ISOLA DELL’ELBA
(Ilva de’Latini, Aetalia dei Greci)
– È la principale delle isole dell’Arcipelago toscano, posta fra il grado 27° 46’ e 28° 6’ di longitudine ed il grado 42° 43’ e 42° 53’ di latitudine.
L’Elba ha di fronte, ed è circa 8 miglia toscane a libeccio di Piombino, a partire dai punti più vicini al continente, circa 12 miglia toscane a ostro-libeccio dal porto Baratto; o di Populonia, 23 miglia toscane a scirocco dall’isola di Capraja, 15 miglia toscane a settentrione-grecale dall’isola di Pianosa, partendo dal golfo di Campo, 20 a ponente della spiaggia di Follonica, e 50 miglia toscane a ostro di Livorno.
L’isola dell’Elba ha una periferia sinuosa di circa 60 miglia toscane e una superficie territoriale di 84 miglia toscane quadrate, in cui nel 1836 si contavano 17099 abitanti, equivalenti proporzionatamente a 285 teste per ogni miglio quadrato.
Essa presenta la figura di un grupelbapo montuoso tripartito, che allungasi dal lato di ponente, dove si alza colossale, mentre verso levante bipartito si avanza per due opposte direzioni, una verso settentrione sino al Capo della Vita, e l’altra verso ostro che termina al monte e Capo della Calamita. Queste tre diramazioni sono collegate e comunicano insieme mediante minori montuosità, ossia poggi subalterni, i quali nei punti di maggiore depressione costituiscono anguste profonde vallecole, che servono di cornice ai frequenti seni di mare posti a settentrione e ad ostro dell’Elba.
La base pertanto di questa piccola Trinacria può costituirsi, verso ponente nel monte Campana, o.Capana; il suo centro nel monte Volterrajo , e la testa volta a ostro sul monte della Calamita , mentre il monte Giove forma la fronte che guarda settentrione.
Il giro intorno la costa fu calcolato, come dissi, di 60 miglia, mediante i grandiosi seni che s’internano nell’Isola, i quali servono di ricovero sicuro ai naviganti.
Il punto più elevato è sulla cima del monte Campano , che si alza 1744,7 braccia sopra il livello del mare. È il monte più colossale, più massiccio e più eminente fra tutti quelli delle isole dell’Arcipelago toscano. Esso solo costituisce la parte più occidentale dell’Elba, fra la marina di Marciana volta a settentrione, e la marina di Campo che guarda il lato opposto.
L’Elba non è intersecata da alcun fiume, sivvero da piccoli torrenti, molti dei quali sono alimentati da rivi di acque sorgenti perenni e potabili, se si eccettuino quelle che diedero il nome al paese di Rio, presso il quale si affacciano le acque salino-ferruginose omonime.
Il clima dell’Elba in generale è temperato e sano, meno nel piano di Lungone, e in qualche altra insenatura, massimamente là dove alle acque marine si promiscuano quelle terrestri quando vi ristagnano. Non vi è poi situazione nell’Isola che non offra un aspetto magico, variato, e sorprendente per tutti coloro, cui palpita in seno un’anima sensibile: talchè da ogni parte, in ogni punto l’occhio scuopre prospettive variate e pittoresche.
Se poi la si vuol contemplare dal lato della storia naturale, l’isola dell’Elba a buon diritto appellare si potrebbe il più dovizioso gabinetto mineralogico della Toscana. È questo il sito dove sembra che la natura abbia voluto riunire in un piccolo diametro sorprendenti fenomeni, e tali da richiamarvi costantemente i di lei cultori, spinti e allettati, non solamente dalla singolare costituzione geognostica di questi monti, ma ancora dalla ricchezza delle miniere, e dalle preziose variate cristallizzazioni dei molti minerali che in quelle rocce si aggruppano e in belle forme si accoppiano.
Fra i naturalisti ed i fisici del secolo XVIII, che in generale o parzialmente la percorsero e la descrissero, possono contarsi il medico fiorentino Alberto Giuseppe Buzzegoli che, nel 1762, pubblicò un suo trattato sopra l’Acqua minerale di Rio, ed il chiar. geologo Ermenegildo Pini, che, nel 1117, diede alla luce in Milano le sue Osservazioni mineralogiche su la Miniera di Ferro di Rio ed altre parti dell’Isola d’Elba. – Più copioso è il novero dei naturalisti oltramontani che visitarono e scrissero alcunchè sulla mineralogia dell’Isola medesima; tali furono Ferber, il Baron de Dietrich, Tronsson de Coudrai , il tedesco Koestlin, ed il celebre De Sausure, che, per asserto del suo biogralo Sennebier, nel di lui Viaggio inedito dell’Italia comprese anche l’Elba.
Nel secolo attuale l’Isola medesima fu visitata dal ch.
Alessandro Brongniart, e nel 1808 fu particolarmente descritta dal naturalista Thiebaut De Berneaud , nel tempo che il matematico L. Puissant per ordine del suo governo sui monti e promontorii dell’Elba instituiva triangolazioni geodetiche, e l’ingegnere geogrado G. B. Poison disegnava ed ombreggiava la mappa della sua superfcie.
Più recentemente degli altri la percorsero e la esaminarono i professori naturalisti di due università della Toscana, cioè Paolo Savi di Pisa e Giuseppe Giulj di Siena.
Dirò, che io pure nel 1830, sul declinare del mese di marzo, e nei primi giorni di aprile in compagnia di un distinto geologo prussiano, Federigo Hoffmann, feci un escursione per l’isola dell’Elba, dove mi si offrì l’occasione d’imparare, che le rocce plutoniane in molti luoghi si erano fatte strada, e avevano alterato le rocce calcaree, le schistose ed i macigni; che le rocce granitiche trovavansi in alcuni siti imprigionate nelle rocce stratiformi a guisa di filoni; che il granito costituiva quasi generalmente la parte occidentale dell’Isola, a partire dalla marina di Marciana sino a quella del lato opposto di Campo; che la stessa roccia cristallina compariva di nuovo nel golfo di Lungone, e specialmente dal lato orientale di quel seno, subalterna e tramezzo ad una roccia di gneis; che il calcare salino avente i caratteri tutti di un marmo sublamellare, e talvolta saccaroide bianco-perlato, vedesi ora a contatto delle rocce di granito, segnatamente a liboccio di S. Ilario in Campo, in luogo detto Punta di Cavoli, ora contiguo alle rocce serpentinose, tale mostrandosi al Capo di Arco , che a levante di Porto Lungone, ed anche dal lato opposto dell’Isola nel golfo di Procchio alla base settentrionale dei poggi che servono di spina alla porzione occidentale dell’Elba. – Vidi, che le rocce serpentinose comparivano fra il calcare e il macigno dietro il poggio della miniera di Rio, nel golfo della Stella, sul corno sinistro del golfo di Procchio, a S. Piero in Campo ec.; che la spiaggia esteriore di Portoferrajo, al luogo della Ghiaja situata a maestrale e poco lungi dal Falcone, era coperta di ciottoli ovali di varia mole, spettanti ad una roccia feldspatica compatta di aspetto bianco amorfo, sparsa di particelle di mica, di turmalina e di piccoli cristalli quarzosi; la qual roccia feldspatica fu vista in posto al così detto Capo bianco , donde la violenza delle traversie e la forza dei flutti staccano di continuo quei massi, li rotolano, li logorano, e li trascinano sulla spiaggia. Infine potei quivi osservare un altra qualità di ciottoli e di ghiaja tufacea di colore ceciato, la quale spesse volte incrosta e forma un aggregato con i ciottoli feldspatici test nominati, e di cui apparisce formato il poggio del Forte S. Ilario presso al Capo bianco.
Non s’incontrarono in quella breve escursione terreni terziarii marini, nè sembra che dopo una più diligente ricerca ve li scuoprisse tampoco il prof. pisano Paolo Savi.
Quest’ultimo naturalista nel tempo che dava a sperare di fornire ai scienziati una sua carta geologica con l’opportuna descrizione dell’Isola stessa, quasi per anticipazione faceva inserire nel Nuovo giornale de Letterati di Pisa (anno 1833) un Cenno sulla costituzione geologica dell’isola dell’Elba , onde far conoscere alcuni fatti utili alla scienza, e non ancora da altri dotti stati avvertiti, o seppure sotto tutt’altro aspetto annunziati.
Giova quel Cenno ai studiosi per avere un’ idea chiara, non solamente della struttura geognostica dell’Elba, ma dei principali fenomeni e accidenti geologici che s’incontrano nei suoi terreni.
“La parte occidentale dell’Isola dell’Elba (diceva il Prof.
pisano) si forma dall’alta e conica montagna di Marciana, ch’è per la massima parte granitica. Un gruppo di monticelli di macigno e di granito, che da Portoferrajo giungono al Capo di Fonza , scorrendo trasversalmente all’Isola, cioè da settentrione a ostro, ne costituiscono la parte media. Questa, mediante una specie d’istmo formato da rocce serpentinose, si unisce con la porzione orientale, ch’è la più estesa delle altre; la quale, dopo aver dato origine, dal lato di settentrione, al seno di Portoferrajo , termina al Capo della Vita; mentre la medesima branca dal lato meridionale estendesi sino a levante del Golfo della Stella, dove forma il monte di Capo liveri e il Capo della Calamita”.
“Quattro sono le rocce pietrose che costituiscono quest’ultima porzione dell’Isola, cioè, il Macigno, il Verrucano (breccia siliceo-steoschistosa) il Calcare e il Serpentino.” “L’altra porzione montuosa nella parte settentrionale dell’Elba, vale a dire, la piccola giogana che sul lato di Portoferrajo si avanza da libeccio verso grecale-levante, appartiene alla formazione del Macigno, composta cioè di arenaria (pietra serena), di caleare alterato (quasi marmoreo) e di schisto galestrino. Alla base della stessa montuosità, verso il lato orientale havvi una serie di collinette afiolitiche, consistenti in serpentino e granitone, le quali separano i monti che voltano la fronte a grecale da quelli che costituiscono la costiera orientale fino al Capo della Calamita. L’esterna ossatura di quest’ultima costa maritt ima consiste in gran parte di calcare più o meno salino, e di quell’arenaria brecciata designata col nome di Verrucano, di cui crede il Savi che, a cagione delle rocce plutoniane che l’avvicinano, sia una modificazione quel gneis alterato dalle iniezioni granitiche, che fu pure osservato dal Prof. Federigo Hoffmann e da me nel seno di Porto Lungone. Finalmente a contatto del Verrucano , o piuttosto fra esso e la roccia calcarea, il Savi riscontrò i filoni metalliferi e le grandi masse del ferro dell’Elba, una delle quali costituisce l’antica ed inesauribile miniera di Rio”.
“Nell’Isola stessa, come dissi poco sopra, non havvi alcuna formazione referibile alla serie di quelle che i geologi sogliono appellare terreni terziarii. Vi sono bensì de’terreni alluvionali, e fra questi il prelodato Savi include una Pudinga a cemento calcareo, situata in due punti dalla costa settontrionale dell’Isola, il primo cioè alli Scalieri nel Golfo Viticcio, e l’altro al Capo della Vita nella punta più prominente dell’Isola verso la Terraferma.
Entrano pure fra i terreni di alluvione i ciottoli di feldspato candido della spiaggia delle Ghiaje imprigionati fra i cospicui depositi di tufo, che incrostano e avviluppano le stesse ghiaje feldspatiche sotto il Capo bianco .
Due anni dopo esser comparsa la memoria geologica testè indicata, fu pubblicato in Siena per i torchi di Onorato Porri un opuscolo del Prof. Giuseppe Giulj, che portava il seguente titolo: Progetto d’una carta geografica ed orictognostica della Toscana per servire alla tecnologia, o al modo di rendere utili i minerali del Granducato alle arti, ed alle manifatture; a cui s’unisce la carta topografica geognostica ed orittognostica dell’Isola dell’Elba, ed isolette adiacenti colle necessarie spiegazioni per dare una idea dell’applicazione del Progetto.
La prima parte relativa al Progetto era stata inserita sino dal 1833 nel giornale di Belle arti e Tecnologia di Lampato in Venezia. La seconda parte spettaute all’esecuzione particolare del Progetto, in cui è presa per modello l’Isola dell’Elba, venne alla luce la prima volta nell’anno 1835. A questa ultima trovasi unita una piccola Carta geognostica ed orictognotica dell’Elba e dei piccoli isolotti adiacenti, preceduta da un’illustrazione per dare un’idea del modo, con cui il professor Giulj vorrebbe eseguire il suo laborioso e grande Progetto per tutta la Toscana da esso lui a tal fine visitata.
Secondo le osservazioni e la classazione scientifica del Prof. senese i terreni predominanti nell’Isola dell’Elba sarebbero sei, cioè: 1.° il Calcareo, che è comune al vicino scoglio o isolotto di Cerboli nel canal di Piombino, 2.° il Serpentino, 3.° lo Schisto-calcareo, 4.° il Granito, 5.° lo Schisto-argilloso , 6.° le Miniere estese di ferro .
Con uno speciale avviso nella nota (2) pagina 15, si avverte il lettore, che il Macigno esiste soltanto nell’isola di Palmajola.
Fra le specie minerali, l’autore indica le seguenti 18, cioè: 1.° Kaolino; 2.° Amianto; 3.° Quarzo; 4.° Marmo Statuario; 5.° Turmalina; 6.° Calcedonio ; 7.° Ossido di Manganese, 8.° Smeriglio; 9.° Cianite ; 10.° Ferro solfato; 11.° Berillo; 12.° Granato nobile; 13.° Rame; 14.° Ferro magnetico; 15.° Terra gialla; 16.° Potassa nitrata; 17.° Acque minerali potabili; 18.° Jenite e Amfibula.
Altri, non io, potrà, se vuole istituire confronti can le opere di quelli autori che visitarono o che scrissero sulle varie cristallazioni minerali dell’Isola dell’Elba, (per esempio il P. Pini nell’opera citata, e Ottaviano Targioni-Tozzetti nella sua descrizione dei minerali ritrovati in un sol masso di granito dell’Elba); dirò solamente, che, in quanto alla serie dei terreni dell’Elba, designati nel Progetto dal Prof. Giulj, a taluno forse non sembrerà giusto di vedere escluso il Macigno, tostochè molti naturalisti ve lo trovarono in tanta copia da occupare un posto importante nella carta geognostica della stessa contrada. In quanto poi alle specie minerali segnalate dal Prof. senese, non troverà coerente al principio ammesso dall’autore quello d’inserire fra i minerali il marmo statuario, e forse anche alcune altre sostanze, tosto che quello e queste potrebbero dirsi modificazioni, o al più membri dei terreni che l’A. aveva già ammesso fra i predominanti dell’Isola in discorso.
Finalmente nel 1836 il prof. Savi fece inserire nel già citato giornale de’Letterati di Pisa un’apposita memoria sulla Miniera dell’Elba; nella quale, dopo aver fatto una succinta descrizione geognostica dell’Isola, tratta in altrettanti articoli della Miniera di Rio, della sua escavazione, della qualità e classazione scientifica delle varie specie di quel minerale, del suo trasporto a Follonica e altrove per fondere quella Vena in ghisa o ferraccio ec.
L’isola dell’Elba a cagione della ricchezza dei suoi filoni di ferro è più nota nella storia mineralogica che non lo sia nella civile e politica: donde consegue che da tutti con enfasi si ripete quel noto verso di Virgilio, Insula inexhaustis chalybum generosa metallis.
La dove il Prof. Savi ragionava della disposizione geognostica e della natura delle rocce che costituiscono il monte della miniera di Rio e sue attinenze, volle anche riepilogare quel più che da lui stesso nel Cenno geologico del 1833 era stato annunziato relativamente ad altri filoni di ferro che incontransi a qualche distanza dal monte della miniera di Rio. Fra i quali citava il filone della Cavina di Capo del Pero , che l’autore considera una ripetizione in piccolo della miniera di Rio. Così al monte della Calamita indicava un grosso filone di ferro inserito, anzi posto a immediato contatto della roccia calcarea con quella del Verrucano.
Quantunque, a parere del Prof. Savi, non siavi dubbio, che la miniera di Rio debba esser riguardata come appartenente alla serie delle miniere in filoni, pure sono, dic’egli, scusabili quei naturalisti, i quali hanno asserito altrimenti. Avvegnachè oltre ad essere costà potentissime le diramazioni del gran filone metallico, ossia del complesso, o nodo di grossi filoni, i quali in più direzioni attraversano molte porzioni delle rocce pietrose del gran filone matrice, pure tali rocce trovansi si fattamente dal ferro alterate che si possono con la miniera confondere; mentre altre porzioni pietrose del Verrucano brecciato restano totalmente nascoste e sepolte sotto gli sterminati ammassi delle gettate, ossia degli spurghi della miniera medesima.
Gli strati pietrosi che servono di tetto alla miniera di Rio appartengono a un Calcare compatto , in alcuni luoghi alterato e convertito in Calcare cavernoso ripieno di piriti tessulari.
Tali strati hanno una generale inclinazione da levante a ponente, la qual direzione fu riscontrata dal Prof. Savi comune a quella di tutte le rocce stratiformi sparse nell’isola dell’Elba. Gli strati delle rocce pietrose che costituiscono il letto della miniera suddetta, in vicinanza della marina, appartengono alla formazione del terreno di macigno alterato, ossia al Verrucano del Savi, cui egli attribuisce l’Arenaria quarzo-talcosa ed i Schisti siliceo-magnesiaci verdastri di quella località. A quest’ultima formazione riferisce anco l'Isolotto davanti a Rio, ed una parte del monte a destra della marina di Rio, su cui è fabbricata la Torre; come pure il Selvoso Monte Giove, il quale ultimo è separato verso grecale dal monticello della miniera per un assai scosceso burrone. – Vedere RIO Comunità.
La miniera del ferro ha dato, come dissi, una remota celebrità all’isola dell’Elba; essendochè la sua scavazione era conosciuta fino dai tempi di Alessandro Magno, seppure il di lui maestro Aristotele fu il genuino autore dell’opera che porta per titolo De mirabilibus auscul tantionibus; giacchè in essa la miniera di ferro dell’Elba è rammentata sotto nome di Ferro Populonio , non solamente perchè l’Isola stessa apparteneva al distretto di Populonia, ma perchè erano in Populonia i forni, nei quali anche nei primi secoli dell’Era volgare quel minerale si fondeva. – Se Virgilio pertanto aveva ragione di chiamare inesauribile la miniera dell’Elba, ebbe torto altronde Strabone a scrivere, che questo terreno avesse tale e tanta virtù da riprodurre le miniere nelle fosse, donde i metalli erano stati scavati (Geogr. Lib. V). Che se alla tradizione non prestò molta fede dodici secoli dopo Strabone, la rimise per altro in campo il naturalista senese Vannoccio Biringucci , dicendo: essere opinione di molti, che fra certo tempo in quel terreno, dove già si cavò la miniera, di nuovo il ferro si rigenerasse. Finalmente nel secolo ultimo passato in una Memoria sulla Miniera di ferro cristallizzato dell’Isola dell’Elba, il francese Tronsson de Coudrai ritornò ad affacciare l’idea di Strabone, appoggiandola al fatto di due picconi incrostati di minerale, che egli vedde presso l’intendente di quell’escavazione; opinione che, senza negare il fatto di picconi, fu dichiarata erronea dal P. Ermenegildo Pini nelle Osservazioni mineralogiche su la miniera di Ferro di Rio (§. 30), da quello stesso naturalista, che dissentì pure dal sentimento del Ferber: che il monte cioè della miniera di Rio potesse essere una continuazione di alcune montagne del vicino continente, e segnatamente del Campigliese, di Massa marittima ec.
Vidi pure io uno strumento di ferro che fu dissepolto da alcuni di quelli abbandonati scavi, il quale arnese trovavasi ricoperto da un’intonaco ferruginoso.
Incrostazioni di tal fatta le vide ed esaminò il prenominato Prof. Savi, il quale giustamente ne assegnò la causa a quella stessa, per la quale si formano le stalattiti nei terreni calcarei, coll’attribuire un tal fenomeno alle infiltrazioni e depositi delle acque cariche di ossido di ferro che s’infiltrano quotidianamente dentro le miniere di Rio. Nelle viscere di quel monticello nasce e riceve i suoi principii salino-ferroginosi l’acqua minerale di Rio, che scaturisce alla sua base orientale. Essa fu diligentemente analizzata nel 1828, e quindi pubblicato il chimico risultamento dal farmacista Portoferrajese Giov. Battista Pandolfini-Barberi, in guisa da non aver d’uopo che una nuova analisi venisse posteriormente istituita nel 1834 da due altri farmacisti di Portoferrajo – Vedere RIO Comunità.
Comecchè la marina di Rio non abbia uno scalo sicuro e suffciente a ricoverare in tempo di traversie i molti legni destinati al trasporto delle doviziose miniere, pure ad essi presta refugio opportuno il vicino sicuro golfo di Porto Lungone.
Dalla miniera di Rio si estraggono un anno per l’altro sopra 53 milioni di libbre di vena, dei quali circa 15 milioni si fondono, dal mese di dicembre al giugno, nei forni di Follonica, 8 milioni nei forni di Cecina e di Capalbio, e 20 milioni di libbre si trasportano a Civitavecchia, a Genova, e nel regno delle Due Sicilie.
Già fino dal principio del presente articolo si disse, che l’Isola dell’Elba è formata dall’aggruppamento di alcune montuosità emerse dal mare, li di cui scoscesi contrafforti in varia forma e direzione vanno ad’immergersi nel mare Mediterraneo, formando intorno all’Isola una costa frastagliata e spesso incavata da seni, e da porti naturali più o meno estesi, profondi e sicuri.
Per quanto però quest’Isola debba dirsi montuosa, per quanto le sue rocce siano ora cristalline, ora compatte-stratiformi, e tutte pietrose, nondimeno molte di esse alla superficie del suolo vengo’no dagli agenti meteorici incotte a poco a poco stritolate, e quindi ridotte in arena suscettibile a trasformarsi in terreno da coltura.
Infatti i monti delle rocce granitiche a ponente dell’Isola, al pari di quelli esposti al suo levante ed a settentrione sono quasi per ogni dove vestiti di lecci, di querce, di castagni, o di alberi da frutto, soprattutto di noci; ai quali monti fanno pendice i colli sparsi di vigne, di oliveti, e di piante proprie dei climi più meridionali. Sono di questo numero la palma dattifera, il fico d’India (opuntia) l’aloe (agave americana), le quali ultime due piante nascono spontanee, e servono nell’Elba come a Piombino per circondare i campi a guisa di siepi. Fra i suffrutici e i frutiei abbondano i lentischi, il rosmarino, i cisti, i mirti, l’isopo, il timo, le scope, gli albatri, i citisi, le madri- selve, le sabine ec.
Nel 1816 il Prof. Antonio Targioni-Tozzetti nel visitare quest’Isola raccolse alcune notizie statistiche, che fornirono argomento ad una sua memoria letta all’accademia dei Georgofili a Firenze.
I vini dell’Isola dell’Elba, massime quelli che si ottengono dai vigneti piantati nella parte orientale, riescono di ottima qualità, al pari dell’aceto fortissimo che vi si fabbrica: talchè ad aunata piena la raccolta arriva a 100,000 barili di vino di eccellente sapore e spiritoso, gran parte del quale si spedisce in Toscana e altrove.
Scarseggiano i cereali, più ancor l’olio, nè possono dirsi copiosi i pascoli o le castagne. Gli animali cavallini e somarini, che ascendono a circa 1600 capi, sono piccoli ma pieni di brio. Il bestiame vaccino non oltrepassa i 250 capi, il pecorino i 1300, ma il più copioso e il più nocivo è il caprino, del quale esistono all’Elba per fino a 1800 capi.
La pecuaria dall’Elba fornisce latticini delicati, le api un miele squisito in grazia dell’erbe o fiori aromatici dei quali si nutrono. – Scarsissimo e il bestiame porcino ed il pollame.
Fra gli animali saltatici vi sono lepri, conigli, scoiattoli, ghiri ec. I lupi ed i cinghiali già da gran tempo furono estirpati dall’Elba. Vi nidificano, fra i volatili, le pernici, le tortore, le quaglie, le starne, i colombi, le lodole, i passeri ed altri uccelli di simili specie.
Il mare intorno all’Isola offre abbontantissime e variate pescagioni; fra le quali riescono le più lucrose quelle dei tonni, delle acciughe e delle sardelle.
Le saline del golfo di Portoferrajo poste lungo la spiaggia, da libeccio a ostro del capoluogo dell’Isola, furono ordinate dal Granduca Francesco II, e possono fornire annualmente perfino a 60,000 sacca di sale di circa 140 libbre il sacco (8,400,000 libbre) che si deposita nei vicini magazzini, il più vasto dei quali fu fatto costruire alla punta del Capo Bianco dal Granduca Leopoldo I.
Da pochi anni in quà il chimico Giov. Battista Pandolfini-Barberi, previa l’annuenza del governo, ottenne dalle acque madri delle saline di Portoferrajo una vistosa quantità di ottimo sale purgativo (solfato di magnesia) la cui costante raccolta non solo giovò a supplire agli effetti medicinali del sal d’Inghilterra, o d’Epsom, ma ancora a migliorare il sale marino di Portoferrajo, che innanzi la preaccennata operazione soleva unirsi a quello prodotto dalle acque madri.
Vi sono due tonnare, una nel golfo di Portoferrajo, e l’altra, che è la più estesa, nel golfo di Procchio, presso il luogo denominato il Bagno. In esse dalla primavera sino al novembre si fa un’abbondante pesca di tonno.
Si contano in tutta l’Isola dell’Elba, sopra 240 bastimenti da trasporto della capacità in tutti di circa 17,000 tonnellate. Molti di essi sogliono costruirsi nel piccolo contiere della marina di Marciana, i di cui abitanti sono quasi tutti esperti, attivi e coraggiosi marinari.
In quanto alla storia civile e politica dell’Isola dell’Elba mancano notizie sicure dalla decadenza delle cose romane fino al secolo XI dell’Era volgare; ed anche poco o punto se ne conosce dei tempi di Roma antica quando pure non si volesse prestar fede all’enfatico poeta Silio Italico, ed a certe altre leggende create da troppo semplici, o da troppo maliziosi scrittori. Quello che si sà di meno dubbio è, che nel secolo VI dell’E. V. l’Isola dell’Elba dipendeva dal governo civile ed ecclesiastico di Populonia, e che in essa il santo vescovo di quella chiesa, Cerbone, ed i suoi preti si refugiarono dalla persecuzione del duca longobardo Gumaritt, quando tutta la volterrana Maremma e la città di Populonia fu messa a ferro e fuoco. Durante il dominio dei Longobardi l’Isola dell’Elba e tutto il littorale toscano, per asserto del Pontefice Andriano I, dipendeveno dal duca della Marca toscana residente a Lucca, o a Pisa.
Nel secolo XI però l’Isola dell’Elba sembra che restasse sotto la speciale dipendendenza dei reggitori del Comune di Pisa, cui venne tolta dai Genovesi nel 1290, sei anni dopo la fatale giornata della Meloria.
Le recuperarono i primi a patti onerosi dettati dai secondi mercè di un trattato, nel 1309, quando era potestà e capitano generale dei Pisani il conte Federigo da Montefeltro. In tale occasione i mercanti, ed i più ricchi cittadini si trovarono dal governo obbligati a somministrare la somama di 56,000 fiorini d’oro destinata a pagare l’imposione per l’acquisto dell’Elba, col ricevere in cambio una proporzionata partita di vena della miniera di Rio. Il qual fatto taciuto sinora, (se pur non erro) dai cronisti pisani, manifestamente lo mostrano tre pagamenti fatti nell’anno 1310 (stile comune) da diversi cittadini ti Pisa. Il primo e un istrumento rogato li 11 agosto 1310 (stile pis.) col quale un tal Luparello albergatore della cappella di S. Matteo li Pisa pagò 5000 fiorini d’oro nelle mani dell’esattore del Comune di Pisa, per l’imposizione di 56,000 fiorini, che dovevano servire per comprare l’Isola dell’Elba al tempo di Federigo conte di Montefeltro potestà e capitano generale di Pisa (ARCH.
DIPL. FIOR. Carte del Monast. Di S. Michele in Borgo di Pisa).
Il secondo appella a un’altro pagamento effettuato ai 21 agosto dell’anno medesimo da un tal Marino Livornese, spedalingo e patrono dell’opedale di S. Ranieri di Livorno, all’occasione che sborsò all’esattore del Comune di Pisa fiorini 30 d’oro in conto dell’imposizione alla città e contado di Pisa per presso dalla vena del ferro dell’Isola dell’Elba da vendersi a quelli, ai quali era stata mandata l’imposizione. – Un terzo pagamento è del 5 novembre dell’anno stesso 1311, quando Bartolo del fu Iacopo da Montemagno confessò al procuratore generale d’una società mercantile, che amministrava la vena dell’Elba per interesse del Comune di Pisa, di aver ricevuto tre centenarj di quel minerale, del peso di libbre 33,333 e 1/2 per centenaro , al prezzo di fiorini 180 d’oro, equivalenti a fiorini 60 per ogni centenaro; col quale atto quel debitore prometteva di fare il convenuto pagamento dentro il termine di mesi sei. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Primaziale di Pisa).
L’Isola dell’Elba si governò con le leggi di Pisa fino a che, nel 1399, il capitano di quel popolo, Gherardo di Appiano negoziò e vendè la patria, e con essa tutto il dominio pisano al duca di Milano Gio. Galeazzo Visconti.
Di che venne egli remunerato con grossa somma di moneta e con rilasciargli il libero governo della porzione più remota del contado pisano, cioè della maremma di Piombino insieme con le Isole dell’Elba, di Pianosa e di Monte Cristo, che allora ne dipendevano. – Vedere PIOMBINO.
Era mancato già da tre anni Iacopo Appiano V dinasta di Piombino, che lasciò un figlio pupillo sotto la reggenza della madre, quando, nell’aprile del 1548, gli apparati di varie potenze indussero l’Imperatore Carlo V a far consegnare una porzione dell’Isola dell’Elba cioè il territorio di Portoferrajo al duca di Firenze Cosimo I per fortificarlo e presidiarlo. Quest’ultimo paese è così ben favorito dalla natura che, mediante un colle bicipite posto alle sue spalle, il seno del Ferrajo resta quasi chiuso dall’aperto mare, ed ha poi al suo ingresso una lingua di terra che, stendendosi in mezzo al golfo, viene a formare la bocca del porto.
Furono infatti da Cosimo I inviati al Ferrajo con mille soldati 300 guastatori e muratori per intraprendere sotto la direzione dell’architetto militare Gio. Battistta Camerini la costruzione dei tre punti da esso lui designati. Fu quindi dato il nome di Falcone alla fortezza eretta sulla prominenza maggiore posta a settentrione del porto; si appellò Stella l’altra fortezza sulla prominenza a grecale del paese, stantechè le di lei fortificazioni trovansi disposte a guisa di raggiera; e fu detta Linguella la solida torre ottagolare situata all’estremità di una lingua di terra sull’ingresso interno del porto. Alle quali fortificazioni, eseguite con mirabile sollecitudine e diligenza, il Granduca che a tutto provvedeva dalle sue stanze di Livorno, fece aggiungere un recinto intorno al sottoposto paese di gagliardissime mura, chiamandolo del suo fondatore col vocabolo di Cosmopoli. Vedere PORTOFERRAJO.
Il territorio in quell’occasione assegnato al distretto di Portoferrajo si estendeva dentro terra per un raggio di circa due miglia nei limiti dipresso di quelli che costituiscono l’attuale comunità. Il Fanale esistente sulla punta estrema del forte Stella fu fatto innalzare nel 1788 dal Granduca Leopoldo I.
Nel 1533 una flotta Turca unita ad altra Francese, comparve ai 7 di agosto davanti all’Elba con animo d’insignorirsi di Portoferrajo. Smontò a terra le sue truppe dalla parte di Porto Lungone, prese Capoliveri, assalì la fortezza del Giogo (sopra Monte Giove) e devastò le Terre di Rio e di Marciana, mettendo a sacco e fuoco tutta la contrada; ma Portoferrajo, gagliardamente da Cosimo I provvista di soldati e di munizioni, restò illesa da tanto danno e sorpresa.
In tutto il restante dell’Isola dell’Elba, costituente le tre Comunità di Marciana, Lungone e Rio, continuarono a comandare i principi di Piombino, se si eccettui il Porto di Lungone, nel quale il governo di Filippo III re di Spagna sotto appello di ricovrarsi una flotta di galere, ma in realtà per tenere in soggezione le fortificazioni del Portoferrajo, nel 1596 profuse un’enorme moneta per fabbricare sul corno sinistro di quel seno la grandiosa fortezza che ivi si vede, dove per il corso di un secolo e mezzo stette di presidio una numerosa guarnigione spagnuola, rimpiazzata nel 1759 dalle truppe napoletane soggette al ramo Borbonico attualmente regnante nelle Due Sicilie.
Vedere LUNGONE.
Dagli avvenimenti politici che per le cose di Francia sconvolsero l’Europa nelle ultime decadi del secolo XVIII e nei primi anni del secolo che corre, non andò esente tampoco l’Isola dell’Elba.
Non dirò dello sbarco a Portoferrajo di 4000 realisti emigrati da Tolone sopra legni inglesi, accaduto nel primo giorno dell’anno 1794.
Non dirò come sopra questa piazza forte dopo che le truppe francesi ebbero occupato Livorno, si diresse un’armata navale inglese dalla Corsica; nè come Portoferrajo, in forza di una convenzione dei 10 luglio 1796, dal presidio del Granduca di Toscana fu ceduta agl’Inglesi. Nemmeno starò a ripetere in qual guisa questi ultimi, nell’aprile dell’anno 1797, dovettero riconsegnare la stessa piazza al suo legittimo sovrano; nè per quali vicende tutta l’Isola, nell’aprile del 1799, cadesse sotto il dominio del direttorio francese. Non farò parola dell’assedio Sostenuto dal presidio napoletano nella fortezza di Lungone, nè dell’insurrezione degli Elbani, quando uniti alle suddette truppe napoletane assediarono quelle della Repubblica francese nelle fortificazioni di Portoferrajo, sino al punto di obbligare a capitolare la resa (17 luglio 1799) e quindi imbarcarsi per ristabilire costà il governo toscano in nome del Granduca Ferdinando III.
Dirò solamente, essere stata tale la fedeltà degli Elbani verso l’amato loro principe, che, mediante il trattato di Luneville (9 febbrajo 1801), l’Isola dell’Elba essendo stata ceduta insieme con la Toscana all’Infante Lodovico di Borbone nuovo re di Etruria moderna, il presidio di Portoferrajo unito ai coraggiosi abitanti si opposero e resisterono animosi alle forze unite di terra e di mare spedite dalla Francia per riconquistare l’Isola. Ma ogni sforzo riescì vano fino a che il Granduca Ferdinando III, dopo la conclusione del trattato di Amiens (25 marzo 1802) non inviò al comandante di Portoferrajo la sua annuenza, affinchè si sottomettesse al governo francese, cui era stata in ultima analisi ceduta tutta l’Elba. Questa venne da primo separatamente amministrata, poscia (7 Aprile 1809) riunita al Granducato sotto l’amministrazione di Elisa sorella dell’Imperator dei Francesi, di quell’uomo straordinario, che occuperà sempre un posto eminente nell’istoria militare e politica del mondo, di quel Napoleone Bonaparte, che dopo aver vinto cento battaglie e conquistata la metà dell’Europa, dovè scegliersi per reggia Portoferrajo, per totale dominio la piccola Isola dell’Elba, fino a che dopo pochi mesi (dal 3 maggio 1814 al 26 febbrajo 1815) fu da esso lui cotanto angusta sede abbandonata per correr dietro a quella sorte che gli aveva voltate le spalle; sicche l’Isola dell’Elba fu nell’anno istesso consegnata al governatore per il suo ben amato Sovrano. – Vedere PORTOFERRAJO.
L’Elba ha di fronte, ed è circa 8 miglia toscane a libeccio di Piombino, a partire dai punti più vicini al continente, circa 12 miglia toscane a ostro-libeccio dal porto Baratto; o di Populonia, 23 miglia toscane a scirocco dall’isola di Capraja, 15 miglia toscane a settentrione-grecale dall’isola di Pianosa, partendo dal golfo di Campo, 20 a ponente della spiaggia di Follonica, e 50 miglia toscane a ostro di Livorno.
L’isola dell’Elba ha una periferia sinuosa di circa 60 miglia toscane e una superficie territoriale di 84 miglia toscane quadrate, in cui nel 1836 si contavano 17099 abitanti, equivalenti proporzionatamente a 285 teste per ogni miglio quadrato.
Essa presenta la figura di un grupelbapo montuoso tripartito, che allungasi dal lato di ponente, dove si alza colossale, mentre verso levante bipartito si avanza per due opposte direzioni, una verso settentrione sino al Capo della Vita, e l’altra verso ostro che termina al monte e Capo della Calamita. Queste tre diramazioni sono collegate e comunicano insieme mediante minori montuosità, ossia poggi subalterni, i quali nei punti di maggiore depressione costituiscono anguste profonde vallecole, che servono di cornice ai frequenti seni di mare posti a settentrione e ad ostro dell’Elba.
La base pertanto di questa piccola Trinacria può costituirsi, verso ponente nel monte Campana, o.Capana; il suo centro nel monte Volterrajo , e la testa volta a ostro sul monte della Calamita , mentre il monte Giove forma la fronte che guarda settentrione.
Il giro intorno la costa fu calcolato, come dissi, di 60 miglia, mediante i grandiosi seni che s’internano nell’Isola, i quali servono di ricovero sicuro ai naviganti.
Il punto più elevato è sulla cima del monte Campano , che si alza 1744,7 braccia sopra il livello del mare. È il monte più colossale, più massiccio e più eminente fra tutti quelli delle isole dell’Arcipelago toscano. Esso solo costituisce la parte più occidentale dell’Elba, fra la marina di Marciana volta a settentrione, e la marina di Campo che guarda il lato opposto.
L’Elba non è intersecata da alcun fiume, sivvero da piccoli torrenti, molti dei quali sono alimentati da rivi di acque sorgenti perenni e potabili, se si eccettuino quelle che diedero il nome al paese di Rio, presso il quale si affacciano le acque salino-ferruginose omonime.
Il clima dell’Elba in generale è temperato e sano, meno nel piano di Lungone, e in qualche altra insenatura, massimamente là dove alle acque marine si promiscuano quelle terrestri quando vi ristagnano. Non vi è poi situazione nell’Isola che non offra un aspetto magico, variato, e sorprendente per tutti coloro, cui palpita in seno un’anima sensibile: talchè da ogni parte, in ogni punto l’occhio scuopre prospettive variate e pittoresche.
Se poi la si vuol contemplare dal lato della storia naturale, l’isola dell’Elba a buon diritto appellare si potrebbe il più dovizioso gabinetto mineralogico della Toscana. È questo il sito dove sembra che la natura abbia voluto riunire in un piccolo diametro sorprendenti fenomeni, e tali da richiamarvi costantemente i di lei cultori, spinti e allettati, non solamente dalla singolare costituzione geognostica di questi monti, ma ancora dalla ricchezza delle miniere, e dalle preziose variate cristallizzazioni dei molti minerali che in quelle rocce si aggruppano e in belle forme si accoppiano.
Fra i naturalisti ed i fisici del secolo XVIII, che in generale o parzialmente la percorsero e la descrissero, possono contarsi il medico fiorentino Alberto Giuseppe Buzzegoli che, nel 1762, pubblicò un suo trattato sopra l’Acqua minerale di Rio, ed il chiar. geologo Ermenegildo Pini, che, nel 1117, diede alla luce in Milano le sue Osservazioni mineralogiche su la Miniera di Ferro di Rio ed altre parti dell’Isola d’Elba. – Più copioso è il novero dei naturalisti oltramontani che visitarono e scrissero alcunchè sulla mineralogia dell’Isola medesima; tali furono Ferber, il Baron de Dietrich, Tronsson de Coudrai , il tedesco Koestlin, ed il celebre De Sausure, che, per asserto del suo biogralo Sennebier, nel di lui Viaggio inedito dell’Italia comprese anche l’Elba.
Nel secolo attuale l’Isola medesima fu visitata dal ch.
Alessandro Brongniart, e nel 1808 fu particolarmente descritta dal naturalista Thiebaut De Berneaud , nel tempo che il matematico L. Puissant per ordine del suo governo sui monti e promontorii dell’Elba instituiva triangolazioni geodetiche, e l’ingegnere geogrado G. B. Poison disegnava ed ombreggiava la mappa della sua superfcie.
Più recentemente degli altri la percorsero e la esaminarono i professori naturalisti di due università della Toscana, cioè Paolo Savi di Pisa e Giuseppe Giulj di Siena.
Dirò, che io pure nel 1830, sul declinare del mese di marzo, e nei primi giorni di aprile in compagnia di un distinto geologo prussiano, Federigo Hoffmann, feci un escursione per l’isola dell’Elba, dove mi si offrì l’occasione d’imparare, che le rocce plutoniane in molti luoghi si erano fatte strada, e avevano alterato le rocce calcaree, le schistose ed i macigni; che le rocce granitiche trovavansi in alcuni siti imprigionate nelle rocce stratiformi a guisa di filoni; che il granito costituiva quasi generalmente la parte occidentale dell’Isola, a partire dalla marina di Marciana sino a quella del lato opposto di Campo; che la stessa roccia cristallina compariva di nuovo nel golfo di Lungone, e specialmente dal lato orientale di quel seno, subalterna e tramezzo ad una roccia di gneis; che il calcare salino avente i caratteri tutti di un marmo sublamellare, e talvolta saccaroide bianco-perlato, vedesi ora a contatto delle rocce di granito, segnatamente a liboccio di S. Ilario in Campo, in luogo detto Punta di Cavoli, ora contiguo alle rocce serpentinose, tale mostrandosi al Capo di Arco , che a levante di Porto Lungone, ed anche dal lato opposto dell’Isola nel golfo di Procchio alla base settentrionale dei poggi che servono di spina alla porzione occidentale dell’Elba. – Vidi, che le rocce serpentinose comparivano fra il calcare e il macigno dietro il poggio della miniera di Rio, nel golfo della Stella, sul corno sinistro del golfo di Procchio, a S. Piero in Campo ec.; che la spiaggia esteriore di Portoferrajo, al luogo della Ghiaja situata a maestrale e poco lungi dal Falcone, era coperta di ciottoli ovali di varia mole, spettanti ad una roccia feldspatica compatta di aspetto bianco amorfo, sparsa di particelle di mica, di turmalina e di piccoli cristalli quarzosi; la qual roccia feldspatica fu vista in posto al così detto Capo bianco , donde la violenza delle traversie e la forza dei flutti staccano di continuo quei massi, li rotolano, li logorano, e li trascinano sulla spiaggia. Infine potei quivi osservare un altra qualità di ciottoli e di ghiaja tufacea di colore ceciato, la quale spesse volte incrosta e forma un aggregato con i ciottoli feldspatici test nominati, e di cui apparisce formato il poggio del Forte S. Ilario presso al Capo bianco.
Non s’incontrarono in quella breve escursione terreni terziarii marini, nè sembra che dopo una più diligente ricerca ve li scuoprisse tampoco il prof. pisano Paolo Savi.
Quest’ultimo naturalista nel tempo che dava a sperare di fornire ai scienziati una sua carta geologica con l’opportuna descrizione dell’Isola stessa, quasi per anticipazione faceva inserire nel Nuovo giornale de Letterati di Pisa (anno 1833) un Cenno sulla costituzione geologica dell’isola dell’Elba , onde far conoscere alcuni fatti utili alla scienza, e non ancora da altri dotti stati avvertiti, o seppure sotto tutt’altro aspetto annunziati.
Giova quel Cenno ai studiosi per avere un’ idea chiara, non solamente della struttura geognostica dell’Elba, ma dei principali fenomeni e accidenti geologici che s’incontrano nei suoi terreni.
“La parte occidentale dell’Isola dell’Elba (diceva il Prof.
pisano) si forma dall’alta e conica montagna di Marciana, ch’è per la massima parte granitica. Un gruppo di monticelli di macigno e di granito, che da Portoferrajo giungono al Capo di Fonza , scorrendo trasversalmente all’Isola, cioè da settentrione a ostro, ne costituiscono la parte media. Questa, mediante una specie d’istmo formato da rocce serpentinose, si unisce con la porzione orientale, ch’è la più estesa delle altre; la quale, dopo aver dato origine, dal lato di settentrione, al seno di Portoferrajo , termina al Capo della Vita; mentre la medesima branca dal lato meridionale estendesi sino a levante del Golfo della Stella, dove forma il monte di Capo liveri e il Capo della Calamita”.
“Quattro sono le rocce pietrose che costituiscono quest’ultima porzione dell’Isola, cioè, il Macigno, il Verrucano (breccia siliceo-steoschistosa) il Calcare e il Serpentino.” “L’altra porzione montuosa nella parte settentrionale dell’Elba, vale a dire, la piccola giogana che sul lato di Portoferrajo si avanza da libeccio verso grecale-levante, appartiene alla formazione del Macigno, composta cioè di arenaria (pietra serena), di caleare alterato (quasi marmoreo) e di schisto galestrino. Alla base della stessa montuosità, verso il lato orientale havvi una serie di collinette afiolitiche, consistenti in serpentino e granitone, le quali separano i monti che voltano la fronte a grecale da quelli che costituiscono la costiera orientale fino al Capo della Calamita. L’esterna ossatura di quest’ultima costa maritt ima consiste in gran parte di calcare più o meno salino, e di quell’arenaria brecciata designata col nome di Verrucano, di cui crede il Savi che, a cagione delle rocce plutoniane che l’avvicinano, sia una modificazione quel gneis alterato dalle iniezioni granitiche, che fu pure osservato dal Prof. Federigo Hoffmann e da me nel seno di Porto Lungone. Finalmente a contatto del Verrucano , o piuttosto fra esso e la roccia calcarea, il Savi riscontrò i filoni metalliferi e le grandi masse del ferro dell’Elba, una delle quali costituisce l’antica ed inesauribile miniera di Rio”.
“Nell’Isola stessa, come dissi poco sopra, non havvi alcuna formazione referibile alla serie di quelle che i geologi sogliono appellare terreni terziarii. Vi sono bensì de’terreni alluvionali, e fra questi il prelodato Savi include una Pudinga a cemento calcareo, situata in due punti dalla costa settontrionale dell’Isola, il primo cioè alli Scalieri nel Golfo Viticcio, e l’altro al Capo della Vita nella punta più prominente dell’Isola verso la Terraferma.
Entrano pure fra i terreni di alluvione i ciottoli di feldspato candido della spiaggia delle Ghiaje imprigionati fra i cospicui depositi di tufo, che incrostano e avviluppano le stesse ghiaje feldspatiche sotto il Capo bianco .
Due anni dopo esser comparsa la memoria geologica testè indicata, fu pubblicato in Siena per i torchi di Onorato Porri un opuscolo del Prof. Giuseppe Giulj, che portava il seguente titolo: Progetto d’una carta geografica ed orictognostica della Toscana per servire alla tecnologia, o al modo di rendere utili i minerali del Granducato alle arti, ed alle manifatture; a cui s’unisce la carta topografica geognostica ed orittognostica dell’Isola dell’Elba, ed isolette adiacenti colle necessarie spiegazioni per dare una idea dell’applicazione del Progetto.
La prima parte relativa al Progetto era stata inserita sino dal 1833 nel giornale di Belle arti e Tecnologia di Lampato in Venezia. La seconda parte spettaute all’esecuzione particolare del Progetto, in cui è presa per modello l’Isola dell’Elba, venne alla luce la prima volta nell’anno 1835. A questa ultima trovasi unita una piccola Carta geognostica ed orictognotica dell’Elba e dei piccoli isolotti adiacenti, preceduta da un’illustrazione per dare un’idea del modo, con cui il professor Giulj vorrebbe eseguire il suo laborioso e grande Progetto per tutta la Toscana da esso lui a tal fine visitata.
Secondo le osservazioni e la classazione scientifica del Prof. senese i terreni predominanti nell’Isola dell’Elba sarebbero sei, cioè: 1.° il Calcareo, che è comune al vicino scoglio o isolotto di Cerboli nel canal di Piombino, 2.° il Serpentino, 3.° lo Schisto-calcareo, 4.° il Granito, 5.° lo Schisto-argilloso , 6.° le Miniere estese di ferro .
Con uno speciale avviso nella nota (2) pagina 15, si avverte il lettore, che il Macigno esiste soltanto nell’isola di Palmajola.
Fra le specie minerali, l’autore indica le seguenti 18, cioè: 1.° Kaolino; 2.° Amianto; 3.° Quarzo; 4.° Marmo Statuario; 5.° Turmalina; 6.° Calcedonio ; 7.° Ossido di Manganese, 8.° Smeriglio; 9.° Cianite ; 10.° Ferro solfato; 11.° Berillo; 12.° Granato nobile; 13.° Rame; 14.° Ferro magnetico; 15.° Terra gialla; 16.° Potassa nitrata; 17.° Acque minerali potabili; 18.° Jenite e Amfibula.
Altri, non io, potrà, se vuole istituire confronti can le opere di quelli autori che visitarono o che scrissero sulle varie cristallazioni minerali dell’Isola dell’Elba, (per esempio il P. Pini nell’opera citata, e Ottaviano Targioni-Tozzetti nella sua descrizione dei minerali ritrovati in un sol masso di granito dell’Elba); dirò solamente, che, in quanto alla serie dei terreni dell’Elba, designati nel Progetto dal Prof. Giulj, a taluno forse non sembrerà giusto di vedere escluso il Macigno, tostochè molti naturalisti ve lo trovarono in tanta copia da occupare un posto importante nella carta geognostica della stessa contrada. In quanto poi alle specie minerali segnalate dal Prof. senese, non troverà coerente al principio ammesso dall’autore quello d’inserire fra i minerali il marmo statuario, e forse anche alcune altre sostanze, tosto che quello e queste potrebbero dirsi modificazioni, o al più membri dei terreni che l’A. aveva già ammesso fra i predominanti dell’Isola in discorso.
Finalmente nel 1836 il prof. Savi fece inserire nel già citato giornale de’Letterati di Pisa un’apposita memoria sulla Miniera dell’Elba; nella quale, dopo aver fatto una succinta descrizione geognostica dell’Isola, tratta in altrettanti articoli della Miniera di Rio, della sua escavazione, della qualità e classazione scientifica delle varie specie di quel minerale, del suo trasporto a Follonica e altrove per fondere quella Vena in ghisa o ferraccio ec.
L’isola dell’Elba a cagione della ricchezza dei suoi filoni di ferro è più nota nella storia mineralogica che non lo sia nella civile e politica: donde consegue che da tutti con enfasi si ripete quel noto verso di Virgilio, Insula inexhaustis chalybum generosa metallis.
La dove il Prof. Savi ragionava della disposizione geognostica e della natura delle rocce che costituiscono il monte della miniera di Rio e sue attinenze, volle anche riepilogare quel più che da lui stesso nel Cenno geologico del 1833 era stato annunziato relativamente ad altri filoni di ferro che incontransi a qualche distanza dal monte della miniera di Rio. Fra i quali citava il filone della Cavina di Capo del Pero , che l’autore considera una ripetizione in piccolo della miniera di Rio. Così al monte della Calamita indicava un grosso filone di ferro inserito, anzi posto a immediato contatto della roccia calcarea con quella del Verrucano.
Quantunque, a parere del Prof. Savi, non siavi dubbio, che la miniera di Rio debba esser riguardata come appartenente alla serie delle miniere in filoni, pure sono, dic’egli, scusabili quei naturalisti, i quali hanno asserito altrimenti. Avvegnachè oltre ad essere costà potentissime le diramazioni del gran filone metallico, ossia del complesso, o nodo di grossi filoni, i quali in più direzioni attraversano molte porzioni delle rocce pietrose del gran filone matrice, pure tali rocce trovansi si fattamente dal ferro alterate che si possono con la miniera confondere; mentre altre porzioni pietrose del Verrucano brecciato restano totalmente nascoste e sepolte sotto gli sterminati ammassi delle gettate, ossia degli spurghi della miniera medesima.
Gli strati pietrosi che servono di tetto alla miniera di Rio appartengono a un Calcare compatto , in alcuni luoghi alterato e convertito in Calcare cavernoso ripieno di piriti tessulari.
Tali strati hanno una generale inclinazione da levante a ponente, la qual direzione fu riscontrata dal Prof. Savi comune a quella di tutte le rocce stratiformi sparse nell’isola dell’Elba. Gli strati delle rocce pietrose che costituiscono il letto della miniera suddetta, in vicinanza della marina, appartengono alla formazione del terreno di macigno alterato, ossia al Verrucano del Savi, cui egli attribuisce l’Arenaria quarzo-talcosa ed i Schisti siliceo-magnesiaci verdastri di quella località. A quest’ultima formazione riferisce anco l'Isolotto davanti a Rio, ed una parte del monte a destra della marina di Rio, su cui è fabbricata la Torre; come pure il Selvoso Monte Giove, il quale ultimo è separato verso grecale dal monticello della miniera per un assai scosceso burrone. – Vedere RIO Comunità.
La miniera del ferro ha dato, come dissi, una remota celebrità all’isola dell’Elba; essendochè la sua scavazione era conosciuta fino dai tempi di Alessandro Magno, seppure il di lui maestro Aristotele fu il genuino autore dell’opera che porta per titolo De mirabilibus auscul tantionibus; giacchè in essa la miniera di ferro dell’Elba è rammentata sotto nome di Ferro Populonio , non solamente perchè l’Isola stessa apparteneva al distretto di Populonia, ma perchè erano in Populonia i forni, nei quali anche nei primi secoli dell’Era volgare quel minerale si fondeva. – Se Virgilio pertanto aveva ragione di chiamare inesauribile la miniera dell’Elba, ebbe torto altronde Strabone a scrivere, che questo terreno avesse tale e tanta virtù da riprodurre le miniere nelle fosse, donde i metalli erano stati scavati (Geogr. Lib. V). Che se alla tradizione non prestò molta fede dodici secoli dopo Strabone, la rimise per altro in campo il naturalista senese Vannoccio Biringucci , dicendo: essere opinione di molti, che fra certo tempo in quel terreno, dove già si cavò la miniera, di nuovo il ferro si rigenerasse. Finalmente nel secolo ultimo passato in una Memoria sulla Miniera di ferro cristallizzato dell’Isola dell’Elba, il francese Tronsson de Coudrai ritornò ad affacciare l’idea di Strabone, appoggiandola al fatto di due picconi incrostati di minerale, che egli vedde presso l’intendente di quell’escavazione; opinione che, senza negare il fatto di picconi, fu dichiarata erronea dal P. Ermenegildo Pini nelle Osservazioni mineralogiche su la miniera di Ferro di Rio (§. 30), da quello stesso naturalista, che dissentì pure dal sentimento del Ferber: che il monte cioè della miniera di Rio potesse essere una continuazione di alcune montagne del vicino continente, e segnatamente del Campigliese, di Massa marittima ec.
Vidi pure io uno strumento di ferro che fu dissepolto da alcuni di quelli abbandonati scavi, il quale arnese trovavasi ricoperto da un’intonaco ferruginoso.
Incrostazioni di tal fatta le vide ed esaminò il prenominato Prof. Savi, il quale giustamente ne assegnò la causa a quella stessa, per la quale si formano le stalattiti nei terreni calcarei, coll’attribuire un tal fenomeno alle infiltrazioni e depositi delle acque cariche di ossido di ferro che s’infiltrano quotidianamente dentro le miniere di Rio. Nelle viscere di quel monticello nasce e riceve i suoi principii salino-ferroginosi l’acqua minerale di Rio, che scaturisce alla sua base orientale. Essa fu diligentemente analizzata nel 1828, e quindi pubblicato il chimico risultamento dal farmacista Portoferrajese Giov. Battista Pandolfini-Barberi, in guisa da non aver d’uopo che una nuova analisi venisse posteriormente istituita nel 1834 da due altri farmacisti di Portoferrajo – Vedere RIO Comunità.
Comecchè la marina di Rio non abbia uno scalo sicuro e suffciente a ricoverare in tempo di traversie i molti legni destinati al trasporto delle doviziose miniere, pure ad essi presta refugio opportuno il vicino sicuro golfo di Porto Lungone.
Dalla miniera di Rio si estraggono un anno per l’altro sopra 53 milioni di libbre di vena, dei quali circa 15 milioni si fondono, dal mese di dicembre al giugno, nei forni di Follonica, 8 milioni nei forni di Cecina e di Capalbio, e 20 milioni di libbre si trasportano a Civitavecchia, a Genova, e nel regno delle Due Sicilie.
Già fino dal principio del presente articolo si disse, che l’Isola dell’Elba è formata dall’aggruppamento di alcune montuosità emerse dal mare, li di cui scoscesi contrafforti in varia forma e direzione vanno ad’immergersi nel mare Mediterraneo, formando intorno all’Isola una costa frastagliata e spesso incavata da seni, e da porti naturali più o meno estesi, profondi e sicuri.
Per quanto però quest’Isola debba dirsi montuosa, per quanto le sue rocce siano ora cristalline, ora compatte-stratiformi, e tutte pietrose, nondimeno molte di esse alla superficie del suolo vengo’no dagli agenti meteorici incotte a poco a poco stritolate, e quindi ridotte in arena suscettibile a trasformarsi in terreno da coltura.
Infatti i monti delle rocce granitiche a ponente dell’Isola, al pari di quelli esposti al suo levante ed a settentrione sono quasi per ogni dove vestiti di lecci, di querce, di castagni, o di alberi da frutto, soprattutto di noci; ai quali monti fanno pendice i colli sparsi di vigne, di oliveti, e di piante proprie dei climi più meridionali. Sono di questo numero la palma dattifera, il fico d’India (opuntia) l’aloe (agave americana), le quali ultime due piante nascono spontanee, e servono nell’Elba come a Piombino per circondare i campi a guisa di siepi. Fra i suffrutici e i frutiei abbondano i lentischi, il rosmarino, i cisti, i mirti, l’isopo, il timo, le scope, gli albatri, i citisi, le madri- selve, le sabine ec.
Nel 1816 il Prof. Antonio Targioni-Tozzetti nel visitare quest’Isola raccolse alcune notizie statistiche, che fornirono argomento ad una sua memoria letta all’accademia dei Georgofili a Firenze.
I vini dell’Isola dell’Elba, massime quelli che si ottengono dai vigneti piantati nella parte orientale, riescono di ottima qualità, al pari dell’aceto fortissimo che vi si fabbrica: talchè ad aunata piena la raccolta arriva a 100,000 barili di vino di eccellente sapore e spiritoso, gran parte del quale si spedisce in Toscana e altrove.
Scarseggiano i cereali, più ancor l’olio, nè possono dirsi copiosi i pascoli o le castagne. Gli animali cavallini e somarini, che ascendono a circa 1600 capi, sono piccoli ma pieni di brio. Il bestiame vaccino non oltrepassa i 250 capi, il pecorino i 1300, ma il più copioso e il più nocivo è il caprino, del quale esistono all’Elba per fino a 1800 capi.
La pecuaria dall’Elba fornisce latticini delicati, le api un miele squisito in grazia dell’erbe o fiori aromatici dei quali si nutrono. – Scarsissimo e il bestiame porcino ed il pollame.
Fra gli animali saltatici vi sono lepri, conigli, scoiattoli, ghiri ec. I lupi ed i cinghiali già da gran tempo furono estirpati dall’Elba. Vi nidificano, fra i volatili, le pernici, le tortore, le quaglie, le starne, i colombi, le lodole, i passeri ed altri uccelli di simili specie.
Il mare intorno all’Isola offre abbontantissime e variate pescagioni; fra le quali riescono le più lucrose quelle dei tonni, delle acciughe e delle sardelle.
Le saline del golfo di Portoferrajo poste lungo la spiaggia, da libeccio a ostro del capoluogo dell’Isola, furono ordinate dal Granduca Francesco II, e possono fornire annualmente perfino a 60,000 sacca di sale di circa 140 libbre il sacco (8,400,000 libbre) che si deposita nei vicini magazzini, il più vasto dei quali fu fatto costruire alla punta del Capo Bianco dal Granduca Leopoldo I.
Da pochi anni in quà il chimico Giov. Battista Pandolfini-Barberi, previa l’annuenza del governo, ottenne dalle acque madri delle saline di Portoferrajo una vistosa quantità di ottimo sale purgativo (solfato di magnesia) la cui costante raccolta non solo giovò a supplire agli effetti medicinali del sal d’Inghilterra, o d’Epsom, ma ancora a migliorare il sale marino di Portoferrajo, che innanzi la preaccennata operazione soleva unirsi a quello prodotto dalle acque madri.
Vi sono due tonnare, una nel golfo di Portoferrajo, e l’altra, che è la più estesa, nel golfo di Procchio, presso il luogo denominato il Bagno. In esse dalla primavera sino al novembre si fa un’abbondante pesca di tonno.
Si contano in tutta l’Isola dell’Elba, sopra 240 bastimenti da trasporto della capacità in tutti di circa 17,000 tonnellate. Molti di essi sogliono costruirsi nel piccolo contiere della marina di Marciana, i di cui abitanti sono quasi tutti esperti, attivi e coraggiosi marinari.
In quanto alla storia civile e politica dell’Isola dell’Elba mancano notizie sicure dalla decadenza delle cose romane fino al secolo XI dell’Era volgare; ed anche poco o punto se ne conosce dei tempi di Roma antica quando pure non si volesse prestar fede all’enfatico poeta Silio Italico, ed a certe altre leggende create da troppo semplici, o da troppo maliziosi scrittori. Quello che si sà di meno dubbio è, che nel secolo VI dell’E. V. l’Isola dell’Elba dipendeva dal governo civile ed ecclesiastico di Populonia, e che in essa il santo vescovo di quella chiesa, Cerbone, ed i suoi preti si refugiarono dalla persecuzione del duca longobardo Gumaritt, quando tutta la volterrana Maremma e la città di Populonia fu messa a ferro e fuoco. Durante il dominio dei Longobardi l’Isola dell’Elba e tutto il littorale toscano, per asserto del Pontefice Andriano I, dipendeveno dal duca della Marca toscana residente a Lucca, o a Pisa.
Nel secolo XI però l’Isola dell’Elba sembra che restasse sotto la speciale dipendendenza dei reggitori del Comune di Pisa, cui venne tolta dai Genovesi nel 1290, sei anni dopo la fatale giornata della Meloria.
Le recuperarono i primi a patti onerosi dettati dai secondi mercè di un trattato, nel 1309, quando era potestà e capitano generale dei Pisani il conte Federigo da Montefeltro. In tale occasione i mercanti, ed i più ricchi cittadini si trovarono dal governo obbligati a somministrare la somama di 56,000 fiorini d’oro destinata a pagare l’imposione per l’acquisto dell’Elba, col ricevere in cambio una proporzionata partita di vena della miniera di Rio. Il qual fatto taciuto sinora, (se pur non erro) dai cronisti pisani, manifestamente lo mostrano tre pagamenti fatti nell’anno 1310 (stile comune) da diversi cittadini ti Pisa. Il primo e un istrumento rogato li 11 agosto 1310 (stile pis.) col quale un tal Luparello albergatore della cappella di S. Matteo li Pisa pagò 5000 fiorini d’oro nelle mani dell’esattore del Comune di Pisa, per l’imposizione di 56,000 fiorini, che dovevano servire per comprare l’Isola dell’Elba al tempo di Federigo conte di Montefeltro potestà e capitano generale di Pisa (ARCH.
DIPL. FIOR. Carte del Monast. Di S. Michele in Borgo di Pisa).
Il secondo appella a un’altro pagamento effettuato ai 21 agosto dell’anno medesimo da un tal Marino Livornese, spedalingo e patrono dell’opedale di S. Ranieri di Livorno, all’occasione che sborsò all’esattore del Comune di Pisa fiorini 30 d’oro in conto dell’imposizione alla città e contado di Pisa per presso dalla vena del ferro dell’Isola dell’Elba da vendersi a quelli, ai quali era stata mandata l’imposizione. – Un terzo pagamento è del 5 novembre dell’anno stesso 1311, quando Bartolo del fu Iacopo da Montemagno confessò al procuratore generale d’una società mercantile, che amministrava la vena dell’Elba per interesse del Comune di Pisa, di aver ricevuto tre centenarj di quel minerale, del peso di libbre 33,333 e 1/2 per centenaro , al prezzo di fiorini 180 d’oro, equivalenti a fiorini 60 per ogni centenaro; col quale atto quel debitore prometteva di fare il convenuto pagamento dentro il termine di mesi sei. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Primaziale di Pisa).
L’Isola dell’Elba si governò con le leggi di Pisa fino a che, nel 1399, il capitano di quel popolo, Gherardo di Appiano negoziò e vendè la patria, e con essa tutto il dominio pisano al duca di Milano Gio. Galeazzo Visconti.
Di che venne egli remunerato con grossa somma di moneta e con rilasciargli il libero governo della porzione più remota del contado pisano, cioè della maremma di Piombino insieme con le Isole dell’Elba, di Pianosa e di Monte Cristo, che allora ne dipendevano. – Vedere PIOMBINO.
Era mancato già da tre anni Iacopo Appiano V dinasta di Piombino, che lasciò un figlio pupillo sotto la reggenza della madre, quando, nell’aprile del 1548, gli apparati di varie potenze indussero l’Imperatore Carlo V a far consegnare una porzione dell’Isola dell’Elba cioè il territorio di Portoferrajo al duca di Firenze Cosimo I per fortificarlo e presidiarlo. Quest’ultimo paese è così ben favorito dalla natura che, mediante un colle bicipite posto alle sue spalle, il seno del Ferrajo resta quasi chiuso dall’aperto mare, ed ha poi al suo ingresso una lingua di terra che, stendendosi in mezzo al golfo, viene a formare la bocca del porto.
Furono infatti da Cosimo I inviati al Ferrajo con mille soldati 300 guastatori e muratori per intraprendere sotto la direzione dell’architetto militare Gio. Battistta Camerini la costruzione dei tre punti da esso lui designati. Fu quindi dato il nome di Falcone alla fortezza eretta sulla prominenza maggiore posta a settentrione del porto; si appellò Stella l’altra fortezza sulla prominenza a grecale del paese, stantechè le di lei fortificazioni trovansi disposte a guisa di raggiera; e fu detta Linguella la solida torre ottagolare situata all’estremità di una lingua di terra sull’ingresso interno del porto. Alle quali fortificazioni, eseguite con mirabile sollecitudine e diligenza, il Granduca che a tutto provvedeva dalle sue stanze di Livorno, fece aggiungere un recinto intorno al sottoposto paese di gagliardissime mura, chiamandolo del suo fondatore col vocabolo di Cosmopoli. Vedere PORTOFERRAJO.
Il territorio in quell’occasione assegnato al distretto di Portoferrajo si estendeva dentro terra per un raggio di circa due miglia nei limiti dipresso di quelli che costituiscono l’attuale comunità. Il Fanale esistente sulla punta estrema del forte Stella fu fatto innalzare nel 1788 dal Granduca Leopoldo I.
Nel 1533 una flotta Turca unita ad altra Francese, comparve ai 7 di agosto davanti all’Elba con animo d’insignorirsi di Portoferrajo. Smontò a terra le sue truppe dalla parte di Porto Lungone, prese Capoliveri, assalì la fortezza del Giogo (sopra Monte Giove) e devastò le Terre di Rio e di Marciana, mettendo a sacco e fuoco tutta la contrada; ma Portoferrajo, gagliardamente da Cosimo I provvista di soldati e di munizioni, restò illesa da tanto danno e sorpresa.
In tutto il restante dell’Isola dell’Elba, costituente le tre Comunità di Marciana, Lungone e Rio, continuarono a comandare i principi di Piombino, se si eccettui il Porto di Lungone, nel quale il governo di Filippo III re di Spagna sotto appello di ricovrarsi una flotta di galere, ma in realtà per tenere in soggezione le fortificazioni del Portoferrajo, nel 1596 profuse un’enorme moneta per fabbricare sul corno sinistro di quel seno la grandiosa fortezza che ivi si vede, dove per il corso di un secolo e mezzo stette di presidio una numerosa guarnigione spagnuola, rimpiazzata nel 1759 dalle truppe napoletane soggette al ramo Borbonico attualmente regnante nelle Due Sicilie.
Vedere LUNGONE.
Dagli avvenimenti politici che per le cose di Francia sconvolsero l’Europa nelle ultime decadi del secolo XVIII e nei primi anni del secolo che corre, non andò esente tampoco l’Isola dell’Elba.
Non dirò dello sbarco a Portoferrajo di 4000 realisti emigrati da Tolone sopra legni inglesi, accaduto nel primo giorno dell’anno 1794.
Non dirò come sopra questa piazza forte dopo che le truppe francesi ebbero occupato Livorno, si diresse un’armata navale inglese dalla Corsica; nè come Portoferrajo, in forza di una convenzione dei 10 luglio 1796, dal presidio del Granduca di Toscana fu ceduta agl’Inglesi. Nemmeno starò a ripetere in qual guisa questi ultimi, nell’aprile dell’anno 1797, dovettero riconsegnare la stessa piazza al suo legittimo sovrano; nè per quali vicende tutta l’Isola, nell’aprile del 1799, cadesse sotto il dominio del direttorio francese. Non farò parola dell’assedio Sostenuto dal presidio napoletano nella fortezza di Lungone, nè dell’insurrezione degli Elbani, quando uniti alle suddette truppe napoletane assediarono quelle della Repubblica francese nelle fortificazioni di Portoferrajo, sino al punto di obbligare a capitolare la resa (17 luglio 1799) e quindi imbarcarsi per ristabilire costà il governo toscano in nome del Granduca Ferdinando III.
Dirò solamente, essere stata tale la fedeltà degli Elbani verso l’amato loro principe, che, mediante il trattato di Luneville (9 febbrajo 1801), l’Isola dell’Elba essendo stata ceduta insieme con la Toscana all’Infante Lodovico di Borbone nuovo re di Etruria moderna, il presidio di Portoferrajo unito ai coraggiosi abitanti si opposero e resisterono animosi alle forze unite di terra e di mare spedite dalla Francia per riconquistare l’Isola. Ma ogni sforzo riescì vano fino a che il Granduca Ferdinando III, dopo la conclusione del trattato di Amiens (25 marzo 1802) non inviò al comandante di Portoferrajo la sua annuenza, affinchè si sottomettesse al governo francese, cui era stata in ultima analisi ceduta tutta l’Elba. Questa venne da primo separatamente amministrata, poscia (7 Aprile 1809) riunita al Granducato sotto l’amministrazione di Elisa sorella dell’Imperator dei Francesi, di quell’uomo straordinario, che occuperà sempre un posto eminente nell’istoria militare e politica del mondo, di quel Napoleone Bonaparte, che dopo aver vinto cento battaglie e conquistata la metà dell’Europa, dovè scegliersi per reggia Portoferrajo, per totale dominio la piccola Isola dell’Elba, fino a che dopo pochi mesi (dal 3 maggio 1814 al 26 febbrajo 1815) fu da esso lui cotanto angusta sede abbandonata per correr dietro a quella sorte che gli aveva voltate le spalle; sicche l’Isola dell’Elba fu nell’anno istesso consegnata al governatore per il suo ben amato Sovrano. – Vedere PORTOFERRAJO.
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1835, Volume II, p. 585.
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