VADA (Vada Volterrana)
– (Si aggiunga:) Vedi il SUPPLEMENTO. Porto antico, e ora cala frequentata e capace a ricevere i legni di mezzo bordo in una insenatura del mare toscano difesa da una torre armata per guardia del porto, fra la foce del fiume Fine e quella del fiume Cecina, il cui paese ebbe una parrocchia plebana (SS.
Giovanni e Paolo) da lunga mano riunita a quella de' SS.
Giovanni e Ilario a Rosignano che resta circa tre miglia toscane al suo settentrione nella Comunità e Giurisdizione medesima, Diocesi e Compartimento di Pisa.
Questo porto celebrato da cicerone, da Plinio e da Rutilio Namaziano appellavasi fino d'allora Vada, forse a cagione della sua posizione palustre, e Vada Volaterrana , per la ragione che nei tempi della repubblica romana doveva essere compreso nel contado volterrano, il quale probabilmente estendevasi da questo alto sino al fiumicello che porta tuttora il nome di Fine. – Vedere a FINE.
All'Articolo poi ALBINO CECINA (VILLA di) rammentandomi della descrizione fatta verso il 415 o 420 dal consolare C. Rutilio Namaziano nel suo itinerario marittimo dopo essere sbarcato a vada per passare una notte nella villa suddetta, dicendola situata sopra le salse paludi di Vada, propendevo a credere che fosse quella villa nel luogo detto oggi la Villana, posta a piè del poggio di Rosignano nei possessi del Sig. Salvetti, da cui ebbi un dono il sigillo di un figulinajo in cui erano scolpite le parole, Regule Vivas, simile a quello indicato dal Professor Antonio Targioni Tozzetti e scoperto di corto a Montaceto col marchio, Batis Vivas. – (analisi delle acque di Montalceto del Prof. Predetto pag. 13 in nota).
Il di lui avo Giovanni Targioni Tozzetti nei suoi Viaggi diede una giusta idea del porto di Vada, dicendo: che la sua sicurezza dipende da due secche, una delle quali denominata Val di Veiro , è quella che propriamente costituisce il molo e la sua imboccatura situata a scirocco del porto, aggiungendo: che il suo ingresso non è così facile a prendersi dai piloti non pratici. – La stessa dubbia imboccatura fu assai bene descritta da Rutilio Namaziano nel suo Itinerario, allorché canto: In Volterranum vero, Vada nomine, traetum Ingressum dubii tramitis alta lego.
Agli Articoli LITTORALE TOSCANO, GROSSETO, e SUVERETO (PADULE di) fu detto: che la cala di Vada con davanti il sua banco di arena si manteneva tuttora quasi a un dipresso com'era al tempo di Rutilio Namaziano, dal quale fu descritto il difficile ingresso indicato fino d'allora da due antenne che si praticavano costà alla sua imboccatura: Incertar gemina discriminat arbore fauces Defixasque offert limes uterque sudes.
Se devessi prestar fede alla Tavola di Peutinger, ed all'Itinerario di Antonino, è da credere che passasse da Vada fino dai tempi della Repubblica romana la strada consolare Aurelia nuova , detta poi Emilia di Scauro , giacche la Tavola Peutingeriana segna costì una mansione di quella via. – Vedere VIA EMILIA di SCAURO.
Non si sa, dirò col Targioni, quando per la prima volta Vada fosse compresa nel territorio pisano, comecchè non lascia alcun dubbio, che le sue saline esistessero nel littorale di Vada l'asserto di Rutilio Namaziano che le rammentò. Che esse poi continuassero anche nei secoli longobardici, ne fanno prova varie membrane degli Arch.
Arciv. di Pisa e di Lucca, e l'atto di fondazione della Badia di Palazzuolo presso Monteverdi (anno 753), nel quale si rammentano le Saline di Vada possedute almeno in parte dal nobile suo fondatore Walfredo figlio del fu Ralgauso di Pisa.
Tre altri nobili fratelli pisani, che nel 780 fondarono la Badia di S. Savino presso Calci, donarono allo stesso luogo pio la loro parte delle saline col padronato della chiesa de SS. Giovanni e Paolo di Vada. La qual chiesa trovasi qualificata plebana in un atto pubblico dell'Arch.
Arciv. di Pisa del 26 aprile 1043 relativo all'offerta di alcuni beni fatti alla chiesa di S. Maria e S. Quirico a Moxi, atto che fu rogato in loco et finibus Vada prope ecclesia et plebe S. Johannis. – (MURAT. Antiq. Med.
Aevi T. III.) Sino da quella remota età sembra pertanto che i Pisani estendessero la loro giurisdizione politica ed ecclesiastica anche a Vada, per cui il Castello col suo porto d'allora in poi lo troviamo in potere di quella Repubblica, la quale nel 1125 fece fortificarlo, e cingerlo di mura. Il placito e fodro dello stesso porto fu donato dall'Imperatore Corrado II a Balduino primo arcivescovo di Pisa con diploma del 19 luglio 1139.
Ma nei secoli posteriori al mille molte carte relative alla Badia di S. Felice a Vada da lunga età disfatta esistono nell'Arch. Dipl. Fior. fra quelle delle monache di S. Paolo all'Orto di Pisa, cui quel mo nastero con i suoi beni fu ammensato.
Comecchè di trovino delle elezioni di abati del 1030, pure le carte di quella provenienza non sono più antiche del 30 maggio 1040.
È un istrumento rogato nei confini di Camajano (Castelnuovo della Misericordia) col quale due fratelli venderono al prete andrea un pezzo di terra con villa e case annesse poste nel loro Castel di Vada.
In quanto alla storia politica le cronache pisane riportano all'anno 1079, o 1078, una visita ostile fatta, sebbene senza successo, da una flotta genovese al Porto di Vada; ma ciò che non riescì loro nel 1079 accadde in una seconda comparsa fatta nel 1126 da altra flottiglia genovese, quando s'impadronì di Vada, che sembra ritenesse fino al 1165, epoca in cui essendo stato ripreso dai Pisani il porto di Vada, quel Comune deliberò di farlo riattare e fortificare.
Già all'Articolo ROSIGNANO fu detto, che la mensa arcivescovile di Pisa acquistò vasti possessi tra Rosignano e Vada per donazione fattagli sino dal secolo XI dal Marchese Gottifredo di Toscana e dalla contessa Beatrice sua consorte, alla qual donazione sembra che volesse riferire il diploma imperiale dell'Imperatore Corrado II che nel 1139 concedeva alla mensa medesima anco il placito e il fodro di Vada e di Rosignano, mentre all'epoca stessa convalidava tuttociò il pontefice Innocenzo II quando accordò agli arcivescovi di Pisa il giuspadronato della pieve de' SS. Giovanni e Paolo di Vada.
Arroge a tutto ciò qualmente poco innanzi (16 settembre 1136) don Rolando Abate del monastero di S. Felice a Vada aveva venduto ad Uberto arcivescovo di Pisa per la sua mensa la terza parte di terreni che il suo monastero possedeva in Pisa.
Nel 1177 i due fratelli conte Gherardo e conte Ranieri del fu altro conte Gherardo, stando in Vada nel capitolo di detto monastero, fecero dono al medesimo di 25 pezzi di terre posti nel distretto e piviere di Rosignano, e segnatamente nel borgo denominato Cuccaro.
Dipoi donna Erminia contessa moglie del predetto conte Ranieri, dal suo castello di Montescudajo , e donna Adelasia moglie del conte Gherardo sopranominato, stando nel castello di Guardistallo , confermarono la stessa donazione.
Con istrumento poi del 25 giugno 1190 don Benedetto abate del monastero stesso di Vada alienò un pezzo di terra della sua badia situato nei confini di Vada e Rosignano.
Anche nel primo luglio del 1206 don Barone abate del monastero predettosi obbligava pagare alla mensa arcivescovile di Pisa l'annuo censo di 24 denari nuovi di moneta pisana per l'uso delle acque del fiume Fine, a partire dalla sommità del bosco di Rosignano sino al mare. – Vedere ROSIGNANO.
Ma non era ancora avanzato il secolo XIII che il monastero di S. Felice a Vada era ridotto al solo abate e ad un monaco, siccome lo manifesta un rogito del 1221, col quale don Rustico abate di S. Felice a Vada col consenso di Romerio unico monaco, che esisteva in quel monastero e dei consoli di Vada, affittò la metà di un mulino posto presso il ponte di Fine.
Nel 1244 vertendo controversia fra l'abate del monastero di S. Felice a Vada ed il pievano di detto luogo sopra il diritto de' defunti, fu compromessa la lite in Vitale arcivescovo di Pisa, il quale con lodo del 21 gennaio 1245 dichiarò, che tutti coloro che venissero di nuovo ad abitare in detto Castello, o che fabbricassero abitazioni nei confini della pieve di Vada, si seppellissero appresso quest'ultima. – (loc. cit.) Da qual lodo sembra non solo apparire, che la chiesa del monastero di Vada fosse parrocchiale, ma che il suo popolo abitasse dentro il paese, mentre la pieve di Vada secondo il solito esser doveva situata nell'aperta campagna.
Ma il monastero di S. Felice a Vada continuò per più poco ad essere retto ed abitato dai monaci, mentre nel 1255 vi erano entrate le donne. A queste infatti è diretta una bolla del pontefice Alessandro IV, con la quale ordina che quelle recluse stassero sotto la regola de'f rati predicatori; e lo dichiara una seconda bolla dello stesso pontefice del 29 settembre 1257 diretta all'abate cistercense di S.
Pantaleone della diocesi di Lucca ed al guardiano dei Frati Minori di Pisa, affinché assegnassero il monastero di S. Felice a Vada con tutti i suoi beni alle monache di S.
Agostino di via Romea vicino a Pisa, le quali suore avevano abitato il monastero de' SS. Filippo e Jacopo di Cassandra , a condizione di pagare esse monache una pensione vitalizia all'abate di Vada e ad un altro monaco di quella Badia.
Rispetto alla pieve di Vada ed all'unione del suo popolo a quello di Rosignano , vedasi quest'ultimo Articolo.
Ritornando frattanto alla sua storia civile aggiungerò, qualmente nel 1284 fu incominciato a fondarsi dal Comune di Pisa un faro davanti al porto di Vada nella secca appellata Val di Vetro , e che nello statuto pisano del 1285 furono assegnati per tal lavoro 300 denari pisani il mese, oltre le varie esenzioni e privilegj che il governo concedeva a coloro che fossero andati ad abitare in Vada; segno non dubbio che codesta spiaggia sino d'allora era malsana, a cagione probabilmente delle acque miste alle dolci e stagnanti in quel padule.
Finalmente dopo varie vicende il porto col paese di Vada nel 1405 cadde in mano de' Fiorentini, ai quali si sottomise per atto del 10 febbrajo dell'anno seguente; e con tutto che nel 1431 Vada fosse stato occupato dalle armi milanesi comandate da Niccolò Piccinino, alla pace del 1433 cotesto paese tornò a sottomettersi alla Repubblica Fiorentina, la quale quattro anni dopo con provvisione del 13 febbrajo 1437 ordinò , che si preparassero de' magazzini a Vada ed alla Torre S.
Vincenzio.
Uno degli ultimi fatti istorici relativi al paese di Vada sembra quello dell'assedio portatovi nell'inverno del 1452 da un armata del re di Napoli, quando il castellano fiorentino senza far resistenza per denaro diede in mano il castello di Vada ai napoletani, i quali l'anno dopo costretti dai Fiorentini a partire vi posero il fuoco. Dopo di che la Signoria fece demolire affatto gli avanzi di quel castello, che può dirsi l'effetto dell'ultimo esterminio di Vada.
Dissi effetto piuttosto che causa, in vista che la contrada era divenuta inabitabile per malsania senza dubbio provenuta dal vasto padule di acque terrestri e marine e dall'imboschito terreno. – Vedere ROSIGNANO.
Giovanni e Paolo) da lunga mano riunita a quella de' SS.
Giovanni e Ilario a Rosignano che resta circa tre miglia toscane al suo settentrione nella Comunità e Giurisdizione medesima, Diocesi e Compartimento di Pisa.
Questo porto celebrato da cicerone, da Plinio e da Rutilio Namaziano appellavasi fino d'allora Vada, forse a cagione della sua posizione palustre, e Vada Volaterrana , per la ragione che nei tempi della repubblica romana doveva essere compreso nel contado volterrano, il quale probabilmente estendevasi da questo alto sino al fiumicello che porta tuttora il nome di Fine. – Vedere a FINE.
All'Articolo poi ALBINO CECINA (VILLA di) rammentandomi della descrizione fatta verso il 415 o 420 dal consolare C. Rutilio Namaziano nel suo itinerario marittimo dopo essere sbarcato a vada per passare una notte nella villa suddetta, dicendola situata sopra le salse paludi di Vada, propendevo a credere che fosse quella villa nel luogo detto oggi la Villana, posta a piè del poggio di Rosignano nei possessi del Sig. Salvetti, da cui ebbi un dono il sigillo di un figulinajo in cui erano scolpite le parole, Regule Vivas, simile a quello indicato dal Professor Antonio Targioni Tozzetti e scoperto di corto a Montaceto col marchio, Batis Vivas. – (analisi delle acque di Montalceto del Prof. Predetto pag. 13 in nota).
Il di lui avo Giovanni Targioni Tozzetti nei suoi Viaggi diede una giusta idea del porto di Vada, dicendo: che la sua sicurezza dipende da due secche, una delle quali denominata Val di Veiro , è quella che propriamente costituisce il molo e la sua imboccatura situata a scirocco del porto, aggiungendo: che il suo ingresso non è così facile a prendersi dai piloti non pratici. – La stessa dubbia imboccatura fu assai bene descritta da Rutilio Namaziano nel suo Itinerario, allorché canto: In Volterranum vero, Vada nomine, traetum Ingressum dubii tramitis alta lego.
Agli Articoli LITTORALE TOSCANO, GROSSETO, e SUVERETO (PADULE di) fu detto: che la cala di Vada con davanti il sua banco di arena si manteneva tuttora quasi a un dipresso com'era al tempo di Rutilio Namaziano, dal quale fu descritto il difficile ingresso indicato fino d'allora da due antenne che si praticavano costà alla sua imboccatura: Incertar gemina discriminat arbore fauces Defixasque offert limes uterque sudes.
Se devessi prestar fede alla Tavola di Peutinger, ed all'Itinerario di Antonino, è da credere che passasse da Vada fino dai tempi della Repubblica romana la strada consolare Aurelia nuova , detta poi Emilia di Scauro , giacche la Tavola Peutingeriana segna costì una mansione di quella via. – Vedere VIA EMILIA di SCAURO.
Non si sa, dirò col Targioni, quando per la prima volta Vada fosse compresa nel territorio pisano, comecchè non lascia alcun dubbio, che le sue saline esistessero nel littorale di Vada l'asserto di Rutilio Namaziano che le rammentò. Che esse poi continuassero anche nei secoli longobardici, ne fanno prova varie membrane degli Arch.
Arciv. di Pisa e di Lucca, e l'atto di fondazione della Badia di Palazzuolo presso Monteverdi (anno 753), nel quale si rammentano le Saline di Vada possedute almeno in parte dal nobile suo fondatore Walfredo figlio del fu Ralgauso di Pisa.
Tre altri nobili fratelli pisani, che nel 780 fondarono la Badia di S. Savino presso Calci, donarono allo stesso luogo pio la loro parte delle saline col padronato della chiesa de SS. Giovanni e Paolo di Vada. La qual chiesa trovasi qualificata plebana in un atto pubblico dell'Arch.
Arciv. di Pisa del 26 aprile 1043 relativo all'offerta di alcuni beni fatti alla chiesa di S. Maria e S. Quirico a Moxi, atto che fu rogato in loco et finibus Vada prope ecclesia et plebe S. Johannis. – (MURAT. Antiq. Med.
Aevi T. III.) Sino da quella remota età sembra pertanto che i Pisani estendessero la loro giurisdizione politica ed ecclesiastica anche a Vada, per cui il Castello col suo porto d'allora in poi lo troviamo in potere di quella Repubblica, la quale nel 1125 fece fortificarlo, e cingerlo di mura. Il placito e fodro dello stesso porto fu donato dall'Imperatore Corrado II a Balduino primo arcivescovo di Pisa con diploma del 19 luglio 1139.
Ma nei secoli posteriori al mille molte carte relative alla Badia di S. Felice a Vada da lunga età disfatta esistono nell'Arch. Dipl. Fior. fra quelle delle monache di S. Paolo all'Orto di Pisa, cui quel mo nastero con i suoi beni fu ammensato.
Comecchè di trovino delle elezioni di abati del 1030, pure le carte di quella provenienza non sono più antiche del 30 maggio 1040.
È un istrumento rogato nei confini di Camajano (Castelnuovo della Misericordia) col quale due fratelli venderono al prete andrea un pezzo di terra con villa e case annesse poste nel loro Castel di Vada.
In quanto alla storia politica le cronache pisane riportano all'anno 1079, o 1078, una visita ostile fatta, sebbene senza successo, da una flotta genovese al Porto di Vada; ma ciò che non riescì loro nel 1079 accadde in una seconda comparsa fatta nel 1126 da altra flottiglia genovese, quando s'impadronì di Vada, che sembra ritenesse fino al 1165, epoca in cui essendo stato ripreso dai Pisani il porto di Vada, quel Comune deliberò di farlo riattare e fortificare.
Già all'Articolo ROSIGNANO fu detto, che la mensa arcivescovile di Pisa acquistò vasti possessi tra Rosignano e Vada per donazione fattagli sino dal secolo XI dal Marchese Gottifredo di Toscana e dalla contessa Beatrice sua consorte, alla qual donazione sembra che volesse riferire il diploma imperiale dell'Imperatore Corrado II che nel 1139 concedeva alla mensa medesima anco il placito e il fodro di Vada e di Rosignano, mentre all'epoca stessa convalidava tuttociò il pontefice Innocenzo II quando accordò agli arcivescovi di Pisa il giuspadronato della pieve de' SS. Giovanni e Paolo di Vada.
Arroge a tutto ciò qualmente poco innanzi (16 settembre 1136) don Rolando Abate del monastero di S. Felice a Vada aveva venduto ad Uberto arcivescovo di Pisa per la sua mensa la terza parte di terreni che il suo monastero possedeva in Pisa.
Nel 1177 i due fratelli conte Gherardo e conte Ranieri del fu altro conte Gherardo, stando in Vada nel capitolo di detto monastero, fecero dono al medesimo di 25 pezzi di terre posti nel distretto e piviere di Rosignano, e segnatamente nel borgo denominato Cuccaro.
Dipoi donna Erminia contessa moglie del predetto conte Ranieri, dal suo castello di Montescudajo , e donna Adelasia moglie del conte Gherardo sopranominato, stando nel castello di Guardistallo , confermarono la stessa donazione.
Con istrumento poi del 25 giugno 1190 don Benedetto abate del monastero stesso di Vada alienò un pezzo di terra della sua badia situato nei confini di Vada e Rosignano.
Anche nel primo luglio del 1206 don Barone abate del monastero predettosi obbligava pagare alla mensa arcivescovile di Pisa l'annuo censo di 24 denari nuovi di moneta pisana per l'uso delle acque del fiume Fine, a partire dalla sommità del bosco di Rosignano sino al mare. – Vedere ROSIGNANO.
Ma non era ancora avanzato il secolo XIII che il monastero di S. Felice a Vada era ridotto al solo abate e ad un monaco, siccome lo manifesta un rogito del 1221, col quale don Rustico abate di S. Felice a Vada col consenso di Romerio unico monaco, che esisteva in quel monastero e dei consoli di Vada, affittò la metà di un mulino posto presso il ponte di Fine.
Nel 1244 vertendo controversia fra l'abate del monastero di S. Felice a Vada ed il pievano di detto luogo sopra il diritto de' defunti, fu compromessa la lite in Vitale arcivescovo di Pisa, il quale con lodo del 21 gennaio 1245 dichiarò, che tutti coloro che venissero di nuovo ad abitare in detto Castello, o che fabbricassero abitazioni nei confini della pieve di Vada, si seppellissero appresso quest'ultima. – (loc. cit.) Da qual lodo sembra non solo apparire, che la chiesa del monastero di Vada fosse parrocchiale, ma che il suo popolo abitasse dentro il paese, mentre la pieve di Vada secondo il solito esser doveva situata nell'aperta campagna.
Ma il monastero di S. Felice a Vada continuò per più poco ad essere retto ed abitato dai monaci, mentre nel 1255 vi erano entrate le donne. A queste infatti è diretta una bolla del pontefice Alessandro IV, con la quale ordina che quelle recluse stassero sotto la regola de'f rati predicatori; e lo dichiara una seconda bolla dello stesso pontefice del 29 settembre 1257 diretta all'abate cistercense di S.
Pantaleone della diocesi di Lucca ed al guardiano dei Frati Minori di Pisa, affinché assegnassero il monastero di S. Felice a Vada con tutti i suoi beni alle monache di S.
Agostino di via Romea vicino a Pisa, le quali suore avevano abitato il monastero de' SS. Filippo e Jacopo di Cassandra , a condizione di pagare esse monache una pensione vitalizia all'abate di Vada e ad un altro monaco di quella Badia.
Rispetto alla pieve di Vada ed all'unione del suo popolo a quello di Rosignano , vedasi quest'ultimo Articolo.
Ritornando frattanto alla sua storia civile aggiungerò, qualmente nel 1284 fu incominciato a fondarsi dal Comune di Pisa un faro davanti al porto di Vada nella secca appellata Val di Vetro , e che nello statuto pisano del 1285 furono assegnati per tal lavoro 300 denari pisani il mese, oltre le varie esenzioni e privilegj che il governo concedeva a coloro che fossero andati ad abitare in Vada; segno non dubbio che codesta spiaggia sino d'allora era malsana, a cagione probabilmente delle acque miste alle dolci e stagnanti in quel padule.
Finalmente dopo varie vicende il porto col paese di Vada nel 1405 cadde in mano de' Fiorentini, ai quali si sottomise per atto del 10 febbrajo dell'anno seguente; e con tutto che nel 1431 Vada fosse stato occupato dalle armi milanesi comandate da Niccolò Piccinino, alla pace del 1433 cotesto paese tornò a sottomettersi alla Repubblica Fiorentina, la quale quattro anni dopo con provvisione del 13 febbrajo 1437 ordinò , che si preparassero de' magazzini a Vada ed alla Torre S.
Vincenzio.
Uno degli ultimi fatti istorici relativi al paese di Vada sembra quello dell'assedio portatovi nell'inverno del 1452 da un armata del re di Napoli, quando il castellano fiorentino senza far resistenza per denaro diede in mano il castello di Vada ai napoletani, i quali l'anno dopo costretti dai Fiorentini a partire vi posero il fuoco. Dopo di che la Signoria fece demolire affatto gli avanzi di quel castello, che può dirsi l'effetto dell'ultimo esterminio di Vada.
Dissi effetto piuttosto che causa, in vista che la contrada era divenuta inabitabile per malsania senza dubbio provenuta dal vasto padule di acque terrestri e marine e dall'imboschito terreno. – Vedere ROSIGNANO.
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1843, Volume V, p. 616.
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