PORTO PISANO

nel littorale toscano.

– Seno di mare interrato nel luogo attualmente occupato dalla paduletta di Livorno, fra la fonte di S. Stefano ai Lupi, la foce di Calambrone e la fortezza vecchia di Livorno, nel popolo di S. Lucia fuori della barriera fiorentina nella Comunità Giurisdizione e appena un miglio a maestrale di Livorno, Diocesi medesima, già di Pisa, Compartimento pisano.
Comecchè da pochi mesi a questa parte venga prodotta alla luce per fascicoli una storia sotto il titolo di ANNALI DI LIVORNO, in cui è fatto tesoro di tradizioni poco credibili nonchè di fraquenti congetture per dare alla città di Livorno un'origine antichissima, innestando cotesti Annali alle notizie speciali del Porto Pisano; con tuttociò non trovando in quello altronde erudito lavoro, de’fatti incontrastabili per ricredermi di quanto io dissi nel mio Dizionario rispetto all'origine di Livorno (Vol. II. pag.
717 e segg.) sempre più ho motivo di convincermi che una storia speciale se non ammette tradizioni, molto meno sia per menar buone le gratuite asseveranze in argomento pel quale il fatto, il vero e la sensata autorità degli storici debbono servire esclusivamente di scorta e di guida.
All'Articolo LIVORNO furono pertanto dette le ragioni che mi fecero escludere dalla località di Livorno il Porto di Labrone rammentato da Cicerone, ed il Tempio di Ercole della Geografia di Tolomeo, tostochè le prime memorie relative al villaggio di Livorno cominciano sul declinare del secolo IX. Infatti non prima dell'anno 891, si incontrano documenti che facciano menzione di una chiesa di S. Giulia compresa nella giurisdizione politica del Porto Pisano; di quella stessa chiesa che in documenti del 996 e del 1017 è qualificata battesimale (per cui ebbe a contitolare S. Givanni Battista) e che si dichiara situata nel distretto giurisdizionale di Porto Pisano presso Livorno. – Vedere LIVORNO loc. cit.
Che però cotesta chiesa innanzi la metà del secolo X non fosse ancora innalzata all'onore di pieve, e che si conservasse fra le parrocchie filiali della pieve di S.
Stefano del Porto Pisano lo dimostrava un documento dell'anno 949 (15 maggio) pubblicato dalle Antichità del Medio Evo dal Muratori col quale Zanobi, vescovo di Pisa diede ad enfiteusi a un tal conte Ridolfo la terza parte de’beni e rendite spettanti alla pieve predetta, compresa un'ugual porzione di tributi e offerte che solevano pagare alla pieve stessa gli abitanti delle ville di quel piviere; fra le quali si nominano le ville di Salviano, di Villa Magna di S. Giulia, ecc.
Ma l'Autore degli ANNALI prenominati, caldo amatore della sua patria, propende a credere che fino dall'anno 570 di G. Cristo Livorno avesse avuto chiesa plebana sotto il titolo di S. Maria. A prova di che egli si giova di una pergamena che conservasi nel celebre archivio Roncioni di Pisa, e che non solo porta la data apocrifa dell'anno 7° dell'impero di Alboino, ma quella dell'anno CCCCCX di G. Cristo, dove è fatta menzione di una chiesa col titolo di S. Maria, alla quale si assegnavano in dono de’beni situati ne’contorni del Porto Pisano.
Inoltre lo stesso A. opina che la chiesa di S. Giulia di Livorno sia stata matrice di tutte le pievi del Piano del Porto, il numero delle quali egli fa ascendere a tredici, contemplando il rettore della matrice medesima quasi un Corepiscopo. E per porgere ai suoi lettori un'idea anticipata del Piano di Porto, della sua floridezza, estensione e popolazione, aggiunge che si contavano nel suo territorio non meno di 16 spedali, includendovi quasi tutti quelli registrati dal Mattei nella sua storia della chiesa pisana, e che vi erano 72 villaggi; per modo che verso il secolo XI la popolazione del gran piviere di S.
Giulia o del Piano di Porto egli calcola che ascendesse fra le 120 e le 150 mila persone!! Il lettore però facilmente riconoscerà che quegli spedali furono o dentro Pisa o nel suo distretto, e che i 72 villaggi si riducevano per la maggior parte a case masserizie abitate da una sola famiglia, o dir si voglia a case coloniche, siccome dai documenti sincroni sono distintamente qualificate.
Ma un'altra notizia peregrina si è creduto di dare in quegli Annali per dedurne lo stabilimento definitivo della pisana libertà, tostochè alla nota 53 dell'epoca I si legge: un valutabile riscontro non caduto in mente ad altri finora per quanto sappiamo, e questo consiste nel ritrovarsi appunto in alcuno de’pubblici contratti, stipulati in Pisa negli anno 1004 e nei due susseguenti, omessa affatto per la prima volta la consueta formula dell'anno dell'Imperatore regnante, quantunque successivamente l'antica formula venisse ripresa . – Lascio a chi ha qualche idea di storia diplomatica il dichiarare le cause di tali omissioni non uniche nei Pisani, senza dedurre da quelle la definitiva libertà di un Comune, siccome fu avvertito in questo libri all'Articolo PISA, Vol. IV, pag. 312.
Del resto dovendoci limitare noi a discutere qui delle vicende del Porto Pisano e della sua giurisdizione politica, oltre quanto fu detto agli Articoli LITTORALE TOSCANO, LIVORNO e PISA, aggiungeremo : che le sue memorie istoriche superstiti di confondono con quelle della città di Pisa sino da quando nel porto medesimo si raccoglievano le romane legioni per recarsi nelle isole della Corsica e della Sardegna. (TITO LIVIO, Decad. III.
ann. U. C. 520- 521) vale a dire 230 anni prima la nascita di G.C.; otto anni innanzi che approdasse nelle stesso porto di Pisa il console Attilio Regolo con le sue legioni reduci dalla Sardegna per recarsi ai comizj in Roma.
Il Targioni che si occupò seriamente di rintracciare il sito del Porto Pisano descrisse eziandio molte delle sue vicende nel Vol. II della seconda edizione de’suoi Viaggi per la Toscana, dove fu aggiunta una mappa delineata dall'ingegnere Ferdinando Morozzi, nella quale oltre il seno del Porto Pisano è stata tracciata una parte del Piano di Porto con l'indicazione de’vestigj delle sue fabbriche nonchè della contigua città e porto di Livorno, oltre i nomignoli di molti luoghi di campagna copiati dai Campioni dell'Estimo vecchio di Livorno dell'anno 1559 e del nuovo del 1618.
Che il seno poi del Porto Pisano fosse di basso fondo sino dai 1400 anni indietro lo dichiarava nel suo Itinerario marittimo Rutilio Numaziano, allorchè egli descriveva l'ormeggiamento della sua feluca nel Porto sopraindicato.
Quindi i Pisani dovettero di buon'ora ricorrere al compenso de’vuotaporti, siccome pare che lo desse a conoscere il Petrarca nel suo Itinerario Siriaco, tostochè qualificò questo Porto manufatto , seppure il cantore di Laura non volle fare concepire con la parola manufatto ciò che intese significare ottant'anni dopo il mercante fiorentino Giovanni da Uzzano nel suo Campasso nautico, in cui distinse il Porto Pisano con l'epiteto di Porto da Catena . – Vedere LITTORALE TOSCANO Vol. II pag. 706.
Inoltre il paese di Porto Pisano al tempo del prenominato Rutilio si riduceva ad una villa appellata Triturrita, la quale trovavasi nel fondo del suo seno ch'egli disse, com'è di fatto, aperto a tutti i venti: Inde Triturrita petimus, sic villa vocatur, Quae latet expulsis insula poene fretis.
Ma quel paese di Triturrita dall’Autore degli Annali di Livorno è creduta di grande importanza, sia perchè costà anche ai tempi di Rutilio risiedeva un magistrato di molta considerazione, qual'era il villico tribuno, sia perchè all'anno 1832 vi furono scoperte alcune sostruzioni all'occasione di liberare i campi vicini dall'ingombramento di quell'estesissime e solide fondamenta. La quantità poi delle medaglie che dai tempi della repubblica romana fino oltre l'età degli imperatori Gordiani fu rinvenuta costà, sorpassò (dic'egli) il numero delle 20.000. – ANNALI DI LIVORNO, Epoca I. nota 28.) Alcuno infine inclinò a pensare che la villa di Triturrita rimanesse distrutta nella guerra de’Goti; ma se la storia fu poco generosa da conservarci memorie sulle antiche vicende del Porto Pisano, se Triturrita rimase distrutta dai primi popoli barbari che invasero l'Italia, il suo porto per altro continuò ad essere frequentato anche dopo l'arrivo de’Longobardi in Toscana.
Può servire al nostro asserto il Pontefice S. Gregorio Magno quando informava l'Esarca di Ravenna, che si armavano dai Pisani nel loro Porto dromoi, ossia galere, per mandarle in corso contro le navi de'Greci. – Vedere PISA Vol. IV pag. 308.
Che poi allo stesso porto approdassero genti di mare durante il regno di Carlo Magno lo faceva comprendere un altro Pontefice (Adriano I) in alcune sue lettere a quel monarca. – (Codice Carolino, in R. It. Script. T. II.) Comunque sia di tutto ciò, dopo il silenzio di un altro secolo e mezzo compariscono nei documenti dell'ARCHIVIO ARCIVESCOVILE PISANO i nomi delle pievi di S. Paolo (anno 949), di S. Giulia (anno 996), e di S. Andrea (anno 1006), pievi tutte situate nei confini del Porto Pisano, senza dire della chiesa di S.
Martino (anno 1078). Spendo inoltre che la pieve di S.
Paolo era situata nel luogo appellato l'Ardenza; che quella di S. Stefano trovavasi nel sito detto oggi ai Lupi; che la pieve di S. Giulia era in Livorno, e che quella di S.
Andrea corrispondeva al luogo così detto di Limone, e la chiesa di S. Martino a quello di Salviano, ne conseguita, che in cotesti vocaboli delle varie ubicazioni estendevasi il Piano di Porto, e che le stesse chiese erano comprese nella sua giurisdizione politica conosciuto con il nome di Piviere, o di Pivieri del Pian di Porto.
Imperocchè questo gran piviere del Porto Pisano, non si limitava a una sola, ma a più chiese battesimali il cui perimetro costituì il capitanato vecchio di Livorno.
Dondechè in un istrumento pisano del 14 dicembre 1324 è indicato il Comune di Parrana nuova de’pivieri di Porto Pisano, nei quali allora era stata abbracciata anche la pieve di S. Lorenzo in Piazza con le due ville di Parrana vecchia e nuova.
Dal libro I rubrica 59 e 95 del Breve o statuto pisano del 1286 si conosce altresì, che in quei tempi la popolazione dal governo civile di Porto Pisano era designata con la denominazione di uomini dei Pivieri del Pian di Porto .
In Porto Pisano poi era un Fondacario che aveva le facoltà medesime dei capitani, siccome lo dichiarava la Rubrica 93 dello statuto sopracitato in cui si legge : Et habeat dictus Fundacarius in homunes et commorantes ante Portum illum eamdem jurisditionem et partem bannorum quam habent alii Capitanei Comitatus. Il Porto Pisano infatti non ebbe mai un potestà suo proprio, come da taluno fu creduto, mentre i ministri delegati, tanto nel civile quanto nel militare, dipendevano direttamente dal potestà di Pisa.
Il benemerito Giovanni Targioni-Tozzetti fu forse il primo scrittore che con critica spassionata nei suoi Viaggi per la Toscana pubblicò, come dissi, le notizie più importanti sulla storia, situazione e firma del Po rto Pisano, nonchè sulle vicende e variazioni fisiche da esso precipuamente dal secolo IX al secolo XVIII sofferte.
Gioverà aggiungere a dette notizie altre che ne suggerisce l'Autore degli Annali di Livorno, anco per provare il progressivo riempimento del porto stesso, onde meglio convincersi che la Paduletta di Livorno, convertita ora in una fattoria della Corona, nell'anno 1796 non era ancora che un ampio marazzo con tutti i segni di essere stata lungamente antico letto di mare; e che le quattro grandiose fabbriche erette al tempo della Repubblica pisana in cotesto Porto, la Degazia, cioè la Dogana, la Tersanaja o Arsenale, la Domus Magna o Fondaco, dove custodivansi gli attrezzi delle galere, ed il palazzotto in cui risiedevansi i Giudici di mare, che coteste quattro fabbriche (scrive l'autore predetto) sorgevano negli estremi confini della Paduletta rammentata, e alcune di esse poco lungi dal Calanchio e dalla foce di Calambrone.
Quindi lo stesso scrittore ripetendo quanto disse il Targioni, rispetto alle prime due torri costruite nel 1158 o 1154 dai Pisani nel Porto in questione, soggiunge, essere la memoria più antica che siasi trovata delle torri nel Porto della repubblica pisana.; comecchè ai tempi del romano impero nell'interno del suo seno vi fosse la villa Triturrita, probabilmente nominata così dall'esservi state tre torri.
Non voglio però dissimulare, soggiungeva i Targioni, e dietro lui l'annalista livornese, che forse vi potevano essere delle torri anche avanti il 1154, poichè Papa Anastasio IV con sua bolla data il 3 settembre 1153, tra i molti privilegi che concesse al capitolo della Primaziale di Pisa, confermò a quei canonici Officium ecclesiasticum et beneficium Populi Pisani in Portu de Turribus.
Ma io dubito che l'espressione di Porto delle Torri si possa applicare al Porto Pisano, stantechè il Comune di Pisa a quell'età possedeva in Sardegna il porto e la città di Torri; al qual sembra più confacente doversi riportare le espressioni di Anastasio IV.
Aggiungasi che gli autori degli annali genovesi non fecero menzione alcuna delle torri di difesa quando all'anno 1158 (1159 stile pisano) i Genovesi con poderosa armata navale assalirono Porto Pisano, dove quelli di dentro furono costretti di accettare condizioni molto onerose.
Quindi un anonimo autore dei secoli posteriori, che scrisse un breve compendio della storia pisana, raccontava che nell'anno 1158 (anno 1157 stile comune) furono incominciate in Porto Pisano due torri, ma che non restarono terminate prima del 1164, mentre un altro cronista del secolo XIV ne avvisava, che nel 1163(stile pisano) fu fondato un gran faro con torre e un Fondaco nel Porto Pisano, e che l'anno appresso fu fatta nel porto predetto la seconda torre, la quale si crede che corrispondesse alla Torre del Magnale. – All'Articolo LIVORNO (Vol. II pag. 721)fu detto che a coteste torri del Magnale e della Formica o Formici intese anco riferire il primo storico fiorentino, Ricordano Malespini, all'anno 1268, asserendo che : che il re Carlo d'Angiò ebbe Porto Pisano e fece disfare le torri del Porto.
Ed un altro annalista, Tolomeo da Lucca, nei suoi annali, indicando il fatto medesimo sotto l'anno 1267 scrisse che il re Carlo con le sue genti e quelle della lega toscana tolse ai Pisani molti castelli e distrusse quello del Porto (pisano).
Quindi l'anonimo del compendio della storia pisana (MURAT. in Script. R. Ital. T. IV.) volle abbracciare in quella distruzione non solo il Porto Pisano, ma anche Livorno, aggiungendo che il re Carlo vi stette 15 giorni.
E lo stesso re Carlo d'Angiò quello che pochi anni dopo (1283) essendosi provveduto nella Provenza di un numeroso naviglio con cento e più galere, oltre i molti legni per truppe da trasporto, fece la spedizione della Sicilia, approdando con tutto quel grande apparato di guerra nel Porto Pisano (PTOLOM. LOGEN. ad hunc annum).
Alla qual avventura un’altra ne aggiunge Guidone da Corvara scrittore pur esso contemporaneo ne'frammenti della sua storia pisana, dicendo che allora i Genovesi distrussero la Torre del Fanale, comecchè della manutenzione e spese occorrenti per la Lanterna di quel Porto, del suo Fondaco, Torri, Ponte, Acquedotto e Fonte, si trovi fatta menzione all'anno 1286 nella Rubrica 59 del Libr. I del Breve pisano, cioè due anni dopo il fatto preindicato. Nella qual Rubrica il potestà e il capitano del popolo di Pisa promisero ordinare ai consoli di mare, di eleggere i custodi delle Torri del Porto Pisano, esclusi gli abitanti del Porto predetto e quelli di Livorno, coll'assegnar loro le paghe consuete. Inoltre a tenore della rubrica 96 dello stesso libro i suddetti magistrati della Repubblica pisana si obbligarono a fare condurre per acquedotto l'acqua del Fonte S. Stefano al Porto Pisano ; mentre nella rubrica 61 dello stesso libro stava a cura de’consoli di mare di eleggere quel numero di persone che agli Anziani sembrasse necessario per edificare fuori del Porto Pisano in mare due altre torri a spese della Dogana.
La rubrica 129 inoltre ordinava che gli uomini di Livorno dovessero accorrere armati quando per tre volte avessero ascoltato il suono della campana della Macchia, onde ajutare coloro che vi dimoravano. Che questa Macchia poi fosse un podere dei conti della Gherardesca si comprende da un documento stato indicato all'Articolo LIMONE presso Livorno, nel Vol. II, pag. 700.
Nella rubrica 13 del libro IV che porta per titolo De Bosco Stagni, il capitano e potestà del popolo di Pisa a forma dello statuto si obbligavano due mesi dopo l'ordine avuto dagli anziani, di far tagliare e ripulire dagli uomini dei Comuni dei pivieri di Porto il bosco di Stagno e dell'arcivescovato in quell'ampiezza che fosse creduta propria dai savi a ciò destinati,dovendo estirpare per opera dei fattori dello spedale di Stagno il Lecceto dalle spine, ginestre e da altre piante silvestri in modo che non vi si potessero nascondere i malfattori a danno dei passeggeri. – Vedere PONTI DI STAGNO.
Alla rubrica 31 dello stesso libro intitolata De Operario Fundaci Portus il potestà e capitano del popolo pisano si obbligavano di eleggere un operajo per far costruire il Fondaco del Porto Pisano, la Torre nuova del Formice e il Ponte di detto Porto con altri lavori a utilità dello stesso porto, mediante il mensuale assegnamento di lire 200 pisane.
Non vi è riscontro se le fabbriche ordinate in cotesta rubrica fossero tutte fatte; lo furono però le torri della bocca del Porto Pisano, di che ne diede una prova il Targioni col fatto della guerra portata dai Genovesi per mare, dai Lucchesi per terra nel 1289 secondo il Caffaro, e nel 1290 secondo Tolomeo Lucchese, contro cotesto emporio della potenza di Pisa, quando dagli assalitori fu gettata a terra la torre verso ponente (il Formice) e quindi tutte le altre, avendo devastato il paese e rotte le catene del porto che gli assalitori recarono a Genova.
Dopo tanto guasto sofferto cotesto porto non è più tornato nel pristino stato, comecchè i Pisani tentassero anche in seguito di restaurarne le fabbriche e di riedificare le torri del Magnale e del Formice con farvi mettere 12 colonnini di pietra intorno per ormeggiarvi le navi e col riporre al suo ingresso le catene, siccome risulta dagli statuti del 1305. – Ma la necessità di ormeggiare o rimurchiare le navi, fa vedere che fin d'allora era difficile l'imboccatura del Porto Pisano stante il suo basso-fondo, che di secolo in secolo andava viemmaggiormente scemando, fino a tanto che, scemata ogni cura, il suo bacino si è colmato in guisa da non far più conoscere dove esso fu.
Infatti nel 1326 riescì cosa facile ai fuoriusciti di Pisa e alle genti di Lodovico il bavaro impadronirsi del Porto Pisano, cui fece un maggior guasto nel 1362 il genovese Pierino Grimaldi, ammiraglio de’Fiorentini, allorchè i suoi con quattro galere penetrando nel seno del Porto investirono il presidio de’Pisani, s'impadronirono del palazzo del Ponte e abbatterono una delle mastre Torri e l'altra ebbero a patti. – (MATT. VILLANI. Cronic. Lib.
IX. Cap. 30.) Infatti nel 1405 quando Gabriello Maria Visconti vendè ai Fiorentini Pisa con tutto il suo dominio, fu eccettuata la giurisdizione sopra Livorno e il Porto Pisano, loro fortilizj e territorj, lasciando però ai Fiorentini a titolo di pegno la custodia dei castelli medesimi e delle Torri del Porto Pisano finchè eglino non fossero venuti in libero possesso della città di Pisa.
Anche nel 1408 era commissario alle torri del Porto Pisano per parte della Repubblica Fiorentina Felice del Pace. (op. cit.). – Mediante poi il trattato di Lucca del 27 aprile 1413 i Genovesi riconobbero i Fiorentini padroni assoluti di Livorno e del Porto Pisano col rispettivo distretto e col libero accesso per detti territorj, non che alle Torri del Porto Pisano, alla casa della Bastia e al lido del mare lungo dette Torri; una delle quali torri (appellata la Rossa) era rovinata; a patto però che i Genovesi non fosse proibito l’uso del Porto Pisano, comecchè il Comune di Firenze avesse diritto di imporre gabelle, ancoraggio e gravezze ai navigli uomini e mercanzie degli altri popoli non dipendenti dalla Repubblica genovese. Inoltre fu ingiunto l’obbligo ai Fiorentini di fare spianare e distruggere entro un mese nel Porto Pisano la Bastia, difesa da fossa, da un vallo e staccato, per modo che nel Porto Pisano non doveva restare segno di fortilizj a riserva del magazzino (Domus magna) che era presso la Bastia, conservandone però la proprietà il Comune di Genova. Ma cotesto Comune vendè nel 1412 Genova e il Porto Pisano alla Repubblica Fiorentina, la quale fino d’allora riunì in perpetuo il territorio di Livorno e del Porto Pisano al suo contado.
Rispetto alle torri del Porto in discorso, esse continuarono a sussistere anche molto tempo dopo il trattato di Lucca del 1413, poiché Giovanni di Antonio da Uzzano, autore di un portulano scritto nel 1442, col titolo di Compasso nautico e pubblicato nel Vol. IV delle opere sulla Decima del Pagnin i, dichiarò che “Porto Pisano è porto di catena e ha tre torri, e che fuori della torre ha fondo piano di 5 passi. La conoscenza del Porto è cotale, di fuori verso libeccio ha secca, dov’è una torre che ha nome Melora ed è lungi dal detto porto 5 miglia. Verso levante del porto ha una secca, nella quale è una torre onde si fa fanale, e di qui verso levante una montagna che si chiama Montenero”.
Aggiungasi ancora qualmente la Signoria di Firenze nel 23 agosto del 1460 deliberò di dar compimento ad una torre del Porto Pisano incominciata dagli uffiziali del Canale come opera di grandissima importanza e sicurezza, al quale oggetto, con altra deliberazione del 31 marzo 1463, furono assegnati 800 fiorini d’oro per pulire la foce dell’Arno, che era colmata di maniera da non potervi passare le galere; e nel 18 giugno dello stesso anno fu approvata un’altra provvigione per dare compimento a quel lavoro.
Finalmente che il porto di Livorno debba il suo primo incremento non solo alla decadenza del Porto Pisano, ma alle premure della Repubblica Fiorentina, lo dichiara abbastanza una provvisione di quella Signoria, approvata nel giorno 7 agosto del 1465, la quale era concepita ne’termini seguenti: “Considerato che l’opera del canale e Porto di Livorno a giudizio di ogni persona intendente è cosa molto magnifica e molto degna, e da dare col tempo, quando avrà avuto la sua perfezione, gran comodità alla città nostra; e avendo inteso che la detta opera è tanto innanzi che già è fatto il muro principale al di fuori ch’era la più dubbiosa, più difficile et pericolosa cosa che vi fosse a fare, per rispetto alla marina che da ogni parte la inondava et batteva; e che vi resta ora a riempire il vuoto ch’è dentro al detto muro fatto, et a farvi l’opera designata; per la qual cosa fare si dice esservi condotte già gran parte delle pietre et altra materia opportuna in sino a marmi lavorati che vi s’hanno a murare da certe parti di fuori per più bellezza et magnificentia di quella opera di quella opera; e che se non fosse stata nella state passata la moria a Pisa , come fu, quella opera sarebbe stata tirata tanto innanzi che in poco tempo si sarebbe potuta conducere a debita perfezione. E desiderando che si degna e utile opera “non rimanghi imperfetta, si nomina una balia di cinque uffiziali per accudirvi e farla condurre a fine”.
“ Item avendo inteso che le mura della rocca nuova e vecchia di Livorno ed altre fortezze di Porto Pisano hanno assai mancamenti, ai quali sarebbe necessario riparare prima che andassimo più innanzi; si ordina che gli uffiziali del Canale faccino riassettare le fortezze del Porto Pisano , e spendino in tale lavoro fiorini mille di piccioli”. – (RIFORMAGIONI DI FIRENZE.
Provvisioni, Filza 148.) Il Gaye nell’Appendice II. Del Vol. I. del Carteggio inedito d’artisti, pubblicato poco fa per i torchi del Molini in Firenze, diede alla luce un’altra non meno importante provvisione fatta dalla Signoria di Firenze lì 4 dicembre 1439 a benefizio del Porto Pisano e di Livorno, della cui esecuzione vennero incaricati gli uffizia li del Canale.
Nella quale si dice: “ che il governo di Firenze volendo provvedere, sia alla sicurezza e difesa del Porto Pisano e di Livorno, come alla salute e comodità, ordina di rifare una torre nella stessa località del Porto Pisano, dove soleva essere la Torre Rossa , e di cingere quella intorno ai fondamenti d una palizzata ripiena di ghiaja e calcina per maggiormente fortificarla”.
“ Item ivi, si ordina che la detta torre debba essere rotonda , con barbacani e con fosso dell’altezza di 40 braccia circa da presidiarsi con balestrieri, bombardieri e da altre genti opportune.
Item, si dà ordine di fare nel Porto Pisano una chiusa di pali, ossia palizzata, a partire dalla torre denominata la Rocchetta fino alla Torre, che appellerassi Magnale (Magnali), siccom’era innanzi la vecchia palizzata, della lunghezza di braccia 450 incirca, lasciando l’ingresso opportuno ai navigli; e avvertendo che i pali sieno della lunghezza di 8 “sino a 15 braccia circa.
Item che si vuoti il Canale pel quale entrano nel porto predetto i navigli e le galere cariche. Per utile e onore del Comune di Firenze, ecc.
Item, si comanda ancora che si vuoti il Porto Pisano dentro la palizzata.
Item che si ripari e che si rifaccia il porticciuolo di Livorno, e si accresca, si muri e si vuoti; e similmente si vuoti il Canale per quale si entra in detto porticciuolo di maniera che le galere grosse del Comune cariche, e similmente altri navigli mediocri e minori possino entrare in detto porticciuolo.
Item, per dette opere la Signoria vuole che sia assegnata la somma di duemila fiorini d’oro dalle entrate e rendite delle gabelle della città di Pisa”. – (RIFORMAGIONI DI FIRENZE, Provvis. Filza 132).
Cotesta provvisione del 1439 fu indicata pure dal Targioni alla pag. 336 del Vol. II de’suoi Viaggi, il quale Autore aggiunse, che la Torre Rossa era una delle quattro che fortificavano la bocca del Porto Pisano, e che rifabbricata per ordine della Repubblica fiorentina chiamossi allora Torre nuova, sebbene ne’tempi posteriori acquistò il nome che porta tuttora di Marzocco da un leone di rame dorato, posto per uso di banderuola nella sommità. – È una torre ottagona con le cantonate volte agli otto venti principali, fabbricata di grosse muraglie, e ornata di marmi del Monte Pisano, con beccatelli in giro, aventi sotto gli archetti le quattro armi di Firenze, cioè, (il Giglio) della città, (la Croce) del popolo, (il Leone) della Repubblica e (il Drago sotto gli artigli di un’Aquila) della parte Guelfa.
In quanto a cotesta fabbrica della Torre nuova citerò una provvisione degli 8 novembre 1465 che ordinava agli uffiziali del Canale di far murare insino al pari dell’acqua il fondamento della Torre predetta che si edificava per il Porto di Livorno, e voleva che si acconciasse bene d’ogni suo bisogno, per modo che quella fabbrica si conservasse dall’acqua, et per ora non si possa alzare di più.
Ma una nuova riformagione del 16 aprile 1466 ordinò di portare al suo termine il porto di Livorno e la torre nuova.
Per la qual cosa si autorizzarono i detti uffiziali a spendere tutti i denari che si sarebbero riscossi per le gabelle del Canale nelle riparazioni e fabbriche della Rocca vecchia e nuova di Livorno, nelle torri fatte in Porto Pisano e nella torre di Foce (d’Arno) ecc. – GAYE, carteggio inedito di Artisti T. I. Append. II).
Che la Torre nuova, appellata poi del Marzocco, sia stata edificata dove fu la Torre Rossa del Porto Pisano, lo manifesta un’altra provvisione della Signoria di Firenze del 26 gennajo 1468 (stile comune) che dice: “Atteso di quanto onore sia alla Repubblica fiorentina l’opera del Canal di Livorno, imperocchè essendo il porto di Livorno, come si dice per tutti gli uomini intendenti, dotato di quelle parti che si richiedono ai porti ottimi, perché in quello con molti venti si entra ed esce, e in quello sono molti afferratoj, et migliori che in altro porto si trovino; e solo vi manca la sicurtà de’legni che in quello porto entrano, nel quale portano maggior pericolo che in alto mare; perciò fu ordinato che si facesse il Canale da Livorno a Pisa, e che il porto con torri et altre cose si fortificasse et si rendesse sicuro. Et per tal cosa fare si principiò una torre bellissima, et è già condotta et cavata fuori dell’acqua braccia 5 in circa, et tutta di fuori è di marmo. Et similmente è fondato il Torriglione (Marzocco) nel luogo dove già fu Torre Rossa , et è al pari dell’acqua. La qual Torre et Torriglione fornito (perché cotesti fortilizj mettono in mezzo il Canale et potrassi con catene serrare) faranno si che i legni in tal porto restino sicuri. Et vi sarà assegnamento quale già fu ordinato, affinchè tal opera con prestezza si faccia; imperciocchè ogni mese si farebbero braccia 5 o più; et pertanto acciocchè detta Torre e Torriglione, et ancora il Rivellino far si possano come sono principiati, si ordina che gli uffiziali del Canale vi possino spendere lire 1500 di fiorini piccoli”. – (RIFORMAGIONI DI FIRENZE.
Provvisioni, Filza 159).
Da quanto si è esposto, e da un’altra provvisione del 23 ottobre dello stesso anno 1468, citata dal Targioni, (Viaggi T. II. Pag. 346) risulta, che il Porto Pisano non era ancora abbandonato affatto, comecchè le opere maggiori de’Fiorentini fossero dirette a favorire il piccolo ma più sicuro scalo di Livorno, quasichè la Signoria di Firenze prevedesse ciò che questo porto doveva diventare.
Quindi è che la Repubblica fiorentina, fece fabbricare galere e molti altri bastimenti mercantili e da guerra, fra i quali furono di originale costruzione le bombarde chiamate Arbatrotti , inventate da un maestro Giovanni fiorentino al tempo della guerra che mossero alla Repubblica fiorentina, poco dopo la congiura de’Pazzi, il Pontefice Sisto IV e Ferdinando re di Napoli. – Per avere il modello di quelle bombarde il re Ferdinando scrisse a Lorenzo de’Medici sotto dì 13 gennajo 1488 una premurosa lettera, in cui diceva: “Avendo noi presentito che nell’arsenale di questa Signoria (di Firenze) è un capo maestro , il quale ha trovato nuovamente certa natura di navigli, quali chiama Arbatrotti, che tengono bombarde sopra, le quali tirano 250 braccia, ne è stato piacere intendere l’invenzione et avremmo assai caro vederne l’effetto. Per tanto vi preghiamo mandare lo ditto capo maestro, il quale mostrerà lo modo di taglio di detti navigli a questi nostri, acciocchè possiamo o da lui o dalli nostri farne costruire uno per satisfazione dell’animo nostro, ecc.”. – (Op. cit.) Di quanta importanza fosse l’acquisto del Porto Pisano e di Livorno lo disse innanzi tutto nel 1422 il celebre Niccolò da Uzzano, ambasciatore al duca di Milano, e lo ripetè mezzo secolo dopo il mercante fiorentino Benedetto Dei. – Vedere LIVORNO, Vol. II, pag. 726 e GIOVANNI TARGIONI nel Vol. II de’suoi Viaggi, ag. 328.
Ma dopo la caduta della Repubblica fiorentina le cure dei Duchi e Granduchi di Toscana si rivolsero a favorire precipuamente Livorno ed il suo porto; né più si trattò di riparare, difendere, oppure di far eseguire altre operazioni idrauliche dentro il seno palustre del Porto Pisano, quando già dalla promiscuità delle acque terrestri con le marine una malsania sempre più crescente minacciava la vita al vicino popolo di Livorno.
Già dissi all’Articolo LITTORALE TOSCANO che i tomboli lungo i quali ristagna il fosso del Lamone intorno a un terzo di miglio quasi parallelo ed equidistante dalla spiaggia fra la bocca d’Arno e quella di Calambrone, pochi secoli indietro in cotesto spazio entravano le onde del mare. Dissi che dove adesso confluiscono gli scoli di tanti fossi e corsi d’acqua della pianura meridionale pisana posti a grecale di Livorno innanzi di arrivare per la foce di Calambrone in mare, costà per ampio cerchio internavasi il seno e molo di Porto Pisano, seno e molo convertiti oggidì nella estesa fattoria della Corona appellata della Paduletta. Dissi che dove ora passa la strada Regia livornese presso la Fonte di S. Stefano, ossia ai Lupi ivi frangevano quei flutti che attualmente più di un miglio sonosi allontanati di là.
Infatti chi volesse all’età nostra esaminare il luogo dove esisteva il Porto Pisano, invece di onde marine e di vestigia del triturrito villaggio dove approdò il consolare Rutilio, troverebbe fangose piagge tramezzate da sterili dighe di arena del mare, da frequenti fossi di pigre acque terrestri, da macchie abitate da animali domestici che vi pascolano alla ventura, da germani, da bestie selvatiche e dal silenzio della morte che rattrista alla vista del nuovo Camposanto de’Livornesi, richiamando il pensiero di chi riflette che, dove fu il vero emporio pisano, adesso tutto presenta desolazione, abbandono e sepolcri, mentre a mille passi di là sorge una popolosa città dove formicola movimento, ricchezza, brio e vigore.
La Paduletta che occupa ora quel colmato seno, per attestato dell’autore degli Annali di Livorno, anche verso l’anno 1796 mantenevasi, come si disse, un ampio marazzo con tutti i segni di essere stato lungamente antico letto di mare. – Vedere ANNALI DI LIVORNO.
Infatti cotesto marazzo nei tempi addietro appestava gli abitanti di Livorno in guisa che il medico Orsilago lo chiamò: Letto di febbri e nido di moria; e rispetto alle genti che all’età sua vi abitavano (sotto il primo Granduca Cosimo de’Medici) quel poeta aggiungeva, che Gli uomin qui si fan verdi, gialli e pregni, E chiaman questo mal la Livornese Che guasta i corpi e molto più gl'ingegni, S'Ippocrate, Avicenna e 'l Pergamese, Com'io, fosser qui stati a medicare, Avrien forse iumparato alle lor spese.
Ma grazie all'Augusto Principe che ci governa, avendo egli verso il littorale toscano più specialmente rivolto i suoi benefizj, anche il vecchio fomite d'infezione della Paludetta di Livorno è stato quasi perfettamente colmato, e meglio regolati i suoi scoli al mare. Della qual utilissima opera risentirà ogni dì più il buon effetto la numerosa popolazione di Livorno, e specialmente quella che abita il quartiere di Porta S. Marco.
Riferimento bibliografico:

E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1841, Volume IV, p. 611.