PORTO FERRAJO
già del FERRAJO o FERRAJA, e per breve tempo COSMOPOLI.
– Piccola e bella città forte nell'isola dell'Elba, munita di un profondo seno con darsena naturale, il tutto difeso da inespugnabili fortificazioni, residenza di un governatore civile e militare che abbraccia nella sua giurisdizione tutta l'isola dell'Elba e quella della Pianosa, con tribunale collegiale di prima istanza, un vicario regio, un comandante di piazza, una conservatore delle ipoteche, una cancelleria comunitativa, ed un ministro dell'esazione del registro, e la cui pieve arcipretura (Natività di Maria) è compresa nella Diocesi di Massa Marittima, già di Populonia, Compartimento di Pisa.
La città è coronata da libeccio a levante da poggi che inoltransi a semicerchio sul mare, dei quali fa parte un monticello che biforcato cuopre le sue spalle avanzandosi da ponente a levante per chiudere con una lingua di terra il porto più bello che per profondità e sicurezza dopo quello di Malta abbia fatto la natura nelle isole del Mediterraneo.
Avvegnachè all'ingresso del suo golfo lo scandaglio pesca circa 120 piedi e dentro il porto non meno di 23 piedi di profondità.
Trovasi fra il grado 27° 59' 4" di longitudine ed il grado 42° 49' di latitudine, circa 16 miglia a ponente libeccio di Piombino, 20 a ostro libeccio di Populonia, quasi 50 miglia a ostro di Livorno, tutti tre in Terraferma, 7 miglia a levante della marina di Marciana, 5 a maestro di Porto Longone, e 8 a ponente della marina di Rio, tutti tre capiluoghi di Comunità nell'Elba.
All'Articolo ISOLA DELL'ELBA discorrendo della sua storia politica e civile ricusai di abbracciare l'opinione troppo favolosa di coloro che supposero cotesto paese fondato ed abitato dagli Argonauti che viaggiarono fin qua; e nettampoco partecipai del parere di quelli che attribuirono ai Focesi venuti nella Corsica il pensiero di voler fondare una colonia costà nel golfo di Portoferrajo.
Ciò che mi sembrò meno dubbio si era che i Romani tenessero nel Ferrajo un deposito o stabilimento per ricevere la vena del ferro che l'isola dell'Elba, da lunga età, fornisce mediante facili e copiose escavazioni nelle sue inesauribili miniere di Rio. In quanto poi all'antico uso di trasportare la vena dall'Elba a Populonia, lo diede a conoscere prima di tutti l'autore dell'opera De Mirabilibus consultationibus e lo confermarono Diodoro Siculo, Virgilio e Strabone. Anco ai tempi di quest'ultimo storico- geografo la vena del ferro per troppa scarsità di combustibile continuava a trasportarsi dall'isola dell'Elba alla Terraferma per fonderla e lavorarla, non però a Follonica come si pratica da molti secoli a questa parte, ma a Populonia, dove Strabone vide i forni. Quindi è che molto innanzi ancora di quell'età il ferro dell'isola anzidetta era designato col nome della sua capitale, cioè, di Populonia. E siccome il porto del Ferrajo era il più comodo e il più vicino a questa città, fia facile credere che a cagione del trasporto della vena del ferro di tutta l'isola nel porto più vicino a Populonia, cotesto luogo acquistasse il nome espressivo di Ferrajo o Ferraja che per molti secoli successivi ha conservato.
Eretta in seguito in Populonia una sede vescovile, la stessa città continuò a mantenere la sua giurisdizione sopra tutta l'isola dell'Elba, mentre senza escire dalla sua Diocesi, il vescovo S. Cerbone nel sesto secolo dell'Era Volgare con il suo clero costà si riparò dalla distruttiva invasione del duca longobardo Gumaritt. – Vedere ISOLA DELL'ELBA.
Inoltre all'articolo medesimo aggiunsi che l'isola dell'Elba, e conseguentemente il Ferrajo, durante il dominio longobardo, dovè dipendere dai duchi longobardi della marca marittima Toscana. E comecchè l'isola stessa più tardi, a parere di certi scrittori, fosse stata promessa dall'Imperatore Carlo Magno al Pontefice Adriano I e per esso alla Chiesa romana insieme con Populonia, Roselle, Sovana, ecc. tuttavia le vicende politiche del Ferrajo e di tutta L'Elba non solamente s'ignorano durante il regno de’Carlovingi, ma ancora de’sovrani italiani e tedeschi che gli succedettero fino almeno alle spedizioni marittime che sulle isole del mare Mediterraneo furono fatte dai Pisani.
Infatti molti documenti degli archivj di Pisa danno a conoscere che quel Comune fino dal secolo XI dominava su tutta l'isola dell'Elba, nonchè sulle altre sparse nell’Arcipelago toscano, e che solo qualche anno dopo la fatale giornata della Meloria (anno 1284) i Genovesi vittoriosi di quella tolsero ai vinti anche l'isola dell'Elba.
Innanzi quell'epoca peraltro gli abitanti del Ferrajo e di tutti gli altri comuni dell'isola in discorso pagavano un tributo alla mensa arcivescovile di Pisa, quando già vi risiedeva uno dei capitani o giusdicenti della Repubblica pisana, mentre qualche tempo innanzi sembra che vi esercitasse giurisdizione il capitano di Piombino. – Vedere PIOMBINO.
A dimostrare però che sul declinare del secolo XIII l'isola dell'Elba veniva retta nel politico da un capitano sottoposto al governo pisano, mi giovano due documenti dell'archivio di quell'arcivescovato rogati in Pisa nella piazza di S. Ambrogio davanti il palazzo del potestà. Il primo di essi del 12 maggio 1290 (stile pisano) è un ordine dato al giudice de’maleficj per Gualtieri di Brunforte potestà di Pisa, che aveva fatto precetto ai consoli, consiglieri e camarlenghi dei Comuni di Ferrajo, di Capoliveri, di marciana, di Pomonte, di Grassola e Rio, di Campo, di Lotrano, e ad altri membri rappresentanti i Comui di quell'Isola, i quali si erano adunati in consiglio nella casa del capitano dell'Elba posta nel castel di Capoliveri, dichiarando il messo al giudice di aver precettato i detti Comuni nel 4 giugno dello stesso anno 1290, alle case di abitazione de’respettivi consoli, colla minaccia che, qualora entro 20 giorni non avessero pagato o fatto pagare al venerabile Arcivescovo Ruggiero per la sua mensa arcivescovile pisana i falconi che dovevano dare annualmente e dei quali avevano sospeso da dieci anni il dovuto invio, cadevano nella penale di lire mille per ciascun Comune.
Coll'altro documento del 27 febbrajo del 1291 dato in Pisa nella curia de'maleficj posta nella piazza del Comune davanti la torre della famiglia del Nicchio, il messo della stessa curia espose come egli era stato incaricato di recarsi all'isola dell'Elba per intimare la contumacia ai Comuni di quel capitanato rispetto al tributo annuo dei falconi da portare all'Arcivescovo Ruggero in Pisa; ma che il nunzio, nè altri per lui potevano andare e tornare da detta isola senza esporsi ad un grande pericolo a cagione delle guerre. In vista di ciò il giudice assessore confermò a carico degli Elbani la sentenza e condanna del 12 maggio 1290 (ossia 1289 stile comune).
Dai due documenti testè citati non solo apparisce il tributo annuo dovuto allora dagli Elbani ala mensa arcivescovile di Pisa, ma che nel febbrajo dell'anno 1291 l'isola dell'Elba era assediata, sebbene non ancora dai Genovesi, com'altri scrissero, conquistata. – (ARCHIVIO ARCIVESCOVILE PISANO e G. NINCI, Storia dell'Isola dell'Elba.
Fra gli autori che riportarono all'anno 1290 i fatti d'arme relativa alla conquista fatta dai Genovesi dell'isola dell'Elba, il Caffaro ne’suoi Annali fu quello che più a lungo ne parlò, avvisando eziandio, che gli abitanti di uno di quei castelli sostennero molti mesi d'assedio, e che solo furono obbligati a rendersi dopo che quelle genti ebbero conquistata l'isola intiera.
Però gli arcivescovi di Pisa a quell'età non solo ritraevano tributi dagli Elbani, ma esercitavano una tal quale giurisdizione anco sulla Pianosa, cime si disse a quell'articoli, e sull'isolotto di Cerboli posto tra l'Elba e Piombino. In quanto spetta a quest'ultimo la cosa è chiarita da un istrumento dell'archivio testè citato, rogato in Pisa nell'arcivescovato nel giorno 19 marzo del 1282 per mano di Bindo notaro di quella curia; mercè l'Arcivescovo Ruggero in nome della sua mensa, affittò per 5 anni tutti i redditi e proventi delle stadere delle porte o ripe dell'isola di Cerboli (de Cerbis) compresi i livelli e pensioni che quella sua mensa ritraeva da Piombino e che per l'addietro rendevano annualmente lire 42 e soldi dieci di denari pisani, oltre il tributo di mille coltelli di palme . Il qual fitto fu rinnovato alle stesse condizioni con l'obbligo di recare a Piombino al palazzo dell'arcivescovo l'annuo censo suddetto, e i falconi che si fossero presi nell'isola stessa di Cerboli consegnarli tutti in Pisa nell'arcivescovato. – (ARCHIVIO ARCIVESCOVILE PISANO) Dopo conquistata l'Elba i Genovesi dominarono nel Ferrajo e in tutti i paesi e Comuni dell'isola fino a che i reggitori di quel governo intorno al 1309, rivenderono ai Pisani l'isola stessa a condizioni molto onerose. – Vedere ISOLA DELL'ELBA.
Da quell'epoca in poi i popoli del Ferrajo con tutti gli altri dell'Elba ubbidirono costantemente ai capitani e agli anziani di Pisa. Ma nel febbrajo del 1399 il loro capitano generale, Gherardo Appiano, vendè la patria col suo territorio al duca di Milano, riserbando per sé e per la sua discendenza il governo di Piombino, di Scarlino, Suvereto, Buriano e loro distretti, oltre le isole dell'Elba, di Pianosa e Monte Cristo. Sottoposti a cotesti dinasti gli Elbani tutti si mantennero finché per annuenza dell'Imperatore Carlo V non fu distaccata dalla signoria degli Appiani quella parte che d'allora in poi costituì la Comunità di Portoferrajo, che comp rata aveva a caro prezzo Cosimo I duca di Firenze per fortificare e presidiare cotesta importantissima posizione marittima, a condizione peraltro di restituirla dopo l'intiero rimborso delle spese.
Appena concluso il trattato, Cosimo nell'aprile del 1548 inviò al Ferrajo mille fanti con 300 guastatori sotto il comando di Otto da Montauto; e valendosi della maestria di un distinto architetto, Giovan Battista Camerini da S.
Marino, fece ben tosto por mano alle imponenti fortificazioni, che l’italiano Vauban, o piuttosto un allievo dell’architetto sanese Francesco di Giorgio, innalzò sul bicipite colle del Ferrajo e sulla lingua di terra che costituisce il suo porto, gettando nel tempo stesso i fondamenti della sottoposta città, che dall’autore ebbe e per qualche tempo portò il nome di Cosmopoli. Sedati i reclami fatti dai Genovesi e dalla vedova signora di Piombino alla corte di Carlo V, Cosimo de’Medici si recò egli stesso da Livorno al Ferrajo per visitare le nuove costruzioni e per incoraggiare con la sua presenza cotanta impresa.
Nel giugno del 1548, previo lo sborso di 16000 scudi d’oro, Cosimo I ottenne dalla corona di Spagna anco il possesso del principato di Piombino con il restante dell’isola d’Elba. Sennonché i capitani del duca di Firenze dovettero riconsegnare agl’incaricati di Carlo V lo stato di Piombino con l’Isola d’Elba, a riserva di Cosmopoli e del suo distretto.
Ridotte pressoché a termine le fortificazioni del Ferrajo, il Camerini diede il nome di Falcone alla più imponente fortezza, forse dalla maggior eminenza della collina bicipite sulla quale risiede, e chiamò Stella l’altra più a levante, per la forma de’raggi che contornano le sue mura, mentre la terza innalzata a guisa di torre ottangolare, sull’estrema lingua di terra all’imboccatura della darsena, fu appellata la Linguella. In memoria di coteste opere militari vennero apposte tre iscrizioni; una delle quali del 1548 sulla porta di mare, e due altre esistenti sull’ingresso delle fortezze Stella e Falcone. In quella sulla porta di mare si legge: Templa, Moenia, Domus, Arces, Portam, Cosmus Florentiae Dux II a Fundamentis Erexit. Ann.
MDXLVIII.
Sebbene nel 1557 il re di Spagna Filippo II figlio di Carlo V, cui restarono i RR. Presidj toscani, confermasse al duca Cosimo I la porzione dell’isola dell’Elba assegnata al distretto di Portoferrajo, contuttociò la demarcazione de’suoi confini non venne fissata se non dopo il trattato di Londra del 1575, fra S. M. Cattolica, il Granduca di Toscana e Giacomo VI signore di Piombino. Mediante il qual trattato fu anche rinnovato per 45 anni l’affitto della miniera di ferro di Rio già stata concessa dai signori di Piombino a Cosimo I.
Ma nel 1619, ultimo anno del fitto di quella vena, il viceré di Napoli fece sequestrare il minerale e la miniera di Rio ch’era stata rinnovata in appalto al Granduca Cosimo II, sicché questi per evitare il danno che gli cagionava il sequestro, fece pagare a Jacopo Franchi consigliere e visitatore regio 2800 scudi d’oro, con animo di rivalersene contro donna Isabella di Alessandro Appiani, moglie di Giorgio Mendozza e signora di Piombino.
La prima volta che fu tentato di assalire le fortificazioni del Ferrajo accadde nell’anno 1554, quando una flotta gallo-turca sbarcando li 7 agosto nell’isola dell’Elba, recò i maggiori danni possibili ai castelli e abitanti di Capoliveri, di Marciana, ecc. E ciò nel tempo stesso che arrivavano da Siena alla marina per imbarcarvi 2500 fanti di truppa francese, mentre la numerosa flotta gallo-turca intorno al Ferrajo voleva far le sue vendette contro il duca di Firenze. Ma Cosimo che prevedeva e riparava a tutto, aveva mandato al suo Cosmopoli il capitano Lucantonio Cuppano, e con 1200 soldati Chiappino Vitelli a Piombino, donde il suo signore con 4 galere del duca, alle quali comandava, imbarcando munizioni, vettovaglie e un 300 fanti, seppe con destrezza penetrare nel porto del Ferrajo , sventando così tutti i progetti del nemico, che alla fine si trovò obbligato ad allontanarsi di là.
La partenza dell’armata gallo-turca dall’isola dell’Elba e dalle coste toscane impegnò Cosimo de’Medici a ordinare altre fortificazioni a sicurezza maggiore di Portoferrajo e del littorale piombinese. Quanto fossero saggi quei provvedimenti si vide col fatto nell’estate del 1558, quando ricomparve un’altra flotta turca davanti all’isola medesima, i di cui abitanti, abbandonando in fretta i loro castelli, si ritirarono nella piazza del Ferrajo , ridotta allora in stato di difesa tale da render vano qualunque tentativo ostile.
Dopo la ritirata de’Turchi seguitarono nonostante i Francesi dalla Corsica a tenere in qualche allarme il duca di Firenze fino alla pace generale del 3 aprile 1559, per la quale il re di Francia rilasciò quanto fino allora con le sue armi nello stato e maremma sanese aveva invaso.
In tal guisa Cosimo rimasto pacifico signore di Siena e di Portoferrajo, poté seriamente occuparsi della forma di governo anche di cotesta importante porzione dell’isola dell’Elba, con la mira di avvantaggiare e accrescere la popolazione della sua Cosmopoli.
A tal uopo fu pubblicato, in data del 14 settembre 1559, un bando con il quale si prometteva a chiunque si fosse recato ad abitare familiarmente a Portoferrajo libera franchigia di persone e di beni non ostante qualsiasi pregiudizio altrove contratto, eccetto che di condannagioni in pena capitale, o di galera; dichiarando costoro a determinato tempo esenti da qualunque gravezza ordinaria e straordinaria, eziandio rispetto ai beni che possedessero nel dominio toscano di terraferma; ed esentando da ogni dazio e gabella le mercanzie tanto all’entrare quanto all’escire da quel porto. Inoltre fu donata una quantità di suolo a colore che fabbricavano costà qualche abitazione, dichiarando immuni tutti i bastimenti mercantili che costruivansi in Portoferrajo, ed esentandoli da tasse e altre gravezze né porti e scali del dominio granducale.
Tante belle promesse dovettero produrre una vistosa emigrazione fagli altri paesi specialmente dell'isola dell'Elba sottoposti al principe di Piombino siccome lo dimostra il lungo carteggio tenuto dopo quel bando tra la corte di Piombino e la Pratica secreta concernente la proibizione fatta dall'Appiani agli uomini di Rio e di Grassula di trasferirsi ad abitare in Portoferrajo senza espressa licenza del loro signore. – (ARCHIVIO DELLE RIFORMAGIONI DI FIRENZE) Era di pochi mesi morto il granduca Cosimo, quando nel gennajo del 1575 dai geografi incaricati dal granduca Francesco I e da Jacopo VI principe di Piombino furono posti i termini intorno al distretto di Portoferrajo rilasciato a Cosimo I ed ai suoi successori a tenore del tattato del 29 maggio 1557, siccome apparisce dalla convenzione del gennajo 1575 (stile comune), nella quale si diceva quanto appresso : "Conciossiachè fino dal mese di novembre 1573 per vari accidenti non furono posti i termini di confine delle due miglia intorno a Portoferrajo intorno ai già disegnati e chiariti posti di Bagaia, Strada di Rio, Monte Castello, Belverde, Feliciajo, Monte Orello, S.
Lucia, Ceppetta ed Acquaviva; che perciò i grancuca di Toscana Francesco de’medici e Jacopo VI signor di Piombino avendo commesso ai loro incaricati nominati la terminazione delle anzidette due miglia, in quell'atto stabilirono doversi seguire a seconda del trattato ecc." Cotesta demarcazione ebbe però ben presto un aumento di suolo a favore del Granduca e della Comunità di Portoferrajo, quando nel 1579, d'accordo con le parti il termine di S. Lucia fu portato alla Barbatoja sulla cima del poggio al di sopra della villa di S. Martino; ciò che fece acquistare da quella parte un'estensione di circa braccia 3400, cioè di un miglio e un quinto di territorio a favore di questa Comunità.
Poco dopo lo stesso Francesco I onorò di una sua visita i Portoferrajesi e diede ordini opportuni per assicurare da qualunque tentativo de’nemici quegli abitanti, fra i quali posteriormente lo stesso Granduca due altre volte ritornò.
Durante poi il dominio granducale di Ferdinando I un caso impensato sbigottì i Portoferrajesi, allorchè nel maggio del 1603 diede fondo nel golfo di Lungone una squadra ispano-napoletana con truppe da sbarco, guastatori e materiali necessarj alla fondazione e difesa di una nuova piazza, che Filippo III re di Spagna aveva deliberato di fondare nell'isola nella parte spettante al principe di Piombino. – Vedere PORTO LUNGONE.
Continuavano nel medesimo stato di agitazione gli affari politici dello stato piombinese di terraferma e dell'isola predetta, quando il giovane granduca Ferdinando II nel 1637 volle solennizzare il suo matrimonio con la principessa Vittoria di Urbino innalzando all'onore la città di Portoferrajo, dove poscia nel 1646 accrebbe le fortificazioni e meglio anche la provvide allorchè i Pontefice Urbano VIII, essendo in guerra con la Toscana per cagione della Chiana stava in procinto di spedire una flotta con truppe da sbarco contro Livorno e Portoferrajo.
L'anno 1664 terminava l'appalto della vena di Rio che Cosimo I e Francesco I col trattato di Londra del gennajo 1575 ottenne ognun di poro per 45 anni; dopo dei quali Ferdinando II per un egual periodo lo rinnovò con Niccolò Ludovisi principe di Piombino; dondechè nel detto anno 1664 fu stipulato un quarto trattato di appalto con il principe Gaetano Buoncompagni-Ludovisi, continuazione dello stesso fitto, appalto che i principi di Piombino confermarono alla corona granducale fino a che l'isola dell'Elba soggiacque al dominio francese.
Nei primi anni del governo di Cosimo III essendo si suscitati non pochi torbidi di guerra fra la Francia e la Spagna, quel Granduca adottò una neutralità armata; ed abbenchè dalla parte della Spagna fossero tentati tutti i mezzi per ridurre Cosimo III a unirsi a quella, egli stette fermo nella sua politica al segno che minacciato nel 1683 di togliergli Portoferrajo, inviò costà il proprio figlio Ferdinando principe ereditario con ordine di visitare tutte le fortificazioni della piazza e di farle arriparare dove abbisognassero onde porre la città in stato da non temere alcuna sorpresa. Finalmente 17 anni dopo il Granduca istesso, nel tempo che veleggiava per Roma, approdando a Portoferrajo volle visitare quelle fortificazioni; e sembrandogli che dalla parte di terra in caso d’assalto il nemico potesse postarsi vantaggiosamente sopra di un’alta collina vicino alla piazza, ordinò che ivi sopra si erigesse un fortilizio cui fu dato il nome di S. Giovanni Battista. Ma sotto il Granduca Giovanni Gastone suo successore, all’occasione della guerra che si accese fra la Francia e l’Austria per la successione in Spagna, temendo che il forte di S. Giovanni Battista potesse facilmente cadere in mano agli Spaguoli padroni di Lungone, ne ordinò la demolizione che fu tosto eseguita nel 1728.
Finalmente nel 1731 lo stesso Gran Duca Giovanni Gastone avendo acceduto con poche modificazioni al trattato di Londra del 2 agosto 1718, permise che la piazza di Portoferrajo venisse presidiata per metà da truppa toscane e per l’altra metà dalle spagnuole, le quali ultime furono poi rimpiazzate nel 1735 da un presidio austriaco. Due anni dopo essendo mancato alla Toscana colla vita di Giovanni Gastone l’ultimo Granduca di casa Medici, a tenore del trattato di Vienna del 19 novembre 1735, e del diploma imperiale di Carlo VI, firmato li 24 gennajo 1737, fu assunto al trono granducale della Toscana Francesco duca di Lorena e principe di Bar, cui la guarnigione e impiegati di Portoferrajo prestarono bentosto giuramento di fedeltà.
Fra le molte disposizioni ordinate dal nuovo Granduca di Toscana Francesco II, una fu quella di assicurare Portoferrajo con nuove fortificazioni, alle quali fece por mano nel maggio del 1738. In memoria di ciò sulla porta di terra, riedificata d’ordine di quel sovrano, leggesi la seguente iscrizione: AD URBIS TUTAMEN, ET DECUS RESTAURATUM, AMPLIFICATUM, REGNANTE FRANCISCO II. M. E. D. ANNO MDCCXXXXII. – Anche nel 1746 restò compito un bastione innalzato dai fondamenti di fianco alla torre della Linguella dove attualmente è il Bagno.
Sotto lo stesso sovrano furono scavate sotto la rada di Portoferrajo le saline alla trapanese di S. rocco e dell’Annunziata; cioè con le fosse lastricate di pietre, per cui si chiamarono da Trapani alcuni operai esercitati in simili lavorazioni.
Nell’esaltamento al trono imperiale del Granduca Francesco II, e I di questo nome come Imperatore, per quanto la Toscana nel 1746 si trovasse liberata dalla pirateria de’Barbareschi, coi quali lo stesso Imperatore aveva concluso un trattato, nulladimeno non mancò quel Granduca di mantenere delle forze in mare; destinando nel 1751 Portoferrajo per stazione delle flottiglie del suo Granducato.
Morto il granduca Francesco II, la Toscana venne assegnata al suo secondogenito Pietro Leopoldo. Questi e l’augusta consorte Maria Luisa Infanta di Spagna nel 1769 bearono della loro reale presenza i Portoferrajesi, a favore de’quali con motuproprio del 1787 furono poi diminuiti i diritti di ancoraggio pei bastimenti esteri, mentre per i toscani, quelli di Porto Lungone e dello stato di Piombino che posavano l’ancore in Portoferrajo, furono esentati da ogni dazio.
Inoltre quel benefico sovrano fece erigere sopra l’estremità orientale del forte Stella, sull’ingresso del golfo o rada di Portoferrajo, un fanal di second’ordine per mostrare di notte la via del porto ai legni che veleggiano per cotesti mari.
Passando nell’anno 1791 Leopoldo I dal trono granducale a quello dell’Impero, fu acclamato Granduca Ferdinando III, suo secondogenito in un tempo peraltro fatto calamitoso dalla furibonda rivoluzione popolare della Francia. In conseguenza di che nel primo anno del governo di Ferdinando III fuggirono da Tolone emigrando sopra navi inglesi a Portoferrajo da tre a quattromila realisti per non cader vittime de’repubblicani alla caduta in poter loro di quella città antirivoluzionaria.
A nuove e più decisive conseguenze trovossi esposto Portoferrajo nell’estate del 1795, dopochè il generale Bonaparte aveva fatto occupare improvvisamente dalle truppe francesi il porto e la piazza di Livorno a pregiudizio degli Inglesi. I quali dal canto loro, col pretesto che accader potesse un caso simile a Portoferrajo, prevennero l’intenzione dei Francesi, imbarcando in Corsica su navi inglesi 2000 uomini di loro nazione, i quali si diressero a Portoferrajo, dove tosto entrarono previa la condizione di conservare il governo granducale.
Frattanto suscitatasi in Corsica una rivolta contro gli Inglesi, che la occupavano, dovette i viceré di questa nazione abbandonare l’isola e dirigersi con tutti i suoi a Portoferrajo. L’esuberante numero di persone che in tale occasione si accumulò nella piccola città di Portoferrajo, determinò i suoi comandanti a dividerle in diversi punti dell’isola lasciando guarnigioni alle marine di Marciana, di Campo, di Acona e di Rio, sotto pretesto di difendere quel litorale da un’invasione ostile minacciata dalla flotta gallo-ispana. Fu allora che gl’Inglesi posero in un maggior stato di difesa le fortificazioni di Portoferrajo, innalzando una batteria sul promontorio della Falconaja, mentre a due altre fu dato incominciamento sulla cima di monte d’Orzo, e sulle rovine del forte di S. Giovanni Battista, denominato tuttora il Forte inglese.
Mentre che i Granduca di Toscana soffriva di mal animo che i Francesi la facessero da padroni in casa sua e che maltrattassero in Livorno i proprj sudditi e i neutrali, sentiva un’egual pena per i Portoferrajesi dominati ad arbitrio dagl’Inglesi, non ostante la dichiarata neutralità.
Frattanto le rimostranze di Firenze presso il gabinetto di Londra e il Direttorio di Parigi riescirono ad ottenere il loro intento. Avvegnaché fra le due potenze fu convenuto (aprile 1797) che le forze inglesi si sarebbero imbarcate, e partirebbero da Portoferrajo il giorno istesso che fosse eseguita l’evacuazione de’Francesi da Livorno; e in tal modo gli abitanti de’due porti più segnalati della Toscana tornarono tranquilli sotto il libero governo del loro legittimo sovrano.
Ma se il trattato di Campoformio sospese, peraltro non dileguò la tempesta che dai Francesi dirigevasi sopra la Toscana. Non era appena entrato l’anno 1798 che i reggitori di quella repubblica nel tempo medesimo che prendevano tutte le misure per abbattere i governi monarchici, facevano dire al Granduca Ferdinando III che bisognava decidersi o per un’alleanza operosa a favore della Francia, o per un’ostilità manifesta. L’occupazione di Livorno eseguita dalle truppe napoletane sul principio del 1799 fornì il desiderato pretesto per far entrare ostilmente le truppe francesi in Toscana, e invadere tutto il Granducato di terraferma.
Né molto tempo Portoferrajo restò illeso dall’invasione, tostochè altre genti della gran Nazione sul principio di aprile del 1799 vennero a imposses sarsi di questa piazza; se non chè il presidio napoletano di Porto Lungone, unitamente agl’isolani ridussero in pochi mesi i Francesi a tali strettezze da dovere a forma della capitolazione del 17 luglio, anno 1799, riconsegnare al governatore della fortezza di Lungone e ad un capitano del Granduca Ferdinando III la piazza di Portoferrajo.
In conseguenza di ciò i corsari francesi misero in stato di blocco cotesta piazza, per cui restarono impedite tutte le comunicazioni e troncato ogni commercio fino a che due sciabecchi armati in Livorno, purgati i mari dell’isola dell’Elba, liberarono Portoferrajo.
Ma la gran giornata di Marengo (14 giugno 1800) riponendo i destini della Toscana e dell’alta Italia in mano del primo Console Napoleone, si vide ben presto la più bella porzione della penisola occupata di nuovo dai Francesi, e poco appresso, mediante il trattato di Luneville (9 febbrajo 1801) la Toscana tutta, compresa l’isola dell’Elba, destinata all’Infante Lodovico di Borbone duca di Parma col titolo di re d’Etruria, promettendo di rindennizzare nella Germania il Granduca Ferdinando III de’suoi stati d’Italia.
In conseguenza i Francesi pretesero di occupare quella parte dell’isola dell’Elba che dal governo granducale dipendeva; ma la risposta che il comandante di Portoferrajo pel Granduca Ferdinando III diede alla lettera (9 marzo 1801) della cessione alla Francia della piazza di Lungone con tutta quella parte dell’isola che spettava al principe di Piombino, aggiuntavi la promessa di rinvestire quest’ultimo nel regno di Napoli.
Ottenutasi da Francesi la piazza di Lungone col resto dell’Elba piombinese, credettero essi di acquistare senza opposizione anche Portoferrajo. Ma l’effetto non corrispose ai loro desiderj poiché gli abitanti di questa città si riunirono alla guarnigione, il cui governatore Carlo de Fixon, imperterrito a qualunque minaccia, seppe risponder con le parole e coi fatti, che egli e il suo presidio avrebbero difeso sino agli estremi la piazza da qualunque aggressione senza un ordine in scritto del suo sovrano.
Fu inutile pertanto che settemila uomini francesi, spalleggiati da due batterie e da una squadra di nove vascelli, nel maggio 1801 vomitassero un diluvio di palle, di granate e di bombe contro Portoferrajo. Nella quale emergenza la popolazione gareggiando col presidio in coraggio e valore, sebbene non pratica del mestiere della guerra, seppe resistere e rendere vani tutti gli sforzi di tanta gente agguerrita, mentre i marinari elbani dal canto loro predavano ai nemici varj legni mercantili con carichi di vettovaglie e di Munizioni.
La fermezza e insistenza del governatore di Portoferrajo nel respingere la forza francese dalla piazza non cedè se non dopo l’annunzio ripetuto della pace fatta fra la Francia e l’Inghilterra mediante il trattato d’Amiens. In forza della quale l’Infante di Spagna Lodovico di Borbone nuovo re d’Etruria rinunziava alla Repubblica francese quella parte dell’Elba che i Granduchi di Toscana ricevendo in compenso i presidj di Orbetello, S. Stefano e Port’Ercole. Ma il governatore di Portoferrajo piuttosto che consegnare, previa onorevole capitolazione, la piazza ai Francesi, preferì d’imbarcarsi col presidio e con tutti i rifugiati e di veleggiare a Livorno (11 giugno 1802) dopo aver consegnato le fortificazioni della città alle milizie urbane e a quel civico magistrato. Questi però, poco dopo, invitarono il comandante le forze francesi nell’isola dell’Elba residente a Lungone a venire a Portoferrajo per presidiarlo con le sue genti e prenderne in comando. Dopo eseguito ciò, nel 14 luglio successivo i sindaci delle terre, castelli e villaggi dell’Elba si recarono a Portoferrajo a prestare giuramento di sudditanza e fedeltà al governo della Repubblica francese; al di cui territorio tutta l’isola venne formalmente riunita per un senato-consulto- organico del 10 fruttidoro anno X (27 agosto 1802).
In seguito nel 12 gennajo 1803 fu emanato il decreto di organizzazione governativa dell’Elba e delle isole annessavi: cioè della Capraja, Pianosa, Palmajola e Monte Cristo, per governare le quali fu nominato un commissario generale ed un consiglio amministrativo, residenti in Portoferrajo. Allora l’amministrazione economica e civile restò ripartita in 7 Comunità; vale a dire Portoferrajo, Portolungone, Marcina, Capo, Capoliveri, Rio e Capraja, cui furono destinati 4 giudici di pace e dichiarati i porti e territori dell'isola dell'Elba e delle altre annesse esenti e immuni dai diritti doganali.
Finalmente le 7 parrocchie, cui eransi ridotte quelle dell'Isola d'Elba, vennero staccate dalla diocesi di Massa Marittima, e date alla diocesi di Ajaccio in Corsica, ecc.
Frattanto la dichiarazione di una nuova guerra fra l'Inghilterra e la Francia fornì motivo al primo Console di farsi dichiarare e incoronare Imperatore de’Francesi; ed egli pochi,esi dopo (18 maggio 1805) assegnò alla di lui sorella Elisa il principato di Piombino dovendo però l'investita e il principe Baciocchi di lei marito promettere di soccorrere all'uopo con tutti i loro mezzi la guarnigione francese dell'Elba.
A cotesti fatti tennero dietro quelli dell'alta Italia, in vigore de’quali la repubblica Cisalpina prese il titolo di regno Italico, e l’Imperatore Napoleone quello di suo re.
Allora la repubblica Ligure fu incorporata all'Impero francese, e quella di Lucca da Napoleone stesso ceduta alla principessa di Piombino ed al principe Felice Baciocchi di lei consorte.
Tali cambiamenti repentini di politica scossero le potenze del nord, sicchè l'Austria e la Russia non misero tempo in mezzo per intimare la guerra (agosto 1805) al novello imperatore de’francesi e re d'Italia.
Uno de’primi effetti contro la fatta dichiarazione di guerra fu la riunione alla Francia del regno d'Etruria, il quale venne poi repartito in tre dipartimenti, dell'Arno, dell'Ombrone e del Mediterraneo, all'ult imo de’quali venne incorporata l'isola dell'Elba (11 novembre 1807) finchè Portoferrajo nel 1811 fu fatto capoluogo di sottoprefettura dipendente dal capo politico del dipartimento residente in Livorno.
In tale occasione la città di Portoferrajo e tutta l'Isola, benchè disastrata per l'arrivo di un'orda di doganieri che gravarono e confiscarono la maggior parte de’generi d'importazione e d'esportazione, ciò nonostante dovette concorrere con gli altri paesi dell'Impero francese nella fornitura di uomini e di cavalli alla grande armata.
Ma cotesta imponente armata essendo stata vinta dal fuoco o dal gelo a Mosca; alla Beresina, a Lipsia e per fino sotto le mura di Parigi, l'Imperatore Napoleone fu costretto a ridurre il suo grande Impero alla piccola isola dell'Elba, erigendo in capitale e residenza del grand'uomo la città di Portoferrajo. Cotesta inaspettata metamorfosi politica, decisa in Fontainebleau nel giorno 11 aprile 1814, obbligò l'imperatore de'Francesi a recarsi nell'isola designata per formarne un principato assoluto da possedere in piena sovranità.
Allora la città di Portoferrajo dallo stato d'incertezza passò ad un tratto al colmo del giubilo, quando nella sera del giorno tre del mese di maggio, anno 1814, vide arrivare l'uomo grande destinato in suo sovrano, giorno in cui sembra realizzarsi il più fausto avvenimento che potesse mai rendere celebre la storia di cotest'isola.
Ma le vicende del nuovo principato e del grand'uomo che aveva scelto l'isola dell'Elba per soggiornarvi finchè fosse vissuto, oltrepassano di poco i dieci mesi, poichè Napoleone nella sera del 26 febbrajo dell'anno 1815 imbarcatosi sopra il suo brich da guerra e seguitato con quattro bastimenti da trasporto con circa mille uomini di truppa, si diresse verso la Francia, dove fu accolto dai soldati e dal popolo con entusiasmo tale che in pochi giorni arrivò trionfante nella gran capitale di Parigi.
Un tale avvenimento che forma la seconda epoca memorabilissima per Portoferrajo, venne impresso con la prima in lettere d'oro sopra la porta maggiore del forte della Stella, presso la quale era la reggia dell'imperatore Napoleone, ora residenza del governatore civile e militare dell'isola, dove si legge la seguente iscrizione : Napoleonis Magni . Galliae . Imp. Iataliae . Reg.
Praesentia . Decorata . Civitas . IV. Non. Maj.
MDCCCXIV . Posuit . IV . Calend. Mart. Die . Redditus .
in . Galliam . MDCCCXV.
Ma la comparsa non meno improvvisa che avventurosa di Napoleone in Francia non oltrepassò i cento giorni, giacchè la giornata di Vaterloo (18 giugno 1815) si tirò dietro la perdita intiera di tutto l'Impero, non che dell'umile principato dell'Elba che Napoleone di mal animo per sua perpetua residenza aveva accettato.
Così Portoferrajo, dopo una varia catastrofe di 11 anni fu assegnato dalle potenze alleate al suo legittimo sovrano il Granduca di Toscana, contuttochè alle sue truppe facesse breve resistenza il comandante lasciato in Portoferrajo da Napoleone. Quindi con motuproprio del 20 settembre 1815 il Gran Duca Ferdinando III inerendo alle massime esternate il suo ordine nel 30 luglio dal comandante delle truppe toscane destinate all'occupazione dell'intiera isola dell'Elba al dominio granducale in virtù dell'Articolo 100 del trattato di Vienna del 9 giugno, annullò qualunque atto derivato dalla convenzione fatta per la consegna di Portoferrajo, mentre quella guarnigione non apparteneva ad alcun governo.
Finalmente con altro motuproprio del 29 novembre 1815 fu tosto organizzato nell'Elba il governo politico, giudiciario e civile.
Per le cure paterne del granduca Leopoldo II felicemente regnante, con motuproprio del dì 22 agosto dell'anno 1840 fu eretto costà un tribunale collegiale di prima istanza, e nel 1841 aperta una sala di asilo infantile, nell'anno istesso che il beneamato principe dopo solenne funzione compartiva ai padroni di bastimenti Elbani nuove bandiere con l'arme dell'Elba avendo a questa associato cinque api d'oro.
Una sola chiesa (Natività di Maria) con titolo di parrocchia arcipretura è in Portoferrajo, la quale comprende tutta la Comunità.
A questa città danno accesso due porte, una appellata di Mare, di fronte la darsena che guarda mezzogiorno, l'altra a ponente è chiamata porta di Terra , perchè comunicante con l'isola mediante una strada scavata nel vivo masso sotto un bastione nella lunghezza di oltre 70 braccia, fuori della quale sopra il così detto Ponticello si cavalca un fosso, mercè cui la città resta isolata. Un cammino di ronda con bastione e cortine riunisce le due fortezze del Falcone e della Stella, fra le quali davanti a un piazzale esiste il palazzo del governatore, stato anche per 11 mesi residenza di Napoleone.
Dentro la città ai piedi del colle bicipite esiste una gran piazza quadrilatera; poco al di sopra è la piazza d'arme, dove trovasi il pretorio e la chiesa arcipretura recentemente restaurata. Nella via che guida da questa piazza al palazzo del governatore esisteva un convento di frati Francescani fondato nel secolo XVI con chiesa annessa, attualmente ridotta a caserma militare. Anche lo spedale contiguo all'oratorio della Misericordia rammenta don Giovanni de'Medici figlio di Cosimo I che lo fondò, ma che attualmente è stato ridotto ad uso di pubbliche scuole, mentre la bella chiesa del Carmine, presso la quale ora è fabbricato lo spadale civile e militare, fu profanata nell'anno 1814 per convertirla in un brutto teatro.
Portoferrajo ha una numerosa guarnigione militare; e qua è riunito il bagno de’galeotti del Granducato situato nella lingua di terra, sulla cui sommità esiste il forte della Linguella. Vi mancano però fontane e buoni pozzi, cui suppliscono varie cisterne.
CENSIMENTO della Popolazione della CITTA’ e COMUNITA’ di PORTOFERRAJO a tre epoche diverse, divisa per famiglie.
ANNO 1745: Impuberi maschi 421; femmine 375; adulti maschi 433; femmine 490; coniugati dei due sessi 1150; ecclesiastici dei due sessi 49; numero delle famiglie 722; totale della popolazione 2959.
ANNO 1833: Impuberi maschi 701; femmine 580; adulti maschi 680; femmine 726; coniugati dei due sessi 1294; ecclesiastici dei due sessi 16; numero delle famiglie 894; totale della popolazione 4008.
ANNO 1840: Impuberi maschi 741; femmine 633; adulti maschi 620, femmine 817; coniugati dei due sessi 1402; ecclesiastici dei due sessi 7; numero delle famiglie 946; totale della popolazione 4235 COMUNITA' DI PORTOFERRAJO. – Il territorio comunitativo di Portoferrajo conserva lo stesso perimetro di quello fissato col trattato di Londra del 1575, oltre l'aumento territoriale datole nel 1579. Esso abbraccia una superficie terrestre di 9769 quadrati agrarj, dei quali 222 spettano a corsi d'acqua e a pubbliche strade.
Nel 1833 vi si trovavano fissi 4008 abitanti a proporzione di quasi 330 abitanti per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
Confina con altre tre Comunità dell'isola; dalla parte di levante a partire dalla spiaggia di Bagnaja , ch'è circa due miglia distante dalla città di Portoferrajo, ha di fronte il territorio della Comunità di Rio, salendo di là il poggio nella direzione di levante-scirocco dove passa del Lecceto a settentrione del diroccato forte del Monte Volterrajo sino a che al termine detto della Crocetta trova la strada comunitativa che dalla Spiaggia de’Magazzini conduce alla marina di Rio.
Oltrepassa cotesta via il territorio di Portoferrajo divergendo da levante-scirocco a ostro passa sopra le sorgenti del fosso Tellate influente in quello della Valle ai Mulini e di là per la cosiddetta Pietra Tramontanina e poi per i Sassi tedeschi arriva sulla cima di Monte Castello, dove sottentra a confine la Comunità di Porto Lungone.
Con questa la nostra di Portoferrajo fronteggia, da primo dirimpetto a levante-scirocco passando per il Pian di Mondino, quindi sopra le fonti del botro della Valle di Quilico, e dirigendosi da scirocco a ostro passa sopra il così detto Borraccio; al di là del quale voltando di nuovo la fronte a scirocco passa per l'Aja rossa dove attraversa la strada che dalla spiaggia di S. Giovanni guida dal seno di Portoferrajo a Porto Lungone. Poco lungi dalla quale via trova il termine di Capitozzola, dove il territorio di Portoferrajo forma un angolo retto camminando da libeccio a maestrale per il colle detto dell'Ajutante finchè arriva sul Monte Orello. Costà piegando verso ponente fino al vicino Colle reciso , e poscia voltando per breve tratto a libeccio quindi a ponente attraversa la strada del Colle alle Vacche per fino a che arriva sul poggio del Mulino a vento . In cotesta sommità riprende la direzione di libeccio, e passando sopra l'antico termine di Barbatoja lascia il territorio comunitativo di Porto Lungone sottentrando quello della Comunità di Marciana. Con quest'ultimo l'altro di Portoferrajo fronteggia da primo dirimpetto a ostro fino al luogo detto i Sugherelli, poscia di fronte a libeccio e finalmente di faccia a ponente correndo per la cresta del poggio di S. Martino sopra la villa di Napoleone. Di là passando dalle più alte sorgenti del fosso delle Tre Acque, taglia la strada rotabile che da Portoferrajo guida a Marciana alta e poco appresso trapassa la via comunitativa della Valle di Lazzaro per poi scendere dal poggio alla sinistra in linea parallela del fosso d'Acquaviva sino al lido del mare che trova quasi due miglia a ponente del capoluogo di questa Comunità.
Tali sono dalla parte di terra i confini territoriali di questa Comuità, mentre quelli lungo la riva del mare partendo dalla foce dell'Acquaviva e dirigendosi da libeccio a levante rasentano il Capobianco sotto il forte S. Ilario e di là lambendo le falde del colle bicipite di Portoferrajo voltando direzione da levante a ostro con il colle stesso per entrare nella rada del Porto che tutto intorno percorrono passando davanti alla torre della Linguella, alla Darsena, alle Saline di S. Rocco e a quelle di S.
Pietro quindi attraversando lo sbocco del fosso delle Tre Acque presso la Punta della rena toccano le Saline di S.
Giovanni, poscia la punta del Cavallo e la Spiaggia de’Magazzini, presso le Grotte; di là dalla quale spiaggia lambiscono le Saline della Prata dove girano da levante a settentrione per arrivare alla Punta della Pina , e quindi alla spiaggia di Bagnaja estremo confine marittimo a levante di Portoferrajo.
Il punto più prominente del territorio comunitativo di Portoferrajo, sembra quello della fortezza semidiruta del Volterrajo che è piantata sopra un risalto a grecale del Monte Castello. Infatti dal Volterrajo l'occhio si spazia sopra un esteso quadro e di là si presenta una delle più magnifiche vedute di quell'orizzonte.
Tre strade rotabili si staccano attualmente dalla spiaggia di Portoferrajo e una dalla stessa città. Questa per il Ponticello, passando attraverso le saline di S. Rocco e il forte Inglese conduce a Marciana, la seconda guida alla Villa di S. Martino, la terza Porto Lungone e la quarta alla marina di Rio.
Rispetto alla struttura fisica del suolo di questa comunità, eccettuando i detritus delle rocce che costituiscono la spiaggia intorno al golfo di Portoferrajo, essa in generale consiste in un terreno stratiforme riferibile per la massima parte al macigno e alla calcarea, fra cui in certi punti si è fatto strada una diga formata di rocce ofiolitiche che nel territorio di Portoferrajo si estende nella direzione di scirocco a grecale passando dal Volterrajo fino alle Grotte presso la spiaggia de’Magazzini; mentre fra la fortezza del Falcone e il Capobianco la spiaggia vedesi coperta di grosse ghiaje bianche o ciottoli levigati dai flutti marini, consistenti in una specie di granito composto più che altro di feldspato, con turmaline nere ramificate a guisa di una roccia dendritica. Al qual granito sembra identico quello della vicina rupe di Capobianco e della punta dell'Enfola ch'è circa mezzo miglio a ponente della foce di Acquaviva .
All'Articolo ISOLA DELL'ELBA (vol. II pag. 589)dissi che le rocce delle quali essa è rivestita, per quanto si trovino a luoghi cristalline, e in altri stratiformi compatte, tutte peraltro pietrose, nondimeno molte di esse che restano alla superficie del suolo vengono dagli agenti meteorici incotte e a poco a poco stritolate e infrante in guisa da ridurle in un terreno sciolto e suscettibile di essere coltivato.
Così lo strato della terra vegetale in generale è sottile, siccome fu opportunamente osservato nell'agosto del 1840 dall'erudito Pietro Thouar, nella relazione di un suo Viaggetto all'Isola dell'Elba inserita nella Guida dell'Educatore (Vol. V e VI). Per mancanza di maggiore coltura, diceva egli, vi si raccoglie poco grano; peraltro vi prosperano i fagiuoli ed altri legumi, i quali soglion esportarsi come primizie nel continente. L'ortaggio è coltivato poco, le pasture sono rare, ma di buonissima qualità; vi abbondano quasi per tutto le varie specie di agrumi. L'ulivo e il gelso crescono per lo più vigorosi, ma vorrebbero essere coltivati con più cura; e in alcuni luoghi il primo inselvatichisce. La vite è lussureggiante, predomina su tutte le altre piante e produce uva grossa e saporita, ma il vino rosso è il più squisito. tanto nel territorio di Portoferrajo come nel restante dell'isola la vite è sostenuta da canne, siccome praticasi in alcuni paesi della vicina Maremma.
Il prodotto del vino e dell'aceto forma la principale risorsa agraria degli Elbani; tuttavia l'agricoltura costà non tien dietro in generale ai perfezionamenti introdotti nelle province più industriose della Toscana. Manca quasi affatto il legname da costruzione e da ardere. Vi rimangono pochi boschi, uno de’quali nella valle delle Tre Acquei compresa nel territorio di questa Comunità.
I Portoferrajesi però ritraggono altre risorse dalla parte del mare, sia nei frequenti arrivi di bastimenti, sia nella pesca giornaliera, sia in quella delle stagioni in cui passano le sardelle, le acciughe ed i tonni; Per la pesca di questi ultimi esiste all'ingresso del golfo di Portoferrajo una tonnara, mentre nell'interno della rada si contano varie saline che fornir possono alle RR. possessioni sino a nove milioni di libbre di sale, i quali si depositano nei magazzini a tal uopo ivi presso edificati.
All'Articolo ISOLA DELL'ELBA dissi come il chimico portoferrajese Giovan Battista Pandolfini-Barberi ottenesse dalle acque madri delle saline della sua patria una quantità di solfato di magnesia, identico al Sal d'Epson o Sale Inglese mediante un'operazione che ebbe principio nell'anno 1829, e che egli continuò nella calda stagione per quattro anni; mercè la quale da un solo corpo di saline furono raccolte circa 4000 libbre di sale purgativo depurato che fu versato in commercio a prezzo discretissimo. Ma cotesto ramo d'industria nazionale essendo stato riconosciuto di poco considerevole profitto, venne interrotto e quindi soppresso.
L'aria di Portoferrajo e di tutto il suo territorio, meno quella della spiaggia intorno alle saline, può dirsi salubre in tutte le stagioni dell'anno. – I venti più incomodi e nocivi sono quelli di libeccio e di settentrione, l'ultimo de’quali è a traversia del golfo.
Sino dal primo gennajo dell'anno corrente 1842 il territorio dell'isola dell'Elba, dopo essere stato parzialmente misurato e stimato, dagl'ingegneri dell'uffizio del catasto, venne accatastato insieme a quello delle altre Comunità del territorio granducale di terraferma.
Dalla quale operazione risultò che la totalità dell'isola dell'Elba abbraccia una superficie territoriale di 65109,21 quadrati agrarj, dei quali 29757,13 spettano alla Comunità di Marciana; 15200 quadrati alla Comunità di Porto Lungone; 10382,68 alla Comunità di Rio; e 9769,40 alla Comunità di Portoferrajo. Che se dalla suddetta superficie si detraggono 1464 quadrati percorsi d'acqua e strade, restano di suolo soggetto alla rendita imponibile 63645,21 quadrati.
Attualmente molti possidenti terrieri, atteso il deprezzamento del vino, si sono rivolti alla coltura degli olivi, non solo nel territorio di Portoferrajo, ma in tutto il restante dell'isola, dove sono state fatte molte piantagioni in specie con gli ovoli. È pure in qualche aumento la propagazione dei gelsi, per dare maggiore estensione all'educazione de'filugelli, che diverrebbe sostanziale risorsa di un favorevolissimo successo in cotest'isola.
Del resto i Portoferrajesi non hanno risorse di gran rilievo se si eccettuino quelle testè indicate. – La Comunità mantiene due medici e due chirurghi, tre maestri di scuola e una istitutrice di piccola e nuova sala infantile. – Questa città non conta altri stabilimenti d'istruzione, nè biblioteche pubbliche, nè monumenti d'arti.
Risiedono in Portoferrajo oltre il governatore civile e militare, ch'è pure presidente di sanità, un comandante di piazza, un cancelliere comunitativo, un ingegnere di Circondario, un ricevitore dell'ufizio del Registro ed (ERRATA: un conservatore dell'Ipoteche) un conservatore dell'Ipoteche, ed un uffizio principale delle RR. Rendite.
Vi fu inoltre stabilito nel 1840 un tribunale di Prima istanza, per il di cui appello si ricorre alla corte regia di Firenze.
NB. Per la popolazione vedasi il censimento di sopra riportato .
La città è coronata da libeccio a levante da poggi che inoltransi a semicerchio sul mare, dei quali fa parte un monticello che biforcato cuopre le sue spalle avanzandosi da ponente a levante per chiudere con una lingua di terra il porto più bello che per profondità e sicurezza dopo quello di Malta abbia fatto la natura nelle isole del Mediterraneo.
Avvegnachè all'ingresso del suo golfo lo scandaglio pesca circa 120 piedi e dentro il porto non meno di 23 piedi di profondità.
Trovasi fra il grado 27° 59' 4" di longitudine ed il grado 42° 49' di latitudine, circa 16 miglia a ponente libeccio di Piombino, 20 a ostro libeccio di Populonia, quasi 50 miglia a ostro di Livorno, tutti tre in Terraferma, 7 miglia a levante della marina di Marciana, 5 a maestro di Porto Longone, e 8 a ponente della marina di Rio, tutti tre capiluoghi di Comunità nell'Elba.
All'Articolo ISOLA DELL'ELBA discorrendo della sua storia politica e civile ricusai di abbracciare l'opinione troppo favolosa di coloro che supposero cotesto paese fondato ed abitato dagli Argonauti che viaggiarono fin qua; e nettampoco partecipai del parere di quelli che attribuirono ai Focesi venuti nella Corsica il pensiero di voler fondare una colonia costà nel golfo di Portoferrajo.
Ciò che mi sembrò meno dubbio si era che i Romani tenessero nel Ferrajo un deposito o stabilimento per ricevere la vena del ferro che l'isola dell'Elba, da lunga età, fornisce mediante facili e copiose escavazioni nelle sue inesauribili miniere di Rio. In quanto poi all'antico uso di trasportare la vena dall'Elba a Populonia, lo diede a conoscere prima di tutti l'autore dell'opera De Mirabilibus consultationibus e lo confermarono Diodoro Siculo, Virgilio e Strabone. Anco ai tempi di quest'ultimo storico- geografo la vena del ferro per troppa scarsità di combustibile continuava a trasportarsi dall'isola dell'Elba alla Terraferma per fonderla e lavorarla, non però a Follonica come si pratica da molti secoli a questa parte, ma a Populonia, dove Strabone vide i forni. Quindi è che molto innanzi ancora di quell'età il ferro dell'isola anzidetta era designato col nome della sua capitale, cioè, di Populonia. E siccome il porto del Ferrajo era il più comodo e il più vicino a questa città, fia facile credere che a cagione del trasporto della vena del ferro di tutta l'isola nel porto più vicino a Populonia, cotesto luogo acquistasse il nome espressivo di Ferrajo o Ferraja che per molti secoli successivi ha conservato.
Eretta in seguito in Populonia una sede vescovile, la stessa città continuò a mantenere la sua giurisdizione sopra tutta l'isola dell'Elba, mentre senza escire dalla sua Diocesi, il vescovo S. Cerbone nel sesto secolo dell'Era Volgare con il suo clero costà si riparò dalla distruttiva invasione del duca longobardo Gumaritt. – Vedere ISOLA DELL'ELBA.
Inoltre all'articolo medesimo aggiunsi che l'isola dell'Elba, e conseguentemente il Ferrajo, durante il dominio longobardo, dovè dipendere dai duchi longobardi della marca marittima Toscana. E comecchè l'isola stessa più tardi, a parere di certi scrittori, fosse stata promessa dall'Imperatore Carlo Magno al Pontefice Adriano I e per esso alla Chiesa romana insieme con Populonia, Roselle, Sovana, ecc. tuttavia le vicende politiche del Ferrajo e di tutta L'Elba non solamente s'ignorano durante il regno de’Carlovingi, ma ancora de’sovrani italiani e tedeschi che gli succedettero fino almeno alle spedizioni marittime che sulle isole del mare Mediterraneo furono fatte dai Pisani.
Infatti molti documenti degli archivj di Pisa danno a conoscere che quel Comune fino dal secolo XI dominava su tutta l'isola dell'Elba, nonchè sulle altre sparse nell’Arcipelago toscano, e che solo qualche anno dopo la fatale giornata della Meloria (anno 1284) i Genovesi vittoriosi di quella tolsero ai vinti anche l'isola dell'Elba.
Innanzi quell'epoca peraltro gli abitanti del Ferrajo e di tutti gli altri comuni dell'isola in discorso pagavano un tributo alla mensa arcivescovile di Pisa, quando già vi risiedeva uno dei capitani o giusdicenti della Repubblica pisana, mentre qualche tempo innanzi sembra che vi esercitasse giurisdizione il capitano di Piombino. – Vedere PIOMBINO.
A dimostrare però che sul declinare del secolo XIII l'isola dell'Elba veniva retta nel politico da un capitano sottoposto al governo pisano, mi giovano due documenti dell'archivio di quell'arcivescovato rogati in Pisa nella piazza di S. Ambrogio davanti il palazzo del potestà. Il primo di essi del 12 maggio 1290 (stile pisano) è un ordine dato al giudice de’maleficj per Gualtieri di Brunforte potestà di Pisa, che aveva fatto precetto ai consoli, consiglieri e camarlenghi dei Comuni di Ferrajo, di Capoliveri, di marciana, di Pomonte, di Grassola e Rio, di Campo, di Lotrano, e ad altri membri rappresentanti i Comui di quell'Isola, i quali si erano adunati in consiglio nella casa del capitano dell'Elba posta nel castel di Capoliveri, dichiarando il messo al giudice di aver precettato i detti Comuni nel 4 giugno dello stesso anno 1290, alle case di abitazione de’respettivi consoli, colla minaccia che, qualora entro 20 giorni non avessero pagato o fatto pagare al venerabile Arcivescovo Ruggiero per la sua mensa arcivescovile pisana i falconi che dovevano dare annualmente e dei quali avevano sospeso da dieci anni il dovuto invio, cadevano nella penale di lire mille per ciascun Comune.
Coll'altro documento del 27 febbrajo del 1291 dato in Pisa nella curia de'maleficj posta nella piazza del Comune davanti la torre della famiglia del Nicchio, il messo della stessa curia espose come egli era stato incaricato di recarsi all'isola dell'Elba per intimare la contumacia ai Comuni di quel capitanato rispetto al tributo annuo dei falconi da portare all'Arcivescovo Ruggero in Pisa; ma che il nunzio, nè altri per lui potevano andare e tornare da detta isola senza esporsi ad un grande pericolo a cagione delle guerre. In vista di ciò il giudice assessore confermò a carico degli Elbani la sentenza e condanna del 12 maggio 1290 (ossia 1289 stile comune).
Dai due documenti testè citati non solo apparisce il tributo annuo dovuto allora dagli Elbani ala mensa arcivescovile di Pisa, ma che nel febbrajo dell'anno 1291 l'isola dell'Elba era assediata, sebbene non ancora dai Genovesi, com'altri scrissero, conquistata. – (ARCHIVIO ARCIVESCOVILE PISANO e G. NINCI, Storia dell'Isola dell'Elba.
Fra gli autori che riportarono all'anno 1290 i fatti d'arme relativa alla conquista fatta dai Genovesi dell'isola dell'Elba, il Caffaro ne’suoi Annali fu quello che più a lungo ne parlò, avvisando eziandio, che gli abitanti di uno di quei castelli sostennero molti mesi d'assedio, e che solo furono obbligati a rendersi dopo che quelle genti ebbero conquistata l'isola intiera.
Però gli arcivescovi di Pisa a quell'età non solo ritraevano tributi dagli Elbani, ma esercitavano una tal quale giurisdizione anco sulla Pianosa, cime si disse a quell'articoli, e sull'isolotto di Cerboli posto tra l'Elba e Piombino. In quanto spetta a quest'ultimo la cosa è chiarita da un istrumento dell'archivio testè citato, rogato in Pisa nell'arcivescovato nel giorno 19 marzo del 1282 per mano di Bindo notaro di quella curia; mercè l'Arcivescovo Ruggero in nome della sua mensa, affittò per 5 anni tutti i redditi e proventi delle stadere delle porte o ripe dell'isola di Cerboli (de Cerbis) compresi i livelli e pensioni che quella sua mensa ritraeva da Piombino e che per l'addietro rendevano annualmente lire 42 e soldi dieci di denari pisani, oltre il tributo di mille coltelli di palme . Il qual fitto fu rinnovato alle stesse condizioni con l'obbligo di recare a Piombino al palazzo dell'arcivescovo l'annuo censo suddetto, e i falconi che si fossero presi nell'isola stessa di Cerboli consegnarli tutti in Pisa nell'arcivescovato. – (ARCHIVIO ARCIVESCOVILE PISANO) Dopo conquistata l'Elba i Genovesi dominarono nel Ferrajo e in tutti i paesi e Comuni dell'isola fino a che i reggitori di quel governo intorno al 1309, rivenderono ai Pisani l'isola stessa a condizioni molto onerose. – Vedere ISOLA DELL'ELBA.
Da quell'epoca in poi i popoli del Ferrajo con tutti gli altri dell'Elba ubbidirono costantemente ai capitani e agli anziani di Pisa. Ma nel febbrajo del 1399 il loro capitano generale, Gherardo Appiano, vendè la patria col suo territorio al duca di Milano, riserbando per sé e per la sua discendenza il governo di Piombino, di Scarlino, Suvereto, Buriano e loro distretti, oltre le isole dell'Elba, di Pianosa e Monte Cristo. Sottoposti a cotesti dinasti gli Elbani tutti si mantennero finché per annuenza dell'Imperatore Carlo V non fu distaccata dalla signoria degli Appiani quella parte che d'allora in poi costituì la Comunità di Portoferrajo, che comp rata aveva a caro prezzo Cosimo I duca di Firenze per fortificare e presidiare cotesta importantissima posizione marittima, a condizione peraltro di restituirla dopo l'intiero rimborso delle spese.
Appena concluso il trattato, Cosimo nell'aprile del 1548 inviò al Ferrajo mille fanti con 300 guastatori sotto il comando di Otto da Montauto; e valendosi della maestria di un distinto architetto, Giovan Battista Camerini da S.
Marino, fece ben tosto por mano alle imponenti fortificazioni, che l’italiano Vauban, o piuttosto un allievo dell’architetto sanese Francesco di Giorgio, innalzò sul bicipite colle del Ferrajo e sulla lingua di terra che costituisce il suo porto, gettando nel tempo stesso i fondamenti della sottoposta città, che dall’autore ebbe e per qualche tempo portò il nome di Cosmopoli. Sedati i reclami fatti dai Genovesi e dalla vedova signora di Piombino alla corte di Carlo V, Cosimo de’Medici si recò egli stesso da Livorno al Ferrajo per visitare le nuove costruzioni e per incoraggiare con la sua presenza cotanta impresa.
Nel giugno del 1548, previo lo sborso di 16000 scudi d’oro, Cosimo I ottenne dalla corona di Spagna anco il possesso del principato di Piombino con il restante dell’isola d’Elba. Sennonché i capitani del duca di Firenze dovettero riconsegnare agl’incaricati di Carlo V lo stato di Piombino con l’Isola d’Elba, a riserva di Cosmopoli e del suo distretto.
Ridotte pressoché a termine le fortificazioni del Ferrajo, il Camerini diede il nome di Falcone alla più imponente fortezza, forse dalla maggior eminenza della collina bicipite sulla quale risiede, e chiamò Stella l’altra più a levante, per la forma de’raggi che contornano le sue mura, mentre la terza innalzata a guisa di torre ottangolare, sull’estrema lingua di terra all’imboccatura della darsena, fu appellata la Linguella. In memoria di coteste opere militari vennero apposte tre iscrizioni; una delle quali del 1548 sulla porta di mare, e due altre esistenti sull’ingresso delle fortezze Stella e Falcone. In quella sulla porta di mare si legge: Templa, Moenia, Domus, Arces, Portam, Cosmus Florentiae Dux II a Fundamentis Erexit. Ann.
MDXLVIII.
Sebbene nel 1557 il re di Spagna Filippo II figlio di Carlo V, cui restarono i RR. Presidj toscani, confermasse al duca Cosimo I la porzione dell’isola dell’Elba assegnata al distretto di Portoferrajo, contuttociò la demarcazione de’suoi confini non venne fissata se non dopo il trattato di Londra del 1575, fra S. M. Cattolica, il Granduca di Toscana e Giacomo VI signore di Piombino. Mediante il qual trattato fu anche rinnovato per 45 anni l’affitto della miniera di ferro di Rio già stata concessa dai signori di Piombino a Cosimo I.
Ma nel 1619, ultimo anno del fitto di quella vena, il viceré di Napoli fece sequestrare il minerale e la miniera di Rio ch’era stata rinnovata in appalto al Granduca Cosimo II, sicché questi per evitare il danno che gli cagionava il sequestro, fece pagare a Jacopo Franchi consigliere e visitatore regio 2800 scudi d’oro, con animo di rivalersene contro donna Isabella di Alessandro Appiani, moglie di Giorgio Mendozza e signora di Piombino.
La prima volta che fu tentato di assalire le fortificazioni del Ferrajo accadde nell’anno 1554, quando una flotta gallo-turca sbarcando li 7 agosto nell’isola dell’Elba, recò i maggiori danni possibili ai castelli e abitanti di Capoliveri, di Marciana, ecc. E ciò nel tempo stesso che arrivavano da Siena alla marina per imbarcarvi 2500 fanti di truppa francese, mentre la numerosa flotta gallo-turca intorno al Ferrajo voleva far le sue vendette contro il duca di Firenze. Ma Cosimo che prevedeva e riparava a tutto, aveva mandato al suo Cosmopoli il capitano Lucantonio Cuppano, e con 1200 soldati Chiappino Vitelli a Piombino, donde il suo signore con 4 galere del duca, alle quali comandava, imbarcando munizioni, vettovaglie e un 300 fanti, seppe con destrezza penetrare nel porto del Ferrajo , sventando così tutti i progetti del nemico, che alla fine si trovò obbligato ad allontanarsi di là.
La partenza dell’armata gallo-turca dall’isola dell’Elba e dalle coste toscane impegnò Cosimo de’Medici a ordinare altre fortificazioni a sicurezza maggiore di Portoferrajo e del littorale piombinese. Quanto fossero saggi quei provvedimenti si vide col fatto nell’estate del 1558, quando ricomparve un’altra flotta turca davanti all’isola medesima, i di cui abitanti, abbandonando in fretta i loro castelli, si ritirarono nella piazza del Ferrajo , ridotta allora in stato di difesa tale da render vano qualunque tentativo ostile.
Dopo la ritirata de’Turchi seguitarono nonostante i Francesi dalla Corsica a tenere in qualche allarme il duca di Firenze fino alla pace generale del 3 aprile 1559, per la quale il re di Francia rilasciò quanto fino allora con le sue armi nello stato e maremma sanese aveva invaso.
In tal guisa Cosimo rimasto pacifico signore di Siena e di Portoferrajo, poté seriamente occuparsi della forma di governo anche di cotesta importante porzione dell’isola dell’Elba, con la mira di avvantaggiare e accrescere la popolazione della sua Cosmopoli.
A tal uopo fu pubblicato, in data del 14 settembre 1559, un bando con il quale si prometteva a chiunque si fosse recato ad abitare familiarmente a Portoferrajo libera franchigia di persone e di beni non ostante qualsiasi pregiudizio altrove contratto, eccetto che di condannagioni in pena capitale, o di galera; dichiarando costoro a determinato tempo esenti da qualunque gravezza ordinaria e straordinaria, eziandio rispetto ai beni che possedessero nel dominio toscano di terraferma; ed esentando da ogni dazio e gabella le mercanzie tanto all’entrare quanto all’escire da quel porto. Inoltre fu donata una quantità di suolo a colore che fabbricavano costà qualche abitazione, dichiarando immuni tutti i bastimenti mercantili che costruivansi in Portoferrajo, ed esentandoli da tasse e altre gravezze né porti e scali del dominio granducale.
Tante belle promesse dovettero produrre una vistosa emigrazione fagli altri paesi specialmente dell'isola dell'Elba sottoposti al principe di Piombino siccome lo dimostra il lungo carteggio tenuto dopo quel bando tra la corte di Piombino e la Pratica secreta concernente la proibizione fatta dall'Appiani agli uomini di Rio e di Grassula di trasferirsi ad abitare in Portoferrajo senza espressa licenza del loro signore. – (ARCHIVIO DELLE RIFORMAGIONI DI FIRENZE) Era di pochi mesi morto il granduca Cosimo, quando nel gennajo del 1575 dai geografi incaricati dal granduca Francesco I e da Jacopo VI principe di Piombino furono posti i termini intorno al distretto di Portoferrajo rilasciato a Cosimo I ed ai suoi successori a tenore del tattato del 29 maggio 1557, siccome apparisce dalla convenzione del gennajo 1575 (stile comune), nella quale si diceva quanto appresso : "Conciossiachè fino dal mese di novembre 1573 per vari accidenti non furono posti i termini di confine delle due miglia intorno a Portoferrajo intorno ai già disegnati e chiariti posti di Bagaia, Strada di Rio, Monte Castello, Belverde, Feliciajo, Monte Orello, S.
Lucia, Ceppetta ed Acquaviva; che perciò i grancuca di Toscana Francesco de’medici e Jacopo VI signor di Piombino avendo commesso ai loro incaricati nominati la terminazione delle anzidette due miglia, in quell'atto stabilirono doversi seguire a seconda del trattato ecc." Cotesta demarcazione ebbe però ben presto un aumento di suolo a favore del Granduca e della Comunità di Portoferrajo, quando nel 1579, d'accordo con le parti il termine di S. Lucia fu portato alla Barbatoja sulla cima del poggio al di sopra della villa di S. Martino; ciò che fece acquistare da quella parte un'estensione di circa braccia 3400, cioè di un miglio e un quinto di territorio a favore di questa Comunità.
Poco dopo lo stesso Francesco I onorò di una sua visita i Portoferrajesi e diede ordini opportuni per assicurare da qualunque tentativo de’nemici quegli abitanti, fra i quali posteriormente lo stesso Granduca due altre volte ritornò.
Durante poi il dominio granducale di Ferdinando I un caso impensato sbigottì i Portoferrajesi, allorchè nel maggio del 1603 diede fondo nel golfo di Lungone una squadra ispano-napoletana con truppe da sbarco, guastatori e materiali necessarj alla fondazione e difesa di una nuova piazza, che Filippo III re di Spagna aveva deliberato di fondare nell'isola nella parte spettante al principe di Piombino. – Vedere PORTO LUNGONE.
Continuavano nel medesimo stato di agitazione gli affari politici dello stato piombinese di terraferma e dell'isola predetta, quando il giovane granduca Ferdinando II nel 1637 volle solennizzare il suo matrimonio con la principessa Vittoria di Urbino innalzando all'onore la città di Portoferrajo, dove poscia nel 1646 accrebbe le fortificazioni e meglio anche la provvide allorchè i Pontefice Urbano VIII, essendo in guerra con la Toscana per cagione della Chiana stava in procinto di spedire una flotta con truppe da sbarco contro Livorno e Portoferrajo.
L'anno 1664 terminava l'appalto della vena di Rio che Cosimo I e Francesco I col trattato di Londra del gennajo 1575 ottenne ognun di poro per 45 anni; dopo dei quali Ferdinando II per un egual periodo lo rinnovò con Niccolò Ludovisi principe di Piombino; dondechè nel detto anno 1664 fu stipulato un quarto trattato di appalto con il principe Gaetano Buoncompagni-Ludovisi, continuazione dello stesso fitto, appalto che i principi di Piombino confermarono alla corona granducale fino a che l'isola dell'Elba soggiacque al dominio francese.
Nei primi anni del governo di Cosimo III essendo si suscitati non pochi torbidi di guerra fra la Francia e la Spagna, quel Granduca adottò una neutralità armata; ed abbenchè dalla parte della Spagna fossero tentati tutti i mezzi per ridurre Cosimo III a unirsi a quella, egli stette fermo nella sua politica al segno che minacciato nel 1683 di togliergli Portoferrajo, inviò costà il proprio figlio Ferdinando principe ereditario con ordine di visitare tutte le fortificazioni della piazza e di farle arriparare dove abbisognassero onde porre la città in stato da non temere alcuna sorpresa. Finalmente 17 anni dopo il Granduca istesso, nel tempo che veleggiava per Roma, approdando a Portoferrajo volle visitare quelle fortificazioni; e sembrandogli che dalla parte di terra in caso d’assalto il nemico potesse postarsi vantaggiosamente sopra di un’alta collina vicino alla piazza, ordinò che ivi sopra si erigesse un fortilizio cui fu dato il nome di S. Giovanni Battista. Ma sotto il Granduca Giovanni Gastone suo successore, all’occasione della guerra che si accese fra la Francia e l’Austria per la successione in Spagna, temendo che il forte di S. Giovanni Battista potesse facilmente cadere in mano agli Spaguoli padroni di Lungone, ne ordinò la demolizione che fu tosto eseguita nel 1728.
Finalmente nel 1731 lo stesso Gran Duca Giovanni Gastone avendo acceduto con poche modificazioni al trattato di Londra del 2 agosto 1718, permise che la piazza di Portoferrajo venisse presidiata per metà da truppa toscane e per l’altra metà dalle spagnuole, le quali ultime furono poi rimpiazzate nel 1735 da un presidio austriaco. Due anni dopo essendo mancato alla Toscana colla vita di Giovanni Gastone l’ultimo Granduca di casa Medici, a tenore del trattato di Vienna del 19 novembre 1735, e del diploma imperiale di Carlo VI, firmato li 24 gennajo 1737, fu assunto al trono granducale della Toscana Francesco duca di Lorena e principe di Bar, cui la guarnigione e impiegati di Portoferrajo prestarono bentosto giuramento di fedeltà.
Fra le molte disposizioni ordinate dal nuovo Granduca di Toscana Francesco II, una fu quella di assicurare Portoferrajo con nuove fortificazioni, alle quali fece por mano nel maggio del 1738. In memoria di ciò sulla porta di terra, riedificata d’ordine di quel sovrano, leggesi la seguente iscrizione: AD URBIS TUTAMEN, ET DECUS RESTAURATUM, AMPLIFICATUM, REGNANTE FRANCISCO II. M. E. D. ANNO MDCCXXXXII. – Anche nel 1746 restò compito un bastione innalzato dai fondamenti di fianco alla torre della Linguella dove attualmente è il Bagno.
Sotto lo stesso sovrano furono scavate sotto la rada di Portoferrajo le saline alla trapanese di S. rocco e dell’Annunziata; cioè con le fosse lastricate di pietre, per cui si chiamarono da Trapani alcuni operai esercitati in simili lavorazioni.
Nell’esaltamento al trono imperiale del Granduca Francesco II, e I di questo nome come Imperatore, per quanto la Toscana nel 1746 si trovasse liberata dalla pirateria de’Barbareschi, coi quali lo stesso Imperatore aveva concluso un trattato, nulladimeno non mancò quel Granduca di mantenere delle forze in mare; destinando nel 1751 Portoferrajo per stazione delle flottiglie del suo Granducato.
Morto il granduca Francesco II, la Toscana venne assegnata al suo secondogenito Pietro Leopoldo. Questi e l’augusta consorte Maria Luisa Infanta di Spagna nel 1769 bearono della loro reale presenza i Portoferrajesi, a favore de’quali con motuproprio del 1787 furono poi diminuiti i diritti di ancoraggio pei bastimenti esteri, mentre per i toscani, quelli di Porto Lungone e dello stato di Piombino che posavano l’ancore in Portoferrajo, furono esentati da ogni dazio.
Inoltre quel benefico sovrano fece erigere sopra l’estremità orientale del forte Stella, sull’ingresso del golfo o rada di Portoferrajo, un fanal di second’ordine per mostrare di notte la via del porto ai legni che veleggiano per cotesti mari.
Passando nell’anno 1791 Leopoldo I dal trono granducale a quello dell’Impero, fu acclamato Granduca Ferdinando III, suo secondogenito in un tempo peraltro fatto calamitoso dalla furibonda rivoluzione popolare della Francia. In conseguenza di che nel primo anno del governo di Ferdinando III fuggirono da Tolone emigrando sopra navi inglesi a Portoferrajo da tre a quattromila realisti per non cader vittime de’repubblicani alla caduta in poter loro di quella città antirivoluzionaria.
A nuove e più decisive conseguenze trovossi esposto Portoferrajo nell’estate del 1795, dopochè il generale Bonaparte aveva fatto occupare improvvisamente dalle truppe francesi il porto e la piazza di Livorno a pregiudizio degli Inglesi. I quali dal canto loro, col pretesto che accader potesse un caso simile a Portoferrajo, prevennero l’intenzione dei Francesi, imbarcando in Corsica su navi inglesi 2000 uomini di loro nazione, i quali si diressero a Portoferrajo, dove tosto entrarono previa la condizione di conservare il governo granducale.
Frattanto suscitatasi in Corsica una rivolta contro gli Inglesi, che la occupavano, dovette i viceré di questa nazione abbandonare l’isola e dirigersi con tutti i suoi a Portoferrajo. L’esuberante numero di persone che in tale occasione si accumulò nella piccola città di Portoferrajo, determinò i suoi comandanti a dividerle in diversi punti dell’isola lasciando guarnigioni alle marine di Marciana, di Campo, di Acona e di Rio, sotto pretesto di difendere quel litorale da un’invasione ostile minacciata dalla flotta gallo-ispana. Fu allora che gl’Inglesi posero in un maggior stato di difesa le fortificazioni di Portoferrajo, innalzando una batteria sul promontorio della Falconaja, mentre a due altre fu dato incominciamento sulla cima di monte d’Orzo, e sulle rovine del forte di S. Giovanni Battista, denominato tuttora il Forte inglese.
Mentre che i Granduca di Toscana soffriva di mal animo che i Francesi la facessero da padroni in casa sua e che maltrattassero in Livorno i proprj sudditi e i neutrali, sentiva un’egual pena per i Portoferrajesi dominati ad arbitrio dagl’Inglesi, non ostante la dichiarata neutralità.
Frattanto le rimostranze di Firenze presso il gabinetto di Londra e il Direttorio di Parigi riescirono ad ottenere il loro intento. Avvegnaché fra le due potenze fu convenuto (aprile 1797) che le forze inglesi si sarebbero imbarcate, e partirebbero da Portoferrajo il giorno istesso che fosse eseguita l’evacuazione de’Francesi da Livorno; e in tal modo gli abitanti de’due porti più segnalati della Toscana tornarono tranquilli sotto il libero governo del loro legittimo sovrano.
Ma se il trattato di Campoformio sospese, peraltro non dileguò la tempesta che dai Francesi dirigevasi sopra la Toscana. Non era appena entrato l’anno 1798 che i reggitori di quella repubblica nel tempo medesimo che prendevano tutte le misure per abbattere i governi monarchici, facevano dire al Granduca Ferdinando III che bisognava decidersi o per un’alleanza operosa a favore della Francia, o per un’ostilità manifesta. L’occupazione di Livorno eseguita dalle truppe napoletane sul principio del 1799 fornì il desiderato pretesto per far entrare ostilmente le truppe francesi in Toscana, e invadere tutto il Granducato di terraferma.
Né molto tempo Portoferrajo restò illeso dall’invasione, tostochè altre genti della gran Nazione sul principio di aprile del 1799 vennero a imposses sarsi di questa piazza; se non chè il presidio napoletano di Porto Lungone, unitamente agl’isolani ridussero in pochi mesi i Francesi a tali strettezze da dovere a forma della capitolazione del 17 luglio, anno 1799, riconsegnare al governatore della fortezza di Lungone e ad un capitano del Granduca Ferdinando III la piazza di Portoferrajo.
In conseguenza di ciò i corsari francesi misero in stato di blocco cotesta piazza, per cui restarono impedite tutte le comunicazioni e troncato ogni commercio fino a che due sciabecchi armati in Livorno, purgati i mari dell’isola dell’Elba, liberarono Portoferrajo.
Ma la gran giornata di Marengo (14 giugno 1800) riponendo i destini della Toscana e dell’alta Italia in mano del primo Console Napoleone, si vide ben presto la più bella porzione della penisola occupata di nuovo dai Francesi, e poco appresso, mediante il trattato di Luneville (9 febbrajo 1801) la Toscana tutta, compresa l’isola dell’Elba, destinata all’Infante Lodovico di Borbone duca di Parma col titolo di re d’Etruria, promettendo di rindennizzare nella Germania il Granduca Ferdinando III de’suoi stati d’Italia.
In conseguenza i Francesi pretesero di occupare quella parte dell’isola dell’Elba che dal governo granducale dipendeva; ma la risposta che il comandante di Portoferrajo pel Granduca Ferdinando III diede alla lettera (9 marzo 1801) della cessione alla Francia della piazza di Lungone con tutta quella parte dell’isola che spettava al principe di Piombino, aggiuntavi la promessa di rinvestire quest’ultimo nel regno di Napoli.
Ottenutasi da Francesi la piazza di Lungone col resto dell’Elba piombinese, credettero essi di acquistare senza opposizione anche Portoferrajo. Ma l’effetto non corrispose ai loro desiderj poiché gli abitanti di questa città si riunirono alla guarnigione, il cui governatore Carlo de Fixon, imperterrito a qualunque minaccia, seppe risponder con le parole e coi fatti, che egli e il suo presidio avrebbero difeso sino agli estremi la piazza da qualunque aggressione senza un ordine in scritto del suo sovrano.
Fu inutile pertanto che settemila uomini francesi, spalleggiati da due batterie e da una squadra di nove vascelli, nel maggio 1801 vomitassero un diluvio di palle, di granate e di bombe contro Portoferrajo. Nella quale emergenza la popolazione gareggiando col presidio in coraggio e valore, sebbene non pratica del mestiere della guerra, seppe resistere e rendere vani tutti gli sforzi di tanta gente agguerrita, mentre i marinari elbani dal canto loro predavano ai nemici varj legni mercantili con carichi di vettovaglie e di Munizioni.
La fermezza e insistenza del governatore di Portoferrajo nel respingere la forza francese dalla piazza non cedè se non dopo l’annunzio ripetuto della pace fatta fra la Francia e l’Inghilterra mediante il trattato d’Amiens. In forza della quale l’Infante di Spagna Lodovico di Borbone nuovo re d’Etruria rinunziava alla Repubblica francese quella parte dell’Elba che i Granduchi di Toscana ricevendo in compenso i presidj di Orbetello, S. Stefano e Port’Ercole. Ma il governatore di Portoferrajo piuttosto che consegnare, previa onorevole capitolazione, la piazza ai Francesi, preferì d’imbarcarsi col presidio e con tutti i rifugiati e di veleggiare a Livorno (11 giugno 1802) dopo aver consegnato le fortificazioni della città alle milizie urbane e a quel civico magistrato. Questi però, poco dopo, invitarono il comandante le forze francesi nell’isola dell’Elba residente a Lungone a venire a Portoferrajo per presidiarlo con le sue genti e prenderne in comando. Dopo eseguito ciò, nel 14 luglio successivo i sindaci delle terre, castelli e villaggi dell’Elba si recarono a Portoferrajo a prestare giuramento di sudditanza e fedeltà al governo della Repubblica francese; al di cui territorio tutta l’isola venne formalmente riunita per un senato-consulto- organico del 10 fruttidoro anno X (27 agosto 1802).
In seguito nel 12 gennajo 1803 fu emanato il decreto di organizzazione governativa dell’Elba e delle isole annessavi: cioè della Capraja, Pianosa, Palmajola e Monte Cristo, per governare le quali fu nominato un commissario generale ed un consiglio amministrativo, residenti in Portoferrajo. Allora l’amministrazione economica e civile restò ripartita in 7 Comunità; vale a dire Portoferrajo, Portolungone, Marcina, Capo, Capoliveri, Rio e Capraja, cui furono destinati 4 giudici di pace e dichiarati i porti e territori dell'isola dell'Elba e delle altre annesse esenti e immuni dai diritti doganali.
Finalmente le 7 parrocchie, cui eransi ridotte quelle dell'Isola d'Elba, vennero staccate dalla diocesi di Massa Marittima, e date alla diocesi di Ajaccio in Corsica, ecc.
Frattanto la dichiarazione di una nuova guerra fra l'Inghilterra e la Francia fornì motivo al primo Console di farsi dichiarare e incoronare Imperatore de’Francesi; ed egli pochi,esi dopo (18 maggio 1805) assegnò alla di lui sorella Elisa il principato di Piombino dovendo però l'investita e il principe Baciocchi di lei marito promettere di soccorrere all'uopo con tutti i loro mezzi la guarnigione francese dell'Elba.
A cotesti fatti tennero dietro quelli dell'alta Italia, in vigore de’quali la repubblica Cisalpina prese il titolo di regno Italico, e l’Imperatore Napoleone quello di suo re.
Allora la repubblica Ligure fu incorporata all'Impero francese, e quella di Lucca da Napoleone stesso ceduta alla principessa di Piombino ed al principe Felice Baciocchi di lei consorte.
Tali cambiamenti repentini di politica scossero le potenze del nord, sicchè l'Austria e la Russia non misero tempo in mezzo per intimare la guerra (agosto 1805) al novello imperatore de’francesi e re d'Italia.
Uno de’primi effetti contro la fatta dichiarazione di guerra fu la riunione alla Francia del regno d'Etruria, il quale venne poi repartito in tre dipartimenti, dell'Arno, dell'Ombrone e del Mediterraneo, all'ult imo de’quali venne incorporata l'isola dell'Elba (11 novembre 1807) finchè Portoferrajo nel 1811 fu fatto capoluogo di sottoprefettura dipendente dal capo politico del dipartimento residente in Livorno.
In tale occasione la città di Portoferrajo e tutta l'Isola, benchè disastrata per l'arrivo di un'orda di doganieri che gravarono e confiscarono la maggior parte de’generi d'importazione e d'esportazione, ciò nonostante dovette concorrere con gli altri paesi dell'Impero francese nella fornitura di uomini e di cavalli alla grande armata.
Ma cotesta imponente armata essendo stata vinta dal fuoco o dal gelo a Mosca; alla Beresina, a Lipsia e per fino sotto le mura di Parigi, l'Imperatore Napoleone fu costretto a ridurre il suo grande Impero alla piccola isola dell'Elba, erigendo in capitale e residenza del grand'uomo la città di Portoferrajo. Cotesta inaspettata metamorfosi politica, decisa in Fontainebleau nel giorno 11 aprile 1814, obbligò l'imperatore de'Francesi a recarsi nell'isola designata per formarne un principato assoluto da possedere in piena sovranità.
Allora la città di Portoferrajo dallo stato d'incertezza passò ad un tratto al colmo del giubilo, quando nella sera del giorno tre del mese di maggio, anno 1814, vide arrivare l'uomo grande destinato in suo sovrano, giorno in cui sembra realizzarsi il più fausto avvenimento che potesse mai rendere celebre la storia di cotest'isola.
Ma le vicende del nuovo principato e del grand'uomo che aveva scelto l'isola dell'Elba per soggiornarvi finchè fosse vissuto, oltrepassano di poco i dieci mesi, poichè Napoleone nella sera del 26 febbrajo dell'anno 1815 imbarcatosi sopra il suo brich da guerra e seguitato con quattro bastimenti da trasporto con circa mille uomini di truppa, si diresse verso la Francia, dove fu accolto dai soldati e dal popolo con entusiasmo tale che in pochi giorni arrivò trionfante nella gran capitale di Parigi.
Un tale avvenimento che forma la seconda epoca memorabilissima per Portoferrajo, venne impresso con la prima in lettere d'oro sopra la porta maggiore del forte della Stella, presso la quale era la reggia dell'imperatore Napoleone, ora residenza del governatore civile e militare dell'isola, dove si legge la seguente iscrizione : Napoleonis Magni . Galliae . Imp. Iataliae . Reg.
Praesentia . Decorata . Civitas . IV. Non. Maj.
MDCCCXIV . Posuit . IV . Calend. Mart. Die . Redditus .
in . Galliam . MDCCCXV.
Ma la comparsa non meno improvvisa che avventurosa di Napoleone in Francia non oltrepassò i cento giorni, giacchè la giornata di Vaterloo (18 giugno 1815) si tirò dietro la perdita intiera di tutto l'Impero, non che dell'umile principato dell'Elba che Napoleone di mal animo per sua perpetua residenza aveva accettato.
Così Portoferrajo, dopo una varia catastrofe di 11 anni fu assegnato dalle potenze alleate al suo legittimo sovrano il Granduca di Toscana, contuttochè alle sue truppe facesse breve resistenza il comandante lasciato in Portoferrajo da Napoleone. Quindi con motuproprio del 20 settembre 1815 il Gran Duca Ferdinando III inerendo alle massime esternate il suo ordine nel 30 luglio dal comandante delle truppe toscane destinate all'occupazione dell'intiera isola dell'Elba al dominio granducale in virtù dell'Articolo 100 del trattato di Vienna del 9 giugno, annullò qualunque atto derivato dalla convenzione fatta per la consegna di Portoferrajo, mentre quella guarnigione non apparteneva ad alcun governo.
Finalmente con altro motuproprio del 29 novembre 1815 fu tosto organizzato nell'Elba il governo politico, giudiciario e civile.
Per le cure paterne del granduca Leopoldo II felicemente regnante, con motuproprio del dì 22 agosto dell'anno 1840 fu eretto costà un tribunale collegiale di prima istanza, e nel 1841 aperta una sala di asilo infantile, nell'anno istesso che il beneamato principe dopo solenne funzione compartiva ai padroni di bastimenti Elbani nuove bandiere con l'arme dell'Elba avendo a questa associato cinque api d'oro.
Una sola chiesa (Natività di Maria) con titolo di parrocchia arcipretura è in Portoferrajo, la quale comprende tutta la Comunità.
A questa città danno accesso due porte, una appellata di Mare, di fronte la darsena che guarda mezzogiorno, l'altra a ponente è chiamata porta di Terra , perchè comunicante con l'isola mediante una strada scavata nel vivo masso sotto un bastione nella lunghezza di oltre 70 braccia, fuori della quale sopra il così detto Ponticello si cavalca un fosso, mercè cui la città resta isolata. Un cammino di ronda con bastione e cortine riunisce le due fortezze del Falcone e della Stella, fra le quali davanti a un piazzale esiste il palazzo del governatore, stato anche per 11 mesi residenza di Napoleone.
Dentro la città ai piedi del colle bicipite esiste una gran piazza quadrilatera; poco al di sopra è la piazza d'arme, dove trovasi il pretorio e la chiesa arcipretura recentemente restaurata. Nella via che guida da questa piazza al palazzo del governatore esisteva un convento di frati Francescani fondato nel secolo XVI con chiesa annessa, attualmente ridotta a caserma militare. Anche lo spedale contiguo all'oratorio della Misericordia rammenta don Giovanni de'Medici figlio di Cosimo I che lo fondò, ma che attualmente è stato ridotto ad uso di pubbliche scuole, mentre la bella chiesa del Carmine, presso la quale ora è fabbricato lo spadale civile e militare, fu profanata nell'anno 1814 per convertirla in un brutto teatro.
Portoferrajo ha una numerosa guarnigione militare; e qua è riunito il bagno de’galeotti del Granducato situato nella lingua di terra, sulla cui sommità esiste il forte della Linguella. Vi mancano però fontane e buoni pozzi, cui suppliscono varie cisterne.
CENSIMENTO della Popolazione della CITTA’ e COMUNITA’ di PORTOFERRAJO a tre epoche diverse, divisa per famiglie.
ANNO 1745: Impuberi maschi 421; femmine 375; adulti maschi 433; femmine 490; coniugati dei due sessi 1150; ecclesiastici dei due sessi 49; numero delle famiglie 722; totale della popolazione 2959.
ANNO 1833: Impuberi maschi 701; femmine 580; adulti maschi 680; femmine 726; coniugati dei due sessi 1294; ecclesiastici dei due sessi 16; numero delle famiglie 894; totale della popolazione 4008.
ANNO 1840: Impuberi maschi 741; femmine 633; adulti maschi 620, femmine 817; coniugati dei due sessi 1402; ecclesiastici dei due sessi 7; numero delle famiglie 946; totale della popolazione 4235 COMUNITA' DI PORTOFERRAJO. – Il territorio comunitativo di Portoferrajo conserva lo stesso perimetro di quello fissato col trattato di Londra del 1575, oltre l'aumento territoriale datole nel 1579. Esso abbraccia una superficie terrestre di 9769 quadrati agrarj, dei quali 222 spettano a corsi d'acqua e a pubbliche strade.
Nel 1833 vi si trovavano fissi 4008 abitanti a proporzione di quasi 330 abitanti per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
Confina con altre tre Comunità dell'isola; dalla parte di levante a partire dalla spiaggia di Bagnaja , ch'è circa due miglia distante dalla città di Portoferrajo, ha di fronte il territorio della Comunità di Rio, salendo di là il poggio nella direzione di levante-scirocco dove passa del Lecceto a settentrione del diroccato forte del Monte Volterrajo sino a che al termine detto della Crocetta trova la strada comunitativa che dalla Spiaggia de’Magazzini conduce alla marina di Rio.
Oltrepassa cotesta via il territorio di Portoferrajo divergendo da levante-scirocco a ostro passa sopra le sorgenti del fosso Tellate influente in quello della Valle ai Mulini e di là per la cosiddetta Pietra Tramontanina e poi per i Sassi tedeschi arriva sulla cima di Monte Castello, dove sottentra a confine la Comunità di Porto Lungone.
Con questa la nostra di Portoferrajo fronteggia, da primo dirimpetto a levante-scirocco passando per il Pian di Mondino, quindi sopra le fonti del botro della Valle di Quilico, e dirigendosi da scirocco a ostro passa sopra il così detto Borraccio; al di là del quale voltando di nuovo la fronte a scirocco passa per l'Aja rossa dove attraversa la strada che dalla spiaggia di S. Giovanni guida dal seno di Portoferrajo a Porto Lungone. Poco lungi dalla quale via trova il termine di Capitozzola, dove il territorio di Portoferrajo forma un angolo retto camminando da libeccio a maestrale per il colle detto dell'Ajutante finchè arriva sul Monte Orello. Costà piegando verso ponente fino al vicino Colle reciso , e poscia voltando per breve tratto a libeccio quindi a ponente attraversa la strada del Colle alle Vacche per fino a che arriva sul poggio del Mulino a vento . In cotesta sommità riprende la direzione di libeccio, e passando sopra l'antico termine di Barbatoja lascia il territorio comunitativo di Porto Lungone sottentrando quello della Comunità di Marciana. Con quest'ultimo l'altro di Portoferrajo fronteggia da primo dirimpetto a ostro fino al luogo detto i Sugherelli, poscia di fronte a libeccio e finalmente di faccia a ponente correndo per la cresta del poggio di S. Martino sopra la villa di Napoleone. Di là passando dalle più alte sorgenti del fosso delle Tre Acque, taglia la strada rotabile che da Portoferrajo guida a Marciana alta e poco appresso trapassa la via comunitativa della Valle di Lazzaro per poi scendere dal poggio alla sinistra in linea parallela del fosso d'Acquaviva sino al lido del mare che trova quasi due miglia a ponente del capoluogo di questa Comunità.
Tali sono dalla parte di terra i confini territoriali di questa Comuità, mentre quelli lungo la riva del mare partendo dalla foce dell'Acquaviva e dirigendosi da libeccio a levante rasentano il Capobianco sotto il forte S. Ilario e di là lambendo le falde del colle bicipite di Portoferrajo voltando direzione da levante a ostro con il colle stesso per entrare nella rada del Porto che tutto intorno percorrono passando davanti alla torre della Linguella, alla Darsena, alle Saline di S. Rocco e a quelle di S.
Pietro quindi attraversando lo sbocco del fosso delle Tre Acque presso la Punta della rena toccano le Saline di S.
Giovanni, poscia la punta del Cavallo e la Spiaggia de’Magazzini, presso le Grotte; di là dalla quale spiaggia lambiscono le Saline della Prata dove girano da levante a settentrione per arrivare alla Punta della Pina , e quindi alla spiaggia di Bagnaja estremo confine marittimo a levante di Portoferrajo.
Il punto più prominente del territorio comunitativo di Portoferrajo, sembra quello della fortezza semidiruta del Volterrajo che è piantata sopra un risalto a grecale del Monte Castello. Infatti dal Volterrajo l'occhio si spazia sopra un esteso quadro e di là si presenta una delle più magnifiche vedute di quell'orizzonte.
Tre strade rotabili si staccano attualmente dalla spiaggia di Portoferrajo e una dalla stessa città. Questa per il Ponticello, passando attraverso le saline di S. Rocco e il forte Inglese conduce a Marciana, la seconda guida alla Villa di S. Martino, la terza Porto Lungone e la quarta alla marina di Rio.
Rispetto alla struttura fisica del suolo di questa comunità, eccettuando i detritus delle rocce che costituiscono la spiaggia intorno al golfo di Portoferrajo, essa in generale consiste in un terreno stratiforme riferibile per la massima parte al macigno e alla calcarea, fra cui in certi punti si è fatto strada una diga formata di rocce ofiolitiche che nel territorio di Portoferrajo si estende nella direzione di scirocco a grecale passando dal Volterrajo fino alle Grotte presso la spiaggia de’Magazzini; mentre fra la fortezza del Falcone e il Capobianco la spiaggia vedesi coperta di grosse ghiaje bianche o ciottoli levigati dai flutti marini, consistenti in una specie di granito composto più che altro di feldspato, con turmaline nere ramificate a guisa di una roccia dendritica. Al qual granito sembra identico quello della vicina rupe di Capobianco e della punta dell'Enfola ch'è circa mezzo miglio a ponente della foce di Acquaviva .
All'Articolo ISOLA DELL'ELBA (vol. II pag. 589)dissi che le rocce delle quali essa è rivestita, per quanto si trovino a luoghi cristalline, e in altri stratiformi compatte, tutte peraltro pietrose, nondimeno molte di esse che restano alla superficie del suolo vengono dagli agenti meteorici incotte e a poco a poco stritolate e infrante in guisa da ridurle in un terreno sciolto e suscettibile di essere coltivato.
Così lo strato della terra vegetale in generale è sottile, siccome fu opportunamente osservato nell'agosto del 1840 dall'erudito Pietro Thouar, nella relazione di un suo Viaggetto all'Isola dell'Elba inserita nella Guida dell'Educatore (Vol. V e VI). Per mancanza di maggiore coltura, diceva egli, vi si raccoglie poco grano; peraltro vi prosperano i fagiuoli ed altri legumi, i quali soglion esportarsi come primizie nel continente. L'ortaggio è coltivato poco, le pasture sono rare, ma di buonissima qualità; vi abbondano quasi per tutto le varie specie di agrumi. L'ulivo e il gelso crescono per lo più vigorosi, ma vorrebbero essere coltivati con più cura; e in alcuni luoghi il primo inselvatichisce. La vite è lussureggiante, predomina su tutte le altre piante e produce uva grossa e saporita, ma il vino rosso è il più squisito. tanto nel territorio di Portoferrajo come nel restante dell'isola la vite è sostenuta da canne, siccome praticasi in alcuni paesi della vicina Maremma.
Il prodotto del vino e dell'aceto forma la principale risorsa agraria degli Elbani; tuttavia l'agricoltura costà non tien dietro in generale ai perfezionamenti introdotti nelle province più industriose della Toscana. Manca quasi affatto il legname da costruzione e da ardere. Vi rimangono pochi boschi, uno de’quali nella valle delle Tre Acquei compresa nel territorio di questa Comunità.
I Portoferrajesi però ritraggono altre risorse dalla parte del mare, sia nei frequenti arrivi di bastimenti, sia nella pesca giornaliera, sia in quella delle stagioni in cui passano le sardelle, le acciughe ed i tonni; Per la pesca di questi ultimi esiste all'ingresso del golfo di Portoferrajo una tonnara, mentre nell'interno della rada si contano varie saline che fornir possono alle RR. possessioni sino a nove milioni di libbre di sale, i quali si depositano nei magazzini a tal uopo ivi presso edificati.
All'Articolo ISOLA DELL'ELBA dissi come il chimico portoferrajese Giovan Battista Pandolfini-Barberi ottenesse dalle acque madri delle saline della sua patria una quantità di solfato di magnesia, identico al Sal d'Epson o Sale Inglese mediante un'operazione che ebbe principio nell'anno 1829, e che egli continuò nella calda stagione per quattro anni; mercè la quale da un solo corpo di saline furono raccolte circa 4000 libbre di sale purgativo depurato che fu versato in commercio a prezzo discretissimo. Ma cotesto ramo d'industria nazionale essendo stato riconosciuto di poco considerevole profitto, venne interrotto e quindi soppresso.
L'aria di Portoferrajo e di tutto il suo territorio, meno quella della spiaggia intorno alle saline, può dirsi salubre in tutte le stagioni dell'anno. – I venti più incomodi e nocivi sono quelli di libeccio e di settentrione, l'ultimo de’quali è a traversia del golfo.
Sino dal primo gennajo dell'anno corrente 1842 il territorio dell'isola dell'Elba, dopo essere stato parzialmente misurato e stimato, dagl'ingegneri dell'uffizio del catasto, venne accatastato insieme a quello delle altre Comunità del territorio granducale di terraferma.
Dalla quale operazione risultò che la totalità dell'isola dell'Elba abbraccia una superficie territoriale di 65109,21 quadrati agrarj, dei quali 29757,13 spettano alla Comunità di Marciana; 15200 quadrati alla Comunità di Porto Lungone; 10382,68 alla Comunità di Rio; e 9769,40 alla Comunità di Portoferrajo. Che se dalla suddetta superficie si detraggono 1464 quadrati percorsi d'acqua e strade, restano di suolo soggetto alla rendita imponibile 63645,21 quadrati.
Attualmente molti possidenti terrieri, atteso il deprezzamento del vino, si sono rivolti alla coltura degli olivi, non solo nel territorio di Portoferrajo, ma in tutto il restante dell'isola, dove sono state fatte molte piantagioni in specie con gli ovoli. È pure in qualche aumento la propagazione dei gelsi, per dare maggiore estensione all'educazione de'filugelli, che diverrebbe sostanziale risorsa di un favorevolissimo successo in cotest'isola.
Del resto i Portoferrajesi non hanno risorse di gran rilievo se si eccettuino quelle testè indicate. – La Comunità mantiene due medici e due chirurghi, tre maestri di scuola e una istitutrice di piccola e nuova sala infantile. – Questa città non conta altri stabilimenti d'istruzione, nè biblioteche pubbliche, nè monumenti d'arti.
Risiedono in Portoferrajo oltre il governatore civile e militare, ch'è pure presidente di sanità, un comandante di piazza, un cancelliere comunitativo, un ingegnere di Circondario, un ricevitore dell'ufizio del Registro ed (ERRATA: un conservatore dell'Ipoteche) un conservatore dell'Ipoteche, ed un uffizio principale delle RR. Rendite.
Vi fu inoltre stabilito nel 1840 un tribunale di Prima istanza, per il di cui appello si ricorre alla corte regia di Firenze.
NB. Per la popolazione vedasi il censimento di sopra riportato .
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1841, Volume IV, p. 595.
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