dei contraenti facesse danno o falcidia, chiaramente mi si rappresenta la curia dei consoli dellâarte del cambio, unita ai mercanti di generi lucchesi.
Per egual modo piĂš tardi si aprĂŹ in Lucca unâaltra curia, chiamata di S. Cristofano dalla chiesa presso la quale aveva la sua residenza, e la cui ingerenza consisteva in giudicare le cause civili della cittĂ e subborghi sino al merito di 25 lire.
La curia dei consoli treguani, residente nella soppressa chiesa di S. Senzio, aveva per ispezione di stabilire tregue, pronunziare lodi e sentenze per ragione di livelli, di penali incorse, di cause civili, ed anche ecclesiastiche ec.
Vi era poi la curia detta deâconsoli foretani, ossia foranei, per le cause tra forestieri e lucchesi, ovvero tra forestieri e forestieri; e questa faceva le sue adunanze nella chiesa di S. Alessandro.
In quanto ai consoli dei mercanti di Lucca il Muratori pubblicò un accordo fatto nel 22 febbrajo 1182 tra consoli maggiori, i consoli deâmercanti di Modena da una parte, e i consoli maggiori e consoli deâmercanti di Lucca dallâaltra parte, mercĂŠ cui i consoli della cittĂ Modena obbligaronsi per 9 anni a difendere chiunque persona della cittĂ e distretto di Lucca in tutto il territorio Modenese, e di rendergli buona ragione tutte le volte che ne venisse fatto reclamo dai consoli lucchesi, o dalle loro lettere segnate col sigillo della cittĂ di Lucca .
A confermare che i consoli maggiori sin dâallora fossero i rappresentanti del corpo decurionale della cittĂ , rammenterò una lettera del pontefice Eugenio III, diretta verso la metĂ del secolo XII ai suoi diletti figli, i consoli di Lucca, per esortarli ad assistere e proteggere i frati che il loro vescovo Gregorio aveva di corto introdotto nella chiesa e monastero di S. Pantaleone fuori di Lucca, sul monte di S. Giuliano. (BALUZII, Miscellan. T. IV).
In una parola tutte le memorie superstiti tendono a dimostrare che Lucca, a partire dal privilegio di Arrigo IV, godeva di magistrati proprj, siccome dâallora in poi possedĂŠ di buon diritto un territorio di sua esclusiva giurisdizione.
Il contado di sei miglia tutto attorno alla città di Lucca fu posteriormente (anno 1160) ridonato da Guelfo VI duca di Baviera, quando era marchese di Toscana col rilasciare ai Lucchesi ogni regalia marchionale. Oltre di ciò lo stesso duca rinunziò pure a favore del comune di Lucca agli allodiali della contessa Matilde, di cui egli si qualificava legittimo Signore ed erede, purchÊ i beni della defunta contessa fossero stati dentro Lucca o nel distretto delle sei miglia.
Tale importantissimo privilegio, oltre ad essere una conferma dei diplomi da Arrigo IV e V concessi ai Lucchesi, li sopravanza in quanto al dono delle molte possessioni che ebbe in Lucca e nel suo contado la ricchissima contessa Matilde, possessioni che lâImperatore Federigo I, appena che venne innalzato al trono (anno 1152) dichiarò proprietĂ del duca Guelfo VI di Baviera, come nipote per parte di padre di Guelfo V Bavaro Estense, giĂ qualificato per scritta matrimoniale erede dalla stessa Matilde. (Cronic. Weingartensis de Guelis Princibus, apud Leibnitz.) La gran contessa però, non essendosi trovata molto contenta del secondo, come non fu del primo marito, allontanossi dal consorzio di Guelfo al segno che annullò i patti dotali. Quindi essa, nel 17 novembre del 1102, stando nella rocca di Canossa, alla presenza del cardinal Bernardo degli Uberti legato pontificio in Lombardia e di altri illustri personaggi, volle rinnovare per rogito lâatto di donazione giĂ da lei in tempo fatta nelle mani del pontefice Gregorio VII. In vigore del quale atto ella donò alla chiesa romana omnia bona mea, dice la carta, jure proprietario, tam quae nunc habeo, quam quae in posterum acquisitura sum, etc.
Quali conseguenze, a danno specialmente del Comune di Lucca, questâultima donazione matildiana apportasse, lo vedremo tra poco.
Si erano i Lucchesi per la mediazione di Federigo I riconciliati con i Pisani, i sindaci dei quali, nel 1175 alla presenza di Augusto in Pavia, sottoscrivessero un trattato di pace. Lo che avvenne due anni innanzi lâaltra piĂš memorabile pacificazione per la cristianitĂ , fermata in Venezia nellâestate del 1177, quando Federigo I discese alle richieste del Pontefice Alessandro III, specialmente rapporto alle investiture dei benefizii, ed alla restituzione dei beni della chiesa romana, salvo però le terre e i possessi appartenuti alla contessa Matilde.
Esiste nellâarchivio dei canonici di S. Martino un privilegio dello stesso Augusto, dato li 25 gennajo 1178 apud Lucam civitatem in palatio episcopale, che può servire a confermare due fatti: il primo che lâImperatore, avendo preso alloggio nella casa del vescovo, mostra che anche ai suoi giorni non esisteva in Lucca palazzo regio o imperiale, siccome era stato da Arrigo IV promesso di non fabbricarvelo, e come infatti nel 1209 in altro diploma dallâImperatore Ottone IV fu nuovamente ai lucchesi promesso di non farvelo.
Il secondo fatto è, che Federigo I, dopo il 25 gennajo, dovè da Lucca passare direttamente a Genova, tostochĂŠ nello stesso mese ed anno in questâultima cittĂ ce lo danno arrivato i continuatori degli Annali di Caffaro, dopo essere stato Federigo I preceduto di un giorno dallâImperatrice, e raggiunto il giorno appresso dal re Arrigo VI suo figliuolo.
Accadde alla fine di agosto dellâanno 1187 lâesaltazione al trono pontificio di Lucio III nella persona del cardinal Ubaldo dellâestinta casata lucchese degli Allucingoli . â Abbiamo dallâannalista Tolomeo, come sotto questo medesimo anno 1181, a nativitate, fu rinnovata pace fra i Lucchesi e i Pisani. In conferma di ciò lâarchivio della casa Rosselmini di Pisa conserva nel suo originale la formula dei varii capitoli di quella concordia, giurati li 16 giugno dellâanno 1181 nella chiesa di S. Prospero a Setuano, piviere del Flesso presso Lucca. Anche le Memorie Lucchesi (T. IV, P. II) hanno pubblicato la formula del giuramento, che prestarono nel giorno e luogo stesso i consoli di Lucca e di Pisa, quando i primi promisero di rispettare la giurisdizione dellâarcivescovo di Pisa nel loro contado; e viceversa i consoli di Pisa di rispettare la giurisdizione e i diritti che avevano i vescovi di Lucca nel territorio civile pisano.
Una condizione singolarissima di detta pace fu quella, per la quale si divise fra le due cittĂ il lucro delle rispettive zecche e lâobbligo impostosi dai Pisani di non piĂš fabbricare o coniare la moneta simile a quella di Lucca. E siccome nella moneta lucchese era impresso il nome di Lucca e dellâImperatore Arrigo, quella pisana doveva dâallora in poi portar il nome di Pisa e dellâimperatore Federigo o del re Corrado, ed essere ancora di una grandezza e rotonditĂ maggiore della lucchese, in maniera da distinguere chiaramente lâuna dallâaltra. E qui è da avvertire una clausola importantissima specificata dai consoli pisani, la quale starebbe a provare che, il bando mandato nel 1176 da Federigo I, e citato dagli annalisti genovesi e lucchesi, quando fu interdetto ai Pisani di fabbricare monete del conio, della forma e col nome di Lucca, non fu cosĂŹ per fretta eseguito. Avvegnachè nella concordia del 1181 i consoli di Pisa, dopo la sopra espressa dichiarazione, giurarono: Et faciam finem et refutationem et transactionem pro me et pisano comuni consulibus lucensis recipientibus pro se et lucensi comuni de omni actione et jure, seu dirictu mihi vel pisano comuni pro pisana civitate pertinenti, de potestate faciendi lucensem monetam vel de ipsa moneta EX CONCESSIONE SEU DATIONE CONRADI REGIS, AUT FEDERICI IMPERATORIS , seu alio quocumque modo vel jure. â Quindi poco sotto i consoli pisani soggiunsero: Et predictam monetam lucanam non falsabo, nec falsari faciam⌠neque permittam, neque concedam fieri extra lucanam civitatemâŚet faciam ipsam monetam lucensem accipi et currere in mea civitate et fortia atque districtu, etc. â (ERRATA: ARCHIV. RONCIONI di via S. Maria a Pisa) (ARCHIV. ROSSELMINI di via S. Maria a Pisa).
Se non è da dubitarsi sullâautenticitĂ e originalitĂ del documento qui sopra accennato, io domanderò ai critici, qual conto si abbia a fare delle cose dette dallâannalista lucchese, sia quando rammenta agli anni 1175 e 1176 una sentenza e un bando dellâImperatore Federigo contro i Pisani di non coniare moneta simile alla lucchese; sia quando parla sotto lâanno 1178 di una misura inaudita dallo stesso imperatore ordinata, privando tutte le cittĂ della Toscana di qualunque sia giurisdizione nel loro contado? Domanderò pure, se debba tenersi per vera, rispetto alla moneta di Lucca, la sentenza di anatema fulminata nel 1158 dal Pontefice Adriano IV, che inibiva a tutte le cittĂ della Toscana di coniare nelle loro zecche moneta lucchese, comandando alle medesime di accettare nel loro commercio e di far uso di quella di Lucca. Dicasi la stessa cosa di un breve di Lucio III, col quale, nel 1182, questo papa concedĂŠ ai Lucchesi il diritto della zecca, consigliando le cittĂ della Toscana, della Romagna e della Campania di accettare tali monete per estenderne il commercio in quelle parti, eo quod (soggiunse Tolomeo) dicta civitas (Lucensis) Romanae ecclesiae semper fuit subiecta . Sul qual proposito il Muratori non tralasciò di fare avvertire che i pontefici, non avendo avuto mai giurisdizione temporale sopra la cittĂ di Lucca, non potevano concederle quel diritto che fu sempre uno dei principali articoli di regalia della sovranitĂ .
Inoltre, da molte espressioni che leggonsi nella concordia del 1181 tra i Lucchesi e i Pisani, apparisce che sino da quel tempo, tanto nella cittĂ di Lucca, quanto in Pisa esistere dovevano oltre i magis trati consolari, anche il potestĂ , ossia rettore della giustizia. â Infatti un Pagano di Ronzino, rammentato da Tolomeo allâanno 1188, esercitava in Lucca lâufizio di potestĂ ; nellâanno cioè in cui insorse una rissa popolare fra le genti del quartiere di Porta S. Frediano e quelle del quartiere di Borgo, alle quali si unirono gli abitanti della Porta S. Donato, mentre quelli di Porta S. Gervasio e di Porta S. Pietro presero le parti dellâaltro quartiere; per causa di che sâintromisero i Fiorentini a ristabilire fra i rivoltosi la pace, sin qui Tolomeo. â Ma il Bernardini, appoggiandosi alle parole di una carta dellâospedale della Misericordia di Lucca, assicura, che al tempo del potestĂ Alcherio (fra il 1188 e il 1189) furono cacciati da Lucca i consoli, perchĂŠ contrariavano gli ordini suoi e quelli di Guglielmo Vescovo di Lucca. (BAVERINI, Annal. Lucens. Urbis.
Lib. III.) Dopo tali gare civili, altre se ne accesero di assai maggior momento per la morte accaduta nel 1197 di Arrigo VI, stante che il trono imperiale per lungo tempo fu contrastato fra Federigo duca di Svevia di setta ghibellina e Ottone IV di Sassonia sostenitore dei Guelfi.
Infatti cotesti sconcerti provocarono fra le cittĂ e i magnati della Toscana una dieta, che fu bandita nellâautunno del 1197 nel borgo di S. Genesio sotto Sanminiato, cui presederono il cardinal Bernardo giĂ canonico regolare lucchese, ed il cardinal Pandolfo Masca di Pisa. Al detto borgo pertanto, eccettuati i sindaci pisani e pistojesi, concorsero gli ambasciatori di quasi tutte le cittĂ e terre della Toscana, fra i quali furono due consoli di Lucca. Scopo di essa dieta era di far giurare i detti sindaci a non riconoscere alcuno per imperatore, re, duca o marchese senza espresso consenso della chiesa romana.
â Che però Ottone IV, appena che fu nellâanno 1209 dichiarato imperatore da Innocenzo III, egli, venne riconosciuto in legittimo monarca dai diversi comuni e magnati della Toscana, e specialmente dalla cittĂ di Lucca. A favore della quale nellâanno stesso il nuovo Augusto, ai 12 dicembre, spedĂŹ dalla cittĂ di Fuligno un privilegio piĂš largo di quello compartitole dagli altri Cesari; ed in Fuligno stessa due giorni dopo spedĂŹ altro amplissimo diploma in benefizio della cattedrale lucchese. Fra le concessioni dallâimperatore Ottone IV accordate ai Lucchesi merita attenzione questa: che a niuna persona, o potestĂ qualunque, sia lecito di rompere il muro antico, oppure quello nuovo del cerchio della cittĂ di Lucca come pure le case che dentro tal circuito di mura si fabbricheranno, o che erano giĂ fabbricate. â Se non mâinganno, a me sembra di scoprire in questo privilegio un indizio, che ai tempi di Ottone IV, e forse qualche anno prima, prosperando le cose dei Lucchesi, dovevano questi aver dato principio al secondo cerchio delle mura di Lucca, senza frattanto abbattere le vecchie.
â (CIANELLI, Memor. Lucch. T.I.) Arroge a ciò un altro diploma dello stesso Ottone, dato in Sanminiato il dĂŹ due novembre 1209, a favore della chiesa e canonici di S. Frediano di Lucca, cui confermò quello concessole da Arrigo VI suo antecessore. Dal qual diploma emerge una notizia finora (credo io) ignota, col farci conoscere, come i canonici di S. Frediano a spese del loro monastero avevano fatto alzare un muro di lĂ dalla chiesa per allontanare il corso del Serchio dalla cittĂ . Ecco le parole che si leggono nella pergamena priginale: Item jubemus et firmiter interdicimus, ut inter murum, quem dicti canonici de propriis fecerunt expensis ad arcendum flumen (Sercli), et ecclesiam S. Fridiani via publica non fiat, nec a potestate aliqua, seu Consulibus; sive a Comuni lucanae civitatis, nec ab aliqua persona... nisi de voluntate et assensu prioris et capituli dictae ecclesiae, etcâŚ. Termina il diploma come appresso: Firmiter quoque precipientes, ut supradictae libertates et concessiones Eccl. S. Fridiani indultas justitiam faciendam pro tempore nunciis ecclesiae non denegent coram Treguanis, seu Consulibus et aliis, qui pro tempore habuerint regimen civitatis. (ARCH. di S. FREDIANO di LUCCA. Arca I Lett. A 112).
Dovendo stare allâasserto di Francesco Bandinelli, autore di una storia inedita della sua patria, dovremmo fissare verso il principio del secolo XIII lâistituzione in Lucca di una magistratura civile e militare. ImperrochĂŠ egli ne avvisò che, bramando il senato provvedere alla difesa della libertĂ lucchese, nellâanno 1206, adunatosi nella chiesa di S. Pietro maggiore, si elessero 12 priori, ossiano Tribuni e Capitani delle milizie, i quali con le loro insegne, o gonfaloni, insieme con i Consoli maggiori, nel dĂŹ 22 marzo di detto anno, riuniti nella chiesa di S. Senzio nominarono in potestĂ di Lucca un tale Aldobrandino Malpigli.
In quanto poi alla classazione e allâordine dei magistrati, che nei primi secoli dopo il mille regolavano gli affari della repubblica di Lucca, pochi documenti ce li danno a conoscere meglio di quello del 26 luglio 1234, edito dal Muratori. â (Ant. Med. Aevi Dissert. 46).
GiĂ da qualche tempo la corte di Roma, massime sotto Onorio III e Gregorio IX, aveva messo in campo lâereditĂ lasciata al patrimonio di S. Pietro dalla contessa Matilde; nella quale ereditĂ erano comprese molte terre e feudi da quella principessa e dai suoi maggiori, piĂš che altrove, posseduti nelle parti di Garfagnana. Sono conosciute le lettere del Pontefice Gregorio IX ai Pistojesi, al loro vescovo, allâarcivescovo di Pisa, ai vescovi di Lucca, di Luni e di Volterra, per non aver dâuopo ripetere qui quanto fu bastantemente accennato allâArticolo GARFAGNANA, rapporto alle censure minacciate, quindi scagliate dal pontefice romano contro i Lucchesi a cagione di alcuni luoghi della Garfagnana. Per i quali dissapori Gregorio IX, nel 1231, disfece in quattro parti la diocesi lucchese, con distribuirne un pezzo a ciascuna delle cattedrali limitrofe, nel tempo stesso che ai canonici di Lucca fu annullato il privilegio della mitra e di altre onorificenze.
Ciò non ostante i Lucchesi tenner saldo, dandosi ogni premura per difendere i loro diritti; comecchÊ alcuni del governo di Lucca, per iscrupolo, dice un moderno istorico, inchinavano a non far onta al Papa, mentre altri stavan forti nel sostener la ragione.
Finalmente nel 1234 si concluse la bramata pacificazione con un trattato pubblico dal Muratori, nel quale si scoprono per avventura varie magistrature di quelle che allora reggevano la cittĂ e il distretto di Lucca.
Avvegnachè, volendo quel popolo (dice il documento) ubbidire agli ordini del papa a cagione degli eccessi, i quali richiamarono sopra di lui le sentenze di scomunica ed interdetto, tanto per i danni fatti al clero e chiese dello stato di Lucca, quanto per conto della Garfagnana, con deliberazione approvata nel consiglio generale, adunato in Lucca nella chiesa di S. Michele in piazza, lĂŹ 26 luglio dello stesso anno 1234, accordarono e consegnarono a maestro Pietro di Guarcino delegato speciale del Pontefice Gregorio IX, ricevente per la Romana chiesa, il possesso e la custodia della rocca, torre e castello di Castelnuovo di Garfagnana, e della rocca, torre e castello di Aquilata, entrambi da tenersi per conto del Papa in pegno delle 4000 marche dâargento che il Comune di Lucca si obbligava di pagare alla R. Camera apostolica nel termine di quattro anni. Alla quale deliberazione intervennero cinque consoli maggiori di Lucca, i capitani o tribuni della contrada di S. Pietro maggiore, i capitani della contrada di S. Cristofano; inoltre 25 consiglieri speciali per ciascuna porta di Lucca, 12 del Borgo, 24 consiglieri speciali della stessa cittĂ , oltre un numero di 207 cittadini ivi ad uno nominati, appartenenti al consiglio maggiore. La quale assemblea componeva tuttâinsieme il consiglio generale di Lucca, che allora ascendeva a 380 persone; numero corrispondente appunto ad altra assemblea tenuta 60 anni dopo (26 febbrajo 1294) nel nuovo palazzo comunale della canonica presso la chiesa di S. Michele in Piazza.
Fu in contemplazione di voler ampliare il palazzo del Comune di Lucca testĂŠ rammentato, che il governo acquistò in compra per il prezzo di mille fiorini dâoro di grossi, a peso retto di Lucca, ed a ragione di soldi 45 e denari 6 per ogni fiorino, dal possessore Puccino del fu Lamberto medico, due case contigue al detto palazzo. Il contratto fu rogato il 22 giugno 1297 in palatio in quo detinentur consilia Lucani Comunis, quod est canonicae S. Michaelis in Foro . â Presenti allâistrumento di compra furonvi il potestĂ , il capitano del popolo, gli anziani e priori, tanto quelli che erano in carica, quanto quelli che dovevano entrare in uffizio nei due mesi futuri di luglio e di agosto dello stesso anno. (Memor. Lucch. T. I.) Ecco frattanto un documento confacente a far conoscere non solamente le diverse magistrature primarie della repubblica di Lucca, ma che ancora ci notifica gli anziani subentrati ai consoli maggiori, i quali cambiavansi in Lucca ogni due mesi, nella guisa medesima che a Firenze, dove sino dallâanno 1250 i consoli vennero rimpiazzati dagli anziani. â Aggiungasi, che nel 1250 appunto in Firenze occupava la carica di capitano del popolo un anziano lucchese, Uberto Rosso ; il quale troviamo cinque anni dopo fra gli anziani della sua patria. â (G. VILLANI, Cronic. Lib. VI c. 39. AMMIR. Istor. fior. Lib.II.
CIANELLI, Memor. Lucch. T. I.) Ma ciò che nientemeno importa di essere qui segnalato si è, di trovare che il Comune di Lucca prese la deliberazione dâingrandire il suo palazzo nellâanno istesso in cui la Repubblica fiorentina dava principio al suo nella piazza del popolo, che prese perciò il nome di palazzo della Signoria, attualmente di palazzo vecchio.
Dopo tali avvertenze, volendo ritornare in via per accennare le principali vicende civili e politiche accadute nella cittĂ di Lucca posteriormente alla pacificazione con la corte romana, dirò, che le cose pubbliche dei Lucchesi dopo la morte dellâImperatore Federigo II, nei primi dieci anni dellâimpero vacante, camminarono di bene in meglio e prosperarono, non tanto riguardo al modo di condurre gli affari del comune, come di conservare i paesi che i Lucchesi a forza dâarmi andavano acquistando, ad onta che in Lucca non mancassero a disturbare la pace interna le malaugurate fazioni dei guelfi contro i ghibellini, dei nobili di contado contro la comunitĂ , del popolo grasso contro il magro , in una parola dei popolani contro i magnati.
Erano nel secolo XIII i Lucchesi per uniformitĂ dâistituzioni municipali e per sentimenti politici coi Fiorentini sĂŹ strettamente uniti e collegati che, ogni affronto, qualsasi danno e pericolo dellâaltro; quindi nelle guerre, come nelle tregue, cosĂŹ nelle paci, il governo di Lucca in tutto il secolo XIII, e nel principio del susseguente, camminò quasi costantemente dâaccordo con quello di Firenze; ed i Signori della repubblica fiorentina uniti di massime con gli Anziani lucchesi furono per lunga etĂ lâanima e il maggior nerbo della lega guelfa in Toscana.
Fra le dimostrazioni di scambievole amicizia dei due governi debbo rammentare quella del 1228, quando i Fiorentini, interponendosi mediatori, furono dichiarati arbitri di una pace fra i Lucchesi e i Pistojesi. Ciò apparisce dal lodo pronunziato in pieno consiglio, nel dicembre di detto anno, nel palazzo del Comue di Firenze, presenti Parenzo Romano potestĂ di Lucca, e varii sindaci della stessa cittĂ , fra i quali trovavasi quellâUberto Rosso , che 22 anni appresso fu eletto il primo in Firenze tra i capitani del popolo.
Ma la prova piĂš solenne, piĂš generosa, di cui a buon diritto il governo lucchese deve onorarsi, fu dimostrata, se io non fallo, allâoccasione della battaglia di Montaperto.
AvvegnachĂŠ di 30,000 fanti, e di 1300 cavalli, di cui è fama che nei campi dellâArbia si componesse lâesercito guelfo innanzi la pugna, dopo la funesta sconfitta, molti di quelli scampati al macello vennero immolati alla rabbia del vincitore ghibellino, e gli altri (circa 11,000) meschinamente in dure prigioni cacciati. Mai rovina maggiore aveva percorso le cittĂ guelfe di Firenze e di Lucca; mai piĂš si pianse in Toscana tanto, quanto dopo la terribile giornata del 4 settembre 1260; talchĂŠ si disse non esservi stata famiglia che non avesse a piangere la morte di un suo congiunto.
Da tanta desolazione molte cittĂ e terre della Toscana spaventate, inermi e scoraggite dovettero aprire le porte e far buon viso a vincitori orgogliosi e sempre caldi dâira.
La sola cittĂ di Lucca tenne forte, e nel tempo che vegliava a tener lontani i fuoriusciti ghibellini, serviva di refugio e di sostegno ai guelfi che da ogni parte oppressi e scacciati accorrevano costĂ .
Per altro, Lucca divenuta in tal guisa asilo ed ostello dellâavvilita parte guelfa, fece risolvere le armi dei ghibellini di Toscana tutta di voltarsi ai danni di lei e del suo territorio. Le quali aggressioni, benchĂŠ talvolta dai Lucchesi respinte fossero con danno dei nemici, pure per il maggior numero di questi fu ridotto a tale strettezza da esser costretti i suoi reggitori dopo quattrâanni a venire ad un accordo.
Fu pattuito pertanto che i Lucchesi, salve le patrie leggi, ad esempio dei Fiorentini, riconoscerebbero in loro vicario Manfredi re di Napoli, giurando di stare nella parte ghibellina; che essi allontanerebbero dalla città e dal contado i guelfi refugiati forestieri, a condizione però di riavere il castello di Motrone, ed i prigionieri fatti alla battaglia di Montaperto.
A questa epoca il Beverini attribuisce, sebbene senza prove, la mutazione dellâordine antico del governo municipale di Lucca, accaduta, dice lâannalista, dopo 190 anni che avevano governato i Consoli; dondechĂŠ il regime della repubblica fu trasferito al decemvirato degli Anziani, eletti due per ciascuna delle 5 regioni o porte della cittĂ . Di piĂš lo stesso scrittore supponeva, che tal cangiamento accadesse per far partecipare onori eguali nella suprema magistratura tanto ai guelfi come ai riammessi ghibellini lucchesi.
Qualora però si rifletta, che una simile mutazione di statuti, fino dal 1250, era stata fatta dai Fiorentini a danno dei ghibellini e dei magnati; quando si è visto, che il popolo di Firenze in detta occasione nominò in suo capitano Uberto Rosso di Lucca; che per consiglio di lui furono eletti, in vece dei Consoli, dodici cittadini, due per ogni Sesto, chiamandoli questi Anziani del Popolo ; e che in tale occasione, per asserto del cronista piĂš vetusto, Ricordano Malespini, si diedero dallo stesso capitano venti gonfaloni a certi caporali ripartiti per compagnia dâarmi e per vicinanze, come abbiam visto praticato anche i Lucca; tutto ciò, io diceva, darebbe motivo di credere che la mutazione dellâordine governativo fosse accaduta in questa cittĂ molto innanzi che il partito ghibellino avesse acquistato preponderanza in Lucca come in varie altre cittĂ e terre della Toscana.
Con tuttociò, Lucca guelfa per genio e per principii, dalla sola necessità obbligata di piegare alla parte ghibellina, ritornò ad esser guelfa tosto che il piÚ potente sostenitore del ghibellinismo, il re Manfredi, nel 1266 rimase vinto ed estinto nei campi di Benevento.
Sebbene dâallora in poi non mancassero frequenti guerre battagliate per tenere in moto e in allarme il popolo lucchese, ora nellâanno 1271 per conquistare il forte castello di Montecatini in Val di Nievole, fatto nido deâghibellini; ora (anno 1275 e seguenti) per unirsi ai Fiorentini e ai Genovesi contro il governo della cittĂ rivale di Pisa; ora (anno 1288) per inviare in sussidio della lega guelfa fanti e cavalli nel Val dâArno aretino; ciò non ostante può dirsi, che le cose interne dei Lucchesi si rimasero tranquille per tutto il resto del secolo XIII.
Frutto di stabilita tranquillitĂ e del felice stato dei Lucchesi credo potersi riguardare la costruzione di molti edifizii sacri e profani, di strade e piazze ampliate dentro e fuori di cittĂ . Delle quali cose diede un cenno anche Tolomeo, agli anni 1296, e 1298; quando cioè fu ingrandita la piazza di S. Michele e trasportati altrove gli ospedali di S. Michele in Foro, e di S. Donato; e ciò nel tempo istesso in cui i priori compravano con i denari e con i beni dei soppressi Templari una parte dellâorto dei frati predicatori di S. Romano ad oggetto di costruire in quel suolo case e borgate.
Mentre tutto andava a seconda del desiderio dei governatori e dei governati, tornò in campo un malumore che fu preludio non solo di gravi amarezze, ma che ogni bella speranza e i disegnati progetti travolse. â Era appena incominciato il secolo XIV, allorquando antichi odii di famiglie e semi di cittadine discordie germogliarono in guisa tale, che resero oltracotante il ghibellino contro il guelfo sotto una nuova divisa, quello di bianca , questo di nera . â Vinse naturalmente in Lucca la fazione piĂš numerosa del popolo, cioè la parte nera , di cui era lâanima un potente anziano, molto in grazia della plebe, e tornato di corto da una legazione al Pontefice Bonifazio VIII.
Dico di quel Buonturo Dati uomo guelfissimo, e conseguentemente mal visto dallâAlighieri, che con ironia maligna volle sferzarlo insieme con i suoi concittadini, dicendo, che costĂ Ogni uom vâè barattier fuor che Bonturo (Inferno, Cant. XXI.) Per abbattere la sede donde sotto nuove forme era partito lâincendio delle politiche fazioni, si unirono ai Fiorentini i Lucchesi, i quali dâaccordo stabilirono dâinviare i loro rispettivi eserciti ad attaccare le castella del territorio di Pistoja, e quindi assediare la cittĂ fornite e primario sostegno della parte bianca, fatta nido dei piĂš acerrimi ghibellini.
Sarebbe ozioso il rammentare le lacrimevoli conseguenze di quellâassedio e della resa di detta cittĂ dopo undici mesi di ostinata difesa, per non aver duopo di qui solamente avvertire, che la lega vincitrice spartissi il governo della soggiogata Pistoja, riservandosi i Lucchesi lâelezione di un loro cittadino per potestĂ , mentre era nella scelta dei Fiorentini la nomina del capitano del popolo.
Insorse in Lucca poco tempo di poi (anno 1308) un tumulto fra il popolo e i nobili, in conseguenza del quale il governo, che per principio politico teneva dalla parte popolare, riescĂŹ a far escludere dalle borse tutti i magnati o potenti, eccetto quelli che ad una delle compagnie delle armi, ossia dei venti gonfaloni di contrade, si trovavano ascritti.
Tale fu una delle ragioni per riformare gli antichi statuti del Comune di Lucca, e per sostituire quelli compilati nel 1308, che sono rimasti i primi fra i conosciuti. â (Vedere Statuta Lucens. anni 1308, Lib. III. rubric. 165 e 169).
Supera il numero di cento la nota delle famiglie nobili lucchesi con quella riforma state escluse dalle prime magistrature, oltre i nobili di contado, ossiano cattani, di qualunque essi fossero origine e razza.
Bonturo Dati con altri due colleghi popolani, potenti presso la plebe, furono quelli, che a detta epoca formarono in Lucca una specie di triumv irato, dal cui arbitrio era regolato quanto spettava alla Signoria e al governo della repubblica.
Fu tolta lâautoritĂ agli anziani, e la giurisdizione ai giudici delle diverse vicarĂŹe del territorio per mettere al loro posto dei popolani. Quindi è che molte famiglie vennero ammonite, molte altre esiliate, e moltissime disgustate abbandonarono la patria, menomando cosĂŹ la cittĂ di uomini dâingegno, di artisti, di preziose industrie e di ricchezze.
A tanti mali si aggiunsero per colmo le rovine, le oppressioni, le stragi e i saccheggi che Lucca ebbe a sopportare allâarrivo impensato ed ostile di Uguccione della Faggiuola, (allâanno 1314), cioè poco dopo essere stato Uguccione eletto in capitano generale di una popolazione, che per troppa vicinanza, per indole del governo e per circostanze di localitĂ nacque, crebbe e invecchiò quasi sempre nemica del popolo lucchese.
Era morto di corto lâImperatore Arrigo VII terrore dei guelfi in Italia, sostegno dei ghibellini, quando tornò a ridestare le speranze in questâultimi Uguccione della Faggiuola, che i Pisani elessero in signore, invitato da Genova per succedere ad Arrigo VII nel comando generale dei ghibellini di Toscana. Inoltre era mancato ai vivi il Pontefice Clemente V affezionato a Roberto rè di Napoli; lo che aprĂŹ a Uguccione una piĂš agevole via al conquisto di Lucca, cui giĂ meditava. Infatti cominciò egli a travagliare sĂŹ fattamente i Lucchesi, da costringerli alla restituzione delle castella state cedute dal conte Ugolino. Volle inoltre, ed ottenne, che gli usciti rientrassero in Lucca; tra i quali Castruccio di Geri degli Antelminelli rivide la patria. â Infine Uguccione alla testa di 11000 e piĂš soldati mosse improvviso da Pisa (14 giugno 1314) e arrivò dinanzi a Lucca contemporaneamente alla mossa di un allarme dei ghibellini di corto riaccettati in patria; lo che agevolò lâingresso in cittĂ del Faggiolano e delle sue masnade. I Lucchesi sopraffatti da interni e da esterni nemici, nĂŠ potendo resistere a tanta piena, videro in brevissimâora fuggire la cavalleria catalana che poco innanzi dal re Roberto a tutela loro fu inviata, e la cittĂ fatta preda degli assalitori. Fu allora quando con spaventosa rabbia, con isfrenata libidine e insazievole avarizia si manomesse, si calpestò onore, pudore, religione, ed ogni piĂš rispettabile diritto divino e umano. Il saccheggio piĂš feroce che fosse dato mai a una cittĂ da chi avesse sostenuto lunghissime fatiche e grande morĂŹa, sembra un nulla al confronto di quello che al dire deglâistorici lucchesi ebbe a soffrire la loro patria dai fautori e dai soldati di Uguccione della Faggiuola. Seguitò la tragedia otto giorni continui, durante il qual periodo furono non solo saccheggiate e vilipese le cose dei privati, ma profanate e spogliate le chiese insieme col ricco tesoro che il Pontefice Clemente V vi aveva congregato; in fine a colmo di tanti mali si aggiunse un incendio desolatore, di cui restarono preda non solo 400 case, ma preziose suppellettili, e pubblici archivii, i quali, o furono espilati dagli uomini, o abbruciati e distrutti dalle fiamme.
In tal guisa Lucca fatta bottino dei ghibellini, con unâapparente formalitĂ legale dovè acclamare (13 luglio 1314) Uguccione in capitano generale del suo popolo, nel modo che lo era del pisano: e cosĂŹ lasciarsi governare ad arbitrio dei bianchi suoi fuoriusciti. I quali, ricattandosi con usura sopra i loro concittadini, e specialmente contro quelli che parevano piĂš cari al popolo, lĂŹ scacciarono tosto in patria, o gli spensero affatto con la vita. In tal guisa il capitano del popolo lucchese consolava i ghibellini toscani della morte di Arrigo di Lussemburgo; rendendosi sempre piĂš formidabile e piĂš spaventoso ai guelfi colui che, a sentimento di un eruditissimo scrittore della nostra etĂ , dal divino Alighieri fu simboleggiato nel Veltro allegorico, come il Messo di Dio, il quale uccidere doveva la rea donna, E quel gigante che con lei delinque.
(Purgatorio Cant. XXVIII) Ma giĂ della sciagura di Lucca, i Fiorentini dolenti, veduto il Faggiolano poggiarsi tantâalto per lâacquisto e lâassoluto dominio sopra due vicine repubbliche, si davano ogni premura di associare alle loro forze quelle dei Comuni di parte guelfa, sollecitando nel tempo stesso ajuti da Siena, da Bologna, da Perugia, da Gubbio e da Roberto re di Napoli.
Consapevole Uguccione di tali preparativi di guerra, si mise nel caso di validamente combatterli; sicchĂŠ dopo aver egli riunito insieme da 20,000 fanti, e 2500 cavalieri, con questi mosse verso la Val di Nievole per conquistare il castello di Montecatini; sennonchĂŠ dallâaltro lato era assai maggiore lâesercito della lega guelfa, messo insieme dai Fiorentini. In fine i due nemici, ai 29 agosto del 1315, scontraronsi nella valle sul piccolo torrente Borra , fiacco riparo a tanta ira. Al primo assalto le schiere della vanguardia comandata da Francesco figlio del Faggiolano penetrarono con tanto impeto nel campo dei Fiorentini, che quel potestĂ dei Lucchesi, ferito a morte, spirò in mezzo alla pugna; e giĂ gli assalitori indietreggiavano, quando accorse Uguccione con il nerbo della sua armata, i respinti rianimò, e piĂš caldi li ricondusse al cimento.
Allora fu che la giornata essendo divenuta campale, dai ghibellini si combattĂŠ con tale impeto, ardire e valore da portare dovunque la morte, lo scompiglio e il terrore. I primi capitani fra i guelfi rimasti estinti nella pugna furono, un fratello e un nipote del re Roberto; ed un grandissimo numero di nemici cacciati ed affogati rimasero nelle vicine paludi, talchĂŠ Firenze, Siena e molti paesi piansero i suoi prodi. Il lucchese Castruccio sino dâallora si fece conoscere per buon guerriero, avendo in questa giornata dato prove di coraggio e di militare perizia, nelle quali cose cotanto grandeggiò pochi anni dopo.
La vittoria pertanto di Montecatini fruttò a Uguccione non solo un piÚ sicuro dominio in Pisa, ma aprÏ a lui la strada per rendere totalmente ligia al suo volere la città di Lucca.
Infatti egli con piede sempre piĂš fermo vi prese a dominare, tostochĂŠ in luogo del testĂŠ estinto potestĂ di Lucca, elesse a succedergli lâaltro suo figliuolo Neri.
Trovavasi questi in uffizio quando, pochi mesi dopo la vittoria di Montecatini, occorse che Castruccio di suo arbitrio, o come altri vogliono, dâordine di Uguccione erasi recato con dei compagni nelle parti della Versilia e di Massa Lunense, ponendo a ruba il paese. Per la qual cosa appena tornato a Lucca Castruccio, accusato di furti e di uccisioni, fu carcerato e sommariamente condannato ad avere il capo reciso. GiĂ giĂ la scure stava per piombare sul collo del valoroso capitano, se il popolo lucchese non minacciava di levarsi a stormo; in guisa che intimorito il potestĂ , ne mandò tosto avviso al padre in Pisa. Si mosse quel capitano con le sue bande, ma pervenuto a metĂ del cammino fra Lucca e Pisa, ricevĂŠ avviso della repentina sollevazione dei Pisani, che le genti fedeli al Faggiuolano cacciarono di cittĂ . Nel mentre però Uguccione retrocedeva per riacquistare in Pisa il perduto dominio, i Lucchesi dal canto loro imitando lâesempio dei Pisani corsero a liberare Castruccio dalle catene e dalla morte, gridandolo tosto capitano del popolo. CosĂŹ Uguccione in un giorno medesimo (11 aprile 1316) videsi spogliato della signoria di due importanti cittĂ .
La popolare elezione di Castruccio in capitano generale e difensore della cittĂ di Lucca fu confermata per sei mesi dagli anziani e dal consiglio generale con atto solenne dei 12 giugno 1316. Ma innanzi che terminasse il semestre del concesso capitanato, Castruccio seppe cosĂŹ destramente operare, che dal senato e dal popolo lucchese, con deliberazione del 4 novembre dello stesso anno, fu confermato nella carica medesima, non solo per sei mesi, ma per un intiero anno; e prima che arrivasse la fine di questo secondo periodo fu proceduto a nuova elezione, nella quale venne deciso, che Castruccio, col titolo di Signore e Difensore della cittĂ e dello stato di Lucca , la repubblica ancora per dieci anni governasse. Finalmente, arrivato il 26 aprile dellâanno 1320, gli amici e fautori, con tacito consenso del capitano lucchese, operarono in guisa tale che il magistrato degli anziani, poi i capitani delle contrade, e finalmente il parlamento generale sulla piazza di S. Michele adunato, tutti concordemente proclamassero Castruccio Castracani in Dittatore della Repubblica a vita.
Quando si dovesse porre a confronto le qualitĂ e le azioni di due grandi uomini, proporzionando i tempi, le imprese, la forza dei mezzi e la grandezza della repubblica francese con la piccolezza della repubblica di Lucca, chi non riconoscerebbe in Castruccio il Napoleone del medio evo? Perciocchè lâAntelminelli per ascendente e per virtĂš militare fu uomo non solamente raro dei tempi suoi, ma ancor per molti di quelli che innanzi erano passati, e perchè lâarte strategica, la celeritĂ delle marcie e la destrezza nel campeggiare fu meglio conosciuta e trattata da lui che da ognâaltro capitano della sua etĂ , e fra tutti coloro che avevano da gran tempo indietro figurato in Italia. â Duole certamente che la sua patria, la sede delle sue glorie non abbia conservato monumento che valga a degnamente rammentarlo al passeggiero; e tanto piĂš ne duole, in quanto che nei pubblici archivii mancano memorie relative alle provvisioni sul reggimento civile, politico e militare nei dodici anni del suo glorioso governo in Lucca emanate. Parlarono bensĂŹ di lui tanto che basta gli scrittori; parlarono le opere sotto il di lui governo, sia dentro la capitale, sia nel suo territorio eseguite, specialmente di ponti, di strade, di rocche, di fortificazioni di vario genere; parlarono le deliberazioni dei Comuni a Lucca limitrofi, spaventati dal genio intraprendente di Castruccio, e dalle sue armi costernati, vinti, o sullâorlo di essere da quel fulmine di guerra domati.
Figurava capo del partito guelfo in Italia Roberto re di Napoli, il quale sino dal 1317 erasi intromesso per procurare pace fra i diversi popoli della Toscana. Infatti un trattato di pace fu conchiuso per opera sua in Napoli, li 12 maggio 1317, presenti gli ambasciatori delle varie cittĂ e terre di Toscana, ed una delle condizioni di pace fu quella, che tutti i prigioni fatti nella sconfitta di Montecatini fossero alle varie comunitĂ restituiti.
ColĂ rappresentò glâinteressi della cittĂ e Comune di Pistoja sua patria Andrea deâRossi, il quale un mese dopo, nella stessa qualitĂ dâambasciatore, e pel subietto medesimo, fu inviato con ser Mazzeo Guidi a Lucca. â Al chè ci richiama una lettera del potestĂ ed anziani lucchesi sotto dĂŹ 23 giugno 1317 diretta al conte Ugo da Battifolle, vicario regio di Pistoja, e gli anziani della stessa cittĂ per dir loro: che ai due soprannominati ambasciatori pistojesi eglino non potevano dare una risposta adeguata, stante lâassenza del capitano Castruccio, il quale ritrovavasi in quel momento ai Bagni di Corsena. â Vedere BAGNI DI LUCCA.
Con altra lettera scritta il giorno dopo da Castruccio, appena arrivato in Lucca; e diretta da questi al potestĂ , anziani, gonfaloniere e consiglio Comunale di Pistoja, gli avvisava: che egli aveva esternato le sue intenzioni ai reduci ambasciatori verbalmente sopra quello che credeva di sua convenienza.
Il padre Zaccaria, cui dobbiamo la pubblicazione delle due lettere estratte dallâarchivio della cittĂ di Pistoja, (Anecd. Pistor. M. Aevi pag. 95 e 96) non tralasciò di avvisare, che quella prima lettera, scritta dagli anziani in nome del Comune di Lucca, era sigillata con lâimpronta di un militare a cavallo che brandisce uno scudo nel braccio sinistro, (credo S. Martino) e intorno le parole â Sigillum Comunis Lucani; sigillo che ci rammenta quello donato alla cittĂ di Lucca dal Pontefice Alessandro II restauratore della cattedrale lucchese di S. Martino. â Il sigillo poi alla lettera di Castruccio raffigurava nella parte superiore un animale simile a un cane avente al di sotto uno scudo, e intorno al detto blasone le leggenda â S.
Castrucci Vicecomitis Lunensis.
Cotesta impronta, oltre di essere una conferma dellâarme gentilizia châebbe fino dâallora la casa degli Antelminelli Castracani, ci scuopre in Castruccio il grado di Visconte Lunense; di che sino dal 1317 egli era stato insignito da Gherardino Malaspina vescovo di Luni. â Per la qual causa, scrisse il biografo Tegrimo: Castruccio occupò in Lunigiana Fosdinovo e gli altri castelli di qua dalla Magra, cacciandone i marchesi Malaspina. NĂŠ contento di ciò, il capitano lucchese si avanzò con buon numero di armati fino a Pontremoli, al cui popolo, diviso in due fazioni, assegnava due giudici, uno rettore della parte guelfa, lâaltro della ghibellina, nel tempo stesso che faceva erigere una torre, chiamata tuttora Cacciaguerra, nel centro del borgo che divideva la terra in due contrade e in due governi. â Vedere PONTREMOLI.
Se dovessimo credere al testĂŠ nominato biografo, il dittatore di Lucca, benchĂŠ da tante guerre occupato, non lasciava di far decreti savissimi per il pubblico bene, affinchĂŠ sotto un dominio assoluto una qualche forma di libertĂ trasparisse; figurando, secondo il Tegrimo, che nulla di suo arbitrio negli affari politici trasparisse; quantunque dalla lettera degli anziani lucchesi, scritta nel 1317 al Comune di Pistoja, la faccenda in realtĂ tutta al contrario venga dimostrata.
Comunque sia, restano tuttora nellâarchivio di S. Frediano di Lucca due documenti, uno dei quali giova a far conoscere la pietĂ di Castruccio, lâaltro la giustizia che fu resa sotto il di lui governo per la restituzione di una parte del tesoro di S. Frediano di Lucca, espilato durante il saccheggio del giugno (ERRATA: 1814) 1314. Il primo documento è un atto rogato in Lucca li 7 aprile del 1321, col quale il priore dei canonici Lateranensi di S. Frediano, per la reverenza verso lâegregio uomo Castruccio Antelminelli signor di Lucca, volendo aderire alla di lui domanda, diede licenza alla priora e monache di S.
Martino di Gello, che allora dimoravano nella contrada di S. Leonardo in Capo di Borgo nella stessa parrocchia di S. Frediano, di poter far celebrare messe, dire i divini uffizii, sonare campane ec., e ciò a beneplacito di detto priore, senza pregiudizio però dei suoi privilegi parrocchiali.
Lâaltro documento consiste in varii contratti, riuniti in un libro membranaceo, soto li 19 novembre 1322; dai quali atti apparisce, che molti lucchesi avevano acquistato per proprio uso degli argenti, e altri oggetti preziosi, in una, o in altra guisa avuti, di quelli del tesoro della chiesa romana che era in serbo in S. Frediano di Lucca. I quali argenti o altro, a tenore delle decretali pontificie, furono dagli acquirenti per ordine del governo alla chiesa medesima restituiti.
Difatto Castruccio durante il suo dominio, nelle attribuzioni giuridiche, fu servato da un fedelissimo giureconsulto suo vicario, Ugolino da Celle, mentre per consiglieri di stato egli si giovava di uomini espertissimi nella politica, fra i quali un Lippo Garzoni da Pescia, un Luparo Lupari da Benabbio. CosĂŹ nelle cose di guerra ebbe al suo servizio valenti capitani presi da diverse contrade; tenendo Castruccio per massima: che non alla patria, o alla schiatta, ma alle virtĂš bisogna che i buoni principi abbiano lâocchio.
In quanto poi alla costituzione militare da Castruccio ordinata per fare di tutto il territorio, non che di Lucca, un esercito mobile pronto ad ogni occasione, egli ripartÏ lo stato in tante divisioni quante eralo le porte della città di Lucca, cioè, di S. Pietro, S. Donato, S. Grervasio, e S.
Frediano, ossia del Borgo; e ciascun villaggio, borgata o castello organizzò in compagnie sotto periti ufiziali e insegne proprie, con lâobbligo di esercitarle e star pronte a marciare al primo cenno. Per modo che circa venti ore dopo lâavviso dato, da un polo allâaltro della repubblica, dalla Val di Magra alla Val di Nievole, le milizie lucchesi comparivano, assalivano, e i piĂš muniti castelli conquistavano si presto e con tanta celeritĂ , che le aquile serventi dâinsegna alle castrucciane legioni sembravano ai nemici suoi che avessero le ali per volare.
Dopo tali ordinamenti, dopo assicurato un costante potere, Castruccio alzò i suoi pensieri a cose maggiori, tendenti niente meno che a far crollare forti città costituite a repubblica, le quali per principii e per natura di governo dovevano essere naturalmente sue avversarie.
Ad effetto pertanto di abbattere la piĂš potente di tutte, Firenze, senza esitanza e rispetto ai patti giurati, dirigeva bene spesso il nerbo maggiore delle sue forze, ora in Val dâArno, ora in Val di Nievole per insignorirsi dâimportanti terre e castella, e finalmente per conquistare Pistoja; la quale cittĂ , dopo la pace del 1317, tenevasi dalla parte guelfa sotto il patrocinio del re Roberto e della Signoria di Firenze. Tanto fece Castruccio coi suoi maneggi, e tanto con le sue armi operò, che i Pistojesi trovaronsi costretti, nel maggio dellâanno 1322, a riconoscere il capitano lucchese in loro protettore, salva la libertĂ del paese.
Nel frattempo che Castruccio dimorava nella sua capitale, fece innalzare unâopera colossale per servire di vasta cittadella, nella quale rinchiuse, oltre il suo palazzo, arsenali dâarmi, caserme, chiese, conventi, abitazioni private e intiere strade, in guisa che a cotesta piccola cittĂ , circondata dal secondo recinto delle mura, fu dato il nome confacente di Augusta , quasi per rammentare essere dessa unâimpresa degna dei Cesari.
Non contento di aver tolto dalle mani dei guelfi il governo di Pistoja, volle Castruccio tentare, sebbene senza effetto, di fare lo stesso verso la terra di Prato, sperando divenirne padrone. Nè un miglior successo egli ottenne dal lato di Pisa, città allora governata dal conte Ranieri della Gherardesca, col quale il dittatore lucchese era già alleato.
Ma siccome per esso ogni modo, purchÊ fosse utile, era buono, trattò segretamente di toglier di vita quel signore, e poscia di far gridare il proprio nome per le vie della città . Ma la congiura venne agli orecchi della Gherardesca, che pagò del meritato guiderdone i congiurati, mettendo altresÏ una taglia grossissima sulla testa di Castruccio.
Frattanto che il signor di Lucca da un lato tentava per forza o per astuzia di soggiogare Pistoja, Pisa e Firenze, dallâaltro canto dava compimento alle ambiziose sue mire col rendere ereditario nella sua famiglia il supremo potere, coi mezzi altre volte adoprati. Fu colto il momento, in cui il capitan generale era nellâatto di partire con lâesercito per proseguire la guerra contro i Fiorentini nelle parti di Pistoja, onde per qualunque caso di novitĂ , o di accidente, essendo dubbiosi gli eventi di guerra, ed anche allâoggetto di ricompensare il valore e le opere egregie del capitano a favore della patria, venne insinuato nel popolo e nei magistrati di Lucca il modo di eleggere Enrico figlio primogenito di Castruccio in compagno del padre nella signoria della patria, a vita. La qual proposizione, ai 18 giugno del 1325, per voto unanime degli anziani, dei collegi e del popolo lucchese fu convertita in legge fondamentale.
Per tali mezzi lâAntelminelli affaticavasi per manifesta guerra, o per vie secrete di far sempre maggiore la sua grandezza. Ma i Fiorentini che vedevano un giorno piĂš dellâaltro mal sicuro il loro stato a contatto di un nemico, il quale correva a gran passi alla conquista di tutta la Toscana, si diedero ad accumulare quante maggiori forze poterono con stipendiare compagnie di borgogni e di catalani, e con cercare soccorsi ai loro amici a Bologna, a Siena e presso tutti i popoli della lega guelfa toscana.
DondechĂŠ, appena essi poterono riunire una buona armata, la mossero verso Pistoja, e in Val di Nievole fino allâAltopascio. CostĂ accadde, nel settembre del 1325, il terribile scontro fra lâoste fiorentina e la lucchese; costĂ fu il celebre campo di battaglia, nel quale Castruccio fece prodigii di valore, e dove diĂŠ le piĂš evidenti prove della sua perizia nellâarte della guerra. La battaglia dellâAltopascio fu pei Lucchesi gloriosa e completa.
Pochi dei nemici che avanzarono allâeccidio poterono scampare dalle mani del vincitori; e si raccontò, che infino a 15,000 ascendesse il numero dei prigioni, tra i quali il generale in capo dellâesercito fiorentino, e moltissimi personaggi cospicui di Firenze e di altre cittĂ della Toscana, dellâItalia, e per fino di oltremonti.
Per non dar tempo al governo fiorentino di riparare in si terribile frangente allâimmenso danno, Castruccio si avanzò tosto con le sue genti fino alle mura di Firenze, guastando e depredando tutto il contado compreso i subborghi della cittĂ .
Quindi onusto di preda, e provvisto di un buon numero di prigioni, egli diresse nuovamente lâesercito al campo delle sue glorie, allâAltopascio.
GiĂ lâeroe lucchese nel giorno di tanta vittoria aveva seco stesso determinato di offrire alla patria uno spettacolo grande, inusitato e non mai piĂš visto in alcuna cittĂ , meno che in Roma, allora quando quel senato decretava lâonor del trionfo ai consoli e proconsoli vincitori di qualche provincia, o di un barbaro regno.
Divulgossi per la Toscana il programma di simil feste trionfale; e affinchè gli stessi nemici ne fossero spettatori, Castruccio concedeva per quei giorni salvo condotto a tutti coloro che a Lucca desiderassero concorrere.
Il giorno di S. Martino, festa titolare della chiesa cattedrale Lucchese, il dĂŹ 11 novembre del 1325, fu per Lucca memorando; poichĂŠ in detto giorno seguĂŹ il pomposo ingresso dei vincitori con le prede e i vinti prigioni: trionfo da molti istorici minutamente descritto, e reso anco piĂš solenne da molti atti di beneficenza e magnanimitĂ del trionfatore.
Seguitarono dopo di ciò le scorrerie delle masnade lucchesi in tutto il Val dâArno sino alle porte di Firenze, finchĂŠ la parte guelfa della Toscana, il papa e il re di Napoli, capi di quel partito, risolverono di fare tutti gli sforzi per arrestare tanto impeto del capitano lucchese, e frenare la sua baldanza, cui dava un maggiore impulso lâamicizia di Lodovico il Bavaro giunto in Italia.
GiĂ Castruccio decorato del grado eminente di senatore di Roma, si godeva nellâalma cittĂ dei migliori onori nei giorni che succederono alla festa dellâincoronazione del nominato imperatore, quando gli arrivò la novella che ai 28 gennajo del 1328 fu improvvisamente dai Fiorentini assalita e tolta dalle mani dei Lucchesi la cittĂ di Pistoja.
Contristato da tale annunzio, Castruccio lasciò bentosto Cesare e Roma, e di lĂ avviatosi per le maremme con poche delle sue genti, passando da Pisa, senza rispetto alcuno al nuovo Augusto, nè al di lui vicario, cominciò a farla da padrone, ponendo tasse ai Pisani e manomettendo le pubbliche casse affine di accrescer modi di riconquistare Pistoja. CosicchĂŠ di lĂ recatosi nella sua capitale, in pochi mesi fu in grado di marciare alla testa di numerose forze per espugnare la perduta cittĂ . RiescĂŹ Castruccio con la sua tattica allâintento desiderato (3 agosto 1328); se non che le molte fatiche che egli ebbe a sostenere nel lungo assedio sotto Pistoja, fruttarongli una febbre che in pochi dĂŹ lo tolse dai vivi.
Mancò questâuomo straordinario il dĂŹ 3 settembre del 1328, nellâanno 47° della sua etĂ , col lasciare di sĂŠ tale opinione, che se non gli fosse stata cosĂŹ breve la vita, egli sarebbe pervenuto a signoreggiare gran parte dâItalia, non che della intiera Toscana.
Castruccio morĂŹ qual visse, cioè, da uomo forte; e conservò fino allâestremo suo respiro tranquillitĂ di spirito, cosicchĂŠ potĂŠ dare un ultimo saggio del suo senno, come profondo conoscitore delle cose umane. Che sebbene egli fosse piĂš prode capitano, che dotto legislatore, ciò non ostante morendo previde, e predisse quanto pur troppo, mancato lui, accadde di Lucca e della sua vasta signoria.
Fra le opere superstiti che rammentino il governo di Castruccio, oltre la cittadella dellâAugusta, alla costruzione della quale sâimpiegarono i materiali di undici grandi torre e molti casamenti pubblici e privati, fu opera dellâAntelminelli la spaziosa strada che dalla porta della cittĂ guida al ponte S. Pietro sul Serchio, la strada e il ponte di Squarciabocconi sulla Pescia di Collodi, la strada costruita alla marina lucchese da Montramito a Viareggio, la nuova torre in questâultimo luogo, oltre diversi ponti costruiti o restaurati sopra i fiumi Serchio e Lima, senza dire di molte rocche, torri e fortezze sparse in vari punti del dominio lucchese.
LUCCA NEL SECONDO PERIODO DELLA REPUBBLICA SINO ALLA CACCIATA DEL GUINIGI Pur troppo si trova vero quel detto dellâAlighieri che, rade volte discende per li rami la prudenza ed il valore, nĂŠ si scambia un basso in unâeminentissimo stato da chi in se stesso non ha gli elementi di quella grandezza, cui per proprio impulso, piĂš che per casi fortuiti, ordinatamente suol pervenire.
Enrico figlio primogenito di Castruccio, ricco delle gloriose doti paterne, con tutti i saggi avvertimenti ascoltati da lui moribondo, fu riconosciuto piĂš per gratitudine del popolo verso il gran capitano che per i meriti proprii in signore di Lucca e degli altri stati acquistati dal padre. Ma Lodovico il Bavaro, per un tratto dâingratitudine, o per vendicarsi di Castruccio, perchĂŠ dopo la sua partita da Roma tolsegli Pisa, mentre la cittĂ era quieta, prendendola per sua: lâimperatore Lodovico, io diceva, poco si stette a spogliare lâerede del gran capitano degli stati di Lucca, di Lunigiana, di Pistoja e di Garfagnana, figurando di rimettere i Lucchesi allâantico regime repubblicano, mediante però lo sborso di una vistosa somma di denaro.
Ma ben presto si scuoprĂŹ, come la promessa libertĂ fosse un vano nome; conciossiachĂŠ tutto il reggimento della repubblica fu ridutto nellâarbitrio di un vicario imperiale; e ciò sino a che le milizie tedesche, lasciate dal Bavaro senza il soldo reclamato, sâimpadronirono di Lucca per venderla al maggior offerente. â Primi a comparire furono i Fiorentini, i quali sullo stringere del negozio, per dubbio di esser burlati, non vollero rischiare di perdere 80,000 fiorini. Vennero di poi i Pisani a presentar la loro offerta di 60,000 fiorini; ma dopo avere questi consegnato ai venditori 15,000 fiorini di caparra, non ebbero Lucca, nè riebbero il loro denaro: avverandosi per tal guisa il caso previsto dai Fiorentini; ai quali per due volte, ma sempre invano, venne riofferta la ballottata cittĂ . Giunse in questo mezzo a Lucca un ricco genovese, Gherardino Spinola, e questi per istrumento dei 2 settembre 1329, si obbligò di pagare 60,000 fiorini ai soldati di Cesare, sborsandone 20,000 nellâatto del contratto e 40,000 da darsi nel mese di ottobre successivo. Per questâultima somma però, presa a cambio da quattro signori di Genova, dovette loro prestare garanzia il Comune di Lucca, in guisa che i Signori di Lucca per liberarsi da un governo militare, concorsero con la loro mallevadoria nel vendere ad un ghibellino genovese la propria libertĂ .
I Fiorentini però indispettiti del concluso trattato, e forse pentiti della non fatta compra, incominciarono dal togliere al nuovo signore di Lucca una parte dei paesi stati da Castruccio nel pistojese e in Val di Nievole conquistati; dopo di che essi diressero una numerosa oste sotto le mura di Lucca con ordine al condottiero di strettamente assediarla.
Allora fu che i Lucchesi, avuto il consenso dello Spinola, inviarono ambasciatori a Giovanni re di Boemia in Lombardia, per offrirgli il dominio della loro patria, purchĂŠ egli sollecitamente inviasse forze sufficienti a liberarli dallâassedio deâFiorentini.
Venne in tempo il soccorso desiderato, sicchĂŠ non solamente lâoste fu costretta a lasciare la desiderata preda, ma lo stesso Spinola ebbe a rinunziare la mal compra signoria di Lucca al re boemo, che dichiarò sua questa cittĂ . Per la qual cosa gli assedianti ebbero a ritirarsi dentro ai confini del loro territorio, mentre il genovese, divenuto gioco del piĂš forte, senza speranza di rimborso fu costretto a partirsene dal paese comprato, dove appena 18 mesi aveva comandato.
A consolidarsi il dominio di Lucca e del suo territorio, il re Giovanni ordinò che gli anziani, il popolo e gli uomini di ciascuna comunitĂ lucchese, dichiarassero legalmente sudditanza al re boemo. â Fu veramente obbligante il metodo ordinato per fare che tutti aderissero alla volontĂ del re, e cosĂŹ per amore o per forza promettere a lui servitĂš. Conciossiachè lâordine sovrano diceva: che i giurati soltanto avrebbero goduto della protezione reale, e che, chi avesse ricusato di giurare, verrebbe privato del diritto di cittadino, e nelle cause civili non ascoltato. Dai registri che tuttora esistono nellâarchivio di Stato si rileva, che il dominio lucchese allora consisteva in 9 vicarie, con 288 comunelli, compresi quelli suburbani, e alcuni altri popoli situati sulla riva sinistra dellâArno, oppure di quelli appartenuti al territorio pistojese.
Gli ordini della magistratura furono i soliti anche durante i trambusti; cioè, anziani, consiglio maggiore, e consiglio generale; ma il potere di tanti uffiziali civili rendevasi affatto illusorio: tostochĂŠ niuno di quei magistrati si poteva legalmente adunare senza lâautoritĂ regia, e quando piaceva al magnifico vicario, ossia luogotenente pel re Giovanni.
Le cose camminarono tranquille per quasi due anni sino allâarrivo in Lucca di Carlo figlio del re (gennajo 1333), il quale fu accolto con dimostrazioni di sincero affetto.
Presto però alla festevole accoglienza venne dietro una regia domanda di 40,000 fiorini dâoro.
Quindi per trarre dalle borse dei Lucchesi facilmente nuovi danari, lo stesso re Giovanni, nel dĂŹ 9 agosto dellâanno medesimo, passando per Lucca, sottoscrisse alcuni articoli tendenti a moderare costĂ lâautoritĂ regia, a determinare le gravezze, a far osservare le leggi municipali nelle cause civili e criminali, promettendo perfino di non cedere a chicchessia alcun castello, terra, o altro paese fra quelli del territorio e giurisdizione di Lucca.
Pure con atto tanto solenne il figlio e il padre altro non avevano in mira che di mungere meglio e piĂš delicatamente i buoni Lucchesi. Nè passò gran tempo in mezzo prima che si manifestasse cotesta politica; perciocchĂŠ, ai 17 dello stesso mese ed anno, il figlio del re Giovanni diè fuori in Parma un privilegio, col quale conferĂŹ a un anziano di Lucca, Vanni del fu Jacopo Forteguerra, il castello di Cotrosso nel piviere di Brancoli, togliendolo alla repubblica. â Vedere COTROSSO.
Per egual modo il re padre di lui passando di Lucca, ai 5 ottobre del 1333, invece di restituire al Comune la promessa vicaria di Coreglia, che aveva tolto a un Castracani dei Falabrini, la conferĂŹ con titolo di contea a un altro Castracani del ramo degli Antelminelli. â Vedere COREGLIA.
In quel suddetto giorno, 5 ottobre 13333, il re Giovanni diresse a Marsilio deâRossi di Parma, suo vicario in Lucca, lâordine di sospendere lâesecuzione di alcune concessioni e grazie individualmente dallo stesso re e dal figlio di lui accordate; lochĂŠ dal regio vicario fu fedelmente eseguito. â (CIANELLI, Memor. Lucch. T. I).
Mentre si facevano queste cose dal re boemo, mentre figurava in Lucca come suo rappresentante Marsilio deâRossi, il re medesimo nello stesso mese ed anno impegnava a Orlando deâRossi suo vicario, e ai di lui fratelli la cittĂ Lucca con tutto il distretto per la somma di 35,000 fiorini.
Per altro non poterono i nuovi signori possedere Lucca per lungo tempo, obbligati per indegne vie di doverla cedere (1 novembre 1335) a Mastino della Scala tiranno di Verona, che restituĂŹ ai Rossi i 35,000 fiorini dâoro pagati per lâacquisto di tutto lo stato lucchese. Finalmente lo Scaligero, dopo avere signoreggiato in Lucca quasi per un lustro, nel luglio del 1340, la vendĂŠ per 180,000 fiorini dâoro a quei Fiorentini che undici anni innanzi sâerano lasciata sfuggire dalle mani per una somma di gran lunga minore.
Non fu pertanto senza nuovi sacrifizii, e senza dover fare una penosa anticamera che i Fiorentini dopo tre mesi entrarono in Lucca. AvvegnachĂŠ i Pisani ingelositi per detto acquisto, corsero armati ad assediare la venduta cittĂ per impedire che vi entrassero gli acquirenti nuovi. RiescĂŹ frattanto a questi ultimi dâaccordo con i governanti di Lucca di forzare il campo pisano e poter introdurre pochi Fiorentini a prenderne possesso. Fuvvi tra questi, ai 25 settembre del 1341, Giovanni deâMedici, venuto in qualitĂ di luogotenente del Comune di Firenze. Egli incominciò ad esercitare la sua carica nellâultimo giorno di quel mese medesimo di settembre col ricevere dal senato degli anziani lucchesi il giuramento di obbedienza alla Repubblica fiorentina.
Non si avvilirono per questo i Pisani, emuli egualmente del popolo comprante che del comprato; sicchĂŠ, stringendo ognor piĂš lâassedio intorno a Lucca, tanto fecero che costrinsero i Fiorentini per mancanza di vettovaglie a capitolare (4 luglio 1342) e cedere quasi intatta ai Pisani la costosa preda.
A volontà di questi novelli malvisti padroni, e della increscevole dominazione pisana, Lucca dovette soffrire quel misero stato, che fu da essi distinto col brutto vocabolo di servitÚ babilonica; la qual servitÚ continuò per il lungo periodo di 27 anni.
Giunse finalmente il 1369, anno fortunato per i Lucchesi, perchĂŠ i loro lamenti resi piĂš sensibili dalla magia dellâoro, poterono indurre lâImperatore Carlo IV a liberare Lucca dalla soggezione dei Pisani, concedendo ai primi un diploma emanato nel dĂŹ 8 aprile del 1369; nel qual giorno cadde in detto anno la prima domenica dopo Pasqua. Al qual diploma si sottoscrissero fra i piĂš cospicui personaggi il Cardinale Guido vescovo di Porto consanguineo di Carlo IV e suo vicario in Toscana, i Vescovi di Spira, di Lucca, di Treviri, di Spoleto e, fra i primi nobili della corte imperiale, lo spettabile conte Francesco degli Albertini di Prato.
A memoria perpetua di tale liberazione i Lucchesi edificarono nella loro cattedrale una cappella con lâaltare, che tuttora porta il nome della LibertĂ (Ara Deo Liberatori); dove da quellâepoca in poi, nella domenica in Albis, i magistrati e il popolo di Lucca con processioni e divini ufizj concorsero, e finchĂŠ durò la repubblica, annualmente ripeterono.
Non ostante la libertĂ come fu concessa (ERRATA: da Carlo V) da Carlo IV ai Lucchesi, sarebbe rimasta inceppata e subalterna agli ordini del vicario imperiale, qualora questi, stimolato dal senato e caldamente officiato dai Fiorentini, previo lo sborso di 125,000 fiorini dâoro e lâassenso di Augusto, non rinunziava, come fece per atto pubblico (ERRATA: febbrajo 1276) (febbrajo 1376), il suo potere trasfondendolo nel corpo degli anziani, e dichiarando questi vicarii perpetui di Cesare.
Per tal guisa Lucca ricuperò dopo 56 anni quella libertĂ che aveva perduta, ora per opera di estranei, una volta tolta da un suo cittadino, e piĂš spesso dallâambizione dei principi o per gelosia di repubbliche sue vicine menomata. â Una delle prime operazioni dei reggitori della risorta repubblica lucchese fu quella di riorganizzare il governo mediante una nuova costituzione; per la qual opera si presero quasi a modello le istituzioni del governo fiorentino giĂ ritornato dei Lucchesi sinceramente amico.
In vista di ciò, in quanto al compartimento territoriale dello stato, venne esso diviso, come lo è attualmente, in vicarie; ma per rapporto allâinterno della cittĂ , fu questa ripartita in tre terzieri; dandogli il nome di alcune loro chiese; cioè di terzieri di S. Paolino, di S. Salvadore e di S. Martino.
Il primo magistrato della repubblica, ossia degli anziani, si compose di dieci cittadini, quattro nel primo terziere, e tre per ciascuno degli altri due, e cosĂŹ a vicenda; sicchĂŠ fra i dieci si eleggeva un capo, cui fu dato il titolo di Gonfaloniere di giustizia, con lâobbligo a tutti gli anziani di risedere stabilmente in palazzo nel tempo del loro uffizio, fissato a due mesi. A pubblica difesa furono istituiti 12 compagnie o gonfaloni, quattro per terziere: e ciascuno gonfaloniere di compagnia aveva sotto di se quattro pennonieri. Invece del consiglio del popolo, giĂ composto di 50 individui, se ne formò uno di soli 26, il quale unitamente ai gonfalonieri di compagnia e alla Signoria, ossia al magistrato degli anziani, e a tutti gli altri consiglieri, che eleggevansi per ischede dai due corpi prenominati, costituirono, dopo le riforme del 1369, i primi poteri. Finalmente il consiglio generale fu composto, non giĂ di 73, come scrisse il Macchiavelli, ma di 180 cittadini, 60 per ciascun Terziere. Sopra questi tre corpi: vale a dire, di anziani, consiglio di credenza, e consiglio generale, si aggirò dopo il 1369 tutto il pondo della repubblica. Per quello che spetta alle attribuzioni governative di ciascuno dei tre corpi testè accennati, ciascuno potrĂ saperle dal Sommario delle cose di Lucca scritto dal Macchiavelli, o dalle Memorie lucchesi del Cianelli T. II, Dissertazione VII.
GioverĂ bensĂŹ avvertire, che al suddetto anno 1369, lo stato lucchese componevasi di undici vicarie, tra le quali le vicarie di Massa Lunense, e di Camporgiano. In tutto 277 comuni, fra i quali i suburbani.
Una delle prime misure del nuovo governo repubblicano lucchese, fu il decreto del 3 aprile 1370, che comparve alla luce in occasione della festa della LibertĂ , per dar facoltĂ al popolo di demolire lâantica bastiglia. Detto, e fatto; la vasta cittadella dellâAugusta, lâopera piĂš grandiosa che lasciasse Castruccio, il suo castello, le reggia, lâemblema insomma della passata schiavitĂš, tutto, comprese le torri che la circondavano, fu con grande ardore dalla massa del popolo gettato a terra, demolito, e anichilato in guisa da non saper quasi piĂš il luogo dovâera lâAugusta.
Ă fama bensĂŹ, che le macerie di quel disfacimento sâimpiegassero nella costruzione di due antiporti alle porte di S. Pietro e S. Donato, come pure alla fabbricazione e ingrandimento di varie chiese dentro la cittĂ .
Distrutte tali memorie di sofferta servitĂš, i lucchesi magistrati dieronsi ogni cura per conservare la riacquistata libertĂ . Al qual oggetto fu creato un consiglio (5 agosto 1370) di 18 cittadini, cui fu dato il nome di conservatori della pubblica sicurezza , ridotti piĂš tardi (18 ottobre 1375) al numero di 12 con titolo di conservatori della libertĂ ; finchĂŠ questi, nel 1385, cambiaronsi nel magistrato dei commissarii del Palazzo . â Mentre provvedevasi a tutto ciò, compilavansi gli statuti del 1372, nel cui proemio fu rammentato quello dato ai Pisani nel 1342, come il frutto della tirannide, e perciò incompatibile col nuovo ordine di cose.
Infatti lo statuto lucchese del 1372, con alcune addizioni del 1381, e 1392 porta una forma piĂš regolare di tutti quelli anteriormente conosciuti; cioè, del 1308, 1331 e 1342; poichĂŠ il primo libro contiene la costituzione della repubblica, ossia de Regimine; il secondo libro verte sul codice e procedura criminale; il terzo appartiene al gius privato e alla procedura civile; ed il quarto tiene luogo de statuti delle diverse curie di sopra rammentate; le quali curie di tribunali speciali per tal effetto cessarono dalle loro funzioni. Oltre i quattro libri qui rammentati, sonovi le aggiunte degli anni 1382 e 1392, e quelle dellâultimo anno del secolo XIV, state dal senato lucchese ordinate.
Però lâerudito Sig. Girolamo Tommasi, attuale archivista di Stato, è riuscito a verificare sui libri delle riformagioni della repubblica, che lo statuto de Regimine redatto sulla fine del secolo XIV, appena messo in vigore, fu abrogato con provvisione dei 18 giugno 1400; per modo che tornossi ad osservare lâantecedente del 1372.
Fra le rubriche riportate nello statuto testè menzionato, fuvvi quella di escludere quasi affatto dalla carica di anziani diverse casate di nobili lucchesi, e tra queste gli Obizi, i Salamoncelli , i Quartigiani, i del Poggio , e tutti gli Antelminelli; in guisa che piĂš dâuno per volta di quelle casate non poteva essere eletto anziano, e ogni due anni solamente uno per agnazione, fra le famiglie designate, acquistava il diritto di sedere gonfaloniere. Tali precauzioni furono dettate a cagione dei tentativi delle designate famiglie, che piĂš volte contro la quiete pubblica palesaronsi a danno della patria libertĂ .
Con queste disposizioni dirette al ben pubblico si era sistemato il governo di Lucca dopo la sua liberazione dai Pisani. Cotesti provvedimenti però, nella serie degli anni che succedettero non ebbero quel felice successo che sembrava doverne conseguire; sia per le pestilenze che, nel 1371 e 1373, afflissero la città e il contado; sia per le militari compagnie di masnadieri di varie nazioni, le quali infestarono la Toscana, e, specialmente nel 1380, recarono aggravio sommo e rovine allo stato di Lucca; sia finalmente per le intestine civili discordie che tolsero alla repubblica la quiete desiderata.
Sono troppo palesi nella istoria lucchese per non ridire tante perniciose discordie che, sul finire del secolo XIV, in special modo si accesero fra alcune famiglie potenti di Lucca; solamente dirò, che dopo replicate agitazioni e congiure terminò la tragica scena con la morte di Bartolommeo Forteguerra e poscia di Lazzero Guinigi, capi entrambi di due contrarie fazioni, in mezzo alle quali potĂŠ farsi innanzi Paolo Guinigi tantochĂŠ, per intrigo e piĂš di tutti del Ser Cambi, nellâottobre del 1400, venne gridato per Lucca in capitano del popolo.
Primo pensiero del Guinigi fu quello dâinviare unâonorevole ambasciata per notificare il suo esaltamento al duca di Milano, e cercare la continuazione della benevolenza di lui. Allâistante Paolo nulla cambiò negli ordini dello stato, lasciando che gli anziani dellâultimo bimestre di quellâanno entrassero in carica, e dimorando con essi loro in palazzo. Questo modo modesto fece di prima giunta reputare il Guinigi uomo da poco e facile da opprimersi; per lo che alcuni congiurandogli contro tentarono di levarlo proditoriamente dal mondo.
La trama fu scoperta, ma un solo deâcongiurati pagò la pena con la vita, gli altri con lâesilio o un poco di prigionia.
Ma da cotesto primo tentativo Paolo seppe trarre opportunamente quel partito che dalle congiure sventate i grandi insidiati sogliono rivolgere in loro profitto. Egli infatti crebbe in potenza, in guisa che domandò imperiosamente al magistrato di balĂŹa di essere nominato in signore assoluto di Lucca. Niuno osando contradirgli, Paolo diede principio ad un governo assoluto quasi un mese dopo essere stato acclamato difensore del popolo, collâabolire il senato degli anziani ed ogni celebrazione di comizii consueti ad adunarsi per lâelezione dei collegi; alla mancanza delle quali magistrature egli fece supplire in qualche modo da un vicario e da un consiglio di stato di sua elezione.
ComecchĂŠ altri passi fatti dal Guinigi fossero quelli di rimettere in patria un buon numero di esuli politici mediante lo sborso di una data somma di danaro, e collâottenere dal Pontefice Benedetto XII lâassoluzione delle censure ecclesiastiche che gravavano sui Lucchesi sino dai tempi di Castruccio, per cagione di Lodovico il Bavaro: con tutto ciò, conoscendo egli di avere in casa e fuori assai nemici, pensò alla propria sicurezza; sicchĂŠ, imitando per questo lato il suo antecessore Castruccio, ordinò che sâinnalzasse con sollecitudine dentro le mura e a scirocco della cittĂ (dal maggio allâottobre del 1401,) un fortilizio nel quartiere che porta tuttora il nome di Cittadella .
Poco per altro è da dire del governo di Paolo Guinigi, sebbene da assoluto signore per 30 anni dominasse nella patria. Imperrochè, qualora si accettuino le misure prese per provvedere ai casi di carestia, per incoraggire le prime sorgenti della ricchezza nazionale, sia allorchĂŠ esentò per dieci anni dalle pubbliche gravezze coloro che venivano dallâestero a coltivare il suolo lucchese, sia col promuovere la coltivazione, per cotesta contrada preziosa, del castagno; sia col purgare il paese dagli oziosi e vagabondi; sia finalmente quando egli proibĂŹ lâespatriazione dei lavoranti di seta; ad eccezione di tali e di poche altre misure governative il regime assoluto di Paolo Guinigi fu simile a quello che i politici appellerebbero oggidĂŹ del giusto mezzo . DondechĂŠ tutto il di lui studio consisteva nel cercare di far buon viso per essere amato dai suoi e per non inimicarsi i governi esteri, mancando al tiranno lucchese la forza per farsi da quelli temere e da questi rispettare.
Se da un lato vi furono encomiatori di un uomo di tal fatta, che lodarono fino alle stelle la sua bontĂ di cuore e le dolci maniere, vi furono altresĂŹ molti che, contemplando il carattere e il governo sostenuto per un trentennio dal Guinigi, trovarono il primo debole, di contegno sempre sospettoso, in tutti i casi perplesso, costantemente dappoco; e paragonarono il secondo a un lungo sonno disturbato da continue paure, le quali finalmente si convertirono per il governatore e per i governati in mali evidentissimi.
Dal suo carteggio epistolare, dal contenuto delle sue ambascierie, dalle risposte ai reclami delle varie potenze, trasparisce anche meglio la nullitĂ di questâusurpatore, collocato sul seggio della signoria di Lucca piĂš per lâastuzia degli aderenti, che pei meriti suoi. âQuesta debolezza di carattere (concludeva lo storico Mazzarosa) serviva di per se stessa a render molto probabili i sospetti, che i nemici destramente sâingegnarono spargere su di lui, col fine di perderlo; ed esso poi venne a confermarli in qualche modo con la sua avarizia; difetto che infine lo aveva acciecato. Insomma Paolo Guinigi sarebbe stato degno di regnare per le qualitĂ del cuore, ma difettava di quelle dello spirito.â Il carattere di Paolo si adattava piĂš che altro a intromettersi mediatore in qualche accordo fra principi e repubbliche; ed egli ne adempĂŹ le parti in varie circostanze. Rammentò fra le altre quella del 1413, allorchĂŠ con soddisfazione delle parti ripianò fra il governo di Genova e Firenze ogni difficoltĂ rapporto allâacquisto di Livorno, con una trattativa conclusa in Lucca nellâanno medesimo. â Vedere LIVORNO.
Non solo da mediatore, ma anche da politico qualche volta il Guinigi volle figurare tra due potenze nemiche.
Tale ce lo rappresenta una risposta data alla Signoria di Firenze dal vecchio Cosimo dei Medici, il quale sino dal 20 di maggio del 1423 fu inviato ambasciatore straordinario al magnifico Paolo Guinigi Signor di Lucca, per notificargli lâostile procedere del duca di Milano contro il trattato di pace verso lâOrdelaffi di ForlĂŹ, deâFiorentini raccomandato; nel tempo stesso che la Signoria di Firenze insinuava al Guinigi di essere propenso verso la repubblica fiorentina, piuttosto che lasciarsi aggirare dal duca di Milano. (AMMIRAT. Istor.
fior. Lib. XVIII e ARCHIV. delle RIFORMAZIONI di FIRENZE.) FinchĂŠ un complesso di fortunate circostanze favorĂŹ il sistema del giusto mezzo, Guinigi potĂŠ riescire a trarsi dâimpaccio in varie emergenze politiche assai delicate; ma alla lunga è ben difficile ad un principe, seppur non è per se stesso fortissimo, lo starsi di mezzo tra due contendenti di maggiori forze delle sue, mentre non solo non può guadagnare da alcuna parte, ma rischia fortemente di cader vittima di uno dei due rivali; e questo alla fine del gioco accadde al Guinigi.
Allarmati i Fiorentini dal vedere Filippo Maria Visconti, ora sotto uno, ora sotto altro pretesto, inviare le sue genti in Ro magna, in Lunigiana e impacciarsi assai delle cose di Toscana e di Bologna, dopo essersi impadronito di Genova, finalmente la Signoria si decise alla guerra, e cercò al Guinigi un qualche ajuto nel tempo che a lui faceva una simil domanda il duca milanese. Sulle prime il signor di Lucca si schermĂŹ con lâuna e con lâaltro, ma alla fine stretto dalle istanze del Visconti, spedĂŹ in di lui soccorso in Lombardia 700 uomini a cavallo sotto la condotta del figlio. Cotesto procedere offese i Fiorentini, tanto piĂš in quanto che, col pretesto di voler essere il riconciliatore fra le due potenze, Guinigi aveva ricusato lâofferta di unâalleanza offensiva. Ciò bastò alla Signoria di Firenze per vendicarsi con Paolo alla prima occasione, e questa venne, allorchĂŠ nellâaprile del 1428 fu conclusa in Ferrara la pace fra il Visconti e i Fiorentini, compresi gli aderenti delle parti belligeranti, senza però rammentare il signor di Lucca. NĂŠ per questa sola misura impolitica fia da addebitarsi il dominatore di Lucca, mentre altre molte concorsero a perderlo, fra le quali è da dire quella usata verso due potenti lucchesi lasciati in stato di nuocergli dopo essere stati convinti di congiura.
Al qual fuoco aggiugevanâesca piĂš essenziali dissapori per conto di confini territoriali; dondechĂŠ, ai 15 dicembre del 1429, fu decretata la guerra dalla Signoria e dal popolo di Firenze al governo di Lucca, e tosto furono in campagna e sotto le mura di questa cittĂ 16000 uomini dellâoste fiorentina. â Visto però il Guinigi sollecito a procurare la difesa di Lucca, forse per non aver forze sufficienti da contrapporre in campo aperto, i commissari di guerra fiorentini ordinarono i preparativi per i lavori di assedio. Aveva incontrato favore lâopinione del celebre architetto Brunelleschi, che spacciava per sicura la presa di Lucca, voltandogli contro il Serchio; e non ostante che Neri Capponi, uno dei dieci della guerra, vi parlasse contro, si lavorò indifessamente dagli assedianti piĂš di due mesi a fare un fosso assai profondo dal letto del fiume verso la cittĂ . Si cercò anche di rattenere lâacqua nel letto del Serchio inferiormente allâimboccatura del fosso per averne in maggior copia nel giorno destinato allâinnondazione della cittĂ assediata.
Ma i Lucchesi piĂš pratici dei dotti, e dei forestieri architetti nelle cose di casa, non erano stati dal canto loro oziosi, conciossiachĂŠ essi alzarono un argine alla destra del fosso artefatto per salvarsi dallâallargamento minacciato. NĂŠ a questo solo riparo si arrestarono, essendo fama, che dopo terminati dagli assedianti gli argini del canale, e questo essendosi pieno dâacqua per scaricarla in tempo opportuno sopra la cittĂ , una bella notte gli assediati, esciti in buon numero da Lucca, ruppero lâargine alla sinistra del fosso, in guisa che lâacqua, correndo verso il piano di Lunata e di Capannori, inondò con tal violenza il campo degli assedianti, posto allâoriente di Lucca, che questi vi dovettero lasciare armi, bandiere e macchine da guerra per salvare il personale nei colli piĂš vicini.
Non ostante lâaccaduto tristo successo, i Fiorentini non desisterono dallâassedio; che anzi vi sâimpegnavano ognor piĂš, decisi di volere ad ogni modo entrare in Lucca, quando ebbero avviso, che dal lato della Garfagnana approssimavasi una numerosa banda di soldati a piedi e a cavallo sotto la condotta di Francesco Sforza, fintosi licenziato dal soldo del duca di Milano, comecchĂŠ da costui realmente un tal soccorso venisse inviato.
Ma il generale dei milanesi era poco amico del Guinigi, corrucciato con esso lui, perchÊ aveva chiesto al Visconti il suo rivale Niccolò Piccinino a condottiero delle forze inviate. Al primo scontro peraltro dei due eserciti, il fiorentino essendo rimasto perdente, dovÊ in fretta e furia levarsi dal campo intorno a Lucca e contentarsi di un largo blocco, traslocando i suoi quartieri a Ripafratta.
Il signor di Lucca, per timore di perdere il principato, avendo ricusato di mettere lo Sforza con i suoi dentro la cittĂ , cotesto rifiuto fu segnale della perdita del Guinigi: giacchĂŠ alcuni dei principali Lucchesi sospettando che egli volesse vendergli agli odiati Fiorentini, e lusingati dallâidea di poter riacquistare la perduta libertĂ , si fecero caporioni di una congiura, della quale misero a parte lo Sforza. Questi non solo lâapprovò, ma temendo anchâesso della vendita di Lucca alla Repubblica di Firenze, promise di secondarla. Tutte le file essendo state tese e preparate, nella notte del 14 agosto del 1430, alcuni nobili dei piĂš audaci fra i congiurati corsero al palazzo, e superate le guardie, penetrarono nelle stanze dove riposava il Guinigi; del quale felicemente sâimpadronirono nel tempo medesimo che gli altri gridavano per le vie della cittĂ popolo e libertĂ .
La mattina dopo entrò in Lucca lo Sforza, ricevuto come liberatore con le sue soldatesche. Bisognò peraltro consentire loro il sacco al palazzo del deposto signore, benchĂŠ il tumultuante popolo lucchese lo avesse rispettato: e inoltre dovĂŠ sborsare loro la somma di 12000 fiorini dâoro.
Paolo fu consegnato al generale del Visconti per inviarlo a Milano a quel duca, che lo fece trasportare e rinchiudere nel castello di Pavia, dove, col crepacuore di aver perduto la signoria della sua patria, Guinigi, allâetĂ di 59 anni, nel 1432 terminò la vita.
LUCCA NEL TERZO PERIODO DELLA REPUBBLICA SINO ALLA LEGGE MARTINIANA DEL 1556.
PiĂš validamente di ogni altra forza concorsero alla rovina del Guinigi 50,000 ducati dai Fiorentini esibiti e presto pagati al conte Francesco Sforza, a condizione però châegli ritirasse le sue genti dal territorio di Lucca; sicchè con la speranza di quel conquisto i reggitori di Firenze miravano di buon occhio tuttociò che tendere potesse ad allontanare il dittatore ed anche il protettore dei Lucchesi.
Tornati questi ultimi al regime repubblicano, crearono ben presto il collegio, il consiglio di credenza e quello generale, composto di 120 cittadini, affidando a una balia di 12 cittadini il governo supremo. Ma i Fiorentini, appena partito lo Sforza, stante il convegno fatto e i danari pagati, tornarono a stringere dâassedio la cittĂ , perchĂŠ ricusava di riceverli in signori. Ricorsero di nuovo i Lucchesi al duca di Milano, il quale, per impedire lâingrandimento della Repubblica Fiorentina, praticò la consueta via di danneggiare nascondendo la mano che nuoce, sempre con lâaria di non mancare ai patti giurati.
E, come poco innanzi aveva mandato lo Sforza a soccorrere Lucca, col dichiararlo fuori del di lui servizio, cosĂŹ questa fiata figurò che i genovesi, allora suoi sudditi, assoldassero il Piccinino e genti armate per inviarle prestamente verso Lucca. Eran giĂ queste, li 2 dicembre 1430, arrivate con 3000 cavalli, e 6000 fanti presso la cittĂ al punto che il solo fiume divideva i due eserciti, quando di notte tempo il capitano milanese guadando il Serchio fu improvvisamente addosso ai Fiorentini, nel tempo che la guarnigione esciva dalla cittĂ a sorprenderli alle spalle. Lo scompiglio degli assedianti fu tale che, senza grande uccisione, tutto il campo e un buon numero di prigioni cadde in potere del Piccinino e dei Lucchesi; e questi, dopo 13 mesi di assedio, viddersi liberati (3 dicembre 1430) da un modesto nemico. Dâallora in poi per decreto pubblico ogni anno una festa popolare celebrò in quel giorno tal memoria ai Lucchesi faustissima.
Alla fine di febbrajo del 1432 tornarono i Fio rentini per tentare un subito assalto sopra Lucca, ma inutilmente; per modo che abbattuti dalla guerra, e disperando della conquista, aprirono un trattato di pace, quale restò conclusa nellâaprile del 1433, a condizione che Lucca riottenesse i paesi perduti nellâultima guerra. Ma questa piuttosto che pace riescĂŹ una tregua, poichĂŠ nei primi mesi del 1437, veduto che i Lucchesi erano rimasti privi di ajuti esterni, e sapendo, che questi dalla parte dei Genovesi si trovavano soprammodo infievoliti, credettero i Fiorentini esser giunto il tempo opportuno di ritornare sotto Lucca, a ciò precipuamente consigliati da Cosimo deâMedici, tornato di corto in Firenze dallâesilio, mercè gli amici e lâaura popolare. Fu perciò decretata la guerra contro Lucca, e Francesco Sforza, preso al soldo dai fiorentini, sâincamminò con lâarmata nel territorio lucchese, dove di prima giunta occupò, dal lato della marina i paesi di Viareggio e Camajore, e dalla parte dei monti diversi villaggi e castella in Garfagnana; dopo di che si occupò a situare gli alloggiamenti intorno a Lucca.
Erano i lucchesi a tutto disposti, salvo a soggiacere ai Fiorentini. Ricorsero pertanto, ed ebbero validi soccorsi dal Visconti, il quale usava ogni mezzo affinchĂŠ cotesta cittĂ non cadesse nelle mani di tal nemico. Infatti nel tempo che il Piccinino con le masnade del Visconti marciava ad osteggiare nellâAppennino fra Bologna e Firenze, il duca di Milano faceva offrire al largo guiderdone allo Sforza, per farlo tornare al suo servizio.
Non potevano questi due modi mancare di produrre lâeffetto desiderato, cosicchĂŠ la Signoria di Firenze, vedendosi da un lato attaccata dentro al suo dominio, e dallâaltro lato scorgendo la disposizione del suo capitano propensa ad accettare il partito offertogli dal duca, si piegò a trattative di pace. La quale venne conclusa in Pisa il 28 aprile del 1438, e quandâera sul terminare del triennio, per altri cinquantâanni venne dalle parti confermata.
In vigore del primo e del secondo accordo, nel novembre del 1441, i Fiorentini restituirono tutti i luoghi stati ai Lucchesi ostilmente durante lâultima guerra occupati, meno la terra di Monte Carlo, e la fortezza di Motrone. â Tacquero gli storici la causa che indusse la Signoria di Firenze a si fatta generosa restituzione; ma qualunque fosse la ragione di un tal procedere, in ogni modo il fatto stĂ a dimostrare: che se i Fiorentini, per il corso rare volte interrotto di 123 anni, dissentendo nei principi politici, furono in urto e guerreggiarono contro i Lucchesi, ciò non accadde mica per odio che avessero agli abitanti, ma sivvero al governo ghibellino, da cui Lucca per sĂŹ lungo tempo era stata dominata. â Infatti i Fiorentini, dopo la pace del 1438, non solo dentro il termine dai patti prescritto restituirono le terre ai Lucchesi occupate, ma diedero costantemente a questi ultimi prove della loro fiducia e amorevolezza. E ben corrisposero dal canto loro i Lucchesi, allorchĂŠ Firenze difettando di granaglie, di cui Lucca, per misura di annona, trovavasi provvista, appena richiesti, inviarono colĂ 2400 moggia di grano. In conseguenza di ciò i Lucchesi, godendo di stabile quiete, poterono rivolgere le loro cure a dare un miglior ordine agli affari interni per la conservazione di un viver libero.
La qual cosa apparisce da una nuova costituzione, promulgata nel 1446 sotto il titolo di Statum de Regimine palatii dominorum Antianorum. Il quale statuto fu diviso in due parti; la prima relativa a tuttociò che risguardava lâesecutiva potestĂ , e lâaltra parte, che fu poi pubblicata in Lucca nel 1490 da Arrigo di Colonia, comprendeva le leggi civili e criminali con le regole delle procedure respettive.
Dondechè, qualora si vogliano eccettuare le insidie tentate da Ladislao figlio di Paolo Guinigi, con lo scopo di riacquistare la paterna signoria, Lucca non ebbe piĂš scontri pericolosi alla sua quiete e governo fino alla venuta di Carlo VIII re di Francia in Toscana. Realmente alla discesa di quei Francesi in Italia si riaccesero le estinte amarezze fra i Fiorentini e i Lucchesi, perchĂŠ a questâultimi il re franco per pecunia aveva consegnato la terra e rocca di Pietrasanta, stata presa qualche tempo innanzi dai Fiorentini ai Genovesi; e piĂš ancora contribuirono al mal umore fra le due repubbliche gli ajuti che i Lucchesi copertamente ai ribellati Pis ani somministrarono.
Quindi avvenne che, dopo avere i Fiorentini riconquistato Pisa (anno 1509) essi cominciarono a trattare ostilmente Lucca; la quale avrebbe fortemente rischiato di perdere la sua indipendenza senza lâappoggio dellâimperatore Massimiliano I, che inviò costĂ una mano di soldati veterani, cui aveva aperto una bella strada lo sborso di 9000 fiorini dâoro, che fruttarono un ampio diploma in favore della lucchese libertĂ . Il qual privilegio fu rinnovato nel 1522 da Carlo V, confermando non solamente quanto era stato ai Lucchesi dai Cesari antecessori accordato, ma di piĂš dichiarò nulla la cessione di alcune terre obbligatamente fatta al Comune di Firenze.
Lâassedio peraltro e la caduta di questâultima cittĂ con la perdita della sua libertĂ svegliò lâallarme nel popolo lucchese per timore di unâugual sorte. E tanto piĂš ne temeva in quanto che la somma del potere e glâimpieghi piĂš lucrosi, stando fra le mani dei nobili, perpetuavansi fra loro in ogni rinnovazione di governo. Al che si aggiungevano i soprusi per conto di altre misure economiche, tendenti ad inceppare, anzi che incoraggire lâindustria principale del paese, quale si era quella dellâarte della seta; sconcerti tutti che contribuirono a inasprire la plebe contro i grandi; il popolo minuto contro il popolo grasso.
Con questa concitazione dâanimi accadde che, nellâaprile del 1531, i tessitori da leggi oppressive indispettiti, e da governanti orgogliosi vilipesi, si adunarono, si armarono e gridarono morte al governo aristocratico. â Fu allora che Lucca vide i suoi Ciompi, cui fu dato il nome di Straccioni, perchĂŠ sotto le insegne di un vessillo nero stracciato, formati in compagnie e aventi alla testa un tessitore dei piĂš loquaci, assediarono il palazzo degli anziani, facendosi quasi padroni della cittĂ . Mancavagli però un Michele di Lando, a voler che i Straccioni di Lucca potessero riuscire nel progetto di ristabilire nella loro patria il governo popolare. â Lâirresolutezza dei sediziosi calmò a poco a poco il timore dei senatori, che erano tutti dal partito dei magnati; e tanto in lungo andò il gioco, che di notte tempo, dâintelligenza degli anziani, sâintrodussero in cittĂ da mille uomini armati del contado di Cemajore, i quali sorpresero, vinsero e dissiparono gli ammutinati. Allora il senato lucchese in benemerenza del servigio dai Camajoresi prestato, decretarono che si esigesse a memoria di ciò dentro Camajore una specie di arco trionfale. â Vedere CAMAJORE.
Altre penose cure il governo di Lucca ebbe a sopportare, allorchĂŠ la quiete interna della cittĂ fu nuovamente nel 1542 in procinto di perdersi, se non andava fallita altra congiura di un nobile lucchese. Pietro Fatinelli andò meditando di farsi arbitro della patria, credendo gli potesse spianare la via il favore che egli godeva alla corte di Carlo V, presso cui dagli anziani di Lucca era stato piĂš di una volta inviato; ma appena scoperta la macchinazione, fu incarcerato lâautore, e dopo aver confessato fra i tormenti il delitto, dovĂŠ lasciare sul patibolo il capo.
In questo mezzo temp o andava serpeggiando per Lucca un altro piĂš serio male. Lâeresia di Lutero vi era stata introdotta per opera specialmente di varii ecclesiastici regolari; per cui si agĂŹ contro i settarii con tale rigore, che quelli i quali eransi da Lucca preventivamente allontanati, vennero dichiarati ribelli, ed i beni loro confiscati e pubblicati.
A siffatte convulsioni civili e religiose ne succedĂŠ ben presto una politica di grandissimo impegno, che mise il governo della repubblica in un doppio imbarazzo per la sicurezza propria e dei potentati dâItalia. â Comparve nel 1546 un altro Cola di Renzo in Francesco Burlamacchi, nato di cospicua famiglia lucchese, il quale, infatuato delle eroiche gesta dei capitani della Grecia, che con i piccoli mezzi avevano operato cose grandi, nientemeno agognò che rivendicare a libertĂ i popoli italiani.
Sentiva egli con pena la servitĂš di Firenze, lo strazio di Siena, lâabiezione di Pisa; compiangeva Perugia percossa, Bologna in catene; in una parola imaginava che dovesse tornare libera Italia tutta, non che la Toscana. Ma non erano piĂš i tempi delle repubbliche del Peloponneso, i popoli dellâItalia o per vizio degli uomini piĂš non si reggevano a comune, o giĂ andavano assuefacendosi ai sistemi dellâaristocrazia e dellâassolutismo. Per conseguenza lâidea del Burlamacchi potĂŠ paragonarsi al sogno di un febbricitante che vaneggia negli accessi della sua malattia. â Un falso amico del Cola lucchese rivelò al duca di Firenze lâardito progetto del Burlamacchi, quasi nel tempo medesimo che un cittadino senese, stato messo a parte del segreto, lo palesava agli anziani del governo di Lucca.
Ciò bastò, perchĂŠ il Burlamacchi fosse preso, sostenuto in palazzo, ed in presenza di un commissario dellâImperatore, sulla tortura processato: fino a che, vinto egli dal dolore, confessare dovĂŠ il chimerico disegno da esso immaginato. Allora per ordine di Carlo V il reo di stato fu condotto a Milano, e costĂ con altre persone implicate in simile pensamento, venne in pubblico giustiziato.
Dopo di tutto ciò si aggiunse la caduta della repubblica di Siena, colpo fatale per quei popoli che contavano di mantenersi liberi, e molto piÚ per i vinti che speravano di risorgere a regime repubblicano.
La fallita rivoluzione degli Straccioni nocque in vece di giovare al subbietto cui era stata promossa; il disegno del Burlamacchi, e la caduta di due repubbliche vicine, avvertivano i signori di Lucca dei pericoli che da ogni parte li minacciavano. â Nel 1556 il gonfaloniere martino Bernardini fu per i nobili lucchesi quale era stato nel 1297 il doge Pietro Gradenigo per i veneziani. Egli propose al senato di convertire in legge la seguente riforma statutaria: âAmmettere alle cariche del governo solamente quelle famiglie che allora godevano di tali onori, col diritto di trasferirli alla loro discendenza; escluso però da questo diritto chiunque fosse nato in Lucca da padre forestiero, e tutti i figli di persone del contado, salvi quelli tra loro, i quali allâepoca della proposta riforma partecipavano aglâimpieghi governativi.â Il progetto piacque agli anziani talmente, che lo convertirono in quella legge organica della repubblica, la quale, ad esempio del senato di Roma, chiamossi col nome dellâautore, Legge Martiniana. Cotesta legge, pubblicata nel dicembre del 1556, fece schiama zzo tra il popolo, ma furono voci senza effetto. La memoria fresca dei mali sofferti per la ribellione degli Steaccioni , i pericoli cui erano scampati per le posteriori congiure, la caduta non antica della repubblica di Firenze, e quella recentissima di Siena, servirono di esempio al popolo lucchese per adattarsi alle circostanze. â In conseguenza di ciò gli statuti de Regimine, lâultimo dei quali era stato compilato nel 1539, riceverono da questa legge unâalterazione di gravissima importanza sul conto delle disposizioni relative al diritto di eligibilitĂ dei pubblici funzionarii. In una parola la repubblica di Lucca dâallora in poi divenne di diritto quello che giĂ da molto tempo indietro lo era di fatto, cioè, aristocratica.
LUCCA NELLâULTIMO PERIODO DELLA SUA ANTICA REPUBBLICA SINO AL 1799 Se la legge Martiniana, suggerita senza dubbio dallâorgoglio, riescisse in effetto utile piuttosto che dannosa, o viceversa, non seppe deciderlo un erudito autore moderno; il quale con disinvoltura ed imparzialitĂ , scrivendo della sua patria, su tal proposito diceva: âche forse la quiete ne guadagnò, concentrandosi a poco a poco il potere in chi era interessato piĂš che altri alla pubblica felicitĂ . E ciò sarebbe molto, e pareggerebbe almeno il danno che ne venne a riguardo di tanti, che amorosi della liberĂ non avrebbero mancato di portarsi qua con le loro fortune dai proprii paesi ridotti in servitĂš, quando fossero stati a suo tempo ricevuti come veri cittadini i loro figliâ.
â (MAZZAROSA, Storia di Lucca Lib. VII).
A rendere piĂš stabile il regime dellâordine interno coadiuvò una prudente condotta esterna, massime verso lâintraprendente Cosimo duca di Firenze. La cui potenza fu accresciuta in quei giorni con lâacquisto di Siena e del suo vasto territorio, cedutogli da Filippo II re di Spagna. â Il trattato di pace nel 1559, firmato tra la Spagna e la Francia, concorse vieppiĂš ad assicurare lâaristocrazia lucchese, tostochĂŠ in detta pace fu compresa anche Lucca come paese libero e neutrale.
CosicchĂŠ il governo, tranquillo al di fuori e in casa, potĂŠ occuparsi deâlavori di pubblica utilitĂ , sia collâarginare il Serchio di contro alla cittĂ , sia col risvegliare maggior operositĂ nella costruzione delle attuali sue mura, sia col far scavare un fosso navigabile per mettere in comunicazione Lucca collâOzzeri, e di lĂ continuando il cammino a levante entrare nel lago di Sesto, donde poi per lâemissario della Seressa sboccare nellâArno, navigando verso Firenze o a Pisa.
Tante spese però avendo depauperato il pubblico erario, impossibilitarono il governo di soddisfare per intiero alle inchieste dellâImperatore Massimiliano II, che nel 1565 aveva domandato alla repubblica scudi 70,000, a titolo di sussidio per la guerra contro il Turco; per modo che soli 15,000 scudi gli furono dati.
Per turbare questâultima cominciarono nel 1607 a risuscitare antichi dissapori tra i reggitori della repubblica e il duca di Modena, uno per conservare o accrescere, gli altri per far valere dei diritti disusati sopra una porzione di Garfagnana da lungo tempo perduta. Si praticarono fra le due parti parziali ostilitĂ , o piuttosto ladronerie, le quali, brevemente sospese da corta pace, si convertirono poscia in una manifesta guerra, sino a che per ordine dellâImperatore i Lucchesi e i Modenesi dovettero sospendere la guerra e quindi starsene alla sentenza che dalla corte cesarea di Milano sarebbesi pronunziata. â Vedere GARFAGNANA.
Posate le armi, il governo di Lucca si occupò a ristringere la borsa degli eligibili alle pubbliche cariche: e bene vi riescirono gli anziani che sedevano signori nel primo semestre del 1628, quando essi nel 21 gennajo, fecero approvare dal consiglio la provvisione seguente: âche il diritto di governare, salva una grazia del potere supremo, dovesse dâallora in poi risiedere nelle sole famiglie che ne erano al possesso dallâepoca della legge Martiniana.
Quindi è che in ordine alla stessa provvisione in un libro, chiamato libro dâoro , furono registrati i nomi e le armi di tutti coloro, cui fini a quel suddetto giorno un tale diritto si apparteneva.
Si volle dare una qualche apparenza di ragione a siffatta restrizione, dimostrando tutto ciò essere diretto al fine dâimpedire, che qualcuno sâintroducesse nelle famiglie senatorie con nomi falsi e persone supposte. Ma piuttosto che ragione, dice il prelodato storico lucchese, era questo un pretesto, atteso che molti altri piĂš facili espedienti avrebbero potuto, se mai, levar via questo male decantato, in vista delle cittĂ non grande, e del proporzionato ristretto numero degli eligibili. La vera ragione stava nel volere quelle famiglie, che allora moderavano lo stato, perpetuare fra loro il comando a somiglianza di ciò che operato si era nelle due repubbliche di Venezia e di Genova. â Dal libro dâoro, che tuttora conservasi nellâarchivio di stato, apparisce, che 224 erano a detta epoca le casate con armi e blasoni diversi fra loro, tra le quali 212 famiglie di cognome differenziato.
Nuovi dispiaceri poco dopo si aggiunsero ad amareggiare i Lucchesi, la prepotenza di un loro concittadino vescovo cardinale, MarcâAntonio Franciotti; il quale, non volendo uniformarsi alla legge comune del paese, ricusò costantemente di far punire un suo familiare, perchĂŠ con danno del terzo aveva abusato del privilegio di portare armi da fuoco. â Lâaltra piĂš generale e piĂš funesta sciagura fu la morĂŹa che in Lucca e nel suo contado ripetutamente per la peste del 1631, e maggiormente del 1648, infierĂŹ. I governanti per quanto era in suo potere provvedevano ai bisogni con aprire spedali nei subborghi, procurare medici, medicine, vettovaglie e sussidii di ogni materia, mossi quei senatori da sentimento di pietĂ paterna, e forse anche dalla politica di gratificarsi la moltitudine per accostumarla vie meglio allâobbedienza di una classe distinta e perciò invidiata.
Quello però che stava piĂš a cuore ai padri coscritti lucchesi era di allontanare chicchessia, a furia di punizioni severe, e non di rado ingiuste, dallâidea di machinare contro il nuovo regime. La storia ha tramandato ai posteri la tirannica maniera, con la quale un Agostino Mansi, un del Poggio, un Vincenzo Altogradi, personaggi tutti distinti e nobilissimi, furono per lievi cause politiche, quello mandato per dieci anni alla galera, e questi per un pensiero libero manifestato, condannati a lasciar la testa sul patibolo.
Del resto non furonvi dappoi turbamenti politici di grande importanza, o di qualche grave conseguenza; sicchĂŠ il governo, dalla metĂ del secolo XVII sino al 1700, visse quieto. â Lievi cagioni dâinconsiderata violenza e di parziali ingiurie recarono ai senatori di Lucca, nel 1700, un qualche imbarazzo per parte di Cosimo III granduca di Toscana, poi sedici anni dopo per conto del duca di Massa Carrara.
Ma le corti mediatrici fecero posare loro il corruccio con rimettere in calma i popoli insieme coi governi allarmati.
Diede pur motivo di qualche amarezza fra il senato lucchese e la corte di Roma lâinchiesta stata dal primo avanzata per avere il diritto di presentare al papa una terna di tre soggetti idonei ad ogni vacanza della sede vescovile di Lucca; inchiesta che finalmente nel 1754 dal Pontefice Benedetto XIV fu secondata. â Mosse maggiore rumore per conto del clero lucchese una legge dalla ragione politica e civile sulle Mani morte consigliata, la quale fu discussa, e finalmente li 7 settembre del 1764 decretata, per modo che niuno potesse per lâavvenire alle corporazioni morali donare o testare un valsente superiore alla ventesima parte del suo patrimonio, nĂŠ mai una somma maggiore di scudi 200. La qual legge si credĂŠ comandata dal vedere la classe degli ecclesiastici a sovrabbondanza provvista di beni; i quali si calcolò che superassero il valore di nove milioni di scudi, goduti da circa 1500 individui dei due sessi; lo che veniva a equiparare circa la metĂ del patrimonio deâprivati di tutto lo stato, il quale fu calcolato essere di venti milioni di scudi, in una popolazione di circa 140,000 abitanti. â Vedere DIOCESI di LUCCA.
Il tempo aveva fatto scorgere un vizio grande nel sistema aristocratico, vizio che a guisa di tarlo a poco a poco si rodeva nelle famiglie senatorie il midollo della loro repubblica.
Le casate ascritte al libro dâoro, dal numero di 224, che si riscontrarono nel 1628, a sole 88 erano ridotte nel 1787.
Al fine di riparare cotesta progressiva diminuzione si erano introdotte negli anni 1726 e 1750, delle vistose alterazioni nella costituzione della repubblica lucchese.
Ma il cambiamento piĂš valutabile fu quello del 1768, quando, per la mancanza di un conveniente numero di nobili, si tolse via lâavvicendamento stabilito dalla legge che aveva diviso il senato in due congregazioni, dalle quali, un anno per cadauna, costumavasi di scegliere i senatori attivi, per non perpetuare il comando in una sola classe o sezione. Fu allora che si ebbe piĂš forte ragione di temere, che il governo, ristretto in mano di pochi, potesse convertirsi in una pretta oligarchia.
Finalmente, nellâanno 1787, continuando le famiglie nobili a venir meno, e mancati essendo in 19 anni undici ceppi, si decretò, che non meno di novanta dovessero essere gli stipiti di famiglie nobili originarie, e dieci quelle delle famiglie dal senato ascritte alla nobiltĂ , con facoltĂ di crearne di queste ultime a proporzione che si fossero estinte le prime.
Quanto alla politica esterna, la condotta dei regitori di Lucca fu quella di umili feudatarii; cioè, costantemente ligii al supremo dominatore dellâItalia. Quindi è che ad ogni avvenimento al trono di un Augusto, si cercava con dimostrazione solenne rispettosissima di guadagnare la benevolenza di Cesare, ed anche ne domandavano umilmente lâaccomandigia, col supplicarlo di confermare quei privilegii, che dopo Carlo IV, per una successione progressiva di 15 diplomi, da Massimiliano I fino allâassunzione al trono cesareo di Francesco II (anno 1792) i signori della repubblica di Lucca, come vicarii dellâimpero costantemente qualificarono.
Dâallora in poi la pace esterna, lo stato politico ed anche la calma interna dei governi di Europa, non che dellâaristocrazia lucchese, cominciarono a scombujarsi.
Finalmente, sulla fine del secolo XVIII, le vittorie riportate dai Francesi in Italia cambiarono affatto le sorti della penisola; sicchĂŠ i padri coscritti di Lucca inutilmente con lâambascerie e con lâoro travagliavansi di guadagnare la protezione del direttorio di Francia, di acquistare la benevolenza del loro generalissimo in Italia, di blandire le fervidissime neonate repubbliche Cispadana e Transpadana. Lusinghe vane, danari e parole gettate; perciocchĂŠ lâoccupazione di Lucca, per parte dei Francesi da lungo tempo meditata, ebbe finalmente il suo effetto nei primi giorni del 1799, quando vi entrò con una parte della sua divisione il general Serrurier; quello medesimo che aveva di corto dato prove di arti inique sullâinfelice Venezia. Spietate requisizioni di vettovaglie, di pecunia e di vestiario accompagnate da minacce terribili, spaventavano ogni giorno, sgomentavano, avvilivano i Lucchesi dâogni ceto. Pure abiezioni siffatte, si gravose imposizioni, cotanti spogli violenti, sopportavansi da quei senatori nella difficile speranza di poter continuare a dirigere il timone della repubblica. Che però, pensando essi al modo di riescirvi, nel 15 gennajo del 1799, deliberarono di far ritorno allâantica costituzione democratica, collâannullare la legge Martiniana del 1556, e le riforme posteriori. Si fece anche di piĂš. Dalla classe privilegiata dei nobili furono eletti dodici personaggi collâincarico di modificare, adattando alle circostanze le antiche costituzioni; e questi, nel dĂŹ 28 dello stesso gennajo, decretarono, che per le future elezioni verrebbero esclusi dai comizi coloro destinati a costituire il nuovo regime della rigenerazione lucchese.
Ciononostante i voti e la scelta degli elettori cadde sopra soggetti non preoccupati da spirito di novitĂ , sopra persone specchiate e meritevoli della fiducia comune. I patriotti se ne lagnarono, scongiurando il general francese di provvedere alla causa loro, che era pur quella della Francia; ed egli vi provvide alla maniera orientale. Furono invitati a palazzo per la mattina del 4 febbrajo 1799, a un ora medesima, e in due sale separate, tanto quelli da lui segretamente destinati a prendere le redini del nuovo governo, come anco i senatori ed il gonfaloniere della vecchia repubblica. Allâora determinata Serrurier accompagnato dal suo seguito recossi ai due corpi da lui congregati per dichiarare a nome del generale in capo dellâesercito dâItalia, al vecchio senato, che dâallora in poi restava abolita fra i Lucchesi la nobiltĂ e ogni sorta di casta privilegiata, e dirgli nel tempo stesso, che egli aveva scelto da ogni classe di cittadini quelli destinati a governare in un modo provvisorio la repubblica di Lucca, e di avere in quella scelta cercato uomini virtuosi che fossero per appagare il voto di tutti i buoni.
Di lĂ recandosi nella sala, dove eransi raccolti i nuovi da esso eletti, disse: che per ordine del potere esecutivo di Francia, il generale in capo aveva partecipato al Serrurier, come il direttorio francese per secondare i voti degli abitanti per una costituzione intieramente democratica, vuole che io (Serrurier) la componga di quei soli, i quali, per lâattaccamento loro alle massime repubblicane, per la vastitĂ dei loro lumi, e per la saviezza dello spirito loro, compariranno i piĂš adatti a mantenere la libertĂ senza reazione e la quiete senza terrore. Quindi soggiunse: Io vi consegno la carta del sistema dâorganizzazione provvisoria, cui invito voi tutti di conformarvi.
CosĂŹ finĂŹ dopo 243 anni il governo aristocratico di Lucca, non per fiacchezza di vetustĂ , ma per quella forza irresistibile calata dalle alpi a rovesciare da capo a fondo non meno che i regni e le duchee, le vecchie repubbliche.
La costituzione data ai Lucchesi dal Serrurier fu la stessa di quella della repubblica Ligure. La parte organica riducevasi a un potere legislativo diviso in due consigli, quello dei giuniori di 48, lâaltro di seniori di 24 membri, oltre un potere esecutivo quinquevirale, che si nominò direttorio, assistito da cinque ministri di stato. â Non tacque dei nuovi reggitori il sentimento del ben pubblico, e varie buone leggi sino dai primi mesi furono proposte, discusse ed emanate; ma non si moveva passo nellâordine governativo senza lâapprovazione del general comandante e del direttorio francese. Erano i rappresentanti della repubblica di Lucca tanti automi, che venivano copertamente o visibilmente maneggiati dalla maestria dei rigeneratori. AvvegnachĂŠ nulla si accordava ai consigli e alle loro deliberazioni, ogni cosa doveva farsi a voglia dei Francesi, i quali tenevano governo e cittadini ubbidienti e pieghevoli ad ogni loro discreta o indiscreta voglia. La libertĂ civile al pari della politica non si conosceva che per ironia, o per sfregio del suo nome; oppressi i nobili, perseguitati gli ecclesiastici, smunti di numero i facoltosi e i mercanti, vessati i cittadini da esigentissima soldatesca di guarnigione, tali furono i frutti primaticci e piĂš manifesti della rigenerazione lucchese. Quindi non è da meravigliare, se i Francesi erano costĂ assai malvisti ed odiati dallâuniversale.
Trovandosi in tal guisa mal disposti gli animi degli abitanti di Lucca, e piĂš ancora delle genti di contado, queste sâincalorirono viemaggiormente, e si ammutinarono allâannunzio del primo successo ottenuto in Lombardia dallâesercito alleato: e piĂš ancora dopo la notizia avuta delle tre giornate della Trebbia (17, 18, 19 giugno del 1799) contro Macdonald battagliate.
Appena avuto sentore dellâarrivo degli Austriaci in Toscana, fu vano esigere dal popolo ubbidienza al governo e tranquillitĂ . Le falangi tedesche, nel luglio del 1799, furono accolte in Lucca con entusiasmo. Se non che la prima misura dei nuovi arrivati fu quella di dover consegnare tutte le armi da fuoco dellâarsenale e i bellissimi grossi cannoni di bronzo, che in numero di 120 guarnivano gli undici bastioni sulle mura della cittĂ .
Presto i tripudii si convertirono in lagnanze, e quindi in angustie, per le forti esigenze che si richiedevano dalle truppe arrivate. Al che si aggiunse un abisso di mali maggiori, quando si vollero annullare tutte le leggi del cacciato governo democratico, poscia istituire un tribunale criminale statario sommarissimo, con lâincarico di scrutinare degli individui le passate azioni politiche e perfino i pensieri.
Ma giĂ le sorti di Lucca e dellâintiera Italia stavano unâaltra volta per pendere a favore dei Francesi, mercĂŠ il genio di Bonaparte. Il quale, dopo avere diviato spento il direttorio, comparve quel fulmine con un rinnovato ardentissimo esercito sui gioghi dellâAlpi e di lĂ calando in Italia, nelle pianure di Alessandria riacquistò a Marengo in un giorno, (14 giugno 1800) quando i generali suoi predecessori avevano perduto in un anno.
LUCCA NEI PRIMI SETTE LUSTRI DEL SECOLO DECIMONONO Sarebbe nojoso il ridire le tante mutazioni di reggimento, e le varie imperiose contribuzioni che a cortissimi periodi sorsero e gravitarono sopra il popolo lucchese. â Launey generale di Francia, che, nel 7 luglio del 1800, annunzia lâimminente arrivo della sua brigata in Lucca; Massena maresciallo, il quale comanda da Genova gli si sborsi un milione di franchi, la metĂ tempo 24 ore, dieci giorni per lâaltra metĂ , ordinando di sequestrare le pubbliche casse e di arrestare i rappresanti del governo che reclamavano contro tanta iniquitĂ . Si costringevano i nobili a tornare a Lucca, e si confiscavano i beni di coloro che a un tal comando non ubbidivano. Tutto ciò si operava alla vigilia in cui altre forze riunite dal generale tedesco Sommariva erano per ritornare costĂ . Infatti ai 13 di settembre dello stesso anno, appena arrivata in Lucca unâaltra sorta di padroni, fu istituito un governo di nobili. â Non avevano però gli Austriaci ancora compito il mese, che dovettero di qua ripartirsene (9 ottobre) per dar luogo ai Francesi tornati in maggior numero sotto un altro general di brigata, ma con le stesse molestissime intenzioni di spolpare perfino al midollo i bersagliati popoli italiani.
Durissimi e rovinosi erano tutti i modi che essi adoprarono, onde lucrare danaro dai Lucchesi ridotti alla miseria.
In mezzo a queste angustie, la pace conclusa a Luneville (19 febbrajo 1801), e lâaltra tra la Francia e Napoli, segnata in Firenze il 28 marzo dello stesso anno, facevano sperare a questo popolo un vicino sollievo. Se non che gli restava tuttavia un gran crepacuore nellâanimo per lâincertezza della sua sorte. â Piacque per allora a Napoleone di ridonare a Lucca una tal quale esistenza politica mediante un reggimento repubblicano, di cui ordinò lâorganizzazione al Saliceti con lâistruzione, che si badasse, nella scelta dei governanti, al maggior censo, e per il resto si desse la preferenza ai letterati, ai negozianti e agli artisti piĂš famigerati.
La preparata costituzione, pubblicata nel 31 dicembre successivo, in generale fu ben accolta, perchĂŠ basata sui principii di una repubblica democratica temperata, e perchĂŠ nella scelta dei soggetti designati a governarla eranvene parecchi rispettabili per dottrina, per probitĂ e per amor di patria.
Entrò il potere esecutivo in attivitĂ il primo giorno dellâanno 1802. â Il governo cominciò le sue operazioni con un pieno perdono e unâassoluta dimenticanza su qualsivoglia delitto politico; al che conseguitarono utilissime cose. Fra le altre merita di essere registrata dalla storia la legge per la formazione del catasto, basata su principii dâimparzialitĂ , di ponderata e retta giustizia rispetto a una generale proporzionata repartizione della tassa fondiaria.
Infatti la quiete interna andava a ristabilirsi, in guisa che le antipatie politiche, se non affatto svanite, erano assai scemate, e la benevolenza del primo console della repubblica francese da parole lusinghiere e affettuose veniva pubblicamente dimostrata al governo lucchese, sicchè questo incoraggito occupavasi con saviezza e con lode degli affari, e specialmente di quello sulla riforma delle leggi civili e criminali.
Glâinteressi pertanto di questa piccola repubblica procedevano, non solo con regolaritĂ , ma con profitto della generalitĂ : cosicchè ogni cittadino non fanatico prevedeva un felice avvenire nellâaccordo comune e nel buon effetto di provvide istituzioni decretate. â Ma comâera piaciuto al sommo imperante di rispettare fino allora i sacri diritti dei Lucchesi, venuto il maggio del 1805, epoca dellâincoronazione dellâimperatore deâFrancesi in re dâItalia, mentre Genova con le solite apparenze spontanee costringevasi a chiedere a Napoleone la sua aggregazione alla Francia, nel tempo medesimo il ministro Talleyrand per insinuazione dellâoracolo, cui allora porgeva incenso, dovè far sentire al ministro Girolamo Lucchesini questa imperatoria sentenza: e voi altri a Lucca non farete nulla? Favvi tosto chi spiegò il mistero, e che suggerĂŹ il modo di coonestare il pretesto, che la costituzione della repubblica lucchese non era piĂš adattata ai tempi, al sistema delle altre nazioni e alle circostanze generali dellâEuropa.
Bisognava pregare il sommo imperante a dare uno statuto politico speciale per Lucca, e a confidarne il governo a uno dei principi della napoleonica prosapia. A tenore della suggerita inchiesta fu redatta una costituzione semi- liberale, per lâaccettazione della quale si apersero i registri in tutte le parrocchie dello stato lucchese, onde ricevere dai votanti nel termine di tre giorni la dichiarazione della propria volontĂ , previa la condizione, che chi non firmava sâintendesse avere approvato. â Pochi infatti manifestarono la loro adesione, i piĂš si tacquero, e perciò secondo la lettera del decreto governativo tutti approvarono. Ognuno stava in aspettazione del principe che lâimperatore deâFrancesi e re dâItalia aveva in mente sua a tale piccola sovranitĂ destinato. Ma presto fu appagata la curiositĂ , conciossiachè il governo di Lucca, per insinuazione altissima, il 12 giugno manifestò al pubblico, che avrebbe chiesto per capo S. A. S. Felice Baciocchi principe di Piombino, sposo di Elisa sorella di Napoleone. Unâapposita deputazione in Bologna presentò a questâultimo il voto della nazione lucchese, e costĂ sotto la direzione dellâimperiale segreteria di stato fu redatto il nuovo statuto organico di Lucca, nel quale, per salutevole accorgimento dei deputati fu inserito un articolo riguardante lâesenzione dei Lucchesi dalla coscrizione militare francese.
Di cotal maniera accadde che, chi aveva al popolo di Lucca ridonato la libertĂ , fece sparire la piĂš vecchia repubblica toscana, per quanto al paese conservasse quella indipendenza che tante volte per brighe domestiche, o per propria debolezza, o per ragioni di stato i Lucchesi stettero in procinto di vedere sparire.
Aveva perduto bensĂŹ la sua politica esistenza il vicino piccolo ducato di Massa e Carrara sino da quando fu incorporato alla repubblica Cisalpina, poi al regno Italico.
Da questâultimo esso fu staccato, con decreto napoleonico deâ30 marzo 1806, dichiarandolo feudo imperiale, ma per lâamministrazione governativa fu riunito con la Garfagnana (eccetto Barga) al principato di Lucca. Dopo il quale accrescimento si ordinò ai principi di Lucca, non solamente di porre in vigore in tutto il loro dominio il codice di Napoleone, lo che poteva dirsi un altro benefizio, ma fu ingiunto lâobbligo di far valere nel loro stato il concordato per gli affari ecclesiastici fatto e sottoscritto fra la corte di Roma e il regno italico; lo che riuscĂŹ non poco discaro ai Lucchesi, massimamente ai corpi religiosi dellâuno e dellâaltro sesso.
Non si contavano allora in Lucca meno di 32 conventi, 15 di uomini e 17 di donne: e ad eccezione di sette, spettanti a mendicanti, gli altri tutti possedevano piĂš o meno vasti patrimonii. Aggiungansi i beni di varj capitoli, seminarii, cappellanie, confraternite e benefizii semplici; i quali tutti vennero colpiti da una sola sentenza pronunziata da piĂš alto scanno che non era quello dei principi di Lucca. La quale sentenza comandava la soppressione dei luoghi pii, e la indemanazione delle loro sostanze mobili e immobili.
In grazia di ciò il dominio di Lucca accumulò un patrimonio sopra venti milioni di franchi.
Vero è che questa risorsa vastissima pose in grado il governo di fare in gran parte uso benefico ed utile dei beni indemaniati senza per questo aggravare di troppo i sudditi di contribuzioni e di tasse.
Lâuso principale e utilissimo châElisa fece del demanio lucchese fu quello di dotare spedali, ajutare i poveri, mantenere glâinvalidi e somministrare i mezzi opportuni affine di rendere piĂš utili e incoraggire le arti belle, le scienze e le industrie nazionali. Cosicchè si dotarono le accademie, si accrebbero di cattedre gli studii, si fondarono collegii, istituti e conservatorii per educare la gioventĂš dei due sessi e di varie classi nelle scienze, nelle lettere e nella morale. Si ridusse un vasto convento per farne un locale migliore per carcerati. Furono rese piĂš praticabili le vecchie, e si aprirono di nuovo per lo stato e in varie direzioni molte e belle strade, nel tempo che altre vie troppo anguste si ampliavano dentro la cittĂ , dove furono fatte piĂš spaziose varie piazze con qualche pubblico palazzo. Si arginarono canali e fiumi: ma specialmente si lavorò intorno al Serchio, il cui alveo, trovandosi a livello del piano di Lucca, minacciava ad ogni piena straordinaria di annegare gli abitanti dei subborghi e le loro case.
Fu istituita una commissione dâincoraggiamento per lâagricoltura e per lâarti con facoltĂ di comprare macchine e di perfezionare le antiche onde animare il genio naturalmente industrioso dei Lucchesi.
Con lâidea benefica di provvedere Lucca di acqua potabile, sotto i principi Baciocchi fu dato principio alla fabbrica degli acquedotti, che lâattual governo ducale borbonico con vistoso dispendio e piĂš grandiosamente condusse dentro Lucca dalle falde settentrionali del Monte pisano a utilitĂ e decoro della cittĂ .
Tali furono le somme opere dei principi napoleonici; molte altre ne fecero utili in generale per una pronta e piĂš retta amministrazione della giustizia, e dellâentrate municipali, per la libertĂ commerciale, ec. ec. Tutte queste cose faceva Felice Baciocchi di nome, Elisa Bonaparte di fatto e di suo arbitrio, sebbene esse avessero lâapparenza di essere state deliberate, come la costituzione prescriveva, previo il consiglio e approvazione del senato lucchese; il qual corpo stette interi anni senza essere tampoco congregato.
Dopo trentaquattro mesi di stabile dimora nel principato, in virtĂš di un decreto di Napoleone, del 3 marzo 1809, Elisa recossi a Firenze col titolo di granduchessa governatrice della Toscana. Imperciocchè il regno di Etruria, cominciato il 12 agosto 1801, essendo finito col 10 dicembre del 1807, fu per volere dellâonnipotente imperatore, levata di lĂ Maria Luisa, regina reggente quel regno pel tenero figlio Infante don Carlo Lodovico di Borbone, e tosto la Toscana dichiarata provincia del grande impero.
Quantunque però i principi Baciocchi, dallâaprile del 1809 in poi, risiedessero in Firenze, Elisa non rinunziò totalmente al suo prediletto soggiorno di Lucca, dove gli pareva di essere in mezzo alla sua famiglia. E veramente ella ambiva, e si stimava di aver rigenerato cotesto paese, giacchè le scienze, le arti, il gentil costume, la eleganza del vestire, un migliore vivere e molte altre cose anche piĂš importanti, tutte si attribuivano al grande impulso da essa dato, non che alla docile indole del popolo lucchese ed ella corrispondenza trovata nei zelanti suoi ministri che vi coadiuvarono.
Ma i tempi fatali per dare il crollo al grande edifizio napoleonico si accostavano. Dopo la terribile campagna di Mosca, il mondo parve destarsi per avventarsi contro colui che lo voleva tutto per sĂŠ. Mentre pericolava in Lombardia la sorte del regno italico, si affacciarono davanti alla spiaggia di Viareggio (9 dicembre del 1813) navi inglesi per eseguirvi lo sbarco di una fazione di armati; i quali in numero di un migliajo marciarono prestamente verso Lucca con la bandiera spiegata, che indicar voleva ai balordi: Indipendenza dâItalia .
Ma la popolazione giĂ ammaestrata da simile esca, non curando le parole, fu indifferente e muta allâapparire dei sedicenti liberatori. Perciò nulla ottenendo di quanto speravano, e invece rischiando fortemente di perdere se stessi piuttosto che acquistare gli altri, il giorno dopo, per la via donde quelli erano a Lucca venuti se ne ritornarono per mettersi in mare.
Non corsero però molte settimane che il re Giovacchino, alleato di corto con lâImperatore dâAustria, inviava una divisione dellâesercito napoletano in Toscana per cacciarne Elisa sua cognata, la quale principessa dovè abbandonare anche la sua Lucca innanzi che si affacciasse il giorno 14 marzo del 1814, avendo affidato la cura del paese al consiglio di stato.
Entrarono in questa cittĂ i Napoletani nel giorno stesso 14 marzo; ma ben presto vennero a rimpiazzarli (5 maggio 1814) gli Austriaci, che tennero Lucca da padroni, finchè Maria Luisa di Borbone, giĂ regina di Etruria, non dichiarò di accettare per se e per lâInfante don Carlo Lodovico suo figlio Lucca con lâantico suo territorio sotto il titolo di Ducato; e in conformitĂ degli articoli segreti deliberati col trattato di Vienna del 9 giugno, anno 1815; di tener fermo il diritto di subentrare nellâavito ducato di Parma quando fosse vacato per morte o per altra destinazione dellâex-imperatrice di Francia, Maria Luisa di Austria. â Verificato che sarĂ un tal caso, il ducato di Lucca, salvo alcuni distretti distaccati, a tenore dello stesso trattato devâessere incorporato al granducato della Toscana.
Maria Luisa di Borbone con lâInfante suo figlio ed erede entrò in Lucca il giorno 7 dicembre del 1817. Le prime cure di quella sovrana furono dirette alla ripristinazione dei conventi, monasteri e compagnie soppresse. Fu pagato ai corpi morali lâusufrutto dei beni ecclesiastici invenduti, il cui capitale ascendeva al valore di circa undici milioni di lire lucchesi; al che poco dopo si aggiunse lâabolizione della legge sulle mani-morte fatta dalla repubblica lucchese, per modo che i corpi morali di cotesto ducato sono nuovamente in grado di ritornare i possidenti piĂš ricchi del ducato.
Fu istituita piĂš tardi (anno 1819) la confraternita detta della CaritĂ , sul modello di quella esemplarissima e antichissima della Misericordia di Firenze, della quale volle il Reale Infante farsene capo e protettore; e ciò nel tempo medesimo, in cui lo stesso principe dava il suo nome al collegio giĂ chiamato Felice, e Maria Luisa allâIstituto fondato da Elisa, mentre la figlia Luisa Carlotta dichiaravasi protettrice del conservatorio delle fanciulle in S. Nicolao.â Si ripristinò allâantico uso nel palazzo deâBorghi, ossia nella Quarquonia, il deposito di mendicitĂ ; finalmente furono riattivate le cessate sovvenzioni alle famiglie civili cadute in bassa fortuna, che anticamente pagava ad esse loro la repubblica lucchese.
Sotto il governo di Maria Luisa, in quanto alle opere di pubblica utilità , fu sopra ogni altra presa di mira quella dispendiosissima degli acquedotti, stata interrotta dopo la partenza dei principi Baciocchi, opera che prosperò e che va compiendosi sopra un piano piÚ grandioso del R.
architetto Nottolini; in grazia del quale vennero allacciate maggiori vene nel Monte pisano, e portate per acquedotto a un livello tale che le acque potessero innalzarsi sino ai primi piani delle case. Nella quale impresa il governo ha consumato finora la vistosa somma di circa 1,400,000 lire lucchesi. â Vedere ACQUEDOTTI LUCCHESI.
Anche lâorto botanico ebbe incominciamento nellâanno 1820, e progredisce sotto gli auspicii del duca felicemente regnante.
Inoltre fu terminato il Regio teatro che porta il nome del Giglio, fondato sulle vestigia di quello nazionale davanti a una moderna piazza, col disegno dellâarchitetto Giovanni Lazzarini.
Fu rimodernata, nobilitata, ingrandita e resa in ogni parte piĂš bella e piĂš ornata la reggia di Lucca; fu comprato un palazzo appositamente per il Liceo, dalla stessa sovrana dotato e corredato di macchine; e finalmente ad impulso del celebre baron di Zach, fu eretto un osservatorio astronomico a Marlia sopra un tempietto dedicato alla musa Urania.
Il duca ed Infante Carlo Lodovico di Borbone, succeduto nel 1824 nel trono di Lucca, ha procurato quieto vivere al paese, e migliorato dâogni maniera il materiale della cittĂ .
Uno dei provvedimenti diretti a questâultimo scopo fu il motuproprio del 19 aprile 1828, col quale venne ordinato, che tutti gli edifizii pubblici e privati della cittĂ di Lucca dentro lâanno 1830 fossero intonacati e datogli di tinta o di bianco, e che questâultima operazione a ogni decennio si rinnovasse; che fossero fatti i canali ai tetti fino in terra, fognate le strade, ed altre eccellenti disposizioni circa al murare allâesterno. Inoltre fu creata unâapposita commissione, nominata degli Edili, affinchè vigilasse sulle fabbriche pubbliche e private; allo zelo della quale devesi il vantaggio di aver restituito a molti vetusti edifizii sacri la loro antica fisionomia, sia col fare togliere lâintonaco sovrapposto alle interne pareti di marmo, sia collâaver ordinato che si sgombrasse da orride botteghe, e da meschine casupole lâarena dellâantico anfiteatro per ridonargli la pristina sua forma, e per convertire quellâarea in una commoda piazza.
DUCATO, ossia STATO DI LUCCA Non parlo per ora delle vicende accadute al territorio di Lucca dopo i tempi romani; solamente mi limito qui a contemplare il dominio lucchese nello stato attuale. â Sotto tal rapporto si deve distinguere il Ducato di Lucca in due parti: una unita, e lâaltra disunita, perchĂŠ dalla prima affatto isolata. Sono in tutte undici comunitĂ suddivise in 251 sezioni, ossiano parrocchie. Fra i capoluoghi delle 11 comunitĂ si contano due cittĂ , Lucca e Viareggio: le altre hanno per residenza delle terre, deâcastelli, o dei villaggi.
Nel territorio unito del Ducato lucchese trovasi la sua capitale con nove comunitĂ . Esso è circondato quasi da ogni lato dal Granducato di Toscana, meno che da settentrione e da ponente. â Dalla parte di tramontana ha a confine la Garfagnana granducale ed estense, e dal lato di ponente termina col lido del mare Tosco per il tragitto di dieci miglia.
In quanto al territorio disunito lucchese, esso è attualmente ridotto a due vicarie e comunitĂ , (Minucciano e Montignoso) situate sopra due fianchi opposti dellâAlpe Apuana. Minucciano è nel lato di settentrione, e Montignoso dalla parte di mezzogiorno; la prima di esse fra la Garfagnana estense e la Lunigiana granducale, la seconda fra il ducato di Massa e il vicariato granducale di Pietrasanta.
LâAppennino toscano, dal lato di grecale, serve di confine al territorio unito lucchese, mentre a levante viene chiuso dalle diramazioni che dallâAppennino medesimo si avvallano fra le fiumane delle due Pescie sino allâAltopascio. CostĂ il territorio lucchese attraversa da grecale a libeccio il lago di Bientina o di Sesto; quindi, volgendosi a ostro, serve al Pisano e al Lucchese di confine la cresta dentellata del Monte pisano sino alla ripa del Serchio: alla destra del quale inoltrasi per la palustre pianura di Massaciuccoli e nella direzione da levante a ponente attraversa il lago omonimo per quindi arrivare alla spiaggia del mare. Di costĂ , andando verso maestro, percorre il littorale fino a Motrone, finchè voltando direzione verso settentrione-grecale fra Pietrasanta e Camajore sale per uno sprone meridionale dellâAlpe Apuana, e varcando il giogo, ritorna nella valle del Serchio lungo il torrente di Torrita Cava.
Il territorio unito del Ducato di Lucca è posto fra il grado 27° 53â e 28° 24â di longitudine e il grado 43° 45â 4â e il grado 44° 7â 5â di latitudine. â Gli passa in mezzo il fiume Serchio; la porzione piĂš settentrionale è bagnata dallâultimo tronco della Lima e da quelli della Petrosciana , e della Torrita Cava tre fiumane, che una a sinistra e lâaltre due a destra del Serchio, le quali tutte si versano nel nominato fiume sullâingresso della Garfagnana.
La struttura fisica della pianura lucchese va progressivamente rialzandosi sopra un terreno di recente alluvione. â Le colline che fanno spalliera ai monti sono formate delle loro respettive roccie costituenti la superficiale ossatura, le quali a mano a mano dagli agenti meteorici piĂš che dallâarte vengono disfatte e sopra quelle pendici arrestate e convertite in terreno coltivabile.
Stante la variata situazione ed elevatezza del suolo che cuopre il territorio lucchese, il suo clima al pari deâsuoi prodotti mostrasi variatissimo; perocchè dalle osservazioni termometriche e barometriche, fatte nel periodo di 30 anni, apparisce, che la temperatura media di Lucca e dei luoghi piĂš bassi, nella sera e nel mattino segna il grado 14 di Reaumur e il grado 16 nel mezzogiorno; che il massimo caldo fa salire lâistrumento medesimo a gradi 26,60, e che nel massimo freddo discende a gradi 6 sotto il zero. Nei luoghi per altro piĂš elevati dellâAppennino e della Pania lucchese le nevi, se non possono dirvisi perpetue, in alcune situazioni vi stanziano piĂš mesi dellâanno. â Lâaltezza media del barometro, situato a braccia 60 sopra il livello del mare, fu riscontrata di pollici 28,60,6 e lâaltezza massima di 28,90, mentre la minima fu di 26,11,75.
ALTEZZE ASSOLUTE di vari punti della PIANURA e della CITTAâ di LUCCA al di sopra del livello del Mare Mediterraneo, dedotte trigonometricamente e partecipatemi dal Prof. P. Michele Bertin nellâanno 1838.
Altezze dei luoghi della pianura di Lucca - nome della localitĂ : Cupola degli Acquedotti, alla loro origine; situazione rispettiva: alla base settentrionale del Monte S.
Giuliano; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: (ERRATA: 268,4) 57,0 - nome della località : Lammari, sommità del campanile; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 92,2 - nome della località : Lammari, nel piazzale della chiesa; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 39,6 - nome della località : Antraccoli, palla del campanile; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 90,9 - nome della località : Antraccoli, nel piazzale; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: (ERRATA: 39,6) 30,6 - nome della località : La Nave, palla del campanile; situazione rispettiva: pianura occidentale di Lucca; Comunità a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 81,2 - nome della località : Gronda della Dogana di S. Genese di Compito; situazione rispettiva: pianura orientale di Lucca; Comunità a cui spetta: Capannori; altezza in braccia lucchesi: 39,1 - nome della località : Guamo, a piè del campanile sulla strada; situazione rispettiva: alla base settentrionale del Monte S.
Giuliano; ComunitĂ a cui spetta: Lucca; altezza in braccia lucchesi: 37,8 - nome della localitĂ : Pian della Casa del Lago di Bientina, o di Sesto; situazione rispettiva: Lago di Bientina o di Sesto; ComunitĂ a cui spetta: Capannori; altezza in braccia lucchesi: 16,1 - nome della localitĂ : Pelo del Lago suddetto; situazione rispettiva: Lago di Bientina o di Sesto; ComunitĂ a cui spetta: Capannori; altezza in braccia lucchesi: 14,7 Altezze dei luoghi dentro la cittĂ di Lucca - nome della localitĂ : Piede della Torre dellâOre; altezza in braccia lucchesi: 31,3 - nome della localitĂ : Piazza di S. Pietro Sonaldi; altezza in braccia lucchesi: 29,8 - nome della localitĂ : Soglia della Porta di Borgo; altezza in braccia lucchesi: 29,6 - nome della localitĂ : Piazza di S. Maria di Cortelandini; altezza in braccia lucchesi: 29,0 - nome della localitĂ : Piede del campanile di S. Frediano; altezza in braccia lucchesi: 28,3 - nome della localitĂ : Orto di S. Francesco; altezza in braccia lucchesi: 28,2 - nome della localitĂ : Piede del campanile della Cattedrale; altezza in braccia lucchesi: 27,6 - nome della localitĂ : Piazza di S. Maria Forisportam; altezza in braccia lucchesi: 25,6 - nome della localitĂ : Chiesa suburbana di S. Marco; altezza in braccia lucchesi: 32,7 ALTEZZE ASSOLUTE di varie MONTUOSITAâ del DUCATO di LUCCA al di sopra del livello del Mare Mediterraneo, calcolate e comunicatemi dalla cortesia dellâAstronomo Prof. P. Michele Bestini di Lucca in braccia lucchesi, le quali stanno alle braccia fiorentine come (ERRATA: 10,000 a 10,117) 10,000 a 9,883 rispetto alle braccia fiorentine - nome del monte: Rondinajo; catena alla quale appartiene: Appennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Coreglia; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3323,8 - nome del monte: Pisanino; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Minucciano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3296,7 - nome del monte: Tre Potenze, a levante (ERRATA: delle Fore, il Giovo) della Foce a Giovo; catena alla quale appartiene: Appennino centrale presso Rondinajo; ComunitĂ in cui è situato: Coreglia; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3275,0 - nome del monte: Tambura; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Minucciano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 3203,1 - nome del monte: Prato Fiorito; catena alla quale appartiene: Sprone del Rondinajo; ComunitĂ in cui è situato: Bagni di Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2197,7 - nome del monte: Calabaja; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Gallicano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2099,6 - nome del monte: Ciglione di Pascoso; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Camajore; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2079,6 - nome del monte: Monte Piano; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Camajore; altezza assoluta in braccia lucchesi: 2066,7 - nome del monte: Palodina; catena alla quale appartiene: Alpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Gallicano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1983,0 - nome del monte: Battifolle; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Villa e Bagni; altezza assoluta in braccia lucchesi: (ERRATA: 1875,2) 1876,2 - nome del monte: Le Pizzorne, alla Pietra Pertusa ; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1642,4 - nome del monte: Torricelle di Pescaglia; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Pescaglia, giĂ di Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1634,1 - nome del monte: Bargilio, sommitĂ della torre; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Borgo a Mozzano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1493,8 - nome del monte: Croce delle Pizzorne; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1373,7 - nome del monte: Gaglione sui monti di Brancoli; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1336,1 - nome del monte: Gombitelli, sommitĂ del monte; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Camajore; altezza assoluta in braccia lucchesi: (ERRATA: 1186,7) 1253,8 - nome del monte: Brancoli, sommitĂ della torre; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAppennino centrale; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: (ERRATA: 1253,3) 1186,7 - nome del monte: Tereglio, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Sprone meridionale del Rondinajo; ComunitĂ in cui è situato: Coreglia; altezza assoluta in braccia lucchesi: 1013,5 - nome del monte: Penna del Monte Pisano; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 921,7 - nome del monte: Monte di S. Cerbone; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 741,0 - nome del monte: (ERRATA: Vaccoli) Vecoli, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 622,9 - nome del monte: Rocca, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Borgo a Mozzano; altezza assoluta in braccia lucchesi: 570,3 - nome del mo nte: Castelluccio di Compito, sommitĂ del monte; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 494,5 - nome del monte: S. Ginese, sommitĂ del campanile; catena alla quale appartiene: Monte Pisano; ComunitĂ in cui è situato: Capannori; altezza assoluta in braccia lucchesi: 179,0 - nome del monte: Pieve S. Stefano, sommitĂ del monte; catena alla quale appartiene: Sprone dellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 492,4 - nome del monte: Marlia, sommitĂ del terrapieno della Specola; catena alla quale appartiene: Base meridionale delle Pizzorne; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 268,4 - nome del monte: Nozzano, piano del campanile; catena alla quale appartiene: Ultimo sprone australedellâAlpe Apuana; ComunitĂ in cui è situato: Lucca; altezza assoluta in braccia lucchesi: 116,0 Fra le produzioni naturali sono celebri per lâEuropa non che in Italia le acque termali di Corsena, note sotto il nome generico deâBagni di Lucca; mentre il paese abbonda di marmi e di macigni. Cavansi i primi dal fianco settentrionale del Monte S. Giuliano, dove pure si lavora la pietra steaschistosa di Guamo. Lâescavazione dei migliori macigni è presso Chifenti, come pure alla base occidentale e meridionale delle Piazzorne. â Si trovano rocce di diaspro nel Monte Fegatese e a Gello sotto il Monte di Pescaglia.
In un ragionamento sulla peste del 1576 un medico lucchese di quellâepoca scrivendo ad un amico lo informava: "che Lucca, essendo da tutte le bande circondata dai monti, è dominata piĂš dai venti caldi che freddi mediante la foce aperta verso Ripafratta, per la quale spesso piglia strada il libeccio, vento pessimo per Lucca. Quanto spetta allâaria voi sapete benissimo essere molto umida, e perciò sono nella nostra cittĂ tante scese, tanti catarri, tanti doloro di fianche, tante ernie e tante febbri lunghe ec." Ă altresĂŹ vero che le condizioni fisiche del clima di Lucca dal secolo XVI a questa parte sono assai migliorate in grazia di una maggior cura nelle opere idrauliche, sia perchĂŠ si tengono piĂš puliti i fossi e canali di scolo, quanto ancora per la custodia degli argini e il prosciugamento della pianura traversata dallâOzzeri e dal Serchio. Altronde la cittĂ di Lucca avendo una lunga foce dal lato di settentrione, e largheggiando la sua pianura dalla parte di levante, riceve conforto dai venti salutiferi che soffiano da oriente per cacciar via gli umidi vapori.
In quanto allâindustria agraria lucchese, tipo e modello di tutti i paesi, essa può dividersi in tre porzioni, sia per la qualitĂ del suolo, sia per la posizione ed elevazione respettiva del paese. In vista di ciò i Lucchesi distinguono il loro territorio agricola in tre maniere; la prima nel contado delle sei miglia, che comprende il piano intorno alla cittĂ di Lucca con le adiacenti colline; la seconda nel territorio della marina, in cui è Massarosa, Montramito, Viareggio e Camajore con la sua ubertosa vallecola; la terza è compresa nellâagricoltura dellâAppennino, cui spettano, in tutto o in parte, le comunitĂ di Villa Basilica, del Borgo a Mozzano, di Gallicano e dei Bagni di Lucca.
â Dalla prima si hanno nella pianura grani, ortaggi, siciliani, legumi, fieni, foglia di gelso e vini comuni in abbondanza; nelle colline adiacenti, olio squisito e il piĂš accreditato di tutti quelli dâItalia, dei frutti dâogni sorta, e, specialmente nei colli esposti a levante e a mezzogiorno, vini generosi. Nella parte posta fra i poggi e la marina suole raccogliersi grandissima quantitĂ di granturco, di fieno, e di giunchi per uso di seggiolame ed altro con vaste pinete. Il vino che quel suolo produce è salmastroso e fiacco. â Nei poggi delle interne vallecole, oltre il vino e lâolio, abbondano selve di castagni. Finalmente la terza porzione, detta dellâAppennino, nelle parti meglio esposte e meno elevate, olio e vino eccellente; in generale poi una gran quantitĂ di castagne, superiori quasi sempre al consumo del contado lucchese, talchè nelle buone annate se ne fa un commercio anche allâestero.
Le terre nella pianura di Lucca sono per lo piĂš date a livello agli stessi coltivatori mediante un annuo canone.
Nelle colline ha luogo il sistema della mezzerĂŹa. Alla marina i possidenti ordinariamente costumano di far lavorare a proprio conto i loro fondi posti a piè del monte, che sono per lo piĂš ulivati, mentre nella porzione spettante allâAppennino molti coltivatori sono padroni diretti del terreno, o affittuarii per lâutile dominio.
Non si conosce ancora con esatezza la superficie quadrata del territorio unito lucchese, comecchè esso approssimativamente sia calcolata insieme con la porzione staccata del suo territorio a circa 360 miglia quadrate toscane. Nella stessa superficie, allâanno 1832, si trovavano 150,225 abitanti; i quali, proporzionatamente ripartiti, darebbero 415 individui per ogni miglio quadrato a misura toscana, lo che starebbe a confermare lâopinione invalsa, che il territorio lucchese sia uno dei piĂš popolati che contino gli Stati d i Europa.
Popolazione del TERRITORIO LUCCHESE in epoche diverse.
Nellâanno 1733 la popolazione era di 113,190 Nellâanno 1744 la popolazione era di 114,693 Nellâanno 1758 la popolazione era di 118,128 Nellâanno 1781 la popolazione era di 119,209 Nellâanno 1818 la popolazione era di 126,645 Nellâanno 1819 la popolazione era di 127,895 Nellâanno 1820 la popolazione era di 129,513 Nellâanno 1821 la popolazione era di 132,045 Nellâanno 1822 la popolazione era di 135,175 Nellâanno 1823 la popolazione era di 136,927 Nellâanno 1824 la popolazione era di 138,698 Nellâanno 1827 la popolazione era di 145,825 Nellâanno 1828 la popolazione era di 147,980 Nellâanno 1832 la popolazione era di 150,225 Nellâanno 1837 la popolazione era di 164,151 Dallâenunziato prospetto pertanto apparisce, che la popolazione in 104 anni aumentò di 50,961 abitanti, quasi un terzo maggiore di quella del 1733, e del 1744; e che negli ultimi 19 anni (dal 1818 al 1817) fu sĂŹ rapido e straordinario lâaumento da trovare un soprappiĂš di 37, 506 abitanti.
Rapporto alle rispettive comunità il DUCATO DI LUCCA nel 1832 somministrò i seguenti resultati.
Nel Territorio unito ComunitĂ di Lucca, Abitanti N° 59,096 ComunitĂ di Capannori, Abitanti N° 31,431 ComunitĂ di Villa Basilica, Abitanti N° 6,851 ComunitĂ del Borgo (a Mozzano), Abitanti N° 9,631 ComunitĂ dei Bagni di Lucca, Abitanti N° 8,056 ComunitĂ di Coreglia, Abitanti N° 3,733 ComunitĂ di Gallicano, Abitanti N° 3,078 ComunitĂ di Camajore, Abitanti N° 13,722 ComunitĂ di Viareggio, Abitanti N° 11,166 Nel Territorio disunito ComunitĂ di Montignoso, Abitanti N° 1,378 ComunitĂ di Minucciano, Abitanti N° 2,083 TOTALE, Abitanti N° 150,225 Divisa per classi la popolazione del DUCATO DI LUCCA nellâanno 1832 presentò i seguenti resultamenti.
Famiglie nobili, N° 105 Clero secolare e regolare, N° 1,898 Forzâarmata di linea, non compresi i due battaglioni di guardia urbana, N° 750 Impiegati civili, N° 1,270 Possidenti terrieri e livellarii, N° 40,000 Addetti alle Arti e Mestieri, N° 6,300 Addetti alla Pesca e alla Marina, N° 450 SOMMA deglâindividui delle classi suddette, N° 50,793 Sulle quali classi vivevano gli altri abitanti dei due sessi di tutto il ducato, cioè, N° 99,432 TOTALE , N° 150,225 Donde ne consegue, che fra 4 abitanti contasi nello stato lucchese un possidente.
Il valore di tutti i beni stabili del Ducato di Lucca, a tenore del casato compilato al principio del presente secolo, ammontò a 112,500,000 di lire lucchesi. Giova per altro avvertire che, quando saranno terminate le attuali operazioni geodetiche e catastali del territorio lucchese, le suddette cifre, sia di misura come di valore, dovranno subire una variazione.
Una porzione però di tanta gente raccolta in sĂŹ piccolo spazio trae di che vivere il restante dellâanno lungi dalla patria. Avvegnachè due mila uomini con parte delle loro famiglie passano nelle fredde e temperate stagioni per lavorare in altri paesi, un migliajo nellâisola della Corsica, sette centinaja a un circa nelle granducali maremme; il restante poi gira attorno allâEuropa, e per fino al di lĂ di questa, dove vendono figurine di gesso e di stucco, per quindi recare il profitto che ne ritraggono in patria.
VICENDE PIUâ RIMARCHEVOLI DELLO STATO LUCCHESE Una questione di alta e difficile lena si addosserebbe colui che volesse dimostrare, quali fossero stati i confini dello stato di Lucca anteriormente allâimpero romano.
Avvegnachè poco piĂš vi è da sapere che il territorio in questione, quando faceva parte della Liguria dipendeva dal governo provinciale della Gallia Cisalpina, e ciò nel tempo in cui Pisa col distretto era compresa nella Toscana, ultima provincia occidentale dellâItalia propriamente detta, durante il dominio della romana repubblica. â Che se Polibio nelle sue istorie, se Sillace nel suo Periplo, fecero dellâArno il confine occidentale dellâEtruria; niuno di essi due, nĂŠ alcun altro scrittore, che a me sia noto, sembra essersi occupato di tramandare ai posteri, se il territorio antico pisano a quellâetĂ oltrepassasse o nò il fiume maggiore della Toscana. Ciò non ostante vi ha qualche ragione per indurci a credere, che il contado allâoccidente della cittĂ di Pisa verso la marina di Viareggio sâinoltrasse.
Per dar peso a tale congettura, quando altra testimonianza non vi fosse, giovano le parole di Tito Livio, il quale ne avvisò, che allâanno 561 di Roma il territorio di Luni confinava lungo il mare immediatamente con quello di Pisa. Un tal vero piĂš che altrove ci si rende manifesto lĂ dove lo storico, (libro XXXIV cap. 56) racconta, come Marco Cincio, allora prefetto in Pisa, mandò un avviso per lettere al senato, che ventimila Liguri di varie tribĂš avevano improvvisamente invaso e devastato le campagne di Luni, e di lĂ oltrepassando nel confine pisano fatta incursione in tutta quella spiaggia, cioè: Lunensem primum agrum depopulatos, Pisanum deide finem transgressos, omnem oram maris peragrasse. â Vedere ALPE APUANA Vol. I. pag. 71.
Inoltre dalle stesse espressioni, non che da altri riscontri dello storico menzionato, sembra resultare, che la cittĂ di Luni sino dâallora non solo dipendeva dal prefetto residente in Pisa, ma che il territorio di Luni verso il mare attaccava con quello pisano, e per conseguenza la cittĂ col porto lunese dovevano far parte dellâetrusca e non della ligustica regione.
A convalidare un tal fatto qui si presta opportunamente Strabone, il quale nella sua geografia istorica, sebbene scritta sotto lâimpero, e neâprimi anni di Tiberio, egli conservò la divisione politica delle provincie italiane secondo la ripartizione fatta dalla repubblica romana, piuttosto che adottare le innovazioni attribuite allâImperatore Ottaviano. Avvegnachè nella Toscana, e non nella Liguria, dal greco geografo fu inclusa la cittĂ e per fino il golfo ossia porto di Luni, comecchè questâultimo si trovi alla destra del fiume Magra, e conseguentemente nella provincia ligustica. Per lo contrario, rapporto al territorio lucchese, Stradone seguitando le tracce degli antichi storici romani, situò nella Gallia Cisalpina o Togata la cittĂ di Lucca insieme al suo territorio con tutto il restante della vecchia Liguria.
In ogni caso ne conseguita, che lâArno nei secoli VI e VII di Roma non era piĂš, e forse non servĂŹ mai di confine preciso fra la Toscana e la provincia dei Liguri, siccome sembra che non lo divenisse neppure il fiume Magra allâoccasione che la cittĂ insieme col porto di Luni fu riunita al dominio romano. Molto meno poi doveva a quellâetĂ fra la Liguria e lâEtruria servire di limite il Serchio, siccome fu supposto dallâerudito storico fiorentino Vincenzio Borghini; sia perchĂŠ questo fiume terminava collâArno a Pisa, sia perchĂŠ la valle da esso attraversata, a partire dalle confluenze dei due Serchii, cioè, da quello di Soraggio con lâaltro di Minacciano, fino da tempo immemorabile fu sotto la giurisdizione di Lucca.
Frattanto se mi venisse fatto il quesito: qual linea di demarcazione dividesse il territorio ligustico di Lucca da quello toscano di Luni e di Pisa? risponderei, che troppi ostacoli si frappongono per soddisfare a cotesta domanda, tosto che niuno a quel che ne sembra prese finora di mira la dilucidazione di cotesto importante subbietto di antica geografia patria.
Se però vogliamo affidarci alle cose da Tito Livio asserite; e se dobbiamo tener conto delle espressioni di Plinio il vecchio, fia gioco forza concedere, che il territorio della colonia di Lucca, punto nÊ poco si accostasse al litorale pietrasantino, ossia della Versilia, siccome avvenne realmente nei tempi posteriori.
Se poi amiamo di stare alla peculiare divisione fra la Toscana e la Gallia Cisalpina indicataci da Stradone nel quinto libro della sua opera storico-geografica, vedremo, che egli la traccia in termini equivalenti a un dipresso ai confini qui sotto espressi: LâAppennino (dice Stradone) progredendo dalla Liguria nellâEtruria lascia unâangusta spiaggia alla sua base, finchè dal mare a poco a poco si discosta, appena che arriva nel territorio pisano; e costĂ , voltando nella direzione di oriente, attraversa la penisola, finchè giunge alla marina tra Rimini e Ancona.
Quindi lâautore medesimo soggiunge: Cotesta traversa montuosa separa la Toscana e lâUmbria dalla Gallia Cisalpina. Se dobbiamo tener conto, io diceva, di coteste indicazioni, credo che non anderebbe molto lungi dal vero colui che supponese aver servito in quel tempo di linea di confine la piccola giogana dellâAlpe Apuana, la cui pendice meridionale, camminando da Fosdinovo a Pietrasanta, fu sempre della giurisdizione lunense; sicchè essa servisse di limite fra la toscana e la ligustica contrada, fra il litorale della Versilia, di Massa e Carrara e la valle di Garfagnana percorsa dal Serchio: in una parola fra il distretto di Luni e quello di Lucca. Lâultimo deâquali intorno allâanno 538 di Roma (216 anni innanzi GesĂš Cristo) venne compreso nella provincia della Gallia Cisalpina, nel tempo, cioè, in cui questa regione dal romano senato fu dichiarata provincia pretoriale.
In tale stato continuò a restare la cittĂ di Lucca con tutto il suo distretto, fino a che la Gallia Cisalpina, per Senatus consulto dellâanno 713 di Roma, e 41 avanti Ge sĂš Cristo, fu riunita allâItalia propriamente detta, affinchĂŠ dipendesse immediatamente dalle leggi ed istituzioni di Roma. (DION. CASS. Histor. Rom. Lib. XLVIII.) ResterĂ non ostante una grandissima difficoltĂ da superare, come sarebbe quella di sapere: quali fossero i confini fra il territorio lucchese e il distretto pisano dalla parte meridionale di Lucca: e se mai poteva esser quello, che servĂŹ poi di linea di demarcazione lungo il giogo del Monte pisano; in guisa che avvallandosi a Bientina, dovesse poi voltare faccia per andare incontro ai contrafforti dellâAppennino pesciatino e pistojese? In quanto spetta al territorio della colonia di Lucca verso settentrione, abbiamo dâonde arguire, châesso arrivasse sulla schiena dellâAppennino di Parma e di Piacenza dalla Tavola alimentaria scoperta nel 1747 presso la ripa del fiume Nura nellâantico territorio di Veleja. Nel quale monumento dellâetĂ di Trajano veggonsi incisi, non solo i nomi di molte famiglie che ipotecarono i loro fondi per sicurezza del denaro preso a frutto, ma ancora vi si legge la loro patria ed i titoli dei vici, o pagi, in cui i detti fondi erano situati. Arroge che, fra i 40 pagi ivi designati, avvenne uno (il pago Minervio) situato nella parte montuosa dellâAppennino velejate, il quale apparteneva alla colonia lucchese. Inoltre ivi si avvisa, che il pago Valerio, il pago Vellejo , il pago Albense, e molti boschi compresi nel territorio di Veleja, a quella etĂ confinavano con il territorio lucchese; et obbligare fundos Terentianos et Malapacios, qui sunt in Velejate pago Statiello, AD FINES REIPUBLICAE LUCENSIUM. Item fundos Lucilianos, Didianos, qui sunt in Velejate pago Valerio, ad fines LUCENSIBUSâŚ. Item fundum SatrianumâŚ. in Velejate pago Vellejo, ad FINES LUCENSIBUSâŚ. Item saltum Bittuniam Albitemium, QUI EST IN VELEJATE ET IN LUCENSI pagis Albense, et Minervio, et Statiello, AD FINES REIP. LUCENSIUM, etc.
Dopo letta quella preziosa Tavola chi oserebbe contraddire che lâantico agro della colonia lucchese non oltrepassasse di lĂ dai monti pontremolesi e di Borgo Taro onde giungere sino al territorio di Veleja? Cotesta Tavola alimentaria potrebbe giovare eziandio a scuoprirci la sede delle tribĂš di quei Liguri, i quali tra lâanno 565 e 575 di Roma furono combattuti ed espulsi dalle valli superiori del Taro e della Magra, ed il cui territorio, per lâestensione di (ERRATA: 303,000) 103,000 jugeri, nellâanno 577 di Roma, dâordine del senato venne distribuito fra i duemila cittadini romani della colonia dedotta a Lucca.
Forse qualcun altro domanderĂ : da qual parte il territorio, che fu nel 577 assegnato alla mentovata colonia di Lucca, fronteggiasse con quello dato tre anni innanzi alla colonia di diritto latino dedotta a Pisa? E come mai il territorio della lucchese colonia, penetrando nel rovescio dellâAppennino verso la Lombardia, conciliare si potrebbe con le parole di Tito Livio, il quale ne assicura, che i 303,000 jugeri del terreno assegnato alla colonia di Lucca, sebbene fosse stato tolto ai Liguri, innanzi tutto esso apparteneva agli Etruschi? Questioni importantissime, ma non confacenti a un dizionario istorico. â Dirò solo, in quanto allâultimo quesito, che le parole di Livio e la Tavola Velejate concordar potrebbero con le vicende istoriche, quante volte lâerudito, distinti bene i tempi e le cose, richiami alla sua memoria altri fatti di natura consimile. Citerò a modo di esempio, il caso non infrequente pel quale i legislatori del Campidoglio costumavano concedere ad una stessa colonia terreni distaccati dal territorio distrettuale della cittĂ , o capoluogo, da cui prendevano nome i coloni. â Per tal guisa non sembrerĂ strano, se Cicerone raccomandava a Decimo Bruto la sorveglianza e tutela sugli affitti ed entrate provenienti dai terreni che il municipio di Arpino, posto negli Abruzzi, possedeva nellâalta Italia. (Epist. Famil. Lib. XIII. n° 11 e 12).
NÊ tampoco fa opposizione il detto di Tito Livio in quanto al territorio assegnato alla colonia lucchese, per aver detto, tolto ai Liguri sebbene in origine stato degli Etruschi. Avvegnachè anche costassÚ nei contorni di Modena, di Parma ec. prima dei Liguri e dei Galli vi signoreggiò per lunga età quella confederazione che si appellò degli Etruschi Circompadani. E nella guisa che lo storico patavino disse, essere stato dei Toscani innanzi che fosse occupato dai Galli Boj il territorio, sul quale furono dedotte le colonie romane di Bologna, di Modena e di Parma (Histor. Lib. XXXVII, e XXXIX), per la ragione medesima quello consegnato alla colonia di Lucca potè per avventura essere un dÏ appartenuto agli Etruschi Circompadani o Transappennini; i quali furono espulsi dai contorni di Piacenza e di Parma dai Liguri Montani, Levi, Apuani, Briniati, e da altre simili tribÚ.
Dove apparisce anche meno chiara la verità , mi sembra dalla parte orientale del territorio lucchese; tostochè ignorasi affatto quali fossero i suoi confini sotto il romano dominio con quelli della Toscana.
Comunque vada la bisogna, ad ogni modo non mancano ragioni da conchiudere, che il territorio lucchese allâepoca romana abbracciava unâassai grande estensione di paese.
E questa doveva trovarsi ben popolata alla decadenza della Romana repubblica, essendochè la contrada di Lucca, per asserto di Stradone, era sparsa di frequenti casali e borgate abitate da gente rinomata per probità : e dalla quale il senato romano traeva gran moltitudine di scelte milizie a piedi e a cavallo: Regio tamen probitate virorum (disse quello scrittore) floret, et robur militare magnum hinc educitur, et equitum multitudo, ex quibus senatus militares capit ordines, etc. (GEOGRAPH. Lib.
V.) Da quali colonie si scegliessero le legioni e le coorti del senato di Roma ai tempi del greco geografo lo diede a conoscere Cornelio Tacito (Annales Lib. IV c. 5), quando avvertiva, che una milizia speciale e piĂš distinta tenevasi di guarnigione nella capitale dellâimpero; cioè, tre coorti urbane, e nove coorti pretoriane scelte dallâEtruria, dallâUmbria, dal vecchio Lazio e dalle colonie anticamente romane (et coloniis antiquitus romanis). Le quali ultime espressioni, a parere dellâeruditissimo istorico Borghini, vanno intese per colonie romane non state mai manomesse, nĂŠ riformate.
Da quanto ho qui accennato può quasi stabilirsi, che il decreto sulla nuova divisione politico-geografica, che staccò dalla Gallia Cisalpina il territorio lucchese per riunirlo alla Toscana, dovè pubblicarsi verso il principio del triumvirato di Ottaviano con Marcantonio e Lepido; cioè, 38 anni innanzi GesĂš Cristo. E sebbene piĂš volte nominato Stradone nella sua geografia adottasse lâantica divisione, e descrivesse Lucca col suo contado nella Gallia Citeriore, egli pertanto non mancò di avvertire, che fino daâsuoi tempi molti scrittori designavano la Magra per confine fra la Liguria e la Toscana, per quanto le cittĂ di Lucca e di Luni, anche nei temp i posteriori al romano impero, tenessero una parte del loro territorio nella ligustica regione. â Vedere LUNI e LUNIGIANA.
Altronde vi fu piĂš di uno scrittore il quale opinò, che non solo dal lato dellâAppennino anticamente sâinnoltrasse il territorio lucchese, ma eziandio credè che si estendesse di qua verso la Toscana fino nel volterrano e nelle grossetane maremme. Alla quale opinione presentavano un buon appoggio varii documenti dei secoli intorno al mille, appartenenti alla chiesa cattedrale di Lucca. Ma per aderire a tale opinione troppe difficoltĂ mi si affacciano, quali mi riserbo di esternare qui appresso. Vedere Articolo DIOCESI DI LUCCA.
Se nel trascorrere i tempi romani non troppo copiose furono le memorie che riferire potevano al territorio lucchese, anche piĂš scarse mi si presentano quelle relative ai secoli barbari. Durante i quali, se la giurisdizione civile ed ecclesiastica della cittĂ di Lucca venne accorciata e suddivisa dal lato settentrionale, sembra allâincontro che essa per nuovi acquisti andasse allargando dalla parte occidentale e meridionale sino al punto da pervenire verso ponente sul lido del mare, e dalla parte di scirocco arrivare nel Val dâArno inferiore sulle colline dellâEvola nel territorio sanminiatese, e verso la Valle dellâEra attraversare la vallecola della Cascina fino in Val di Tora.
Mancano è vero documenti anteriori al secolo VIII per dimostrare lâacquisto fatto dai Lucchesi nella Marina di Viareggio e di Pietrasanta. â Che se non fosse perduta la pergamena originale della fondazione della badia di Monte verdi, fatta nellâanno 754 da due signori longobardi, uno di Pisa, lâaltro di Lucca, forse potrebbesi da quel documento intendere meglio una espressione relativa alla chiesa e monastero di S. Salvatore di Versilia, (ora parrocchiale di S. Salvatore presso le mura di Pietrasanta), il qual monastero ivi si dichiara edificato nei predii di Walfredo nobile pisano situati sul confine dellâagro pisano e lunense: quem nos (Walfredo) edificavimus super campo Pisanica et Luniensi.
Infatti il fiume Versilia per lunga etĂ servĂŹ di confine orientale alla diocesi e giurisdizione lunense, siccome sembra che lo fosse durante il dominio romano rapporto al contiguo distretto civile di Pisa. Se non che col progredire dei secoli, a principiare almeno dalla dinastia Carolingia, dubito che le divisioni territoriali di alcune cittĂ della Toscana, e specialmente di quelle di Lucca e di Pisa, soffrissero una sensibile variazione. Alla qual epoca certamente ne richiamano le carte dellâArchivio Arcivescovile Lucchese, le quali dimostrano, come al secolo IX i confini dello stato lucchese, almeno per la giurisdizione spirituale, eransi dilatati al di lĂ della base meridionale dei monti di Camajore e di Pietrasanta, comecchè la diocesi ecclesiastica di Lucca avesse giĂ da lunga mano oltrepassato i confini dellâArno ed esteso il suo dominio alla sinistra di questo fiume sopra lâantica Toscana, a scapito verosimilmente del territorio di Pisa.
Infatti il distretto di San Miniato, ossia lâantico ed esteso pievanato di S. Genesio, nel secolo IX dipendeva dal governo di Lucca anche nel civile, siccome da lungo tempo innanzi gli era sottoposto per lâecclesiastico. Del qual vero non ne lascia dubitare una donazione fatta dal Marchese Adalberto il Ricco alla cattedrale di S. Martino sul cadere del suddetto secolo IX, o al principio del X; avvegnachè in quellâistrumento si dichiara, che il Marchese Adalberto donava le sue corti poste a Pescia e a S. Genesio, quas habere visus sum in Comitatu Lucense.
Ma se in tanta distanza di tempi e con scarsissime memorie fia difficile lâinvestigazione degli antichi limiti del territorio lucchese, alquanto meno oscuri essi appariscono dopo che la cittĂ di Lucca, nel secolo XII, emancipossi dal governo dei marchesi, duchi e conti imperiali.
In questo mezzo tempo, perciò che riguarda lâamministrazione civile e giudiciaria, a Lucca fu assegnata una gran parte della Val di Cornia, benchĂŠ compresa nella giurisdizione ecclesiastica di Populonia; sicchè essa valle, per diritto di conquista divenuto patrimonio del fisco, fu divisa fra il re e i duchi, dai quali passò per dono, o per successione ereditaria in altri potenti longobardi pisani e lucchesi. Vedere CORNINO (CONTADO e SUBDOMINIO).
Per lo stesso modo, come paese di prima aggressione deâLongobardi, Luni col suo territorio dipendere dovè nel civile e nel politico dal governo dei duchi lucchesi, almeno persino allâistituzione dei conti di Luni nella persona dei vescovi di quella cittĂ . â Vedere LUNI e LUNIGIANA.
In quanto poi allâestensione del territorio di Lucca nei secoli intorno al mille, oltre la carta di donazione del Marchese Adalberto II qui sopra rammentata, colla quale si dichiarano le corti di S. Genesio e di Pescia del contado lucchese, io giĂ feci conto, allâArticolo CERRETO GUIDI, di unâatto pubblico dellâano 1086, rogato ad istanza dei conti Guidi nel loro castello di Cerreto, giudicaria lucchese. Il quale rogito giova a dimostrare, che a quella etĂ il territorio lucchese estendevasi nel Val dâArno inferiore fino alle falde del Monte Albano; comecchè allâArticolo FUCECCHIO non omettesi di accennare un istrumento del 1034, in cui si dichiarava questâultimo castello della giurisdizione di Pistoja.
Per egual modo la chiesa di S. Donnino a Cerbaja , ora a Castel Martini, posta dentro i confini dellâantica Diocesi Lucchese, nel secolo XIII dipendeva nel politico da Pistoja. â Vedere DONNINO (S.) a CASTEL MARTINI.
Confinando pertanto il territorio di Lucca con quelli di Pisa e di Firenze, nei secoli posteiori al mille dovè andar soggetto a frequenti variazioni, secondo gli eventi delle guerre per cagione appunto di castella scambievolmente pretese e guerreggiate, tanto nella Val di Nievole come nella Versilia e nella Lunigiana, e ciò per sino a che la repubblica di Lucca, dallâanno 1439 al 1513, dovè lasciare affatto dal lato orientale il dominio della vicaria di Val di Nievole, ossia di Pescia, e le cinque terre di Val dâArno; dal lato settentrionale le vicarie di Barga, di Castelnuovo, e di Camporgiano, tutte in Garfagnana; e dal lato di ponente le vicarie di Massa Lunense, Carrara e Pietrasanta.
Furono erette posteriormente in vicarie, Gallicano, Minacciano e Montagnoso. Quelle di Capannori e di Viareggio sono di piĂš moderna istituzione; la prima di esse venne formata con una parte del contado delle sei miglia, e lâaltra con porzione della vicaria di Camajore.
La comunitĂ di Pescaglia conta la sua origine dallâanno 1838. Essa componesi di 17 sezioni o parrocchie con una popolazione di 5455 abitanti, che figura nel Quadro qui appresso insieme con la popolazione delle limitrofe comunitĂ di Lucca, di Borgo e di Camajore.
Il piÚ recente smembramento del territorio lucchese è stato fatto dalla dinastia attualmente regnante, la quale rinunziò a favore del duca di Modena il territorio di Castiglione in Garfagnana, circondato per ogni lato dagli Stati Estensi.
QUADRO della popolazione del DUCATO di LUCCA a tre epoche diverse.
- nome del Capoluogo di ComunitĂ : LUCCA cittĂ e comunelli compresi nella ComunitĂ .
Capitale: abitanti anno 1744 n° 20,770, abitanti anno 1832 n° 21,829, abitanti anno 1837 n° 23,167, famiglie nel 1837 n° 4,778 Sezioni (N° 83): abitanti anno 1744 n° 12,312, abitanti anno 1832 n° 37,267, abitanti anno 1837 n° 42,192, famiglie nel 1837 n° 7,110 - nome del Capoluogo di Comu nità : Viareggio città e comunelli compresi nella Comunità .
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 469, abitanti anno 1832 n° 4,883, abitanti anno 1837 n° 5,590, famiglie nel 1837 n° 1,041 Sezioni (N° 12): abitanti anno 1744 n° 1,810, abitanti anno 1832 n° 6,283, abitanti anno 1837 n° 7,281, famiglie nel 1837 n° 1,221 - nome del Capoluogo di Comunità : Camajore terra e comunelli compresi nella Comunità .
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 8,616 (compresi gli abitanti delle 20 sezioni), abitanti anno 1832 n° 2,661, abitanti anno 1837 n° 2,120, famiglie nel 1837 n° 2,692 (comprese le famiglie delle 20 sezioni) Sezioni (N° 20): abitanti anno 1744 n° 8,616 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 9,061, abitanti anno 1837 n° 12,127, famiglie nel 1837 n° 2,692 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Capannori borgata e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 32,595 (compresi gli abitanti delle 39 sezioni), abitanti anno 1832 n° 1,820, abitanti anno 1837 n° 33,952 (compresi gli abitanti delle 39 sezioni), famiglie nel 1837 n° 5,499 (comprese le famiglie delle 39 sezioni) Sezioni (N° 39): abitanti anno 1744 n° 32,595 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 29,611, abitanti anno 1837 n° 33,952 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 5,499 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Villa Basilica borgata e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 7,275 (compresi gli abitanti delle 11 sezioni), abitanti anno 1832 n° 3,472, abitanti anno 1837 n° 7,505 (compresi gli abitanti delle 11 sezioni), famiglie nel 1837 n° 1,473 (comprese le famiglie delle 11 sezioni) Sezioni (N° 11): abitanti anno 1744 n° 7,275 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 5,379, abitanti anno 1837 n° 7,505 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 1,473 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Montignoso villaggio e rocca senza comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 921, abitanti anno 1832 n° 1,378, abitanti anno 1837 n° 1,582, famiglie nel 1837 n° 341 Sezioni (N° -) - nome del Capoluogo di Comunità : Borgo a Mozzano villaggio e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 7,178 (compresi gli abitanti delle 25 sezioni), abitanti anno 1832 n° 741, abitanti anno 1837 n° 10,375 (compresi gli abitanti delle 25 sezioni), famiglie nel 1837 n° 1,981 (comprese le famiglie delle 25 sezioni) Sezioni (N° 25): abitanti anno 1744 n° 7,178 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 8,890, abitanti anno 1837 n° 10,375 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 1,981 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Bagno villaggio e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 7,567 (compresi gli abitanti delle 16 sezioni), abitanti anno 1832 n° 780, abitanti anno 1837 n° 8,470 (compresi gli abitanti delle 16 sezioni), famiglie nel 1837 n° 1,641 (comprese le famiglie delle 16 sezioni) Sezioni (N° 16): abitanti anno 1744 n° 7,567 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 7,276, abitanti anno 1837 n° 8,470 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 1,641 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Coreglia castello e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° -, abitanti anno 1832 n° 1,159, abitanti anno 1837 n° 4,228 (compresi gli abitanti delle 6 sezioni), famiglie nel 1837 n° 806 (comprese le famiglie delle 6 sezioni) Sezioni (N° 6): abitanti anno 1744 n° -, abitanti anno 1832 n° 2,574, abitanti anno 1837 n° 4,228 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 806 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Gallicano castello e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 2,464 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), abitanti anno 1832 n° 1,087, abitanti anno 1837 n° 3,359 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), famiglie nel 1837 n° 601 (comprese le famiglie delle 9 sezioni) Sezioni (N° 9): abitanti anno 1744 n° 2,464 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 1,991, abitanti anno 1837 n° 3,359 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 601 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Minucciano castello e comunelli.
Capoluogo: abitanti anno 1744 n° 2,016 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), abitanti anno 1832 n° 324, abitanti anno 1837 n° 2,203 (compresi gli abitanti delle 9 sezioni), famiglie nel 1837 n° 361 (comprese le famiglie delle 9 sezioni) Sezioni (N° 9): abitanti anno 1744 n° 2,016 (compresi gli abitanti del Capoluogo), abitanti anno 1832 n° 1,759, abitanti anno 1837 n° 2,203 (compresi gli abitanti del Capoluogo), famiglie nel 1837 n° 361 (comprese le famiglie del Capoluogo) - nome del Capoluogo di Comunità : Castiglione di Garfagnana.
Abitanti anno 1744 n° 2,606, abitanti anno 1832 n° -, abitanti anno 1837 n° -, famiglie nel 1837 n° - - Totale degli abitanti anno 1744 n° 106,599 - Totale degli abitanti anno 1832 n° 150,225 - Totale degli abitanti anno 1837 n° 164,151 - Totale delle famiglie anno 1837 n° 29,545 DIOCESI DI LUCCA La diocesi di Lucca è una delle piĂš antiche, siccome lo era tra le piĂš vaste della Toscana, il di cui gerarca, prima di essere arcivescovo (cioè nel 1726) fu sempre immediatamente soggetto alla Chiesa maggiore del cristianesimo, a quella cioè di Roma, come lo furono fino dal 4 secolo dellâEra volgare tutte le cattedrali della provincia etrusca. Quindi è che i vescovi di Lucca si trovano talvolta sottoscritti nei sinodi romani del secolo IV come suffraganei del sommo pontefice.
Che il martire S. Paolino, uno dei discepoli di S. Pietro, fosse il primo battezzatore dei Lucchesi venuti dal paganesimo alla fede di Cristo, ritiensi da ognuno per tal vero da non aver duopo di riandarvi sopra. BensĂŹ non tutti la penseranno come la pensò cinque secoli addietro il fiorentino Fazio degli Uberti, il quale nel suo Dittamondo scriveva di Lucca: Ma perchĂŠ illuminata dalla fede Fu pria châaltra cittade di Toscana Cangiò il suo nome, e LUCE se le diede.
Sebbene posteriormente allâepoca di S. Paolino la storia ecclesiastica abbia trovato qualche nome di altri presidi della chiesa lucchese, non avendo noi intorno a ciò dati positivi, ci conviene scendere per la serie dei piĂš antichi vescovi di Lucca a quel Massimo che nellâanno 347 di GesĂš Cristo assistè al concilio di Sardice celebrato nellâIllirio contro gli Ariani, e negli atti del quale si trovò segnato un Maximus a Thuscia de Luca.
Frattanto se, a opinione dei piĂš, le diocesi ecclesiastiche allâepoca della loro prima istituzione costituironsi sul perimetro distrettuale delle giurisdizioni civili, nel modo che allora trovavansi ripartiti i distretti delle cittĂ provinciali, resterĂ sempre da sapere, come giĂ dissi altre volte, quali fossero i limiti giurisdizionali di Lucca al IV secolo dellâEra cristiana, allora quando cioè esisteva egualmente che a Lucca il pontefice della diocesi di Pisa.
Certo è che dal terzo allâottavo secolo una profonda lacuna si pone innanzi a colui che tentasse cimentarsi ad attraversarla; nĂŠ io penso, che fosse per trovare ragioni plausibili da persuaderci colui che cercasse dedurlo dal perimetro che mostrava la diocesi lucchese sotto il regno dei Longobardi; cioè allora quando un personaggio medesimo col titolo di duca presedeva al governo di Pisa, di Luni e di Lucca. Aggiungasi ancora, qualmente le persone affini, e persino i figli dei duchi venivano promossi alla prima dignitĂ della chiesa lucchese, in guisa che eglino a preferenza degli altri vescovi furono beneficati e protetti a scapito forse delle vicine diocesi.
Non ha luogo pertanto a domandare, se, trovando noi al secolo VIII la diocesi di Lucca nelle colline di San Miniato, di Palaja e di Lari, il territorio lucchese fosse lo stesso dellâepoca romana, e conseguentemente che sin dâallora avesse oltrepassato gli antichi limiti per entrare in Toscana? Arroga a ciò, che lâuso dâinvadere arbitrariamente le parrocchie continuava eziandio ai tempi di Carlo Magno, siccome lo dimostrò Adriano I, tostochè egli chiedeva assistenza e cooperazione al nuovo re di Lombardia, acciocchĂŠ comandasse a certi vescovi dâItalia, e specialmente della Toscana, che non invadessero le diocesi e pievi antiche degli altri prelati, ec. (BARONII, Annal. Eccles. ad ann. 799).
Dopo tali premesse reputo superfluo di qui trattenermi per rispondere ad alcuni per altro rispettabili scrittori, i quali non contenti di dare alla diocesi lucchese, nei secoli anteriori al mille, unâestensione maggiore di quanto realmente se gli apparteneva, ne portarono i limiti non solamente dentro i contadi di Luni, di Pistoja, di Volterra e di Pisa, ma ancora in mezzo ad altre diocesi dalla lucchese afatto distaccate. â Il quale equivoco fu motivato segnatamente dal riscontrare nelle diocesi di Volterra, di Populonia, di Roselle e perfino di Sovana delle chiese, oratorii e cappelle di giuspadronato dei vescovi di Lucca, cui erano pervenute per donazioni, ossia per diritto ereditario. Comecchè andasse, non cade dubbio sopra un fatto piĂš confacente a dimostrare la giurisdizione episcopale, quello, intendo dire, di non riscontrarsi mai nelle diocesi e contadi sopra rammentati alcuna chiesa battesimale, o altra parrocchiale, dipendente dalla giurisdizione ecclesiastica di Lucca.
Che però in ogni caso non credo che la diocesi di Lucca fosse maggiore di quella dimostrata in un catalogo delle sue chiese, monasteri e pivieri redatto nel 1260 per ordine del Pontefice Alessandro IV. Da quel registro si conoscono non solamente i varii luoghi con chiesa succursale, i diversi ospedali, monasteri ed eremi, ma ancora le respettive rendite di ciascuna di esse e dei luoghi pii posti dentro i confini della diocesi. Dal prospetto medesimo resulta, che nel secolo XIII la diocesi di Lucca noverava 526 chiese; 58 di esse dentro la città con 4 canoniche, 13 ospedaletti, e 5 monasteri; altre 22 chiese erano suburbane con 6 monasteri e 3 spedali; mentre nel restante della diocesi esistevano 419 chiese, fra le quali 59 pievi, 32 spedaletti e 38 monasteri celle e romitorii.
Tutte coteste chiese e stabilimenti sacri al culto, allâanno 1260, possedevano la rendita annua di 164,433 lire senza contare lâentrate speciali del vescovato, che erano di 3500 lire allâanno. CosicchĂŠ, computandosi allora il fiorino dâoro a poco piĂš di lire due e mezzo per ciascuno, la rendita annuale del patrimonio ecclesiastico della diocesi di Lucca veniva a corrispondere intorno a 120,000 scudi di lire sette per scudo, della moneta corrente; per cui si richiedeva un capitale di 2,400,000 scudi, vale a dire 16,800,000 lire toscane!! Sappiamo frattanto da Paolo Warnefrido (De Reb.
Langobard. Lib. IV. 6.) che i Longobardi al loro apparire in Italia impossessaronsi della massima parte dei beni di chiesa; e con tutto che la regina Teodolinda fosse la prima ad impetrare dal re Agilulfo la restituzione di una parte del patrimonio alle chiese cattoliche, queste non tornarono ad arricchirsi se non dopo spariti i vescovi Ariani.
Finalmente a favorire le pie istituzioni di Lucca concorsero i devoti magnati di questa città e molti vescovi eletti tra le principali famiglie. Dondechè non deve far meraviglia, se la cattedrale lucchese giunse ad acquistare molti beni e giuspadronati di chiese, non solo dentro i confini della sua, ma ancora nei territorii di altre diocesi della Toscana, e specialmente nelle pisane e rosellane maremme.
Basta leggere i 150 documenti lucchesi spettanti allâepoca longobarda, che furono pubblicati nei volumi IV e V delle Memorie per servire alla storia di questo ducato, onde persuadersi delle ricchezze dalla cattedrale di S. Martino acquistate, e della grande quantitĂ di oratorii, monasteri e spedali dentro e fuori di Lucca fondati. Delle quali chiese, sebbene molte siano state ad altro uso destinate, o distrutte, pure ve ne restano tante anche oggidĂŹ aperte, e conservate al culto, da potere dar a Lucca lâepiteto di CittĂ devota.
Che se poi si voglia discendere dal secolo VIII sino al X per esaminare altri 1300 documenti di quel tempo, sempre piĂš si farĂ manifesto, quanto il patrimonio della chiesa lucchese andasse aumentando: in guisa che per causa di livelli si resero dei vescovi tributarie non solo le primarie famiglie della cittĂ e del contado, che figurano dopo il mille nella storia di Lucca, ma molti altri cittadini e perfino degli ebrei, i quali ottennero ad enfiteusi beni di chiesa. â Leggasi su questo rapporto un documento dellâ11 novembre anno mille, spettante allâArchivio Arcivescovile Lucchese edito nelle Mem. Cit. T. IV P. II, col quale atto il vescovo Gherardo rilasciò ad enfiteusi a Kanomino del fu Giuda, e a Samuele del fu Isacco, entrambi ex genere Ebreorum, beni in Sorbanello di pertinenza della chiesa di S. Maria Forisportam.
Essendo i vescovi riguardati fra i primi dignitarii del regno longobardo, incombeva ad essi lâobbligo in tempo di guerra di recarsi allâarmata per far la corte al re, o per incoraggiare con la loro presenza i soldati. Fu di questo numero il vescovo lucchese Walprando nato dal duca Walperto, il quale innanzi di partire per lâesercito, nel luglio dellâanno 754, fece il suo ultimo testamento in Lucca, che piĂš non si rivide. Con tale atto egli assegnò il suo pingue patrimonio sparso in Lunigiana, in Garfagnana, in Versilia e nelle pisane maremme, per metĂ alla mensa vescovile di S. Martino, e per lâaltra metĂ alle chiese di S. Frediano e di S. Reparata di Lucca, dichiarando il testatore che i suoi fratelli superstiti si contentassero di un legato in denaro.
NĂŠ da meno in ricchezze e per lustro di natali fu il vescovo Peredeo successore di Walprando, il quale destinò alla sua chiesa cattedrale il vasto patrimonio, châegli aveva ereditato dal di lui padre Pertualdo posto nel lucchese, nel pisano, volterrano, populoniense, e perfino nel rosellano, e sovanese territorio.
QUADRO SINOTTICO delle Pievi, Capitoli, Monasteri, Cappelle e Spedali della DIOCESI di LUCCA con le loro rendite allâanno 1260. (Le chiese della cittĂ di Lucca e suo distretto sono distinte per quartieri, in suburbane e in pivieri).
- LUCCA Porta S. Gervasio, n° delle chiese del quartiere: 19, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: 4, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 20,606 - LUCCA Porta S. Pietro, n° delle chiese del quartiere: 9, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 14,425 - LUCCA Porta S. Donato, n° delle chiese del quartiere: 20, n° dei monasteri: 4, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 20,609 - LUCCA Porta S. Frediano, n° delle chiese del quartiere: 10, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 14,425 - Suburbio della cittĂ di Lucca, n° delle chiese del suburbio: 22, n° dei monasteri: 6, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 18,830 - 1 Pieve di Compito, n° delle chiese del piviere: 17, n° dei monasteri: 4, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 6,640 - 2 Pieve di Vorno, n° delle chiese del piviere: 3, n° dei monasteri: 3, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 755 - 3 Pieve di Massa pisana, n° delle chiese del piviere: 11, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 3,785 - 4 Pieve di Vico Pelago, n° delle chiese del piviere: 3, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,755 - 5 Pieve di Flexo ora di Montuolo, n° delle chiese del piviere: 10, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,028 - 6 Pieve di Arliano, n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 556 - 7 Pieve di S. Macario, n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 664 - 8 Pieve di S. Stefano, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,050 - 9 Pieve di Mostesigradi, n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,146 - 10 Pieve di Torri, n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 536 - 11 Pieve di Sesto a Moriano, n° delle chiese del piviere: 12, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,354 - 12 Pieve di Brancoli, n° delle chiese del piviere: 12, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,523 - 13 Pieve di S. Pancrazio, n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 756 - 14 Pieve di Marlia, n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 971 - 15 Pieve di Lammari, n° delle chiese del piviere: 1, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 450 - 16 Pieve di Segromigno, n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 2,053 - 17 Pieve di S. Gennaro, n° delle chiese del piviere: 2, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 330 - 18 Pieve di Lunata, n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 890 - 19 Pieve di S. Paolo, n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,620 - 20 Pieve di Camajore, n° delle chiese del piviere: 15, n° dei monasteri: 3, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Versilia, rendita annua delle chiese: 3,485 - 21 Pieve di S. Felicita, n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Versilia, rendita annua delle chiese: 1,995 - 22 Pieve dâIlici, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Versilia, rendita annua delle chiese: 395 - 23 Pieve di Villa Basilica, n° delle chiese del piviere: 4, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Valle Ariana, rendita annua delle chiese: 490 - 24 Pieve di Valle Ariana, n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Valle Ariana, rendita annua delle chiese: 1,173 - 25 Pieve Avellana o Vellano, n° delle chiese del piviere: 1, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Valle Ariana, rendita annua delle chiese: 140 - 26 Pieve di Vico Pancelloro, n° delle chiese del piviere: 4, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Lima, rendita annua delle chiese: 516 - 27 Pieve di Controne, n° delle chiese del piviere: 10, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Lima, rendita annua delle chiese: 1,012 - 28 Pieve di Casabasciana, n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Lima , rendita annua delle chiese: 603 - 29 Pieve di Mozzano, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: 1, n° degli spedali: -, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 392 - 30 Pieve di Decimo, n° delle chiese del piviere: 17, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,830 - 31 Pieve di Villa Terenzana, n° delle chiese del piviere: 6, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 1, valle in cui si trovano: Val di Lima, rendita annua delle chiese: 528 - 32 Pieve di Loppia (*), n° delle chiese del piviere: 24, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 2,106 - 33 Pieve di Gallicano, n° delle chiese del piviere: 19, n° dei monasteri: 2, n° degli spedali: 3, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,709 - 34 Pieve di Fosciana (*), n° delle chiese del piviere: 40, n° dei monasteri: -, n° degli spedali: 2, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 1,677 - 35 Pieve di Caregine (*), n° delle chiese del piviere: 1, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Serchio, rendita annua delle chiese: 490 - 36 Pieve di San Pietro in Campo (*), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 820 - 37 Pieve di Pescia (*), n° delle chiese del piviere: 19, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: 3, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 3,733 - 38 Pieve di Massa Buggianese (*), n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri del piviere: 4, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 1,743 - 39 Pieve di Montecatini (*), n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 2,302 - 40 Pieve di Vajano ora in Monte Vettolini (*), n° delle chiese del piviere: 7, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Nievole, rendita annua delle chiese: 765 - 41 Pieve di Cappiano (*), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: 2, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 4,265 - 42 Pieve di Cerreto (*), n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 1,097 - 43 Pieve di Ripoli (*), n° delle chiese del piviere: 3, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 340 - 44 Pieve di S. Maria a Monte (*), n° delle chiese del piviere: 19, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 1,846 - 45 Pieve di Laviano (distrutta), n° delle chiese del piviere: 2, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 120 - 46 Pieve di Appiano ora a Ponsacco (*), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEra, rendita annua delle chiese: 810 - 47 Pieve di Triana ora a Lari (*), n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 1,245 - 48 Pieve di Milliano e Leccia (distrutta), n° delle chiese del piviere: 5, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora, rendita annua delle chiese: 271 - 49 Pieve di Tripallo (*), n° delle chiese del piviere: 11, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora, rendita annua delle chiese: 650 - 50 Pieve di Gello delle Colline, ora S. Eremo (*), n° delle chiese del piviere: 4, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 185 - 51 Pieve di Acqui (*), n° delle chiese del piviere: 9, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 606 - 52 Pieve di Suvilliana (disf.), n° delle chiese del piviere: 15, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 2,338 - 53 Pieve di Padule (distrutta), n° delle chiese del p iviere: 2, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 220 - 54 Pieve di S. Gervasio con la chiesa di S. Colombano (*), n° delle chiese del piviere: 23, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: 1, valle in cui si trovano: Val di Tora e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 2,370 - 55 Pieve di Musicano ora in Montopoli (*), n° delle chiese del piviere: 13, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEvola e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 1,350 - 56 Pieve di Barbinaja (*), n° delle chiese del piviere: 8, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEvola e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 624 - 57 Pieve di Quarazano (*), n° delle chiese del piviere: 12, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâEvola e Val dâEra, rendita annua delle chiese: 1,300 - 58 Pieve di S. Genesio ora in S. Miniato (*), n° delle chiese del piviere: 26, n° dei monasteri del piviere: -, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 4,344 - 59 Pieve di Fabbrica (*), n° delle chiese del piviere: 20, n° dei monasteri del piviere: 1, n° degli spedali del piviere: -, valle in cui si trovano: Val dâArno, rendita annua delle chiese: 2,012 - Totale chiese comprese nei quartieri e pivieri: 430 - Totale monasteri compresi nei quartieri e pivieri: 43 - Totale spedali compresi nei quartieri e pivieri: 53 - Totale rendite annue delle chiese comprese nei quartieri e pivieri: 164,433 N. B. Le pievi contrassegnate con lâasterisco (*) spettano ad altre Diocesi, e specialmente a quella di Sanminiato, di Pescia e di Massa di Carrara.
VICENDE TERRITORIALI DELLA DIOCESI DI LUCCA DOPO IL SECOLO XII Se ai monumenti poco sopra accennati si aggiunga la deliberazione presa dal Comune di Modena, nel luglio del 1222, per apporre i termini lungo il giogo dellâAppennino tra la diocesi modenese e quelle di Lucca e Pistoja, facilmente apparirĂ , che la giurisdizione ecclesiastica lucchese nel secolo XIII, al pari di quella di Arezzo, era senza dubbio la piĂš estesa della Toscana. PoichĂŠ, se lâaretina toccava gli estremi suoi confini dal grado 42° 58â al 43° 48â di latitudine, e dal grado 29° 15â al 29° 45â di longitudine; questa di Lucca nella sua piĂš lunga estensione arrivava dal grado 43° 31â al 44° 12â di latitudine, e dal grado 27° 53â sino al grado 28° 35â di longitudine.
Tale fu, ed in simile guisa il territorio ecclesiastico lucchese intatto si mantenne, finchè il Pontefice Leone X separò dallâantica sua cattedrale (anno 1519) la pieve di Pescia per dichiarare il suo parroco Preposto Nullius Dioecesis. Alla quale chiesa semi-episcopale lo stesso Papa volle assoggettare, oltre le consuete chiese suddite, ossia filiali della pieve pesciatina, molte altre parrocchie della Val di Nievole e di Valle Ariana, a partire dalla pieve Avellana, o di Castel vecchio, sino ai confini di quella di Vajano, ora di Monte Vettolini; per modo tale che la prepositura e collegiata di Pescia, nel 1727, dal Pontefice Benedetto XIII fu eretta in chiesa cattedrale. â Vedere PESCIA DIOCESI.
Il secondo e piĂš vasto smembramento della Diocesi di Lucca accadde nel 1622, quando il Pontefice Gregorio XI, per erigere in sede vescovile la prepositura di S. Maria e S. Genesio in Sanminiato, staccò dalla Diocesi lucchese i pivieri della giurisdizione civile del Granducato di Toscana compresi nella Valle inferiore dellâArno, in Val dâEvola, in Val dâEra e in Val di Tora, a partire cioè dalle terre fra lâArno e le Cerbaje, fino a Carigi sul Roglio di Val dâEra; a Colle Mattaccino in Val di Cascina, a Tremolato e Faglia in Val di Tora, a Crespina e Cenaja in Val Triana.
La terza riduzione della Diocesi di Lucca seguÏ sotto il pontificato di Pio VI; il quale per bolla del 18 luglio 1789 distaccò dalle parrocchie lucchesi quelle dei vicariati granducali di Barga e di Pietrasanta, oltre il distretto di Ripafratta, che assegnò tutti alla diocesi di Pisa, dalla quale la lucchese ebbe in cambio 7 chiese costituenti il piviere di Massaciuccoli.
Finalmente lâultimo e recentissimo smembramento fu decretato nel 1823 dal Pontefice Leone XII, nel tempo in cui fu eretta in cattedrale la collegiata di Massa di Carrara a carico delle diocesi di Luni-Sarzana e di Lucca.
Lâultima delle quali dovè perdere tutte le chiese comprese negli antichi pivieri della Garfagnana; cioè, quelle di Pieve Fosciana e di Caregine con una porzione del piviere di Gallicano.
In vista pertanto dei 4 smembramenti accennati la Diocesi di Lucca trovasi attualmente ristretta dentro i limiti del territorio unito del suo Ducato. Essendochè la comunitĂ staccata di Montagnoso dipende per lâecclesiastico dal vescovo di Massa, e lâaltra di Minucciano conservasi costantemente sotto gli antichi suoi pastori, che sono i vescovi di Luni-Sarzana.
Nello stato presente la Diocesi lucchese conta 251 chiese parrocchiali, undici delle quali dentro la cittĂ , e 32 pievi sotto matrici sparse nel territorio.
Vi sono in città quattro capitali, ossiano chiese collegiate, compresa la cattedrale: cioè, il duomo che conta 18 canonici e quattro dignità ; S. Michele con 10 canonici e una dignità ; S. Paolino con 10 canonici e una dignità ; S.
Alessandro con 8 canonici e una dignitĂ . Tra quelle fuori della capitale vi è Camajore, la quale è decorata di unâinsigne collegiata con 14 canonici e una dignitĂ , il Priore, cui fu concesso il privilegio dei pontificali.
Conservansi in Lucca due seminarii, uno addetto al servizio della cattedrale, lâaltro alla collegiata di S.
Michele.
I vescovi di Lucca ottennero il privilegio del pallio dal Pontefice Calisto II (anno 1120) e, per concessione del papa Alessandro II, quello della croce come gli arcivescovi. Finalmente per bolla del di 11 settembre 1726, Benedetto XIII innalzò la cattedra di S. Martino allâonore di sede arcivescovile, ma senza suffraganei.
La chiesa lucchese fornĂŹ un copioso numero di prelati celebri per santitĂ , per dottrina e virtĂš. Contansi fra i primi S. Paolino Antiocheno, lâapostolo dei Lucchesi; S.
Frediano, insigne loro patrono; Walprando e Peredeo per influenza politica e per vistose donazioni alla loro chiesa; S. Anselmo che col nome di Alessandro II riedificò lâattuale cattedrale, accrescendo onori e privilegii alla cittĂ di Lucca ed al suo clero; e S. Anselmo II, il consigliere della contessa Matilde, ec. â Furono famosi per dottrina e per esemplaritĂ di costumi un vescovo Sandonnini nel secolo XV, un Guidiccioni nel declinare del secolo XVI, un Mansi nel secolo XVIII; un Sardi al principio del secolo attuale, ec. ec.
COMUNITAâ DI LUCCA La comunitĂ di Lucca abbraccia, oltre la cittĂ , una campagna dâirregolare periferia, la di cui superficie non è stata ancora completamente misurata dai geometri che al presente si occupano nei lavori del catasto lucchese. â Innanzi la erezione della nuova comunitĂ di Pescaglia, cioè alla fine dellâanno 1837, questa di Lucca abbracciava, nella campagna 89 sezioni, con una popolazione di 42,192 abitanti, ripartita in 7110 famiglie, mentre la cittĂ era abitata da 23167 individui; sicchè nel 1837 tutta la popolazione della ComunitĂ di Lucca ascendeva al 65359 persone appartenenti a 11888 famiglie; lo che, equivale a individui 5 e 1/2 per ogni capo di casa.
Questa suddetta ComunitĂ confina con altre sette, cinque delle quali appartenenti al suo Ducato e le altre due spettanti al Granducato di Toscana. â Infatti, dalla parte di scirocco e di grecale essa tocca i confini della ComunitĂ di Capannori; dal lato di settentrione rasenta la ComunitĂ del Borgo a Mozzano; dalla parte di maestro ha la ComunitĂ di Camajore, dal lato di ponente quella di Viareggio ; dalla parte volta a libeccio tocca la ComunitĂ di Vecchiano, appartenente al Granducato; alla quale sottentra lâaltra ComunitĂ dei Bagni a S. Giuliano, pure del Granducato, e questâultima confina dal lato di ostro con la ComunitĂ di Lucca mediante la criniera del Monte pisano.
Il territorio della ComunitĂ in discorso consiste in una pianura profondamente coperta di ghiaja e di terre di recente alluvione, coronata alla destra del Serchio, cioè dal lato di grecale e di settentrione da colline di macigno (arenaria), di basciajo (schisto-marnoso), di grès color castagnuolo, di calcarea-compatta e di galestro; questo generalmente superiore, e quella inferiore alli strati di macigno. Dietro alle stesse colline si alzano le cosĂŹ dette Pizzorne, e il monte di Brancoli, mentre dal lato di maestro, di ponente e di grecale gli fanno spalliera lâalpe di Pascoso , di Montemagno , e il monte di Quiesa; la cui ossatura è formata di rocce di calcarea-semi-cristallina con vene metallifere, di schisto argilloso e di macigno; il tutto spesse volte coperto da galestro e da schisto marnoso alterato. Dal lato poi di ostro serve di cornice alla stessa pianura il marmoreo-verrucano monte di S. Giuliano, ossia Pisano, anchâesso sovrapposto nei fianchi, e alla base da un macigno a grossi elementi (selagite) dal grès castagnolo, e dal galestro. â Vedere MONTE PISANO.
Il territorio comunitativo di Lucca, a tenore dei diplomi di Arrigo IV, V e di Lottario III, stendevasi fino alle sei miglia intorno alla cittĂ . Quali fossero le borgate, ville, popoli e pivieri di esso contado, lo dichiarò un altro diploma di Arrigo VI dato nel Borgo di S. Donnino li 30 aprile del 1186. Col qual privilegio non solo fu confermata ai Lucchesi la giurisdizione dentrò le sei miglia attorno la cittĂ , ma affinchè non nascesse dubbio sulle ville comprese in detto contado, volle a sufficiente cautela, che fossero distintamente nominate per distretti di pivieri; cioè, di Sexto a Moriano, di Mostesigradi (ora Monsagrati), di S. Stefano, di S. Macario, di Arliano, di Massa (pisana), di Vorno, di Compito, di S. Paolo, di Lunata, di Lammari, di Marlia, di S. Pancrazio, di Subgromigno, e di S. Gennaro con tutte le ville e borgate comprese dentro i confini dei 15 pivieri, fra i quali però non si trova quello di Ripafratta. (Memor. Lucch. T. I.) I maggiori corsi dâacqua che attraversano il territorio della ComunitĂ di Lucca, dopo il Serchio che scorre fra le estreme falde occidentali delle Pizzorne e quelle orientali dellâAlpe di Pascoso, di Monte magno e del monte di Quiesa, si contano i torrenti Vinchiana , Fraga, Freddana, Cerchia e Contesora , che i primi due scendono a sinistra, e gli altri tre a destra per vuotarsi nel fiume sunnominato.
Considerando ora il Serchio nella sola sezione spettante al territorio comunitativo di Lucca, a partire dai secoli posteriori allâVIII dellâEra volgare, mi sembra rilevare dalle scritture del tempo, che questo fiume discendesse a Lucca tripartito, in guisa che il primo ramo passava a ponente poco lungi da Lucca, presso a poco comâora succede, lambendo il monticello di S. Quirico, davanti al quale era il ponte omonimo, altre volte detto del Marchese. Il ramo di mezzo rasentava le mura occidentali dei primi due cerchi della cittĂ , e questo appellossi parimente Serchio, o talvolta Auserclo; mentre il terzo ramo, che passava a levante di Lucca, fu chiamato costantemente Auxer, Auxere, poscia Ozzeri.
Io non rimonterò ad epoche troppo recondite, quando una delle tre diramazioni del Serchio, conosciuta tuttora col nome suo vetusto di Ozzeri (Auxer) scorreva da maestro a scirocco nella pianura orientale di Lucca per vuotarsi nel Lago di Bientina, e di lĂ per lâemissario della Auxerissola (vecchia Seressa) nel fiume Arno. Ma qui non debbo ommettere di rammentare la mirabile direzione data per opera di S. Frediano nel sesto secolo dellâEra volgare, forse al sinistro piuttosto che al ramo destro del Serchio, affine di liberare dalle inondazioni la pianura di Lucca, quando cioè questo medesimo Auxer discostandosi dalla cittĂ prese la direzione di Lammari, di Antraccoli, della pieve di S. Paolo in Gurgite, di Turingo, ec. â Di tale maravigliosa operazione e dellâandamento dellâAuxer (Ozzeri) dopo il sesto secolo piĂš non esistono tracce, se non forse quella accennata dallâalveo del fiumicello Ozzeretto, il quale scorre per Antraccoli, per la pieve di S.
Paolo, per Turingo e Sorbano, finchè sottentra lâattuale canale dellâOzzeri.
Sul qual proposito mi gioverò della non dubbia testimonianza di un antico e santo scrittore, cioè di S.
Gregorio Magno, il quale al lib. III cap. 9 dei suoi dialoghi diede a conoscere, che lâAuxe r innanzi allâepoca di S. Frediano scorreva vicino alle mura della cittĂ , e che spesse volte traboccava dal suo alveo con danno delle vicine campagne. Che poi lo stesso Auxer, tradotto in Ozzeri, fosse diverso dal Serchio, il quale passava dal lato occidentale della cittĂ , anche meglio lo mostrava un rozzo poeta, scrittore del secolo XII, allorchè, decantando le azioni di S. Frediano, disse che, dopo il prodigioso deviamento dellâAuxer, piacque al S. Vescovo di recarsi nella campagna di Lunata, vico quasi tre miglia a levante di Lucca; nella quale circostanza alcuni villani di quella vicinanza fecero al santo vescovo tali insulti da giungere persino a percuoterlo, indispettiti, dice il Bertini, di vedere occupato al nuovo alveo dellâAuxer i loro terreni. â (BERTINI Memor. Lucch. T. IV pag. 260 e 261.) Infatti moltissime pergamene lucchesi posteriori al secolo VII danno bastantemente a divedere lâandamento del nuovo alveo dellâAuxer, nelle vicinanze di S. Paolo, di Turingo, di Sorbano ec., siccome fu accennato allâArticolo GORGO (S. PAOLO IN) â Vedere LAGO DI BIENTINA, OZZERI, SERCHIO, SORBANO ec.
Che però limitandomi qui a far parola del corso dellâOzzeri, che attraversa attualmente nella direzione da levante a ponente la campagna allâostro di Lucca, dirò, che in grazia delle antiche naturali colmate di cotesta pianura posta lungo la base settentrionale del Monte pisano, questo corso dâacqua ha una doppia, sebbene languida inclinazione; tostochè la parte occidentale scola nel Serchio, mentre il armo orientale dellâOzzeri fluisce nel Lago di Sesto, ossia di Bientina, sotto nome di canale Rogio.
Contuttociò la livellazione del piano di Lucca e dellâalveo del Serchio, essendo decisamente superiore al livello del Lago suddetto (Vedere le due Tavolette dellâAltezze a pagg. 873 e 874), si dovette ricorrere nel 1786 alla costruzione delle cateratte in bocca dâOzzeri, onde con esse riparare al rigurgito del Serchio fluente nel Lago, e cosĂŹ impedire le frequenti innondazioni, cui era soggetta la pianura orientale di Lucca. â Vedere OZZERI e SERCHIO.
Allo stesso scopo di rimediare in parte simili inconvenienti dello spagliamento delle acque, che per lâantico alveo dellâOzzeri scorrevano vaganti e senza ripe nella pianura di Lucca, il governo della repubblica nei secoli andati risolvè di ridurre il Serchio in un solo alveo col dare a questo unâampiezza maggiore.
Nel 1562 pertanto incominciossi la costruzione del grande argine di Saltocchio, che si continuò fin verso la cittĂ , di maniera che in una estensione di quasi quattro miglia furono restituiti alla cultura circa mille quadrati agrarii di terreno giĂ stato ricoperto da ciottoli e da grosse ghiaje. â La quale arginazione fu con maggiore impegno accresciuta dopo che le straordinarie piene del 1624 diressero gran parte dellâacque del Serchio nel Lago di Bientina; donde avvenne che ne conseguirono forti reclami per parte del governo di Firenze, in guisa che la repubblica di Lucca nel 1627 deliberò di far di nuovo allargare lâalveo del Serchio sino a 300 braccia, e di destinare braccia 200 per la golena dalla parte sinistra, e braccia 40 dal lato destro del fiume.
Finalmente neppure questi argini essendo riesciti a contenere il Serchio nelle sue maggiori escrescenze, e veduti i danni da esso apportati nella piena del 1812 alle campagne di Lucca, per ordine della principessa Elisa furono rifatti importantissimi e dispendiosissimi lavori, e quindi rialzati gli argini tre braccia piĂš che non lo erano nel 1812.
Resta a dire del canale denominato il Fosso , il quale entra ed attraversa la cittĂ di Lucca da tempi remotissimi, sebbene abbia variato direzione, e sia stato ampliato dalla repubblica lucchese per benefizio della popolazione e degli edifizii manifatturieri. â Cotesto Fosso prende le acque dal Serchio presso S. Gimignano a Moriano, e di lĂ per Saltocchio, per S. Pietro, e S. Cassiano a Vico, dopo aver servito allâirrigazione di quelle campagne, col somministrare lâacqua a diversi mulini, gualchiere, e ad altri edifizii economici, entra in cittĂ , le cui strade percorre da grecale a libeccio in guisa di una copiosissima gora, ora scoperto, ora coperto, ma sempre difeso da parapetti e fornito di frequenti ponti per attraversarlo.
Lâorigine di questo canale, come dissi, è antichissima, tostochè le memorie di una gora che entrava in cittĂ presso la Porta S. Gervasio, rimontano al secolo IX. La qual gora a quellâepoca passava per la corte della Regina, mentre fra S. Giusto e la piazza ducale esisteva una pescaja che metteva in moto le macine di un mulino spettante alla chiesa di S. Pietro ad Vincula, siccome lo prova un contratto di fitto di quellâedifizio fatto nel 5 novembre dellâanno 862. (Memor. Lucch. T. V. P. II.) La stessa gora, o Fossa dirigevasi dalla corte della Regina verso la piazza di S. Michele in Foro , dovâera attraversata da un ponticello e quindi da una seconda pescaja, nel modo che leggesi in un istrumento del 1134 dellâArchivio di S. Paolino, in cui sono descritti i confini di una casa posta in Lucca juxta pontem, qui dicitur ad Forum, ab alia parte coheret cum sepe, etc. In altri documenti di poco posteriori, sotto gli anni 1169, 1183, e 1206, la chiesa medesima è designata con questa indicazione: Ecclesia S. Michaelis de Ponte ad Forum, et juxta pontem S. Angeli in Foro. (MORICONI, DellâantichitĂ di Lucca ec. Lib. II. MS.) A rintracciare la continuazione dellâantico fosso giova al caso nostro un istrumento del 1178, in cui cotesta gora macinante nella sezione tra la chiesa di S. Michele e quella di S. Matteo appellavasi la Fossa di Natale, dicendosi: in Eccl. S. Mathaei in civitate lucana juxta fossam, quae dicitur Natalis.
Era probabilmente una derivazione della stessa Fossa quella di cui fa parola nello statuto lucchese del 1308 al capitolo 33. â Finalmente con provvisione del 29 agosto 1369 la Signoria di Lucca ordinò, che per comodo deâcittadini, per difesa e splendore della cittĂ , e per vantaggio e facilitĂ delle manifatture si costruisse un acquedotto che traesse lâacqua dal Serchio, e sul quale si fabbricassero dei mulini, ed altri utili edifizj. La deliberazione peraltro non specificò il punto donde lâacquedotto dovesse partire, se dal Serchio direttamente, o dalla continuazione di quello che negli Statuti del 1308 trovasi rammentato.
Non essendo però quel fosso difeso da cateratte e da argini sufficienti ad assicurare la circostante pianura dalle escrescenze del medesimo, con provvisione dei 21 febbrajo 1505, e dei 13 agosto 1507 fu deliberato, che la presa delle sue acque si facesse di contro alla pieve di Sesto a Moriano. Ma neppur qui potè sussistere la cangiata imboccatura dellâacquedotto, la quale nel 1585 fu tolta di lĂ e aperta sopra il paese di Sesto a Moriano, onde condurre il canale nella guisa che tuttavia sussiste con grande vantaggio delle adiacenti campagne e della cittĂ . Essendochè il fosso mette in moto alcuni mulini, e diversi edifizii manifatturieri, oltre il benefizio che apporta alle tintorie, alle fabbriche di conce, ai lavandari, e allâirrigazione di molti giardini.
Dovendo rammentare i ponti che attualmente cavalcano il Serchio e lâOzzeri, dirò, che il primo nel tragitto che fa per il territorio della ComunitĂ di Lucca, cioè da Brancoli sino al di sotto di Nozzano, viene attraversato da tre ponti di pietra. Il piĂš alto è detto Ponte a Moriano , di cui si hanno memorie fino dal secolo VIII. Era anticamente di legname, poi di macigno, rifatto nel 1490 da Matteo Civitali; ma nel 1580 essendo in parte rovinato, furono riedificati i due archi nel 1582 da Vincenzio Civitali nipote del primo artista.
Nel secolo però che corre (anno 1832) un nuovo ponte vi è stato edificato di pietra serena levata delle vicine cave.
Ă del primo piĂš largo e piĂš pianeggiante, disegnato e diretto dallâarchitetto lucchese Giovanni Lazzarini.
Il secondo ponte, che prese nome dallâopposta collina di S. Quirico, è il piĂš prossimo di tutti a Lucca. Esso trovasi fuori della Porta al Borgo circa 1250 braccia lontano dalla cittĂ . Era egualmente del primo tutto di legname, talchè molte volte nelle guerre della repubblica lucchese, per impedire ai nemici il passaggio del fiume, veniva appositamente disfatto; ma nel 1363, scrive il Donati, furono fatti i piloni di pietra, servendosi, a detta di quellâautore, dei materiali della distrutta cittadella dellâAugusta; lo che, se fosse vero, converrebbe ammettere che lâAugusta venisse demolita innanzi il 1369, siccome ne informa la storia. Peraltro neppur questo ponte resistè allâurto violento delle acque, sicchè in una straordinaria escrescenza del fiume furono rovesciati i piloni, e il ponte cadde in unâistante.
Allora fu che si tornò a fabbricarlo intieramente di legname. Variate però le circostanze politiche dopo lâestinzione delle repubbliche a Lucca limitrofe, il ponte minacciando di rovinare fu ordinato a Bramante Soldini, che tutto di pietra lo rifacesse, siccome avvisava unâiscrizione. Ma in vista del rialzamento dellâalveo del fiume, essendo rimasta angusta la luce degli archi, fu atterrato nel 1813, e quindi riedificato piĂš ampio tra il 1816 e 1818; al quale anno appella la lapida in lettere dâoro posta in mezzo al ponte medesimo davanti a unâedicola avente una statuina di S. Frediano.
Il terzo ponte è quello detto di S. Pietro , distante piĂš di due miglia dalla porta della cittĂ . La sua origine per altro non dovrebbâessere piĂš antica del secolo IX o X, quando signoreggiavano in Lucca i ma rchesi di Toscana. E forse devesi a uno di questi toparchi la sua fondazione, essendochè fu chiamato il ponte del Marchese, seppure non ebbe tale indicazione per la ragione delle possessioni che i marchesi Adalberti e Bonifazii tenevano fra la Porta S. Pietro e il Serchio. â Comunque fosse la bisogna, innanzi la fondazione del ponte S. Pietro, costĂ presso doveva esservi per il passaggio del Serchio una Nave, il cui vocabolo è rimasto alla contigua contrada di S. Matteo alla Nave. â Vedere NAVE (S. MATTEO ALLA).
Dallâanno 1372 al 1375 il ponte S. Pietro fu rifatto, e nellâanno 1535 nuovamente ricostruito, ma sempre di legname, fino a che nel principio del secolo XVIII si riedificò tutto di pietra.
In quanto ai ponti dellâOzzeri mancano i documenti per far parola di quelli che dovevano cavalcare lâantichissimo ramo dellâAuxer che scendeva dal Serchio, a levante della cittĂ , deviato dalle sue mura per opera, come si disse, di S. Frediano.
I ponti pertanto che attraversano attualmente il canale dellâOzzeri, a partire dalle pendici settentrionali del monte S. Giuliano sino al perno variabile, dove le acque dellâOzzeri bilanciano con quelle che fluiscono per il Rogio nel Lago di Bientina, sono i seguenti, 1° il ponte Strada dirimpetto alla chiesa di Guamo; 2° il ponte deâFrati, il quale è posto sotto la confluenza dellâOzzeretto, dove termina lo stradello lungo il canale della Formica. Poco distante di lĂ trovasi il terzo ponte piĂš famoso di tutti, sulla strada maestra di S. Maria del Giudice, o del Monte S. Giuliano. Questo ponte, che porta il nome di Ponte tetto , era difeso da due torri, e costĂ lâOzzeri doveva avere un alveo assai piĂš largo del fosso attuale, tostochè alcuni archi dellâantico ponte trovansi sotterrati dagli argini piĂš angusti. Infatti lâannalista Tolomeo, parlando della sorpresa di una mano di soldati comandati dal re Corradino, il quale si mosse da Pisa per la via del Monte S. Giuliano contro Lucca; ma dovè retrocedere per aver trovato il passo di Ponte tetto difeso dai Lucchesi, soggiungendo: che ivi est Auxeris aqua profunda et lata, neque vadabilis. â Il ° e il 5° ponte sullâOzzeri diconsi di Salissimo e di Gattajola dalla contrada compresa in questâultima parrocchia. Il 6° cavalca il canale fra le chiese di Fagnano e di Meati; finalmente il 7° ponte è sulla strada postale fra Ripafratta e Lucca presso la pieve di Montuolo, giĂ del Flesso; la quale chiesa innanzi il mille era situata sulla ripa sinistra, e non giĂ , come lo è adesso, sulla destra dellâOzzeri. â Vedere MONTUOLO.
Strade maestre mantenute a carico dello stato nel Ducato di Lucca 1. Le 4 strade postali che escono dalle 4 porte della cittĂ di Lucca sono, la strada Pisana, la strada Pesciatina o Fiorentina, la strada deâBagni e la strada Massese o di Genova.
2. La strada detta delle Tagliate; per la porzione che gira al largo degli spalti di levante, settentrione e maestro. â Essa staccasi dalla strada postale Pesciatina, passando dalla chiesa di S. Marco, dal luogo denominato ai Giannotti e dal Campo santo per riunirsi alla postale Pisana. Il restante della strada medesima dal lato di ponente e di ostro è a carico della ComunitĂ di Lucca.
3. La strada traversa di Marlia, che dalla postale Pesciatina conduce alla Regia villa e parco di Marlia.
4. Altra strada traversa per Marlia, che staccasi da quella postale deâBagni e conduce lungo il torrente Fraga alla stessa Regia villa.
5. Strada dellâAltopascio, ossia lâantica strada Francesca, che staccasi dalla postale Pesciatina fuori di Porta nuova, e per S. Paolo, Paganico e Turchetto entra nel Granducato al porto dellâAltopascio.
6. Strada del Tiglio che si parte dalla Francesca, al di lĂ della pieve di S. Paolo, e varcando il Rogio sul Ponte Maggiore passa per la Badia a Sesto, sotto Castel vecchio di Compito, e al Tiglio sul Lago di Bientina, dove sottentra il territorio granducale.
7. Strada del Monte S. Giuliano. â Ă lâantica via maestra che esce dalla Porta S. Pietro, per dirigersi a Vaccoli, quindi passa lâOzzeri sul Ponte tetto, e di lĂ per Massa pisana sale il monte S. Giuliano, sul cui vertice continua il cammino nel territorio granducale dei Bagni di S.
Giuliano.
8. Strada per Barga e Castelnuovo di Garfagnana. â Staccasi dalla postale deâBagni di Lucca presso alla confluenza della Lima sul ponte di Chifenti, rasentando la sponda sinistra del Serchio, sino alla confluenza dellâAnia, dove continua nel territorio granducale sino a Barga. â La strada poi di Castelnuovo traversa il Serchio sul ponte di Calporno, e di lĂ presso il borgo di Gallicano sâincammina a Castelnuovo dello Stato Estense.
9. Strada da Montramito a Viareggio. â Staccasi a Montramito dalla postale Massese per condurre a Viareggio.
10. Strada da Montramito alla Regia villa di Stiava . â Ă un breve tratto di due miglia a grecale di Montramito.
11. Strada Regia Modanese aperta da Maria Luisa di Borbone nella terza decade del secolo attuale. â Staccasi dalla strada di Barga fra la Lima e la Fegana, e rimonta lungo la ripa sinistra di questâultimo torrente sul fiano occidentale del monte Fegatese; di lĂ trapassando diversi ponti sale per tortuosi giri sino al varco occidentale del Rondinajo , che è il monte piĂš elevato di tutto lâAppennino toscano. CostassĂš alla foce al Giogo, sottentra il territorio modanese, nel quale la strada scende lungo le prime fonti del fiume Scoltenna per dirigersi a Pieve a Pelago, dove si riunisce alla postale che viene da Bosco lungo dellâAbetone nel Granducato.
12. Finalmente la strada per Camajore lungo la Freddana, per la fiumana di Nocchi, va ad ampliarsi per la parte di Val di Serchio a carico della ComunitĂ di Lucca, e per la parte della vallecola di Camajore sarĂ tenuta dallo Stato.
Una nuova strada, che chiamerò provinciale, perchĂŠ ampia rotabile e utilissima a piĂš dâuna comunitĂ , è quella che sta attualmente per compirsi fra Lucca e Massaciuccoli. La medesima si stacca dalla postale Massese passato il ponte S. Pietro, di lĂ dirigesi sotto il colle di Nozzano, passa per Balbano, e sale i poggi che corrono fra il monte di Quiesa e Castiglioncello, i quali poggi servono di anello di comunicazione fra lâAlpe Apuana ed il Monte Pisano. Di lĂ la stessa strada scende fra le masse di calcarea semigranosa sino allâorlo del lago di Massaciuccoli, dove per via di fosse trasportansi le merci venute di oltremare a Viareggio.
Fin qui del territorio comutativo, ora della cittĂ . â Ogni qual volta si potessero avere dati sicuri, che il lastrico in questâanno ed anche nei tempi addietro scoperto a quattro e perfino a braccia sei e mezzo sotto le strade attuali della cittĂ di Lucca, ogni qualvolta dico quel lastrico fosse appartenuto ad antiche vie, noi avremmo un dato positivo per conchiudere, che il piano piĂš vetusto di Lucca e della circostante pianura era almeno cinque in sei braccia inferiore allâattuale. Alla qual conclusione mi sembra che in parte si prestino le vestigia dellâanfiteatro lucchese: avvegnachè lo zoccolo dei suoi archi esteriori trovasi basato qualche braccio sotto la strada che fiancheggia quellâedifizio eretto nei primi secoli dellâimpero romano.
Primo cerchio delle mura di Lucca. â Tre sono i successivi cerchi delle mura di questa cittĂ . â A qual epoca risalga il primo, ignorasi assolutamente; poichĂŠ, sebbene qualcuno abbia sospettato essere stata quellâopera eseguita durante lâimpero di Probo, e qualcun altro ne abbia fatto autore il re Desiderio, vi sono peraltro migliori ragioni per credere il primo cerchio assai piĂš antico, sia perchĂŠ Frontino diede a conoscere Lucca munita di mura sino dai tempi della repubblica romana, sia perchĂŠ non poche vestigia di quel cerchio di costruzione allâetrusca incontraronsi nei secoli ultimi scorsi, ed anche alla nostra etĂ . Infatti delle antiche mura sussistono visibili tracce sul canto del palazzo arcivescovile nella parte volta a scirocco che guarda il bastione di S. Colombano, e sul muro cui si appoggia lâoratorio di S. Maria della Rosa. La qual venerata immagine fu dipinta sulla vecchia muraglia dalla parte esterna della cittĂ , nel luogo istesso dove fu costruita nel 1309 quella graziosa chiesina che tuttora vi resta.
Sono visibili costĂ grandi massi di pietra calcarea di forma parallelepippeda, scavati dal Monte S. Giuliano.
Dei quali massi recentemente se nâestrassero alcuni dalla parete dello stesso oratorio, della grossezza di quattro e piĂš braccia. Attualmente, sopra la muraglia medesima posa la facciata posteriore del palazzo arcivescovile.
Di altre consimili pietre, cavate in altri luoghi dai fondamenti delle stesse mura, fece testimonianza quasi due secoli indietro il canonico LibertĂ Moriconi nella sua opera MS delle AntichitĂ di Lucca.
Dallâoratorio suddetto, dirigendosi in linea retta a settentrione lungo la strada della Rosa, il muro del primo cerchio doveva attraversare la piazza di S. Maria del Presepe, ossia di S. Maria Maggiore, detta Forisportam, per essere stata fabbricata fuori di cittĂ insieme colla distrutta chiesa contigua di S. Gervasio. Da questâultima prese il nome la porta di S. Gervasio, giĂ romana, per dove esciva la via Francesca, o Romèa. Stanno in appoggio di ciò molti istrumenti dellâArchivio Arcivescovile Lucchese dal secolo VIII al XII, i quali rammentano la chiesa di S. Maria e S. Gervasio posta juxta murum civitatis Lucae. â E meglio ancora ce lo manifesta altra pergamena dellâanno 1063 dello spedale della Misericordia, in cui si legge: Ecclesiae S. Mariae, quae dicitur Majoris, aedificata extra civitatem Lucensem, prope muros ipsius civitatis, et prope portam, quae dicitur S. Gervasii.
Continuando lâandamento del primo giro, questo dirigevasi lungo la strada oggi detta dellâAngelo Custode fino dietro la chiesa di S. Simone, che dal lato della tribuna appoggiavasi al muro della cittĂ . Ciò vien provato, fra i molti, da un istrumento del 22 aprile 839, col quale il proprietario rinunziò al vescovo di Lucca Ecclesia mea S.
Simeonis sita infra hanc civitatem recta muro istius civitatis, etc. (Mem. Lucch. T. V. P. II.) A questo punto pare che terminasse la linea orientale, sicchè voltando faccia da levante a grecale, le vecchie mura della cittĂ per una traversa diretta a maestro passavano dal canto oggi detto dellâImpresa sulla via del Fil lungo, la dove escir doveva dalla Porta settentrionale che prese il nome dal borgo di S. Frediano. CostĂ il muro piegando alquanto in fuori passava per mezzo alle case Boccella e giungeva a tergo della distrutta chiesa di S.
Giovanni in Muro , presso alla quale nel secolo XIV fu eretto il Monastero con la chiesa di S. Agostino.
In cotesta traversa veniva incluso dentro la cittĂ il teatro romano, i di cui ruderi sâincontrano tuttora fra la chiesa di S. Agostino e il convento di S. Maria Cortelandini; mentre lâanfiteatro con le chiese di S. Pietro Somaldi, di S. Pietro Cigoli, di S. Andrea, di S. Micheletto, di S.
Frediano, di S. Leonardo e molte altre restavano nei borghi fuori del primo cerchio della cittĂ .
A S. Giovanni in Muro , cosĂŹ detto per esser contiguo alle mura settentrionali, queste voltavano direzione da maestro a libeccio, passando rasenti alla chiesa di S. Tommaso, situata, come dice un documento del 924, infra hanc civitatem et recta muro istius civitatis. â Progredendo di lĂ le mura lasciavano dentro la chiesa e monastero di S.
Giorgio, siccome ne avvisano diverse membrane dellâArchivio Arcivescovile di Lucca dei secoli intorno al mille.
La linea di fronte a libeccio percorreva da S. Giorgio fino alla cosĂŹ detta Cittadella ; in mezzo al quale tragitto, nel canto corrispondente a un dipresso alla moderna piazza dei Malcontenti, doveva trovarsi la porta occidentale, alquanto piĂš indietro di quella del secondo e del terzo cerchio, cui fu dato il nome di S. Donato da unâantica chiesa che restava fuori della cittĂ insieme con quelle di S. Giustina (giĂ S. Salvatore in Brisciano) di S.
Benedetto, ora del Crocifisso dei Bianchi, ed altre.
Finalmente dal luogo della Cittadella le mura dirigendosi verso levante e grecale arrivavano al palazzo vescovile dopo aver rasentato lâorto, ossia il Brolio della canonica di S. Martino; dalla qual linea restavano esclusi dalla cittĂ il monastero di S. Maria del Corso , fondato nel 722, e le chiese ora distrutte di S. Pietro ad Vincula, deâSS. Filippo e Giacomo, di S. Colombano, di S. Silvestro e delle estinte S. Bartolommeo in Silice.
In mezzo a questâultimo lato trovavasi la porta S. Pietro, presso cui sino dallâanno 720 fu eretta la chiesa di S.
Silvestro e lâannesso ospedale per alloggiarvi e nutrirvi i pellegrini. â (Memor. Lucch. T. V. P. II.) A poca distanza dalla porta S. Pietro esisteva una porticciuola, che nel secolo XI dicevasi postierla di Leone Giudice, ossia che costĂ fossero le case di quel ricco magnate lucchese, o perchĂŠ da tale postierla esciva la strada maestra che guida in linea retta a S. Maria di Leone Giudice, e di lĂ per il Monte S. Giuliano a Pisa. Forse era la porticciuola stessa che innanzi lâepoca di Leone appellavasi Posterula Maggiore, della quale è fatta menzione in un documento degli 11 gennajo dellâanno (ERRATA: 951) 851. (Memor. cit. T. IV. P. II).
A confermare lâandamento del testè designato perimetro del primo cerchio di Lucca giovano varie scritture anteriori allâepoca del secondo giro della stessa cittĂ , molte delle quali furono giĂ , o stanno per pubblicarsi, mercè lâoperositĂ degli accademici lucchesi, nelle Memorie per servire alla storia della loro patria.
Inoltre lo dĂ in qualche modo a divedere un rituale della cattedrale di Lucca scritto nel 1230, in cui trovasi registrato il giro che nel secolo XII facevano le processioni di quel capitolo nei tre giorni delle rogazioni, passando fuori o dâappresso al primo e secondo cerchio della cittĂ , nello stesso modo che un egual uso conservano sempre altre cittĂ della Toscana, segnatamente Firenze e Pistoja.
Dal citato scrittore Moriconi, e piĂš modernamente dal Diario Sacro delle chiese di Lucca, ristampato nel 1836, si rammenta il giro che allora faceva quellâitinerario sacro, il quale giova al mio scopo, perchĂŠ qui ne dia un breve sunto.
âIl primo giorno delle rogazioni la processione esciva dalla porta orientale della cittĂ per recarsi alla chiesa di S.
Maria Maggiore (cioè di Forisportam), di là a S. Pietro Somaldi, poi a S. Frediano, quindi a S. Giustina e a S.
Donato e finalmente a S. Ponziano, dopo di che rientrava in cittĂ e nella chiesa di S. Reparata finiva con la messa cantataâ.
âIl secondo giorno il clero partiva dalla cattedrale per recarsi a S. Dalmazio, poscia esciva dalla cittĂ per porta S. Pietro e andava a S. Silvestro e a S. Colombano, e di lĂ alla chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, dipoi a S.
Bartolommeo in Silice, dove faceva stazione e predica; finalmente visitava la chiesa di S. Michele di Borghicciuolo (ora S. Micheletto) e rientrava in cittĂ per la porta S. Gervasioâ.
âIl terzo giorno la processione partendo dalla cattedrale esciva dalla cittĂ per la porta S. Pietro, dove visitava la chiesa di S. Pietro Maggiore e quella di S. Maria (del Corso), indi lâaltra di S. Romano e di S. Benedetto; di poi rientrava in cittĂ (dalla porta S. Donato) per visitare la chiesa di S. Giorgio, poscia quella di S. Alessandro Maggiore e di S. Michele in Foro , dalla quale recavasi alla Corte del Re (S. Maria in Palazzo) dove faceva stazione epredica, finalmente, data la benedizione, ritornava alla cattedraleâ.
Secondo cerchio di Lucca. â Col secondo cerchio delle mura restarono rinchiuse nella cittĂ diversi subborghi, varie strade e case che avvicinavano il primo giro, massimamente dalla parte di oriente e di grecale. La popolazione di cotesti subborghi dopo il secolo XII costituiva nel regime della repubblica una sezione della cittĂ , designata col titolo di Quartiere dei Borghi, e conseguentemente diversa dallâaltra denominata dalla Porta S. Frediano, ossia del Borgo. â Vedere qui a pag. 845 e segg.
Ă opinione che il secondo cerchio di Lucca venisse decretato dal governo nellâanno 1200, e che restasse terminato nel 1260, comecchè vi siano documenti di data anteriore confacenti a dimostrare, che fino dal 1095 si era presa qualche misura per mettere in piĂš largo cerchio la cittĂ , siccome fra gli altri lo dĂ a conoscere un istrumento dellâArchivio deâcanonici di S. Martino dellâanno 1095, nel quale si parla di un orto presso S. Colombano e S.
Alessandro (detto poi S. Alessandretto), il quale orto confinava con una via, quae est juxta murum veteris civitatis.
Comunque sia, lâannalista Tolomeo ne avvisò, che allâanno 1184 Alcherio di Pagano, allora console di Lucca, fece escavare i fossi attorno alla cittĂ , dicendo, che sotto di lui costruironsi le carbonaje .
GiĂ poco sopra, a pagina 845, fu accennato un diploma dellâanno 1209 da Ottone IV concesso ai Lucchesi, nel quale si rammenta, non solo il muro vecchio, ma anche il nuovo della cittĂ di Lucca.
Dovendo pertanto rintracciare il giro del secondo cerchio, sembra che esso dal lato di scirocco, a incominciare dal luogo ora detto la Scesa di piaggia, sâindirizzasse lungo la strada, che vien percorsa dal fosso, dirigendosi contrâacqua da ostro a settentrione quasi in linea retta fino al luogo detto la Fratta: costĂ dove nel secolo trapassato fu innalzata in mezzo ad una crociata di strade la colonna della Madonna dello Stellario. Questa porzione di mura non può realmente contare unâetĂ piĂš antica del secolo XIII; e lo prova fra i molti un contratto del 1197 dellâarchivio di S. Maria Forisportam, ora nella biblioteca di S. Frediano in cui si legge: Actum extra muros civitatis, videlicet in ecclesia S. Mariae Forisportam, sicchè alla fine del secolo XII la chiesa di S. Maria Maggiore, oggi detta S. Maria Bianca, era sempre fuori di cittĂ . â Esiste tuttora la grandiosa porta di S. Gervasio, attualmente appellata il portone dei Servi, oppure il portone dellâAnnunziata da una chiesa contigua di tal titolo; la qual porta, oltre lâincassatura fatta per la Sanacinesca, trovasi in mezzo a due torrioni circolari, tutti da capo a fondo lavorati con mirabile arte di pietra squadrata, nella guisa appunto che essi con la porta medesima furono descritti da Ciriaco Anconitano, quando nellâanno 1442 passò da Lucca. Ecco le sue parole: Vidimus praeterea in praefata egregia civitate Lucana moenia ex vivo lapide circum noviter recensita conspicua arte elaborata, sed aliqua ex parte vetustatum vestigia nonnulla videntur, et inter potiora portam duabus rotundis turribus insignem vivis ex lapidibus mirifice instructam; et hinc inde ab utraque summitatis listarum parte leonem marmoreum habentem; quam vero portam Romanam antiqui vocarunt indigenae, nunc vero S. Gervasii nomine incertum vulgus appellat; etc. (CYRIACI ANCON. Commentar. Nova Fragmenta.) Proseguendo il giro del secondo cerchio, coteste mura da settentrione a maestro dirigevansi verso il borgo S.
Leonardo, il quale insieme con la sua chiesa, allora in Capite Burg i, restava escluso dalla cittĂ , mentre venivano dal cerchio medesimo rinchiuse le chiese di S. Maria Forisportam, di S. Pietro Somaldi, di S. Pier Cigoli, di S.
Bartolommeo in Silice, di S. Micheletto, e di S. Andrea, detta allora in Pelleria, perchÊ in quella contrada vi erano le conce delle pelli, e vi passava quel fosso che in tempi piÚ antichi attraversò la città per i luoghi di sopra indicati.
â Esisteva probabilmente da questo lato la postierla che si disse di Pagano , forse dal padre del console che nel 1184 edificò le carbonaje , di cui si è fatta testè menzione. â Il Moriconi in appoggio di essa postierla cita, senza data, un istrumento dellâarchivio dei canonici di S. Martino, segnato (NN. 102) con la seguente indicazione: Domus juxta posterulam, quae dicitur Pagani, in contrata S.
Petri Cigoli: tenet unum latus in muro civitatis, etc.
Continuando lâandamento del secondo giro della cittĂ , sembra che al principio del borgo di S. Leonardo il muro dovesse piegare da maestro a ponente, e voltasse faccia a settentrione. In questa linea fu aperta la nuova porta di S.
Frediano, che vedesi tuttora nel cosĂŹ detto Portone dei Borghi, difesa, come lâaltra di S. Gervasio, da due torrioni. Se non che questa di S. Frediano ha doppio ingresso, i cui archi tuttora sussistono della forma rotonda e costruiti di pietra concia. Se non che i torrioni del Portone dei Borghi sono stati mozzati e in gran parte nascosti fra le adiacenti abitazioni. Nella facciata esteriore di questa, come dallâaltra porta S. Gervasio, trovasi murato lâemblema della Redenzione, in forma di croce quadra di marmo bianco in campo di pietra nera.
Dal Portone dei Borghi le mura proseguivano verso ponente-libeccio fra il bastione attuale di S. Frediano e la chiesa di S. Agostino. E qui giova avvertire, che nel muro del terzo cerchio, posto fra la porta di Borgo e il bastione di S. Frediano, avvi una porta murata costruita non giĂ di mattoni, nĂŠ a sdrajo come sono i muri del terzo cerchio, ma di pietra squadrata simile alle muraglia del secondo cerchio, cioè a quelle mura conspicua arte elaborata, che Ciriaco Anconitano allâanno 1442 disse, noviter recensita. Sarebbe mai questo tratto del muro del secondo cerchio conservato per cortina nella riedificazione del terzo giro della cittĂ ? Niuno altronde, châio sappia, parlò della porta ivi murata, seppure non fu questa una postierla. Certo è che allâestremitĂ del borgo S. Frediano presso le mura del secondo cerchio passava il Serchio, dove fu un ponte e uno spedale per i pellegrini, chiamato di S. Giovanni in Capo di Borgo, per essere appartenuto alla distrutta chiesa di S. Giovanni in Muro , manuale di quella di S. Frediano. Infatti un contratto dellâarchivio di S. Frediano del dĂŹ 8 dicembre 1260, segnato (B. 65. Arca 2.) tratta di un livello perpetuo fatto da un canonico rettore della chiesa e spedale di S. Giovanni de Capite Pontis, col consenso del priore e capitolo di S. Frediano, a fovore di un tal Luparello abitante in detta contrada di Capo di Borgo fuori della porta, per cui il rettore concede al fittuario per lâannuo canone di soldi 22 lucchesi un orto posto presso i nuovi muri di Lucca, vicino al ponte della porta di Borgo S. Frediano.
A S. Giovanni in Muro il secondo recinto della cittĂ dubito che andasse parallelo ai bastioni attuali fino presso alla porta. S. Donato, nel quale tragitto includeva in cittĂ la chiesa col monastero di S. Giustina, e quella di S.
Benedetto, ora detto il Crocifisso deâBianchi.
CostĂ le mura dirigendosi a scirocco passavano fra la porta attuale di S. Donato e quella del primo cerchio, la quale si doveva trovare in capo alla via di S. Paolino. â A sinistra della porta medesima il muro, rasentando dâappresso la chiesa di S. Luca e lo spedale della Misericordia, lasciava fuori di cittĂ il prato del Marchese, ossia del corso, per arrivare alla cosĂŹ detta Cittadella, dove voltando faccia a ostro dirigevasi verso levante sino al bastione di S. Colombano, dietro il palazzo vescovile. â In questo lungo tragitto, di fronte a libeccio e ostro esistevano oltre le porte di S. Donato e di S. Pietro alcune postierle, per le quali, a forma delli statuti antichi di Lucca (Lib. ultimo, cap. 55.) non era permesso il passaggio ai carri. Da questo lato il secondo cerchio rinchiuse in cittĂ le chiese di S. Romano, di S. Maria del Corso, di S. Alessandro, ossia di S. Alessandretto insieme con lâannesso ospizio, ed altre antiche chiese state fino allora suburbane.
Terzo cerchio delle mura di Lucca. â Il terzo e lâattuale piĂš grandioso giro delle mura di Lucca fu decretato nellâanno 1504, dalla repubblica, che vi fece lavorare dalla parte di levante e di mezzodĂŹ sino al 1544. Per altro fattisi accorti, che quel modo di costruire i bastioni circolari e le mura forse con poca scarpa, non era il piĂš confacente a ridurre Lucca, come si voleva, una piazza forte, gli Anziani affidarono lâesecuzione ad altri ingegneri, fra i quali meritossi maggior lode Vincenzio Civitali.
Questa grandiosa opera non restò compita intieramente prima dellâanno 1645, madiante la spesa di scudi 995,162, pari a 5,510,550 franchi, senza contare il valore di 120 grossi cannoni di bronzo che guarnivano gli 11 bastioni dai quali è difesa la cittĂ . â Le mura dalla parte che guardano la cittĂ sono fornite di larghi terrapieni, lungo i quali campeggia una spaziosa strada carrozzabile. Ă questa via fiancheggiata dal lato della campagna da un comodo marciapiede, mentre dalla parte esterna le mura sono difese da opere avanzate contornate da fossi e da terrapieni. A questi fa corona da ogni lato una libera e aperta pianura sino alla distanza di circa 750 braccia, chiamata la Tagliata , per la ragione che in quello spazio è vietato piantare alberi di sorta alcuna. Da questo punto bella e variata offresi la prospettiva della coltivatissima campagna intorno a Lucca, contornata da colline, da poggi e da monti sparsi di ville signorili, di paesetti, di chiese, di torri e di borgate. Il passeggio sopra le mura non è tampoco interrotto dalle porte della cittĂ , poichĂŠ lâampia strada vi passa sopra pianeggiante lungo tutto il giro della cittĂ che misura 7100 braccia lucchesi, pari a metri 4192,55.
La superficie del suolo occupata dal fabbricato di Lucca, compreso il giro esterno delle mura e delle fortificazioni degli spalti, corrisponde a coltre lucchesi quadre 481,3, equivalenti a quadrati fiorentini 566,6, ossiano a undici sedicesimi di miglia toscane quadrate.
In questo terzo cerchio di Lucca esistevano tre sole porte, (Porta al Borgo, Porta S. Donato e Porta S. Pietro) innanzi che dirimpetto a una magnifica, veramente strada regia, fosse aperta la Porta Nuova, o di S. Croce, già detta Elisa , perchÊ questa principessa la ordinò nel 1806.
Da cotesta Porta nuova, volta a levante, esce lâampia strada postale Pesciatina fiancheggiata da doppio marciapiede e difesa da quadrupla linea di alberi. â Dalla Porta al Borgo, detta anche S. Maria, esce la strada nuova dei Bagni e di Barga; dalla Porta S. Donato, escono le strade postali di Pisa e di Genova; e dalla Porta S. Pietro parte la strada vecchia del Monte di S. Giuliano.
EDIFIZJ E STABILIMENTI PUBBLICI DELLA CITTAâ DI LUCCA Chiese piĂš grandiose e piĂš celebri della cittĂ . â Quantunque sussistino molti documenti scritti innanzi al mille, nei quali si rammentano fra le molte chiese alcune delle piĂš insigni tuttora esistenti in Lucca, se debbasi eccettuare la cattedrale di S. Martino, e dirò anche la chiesa di S. Frediano, non sembra che le altre fossero di quella dimensione e struttura architettonica che dopo il secolo X hanno acquistato; tanto piĂš che poche di esse prima di quel tempo furono da piĂš di un prete, o da piĂš dâuna persona ecclesiastica dirette e governate.
Che la chiesa, ora insigne collegiata di S. Michele in Piazza , nel secolo IX fosse poco piĂš di un oratorio, lo danno a divedere le carte state recentemente pubblicate nelle Memor. Lucch. T. IV. e T. V. P. II. e III; alle quali aggiungere si può quel poco che fu accennato qui sopra alla pagina 825. â Fu bensĂŹ dopo il mille che si riunirono nella chiesa di S. Michele in Piazza alcuni preti per vivere canonicamente, finchè poi vi passarono i monaci Benedettini; per opera dei quali nellâanno 1142 quel tempio si restaurò, e forse allora fu nella grandezza e forma attuale riedificato.
Realmente la facciata trovasi eseguita per la massima parte nellâanno 1188, per opera dellâarchitetto Guidetto, autore di quella cattedrale. Il secondâordine però delle colonnette dal lato sinistro della facciata è unâaggiunta fatta nel 1377. Il campanile, e gli ornati dalla parte volta a levante, al pari che lâesterna tribuna dal lato di settentrione, contano lâepoca della signoria, di Paolo Guinigi, per ordine del quale furono fatti. â (Vedere DIARIO SACRO delle chiese di Lucca, di Mons. Mansi, accresciuto dal Barsocchini. â GUIDA di Lucca del Mazzarosa).
Della chiesa di S. Maria Forisportam si hanno notizie fino dallâanno 788 nelle carte dellâArchivio Arcivescovile ed anche da altri archivii; due delle quali, del 7 marzo 844 e del 31 dicembre 854, sono state pubblicate nel supplemento al T. IV delle piĂš volte citate Memorie lucchesi. Perocchè da quei documenti chiaro apparisce, che le chiese riunite di S. Maria e S. Gervasio, quae sitae sunt prope murum istius civitatis lucense: o come dice lâaltro istrumento, foras civitate ista lucense prope portam S. Gervasii, quelle chiese cioè che rispondono a S.
Maria Forisportam, non erano altro che meri oratorii dal vescovo concessi in benefizio a un ecclesiastico, cui era ingiunto lâobbligo dâuffiziarli, di tenervi il lume giorno e notte, e di pagare ognâanno 90 denari alla mensa vescovile, piĂš qualchâaltro tributo ivi specificato.
Anche nellâanno 900 la chiesa medesima di S. Maria e SS. Gervasio e Protasio, situata foras civitate ista Lucense, fu concessa in benefizio da Pietro vescovo di Lucca per lâannuo censo di 20 denari dâargento (loc. cit.).
Appella alla stessa chiesa di Forisportam un calendario della cattedrale di S. Martino, scritto innanzi la prima metĂ del secolo XIII, nel quale si racconta, châessa sul declinare del secolo VIII era giĂ rovinata, mentre, trattandosi ivi del vescovo Jacopo che presedè alla chiesa lucchese sul principiare del secolo IX, si dice, che egli ricostruĂŹ questa chiesa di Forisportam tutta di materiale, la quale innanzi era una chiesupola: quae nuper diruta fuerat, ei cum columnis ligneis (episcopus Jacopus) ipsum altare fecit, nec officium, nec luminaria, nisi tantum in die dominicae aestivo tempore missa celebratur. Modo numero⌠sacerdotes ibidem diurno et nocturno officium plenum peragunt sicut in ecclesia S. Martini, etc.
Infatti in un libro di contratti dellâArchivio capitolare di S. Martino esiste un istrumento del 1230, in cui si rammenta il prete Orlando Maestro di scuola e Canonico di S. Maria Forisportam. (MEMOR. LUCCH. T. IX. pag.
21).
Del luogo dove fu la distrutta chiesa di S. Gervasio ne dà notizia un istrumento del 22 giugno 1034, col quale Giovanni II vescovo di Lucca allivellò fundamentum illud, ubi jam fuit ecclesia SS. Gervasii et Protasii, quod est posito et fundato foris hanc urbem Lucae prope ecclesiam S. Mariae et prope Portam, quae dicitur S.
Gervasii. â (BERTINI, Memor. Lucch. T. IV. P. II.) Cattedrale di S. Martino. â Troppe memorie confermano a cotesto chiesa matrice lâonorificenza fra le piĂš antiche cattedrali dellâItalia, comecchè il bel tempio attuale sia stato riedificato in dimensioni assai piĂš grandiose dal vescovo Anselmo di Badagio, mentre egli sedeva contemporaneamente nella cattedra di S. Pietro sotto nome di Alessandro II; e fu lo stesso Pontefice che, ai 6 ottobre del 1070, la cattedrale medesima solennemente consacrò. In quella occasione fu collocato il simulacro del Volto Santo nella cappella, in cui attualmente si trova.
Questa elegante cappella in forma di tempietto ottagono venne rifatta nel 1484 col disegno e direzione del Fidia lucchese, voglio dire di Matteo Civitali, châè pure lâautore della bellissima statua di S. Sebastiano nella nicchia esterna dietro lâaltare del Volto Santo. â La facciata esteriore del duomo fu eseguita nel 1204 dallâarchitetto Guidetto, da quello stesso che nel 1188 diresse lâarchitettura della facciata di S. Michele in piazza. â Gli ornamenti dellâatrio sopra la porta minore, a sinistra entrando nel duomo di S. Martino, sono del celebre Niccola Pisano.
Questo grandioso tempio, della prima maniera cosĂŹ detta gotica, è a tre navate divise da nove grandi archi per parte; otto deâquali a mezzo-tondo; ma lâultimo di essi, che arriva alla tribuna, essendo a sesto acuto fece dubitare essere stata unâaggiunta fatta nel principio del secolo XIV. La lunghezza interna della maggior navata è di braccia lucchesi 140,4; la larghezza di braccia 44,5; la crociata braccia 61,2, e lâaltezza della nave di mezzo braccia 45,3. â Nella navata maggiore è praticato un secondâordine di archi in numero doppio di quelli del primo ordine, figurati da altrettanti finestroni in due gallerie che percorrono tutta la chiesa sino alla tribuna.
Ciascuno di cotesti archi è suddiviso da due sottili colonnette gotiche che sostengono degli ornati traforati in archivolto di sesto semi -acuto.
Lâedifizio al di fuori è tutto incrostato di marmo del vicino Monte Pisano, e nellâinsieme presenta allâocchio unâarmonia e regolaritĂ che per il tempo in cui fu fatto può dirsi portentosa.
La cattedrale lucchese abbonda di belle opere di scultura, di pittura e di orificeria. Allâaltare del Volto Santo esistono preziosi lavori di cesello in argento dorato; cosĂŹ in sagrestia, dove si custodisce una croce dâargento dorato dal peso di libbre 30, della la Croce dei Pisani, lavoro del secolo XIV assai delicato, e ricco di figurine. Nellâaltare della stessa sagrestia havvi una bella tavola di Domenico Ghirlandajo, ed in una stanza contigua va visitato il sarcofago dâIlaria del Carretto, moglie di Paolo Guinigi, per essere un pregiato lavoro dâJacopo della Quercia.
Dentro alla chiesa poi si ammira sopra tutte le opere di scalpello il monumento sepolcrale di Pietro da Noceto, e vicino a questo il ritratto parlante di Domenico Bertini mecenate dellâartefice insigne, Matteo Civitali, cui si debbono eziandio i bassorilievi del pulpito, li due angeletti di marmo al tabernacolo del Sacramento, e le tre statue coi basso-rilievi nellâaltare di S. Regolo, mentre le figure scolpite a Cornu Evangelii sullâaltare della LibertĂ sono lavorate da Giovan Bologna.
Rapporto agli oggetti di pittura, trovasi di fronte al sarcofago di Pietro da Noceto una tavola di Fra Bartolommeo della Porta rappresentante la Beata Vergine, opera delle piĂš pregiate di quellâinsigne pittore, fatta nel 1509, e contornata da pilastri di marmo scolpiti ad ornato dallo stesso Civitali. Agli altari delle navate una Visitazione, dâJacopo Ligozzi; la Presentazione al tempio, di Alessandro Allori; la Cena del Signore, del Tintoretto; la Crocifissione e la NativitĂ , due tele del Passignano, lâAdorazione dei Magi, di Federigo Zuccari, e una bella Resurrezione, del vivente Michele Ridolfi lucchese.
In quanto alla fabbrica della contigua canonica, essa conta la sua prima fondazione sotto il vescovo Giovanni II, il quale nellâanno 1048 prescrisse al clero della sua cattedrale la vita comune secondo le regole canoniche, per cui concedè al capitolo di S. Martino un pezzo di terreno con casa contigua alla cattedrale e allâepiscopio; al quale dono fu da Alessandro II, nel 1063, aggiunto un altro pezzo di terra posto presso la stessa cattedrale. (Memor.
Lucch. T. IV. P. II.) Chiesa di S. Frediano. â Ădopo la cattedrale una delle piĂš antiche e piĂš vaste chiese di Lucca, giacchè la sua prima riedificazione rimonta allâanno 685, sebbene vi sia da dubitare che non fosse tale come ora la si vede. Ciò nonostante essa è stata segnalata per unâopera dei tempi longobardici, e quasi la sola chiesa che sia rimasta in Italia di quellâepoca la meno alterata nellâinterno; qualora si eccettuino le cappelle in fondo alla chiesa, e il presbitero visibilmente rialzato sopra il gradino posto verso la metĂ della navata maggiore, e del quale abbiamo consimili in S. Croce, ed in S. Maria Novella di Firenze ec.
GiĂ da qualche tempo esisteva la chiesa dei SS. Lorenzo, Vincenzio e Stefano Martiri nella quale sul declinare del sesto secolo fu sepolto il corpo del santo vescovo Frediano, quando la stessa chiesa nel 685 fu riedificata da Faulone, creduto maggiordomo del re Cuniberto, e da esso lui dotata e assegnata a Babbino abate ed ai suoi monaci, lo che indica esservi stato fino dâallora costĂ presso un monastero di claustrali. Infatti nellâanno stesso Felice vescovo di Lucca diè facoltĂ a quei monaci di vivere conventualmente, e di amministrare la loro chiesa, promettendo ai medesimi di non assegnare ad altro luogo pio alcuna parte della pecunia e dei beni che Faulone aveva donati alla stessa chiesa, e di lasciare allâarbitrio di quei claustrali la nomina dellâabate, dopo che fosse per mancare il vivente abate Babbino.
Questa famiglia religiosa alla metĂ del secolo VIII doveva esistere in credito, tostochè Walfredo nella fondazione della badia di S. Pietro a Monte-verdi nellâanno 754, nominò fra gli altri lâabate della chiesa di S. Frediano di Lucca, ubi et ejus corpus quiescit humatum. BensĂŹ nel secolo IX, alcuni testimoni esaminati nellâ838 deposero che la chiesa di S. Frediano molto innanzi quel tempo era stata data in benefizio dal vescovo Giovanni al di lui fratello Jacopo; il quale appena fatto vescovo, nellâanno 801, rinunziò il benefizio della chiesa medesima in favore di un prete e di un diacono, cui diede ancora facoltĂ di amministrare il di lei patrimonio.
Anche nel secolo X, e segnatamente nellâanno 923, con istrumento del 5 settembre, il vescovo Pietro ordinò il prete Willerado rettore della chiesa di S. Frediano; ut in tua (egli dice) sit protestate una cum secretario, seu subdito, et casis recta ipsa ecclesia, et prope eandem ecclesiam cum edificiis suis, seu curte et orto, etc.
(MEMOR. LUCCH. Tomo IV. P. II. e T. V. P. II. e III.).
In conclusione, fino allâepoca del 923 si parla di S.
Frediano come di una chiesa semplice, senza dichiararla parrocchiale, e molto meno battesimale. Allâonore per altro di parrocchia plebana era stata innalzata, quando con atto pubblico del 2 dicembre, nellâanno 1042, il vescovo di Lucca Giovanni II ordinò il chierico Benedetto e lo investĂŹ della chiesa battesimale deâSS. Vincenzio, Frediano, Stefano e Lorenzo, la qual chiesa, (dice il testo) est aedificata foris civitatem istam lucensem prope fluvio Serclo. (loc. cit.).
Posto adunque ciò, converrebbe credere che non prima del secolo XI la chiesa di S. Frediano divenisse pieve, e conseguentemente, che lâuso in essa introdotto della benedizione del fonte nel sabato santo della Pentecoste non contasse unâepoca molto piĂš antica dellâaccennata.
Alla qual funzione della benedizione del S. fonte appella un privilegio di Pasquale II del 24 maggio 1106 in aumento di altra bolla dello stesso pontefice, data in Laterano il 28 ottobre del 1105, quando egli, ad istanza di Rotone preposto e pievano di S. Frediano, instituĂŹ in mezzo a quella famiglia di preti e curati una nuova congregazione regolare di canonici, denominati poi Lateranensi di S. Frediano. Comecchè sia, allora fu che il priore della nuova canonica si diede a riedificare in piĂš ampia forma la sua chiesa, siccome venne registrato in unâantica scrittura di quellâarchivio, ora smarrita. â Tale poi era lâimpegno del Pontefice Pasquale II nel favorire cotesto istituto, che molte lettere su di ciò furono pubblicate nel Tomo IV delle Miscellanee del Baluzio raccolte dallâerudito vescovo Gio. Domenico Mansi; alcune delle quali leggonsi dirette al vescovo ed ai canonici dalla cattedrale di Lucca invitandoli a mostrarsi piĂš propensi verso i canonici di S. Frediano.
Infatti mancato di vita il priore Rotone, e poco dopo anche il Pontefice Pasquale II, la congregazione agostiniana di S. Frediano, o per scandali eccitati, o per insistente persecuzione, come disse il Pontefice Callisto II, restò per poco tempo soppressa, finchè sotto il priore Attone successore di Rotone dallo stesso Pontefice Callisto II venne ripristinata. Dâallora in poi crebbe in fama quellâordine di canonici regolari tanto, che sotto i Papi Innocenzo II ed Eugenio III riescĂŹ loro di ottenere dal vescovo di Lucca la chiesa di S. Salvatore in Mustiolo con le chiese ed eremi di S. Antonio e di S. Giuliano, e poscia il convento di S. Pantaleone nel Monte pisano; dal vescovo di Luni la pieve di Carrara; da quello di Siena la chiesa di S. Martino, e dal Pontefice Adriano IV il Monastero di S. Maria di Bagno in Romagna.
Non deve perciò far maraviglia, se in tanta prosperitĂ di quei claustrali venne con maggiore lustro restaurata o rifatta la chiesa di S. Salvatore in Mustiolo; di che può far fede un bassorilievo sullâarchitrave della porta di fianco scolpito da quel Beduino, che lavorò nellâanno 1180 alla chiesa di S. Casciano presso Pisa; e ritengo ancora che da essi fosse rifatto la chiesa di S. Frediano, il cui altare, per attestato del Pontefice Alessandro III, consacrò Eugenio III alla presenza di Gregorio vescovo di Lucca. (BALUZI, Op. cit.) Questo tempio è a tre navate, la maggiore delle quali è lunga braccia 107 lucchesi; larga nella crociata braccia 36,7; e alta braccia 35,8. La nave di mezzo ha 12 archi per parte a intiero sesto, sostenuti da colonne di marmi diversi, e alcune diseguali per lâaltezza, con capitelli e basi di antico stile, tutte sproporzionate rispetto alla mole ed allâaltezza del muro che sorreggono. â Danno luce alla stessa navata delle finestre a strombo, divise da un colonnina di marmo, alla maniera usata nei primi secoli dopo il mille.
Vi si vede tuttora una gran vasca marmorea che serviva pel battistero dâimmersione, nella quale sono scolpite varie storie del testamento vecchio, e sullâorlo superiore il nome di chi la fece, cioè Robertus magister laâŚ, forse uno scultore del secolo XII o XIII. Il moderno battistero è di Nicolao Civitali, nipote dellâegregio Matteo.
Fra le altre opere di scultura esistono in questa chiesa alcune figurine ad alto rilievo sullâaltare del Sacramento, e due statue sopra i sepolcri della stessa cappella, lavori creduti dei meno pregiati di Jacopo della Quercia.
Assai piĂš pregevole bensĂŹ è il sarcofago che lâamicizia ha di corto innalzato in S. Frediano al defunto letterato lucchese Lazzaro Papi, scultura esprimentissima del fiorentino Luigi Pampaloni.
Non spenderò parole sopra molte altre chiese di antica etĂ e fattura, come quelle di S. Alessandro, di S. Pietro Somaldi, di S. Giovanni, di S. Pier Cigoli, ossia del Carmine, di S. Maria in Corte-Landini, di S. Cristofano ec. Non dirò quelle piĂš vaste erette in Lucca nel XIV e XV secolo, come a S. Agostino e a S. Francesco; non dellâaltra di S. Paolino innalzata nel secolo XVI col disegno di Baccio da Montelupo; nĂŠ finalmente parlerò della chiesa di S. Romano rifatta nel secolo XVII, giacchè ognuno che il voglia può trovare assai meglio che io nol potrei materia da soddisfare alle sue indagini nelle Guide di Lucca, che da due nobili ed eruditi lucchesi, Tommaso Trenta nel 1820, e Antonio Mazzarosa nel 1829, hanno pubblicato. Dirò solamente, che, fra le tavole pittoriche piĂš segnalate, di che sono adorni i tempii di Lucca, non si può ammirare tanto che basta il capo dâopera di Fra Bartolommeo della Porta nella chiesa di S. Romano che dipinse per questa chiesa un altro meno celebre quadro.
Secondo per merito possono dirsi due tavole di Guido Reni in S. Maria Corte-Landini, lâAssunta del lucchese Zacchia il vecchio in S. Agostino; al qual pittore spettano pure altre due tavole a S. Salvatore in Mustiolo, e a S.
Pietro Somaldi. In questâultima chiesa esiste anche una tavola di Palma il vecchio; due del Guercino sono in S.
Maria Forisportam, e unâaltrâAssunta del nominato Zacchia sta in S. Francesco, per tralasciare di altri quadri di buoni artisti posteriori al secolo XVI.
Palazzo Ducale. â Innanzi di lasciare i monumenti di belle arti incombe di rammentare lâantica residenza del Gonfa loniere e dei Signori della repubblica lucchese, attualmente reggia ducale.
Ebbe principio questo palazzo nel 1578 col disegno e direzione del celebre Bartolommeo Ammannato, cui appartiene il portico interno e lâesterna facciata, a partire dal lato meridionale sino alla gran porta dâingresso. Tutto il restante della facciata davanti alla piazza, e quella laterale volta a settentrione, restò terminato verso lâanno 1729 dallâarchitetto lucchese Francesco Pini secondo il disegno, sebbene alquanto alterato, del primo autore.
Quantunque il palazzo nello stato attuale, fornito di due grandi atrii, comparisca grandioso, e sia divenuto uno dei piĂš comodi e dei piĂš confacenti a un a reggia, pure esso è un buon terzo minore di quello in origine ideato dallâAmmannato.
La principale facciata doveva esser voltata a mezzogiorno, ed è quella parte che si trova nellâinterno del secondo cortile, cui doveva servire di adornamento un portico simile al primo atrio. Fra questi due è stato aperto un magnifico peristilio di colonne doriche della pietra di Guamo (Selagite) esso dĂ lâaccesso ad una grandiosa scala con gradini di marmo bianco carrarese di sei braccia, tutti di un pezzo. Tale opera fu eseguita, per ordine della duchessa Maria Luisa di Borbone, dallâarchitetto lucchese Lorenzo Nottolini.
Da questa scala veramente regia si sale agli appartamenti nobili, i quali furono riccamente addobbati di drapperie e mobilie, quasi tutte ordinate e lavorate da fabbricanti e manifattori lucchesi.
Ciò che piĂš importa di esser veduto è la galleria dei quadri per le opere di autori di primo ordine. Citerò fra questi la Madonna deâCandelabri, di Raffaello; una tavola della Beata Vergine con S. Anna e quattro Santi, châera in S. Frediano, dipinta dal Francia; una Vergine col bambino, di Leonardo da Vinci; una piccola tavola di S.
Giovanbattista fanciullo, colorita dal Coreggio; unâaltra rappresentante Cristo in croce con la Vergine e S.
Giovanni, di Michel Angelo Buonarroti; la Strage deglâInnocenti, di Niccolò Poussin, una S. Cecilia, mezza figura in tela, di Guido Reni, e una S. Apollonia dipinta sul rame, dello stesso Guido; un Noli me tangere, del Barocci; una mezza figura della Vergine, del Sassoferrato; un quadro della S. Casa di Loreto, del Domenichino; un Cristo davanti al giudice, di Gherardo delle Notti; tre quadri in tela rappresentanti tre miracoli di GesĂš Cristo, dipinti dai tre Caracci ec.
Fra le tele moderne ivi figurano il Camuccini di Roma, il Landi di Piacenza, il Nocchi, il Giovannelli ed il Ridolfi, tre egregii pittori lucchesi del nostro secolo.
Non parlo dellâantico palazzo pubblico di S. Michele in piazza, da dove sino dal secolo XVIII si traslocò in questo ducale la Signoria di Lucca. Dirò una parola sullâaltro edifizio o palazzo deâtribunali, perchè richiama alla memoria il secondo magistrato della repubblica lucchese.
Tale è il palazzo pretorio, giĂ residenza del potestĂ ora dei tribunali, situato nella piazza di S. Michele; la cui fabbrica, incominciata nel secolo XV e terminata al principio del XVI, presenta uno stile che sembra della scuola dellâOrcagna, tra il gotico italico e il gusto moderno. â Essa in gran parte si regge sopra una loggia che ha dirimpetto alla piazza tre arcate a sesto intero, mentre un solo arco trovasi dal lato della strada, per la quale si vĂ al palazzo ducale.
In quanto allâedifizio della zecca non ne resta piĂš indizio alcuno, essendo giĂ scorsi molti secoli dalla distruzione di quello che servĂŹ per simile uso al tempo deâLongobardi.
Essendo che la zecca lucchese, la quale, come giĂ fu avvertito alla pagina 823, era la piĂš accreditata per la bassa Italia, nei secoli intorno al mille esisteva presso la chiesa di S. Giusto, siccome ne avvisa fra le altre una carta dellâArchivio Arcivescovile Lucchese dellâanno 1040, ed un istrumento scritto li 15 giugno dellâanno 1068, presso al monastero di S. Ponziano, allora fuori di Lucca. Trattasi in esso dellâaffitto di una casa di proprietĂ della badia di Poggibonsi; la qual casa si dichiara situata dentro la cittĂ di Lucca in vicinanza della chiesa di S.
Giusto prope Monetam, etc. â (ARCH. DIPL. FIOR.
Carte dello Spedale di Bonifazio).
Assai tardi la fabbrica della zecca lucchese fu eretta dove attualmente si trova, cioè, nella via del Fosso fra la porta S. Pietro e quella di S. Donato.
Tra le fabbriche destinate allâuso pubblico deve rammentarsi la Torre, che appellasi delle Ore, perchĂŠ sopra di essa è collocato uno dei piĂš antichi orologi a peso. Fu deliberato questo meccanismo con provvisione del giugno anno 1391, e ne fu commessa lâesecuzione allâartefice lucchese Labruccio Cerotti con lâobbligo di compiere quel lavoro dentro il mese di febbrajo del 1392; a condizione che egli dovesse fabbricare un orologio della grandezza di quello di Pisa al prezzo di fiorini 200 dâoro, e collocarlo al posto sulla torre della casa Diversi, stata dal governo a tale oggetto acquistata. â (CIANELLI, Memor. Lucch. T. II.) Stabilimenti pii e di pubblica caritĂ , Ospedali, Orfanotrofi, e Depositi di MendicitĂ . â I Lucchesi diedero antiche e cospicue prove di questi due generi dâistituzioni, sopra tutto rapporto alla fondazione di spedali presso le porte della cittĂ e lungo le strade maestre del contado. Da gran tempo però quegli ospedali, e simili ospizii sono cessati, destinando il loro patrimonio ad altri usi di pubblica utilitĂ , o riunendoli ad ospedali superstiti. â Tale si è quello della Misericordia dotato dallâarte dei mercanti lucchesi sotto la protezione di S. Luca, cui è dedicata la chiesa. Fu edificato presso i beni dei marchesi Adalberti e della gran contessa Matilde, giacchè il suo locale trovasi accosto al Prato del Marchese, ossia al Circo di porta S.
Donato.
Se dobbiamo credere allâiscrizione posta nel muro esterno della strada che va da S. Paolino alla porta prenominata, lâepoca della fondazione di questâospedale sarebbe dellâanno 1287; essendochè ce lo dice una lapida ivi murata con lâarme dellâospedale della Misericordia, simboleggiata in una balla di seta, sotto una M con queste parole: Anno Domini MCCLXXXVII, i Mercanti dâArti. â Unâaltra lapida piĂš vicina al canto della chiesa di S. Luca, dellâanno 1288, câindica il nome dello spedalingo, per opera del quale lâospedale medesimo fu eretto: Hoc Hospitale fecit fieri Dominus Bonaccursus Rector Hospitalis Misericordiae. An. MCCLXXXVIII.
Sul fianco esteriore del portico della chiesa vedesi scolpita altra iscrizione con lâarme suddetta per avvisare che, nel 1340, sotto il vescovo Fr. Guglielmo fu riedificato, o piuttosto ingrandito lâospedale della Misericordia dellâArte dei Mercadanti. La chiesa però è stata rimodernata nel 1735, col farne in gran parte le spese lo spedalingo, o rettore di quel tempo, il nobile lucchese Francesco Balbani.
La nomina dello spedalingo dipendeva probabilmente dai consoli della curia, ossia dellâarte deâmercanti lucchesi per vigilare sullâamministrazione di questo stabilimento.
Appena sottentrò in Lucca il reggimento dei principi Baciocchi, quel governo avocò a se il giuspadronato di questo e do ogni altro luogo pio.
La fabbrica è divisa in due separate e spaziose corsie, una per gli uomini e lâaltra per le donne; cui formano annesso le sale per la clinica medica e chirurgica. Contiguo allâospedale degli uomini esiste lâospizio dei fanciulli esposti, e quello dei maschi orfani.
Sino dallâanno 1809 fu ridotto per ricovero delle femmine orfane lâantichissimo monastero di S. Giustina, giĂ S.
Salvatore in Bresciano , dopo avere servito per il lungo periodo di dieci secoli alle monache che professavano la regola di S. Benedetto. Attualmente cotesto deposito è popolato da circa 550 ragazze fra orfane, figlie esposte, oppure dai proprii genitori abbandonate. In mezzo però a tante persone vi si trova buon ordine, nettezza e provida educazione.
Spedale deâPazzi. Allâassistenza dellâumanitĂ piĂš compassionevole, dallâanno 1770 in poi, fu destinato il suburbano soppresso convento dei canonici regolari Lateranensi. â Questo bel claustro è tre miglia a ponente di Lucca, sopra una deliziosa collinetta che porta il nome di Fregionaja ; luogo amenissimo per il sito, e per la salubritĂ dellâaria, dove si ammira la pazienza e caritĂ di chi vi assiste, ma che reclama maggiori ajuti e comoditĂ stante il cipioso numero dei dementi (attualmente sopra cento) cui mostrasi angusta la fabbrica a tal uopo destinata.
Deposito di MendicitĂ . Nel vasto palazzo deâBorghi, il quale fu fondato nel 1413, con disegno gotico-moderno, da Paolo Guinigi che lo destinò pei divertimenti del popolo, tre secoli dopo venne convertito a piĂš proficuo e caritatevole uso, quando la repubblica lucchese nel 1726 vi raccolse glâinvalidi e questuanti della cittĂ , per apprendervi le arti e mestieri onde sostentarne la vita.
Soppressa quella pia instituzione, che portò il nome di Quarconia, venne convertito il locale in un bagno di galeotti; fino a che nel 1823 il palazzo deâBorghi fu ripristinato allâabitazione e mantenimento dei poveri vagabondi di ambedue i sessi, per occuparli in mestieri confacenti alla loro capacitĂ .
Gli usi, a cui nei diversi tempi questo palazzo fu destinato, sono ricordati da unâiscrizione ivi affidata a un legno, meritevole però di essere scolpita in marmo. Essa fu dettata dal celebre Cesare Lucchesini nelle espressioni seguenti: Paulus Guinisius A fundamentis ann. MCCCCXIII Principis splendidissima aedes Ad populi voluptates scenicis ludis cessit.
Religione et veterum Patrum pietate In Pauperum custodia Varietate temporum deserta Dehinc ad Triremes clausit, Maria Aloysia Borbonia Pia clemens benefica ingenti cura Vagantium egenorum utriusque sexu Vindicavit Ex vestigiis magnifice evexit.
An. Dom. sui Sexto R. S. MDCCCXXIII.
Confraternita della CaritĂ . â Fu istituita dal generale governatore austriaco nel 1816, e quindi avvalorata dal duca regnante che ne prese la protezione. Sembra modellata su quella della Misericordia di Firenze, perchĂŠ i confratelli accorrono ai casi di disgrazie, si prestano allâassistenza deâmalati, non che al trasporto dei defunti.
Monte di PietĂ . â Col fine di riparare al disordine delle gravose usure che gli ebrei andavano esercitando in Lucca a pregiudizio dei bisognosi, il governo della repubblica, nellâanno 1489, fondò un Monte di pietĂ sulla piazza di S.
Martino, ove mantiensi costantemente attivo.
Stabilimenti dâistruzione pubblica. â Fra le concessioni nel 1369 dallâImperatore Carlo IV fatte alla repubblica di Lucca vi fu quella di possedere una universitĂ ; lochè poi nel 1387 venne confermato dal pontefice Urbano VI per tutte le facoltĂ , tranne la teologale. â Contuttociò bisogna confessare, che il governo di Lucca non si valse di questi privilegii prima del 1780. Imperocchè, se dalle lauree di dottorati state conferite dal vescovo di Lucca mercè i privilegii imperiali e papali di sopra allegati, se da ciò in certa guisa trasparisce lâesistenza di uno studio lucchese, nondimeno dalla storia letteraria dellâerudito Cesare Lucchesini, pubblicata nei volumi IX e X delle Memorie lucchesi, si rileva che il governo si limitò a chiamare in Lucca, o a pensionare qualche maestro di umane lettere, di geometria, di calcolo e poco piĂš. Arroge a ciò, che per le indagini fatte nei libri della repubblica da quel diligente archivista di Stato (il signor Girolamo Tommasi), ne conseguita, che, sebbene nellâanno 1455 e di nuovo nel 1477 si proponesse dal gonfaloniere al senato, e da questo si approvasse lo stabilimento del suddetto studio nel modo consueto di altre cittĂ dâItalia, niuna realmente delle due deliberazioni ebbe il suo effetto. Avvegnachè la Signoria di Lucca nel 1521 adottò provvedimenti affatto contrarii allâesistenza del ridetto studio generale, quando cioè fu deliberato di somministrare mezzi e soccorsi ai giovani bene istruiti nella lingua latina, onde si ponessero in grado di recarsi presso qualche universitĂ per acquistare le nozioni scientifiche. In una parola, dai capitoli in varii tempi dal governo lucchese sopra le pubbliche scuole riformati e approvati, chiaramente risulta, che anteriormente al 1780 non insegnavasi in Lucca a spese pubbliche altro che grammatica, rettorica, principii dâaritmetica, e talvolta musica, geometria, logica, elementi di filosofia, e le istituzioni civili.
A dimostrare però che anche in tempi di barbarie il clero lucchese veniva istruito in teologia, citerò non solamente lâopera di quel Pietro da Lucca distinto oratore sacro che in una sua opera stampata in Bologna nel 1506 si qualifica canonico regolare di S. Frediano indegno professore di sacra Teologia, ma dirò, che fino dal principio del secolo XIII nella canonica del Duomo di Lucca tenevansi le scuole per il clero. Avvegnachè nellâarchivio di quel capitolo havvi una carta del 1226, in cui si rammenta il prete Orlando magistro scolarum S.
Martini. Il quale prete Orlando era nel tempo stesso canonico della chiesa di S. Maria Forisportam, siccome viene meglio specificato da un documento dellâanno 1231 e da altro contratto del 1230, fatto in Lucca nel claustro di S. Martino, in presenza fra gli altri del maestro delle scuole. (Memor. Lucch. T. IX.) Che si professassero in Lucca anche fuori del clero di S.
Martino scuole di umane lettere fino dal secolo XII, ne abbiamo una luminosa prova in quel prete Enrico, benemerito non che saggio maestro di grammatica e di canto, di cui si conserva memoria in unâiscrizione sepolcrale in versi leonini posta nella facciata esteriore della chiesa deâSS. Vincenzio e Anastasio in Lucca, dove quel prete era rettore, e dove morĂŹ nellâanno 1167.
Basteranno i seguenti versi; Clauditur hoc parvo vita venerandus in arvo Presbiter Henricus sapiens pius atque pudicus, Grammaticus, Cantor, Scholas tenuitque magister, Istius Ecclesiae splendor, decus, atque minister, etc.
Ad un altro piĂš famigerato professore di belle lettere la repubblica fece grande onore, cioè, a Gio. Pietro dâAvenza, detto da Lucca, il quale ebbe egli stesso a maestro il celebre Vittorino da Feltre. Imperocchè Gio.
Pietro riescĂŹ valente nelle greche e nelle latine lettere al segno che, dopo avere ottenuto, nel 1446, la cattedra di umanitĂ in Venezia, la Repubblica lucchese, per decreto del 22 giugno 1456, lo volle in patria a precettore di eloquenza greca e latina con lâonorario di ducati 107 annui. Al quale stipendio con deliberazione del 28 giugno 1457 furono aggiunti 25 fiorini dâoro per pagare un ripetitore, stante il soverchio concorso châebbe di scolari.
Ma in quellâanno medesimo (3 ottobre 1457) essendo rimasto vittima del contagio, in Duomo furono celebrati a Gio. Pietro solenni funerali collâassistenza della signoria, incoronando il suo capo dâalloro, e perpetuando la sua memoria in un medaglione di marmo, il quale scolpito si vede nel portico della cattedrale con questa iscrizione attorno: âJo. Petrus Lucensis doctus Graece et Latine ingenio miti proboqueâ.
Liceo di Lucca. â Il governo della estinta repubblica domandò ed ottenne dal Papa nel 1780 la soppressione dei canonici regolari Lateranensi di S. Frediano, a condizione dâimpiegare il loro patrimonio e destinare il vasto e ben disposto locale del convento per pubblica istruzione.
Il nuovo liceo, che non fu da prima molto numeroso di cattedre pel carico delle pensioni vitalizie ai canonici soppressi, di prima giunta portò il titolo dâIstituto deâpubblici studii, poi nel 1802 quello troppo fastoso di UniversitĂ .
Cotesto Liceo attualmente è fornito di 26 cattedre, compresevi due di teologia dogmatica e morale. Ă repartito in tre facoltĂ ; legale, medico-chirurgica, e fisico- matematica, con un gabinetto di macchine e un orto botanico. La laurea in legge si conferisce dallâarcivescovo; nelle altre facoltĂ la dĂ il direttore della pubblica istruzione, delegato dal sovrano.
Scuole dei chierici regolari della Madre di Dio. â Nel convento di S. Maria in Cortelandini, dove ebbe origine nel 1583 questa dotta e pia Congregazione, si danno pubbliche lezioni di umane lettere, e, specialmente ai seminaristi di S. Michele, unâistruzione religiosa e scientifica confacente alla loro carriera.
Inoltre esiste nel convento medesimo una pregevole biblioteca corredata di circa 4000 volumi, molti dei quali appartenuti a Mons. Gio. Domenico Mansi, al Franciotti, al Beverini, al Paoli, che furono altrettanti luminari di quella famiglia di regolari.
Scuola del disegno e pubblica biblioteca. â Accanto alla chiesa di S. Frediano sino dal 1802 fu aperta una scuola del disegno diretta da un professore di pittura lucchese, provvista di sufficienti modelli con lo studio del nudo.
La sala della biblioteca che fa parte del fabbricato di S.
Frediano, può dirsi, e meglio poteva dirsi provvista di libri e di codici innanzi che vi si appiccasse il fuoco la sera del 30 gennajo 1822; dal quale accidente tuttora arcano restò danneggiato assaissimo anche un quadro grandioso rappresentante il convito dato da S. Gregorio ai poveri, dipintura di Pietro Paolini di Lucca, che sente della maniera di Paolo Veronese.
In questa biblioteca esistono circa 15000 volumi stampati, molti libri manoscritti e costĂ furono riunite le pergamene dei conventi e monasteri soppressi al tempo dei principi Baciocchi.
Collegio Carlo Lodovico . â Sino dal 1809 nel claustro di S. Frediano, oltre il liceo e la biblioteca fu aperto un collegio di giovani alunni, cui il governo borbonico nel 1819, cambiando il nome di Felice in quello di Collegio Carlo Lodovico, accrebbe mezzi e locale, quando fu traslocato il liceo nel palazzo giĂ Lucchesini, a tale scopo acquistato, per lasciare esclusivamente il fabbricato di S.
Frediano ad uso delle pubbliche scuole di umane lettere, e per uso solamente deâcollegiali.
La Regia biblioteca palatina, sebbene da poco tempo creata, conta sopra 25000 volumi, molti dei quali sono pregevoli per lâedizione, per il merito degli autori, o per lâimportanza dei manoscritti.
Conservatorii. â Sebbene Lucca nei secoli scorsi non mancasse di stabilimenti per le fanciulle, conosciuti sotto il nome di Ritirate, di Convertite ec. pure mancava un conservatorio per lâeducazione della fanciulle civili. Due di questi si videro sorgere nel secolo attuale, il primo dei quali prese il nome dâIstituto Elisa , poi di Maria Luisa , dalle due sovrane cui doveva la fondazione e la protezione. â Lâaltro conservatorio di S. Nicolao fu appellato di Luisa Carlotta dalla principessa sorella del duca regnante. â Se non che lâIstituto Maria Luisa , in grazia del sistema signorile e del troppo lusso introdottovi, trovandosi in decadenza per lâesaurimento dei fondi, fu creduto meglio il sopprimerlo (anno 1834) piuttosto che riformarlo, per rilasciare quel vasto locale libero alle monache domenicane, le quali giĂ sono tornate ad abitarlo.
Dopo la soppressione dellâIstituto Maria Luisa non è rimasto per le fanciulle civili altro che il conservatorio Luisa Carlotta , dove convivono attualmente circa 40 educande; le quali in breve saranno traslocate nel restaurato monastero di S. Ponziano, per cedere tutto il locale alle loro vicine, che sono monache di Agostiniane in S. Nicolao.
Archivii di Lucca. â Non vi è erudito che non conosca per fama, e che capitando a Lucca non visiti il ricchissimo Archivio Arcivescovile e quello dei Canonici. Fu specialmente dal primo donde trassero tesori i piĂš celebri diplomatici, ed è costĂ dove per le cure dellâAccademia lucchese, e coi mezzi che fornisce il tesoro si vanno da quei dotti con diligenza copiando le molte pergamene originali e quindi tutte si pubblicano e sâillustrano per ordine cronologico, sieno o no altre volte state date alle stampe.
NellâArchivio poi dello Stato, ossia delle Riformagioni della repubblica lucchese furono riuniti i documenti officiali dello Stato, tanto quelli in copie autentiche, quanto in originale, i quali ultimi sono posteriori a Castruccio: e tutti con somma diligenza e perizia dallâattuale archivista disposti e registrati.
Merita pure di essere rammentato lâArchivio pubblico degli Atti notariali , attualmente collocato in un palazzo, che il governo a talâuopo nel 1822 acquistò dallâillustre famiglia Guidiccioni. Questo che può dirsi uno dei buoni palazzi di Lucca, fu fabbricato sulla fine del secolo XVI col disegno di Vincenzo Civitali. â Resta sopra una piazzetta dincontro al palazzo deâSanminiati, ora detto degli Uffizii, essendo costĂ attualmente riunite le segreterie di stato, e i primi dicasteri politici, amministrativi e finanzieri del Ducato.
Accademie scientifiche e letterarie. â La Regia Accademia lucchese, appellata per due secoli degli Oscuri, fu tra le piĂš illustri di quante altre societĂ letterarie sorsero in Lucca nei tempi trapassati sotto i variati vocaboli degli Accesi, dei Freddi, dei Balordi, dei Principianti , e dei Raffreddati, sino a quella che chiamossi Accademia dellâAnca. Questâultima ottenne cortese ricovero fra i chierici regolari della Madre di Dio in Cortelandini, dove pur nacque verso la metĂ del secolo XVIII unâaltra societĂ dedicata alla storia ecclesiastica.
LâAccademia degli Oscuri ebbe dai principi Baciocchi il titolo di Napoleone, a da quellâepoca fu ad essa affidato lâonorevole incarico di far tesoro e pubblicare i documenti patrii nelle Memorie per servire alla storia della cittĂ e territorio di Lucca; impresa che onora assaissimo chi la dettò, il governo attuale che la protegge, ed i zelanti illustri socii dellâAccademia, ai quali essa fu o trovasi affidata.
NĂŠ a questo solamente si limitano gli accademici lucchesi, mentre nelle loro adunanze mensuali leggono componimenti letterarii e scientifici di vario argomento, gran parte dei quali sono fatti degni di stampa nella collezione dei loro Atti.
Non dirò di un gabinetto letterario aperto di corto da una societĂ di cultori dei lumi e promotori delle industrie nazionali, poichĂŠ essi trovasi ancora nella sua infanzia. â Piuttosto sarebbe da dire di unâaltra patriottica associazione destinata a incoraggire con apposite commissioni gli artisti piĂš abili della cittĂ , collâesporne annualmente i lavori per dispensarli ai socii medesimi che vi contribuiscono, mediante una lotteria.
NĂŠ meno utile fia lâistituzione della Cassa di risparmio, aperta in Lucca nel 1837; sicchè anche costĂ trovando il suo profitto lâonesto artigiano, il sobrio figlio di famiglia e la giovane lavoratrice, naturalmente ne consegue che ogni giorno vanno aumentando i concorrenti per depositar alla Cassa e rendere fruttifero il loro obolo di risparmio.
Teatri. â Di questi stabilimenti fondati col lodevole scopo dâistruire il popolo dilettando, Lucca ne conta tre; il Teatro del Giglio per la Musica, il Teatro della Pantera e quello di Nota, giĂ Castiglioncelli, per la prosa; comecchè mai tutti insieme aperti, e non di rado tutti chiusi.
Manifatture nazionali. â Dopo lâagricoltura, una delle principali industrie dei Lucchesi, e di antichissima data è lâarte della seta, la quale va ognor piĂš estendendosi nella cittĂ e nel territorio. Avvegnachè non solo lâducazione dei filugelli sta a cura di quasi tutti i campagnoli e dei cittadini che abitano fissi, o che appositamente nella stagione di primavera villeggiano nei loro casini di campagna, ma ancora si aumentano in Lucca le telaja, e vi si procura migliorare di ogni maniera la fabbricazione dei drappi lisci e delle stoffe a opera.
In veritĂ si può dire che in questa cittĂ lâarte di tessere risalga ad unâepoca piĂš remota di quello che comunemente si opina. Conciossiachè comparvero documenti atti a provare, che perfino dal secolo IX in Lucca si tessevano drappi in seta e lana, e tappeti. Citerò fra gli altri un instrumento celebrato costĂ nel dĂŹ 10 maggio dellâ846, col quale Ghisolfo del fu Simone promise al vescovo Ambrogio, finchè vivesse Ildeconda abbadessa del monastero di S. Pietro posto dentro la stessa cittĂ , di consegnargli ognâanno un vestito di lana tessuto in seta, un tappeto ed un'altra specie di drappo chiamato dungartin, ec. (Memor. Lucch. T. IV. P. II.) Quindi troviamo in Lucca la corte, ossia il collegio dei mercanti di generi e di prodotti lucchesi fino dal principio del secolo XII stabilito, come fu avvertito a pag. 843, nei contorni del Duomo di S. Martino; poscia un secolo dopo i mercanti di seta apposero la loro insegna della balla allâospedale della Misericordia; e ciò nel tempo che essi tenevano case e societĂ di commercio non solo nellâalta Italia, ma nelle cittĂ principali dellâEuropa.
Ă altresĂŹ vero che la maggior prosperitĂ dellâarte della seta per Lucca dovè essere verso la metĂ del secolo XVI, tempo in cui molte famiglie ricche, negozianti e fabbricanti di drappi, alla caduta della Repubblica Fiorentina si ricovrarono in detta cittĂ , dove si conta che vi fossero allora fino a 3000 telaja di drappi con una popolazione di 30,000 abitanti, dei quali una gran parte lavorava alla manifattura della seta. â Allâincontro nel principio del secolo XVII lâarte medesima era decaduta al segno che, nel 1614, si contavano in Lucca soli 700 telai.
Dai dati statistici i piĂš recenti resulta, che esistono attualmente in questa cittĂ cinque grandi fabbriche di stoffe di seta, con altrettanti filatoj e torcitoj, il maggiore dei quali si compone di 2400 rocchetti. Tali fabbriche danno di continuo lavoro a 2500 persone. â Vi sono mille telai, fra i quali 17 alla Jacquard . Due fabbriche di galloni e nastri di seta impiegano continuamente 20 telai. â Havvi una gran fabbrica di panni lani, una nuova di panni a pressione, e una di berretti allâuso di levante che danno lavoro a 5000 donne, e a un migliajo di uomini e ragazzi.
Si contano inoltre nel restante del ducato altri 1600 telaj che tessono tele di canapa, di lino, e altre di filo e lana, dei bordatini di cotone con canapa o lino, ec.
Terza dopo lâarte del tessere si distigne in Lucca per gusto e precisione quella degli ebanisti, intarsiatori e lavoranti di mobilia di legno. â Vi sono tre principali fabbriche di cappelli di feltro, 5 di cappelli di paglia, una fornace di vetri e una di terraglie; e sparse per il territorio 30 cartiere, varie conce e 3 ferriere, ec.
Commercio di Lucca. â Il commercio deâcereali, meno che alle fiere, si fa unicamente a Lucca. â I mercati settimanali cadono nel giorno di sabato; il commercio per altro del bestiame grosso si fa ancora nei mercati di Viareggio. Il bestiame bovino dello stato lucchese ascende a circa 4,000 capi, senza dire di quello pecorino, porcino ec.- Il principale, e piĂš ricco articolo di esportazione consiste nellâolio dâoliva, la di cui ottima qualità è bastantemente famigerata, per lâolio in specie raccolto nel distretto delle sei miglia attorno alla cittĂ . La media esportazione annua del medesimo può calcolarsi a circa 700,000 lire toscane.
Uomini illustri lucchesi. â Non dirò qui degli uomini saliti a eminenti dignitĂ , essendo bastantemente noto che Lucca diede due pontefici, due principi assoluti della sua patria, non compresivi il marchese Bonifazio, la gran contessa Matilde, gli Adalberti ec., oltre i molti cardinali, un maggior numero di vescovi e arcivescovi, e moltissimi diplomatici insigni, tutti lucchesi.
NĂŠ dirò dei tanti dotti il novero, il merito e le gesta dei quali hanno empito due volumi della storia compilata dal letteratis simo lucchese Cesare Lucchesini. Chi volesse pertanto da quella lodevole fatica coglierne il piĂš bel fiore troverebbe nel primo di quei volumi moltissimi letterati anteriori al secolo XVI, fra i quali per opere edite di maggior grido meritano di essere citati un Bonagiunta Orbiciani, poeta del secolo XIII distinto dallâAlighieri nel suo Purgatorio (canto 24); un Fr. Tolomeo Fiadoni, autore dei primi annali lucchesi; un Nicolao Tegrimi, primo biografo del vaolroso Castruccio; un Giovanni Guidiccioni, oratore e poeta; un Fra Santi Pagnini, celebre orientalista; un Simone Cardella, e un Bartolommeo Civitali, primi tipografi a Roma e a Lucca (anno 1471 e 1477); finalmente un insigne scultore in Matteo Civitali.
Nei secoli che succedettero al XVI la lista dei dotti lucchesi è anche piÚ copiosa; basta dire che il Beverini, il Franciotti, Gio. Domenico Mansi, Sebastiano Paoli e tanti altri eruditi e scienziati escirono tutti dalla Congregazione di Cortelandini, che fu per Lucca una pepiniera di uomini di merito in varie dottrine.
A questi giova aggiungere lâillustre giureconsulto Lelio Altogradi, il celebre idraulico Attilio Arnolfini, lâeruditissimo medico e illustre storico Francesco Maria Fiorentini, il ch. Lazzero Papi troppo presto rapito alle lettre, e poco innanzi preceduto dalla perdita che fece Lucca in pochi anni del P. Cianelli, di Domenico Bertini, dei due fratelli Girolamo e Cesare Lucchesini, cui venne dietro la veterana improvvisatrice Bandettini, ec. ec.
QUADRO della Popolazione della Comunità di LUCCA a due epoche diverse - nome della sezione: LUCCA città capitale; totale degli abitanti delle 10 chiese parrocchiali: anno 1832 n° 21,829, anno 1837 n° 23,167; famiglie del 1837 n° 4,778.
- nome della sezione: S. Alessio; titolo della chiesa: S.
Alessio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 676, anno 1837 n° 742; famiglie del 1837 n° 122.
- nome della sezione: S. Anna; titolo della chiesa: S. Anna (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,852, anno 1837 n° 2,076; famiglie del 1837 n° 319.
- nome della sezione: Santissima Annunziata; titolo della chiesa: SS. Annunziata (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 294, anno 1837 n° 314; famiglie del 1837 n° 53.
- nome della sezione: Antraccoli; titolo della chiesa: S.
Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 674, anno 1837 n° 739; famiglie del 1837 n° 123.
- nome della sezione: Aquilea; titolo della chiesa: S.
Leonardo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 474, anno 1837 n° 521; famiglie del 1837 n° 93.
- nome della sezione: Arancio; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo in Silice (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 275, anno 1837 n° 315; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Arliano; titolo della chiesa: S.
Giovanni Battista (Pieve); abitanti anno 1832 n° 127, anno 1837 n° 133; famiglie del 1837 n° 21.
- nome della sezione: Arsina; titolo della chiesa: S.
Frediano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 263, anno 1837 n° 278; famiglie del 1837 n° 43.
- nome della sezione: Balbano; titolo della chiesa: S.
Donato (Pieve); abitanti anno 1832 n° 512, anno 1837 n° 563; famiglie del 1837 n° 96.
- nome della sezione: Brancoli (Deccio di); titolo della chiesa: S. Frediano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 191, anno 1837 n° 187; famiglie del 1837 n° 37.
- nome della sezione: Brancoli (S. Giusto e S. Lorenzo di); titolo della chiesa: SS. Giusto e Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 391, anno 1837 n° 451; famiglie del 1837 n° 80.
- nome della sezione: Brancoli (S. Ilario di); titolo della chiesa: S. Ilario (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 86, anno 1837 n° 84; famiglie del 1837 n° 13.
- nome della sezione: Brancoli (Ombreglio di); titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 154, anno 1837 n° 165; famiglie del 1837 n° 28.
- nome della sezione: Brancoli (Piazza di); titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 306, anno 1837 n° 341; famiglie del 1837 n° 69.
- nome della sezione: Brancoli (Pieve di) con Grignano; titolo della chiesa: S. Giorgio (Pieve) con lâannesso di S.
Genesio; abitanti anno 1832 n° 358, anno 1837 n° 381; famiglie del 1837 n° 67.
- nome della sezione: Brancoli (Tramonte di); titolo della chiesa: S. Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 93, anno 1837 n° 91; famiglie del 1837 n° 14.
- nome della sezione: Busdagno e Carignano; titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 401, anno 1837 n° 457; famiglie del 1837 n° 67.
- nome della sezione: Campo (S. Angelo in); titolo della chiesa: S. Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 872, anno 1837 n° 995; famiglie del 1837 n° 163.
- nome della sezione: Cappella e Montecatino; titolo della chiesa: S. Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 567, anno 1837 n° 611; famiglie del 1837 n° 95.
- nome della sezione: Castagnori; titolo della chiesa: S.
Tommaso (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 137, anno 1837 n° 132; famiglie del 1837 n° 17.
- nome della sezione: Castiglioncello; titolo della chiesa: S. Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 160, anno 1837 n° 170; famiglie del 1837 n° 33.
- nome della sezione: Cerasomma; titolo della chiesa: S.
Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 360, anno 1837 n° 392; famiglie del 1837 n° 65.
- nome della sezione: Chiatri; titolo della chiesa: SS.
Giusto e Barbera (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 253, anno 1837 n° 258; famiglie del 1837 n° 41.
- nome della sezione: Ciciana; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 174, anno 1837 n° 175; famiglie del 1837 n° 32.
- nome della sezione: Colombano (S.), S. Concordio, Pulia, S. Pietro maggiore e S. Ponziano; titolo della chiesa: S. Concordio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,564, anno 1837 n° 1,654; famiglie del 1837 n° 280.
- nome della sezione: Colle e Fregionaja; titolo della chiesa: S. Maria a Colle (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 939, anno 1837 n° 1,011; famiglie del 1837 n° 167.
- nome della sezione: Convalle; titolo della chiesa: SS.
Simone e Giuda (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 375, anno 1837 n° 424; famiglie del 1837 n° 87.
- nome della sezione: Donato (S.) nel suburbio; titolo della chiesa: S. Donato (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 708, anno 1837 n° 729; famiglie del 1837 n° 138.
- nome della sezione: Escheto; titolo della chiesa: S.
Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 162, anno 1837 n° 166; famiglie del 1837 n° 30.
- nome della sezione: Fagnano; titolo della chiesa: S.
Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 339, anno 1837 n° 400; famiglie del 1837 n° 59.
- nome della sezione: Farneta; titolo della chiesa: S.
Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 278, anno 1837 n° 291; famiglie del 1837 n° 42.
- nome della sezione: Fiano; titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 434, anno 1837 n° 463; famiglie del 1837 n° 88.
- nome della sezione: Filippo (S.) nel suburbio; titolo della chiesa: S. Filippo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 455, anno 1837 n° 503; famiglie del 1837 n° 83.
- nome della sezione: Focchia e Barbamento; titolo della chiesa: S. Paolo (Cappellania); abitanti anno 1832 n° -, anno 1837 n° 257; famiglie del 1837 n° 38.
- nome della sezione: Formentale; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 78, anno 1837 n° 90; famiglie del 1837 n° 12.
- nome della sezione: Freddana; titolo della chiesa: S.
Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 237, anno 1837 n° 253; famiglie del 1837 n° 47.
- nome della sezione: Gattajola e Salissimo; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 316, anno 1837 n° 335; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Gugliano; titolo della chiesa: S.
Stefano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 135, anno 1837 n° 148; famiglie del 1837 n° 23.
- nome della sezione: Loppeglia, Batone e Frenello; titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 333, anno 1837 n° 354; famiglie del 1837 n° 62.
- nome della sezione: Macario (S.); titolo della chiesa: S.
Macario (Pieve); abitanti anno 1832 n° 607, anno 1837 n° 642; famiglie del 1837 n° 105.
- nome della sezione: Maggiano; titolo della chiesa: S.
Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 192, anno 1837 n° 220; famiglie del 1837 n° 37.
- nome della sezione: Marco (S.) nel suburbio; titolo della chiesa: SS. Marco e Jacopo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,162, anno 1837 n° 1,220; famiglie del 1837 n° 260.
- nome della sezione: Maria (S.) del Giudice; titolo della chiesa: S. Maria (Pieve); abitanti anno 1832 n° 1,766, anno 1837 n° 1,936; famiglie del 1837 n° 370.
- nome della sezione: Massa Pisana; titolo della chiesa: S.
Ambrogio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 300, anno 1837 n° 310; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Mastiano e Mammoli; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 298, anno 1837 n° 351; famiglie del 1837 n° 48.
- nome della sezione: Meati; titolo della chiesa: S.
Michele (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 188, anno 1837 n° 200; famiglie del 1837 n° 35.
- nome della sezione: Monsagrati; titolo della chiesa: S.
Giovanni Battista (Pieve); abitanti anno 1832 n° 388, anno 1837 n° 475; famiglie del 1837 n° 60.
- nome della sezione: Monsanquilici e Vallebuja; titolo della chiesa: S. Quirico (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,384, anno 1837 n° 1,520; famiglie del 1837 n° 260.
- nome della sezione: Montuoso e Cocombola; titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve); abitanti anno 1832 n° 593, anno 1837 n° 684; famiglie del 1837 n° 117.
- nome della sezione: Moriano (S. Cassiano di); titolo della chiesa: S. Cassiano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 148, anno 1837 n° 149; famiglie del 1837 n° 29.
- nome della sezione: Moriano (S. Concordio di); titolo della chiesa: S. Concordio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 140, anno 1837 n° 145; famiglie del 1837 n° 24.
- nome della sezione: Moriano (S. Gemignano di); titolo della chiesa: S. Gemignano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 264, anno 1837 n° 266; famiglie del 1837 n° 50.
- nome della sezione: Moriano (S. Lorenzo e S. Michele di); titolo della chiesa: SS. Lorenzo e Michele (Pieve); abitanti anno 1832 n° 454, anno 1837 n° 472; famiglie del 1837 n° 74.
- nome della sezione: Moriano (S. Quirico di); titolo della chiesa: S. Quirico (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 244, anno 1837 n° 270; famig lie del 1837 n° 42.
- nome della sezione: Moriano (S. Stefano di); titolo della chiesa: S. Stefano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 490, anno 1837 n° 538; famiglie del 1837 n° 96.
- nome della sezione: Moriano (Sesto a); titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Pieve); abitanti anno 1832 n° 310, anno 1837 n° 315; famiglie del 1837 n° 60.
- nome della sezione: Mugnano; titolo della chiesa: S.
Michele (Cappellania); abitanti anno 1832 n° 166, anno 1837 n° 197; famiglie del 1837 n° 32.
- nome della sezione: Mutigliano; titolo della chiesa: SS.
Ippolito e Cassiano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 219, anno 1837 n° 236; famiglie del 1837 n° 35.
- nome della sezione: Nave; titolo della chiesa: S. Matteo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 612, anno 1837 n° 685; famiglie del 1837 n° 112.
- nome della sezione: Nozzano; titolo della chiesa: S.
Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,174, anno 1837 n° 1,226; famiglie del 1837 n° 225.
- nome della sezione: Palmata; titolo della chiesa: S.
Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 151, anno 1837 n° 159; famiglie del 1837 n° 30.
- nome della sezione: Pancrazio (S.); titolo della chiesa: S.
Pancrazio (Pieve); abitanti anno 1832 n° 335, anno 1837 n° 392; famiglie del 1837 n° 58.
- nome della sezione: Pascoso; titolo della chiesa: S.
Maria Assunta (Rettoria); abitanti anno 1832 n° -, anno 1837 n° 851; famiglie del 1837 n° 157.
- nome della sezione: Pascoso (S. Rocco di); titolo della chiesa: S. Rocco (Cappellania); abitanti anno 1832 n° -, anno 1837 n° 339; famiglie del 1837 n° 54.
- nome della sezione: Pescaglia; titolo della chiesa: SS.
Pietro e Paolo (Propositura); abitanti anno 1832 n° 879, anno 1837 n° 965; famiglie del 1837 n° 198.
- nome della sezione: Piazzano; titolo della chiesa: S.
Frediano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 217, anno 1837 n° 238; famiglie del 1837 n° 43.
- nome della sezione: Picciorana; titolo della chiesa: S.
Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 461, anno 1837 n° 512; famiglie del 1837 n° 85.
- nome della sezione: Piegajo; titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 209, anno 1837 n° 439; famiglie del 1837 n° 85.
- nome della sezione: Ponte S. Pietro; titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 253, anno 1837 n° 298; famiglie del 1837 n° 55.
- nome della sezione: Pontetetto; titolo della chiesa: S.
Maria delle Grazie (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 261, anno 1837 n° 327; famiglie del 1837 n° 65.
- nome della sezione: Pozzuolo; titolo della chiesa: S.
Stefano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 134, anno 1837 n° 145; famiglie del 1837 n° 18. - nome della sezione: Saltocchio; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 475, anno 1837 n° 547; famiglie del 1837 n° 109.
- nome della sezione: Sorbano del Giudice; titolo della chiesa: S. Giorgio (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 247, anno 1837 n° 269; famiglie del 1837 n° 41.
- nome della sezione: Sorbano del Vescovo; titolo della chiesa: S. Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 343, anno 1837 n° 381; famiglie del 1837 n° 69.
- nome della sezione: Stefano (S.) Forci e Greco; titolo della chiesa: S. Stefano (Pieve); abitanti anno 1832 n° 457, anno 1837 n° 495; famiglie del 1837 n° 58.
- nome della sezione: Stabbiano; titolo della chiesa: S.
Donato (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 160, anno 1837 n° 183; famiglie del 1837 n° 29.
- nome della sezione: Tempagnano di Lunata; titolo della chiesa: S. Andrea (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 405, anno 1837 n° 435; famiglie del 1837 n° 76.
- nome della sezione: Torcigliano di Monsagrati; titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 165, anno 1837 n° 177; famiglie del 1837 n° 50.
- nome della sezione: Torre, Pieve e Cerreto; titolo della chiesa: S. Nicolao (Pieve); abitanti anno 1832 n° 491, anno 1837 n° 545; famiglie del 1837 n° 86.
- nome della sezione: Vaccoli; titolo della chiesa: S.
Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1.121, anno 1837 n° 1,212; famiglie del 1837 n° 214.
- nome della sezione: Vecoli; titolo della chiesa: SS.
Annunziata e S. Lorenzo (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 142, anno 1837 n° 180; famiglie del 1837 n° 22.
- nome della sezione: Vico (S. Cassiano a); titolo della chiesa: S. Cassiano (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 1,096, anno 1837 n° 1,161; famiglie del 1837 n° 206.
- nome della sezione: Vico (S. Pietro a); titolo della chiesa: S. Pietro (Prioria); abitanti anno 1832 n° 1,161, anno 1837 n° 1,279; famiglie del 1837 n° 211.
- nome della sezione: Vico Pelago; titolo della chiesa: S.
Giorgio (Pieve); abitanti anno 1832 n° 160, anno 1837 n° 185; famiglie del 1837 n° 28.
- nome della sezione: Vignale; titolo della chiesa: S.
Martino (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 151, anno 1837 n° 159; famiglie del 1837 n° 20.
- nome della sezione: Vito (S.) a Lunata; titolo della chiesa: S. Vito (Rettoria); abitanti anno 1832 n° 513, anno 1837 n° 613; famiglie del 1837 n° 101.
- Totale abitanti anno 1832 n° 58,768 - Totale abitanti anno 1837 n° 65,359 - Totale famiglie anno 1837 n° 11,999
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1835, Volume II, p. 819.
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