ISOLA DI CAPRAJA
(Capraria, Aegilon)
– Piccola isola con un grosso villaggio dello stesso nome, e una chiesa plebana (S. Nicola di Bari) capoluogo di Mandamento, nella Provincia e Diocesi di Genova, una volta di Luni, R. Sardo.
L’isoletta di Capraja, la quale occupa appena 7 miglia toscane di superficie quadrata e 16 incirca di circonferenza, è situata fra il grado 27° 26’ 5’’ e 27° 0’ 2’’ di longitudine, ed, il grado 43° 0’ 3’’ e 43° 44’ 4’’,di latitudine. – Trovasi 23 miglia toscane a maestrale dall’Isola dell’Elba, 25 a grecale dal Capo Corso, 30 miglia toscane da Bastia in Corsica, 42 a libeccio di Livorno, e 110 miglia toscane a ostro da Genova.
È di forma bislunga, montuosa, scoscesa e di difficile accesso, meno che verso la costa orientale. Da questo lato è il villaggio sopra un porto protetto da un’forte piantato su di una rupe, stato fabbricato dai Genovesi nel principio del secolo XII. Un miglio toscano circa distante al suo settentrione havvi un altro piccolo scalo denominato il Porto vecchio , dove tuttora appariscono ruderi di un antico paese e di una chiesa con monastero dedicata a S.
Stefano.
Non è improbabile che cotesta Isola traesse il nome di Capraja dalle molte capre, che tuttora selvatiche si trovano costà al pari che in altre isolette più deserte dell’Arcipelago toscano.
La qualità del suo terreno è nella massima parte di rocce cristalline, fra le quali si noverano diversi marmi serpentini, de’graniti e delle lave, talchè più di un naturalista dichiarò quest’isola di origine vulcanica, o almeno plutoniana.
Infatti il P. Ermenegildo Pini, che soleva attribuire molte fatture del nostro pianeta più all’acqua che al fuoco, dichiarò, che l’isola di Capraja era certamente un prodotto del fuoco; perciocchè la trovò sparsa intorno di lave, di scorie, di pozzolana e di ceneri vulcaniche, e nella parte centrale della medesima vide un laghetto, il di cui bacino qualificò per un antico cratere di vulcano spento.
(PINI, Osservazoni sulla miniera del ferro di Rio ec. §.
38).
Realmente nella punta meridionale dell’isola, al Capo zenopido, distante dal porto di Capraja circa 4 miglia toscane verso ostro, scorgesi una specie di cratere vulcanico, cui aumenta credito il terreno all’intorno cosperso di pozzolana mista a dei frammenti di pomice.
Sopra poi la sommità della piccola catena di monti costà emersi dal mare, distante 3 miglia toscane a ponente del villaggio di Capraja, esiste sempre il laghetto accennato dal naturalista milanese Pini, laghetto cui gl’isolani sogliono qualificare col vocabolo di Stagnone.
L’ossatura predominante dell’Isola è formata da una roccia quarzosa di tinta grgio-nericcia, da uno steaschisto color di piombo, da una pietra cornea, e da rocce granitiche. Vi abbonda pure un argilla di ottima qualità adoperata dagl’indigeni per fabbricare stoviglie.
Il terreno è generalmente sterile; le produzioni del suolo si riducono a poche granaglie, ad una scarsa saporita pastura ed a pochissim’olio. La principale risorsa agraria dei Capraiesi sta nel raccolto del vino che riesce di eccellente qualità.
Gli abitanti sono naturalmente marinari, dovendo essi per la maggior parte guadagnarsi da vivere mediante la pesca, o il cabotaggio.
Fu Capraja al pari della Gorgona fra le prime isolette del Mar tirreno, dove sino dal secolo IV si refugiarono alcuni Cristiani a condur vita anacoretica, sebbene dispregiati e derisi dall’idolatra patrizio francese Rutilio Numaziano. Il quale ricordò i monaci della Capraja nel tempo che valeggiando lungo il littorale toscano, scriveva il suo itinerario : Processu pelagi, jam se Capraria tollit, Squallet lucifugis insula plena viris, etc.
Infatti i cenobiti della Capraja vi dovevano essere stati in copioso numero, tostochè la spedizione di un’armata marittima ai tempi del’Imperatore Onorio, essendosi incamminata verso l’Affrica per reprimere il ribelle Gildone, l’ammiraglio di quella flotta, per asserto dello storico Paolo Orosio, volle approdare con alcuni legni a Capraja ad oggetto d’imbarcare una porzione di quei monaci, dei quali l’isola allora era piena.
In quanto alla giurisdizione ecclesiastica, sembra che la Capraja nei primi secoli del Cristianesimo fosse compresa insieme con la Gorgona nella Diocesi di Luni, siccome apparisce da alcune lettere di Gregorio Magno scritte al Ven; Veneziano vescovo della prenominata città. – Vedere LUNI-SARZANA Diocesi.
L’Isola di Capraja dopo il secolo X, se no prima restò quasi sempre una dipendenza della Corsica in quanto al politico, siccome lo era stata di Luni per la parte ecclesiastica. – La conquistarono i saraceni, ai quali fu ritolta ai Pisani, e a questi confermata mediante ripetuti diplomi imperiali da Arrigo VI, Ottone IV e Carlo IV, insieme con le isole della Corsica, della Gorgona, dell’Elba e della Pianosa. Più tardi la Capraja divenne signoria del patrizio Iacopo di Maro, che venne spogliato nell’anno 1507 dalla Rep. Genovese. Allo stesso governo fu ripresa dai corsi nella loro sollevazione del 1767, e quindi nell’anno susseguente, essendo stata rinunziata la Corsica al governo di Francia, restò eccettuata l’isola di Capraja, che d’allora in poi venne riunita alla Repubblica di Genova.
Nel 1814 la stessa isoletta fu occupata ostilmente dagl’Inglesi, ed il loro ammiraglio Nelson fino dall’anno 1796 aveva fatto saltare in aria una parte della fortezza sopra al porto. Finalmente nel 1825 in forza del trattato di Vienna, l’isola di Capraja fu consegnata con tutto il territorio Ligure al Re di Sardegna.
Circa 60 militari costituiscono la guarnigione di Capraja, il di cui comandante ha l’incarico della polizia e della sanità.
Risiedono nel paese di Capraja, oltre il comandante dell’Isola, un commissario di marina ed un giudice di prima istanza, le cui sentenze per affari di commercio, sino alle lire 300, sono inappellabili.
L’Intendenza generale, l’ufizio della conservazione delle Ipoteche ed il tribunale di Appello sono in Genova.
La parrocchia arcipretura di S. Niccola di Bari a Capraja conta circa 1000 abitanti.
L’isoletta di Capraja, la quale occupa appena 7 miglia toscane di superficie quadrata e 16 incirca di circonferenza, è situata fra il grado 27° 26’ 5’’ e 27° 0’ 2’’ di longitudine, ed, il grado 43° 0’ 3’’ e 43° 44’ 4’’,di latitudine. – Trovasi 23 miglia toscane a maestrale dall’Isola dell’Elba, 25 a grecale dal Capo Corso, 30 miglia toscane da Bastia in Corsica, 42 a libeccio di Livorno, e 110 miglia toscane a ostro da Genova.
È di forma bislunga, montuosa, scoscesa e di difficile accesso, meno che verso la costa orientale. Da questo lato è il villaggio sopra un porto protetto da un’forte piantato su di una rupe, stato fabbricato dai Genovesi nel principio del secolo XII. Un miglio toscano circa distante al suo settentrione havvi un altro piccolo scalo denominato il Porto vecchio , dove tuttora appariscono ruderi di un antico paese e di una chiesa con monastero dedicata a S.
Stefano.
Non è improbabile che cotesta Isola traesse il nome di Capraja dalle molte capre, che tuttora selvatiche si trovano costà al pari che in altre isolette più deserte dell’Arcipelago toscano.
La qualità del suo terreno è nella massima parte di rocce cristalline, fra le quali si noverano diversi marmi serpentini, de’graniti e delle lave, talchè più di un naturalista dichiarò quest’isola di origine vulcanica, o almeno plutoniana.
Infatti il P. Ermenegildo Pini, che soleva attribuire molte fatture del nostro pianeta più all’acqua che al fuoco, dichiarò, che l’isola di Capraja era certamente un prodotto del fuoco; perciocchè la trovò sparsa intorno di lave, di scorie, di pozzolana e di ceneri vulcaniche, e nella parte centrale della medesima vide un laghetto, il di cui bacino qualificò per un antico cratere di vulcano spento.
(PINI, Osservazoni sulla miniera del ferro di Rio ec. §.
38).
Realmente nella punta meridionale dell’isola, al Capo zenopido, distante dal porto di Capraja circa 4 miglia toscane verso ostro, scorgesi una specie di cratere vulcanico, cui aumenta credito il terreno all’intorno cosperso di pozzolana mista a dei frammenti di pomice.
Sopra poi la sommità della piccola catena di monti costà emersi dal mare, distante 3 miglia toscane a ponente del villaggio di Capraja, esiste sempre il laghetto accennato dal naturalista milanese Pini, laghetto cui gl’isolani sogliono qualificare col vocabolo di Stagnone.
L’ossatura predominante dell’Isola è formata da una roccia quarzosa di tinta grgio-nericcia, da uno steaschisto color di piombo, da una pietra cornea, e da rocce granitiche. Vi abbonda pure un argilla di ottima qualità adoperata dagl’indigeni per fabbricare stoviglie.
Il terreno è generalmente sterile; le produzioni del suolo si riducono a poche granaglie, ad una scarsa saporita pastura ed a pochissim’olio. La principale risorsa agraria dei Capraiesi sta nel raccolto del vino che riesce di eccellente qualità.
Gli abitanti sono naturalmente marinari, dovendo essi per la maggior parte guadagnarsi da vivere mediante la pesca, o il cabotaggio.
Fu Capraja al pari della Gorgona fra le prime isolette del Mar tirreno, dove sino dal secolo IV si refugiarono alcuni Cristiani a condur vita anacoretica, sebbene dispregiati e derisi dall’idolatra patrizio francese Rutilio Numaziano. Il quale ricordò i monaci della Capraja nel tempo che valeggiando lungo il littorale toscano, scriveva il suo itinerario : Processu pelagi, jam se Capraria tollit, Squallet lucifugis insula plena viris, etc.
Infatti i cenobiti della Capraja vi dovevano essere stati in copioso numero, tostochè la spedizione di un’armata marittima ai tempi del’Imperatore Onorio, essendosi incamminata verso l’Affrica per reprimere il ribelle Gildone, l’ammiraglio di quella flotta, per asserto dello storico Paolo Orosio, volle approdare con alcuni legni a Capraja ad oggetto d’imbarcare una porzione di quei monaci, dei quali l’isola allora era piena.
In quanto alla giurisdizione ecclesiastica, sembra che la Capraja nei primi secoli del Cristianesimo fosse compresa insieme con la Gorgona nella Diocesi di Luni, siccome apparisce da alcune lettere di Gregorio Magno scritte al Ven; Veneziano vescovo della prenominata città. – Vedere LUNI-SARZANA Diocesi.
L’Isola di Capraja dopo il secolo X, se no prima restò quasi sempre una dipendenza della Corsica in quanto al politico, siccome lo era stata di Luni per la parte ecclesiastica. – La conquistarono i saraceni, ai quali fu ritolta ai Pisani, e a questi confermata mediante ripetuti diplomi imperiali da Arrigo VI, Ottone IV e Carlo IV, insieme con le isole della Corsica, della Gorgona, dell’Elba e della Pianosa. Più tardi la Capraja divenne signoria del patrizio Iacopo di Maro, che venne spogliato nell’anno 1507 dalla Rep. Genovese. Allo stesso governo fu ripresa dai corsi nella loro sollevazione del 1767, e quindi nell’anno susseguente, essendo stata rinunziata la Corsica al governo di Francia, restò eccettuata l’isola di Capraja, che d’allora in poi venne riunita alla Repubblica di Genova.
Nel 1814 la stessa isoletta fu occupata ostilmente dagl’Inglesi, ed il loro ammiraglio Nelson fino dall’anno 1796 aveva fatto saltare in aria una parte della fortezza sopra al porto. Finalmente nel 1825 in forza del trattato di Vienna, l’isola di Capraja fu consegnata con tutto il territorio Ligure al Re di Sardegna.
Circa 60 militari costituiscono la guarnigione di Capraja, il di cui comandante ha l’incarico della polizia e della sanità.
Risiedono nel paese di Capraja, oltre il comandante dell’Isola, un commissario di marina ed un giudice di prima istanza, le cui sentenze per affari di commercio, sino alle lire 300, sono inappellabili.
L’Intendenza generale, l’ufizio della conservazione delle Ipoteche ed il tribunale di Appello sono in Genova.
La parrocchia arcipretura di S. Niccola di Bari a Capraja conta circa 1000 abitanti.
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1835, Volume II, p. 583.
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