PORTO VENERE, PORTOVENERE
(Portus Veneris, o Venerius) nel promontorio occidentale del Golfo della Spezia, già di Luni.
– Castello con sottoposto villaggio e chiesa arcipretura (S. Pietro) capoluogo di Comunità nel Mandamento della Spezia, Provincia di Levante, Diocesi di Genova, una volta di Luni, Regno Sardo.
Trovasi sulla punta estrema del promontorio destro dell’antico porto di Luni, comunemente appellato il Golfo della Spezia, di faccia all’isola Palmaria, che la sua grandiosa Cala dai venti di levante e di scirocco ripara, fra il grado 27°29’8’’ di longitudine e il grado 44°3’31’’ di latitudine, circa 4 miglia toscane a ponente libeccio di Lerici, 8 da Sarzana nella stessa direzione, 9 miglia toscane a ponente dell’antico sito dove fu la città di Luni, e 5 miglia toscane a ostro della Spezia.
È Portovenere l’ultimo paese occidentale da me compreso nell’antica Etruria, piuttosto che nella Liguria, cui da più secoli esso appartiene, per le ragioni esposte nell’avvertimento posto in testa a questo Dizionario, oltre quanto dissi agli Articoli LERICI e LUNI, e ciò che mi resta a dire all’Articolo SPEZIA.
Lungi io dall’ammettere l’opinione di molti che supoposero il nome di questo castello derivato da un tempio pagano dedicato alla Dea Venere, dubito assai che lo dovesse alla celebrità di un santo anacoreta chiamato Venerio, il quale nel secolo VI dell’Era Cristiana visse ritirato nella vicina isola del Tino, o Tiro maggiore. – Essendochè, senza far caso dell’edizione latina della Geografia di Tolomeo, dove furono interpolati molti luoghi, fra i quali Porto Venere, questo paese trovasi la prima volta per avventura rammentato in una lettera del Pontefice Gregorio Magno a Venanzio vescovo di Luni. – Vedere ISOLA DELLA PALMARIA.
Nel tempo che i Pisani dominavano in Lerici (dice il Bertolotti nel Volume III del suo Viaggio per la Liguria marittima citando le storie del Giustiniano) i Genovesi mandarono una forte colonia a fabbricare il castello di Porto Venere, mentre i conti di Lavagna (i Fieschi) padroneggiavano le terre intorno al Golfo.
Ciò verrebbe anche attestato dalla marmorea lapide posta sulla porta d’ingresso del castello in discorso, che dice: Colonia Januensium Anno 1113. Narrasi poi in quelle storie che i consoli di Genova mandarono ad abitare Portovenere quattro illustri famiglie della loro città (Interiano, Di Negro, De Marino, De Fornari), e che nel 1160 la terra stessa fu circondata di mura torrite. Inoltre un’altra lapide, posta nel muro di una di quelle torri, ricorda il fatto seguente. Nell’anno 1202 sopravvenne all’Isola lo stuolo imperiale unito ai Pisani con lo stuolo di Pelavicino, e si avacciavano di andare a Genova per terra e per mare, aggiungendo che più tardi i Genovesi diedero in pegno al re Alfonso di Aragona le fortezze di Portovenere e di Lerici (anno 1426) Le quali notizie non si accordano né con i documenti sincroni, né con l’età del re Alfonso d’Aragona.
Se dobbiamo frattanto distinguere la storia dai racconti locali, è giocoforza limitarsi a dire, che del castel di Portovenere non ci restano documenti anteriori al secolo XII, quando i Pisani signoreggiavano costà, dove nella seconda decade del 1100 quella repubblica innalzò sopra un’alta rupe che precipita a picco sul mare quel grandioso tempio di S: Pietro, falsamente creduto pagano, incrostandone le pareti a strisce parallele di marmo bianco lunense e di nero venato di Portovenere secondo l’uso di quella età; ed è quel tempio medesimo che il Pontefice Gelasio II nell’anno 1118, approdando in Portovenere, a testimonianza dell’annalista Caffaro, dedicò al Principe degli Apostoli, e che 14 anni dopo Innocenzo II, a detta di qualche altro scrittore, consacrò. Ma in questo mezzo tempo il Castello di Portovenere fu assalito e preso dai Genovesi scacciandone le genti di Pisa, dove per altro furono fuse le due grosse campane che si conservarono nella chiesa parrocchiale di S. Pietro in Portovenere sino all’anno 1808 per esser rifuse e convertite in altri bronzi sacri.
Comunque sia, sembra certo che il castello di Portovenere innanzi l’anno 1118 non dovesse offrire che una riunione di povere casupole di marinari, senza mura castellane e senza fortilizio.
Altronde la situazione geografica di questa località indurre doveva la repubblica di Genova alla sua conquista e fare ogni sforzo per acquistare cotesta importantissima posizione.
È poi fuor di ogni dubbio che per la giurisdizione ecclesiastica Portovenere dipendeva dai vescovi di Luni, siccome lo dimostra la bolla del Pontefice Eugenio III degli 11 novembre 1149 che confermava a Gottifredo vescovo lunense ed alla sua cattedrale le pievi della sua diocesi, fra le quali questa di S. Pietro di Portovenere. La qual pieve nell’anno 1161 fu sottoposta alla diocesi arcivescovile di Genova insieme al suo distretto, in cui era compreso il monastero di S. Venerio dell’Isola del Tino, già sottoposto alla S. Sede. Infatti con bolla del 9 aprile 1161 il Pontefice Alessandro III concedè a Siro primo arcivescovo di Genova ed ai suoi successori in perpetuo, fra le altre cose, et ecclesias in castro Portus Veneris cum suburbio a juresdictione Lunensis Episcopi eximentes, etc.
In quell’anno stesso 1161 l’Imperatore Federigo I stando in Pavia, dopo la distruzione di Milano, con diploma del 6 aprile accordava in feudo ai Pisani il Castello di Portovenere, benché allora fosse occupato dai Genovesi, e prometteva loro di non far pace con questi ultimi se no la facevano i Pisani, o finché quelli non restituissero a questi il castello di Portovenere. Nel caso poi che il paese medesimo venisse conquistato dalle genti dell’Imperatore Federigo, prometteva restituirlo ai Pisani con tutte le sue giurisdizioni, pertinenze e abitanti del distretto, comprese le ville ed i castelli situati lungo quella marina. – (DAL BROGO, Diplomi pisani ec.) Ma i Genovesi in quel tempo appunto munirono di nuove fortificazioni il Castello di Portovenere, sicchè niuna forza contraria bastò a toglierlo loro di mano.
Continuava sempre la guerra fra i Genovesi ed i Pisani, quando, nel 1197 unitisi a questi i marchesi Opizzo e Moroello Malaspina coi loro vassalli di Lunigiana e del Golfo, assalirono ed occuparono il castel di Portovenere con il borgo sottostante.
A tale annunzio i Genovesi inviarono costà una flotta con molta soldatesca per cacciare dal castello e dai contorni di Portovenere i suoi nemici, lo che accadde nel 10 agosto dell’anno 1202.
Nel qual fatto d’armi, stando al racconto di una lapida scritta in carattere antico tuttora esistente nella parete della prima torre di Portovenere coi Pisani, avrebbe preso parte una flotta imperiale, tostochè s’impegnò in una battaglia davanti all’isola di Tino.
L’iscrizione per quanto logora fu copiata dal signor Antonio Rossi che la diede alla luce nel Volume IV della Correspondence Astronomique du Baron de Zach (Genova 1820).
Nei due anni successivi i Portoveneresi arditi quanto esperti delle cose di mare spinsero i loro navigli sino nel Porto-Pisano a danno de’nemici, quindi essi presero fazione somministrando gente e navigli negli altri armamenti nella Repubblica di Genova.
Nel 1241 mentre una flotta genovese si trovava alle prese con i legni armati dei Pisani i marinari di Portovenere tolsero a questi una nave con altri legni, nel tempo che difendevano una caravana di bastimenti mercantili che poi scortarono sino a Genova.
Questo fatto eccitò bentosto il governo di Pisa a far le sue vendette, tostochè nel dì 8 settembre del 1243 (1244 stile pisano) al tempo di Bonaccorso da Padule loro potestà, i Pisani andarono con 105 galere e con 100 vacchette a Portovenere, e vi stettero per 15 giorni, guastando tutto il paese intorno, e l’avrebbero preso (dice un’iscrizione in marmo che leggesi nel Lungarno di Pisa sulla facciata del palazzo detto delle Vele), e l’avrebbero preso se non fosse stato il conte Pandolfo (cioè, Pandolfo da Fasanella allora capitano generale in Toscana per l’Imperatore Federigo II) che era traditore della Corona.
Cotesto grandioso apparato, conclude il dal Borgo che riportò l’iscrizione suddetta nella dissertazione IV dell’istoria pisana, se inutile riescì o per malignità di tradimento, o per avversità di mare, serve per alto di una certissima prova della considerabile potenza in cui era di quel tempo la Repubblica pisana; ed aggiungeremo noi, della forte situazione di Portovenere non che del coraggio e valore di quegli abitanti. Quindi è che i Pisani all’avviso della morte dell’Imperatore Federigo II (anno 1250), vedendo che la fazione de’Guelfi prendeva sempre maggior piede in Toscana, tentarono di accordarsi con la Repubblica di Genova, la quale fece chiedere ai Pisani per patto principale il Castello di Lerici. Piuttosto Chinsica, rispose allora l’ambasciatore di Pisa, che è una parte della loro città, vi darebbero i Pisani, anziché Lerici. – Che perciò, troncate le trattative, i Genovesi fecero lega coi Fiorentini e Lucchesi contro i Pisani, alla qual epoca vuolsi riferire la dispettosa iscrizione posta dai Pisani sulle mura del loro castello in Lerici, nella quale si leggeva: SCOPA BOCCA AL ZENOESE: CREPA CUOR AL PORTOVENERESE: STREPPA BORSELLO AL LUCCHESE.
Che anzi i Genovesi in quell’occasione pervennero con le armi a conquistare il Castello stesso di Lerici, del quale ne fecero un baluardo di frontiera sull’ingresso orientale della Riviera, sicchè nella pace del giugno 1277 i Pisani dovettero stabilmente rinunziarlo a quel Comune.
In questo frattempo però i particolari e negozianti pisani non tralasciavano di servirsi dell’opera degli abitanti di Portovenere per la costruzione di navigli, nel modo dimostrato da una convenzione stipulata sotto dì 1 luglio del 1270 nella canonica di S. Pietro in Portovenere, nella quale fu convenuto del prezzo e del tempo di impiegarsi nella costruzione di una barca che promisero eseguire Bartolommeo di Marro e Niccolò suo figlio da Portovenere per conto di Giovanni e di Soffredo fratelli e figli del fu Leonardo da Pisa.
Nello stesso castello di Portovenere nel 18 febbrajo del 1273 fu rogato un altro istrumento spettante allo stesso costruttore di barche, Bartolommeo di Marro da Portovenere. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Primarziale di Pisa).
Difatti gli uomini di questo paese si segnalorono in tutti i tempi per la perizia de’piloti, e pel coraggio de’suoi marinari.
Fa poi fede della maestria de’Portoveneresi nel maneggio de’navigli un decreto del senato di Genova del 14 dicembre 1289, donde risulta che il principale scopo di quegli abitanti riducevasi alla navigazione ed alla mercatura di mare; al quale effetto furono concedute loro varie esenzioni e privilegi nei porti delle isole di Corsica e di Sardegna, come anche in quelli delle due Sicilie.
Frattanto le storie fiorentine ci avvisano che nel dì 1 gennajo del 1340 s’appese il fuoco in Portovenere con tal impeto, che non vi rimase da ardere casa piccola o grande che fosse, con infinito danno di averi e di persone, salvo le due rocche che vi avevano i Genovesi, non senza (soggiunse Giovanni Villani) giudizio di Dio, perché quelli di Portovenere erano tutti corsari e pirati di mare.
– (CRONIC. Libro XI. capitolo 121).
La Signoria di Firenze sotto il terzo gonfalonierato di Rinaldo Rondinelli, nell’ottobre dell’anno 1411, risolvè di accettare la sottomissione degli uomini di Portovenere che con le sue fortezze si erano dati alla Repubblica fiorentina, la quale promise durante le differenze che vertevano fra essa ed i Genovesi, di pagare ai Portoveneresi 320 fiorini d’oro il mese. – (AMMIR. Stor.
Fior. Lib. XVIII.) Quindi nel novembre dell’anno stesso 1411 fu mandato a Portovenere a pigliarne possesso Jacopo Gianfigliazzi uno de’Dieci di Balia, cui sottentrò nel marzo del 1412 Francesco Baldovinetti, entrambi cittadini di Firenze.
Ma i Genovesi, non potendo sopportare che i Fiorentini avessero a tenere Portovenere, vi andarono con armata di mare e con soldatesca per forzarlo a rendersi; però trovati gli abitanti ed i soldati de’Fiorentini non meno ostinati che valorosi a difendersi, dovettero i primi partirsene con loro vergogna e danno. In luogo poi del Baldovinetti nel maggio successivo fu inviato dalla Signoria di Firenze a quel governo Andrea Gargiolli figlio di Nardo notaro da Setignano quello stesso che 5 anni innanzi mostrò valentia in qualità di ammiraglio delle galere e fuste della Repubblica fiorentina.
Finalmente nel trattato di Lucca del dì 27 aprile 1413 uno de’suoi capitoli diceva: “che i Fiorentini dovessero restituire al Comune di Genova Portovenere con tutti i suoi castelli, fortezze e territorio ogni qualvolta dai Genovesi fosse stata data sicurtà di pagare ai primi nel termine di 4 mesi 8400 fiorini d’oro a un circa ch’essi avevano spesi nell’acquisto di questo luogo; e altri 1200 fiorini per il castello di Sarzanello. In secondo luogo che fosse in facoltà de’Fiorentini di cavare dalle rocche di Portovenere, di Sarzanello e di Falciunello le munizioni, vettovaglie e armamenti che eglino vi avevano messo; 3°.
che qualunque abitante di quei tre luoghi, e ancora di Lerici fossero liberati da ogni bando e condannagione, non esclusa quella di lesa maestà, accordando ad essi l’arbitrio di andare e stare dove più loro piacesse, oltre la restituzione dei beni confiscati”.
In conseguenza di questo trattato la Signoria di Firenze deliberò che a quei di Lerici e di Portovenere venuti ad abitare nello stato pisano o fiorentino fossero consegnati tanti terreni del Comune in guisa che ciascuno di essi potesse vivere con quelli. – (RIFORMAG. DI FIR., e AMMIR. località citata).
Verso il 1442 il castel di Portovenere fu dato dai Genovesi in custodia alle genti di Alfonso d’Aragona re di Napoli, che vennero poi cacciate di là dal popolo, il quale riconsegnò il paese alla Repubblica di Genova. Ciò sembra rilevarsi da una capitolazione fatta in Genova nel dì 11 dicembre del 1444 fra i sindaci del Comune di Portovenere ed il doge Raffaello Adorno, mercé la quale gli uomini di detto luogo vennero esentati per dieci anni da ogni gravezza tanto reale come personale per l’oggetto di essersi valorosamente svincolati dalle forze del re Aragonese, e dati liberamente alla repubblica.
Dopo tali epoche, aggiunge il Rossi nella lettera sopra citata, tutto fu commercio, né si parlò più d’imprese di guerra di qualche rimarco, dalle quali più che altro deve Portovenere ripetere la sua decadenza.
La stessa cosa annunziano ancora le case che rovinarono, o che il tempo e il fuoco distrusse, rimanendovi solo una delle rocche da dove valorosamente nei secoli XIII e XIV combatterono i suoi abitanti.
Il qual fortilizio fu opera de’Genovesi che lo fabbricarono a sicurezza della Terra e del porto. – Ma l’antica chiesa di S. Pietro stata edificata dai Pisani nel principio del secolo XII sulla sommità del promontorio, da lunga mano vedesi in gran parte rovinata.
Quindi fu rifatta la chiesa attuale dentro il ripido paese sottostante intitolata allo stesso Apostolo, mentre nella piazza ch’è davanti al suo porto esiste un convento di Frati Riformati francescani con chiesa annessa.
La sua cala a guisa di porto è vasta, quietissima e sicura dalle tempeste, essendo difesa verso maestrale e ponente dal promontorio di Portovenere, mentre dirimpetto a ostro e scirocco ha vicina l’isola della Palmaria.
Ha dato gran nome a Portovenere il corsaro Bardella che visse nel secolo XV, e del quale si racconta che, durante la guerra de’Genovesi coi Fiorentini, egli dava continue vessazioni a questi ultimi predando tutti i legni mercantili che incontrava nel mare Tirreno.
Rinchiude questa Comunità tre parrocchie. La prima di Portovenere sotto l’antica invocazione di S. Pietro con titolo di arcipretura. La seconda di Panicaglia, situata nel seno delle Grazie sotto il doppio titolo di S. Andrea e S.
Maria delle Grazie, rettoria; e la terza composta di un villagio considerevole, ch’è parrocchia arcipretura (S.
Giovanni Battista a Fezzanio), risiede pur essa dentro il Golfo nel capo omonimo.
Gli abitanti di Portovenere vivono quasi tutti coi prodotti della pesca e con il meschino lucro che i padroni dei bastimenti di cabotaggio pagano ai marinari di Portovenere che li servono, mentre le donne lavorano quasi tutte merletti dozzinali di refe.
È noto questo paese per il nome che ha dato ai marmi neri venati di bianco e di giallo del suo promontorio e della vicina isola di Palmaria. – Vedere ISOLA DELLA PALMARIA.
In quanto ai prodotti agrarj ed agli animali salvatici di questa Comunità gioverà forse rammentare al lettore una piacevole novella di Franco Sacchetti cittadino fiorentino, dove racconta due fatti raccolti da lui stesso mentre nel 1383 passava da Portovenere, quando gli fu narrato che messer Vieri de’Bardi di Firenze, il quale dimorando spesso in un suo luogo vicino alla pieve dell’Antella (forse la villa di Balatro de’CC. Bardi) per vaghezza di porre nel suo predio alcun nobile vino straniero, pensò trovar modo di far venire magliuoli da Portovenere della Vernaccia di Corniglia. E per alcun amico fece scrivere a un messer Niccoloso Manieri da Portovenere, che quegli magliuoli dovesse mandare. Il pievano dell’Antella fatto partecipe da messer Vieri di ciò, disse ben fare, e arrivati i magliuoli, il piovano consigliò il Bardi di guardarsi di porli prima che la luna desse volta, che sarebbe domani in là; e intanto sotterrargli in qualche luogo lì difuori; messer Vieri così fece fare; e il pievano si tornò alla sua pieve, là dove ebbe subito due lavoratori, a’quali ordinò che andassono a potare certe sue pergole d’uve angiole e verdoline e sancolombane, e altri vitigni, e subito le recassero; e recate che l’ebbono il pievano disse: Voi avete a andare con questi magliuoli al luogo di messer Vieri de’Bardi, dove voi troverete dal tale lato sotterrati certi magliuoli; recatemi quelli, e in quel luogo sotterrate questi. Eseguita la faccenda con segretezza, il pievano la mattina di buon ora in un suo pezzo di terra divelta fece porre i detti magliuoli della Vernaccia di Corniglia, e messer Vieri similmente fece porre quegli che gli erano stati scambiati ecc., con quel che segue…. Quindi più sotto il Sacchetti soggiunge: questa novella mi fu narrata a Portovenere, là dove io scrittore nel 1383 arrivai andando a Genova; e fummi interamente detta pure un’altra novella, la quale in quel medesimo giorno avvenne, che fu questa: Andando un villano di Portovenere un giorno di marzo, quando là mi trovai, a potare quella medesima vigna, donde questi magliuoli erano venuti, ed entrando in una gondoletta, come hanno d’usanza, per mare, e approdare e scendere a piè delle vigne, e portando un poco di vivanda per mangiare, e legando la gondoletta, quando è sceso in terra; ed essendo d’usanza per la quantità di molti lupi che sono in quel luogo, alcuna volta venir di quelli alla riva e lanciarsi nella barchetta, e pascersi di pane e di carne che trovano, così in questo dì uno affamato lupo si lanciò in quella barchetta, la quale, non essendo ben legata, subito essendo pinta dal lupo, si scostò dalla riva, e in poca d’ora fu per mare di lungi la terra messer lo lupo più di 30 braccia. E il contadino, il quale era attento a potar la vigna, pur volgendosi verso il mare, vide la barchetta sua partita dalla riva e pigliar mare; e non scorgendo bene chi la menava, cominciò a gridare: o tu, che meni la mia barca, torna alla riva, che ti nasca il vermocane, che per lo sanghe de’Dè ti farò appiccare alle forche basse. – E così gridando, e strangolandosi, e non veggendo tornare la barca indietro, corse giù per la piaggia inverso il mare, e chiamando, e guardando ben fisso, ebbe veduto il lupo nella barca. E vedendolo, e fattosi il segno della croce, e gridato: soccorrete, soccorrete, era tutt’uno. Tantochè di voce in voce il rumore giunse a Portovenere, là dove la gente tutta cominciò a correre chi con la balestra, chi con la lancia e chi con ispiedi, ed entrati in certi legni, e navigando verso il romore, giunsono alla spiaggia dove il contadino gridava, e saputa da lui la cagione, voltisi coloro alla barchetta dov’era per nocchiero il lupo, cominciarono ad altre voci, tirando le balestre, in fiè di Dio, messer lo lupo vuo’ farti il mal viaggio . Morto dalle balestre il lupo, levarono il contadino sulla sua barca, e feciolo sedere sul lupo, e con gran festa nel menarono a Portovenere. E Ubertino di Fazio Ubertini, maestro in teologia, e frate Eremitano, in quel tempo tornando da Genova, trovai in Portovenere, il quale, com’io, fu presente a tutte queste cose, ecc. – (SACCHETTI, Novella 177, edizione del 1724.) Rispetto alla fisica struttura delle sue rocce e alla produzione di questo suolo ci riserviamo a parlarne all’Articolo del suo Mandamento , cioè, della Spezia.
Popolazione della Comunità di Portovenere nell’anno 1832.
PORTOVENERE, S. Pietro (Arcipretura), N°470 Fezzano, S. Giovanni Battista (Arcipretura), n° 639 Panicaglia, S. Andrea in S. Maria delle Grazie (Rettoria), n° 820 Totale Abitanti, n° 1929
Trovasi sulla punta estrema del promontorio destro dell’antico porto di Luni, comunemente appellato il Golfo della Spezia, di faccia all’isola Palmaria, che la sua grandiosa Cala dai venti di levante e di scirocco ripara, fra il grado 27°29’8’’ di longitudine e il grado 44°3’31’’ di latitudine, circa 4 miglia toscane a ponente libeccio di Lerici, 8 da Sarzana nella stessa direzione, 9 miglia toscane a ponente dell’antico sito dove fu la città di Luni, e 5 miglia toscane a ostro della Spezia.
È Portovenere l’ultimo paese occidentale da me compreso nell’antica Etruria, piuttosto che nella Liguria, cui da più secoli esso appartiene, per le ragioni esposte nell’avvertimento posto in testa a questo Dizionario, oltre quanto dissi agli Articoli LERICI e LUNI, e ciò che mi resta a dire all’Articolo SPEZIA.
Lungi io dall’ammettere l’opinione di molti che supoposero il nome di questo castello derivato da un tempio pagano dedicato alla Dea Venere, dubito assai che lo dovesse alla celebrità di un santo anacoreta chiamato Venerio, il quale nel secolo VI dell’Era Cristiana visse ritirato nella vicina isola del Tino, o Tiro maggiore. – Essendochè, senza far caso dell’edizione latina della Geografia di Tolomeo, dove furono interpolati molti luoghi, fra i quali Porto Venere, questo paese trovasi la prima volta per avventura rammentato in una lettera del Pontefice Gregorio Magno a Venanzio vescovo di Luni. – Vedere ISOLA DELLA PALMARIA.
Nel tempo che i Pisani dominavano in Lerici (dice il Bertolotti nel Volume III del suo Viaggio per la Liguria marittima citando le storie del Giustiniano) i Genovesi mandarono una forte colonia a fabbricare il castello di Porto Venere, mentre i conti di Lavagna (i Fieschi) padroneggiavano le terre intorno al Golfo.
Ciò verrebbe anche attestato dalla marmorea lapide posta sulla porta d’ingresso del castello in discorso, che dice: Colonia Januensium Anno 1113. Narrasi poi in quelle storie che i consoli di Genova mandarono ad abitare Portovenere quattro illustri famiglie della loro città (Interiano, Di Negro, De Marino, De Fornari), e che nel 1160 la terra stessa fu circondata di mura torrite. Inoltre un’altra lapide, posta nel muro di una di quelle torri, ricorda il fatto seguente. Nell’anno 1202 sopravvenne all’Isola lo stuolo imperiale unito ai Pisani con lo stuolo di Pelavicino, e si avacciavano di andare a Genova per terra e per mare, aggiungendo che più tardi i Genovesi diedero in pegno al re Alfonso di Aragona le fortezze di Portovenere e di Lerici (anno 1426) Le quali notizie non si accordano né con i documenti sincroni, né con l’età del re Alfonso d’Aragona.
Se dobbiamo frattanto distinguere la storia dai racconti locali, è giocoforza limitarsi a dire, che del castel di Portovenere non ci restano documenti anteriori al secolo XII, quando i Pisani signoreggiavano costà, dove nella seconda decade del 1100 quella repubblica innalzò sopra un’alta rupe che precipita a picco sul mare quel grandioso tempio di S: Pietro, falsamente creduto pagano, incrostandone le pareti a strisce parallele di marmo bianco lunense e di nero venato di Portovenere secondo l’uso di quella età; ed è quel tempio medesimo che il Pontefice Gelasio II nell’anno 1118, approdando in Portovenere, a testimonianza dell’annalista Caffaro, dedicò al Principe degli Apostoli, e che 14 anni dopo Innocenzo II, a detta di qualche altro scrittore, consacrò. Ma in questo mezzo tempo il Castello di Portovenere fu assalito e preso dai Genovesi scacciandone le genti di Pisa, dove per altro furono fuse le due grosse campane che si conservarono nella chiesa parrocchiale di S. Pietro in Portovenere sino all’anno 1808 per esser rifuse e convertite in altri bronzi sacri.
Comunque sia, sembra certo che il castello di Portovenere innanzi l’anno 1118 non dovesse offrire che una riunione di povere casupole di marinari, senza mura castellane e senza fortilizio.
Altronde la situazione geografica di questa località indurre doveva la repubblica di Genova alla sua conquista e fare ogni sforzo per acquistare cotesta importantissima posizione.
È poi fuor di ogni dubbio che per la giurisdizione ecclesiastica Portovenere dipendeva dai vescovi di Luni, siccome lo dimostra la bolla del Pontefice Eugenio III degli 11 novembre 1149 che confermava a Gottifredo vescovo lunense ed alla sua cattedrale le pievi della sua diocesi, fra le quali questa di S. Pietro di Portovenere. La qual pieve nell’anno 1161 fu sottoposta alla diocesi arcivescovile di Genova insieme al suo distretto, in cui era compreso il monastero di S. Venerio dell’Isola del Tino, già sottoposto alla S. Sede. Infatti con bolla del 9 aprile 1161 il Pontefice Alessandro III concedè a Siro primo arcivescovo di Genova ed ai suoi successori in perpetuo, fra le altre cose, et ecclesias in castro Portus Veneris cum suburbio a juresdictione Lunensis Episcopi eximentes, etc.
In quell’anno stesso 1161 l’Imperatore Federigo I stando in Pavia, dopo la distruzione di Milano, con diploma del 6 aprile accordava in feudo ai Pisani il Castello di Portovenere, benché allora fosse occupato dai Genovesi, e prometteva loro di non far pace con questi ultimi se no la facevano i Pisani, o finché quelli non restituissero a questi il castello di Portovenere. Nel caso poi che il paese medesimo venisse conquistato dalle genti dell’Imperatore Federigo, prometteva restituirlo ai Pisani con tutte le sue giurisdizioni, pertinenze e abitanti del distretto, comprese le ville ed i castelli situati lungo quella marina. – (DAL BROGO, Diplomi pisani ec.) Ma i Genovesi in quel tempo appunto munirono di nuove fortificazioni il Castello di Portovenere, sicchè niuna forza contraria bastò a toglierlo loro di mano.
Continuava sempre la guerra fra i Genovesi ed i Pisani, quando, nel 1197 unitisi a questi i marchesi Opizzo e Moroello Malaspina coi loro vassalli di Lunigiana e del Golfo, assalirono ed occuparono il castel di Portovenere con il borgo sottostante.
A tale annunzio i Genovesi inviarono costà una flotta con molta soldatesca per cacciare dal castello e dai contorni di Portovenere i suoi nemici, lo che accadde nel 10 agosto dell’anno 1202.
Nel qual fatto d’armi, stando al racconto di una lapida scritta in carattere antico tuttora esistente nella parete della prima torre di Portovenere coi Pisani, avrebbe preso parte una flotta imperiale, tostochè s’impegnò in una battaglia davanti all’isola di Tino.
L’iscrizione per quanto logora fu copiata dal signor Antonio Rossi che la diede alla luce nel Volume IV della Correspondence Astronomique du Baron de Zach (Genova 1820).
Nei due anni successivi i Portoveneresi arditi quanto esperti delle cose di mare spinsero i loro navigli sino nel Porto-Pisano a danno de’nemici, quindi essi presero fazione somministrando gente e navigli negli altri armamenti nella Repubblica di Genova.
Nel 1241 mentre una flotta genovese si trovava alle prese con i legni armati dei Pisani i marinari di Portovenere tolsero a questi una nave con altri legni, nel tempo che difendevano una caravana di bastimenti mercantili che poi scortarono sino a Genova.
Questo fatto eccitò bentosto il governo di Pisa a far le sue vendette, tostochè nel dì 8 settembre del 1243 (1244 stile pisano) al tempo di Bonaccorso da Padule loro potestà, i Pisani andarono con 105 galere e con 100 vacchette a Portovenere, e vi stettero per 15 giorni, guastando tutto il paese intorno, e l’avrebbero preso (dice un’iscrizione in marmo che leggesi nel Lungarno di Pisa sulla facciata del palazzo detto delle Vele), e l’avrebbero preso se non fosse stato il conte Pandolfo (cioè, Pandolfo da Fasanella allora capitano generale in Toscana per l’Imperatore Federigo II) che era traditore della Corona.
Cotesto grandioso apparato, conclude il dal Borgo che riportò l’iscrizione suddetta nella dissertazione IV dell’istoria pisana, se inutile riescì o per malignità di tradimento, o per avversità di mare, serve per alto di una certissima prova della considerabile potenza in cui era di quel tempo la Repubblica pisana; ed aggiungeremo noi, della forte situazione di Portovenere non che del coraggio e valore di quegli abitanti. Quindi è che i Pisani all’avviso della morte dell’Imperatore Federigo II (anno 1250), vedendo che la fazione de’Guelfi prendeva sempre maggior piede in Toscana, tentarono di accordarsi con la Repubblica di Genova, la quale fece chiedere ai Pisani per patto principale il Castello di Lerici. Piuttosto Chinsica, rispose allora l’ambasciatore di Pisa, che è una parte della loro città, vi darebbero i Pisani, anziché Lerici. – Che perciò, troncate le trattative, i Genovesi fecero lega coi Fiorentini e Lucchesi contro i Pisani, alla qual epoca vuolsi riferire la dispettosa iscrizione posta dai Pisani sulle mura del loro castello in Lerici, nella quale si leggeva: SCOPA BOCCA AL ZENOESE: CREPA CUOR AL PORTOVENERESE: STREPPA BORSELLO AL LUCCHESE.
Che anzi i Genovesi in quell’occasione pervennero con le armi a conquistare il Castello stesso di Lerici, del quale ne fecero un baluardo di frontiera sull’ingresso orientale della Riviera, sicchè nella pace del giugno 1277 i Pisani dovettero stabilmente rinunziarlo a quel Comune.
In questo frattempo però i particolari e negozianti pisani non tralasciavano di servirsi dell’opera degli abitanti di Portovenere per la costruzione di navigli, nel modo dimostrato da una convenzione stipulata sotto dì 1 luglio del 1270 nella canonica di S. Pietro in Portovenere, nella quale fu convenuto del prezzo e del tempo di impiegarsi nella costruzione di una barca che promisero eseguire Bartolommeo di Marro e Niccolò suo figlio da Portovenere per conto di Giovanni e di Soffredo fratelli e figli del fu Leonardo da Pisa.
Nello stesso castello di Portovenere nel 18 febbrajo del 1273 fu rogato un altro istrumento spettante allo stesso costruttore di barche, Bartolommeo di Marro da Portovenere. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Primarziale di Pisa).
Difatti gli uomini di questo paese si segnalorono in tutti i tempi per la perizia de’piloti, e pel coraggio de’suoi marinari.
Fa poi fede della maestria de’Portoveneresi nel maneggio de’navigli un decreto del senato di Genova del 14 dicembre 1289, donde risulta che il principale scopo di quegli abitanti riducevasi alla navigazione ed alla mercatura di mare; al quale effetto furono concedute loro varie esenzioni e privilegi nei porti delle isole di Corsica e di Sardegna, come anche in quelli delle due Sicilie.
Frattanto le storie fiorentine ci avvisano che nel dì 1 gennajo del 1340 s’appese il fuoco in Portovenere con tal impeto, che non vi rimase da ardere casa piccola o grande che fosse, con infinito danno di averi e di persone, salvo le due rocche che vi avevano i Genovesi, non senza (soggiunse Giovanni Villani) giudizio di Dio, perché quelli di Portovenere erano tutti corsari e pirati di mare.
– (CRONIC. Libro XI. capitolo 121).
La Signoria di Firenze sotto il terzo gonfalonierato di Rinaldo Rondinelli, nell’ottobre dell’anno 1411, risolvè di accettare la sottomissione degli uomini di Portovenere che con le sue fortezze si erano dati alla Repubblica fiorentina, la quale promise durante le differenze che vertevano fra essa ed i Genovesi, di pagare ai Portoveneresi 320 fiorini d’oro il mese. – (AMMIR. Stor.
Fior. Lib. XVIII.) Quindi nel novembre dell’anno stesso 1411 fu mandato a Portovenere a pigliarne possesso Jacopo Gianfigliazzi uno de’Dieci di Balia, cui sottentrò nel marzo del 1412 Francesco Baldovinetti, entrambi cittadini di Firenze.
Ma i Genovesi, non potendo sopportare che i Fiorentini avessero a tenere Portovenere, vi andarono con armata di mare e con soldatesca per forzarlo a rendersi; però trovati gli abitanti ed i soldati de’Fiorentini non meno ostinati che valorosi a difendersi, dovettero i primi partirsene con loro vergogna e danno. In luogo poi del Baldovinetti nel maggio successivo fu inviato dalla Signoria di Firenze a quel governo Andrea Gargiolli figlio di Nardo notaro da Setignano quello stesso che 5 anni innanzi mostrò valentia in qualità di ammiraglio delle galere e fuste della Repubblica fiorentina.
Finalmente nel trattato di Lucca del dì 27 aprile 1413 uno de’suoi capitoli diceva: “che i Fiorentini dovessero restituire al Comune di Genova Portovenere con tutti i suoi castelli, fortezze e territorio ogni qualvolta dai Genovesi fosse stata data sicurtà di pagare ai primi nel termine di 4 mesi 8400 fiorini d’oro a un circa ch’essi avevano spesi nell’acquisto di questo luogo; e altri 1200 fiorini per il castello di Sarzanello. In secondo luogo che fosse in facoltà de’Fiorentini di cavare dalle rocche di Portovenere, di Sarzanello e di Falciunello le munizioni, vettovaglie e armamenti che eglino vi avevano messo; 3°.
che qualunque abitante di quei tre luoghi, e ancora di Lerici fossero liberati da ogni bando e condannagione, non esclusa quella di lesa maestà, accordando ad essi l’arbitrio di andare e stare dove più loro piacesse, oltre la restituzione dei beni confiscati”.
In conseguenza di questo trattato la Signoria di Firenze deliberò che a quei di Lerici e di Portovenere venuti ad abitare nello stato pisano o fiorentino fossero consegnati tanti terreni del Comune in guisa che ciascuno di essi potesse vivere con quelli. – (RIFORMAG. DI FIR., e AMMIR. località citata).
Verso il 1442 il castel di Portovenere fu dato dai Genovesi in custodia alle genti di Alfonso d’Aragona re di Napoli, che vennero poi cacciate di là dal popolo, il quale riconsegnò il paese alla Repubblica di Genova. Ciò sembra rilevarsi da una capitolazione fatta in Genova nel dì 11 dicembre del 1444 fra i sindaci del Comune di Portovenere ed il doge Raffaello Adorno, mercé la quale gli uomini di detto luogo vennero esentati per dieci anni da ogni gravezza tanto reale come personale per l’oggetto di essersi valorosamente svincolati dalle forze del re Aragonese, e dati liberamente alla repubblica.
Dopo tali epoche, aggiunge il Rossi nella lettera sopra citata, tutto fu commercio, né si parlò più d’imprese di guerra di qualche rimarco, dalle quali più che altro deve Portovenere ripetere la sua decadenza.
La stessa cosa annunziano ancora le case che rovinarono, o che il tempo e il fuoco distrusse, rimanendovi solo una delle rocche da dove valorosamente nei secoli XIII e XIV combatterono i suoi abitanti.
Il qual fortilizio fu opera de’Genovesi che lo fabbricarono a sicurezza della Terra e del porto. – Ma l’antica chiesa di S. Pietro stata edificata dai Pisani nel principio del secolo XII sulla sommità del promontorio, da lunga mano vedesi in gran parte rovinata.
Quindi fu rifatta la chiesa attuale dentro il ripido paese sottostante intitolata allo stesso Apostolo, mentre nella piazza ch’è davanti al suo porto esiste un convento di Frati Riformati francescani con chiesa annessa.
La sua cala a guisa di porto è vasta, quietissima e sicura dalle tempeste, essendo difesa verso maestrale e ponente dal promontorio di Portovenere, mentre dirimpetto a ostro e scirocco ha vicina l’isola della Palmaria.
Ha dato gran nome a Portovenere il corsaro Bardella che visse nel secolo XV, e del quale si racconta che, durante la guerra de’Genovesi coi Fiorentini, egli dava continue vessazioni a questi ultimi predando tutti i legni mercantili che incontrava nel mare Tirreno.
Rinchiude questa Comunità tre parrocchie. La prima di Portovenere sotto l’antica invocazione di S. Pietro con titolo di arcipretura. La seconda di Panicaglia, situata nel seno delle Grazie sotto il doppio titolo di S. Andrea e S.
Maria delle Grazie, rettoria; e la terza composta di un villagio considerevole, ch’è parrocchia arcipretura (S.
Giovanni Battista a Fezzanio), risiede pur essa dentro il Golfo nel capo omonimo.
Gli abitanti di Portovenere vivono quasi tutti coi prodotti della pesca e con il meschino lucro che i padroni dei bastimenti di cabotaggio pagano ai marinari di Portovenere che li servono, mentre le donne lavorano quasi tutte merletti dozzinali di refe.
È noto questo paese per il nome che ha dato ai marmi neri venati di bianco e di giallo del suo promontorio e della vicina isola di Palmaria. – Vedere ISOLA DELLA PALMARIA.
In quanto ai prodotti agrarj ed agli animali salvatici di questa Comunità gioverà forse rammentare al lettore una piacevole novella di Franco Sacchetti cittadino fiorentino, dove racconta due fatti raccolti da lui stesso mentre nel 1383 passava da Portovenere, quando gli fu narrato che messer Vieri de’Bardi di Firenze, il quale dimorando spesso in un suo luogo vicino alla pieve dell’Antella (forse la villa di Balatro de’CC. Bardi) per vaghezza di porre nel suo predio alcun nobile vino straniero, pensò trovar modo di far venire magliuoli da Portovenere della Vernaccia di Corniglia. E per alcun amico fece scrivere a un messer Niccoloso Manieri da Portovenere, che quegli magliuoli dovesse mandare. Il pievano dell’Antella fatto partecipe da messer Vieri di ciò, disse ben fare, e arrivati i magliuoli, il piovano consigliò il Bardi di guardarsi di porli prima che la luna desse volta, che sarebbe domani in là; e intanto sotterrargli in qualche luogo lì difuori; messer Vieri così fece fare; e il pievano si tornò alla sua pieve, là dove ebbe subito due lavoratori, a’quali ordinò che andassono a potare certe sue pergole d’uve angiole e verdoline e sancolombane, e altri vitigni, e subito le recassero; e recate che l’ebbono il pievano disse: Voi avete a andare con questi magliuoli al luogo di messer Vieri de’Bardi, dove voi troverete dal tale lato sotterrati certi magliuoli; recatemi quelli, e in quel luogo sotterrate questi. Eseguita la faccenda con segretezza, il pievano la mattina di buon ora in un suo pezzo di terra divelta fece porre i detti magliuoli della Vernaccia di Corniglia, e messer Vieri similmente fece porre quegli che gli erano stati scambiati ecc., con quel che segue…. Quindi più sotto il Sacchetti soggiunge: questa novella mi fu narrata a Portovenere, là dove io scrittore nel 1383 arrivai andando a Genova; e fummi interamente detta pure un’altra novella, la quale in quel medesimo giorno avvenne, che fu questa: Andando un villano di Portovenere un giorno di marzo, quando là mi trovai, a potare quella medesima vigna, donde questi magliuoli erano venuti, ed entrando in una gondoletta, come hanno d’usanza, per mare, e approdare e scendere a piè delle vigne, e portando un poco di vivanda per mangiare, e legando la gondoletta, quando è sceso in terra; ed essendo d’usanza per la quantità di molti lupi che sono in quel luogo, alcuna volta venir di quelli alla riva e lanciarsi nella barchetta, e pascersi di pane e di carne che trovano, così in questo dì uno affamato lupo si lanciò in quella barchetta, la quale, non essendo ben legata, subito essendo pinta dal lupo, si scostò dalla riva, e in poca d’ora fu per mare di lungi la terra messer lo lupo più di 30 braccia. E il contadino, il quale era attento a potar la vigna, pur volgendosi verso il mare, vide la barchetta sua partita dalla riva e pigliar mare; e non scorgendo bene chi la menava, cominciò a gridare: o tu, che meni la mia barca, torna alla riva, che ti nasca il vermocane, che per lo sanghe de’Dè ti farò appiccare alle forche basse. – E così gridando, e strangolandosi, e non veggendo tornare la barca indietro, corse giù per la piaggia inverso il mare, e chiamando, e guardando ben fisso, ebbe veduto il lupo nella barca. E vedendolo, e fattosi il segno della croce, e gridato: soccorrete, soccorrete, era tutt’uno. Tantochè di voce in voce il rumore giunse a Portovenere, là dove la gente tutta cominciò a correre chi con la balestra, chi con la lancia e chi con ispiedi, ed entrati in certi legni, e navigando verso il romore, giunsono alla spiaggia dove il contadino gridava, e saputa da lui la cagione, voltisi coloro alla barchetta dov’era per nocchiero il lupo, cominciarono ad altre voci, tirando le balestre, in fiè di Dio, messer lo lupo vuo’ farti il mal viaggio . Morto dalle balestre il lupo, levarono il contadino sulla sua barca, e feciolo sedere sul lupo, e con gran festa nel menarono a Portovenere. E Ubertino di Fazio Ubertini, maestro in teologia, e frate Eremitano, in quel tempo tornando da Genova, trovai in Portovenere, il quale, com’io, fu presente a tutte queste cose, ecc. – (SACCHETTI, Novella 177, edizione del 1724.) Rispetto alla fisica struttura delle sue rocce e alla produzione di questo suolo ci riserviamo a parlarne all’Articolo del suo Mandamento , cioè, della Spezia.
Popolazione della Comunità di Portovenere nell’anno 1832.
PORTOVENERE, S. Pietro (Arcipretura), N°470 Fezzano, S. Giovanni Battista (Arcipretura), n° 639 Panicaglia, S. Andrea in S. Maria delle Grazie (Rettoria), n° 820 Totale Abitanti, n° 1929
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1841, Volume IV, p. 623.
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