MONTE PISANO, MONTI PISANI, o MONTE S. GIULIANO
fra la Valle orientale del Serchio e il Val d’Arno inferiore e pisano.
– Cotesta piccola giogana non si limita soltanto al monte Per cui i Pisan veder Lacca non ponno, che propriamente Monte S. Giuliano si appella, ma abbraccia tutto il gruppo montuoso che a guisa di Trinacria mediterranea fra il Serchio, il Lago di Bientina e i canali della Serezza , da maestro a levante, fra l’Arno e i canali dell’Ozzeri e del Rogio, da ostro a ponente si distende. Comecchè il Monte Pisano sia più angusto e più depresso dalla parte che si accosta alle ripe del Serchio e più maestoso largheggi dall’opposto lato sul Lago di Bientina dove si specchia, contemplato però nella sua maggiore lunghezza e larghezza, tutto il gruppo trovasi circoscritto fra il grado 28° 4 8” e 28° 15’ 4" di longitudine, ed il grado 43" 41’e 43’ 50’ di longitudine.
Molti sono i dati istorici concorrenti a far credere che la sua tortuosa e frastagliata giogana sino da tempi vetusti servisse di confine naturale fra il territorio lucchese ed il pisano, siccome sembra eziandio manifesto che ai tempi della Repubblica Romana la giogana medesima costituisse uno dei limiti fra la Gallia Togata o Cisalpina, cui spettava la Liguria, e la Toscana – Vedere LUCCA.
Situato nel mezzo a due celebri e popolose città che colle limpide e copiose acque perenni del Monte Pisano si dissetano; fiancheggiato da due grandi fiumi, e maggior lago della Toscana; coperto nei suoi fianchi e nell’insenatura dei suoi valloncelli da alberi di alto fusto da selve di castagni, da vigneti e da oliveti, popolato a mezza costa e presso la sua base da più di 40 parrocchie, da numerosi villanie borgate; reso ridente da frequenti palazzi e case di piacere; in mezzo a due spaziose e ben coltivate pianure; in un’atmosfera tiepida e balsamica, può senza dubbio dichiararsi il Monte Pisano una delle più deliziose e delle più popolate montuosità dell’Italia. Fra le prominenze del Monte Pisano comprese nella parte che riguarda il territorio di Pisa, secondo i calcoli trigonometrici fatti dall’astronomo fiorentino Padre Inghirami, furono riscontrate superiori al livello del mare Mediterraneo le tre prominenze seguenti: il monte Serra nel centro, braccia fiorentine 1568,9 il monte della Verruca verso ostro, braccia fiorentine 922,3 il monte del Castellare verso scirocco, braccia fiorentine 266,3 Le maggiori prominenze dello stesso monte nel territorio di Lucca furono calcolate dall’astronomo Padre Michele Bertini lucchese, che segnalò superiori al livello del mare le indicate appresso: il monte di Penna verso maestro, braccia lucchesi 921,7 il monte S. Cerbone, verso settentrione, braccia lucchesi 741,0 il Campanile di Vecoli, dall’istesso lato, braccia lucchesi 622,9 il Castelluccio di Compito verso grecale, braccia lucchesi 494,5 Brevi, ma piuttosto ricchi sono i corsi d’acqua che hanno origine nei fanchi del Monte Pisano. Fra questi si distinguono nel territorio pisano, a maestro il rio delle Mulina e il fosso Gatano, l’ultimo dei quali accoglie nel suo alveo le acque termali de’Bagni di S. Giuliano. Dal lato di libeccio sopra Asciano si affacciano le doviziose sorgenti che portano per lunghi acquedotti arcuati l’acqua potabile dentro Pisa. Dal lato di ostro scendono le Zambre di Calci e di Monte Magno che percorrono il valloncello maggiore del Monte Pisano a occidente della Verruca; mentre fra Calci ed Asciano si affacciano di sotto a un terreno palustre varie polle di acqua acidula nella tenuta di Agnano; e finalmente dalla parte di scirocco a levante fluiscono dal Monte Pisano nel canale della Seressa , o direttamente nel Lago di Bientina il Rio Grande, e il Rio Magno.
Scendono dalla schiena del Monte Pisano nella parte lucchese, verso maestro il rio Cerasomma , influente nel Serchio; incontro a settentrione i rii di Guapparo e di Verno che entrano nel canale dell’Ozzari, mentre dal poggio a levante di Vorno scaturiscono le copiose polle d’acqua potabile condotte recentemente per magnifici acquedotti in Lucca. Finalmente dirimpetto a grecale si vuotano nel Rogio, oppure scendono direttamente nel Lago di Bientina, i rii di Massa Macinaja , di Compito e di Visona.
La strada maestra più frequentata, più breve, e forse più antica, è quella che varca il giogo più depresso del Monte Pisano fra i Bagni di S. Giuliano e S. Maria del Giudice.
Essa, che potrebbe divenire facilmente rotabile, e che avvicina a dieci miglia le due città di Pisa e di Lucca, corrisponde alla strada medesima cui riferiscono le frequenti guerre nel medioevo battagliate fra le due città rivali.
Se il Monte Pisano può richiamare l’attenzione del geografo, del geoponico e dello storico, esso è da dirsi però assai più singolare quante volte si contempla la sua fisica struttura e l’indole dei terreni che lo rivestono.
Quantunque all’occhio di chi l’osserva dall’alto in basso il Monte Pisano si presenti isolato fra due valli, circoscritto da due fiumi, da due canali e da un lago, pure, esaminandolo filosoficamente, si potrà concepire non essere desso formato dalla natura cotanto isolato e staccato dagli altri monti, e specialmente da quelli che provengono per il Monte di Quiesa dall’Alpe Apuana.
Con tale e tanta avvedutezza il fisico Giovanni Targioni Tozzetti osservava un secolo indietro questa montuosità, che dalla irregolare struttura e forma dei terreni, che ne ricuoprono i suoi fianchi, egli si accorse quanto fossero insussistenti i sistemi fino allora inventati per spiegare la formazione dei monti.
Che sebbene, malgrado i grandi progressi fatti da cent’anni a questa parte, la scienza geologica non possa pienamente soddisfare alla spiegazione di tutti i fenomeni occorsi nella scorza del globo che abitiamo, onde comprendere con evidenza e persuasione intima le anomalie che cagionarono e che cagionano tuttora interminabili dispute sulla complicanza, sulla varietà, sulla giacitura, e sopra infinite modificazioni e metamorfosi di terreni che quasi ad ogni passo si presentano all’occhio dell’osservatore, pure mercè le osservazioni e lo studio di un dotto geologo toscano possiamo dire di avere acquistato sulla formazione geologica del Monte Pisano un’idea molto soddisfacente e chiara.
Ognuno di per sè riconoscerà nello scienziato di cui parlo il Prof. pisano Paolo Savi, il quale ha arricchito le scienze naturali che professa, e specialmente la geognosia toscana di cognizioni importanti circa la struttura, qualità e alterazioni chimiche e meccaniche dei terreni che appariscono nel Monte Pisano. Inoltre la scienza deve al medesimo la pubblicazione di una carta geologica di questo gruppo montuoso, nel 1832 levata dal vero nella proporzione di 1 a 80,000.
Forma ad essa carta corredo un panorama del Monte Pisano colorito a seconda delle qualità di terreni che si presentano dal lato dell’Arno, a partire da scirocco a maestro; cioè, da S. Giovanni alla Vena fino alle Mulina di Quosa .
Onde pertanto far conoscere la formazione del Monte Pisano il Prof. P. Savi ne fece argomento di dotte memorie in varii tempi pubblicate nel Nuovo Giornale de’Letterati, e una ne lesse nella prima adunanza alla sezione di Geologia, Mineralogia e Geografia al Congresso degli scienziati tenuto in Pisa nell’ottobre del 1839.
Dai quali studi e lavori prendendo io quel più che abbisogna per dare un cenno sulla struttura geognostica del Monte Pisano, dirò: che esso apparentemente è formato da tre qualità di terreni; dal macigno, cioè, dal calcare, e da una breccia da macine, che si scava precipuamente sul monte della Verruca, per cui il Prof.
Savi chiamò Verrucano cotest’impasto, o riunione di rocce.
Il Macigno non si mostra che nella parte più vicina al Serchio, a partire dal Monte delle Mulina di Quosa , andando di là verso il monte Maggiore sopra Ripa fratta, Cerasomma , Lupo Cavo, Castel Passerino, Monte Penna , sino a quello di S. Cerbone.
Il Verrucano poi cuopre la maggior parte del Monte Pisano tanto nel suo centro quanto nelle dira mazioni che stendonsi sino alla ripa destra dell’Arno, come anche dalla parte orientale verso il Lago di Bientina e nella direzione di grecale verso la pianura orientale di Lucca.
Finalmente il Calcare, più o meno visibilmente alterato e stratificato, si affaccia a gruppi di sterili e ripidi monticelli facenti orlo ai monti del Verrucano lungo l’Arno pisano, ovvero fra il Verrucano e il Macigno. In quest’ultima posizione trovasi la più estesa formazione calcarea che dal monte delle Fate, a scirocco dei Bagni di S. Giuliano, andando verso le cave di pietra da calcina presso Caldaccoli, a maestro dei Bagni, s’inoltra al di là del giogo di S. Maria del Giudice per i poggi che fiancheggiano il lato sinistro del valloncello del rio Guapparo sino alla contrada di Escheto presso Massa Pisana.
Il Verrucano pertanto si riguarda dal Savi non solo come il terreno più antico del Monte Pisano, ma di tutti gli altri dell’Appennino, poichè su di esso è adagiato il Calcare e il Macigno. Cotesto Verrucano consiste in un insieme di rocce frammentarie composte di arenaria silicea e di ardesia siliceo-magnesiaca, cementate da un sugo siliceo- talcoso, e disposte in triti attraversati da numerosi filoni di quarzo, contenenti talvolta de’ventri gemmati con cristalli di quarzo ialino, e qualcuno anche di clorite. Quando il talco vi è più sviluppato, ed il quarzo si è radunato in noccioli, allora il Verrucano passa allo steaschisto noduloso, come apparisce in questo monte dalla parte di Asciano.
Gli strati del Verrucano si trovano costà sconvolti e sollevati, e come disposti intorno ad un centro, che sarebbe quello al fondo della valle di Calci. Il Calcare che si osserva a piè del Verrucano, nella parte meridionale del Monte Pisano, o nella parte occidentale intermedio fra il Verrucano e il Macigno , in tutta la sua traversa, cioè dal monte delle Fate sino alla chiesa d’Escheto nel lucchese, vedesi soprapposto decisamente al Verrucano. Ma in alcune di quelle montuosità il Calcare essendo stato soggetto a un’azione, che i geologi chiamano plutoniana, ha potuto acquistare una grana semi granosa, una tinta cenerognola, e talvolta essere convertito in un vero marmo saccaroide e bianco. Tale è quello de’Bagni di S.
Giuliano, costà, dove al pari che alla base occidentale dell’Alpe Apuana, s’incontrano grandi massi di un Calcare cavernoso .
Seguitando da questa parte de’Bagni di S. Giuliano verso il monte Bianco o delle Fate lungo la linea che stendesi vero l’Arno si presentano interrottamente a piè del terreno Verrucano sei piccole montagnuole calcaree; due delle quali all’estrema punta a libeccio del Monte, fra Asciano e Agnano , la terza fra Agnano e la pieve di Calci, e le tre ultime lungo la strada regia di Piemonte, a Oliveto, a Noce e Lugnano, e sul monte del Castellare.
Queste sei montagnuole, dove si mostra nel Calcare una meno decisa stratificazione, sono divise in grandi massi sconnessi fra loro, oppure collegati da un cemento spatoso comunemente colorato da terra ocracea rossastra. Le sconnessioni e gli interstizi che molte volte si presentano fra cotesti massi, danno luogo a degli spacchi profondi e a delle vere grotte. Tali sono quelle presso Lugnano , sopra la chiesa di Noce, alle cave di Oliveto, fra Agnano e Asciano, alla Grotta delle Fate, e presso le Mulina di Quosa sul monte omonimo. Ma soprattutte si sono rese celebri le caverne ossifere di Oliveto ripiene di frammenti e schegge di pietra calcarea di ossa di vertebrati, e di altri fossili cementati insieme dallo spato ocraceo testè accennato.
Il Macigno poi, quand’è immediatamente a contatto col Calcare semigranoso suol trovarsi alterato in modo che gli strati schistosi, chiamati volgarmente tramezzuolo o bisciajo , in alcuni luoghi sono ridotti in Galestro , in altre località veggonsi metamorfizzati in una roccia diasprina, e altrove convertiti in una specie di schisto lucente.
L’importanza che offre al geologo il gruppo del Monte Pisano non poteva a meno di richiamarvi gli scienziati tutti della sezione geologica del primo Congresso dei dotti italiani tenuto in Pisa. Il presidente della quale sezione destinò la seconda domenica di ottobre a tale escursione, avendo per scorta lo stesso Prof. Paolo Savi. Scopo precipuo della medesima fu quello non solo di osservare in posto, dai Bagni di S. Giuliano sino a Oliveta, le varietà che presentano le masse calcaree e le brecce da macini, ossia il Verrucano del Savi, ma ancora si nutriva lusinga di poter riconoscere a qual gruppo di terreni dei meglio qualificati dell’alta Italia cotesto Verrucano fosse precisamente riferibile.
Infatti la comitiva scientifica si recò prima di tutto alle cave di pietra da calcina forte, al di là de’Bagni di S.
Giuliano, dove riscontrò un calcare di color bigio a strati inclinatissimi, nel quale si vedevano segni evidenti di una forte alterazione, ed i cui strati sono intersecati quasi sempre parallelamente da straterelli di una roccia d’indole quarzosa, talvolta polverulenta, talora confusamente cristallizzata. Dai Bagni di S. Giuliano fino alla valle di Calci la comitiva scientifica rasentò il fianco di grandi masse alterate di Calcare semigranoso, le quali presentano in qualche tratto, come al Bagno detto della Duchessa , una singolare pseudo-stratificazione, comecchè i suoi strati chiaramente appariscano negli angoli sporgenti e rientranti del monticello, dove corrono in direzione concordante.
Nella vicina valle di Asciano si trovò il primo terreno del Verrucano con le sue moltiplici varietà più o meno alterate, e sembra che di mezzo al medesimo scaturischino le copiose e limpide acque potabili, le quali conduconsi per lunghi acquedotti a Pisa.
Proseguendo il cammino la comitiva passava a piè de’monti fra Asciano ed Agnano e vide costà ricomparire il Calcare, alcune volte semistratificato, ma nella maggior parte ridotto in masse cavernose. Finalmente avvicinandosi all’Arno passato Caprona, le si presentò davanti il nudo poggio d’Oliveta che serve di cornice al monte della Verruca, dove la comitiva potè osservare nei grandi e pittoreschi tagli praticati in quella rupe e nei massi enormi e piramidali staccati dal monte, un Calcare cristallino color ceciato, le cui fenditure sono ripiene della nota Breccia ossifera . Considerato in grande il Calcare del poggio d’Oliveta apparisce sovrapposto al Verrucano, e tutt’insieme coteste masse pare che indichino al teologo di essere state violentemente sollevate. Fuvvi tra quei scienziati chi riconobbe nel Calcare d’Oliveto un analogia con quello dell’Alpe Apuana, e l’uno e l’altro corrispondente al banco inferiore della gran massa calcarea delle Alpi Lombardo-Venete.
Ritornando verso Caprona per la valle di Calci fino alla Certosa, la comitiva degli scenziati diede un’occhiata alla disposizione generale delle masse del Verrucano, ed al singolarissimo aspetto sotto cui esse presentansi specialmente nel monte della Verruca sopra il convento di Nicosia. Dondechè studiando e confrontando le varie modificazioni sofferte da quel terreno singolare, si aprì un bel campo di ricerche a quei dotti per vedere di stabilire a qual gruppo di formazioni geologiche debba riportarsi il Verrucano del Savi. Che se in quell’escursione, e nei molti campioni esistenti al Museo di Pisa delle varie modificazioni del Verrucano del Monte Pisano i geologi non hanno potuto ancora decidere a qual serie precisa possa appartenere; è sperabile che nuove e più estese indagini, e confronti più scrupolosi, porteranno alla risoluzione del problema, voglio dire, se sia da ammettere alcuna analogia fra il Verrucano della Toscana ed i terreni delle Alpi, e in tal caso a qual gruppo assegnarlo; o seppure due diverse catene di montagne (le Alpi e l’Appennino) presentino altrettante fisionomie distinte da non ammetter fra loro nessuna fondata corrispondenza. – Vedere ATTI DELLA PRIMA RIUNIONE DEGLI SCIENZIATI ITALIANI TENUTA IN PISA nell’ottobre del 1839.
Molti sono i dati istorici concorrenti a far credere che la sua tortuosa e frastagliata giogana sino da tempi vetusti servisse di confine naturale fra il territorio lucchese ed il pisano, siccome sembra eziandio manifesto che ai tempi della Repubblica Romana la giogana medesima costituisse uno dei limiti fra la Gallia Togata o Cisalpina, cui spettava la Liguria, e la Toscana – Vedere LUCCA.
Situato nel mezzo a due celebri e popolose città che colle limpide e copiose acque perenni del Monte Pisano si dissetano; fiancheggiato da due grandi fiumi, e maggior lago della Toscana; coperto nei suoi fianchi e nell’insenatura dei suoi valloncelli da alberi di alto fusto da selve di castagni, da vigneti e da oliveti, popolato a mezza costa e presso la sua base da più di 40 parrocchie, da numerosi villanie borgate; reso ridente da frequenti palazzi e case di piacere; in mezzo a due spaziose e ben coltivate pianure; in un’atmosfera tiepida e balsamica, può senza dubbio dichiararsi il Monte Pisano una delle più deliziose e delle più popolate montuosità dell’Italia. Fra le prominenze del Monte Pisano comprese nella parte che riguarda il territorio di Pisa, secondo i calcoli trigonometrici fatti dall’astronomo fiorentino Padre Inghirami, furono riscontrate superiori al livello del mare Mediterraneo le tre prominenze seguenti: il monte Serra nel centro, braccia fiorentine 1568,9 il monte della Verruca verso ostro, braccia fiorentine 922,3 il monte del Castellare verso scirocco, braccia fiorentine 266,3 Le maggiori prominenze dello stesso monte nel territorio di Lucca furono calcolate dall’astronomo Padre Michele Bertini lucchese, che segnalò superiori al livello del mare le indicate appresso: il monte di Penna verso maestro, braccia lucchesi 921,7 il monte S. Cerbone, verso settentrione, braccia lucchesi 741,0 il Campanile di Vecoli, dall’istesso lato, braccia lucchesi 622,9 il Castelluccio di Compito verso grecale, braccia lucchesi 494,5 Brevi, ma piuttosto ricchi sono i corsi d’acqua che hanno origine nei fanchi del Monte Pisano. Fra questi si distinguono nel territorio pisano, a maestro il rio delle Mulina e il fosso Gatano, l’ultimo dei quali accoglie nel suo alveo le acque termali de’Bagni di S. Giuliano. Dal lato di libeccio sopra Asciano si affacciano le doviziose sorgenti che portano per lunghi acquedotti arcuati l’acqua potabile dentro Pisa. Dal lato di ostro scendono le Zambre di Calci e di Monte Magno che percorrono il valloncello maggiore del Monte Pisano a occidente della Verruca; mentre fra Calci ed Asciano si affacciano di sotto a un terreno palustre varie polle di acqua acidula nella tenuta di Agnano; e finalmente dalla parte di scirocco a levante fluiscono dal Monte Pisano nel canale della Seressa , o direttamente nel Lago di Bientina il Rio Grande, e il Rio Magno.
Scendono dalla schiena del Monte Pisano nella parte lucchese, verso maestro il rio Cerasomma , influente nel Serchio; incontro a settentrione i rii di Guapparo e di Verno che entrano nel canale dell’Ozzari, mentre dal poggio a levante di Vorno scaturiscono le copiose polle d’acqua potabile condotte recentemente per magnifici acquedotti in Lucca. Finalmente dirimpetto a grecale si vuotano nel Rogio, oppure scendono direttamente nel Lago di Bientina, i rii di Massa Macinaja , di Compito e di Visona.
La strada maestra più frequentata, più breve, e forse più antica, è quella che varca il giogo più depresso del Monte Pisano fra i Bagni di S. Giuliano e S. Maria del Giudice.
Essa, che potrebbe divenire facilmente rotabile, e che avvicina a dieci miglia le due città di Pisa e di Lucca, corrisponde alla strada medesima cui riferiscono le frequenti guerre nel medioevo battagliate fra le due città rivali.
Se il Monte Pisano può richiamare l’attenzione del geografo, del geoponico e dello storico, esso è da dirsi però assai più singolare quante volte si contempla la sua fisica struttura e l’indole dei terreni che lo rivestono.
Quantunque all’occhio di chi l’osserva dall’alto in basso il Monte Pisano si presenti isolato fra due valli, circoscritto da due fiumi, da due canali e da un lago, pure, esaminandolo filosoficamente, si potrà concepire non essere desso formato dalla natura cotanto isolato e staccato dagli altri monti, e specialmente da quelli che provengono per il Monte di Quiesa dall’Alpe Apuana.
Con tale e tanta avvedutezza il fisico Giovanni Targioni Tozzetti osservava un secolo indietro questa montuosità, che dalla irregolare struttura e forma dei terreni, che ne ricuoprono i suoi fianchi, egli si accorse quanto fossero insussistenti i sistemi fino allora inventati per spiegare la formazione dei monti.
Che sebbene, malgrado i grandi progressi fatti da cent’anni a questa parte, la scienza geologica non possa pienamente soddisfare alla spiegazione di tutti i fenomeni occorsi nella scorza del globo che abitiamo, onde comprendere con evidenza e persuasione intima le anomalie che cagionarono e che cagionano tuttora interminabili dispute sulla complicanza, sulla varietà, sulla giacitura, e sopra infinite modificazioni e metamorfosi di terreni che quasi ad ogni passo si presentano all’occhio dell’osservatore, pure mercè le osservazioni e lo studio di un dotto geologo toscano possiamo dire di avere acquistato sulla formazione geologica del Monte Pisano un’idea molto soddisfacente e chiara.
Ognuno di per sè riconoscerà nello scienziato di cui parlo il Prof. pisano Paolo Savi, il quale ha arricchito le scienze naturali che professa, e specialmente la geognosia toscana di cognizioni importanti circa la struttura, qualità e alterazioni chimiche e meccaniche dei terreni che appariscono nel Monte Pisano. Inoltre la scienza deve al medesimo la pubblicazione di una carta geologica di questo gruppo montuoso, nel 1832 levata dal vero nella proporzione di 1 a 80,000.
Forma ad essa carta corredo un panorama del Monte Pisano colorito a seconda delle qualità di terreni che si presentano dal lato dell’Arno, a partire da scirocco a maestro; cioè, da S. Giovanni alla Vena fino alle Mulina di Quosa .
Onde pertanto far conoscere la formazione del Monte Pisano il Prof. P. Savi ne fece argomento di dotte memorie in varii tempi pubblicate nel Nuovo Giornale de’Letterati, e una ne lesse nella prima adunanza alla sezione di Geologia, Mineralogia e Geografia al Congresso degli scienziati tenuto in Pisa nell’ottobre del 1839.
Dai quali studi e lavori prendendo io quel più che abbisogna per dare un cenno sulla struttura geognostica del Monte Pisano, dirò: che esso apparentemente è formato da tre qualità di terreni; dal macigno, cioè, dal calcare, e da una breccia da macine, che si scava precipuamente sul monte della Verruca, per cui il Prof.
Savi chiamò Verrucano cotest’impasto, o riunione di rocce.
Il Macigno non si mostra che nella parte più vicina al Serchio, a partire dal Monte delle Mulina di Quosa , andando di là verso il monte Maggiore sopra Ripa fratta, Cerasomma , Lupo Cavo, Castel Passerino, Monte Penna , sino a quello di S. Cerbone.
Il Verrucano poi cuopre la maggior parte del Monte Pisano tanto nel suo centro quanto nelle dira mazioni che stendonsi sino alla ripa destra dell’Arno, come anche dalla parte orientale verso il Lago di Bientina e nella direzione di grecale verso la pianura orientale di Lucca.
Finalmente il Calcare, più o meno visibilmente alterato e stratificato, si affaccia a gruppi di sterili e ripidi monticelli facenti orlo ai monti del Verrucano lungo l’Arno pisano, ovvero fra il Verrucano e il Macigno. In quest’ultima posizione trovasi la più estesa formazione calcarea che dal monte delle Fate, a scirocco dei Bagni di S. Giuliano, andando verso le cave di pietra da calcina presso Caldaccoli, a maestro dei Bagni, s’inoltra al di là del giogo di S. Maria del Giudice per i poggi che fiancheggiano il lato sinistro del valloncello del rio Guapparo sino alla contrada di Escheto presso Massa Pisana.
Il Verrucano pertanto si riguarda dal Savi non solo come il terreno più antico del Monte Pisano, ma di tutti gli altri dell’Appennino, poichè su di esso è adagiato il Calcare e il Macigno. Cotesto Verrucano consiste in un insieme di rocce frammentarie composte di arenaria silicea e di ardesia siliceo-magnesiaca, cementate da un sugo siliceo- talcoso, e disposte in triti attraversati da numerosi filoni di quarzo, contenenti talvolta de’ventri gemmati con cristalli di quarzo ialino, e qualcuno anche di clorite. Quando il talco vi è più sviluppato, ed il quarzo si è radunato in noccioli, allora il Verrucano passa allo steaschisto noduloso, come apparisce in questo monte dalla parte di Asciano.
Gli strati del Verrucano si trovano costà sconvolti e sollevati, e come disposti intorno ad un centro, che sarebbe quello al fondo della valle di Calci. Il Calcare che si osserva a piè del Verrucano, nella parte meridionale del Monte Pisano, o nella parte occidentale intermedio fra il Verrucano e il Macigno , in tutta la sua traversa, cioè dal monte delle Fate sino alla chiesa d’Escheto nel lucchese, vedesi soprapposto decisamente al Verrucano. Ma in alcune di quelle montuosità il Calcare essendo stato soggetto a un’azione, che i geologi chiamano plutoniana, ha potuto acquistare una grana semi granosa, una tinta cenerognola, e talvolta essere convertito in un vero marmo saccaroide e bianco. Tale è quello de’Bagni di S.
Giuliano, costà, dove al pari che alla base occidentale dell’Alpe Apuana, s’incontrano grandi massi di un Calcare cavernoso .
Seguitando da questa parte de’Bagni di S. Giuliano verso il monte Bianco o delle Fate lungo la linea che stendesi vero l’Arno si presentano interrottamente a piè del terreno Verrucano sei piccole montagnuole calcaree; due delle quali all’estrema punta a libeccio del Monte, fra Asciano e Agnano , la terza fra Agnano e la pieve di Calci, e le tre ultime lungo la strada regia di Piemonte, a Oliveto, a Noce e Lugnano, e sul monte del Castellare.
Queste sei montagnuole, dove si mostra nel Calcare una meno decisa stratificazione, sono divise in grandi massi sconnessi fra loro, oppure collegati da un cemento spatoso comunemente colorato da terra ocracea rossastra. Le sconnessioni e gli interstizi che molte volte si presentano fra cotesti massi, danno luogo a degli spacchi profondi e a delle vere grotte. Tali sono quelle presso Lugnano , sopra la chiesa di Noce, alle cave di Oliveto, fra Agnano e Asciano, alla Grotta delle Fate, e presso le Mulina di Quosa sul monte omonimo. Ma soprattutte si sono rese celebri le caverne ossifere di Oliveto ripiene di frammenti e schegge di pietra calcarea di ossa di vertebrati, e di altri fossili cementati insieme dallo spato ocraceo testè accennato.
Il Macigno poi, quand’è immediatamente a contatto col Calcare semigranoso suol trovarsi alterato in modo che gli strati schistosi, chiamati volgarmente tramezzuolo o bisciajo , in alcuni luoghi sono ridotti in Galestro , in altre località veggonsi metamorfizzati in una roccia diasprina, e altrove convertiti in una specie di schisto lucente.
L’importanza che offre al geologo il gruppo del Monte Pisano non poteva a meno di richiamarvi gli scienziati tutti della sezione geologica del primo Congresso dei dotti italiani tenuto in Pisa. Il presidente della quale sezione destinò la seconda domenica di ottobre a tale escursione, avendo per scorta lo stesso Prof. Paolo Savi. Scopo precipuo della medesima fu quello non solo di osservare in posto, dai Bagni di S. Giuliano sino a Oliveta, le varietà che presentano le masse calcaree e le brecce da macini, ossia il Verrucano del Savi, ma ancora si nutriva lusinga di poter riconoscere a qual gruppo di terreni dei meglio qualificati dell’alta Italia cotesto Verrucano fosse precisamente riferibile.
Infatti la comitiva scientifica si recò prima di tutto alle cave di pietra da calcina forte, al di là de’Bagni di S.
Giuliano, dove riscontrò un calcare di color bigio a strati inclinatissimi, nel quale si vedevano segni evidenti di una forte alterazione, ed i cui strati sono intersecati quasi sempre parallelamente da straterelli di una roccia d’indole quarzosa, talvolta polverulenta, talora confusamente cristallizzata. Dai Bagni di S. Giuliano fino alla valle di Calci la comitiva scientifica rasentò il fianco di grandi masse alterate di Calcare semigranoso, le quali presentano in qualche tratto, come al Bagno detto della Duchessa , una singolare pseudo-stratificazione, comecchè i suoi strati chiaramente appariscano negli angoli sporgenti e rientranti del monticello, dove corrono in direzione concordante.
Nella vicina valle di Asciano si trovò il primo terreno del Verrucano con le sue moltiplici varietà più o meno alterate, e sembra che di mezzo al medesimo scaturischino le copiose e limpide acque potabili, le quali conduconsi per lunghi acquedotti a Pisa.
Proseguendo il cammino la comitiva passava a piè de’monti fra Asciano ed Agnano e vide costà ricomparire il Calcare, alcune volte semistratificato, ma nella maggior parte ridotto in masse cavernose. Finalmente avvicinandosi all’Arno passato Caprona, le si presentò davanti il nudo poggio d’Oliveta che serve di cornice al monte della Verruca, dove la comitiva potè osservare nei grandi e pittoreschi tagli praticati in quella rupe e nei massi enormi e piramidali staccati dal monte, un Calcare cristallino color ceciato, le cui fenditure sono ripiene della nota Breccia ossifera . Considerato in grande il Calcare del poggio d’Oliveta apparisce sovrapposto al Verrucano, e tutt’insieme coteste masse pare che indichino al teologo di essere state violentemente sollevate. Fuvvi tra quei scienziati chi riconobbe nel Calcare d’Oliveto un analogia con quello dell’Alpe Apuana, e l’uno e l’altro corrispondente al banco inferiore della gran massa calcarea delle Alpi Lombardo-Venete.
Ritornando verso Caprona per la valle di Calci fino alla Certosa, la comitiva degli scenziati diede un’occhiata alla disposizione generale delle masse del Verrucano, ed al singolarissimo aspetto sotto cui esse presentansi specialmente nel monte della Verruca sopra il convento di Nicosia. Dondechè studiando e confrontando le varie modificazioni sofferte da quel terreno singolare, si aprì un bel campo di ricerche a quei dotti per vedere di stabilire a qual gruppo di formazioni geologiche debba riportarsi il Verrucano del Savi. Che se in quell’escursione, e nei molti campioni esistenti al Museo di Pisa delle varie modificazioni del Verrucano del Monte Pisano i geologi non hanno potuto ancora decidere a qual serie precisa possa appartenere; è sperabile che nuove e più estese indagini, e confronti più scrupolosi, porteranno alla risoluzione del problema, voglio dire, se sia da ammettere alcuna analogia fra il Verrucano della Toscana ed i terreni delle Alpi, e in tal caso a qual gruppo assegnarlo; o seppure due diverse catene di montagne (le Alpi e l’Appennino) presentino altrettante fisionomie distinte da non ammetter fra loro nessuna fondata corrispondenza. – Vedere ATTI DELLA PRIMA RIUNIONE DEGLI SCIENZIATI ITALIANI TENUTA IN PISA nell’ottobre del 1839.
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1839, Volume III, p. 460.
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