SIENA
(SENAE, anticamente SAENA) nella ValâdâArbia.
â CittĂ eccelsa, stata romana colonia, piĂš tardi residenza di due gastaldi economico e politico, immediatamente soggetti ai re Longobardi, divenuta in seguito, sotto il governo deâ Carolingi sede di un vasto territorio, quindi capitale di una repubblica nel medio evo in Toscana, finalmente riunita al Granducato fu fatta capoluogo dello Stato Nuovo, residenza costante di un metropolitano, di unâUniversitĂ , di un governatore civile con tribunale di Prima istanza, uno deâcinque Dipartimenti doganali e delle cinque Camere di soprintendenza comunitativa del Granducato.
Cotesta nobile cittĂ vagamente situata risiede sulla cresta di due sproni di poggi, uno deâquali diramasi dai monti della Castellina del Chianti, dirigendosi per Vagliagli da settentrione a libeccio sulla strada postale fino a Fonte Becci dove si accoppia allâaltro sprone che staccasi dal Monte-Maggio nella direzione di ponente a scirocco. I due sproni riuniti da Fonte Becci si avanzano verso Siena sino verso le sue porte meridionali. A metĂ circa della cittĂ si toccavano i termini dei tre Terzi di Siena, cioè poco lungi dalla Croce del Travaglio presso alla gran del campo, celebre per la svelta altissima torre detta del Mangia , per il palazzo pubblico e per il gioco piĂš popolare e piĂš allegro di quanti contar ne può tutta Italia; e costĂ dove i due poggi riuniti tornano a biforcare in due rami, uno deâ quali dirigesi a scirocco verso la Porta Romana, mentre lâaltro verso libeccio sale al Duomo, al Castel vecchio, e di lĂ sino alla Porta S. Marco, donde esce la strada regia Grossetana.
Trovasi Siena sotto il grado 28° 59' di longitudine e 43° 19' di latitudine, da 600 alle 700 braccia superiore al livello del mare Mediterraneo, 40 miglia a ostro di Firenze, 39 miglia a ponente libeccio di Arezzo, altrettante a grecale di Massa Marittima, e circa 48 miglia a settentrione di Grosseto.
Ad oggetto di dare un riposo ai lettori, suddividerò cotesto Articolo in sette capitoli per discorrere nel 1° di Siena dallâEpoca Romana sino a quella dei Longobardi; nel 2° di Siena dal tempo deâLongobardi a quella deâCarolingi; nel 3° di Siena dallâetĂ Carolingia sino allâorigine della sua Repubblica; nel 4° di Siena dallâorigine della sua Repubblica alla giornata di Montaperto; nel 5° di Siena dalla giornata di Montaperto allâepoca del suo ultimo assedio; nel 6° di Siena da quellâassedio alla sua successione al duca Cosimo I; e 7° di Siena sotto il Governo granducale.
I. SIENA DALLâEPOCA ROMANA A QUELLA DEâLONGOBARDI Per quanto lâorigine di questa cittĂ sia stata oggetto di lunga contesa fra molti scrittori deâsecoli troppo a noi vicini, contuttociò dobbiamo convenire col Cellario, quando dichiarò: Quale sia stata Siena innanzi lâetĂ di Cesare non apparisce, nĂŠ alcuna memoria è pervenuta fino a noi che possa far fede deâsuoi incunaboli, comecchè si debba essa credere di una etĂ assai piĂš antica.
Che se rispetto allâorigine di Roma fu tanta diversitĂ di opinioni fra i dotti, molto piĂš la è stata della nostra Siena, che ebbe nome consimile ad altra cittĂ (Sena, ora Sinigaglia) la quale fu parimente una delle romane colonie. Imperocchè alla cittĂ di Siena toscana (stante forse lâortografia diversa, per la quale scrivevasi il suo nome col dittongo (Saena) non fu aggiunto alcun altro distintivo eccetto quello di Sena Julia, indicato per vero dire, dallâautore della Tavola Peutingeriana.
Non so infatti, mi rispondeva da Sanmarino il ch. Cavalier Bartolomeo Borghesi con unâeruditissima lettera del 25 ottobre 1843, non so infatti che Siena dâEtruria sia ricordata da altri degli antichi se non che da Strabone e da Tolomeo fra i Greci, da Plinio e da Tacito fra i Latini, i quali ultimi ne assicurano che cotesta cittĂ fu colonia.
Della quale peraltro non trovando noi fatta menzione durante la repubblica romana, e neppure, come scrisse Flavio Blondo, ai tempi di Pompeo, dobbiamo concludere che la colonia di Siena in Etruria fosse una delle militari, e non delle cittadine, siccome era stata quella di Sinigallia, che Sena, come dissi, denominossi. â Alla qual conclusione (soggiunge lo stesso Borghesi)presta gravissimo appoggio il cognome di Giulia dalla Tavola Peutingeriana dato alla colonia di Siena nostra. Solamente resterebbe da ricercare a quale delle tre deduzioni di colonie militari, fatte secondo la legge Giulia, questa senese appartenesse: se alle colonie dedotte da Gaio Cesare, o seppure a quelle dei triunviri, finita che fu la guerra coi congiurati Bruto e Cassio, o sivvero alle terze dedotte da Augusto, sotto del quale lâepiteto di Giulia può egualmente convenire. Parve però al prelodato Borghesi che la colonia militare di Siena si dovesse escludere dalla terza deduzione fatta per lâItalia dopo la vittoria dâAzio, perchĂŠ quantunque si ammetta, che anche le colonie fondate da quellâImperatore assumessero il titolo di Giulia Augusta, avendo egli pure appartenuto alla famiglia Giulia, ciò non di meno quando le cittĂ usarono una sola di quelle denominazioni, preferirono lâAugusta come lo dimostrano gli esempj lapidari dellâAUGUSTA PERUSIA, dellâAUGUSTA TAURINORUM, della COLONIA CIVICA AUGUSTA BRIXIA e della COLONIA AUGUSTA ARIMIN. ecc.
Dopo queste e altre osservazioni a confermare tutto ciò, quel dottissimo uomo soggiungeva: La questione sarà dunque ridotta a sapere se Siena sia stata creata colonia militare da Giulio Cesare oppure dai Triumviri, questione che per mancanza di monumenti non si è ancora in istato di definire.
In conseguenza di una sentenza cosĂŹ chiara pronunziata dal Nestore degli archeologi italiani dobbiamo limitarci per ora a concludere: che se la colonia senese in Toscana non precedè, fu almeno coetanea a quella di Firenze, della quale siamo certi essere stata dedotta dai triumviri dopo la vittoria di Farsaglia.â Vedere lâArt. FIRENZE.
Ma lâindole vivace e caratteristica del popolo di Siena dallâepoca del romano impero fino alla nostra etĂ , costantemente conservata, trovasi pennelleggiata dal piĂš robusto storico della prima serie degli Imperatori; dico da C. Cornelio Tacito che nel Libro IV, Cap. 45 delle sue storie romane tramandò sino a noi il fatto seguente accaduto in Siena al tempo dellâImperatore Vespasiano.
âRiconciliarono alquanto (scrive egli) le cure deâpadri, la cognizione di una âcausa trattata in senato secondo lâuso antico: Manlio Patruito dellâordine âsenatorio si querelò di essere stato picchiato di pugna nella cittĂ di Siena âdella classe della plebe, consenziente quel magistrato.
NĂŠ qui terminava âlâingiuria ricevuta dal romano senatore, poichĂŠ dopo essere stato dai Senesi âben battuto questi gli fecero cerchio e a similitudine di un morto lo âesequiarono con piagnistei e lamenti, oltre molti altri scherni e contumelie âstrazianti tutto il senato. Citansi a Roma gli accusati, e conosciuta la causa, âsi condannano i rei. Oltredichè un Senatus consulto fu decretato per âammonire la plebe di Siena, onde con piĂš modestia si comportasse ânellâavvenireâ.
Ma per tornare a dire due parole sulla colonia militare senese, ossia che essa fosse dedotta da Gaio Cesare, ovvero dai Triumviri, è cosa ben naturale che una cittĂ nella quale furono repartiti e assegnati terreni a molti veterani che vi stabilirono il loro domicilio, dovesse essere di qualche importanza, siccome avvenne a Pisa, a Firenze, ad Arezzo, a Luni, per tralasciare di tante altre cittĂ della Toscana e dellâItalia; e tostochè lo storico Cornelio Tacito in quel racconto ne avvisava che, sino dai tempi dellâImperatore Vespasiano la colonia senese aveva un corpo di magistratura suo proprio. Arroge a ciò un marmo del museo Vaticano relativo al registro di soldati pretoriani arruolati sotto lâImperatore Adriano negli anni 143 e 144 dellâEra nostra, nel quale si leggono scolpiti i nomi di due pretoriani della cittĂ di Siena.
Cotesto monumento inoltre ha servito agli antiquarj di conferma relativamente alla retta ortografia antica della parola Siena, che solamente i copisti della Geografia di Tolomeo scrissero col dittongo: ΣιΚνι.
Una sola iscrizione epigrafica innanzi la scoperta di quel registro poteva citarsi in appoggio alla detta lezione. Essa consiste in un frammento di base esistente in Roma nella villa Mattei, nella quale si legge: SAENENSIUM ORDO. Ma la sola autoritĂ di una lapida era troppo debole prova, perchĂŠ di bassissimo secolo, come quella che porta la data consolare corrispondente allâanno di Cristo 394. Ora poi dopo la testimonianza del registro militare surriferito, che rialza e conferma il frammento epigrafico Matteiano, non potrĂ piĂš dubitarsi che i soli copisti dellâopera di Tolomeo siano stati accurati e che il vero nome latino antico della nostra Siena si scrivesse SAENA, non SENAE, nĂŠ SENA.
Se fossero poi da riferirsi a cotesta cittĂ le lapide riportate dal Gori fra quelle di Siena nel Vol. II della sua Opera Inscriptiones antiquae in Etruriae urbibus extantes noi avvremmo diritto di credere che Siena, oltre una magistratura propria avesse anche lâordine deâSEVIRI AUGUSTALI, instituiti dallâImperatore Tiberio a onore di Augusto suo antecessore.
Ma quantunque scarsi non mancano però in Siena avanzi di buona scultura, poichĂŠ senza citare il bel gruppo delle Tre Grazie di greca maniera, nĂŠ il candelabro antico esistenti nel Duomo, comecchè mi sia ignota la provenienza loro, non tralascerò di rammentare lâarca di marmo scolpita ad alto rilievo con figure mitologiche, lavoro del tempo degli Antonini, scavata nei secoli trascorsi vicino allâOpera del Duomo, nel cui vestibolo a guisa di architrave vedesi attualmente murata.
II. SIENA SOTTO I LONGOBARDI Se è vero che in Siena al pari che in molte altre città mancano documenti sincroni atti a dimostrare le sue vicende politiche e civili nei tempi romani, riesce altrettanto doloroso dover confessare che bisogna percorrere uno studio di oltre 600 anni prima di arrivare a scuoprire quale fosse lo stato politici ed ecclesiastico di questa città .
Ă notoria abbastanza, perchĂŠ non vi sia duopo di qui ripeterla, la controversia insorta a causa di diritti diocesani fra il Vescovo di Siena e quello di Arezzo verso lâanno 712, mentre regnava nellâalta Italia il longobardo Ariberto II; solamente mi gioverò di richiamare alla memoria gli atti piĂš importanti allo scopo. Questi si riducono ai due fatti seguenti: uno alla prima sentenza emanata in Siena sul principio de l715 nella corte regia presso la chiesa di S. Martino da Ambrogio messo e maggiordomo del re Liutprando; lâaltro allâesame di circa 70 testimoni sentiti in Siena lâanno stesso dal notaro Gunteramo inviatovi da Pavia in qualitĂ di messo regio. - Imperocchè se dal primo fatto trasluce il luogo dove in Siena i Longobardi tenevano i tribunali, col secondo si vengono a conoscere le condizioni politiche e civili della stessa cittĂ e di gran parte del suo contado allâepoca longobarda.
Inoltre dalle espressioni del compendiatore di quel processo si scuopre, che la cittĂ di Siena compreso il suo contado, sotto i Longobardi non dipendeva dai duchi di Toscana, avvegnachè essa in quel tempo era amministrata per conto direttamente del re. A ciò voglionsi riferire le parole di quel compendio in cui si legge: âIllo autem tempore senensis civitas erat domnicata ad manus Ariberti regis Langobardorumâ. Ed è perciò che nel principio del secolo VIII trovavansi in Siena due qualitĂ diverse di Gastaldi, uno deâquali disimpegnava la prima carica politica (come fu il gastaldo Gundiperto cugino di Deodato vescovo sanese, nel tempo stesso che un altro longobardo per nome Roberto esercitava lâuffizio di gastaldo regio, o amministratore deâbeni della corona.
Frattanto questi due uffiziali, vivente il re Ariberto II, si recarono dalla cittĂ alla Pieve a Paciana, ad oggetto di impedire la visita diocesana a Luperziano vescovo di Arezzo, dicendo eglino che quella pieve era (siccome lo è tuttora) compresa nel contado di Siena, cioè dentro i limiti della sua giurisdizione politica; ma gli uomini del vescovo aretino dando addosso al gastaldo politico Gundiperto, lâuccisero. â Vedere PACINA (PIEVE A).
Che se ad alcuno parve sospetta lâautenticitĂ di quel documento redatto o ricopiato circa 340 anni dopo, niuno per latro pose in dubbio la veritĂ degli atti che per comandamento del re Liutprando, successore del re Ariberto II, furono istituiti nellâanno 715 innanzi a Gunteramo suo messo regio; e niuno si oppose alla sentenza stata in seguito dopo la compilazione di quel processo nella pieve di S. Genesio, alla presenza dello stesso messo Gunteramo , pronunziata da quattro vescovi della Toscana, cioè da quelli di Firenze, di Fiesole, di Pisa e di Lucca, assistiti da vari teologi sacerdoti nonchĂŠ da molti testimoni.
Da quei numerosi depositi pertanto risulta che al gastaldo regio Gundiperto, stato ucciso verso il 712 alla Pieve a Paciana , in Siena era succeduto un altro gastaldo politico per nome Warnefrido, il quale ultimo nel 715 fu presente allâesame predetto dove fu qualificato da due testimoni col titolo di giudice. E probabilmente era quello stesso gastaldo che 15 anni dopo fondò il monastero di S.
Eugenio presso la cittĂ di Siena. â Vedere ABAZIA DI S. EUGENIO e LESTINE.
Dai documenti poi del 752 sulla controversa giurisdizione ecclesiastica fra i due diocesani rinnovata, risulta che alla metĂ del secolo VIII il gastaldo politico di Siena appellavasi Gausperto.
Avvertasi inoltre che uno deâtestimoni esaminati nel 715 fu un vecchio sacerdote stato ordinato nella chiesa di S.
Ansano a Dofana, dove allora riposava il corpo di quel santo, il quale giurò: che cotesta chiesa molti anni indietro era stata restaurata dal gastaldo regio Willerat, e dal suo figlio Rotto, dei quali il detto sacerdote un tempo fu servo innanzi che fosse da loro affrancato, ossia dichiarato uomo libero , per cui egli potè mediante cotal benefizio ordinarsi chierico e quindi pervenire al sacerdozio.
Dalle dichiarazioni di quei 70 testimoni non solo apparis ce quale fosse la condizione politica e civile della cittĂ di Siena, dove si trovavano gli arimanni, o giudici secondari, ma ancora si viene a scuoprire in qual parte e fino dove dal lato di libeccio e di levante si estendesse la giurisdizione politica senese. Finalmente dallâesame medesimo risulta che i gastaldi politici di questa cittĂ , essendo indipendenti dai duchi, si dovevano trovare in condizioni consimili a quelle dei gastaldi di Capua, uno dei quali ordinò ai suoi governati che lo dovessero chiamare non piĂš con il titolo di Gastaldo, ma di Conte.
Per quanto riescisse solenne il giudizio collegiale pronunziato nella Pieve di S. Genesio, contuttociò il Vescovo di Siena volle ricorrere in ultimo appello al re in Pavia, affinchè lo stesso Liutprando ne pronunziasse il suo. Il quale re, assistito dal vescovo della capitale e da altri giudici, poco dopo confermò i primi due giudicati.
Ma tuttociò non servĂŹ a condurre la pace fra quei due popoli e i loro prelati, avvegnachè, nel 752, Alfredo vescovo di Siena, avendo di proprio arbitrio e contro le leggi canoniche consagrato nella chiesa di S, Ansano a Dofana un altare fabbricato da Gausperto sanese, Stabile vescovo di Arezzo ricorse al Pontefice Zaccaria per reclamare contro quello di Siena, anco perchĂŠ tols e dal detto tempio il corpo di S. Ansano senza cognizione e consenso del diocesano. Ma essendo mancato in quel frattempo i Pontefice Zaccaria, e succedutogli Stefano II, questi, con lâannuenza del re Astolfo, presso il quale era ricorso il prelato sanese, delegò la causa a tre vescovi, la sentenza deâquali fu confermata in favore del vescovo aretino dal Pontefice Stefano II con bolla del 20 maggio 752: Non dirò del giudizio per la stessa causa nellâ801 sotto Carlo Magno proferito; non parlerò del placito pronunziato in Siena nellâanno 833 sotto Lodovico Pio; non di quello emanato nellâ853 dal Pontefice Leone IV e dallâImperatore Lodovico II; passerò pure sotto silenzio la sentenza del 1029 promulgata dal Cardinal Benedetto vescovo di Porto; e ne anche parlerò di un breve del Pontefice Alessandro II del 1070, tutti relativi alla causa predetta, alla quale finalmente fu imposto un termine definitivo dopo la metĂ del secolo XV per cura del Pontefice Pio II.
Frattanto dal preambolo scritto nel 1057 da Gherardo primicero della chiesa di Arezzo, posto in testa alla sentenza del 715 data da Ambrogio maggiordomo delegato del re Liutprando, e molto piĂš dal deposto dei testimoni esaminati nellâanno stesso dal secondo messo regio Gunteramo , oltre le cose di sopra accennate si viene a sapere che la cittĂ di Siena in grazia del re Rotari, aveva riottenuto il suo vescovo, la serie dei quali era stata interrotta, come si dirĂ , dal quinto sino verso la metĂ del secolo settimo, dondechè ne consegue che prima deâGoti e conseguentemente innanzi la discesa deâ Longobardi, Siena era sede di un diocesano, e che fino dâallora essa ebbe contado proprio e magistrati. Vedere appresso , SIENA DIOCESI.
Inoltre dalla bolla del 752 del Pontefice Stefano II si ha lâavviso che in quellâanno esercitava in Siena lâuffizio di Gastaldo politico, o governatore, un tale Gausperto mentre dai deposti del 715 si apprende ugualmente tutti i chierici del contado senese dovevano munirsi di una carta o permesso del gastaldo politico, onde presentarlo al diocesano affine di ordinarsi al sacerdozio.
Ad accrescere valore a tale veritĂ si prestano meravigliosamente le parole del vescovo di Fiesole, uno degli esaminati nella procedura del 715 il quale depose: qualmente egli stesso vide molti chierici del territorio sanese con lettere del gastaldo Willerat recarsi in Arezzo ad oggetto di essere da quel vescovo ordinati al sacerdozio.
CosĂŹ il pievano di S. Giovanni in Rancia (ora S. Vito in Creta) giurò qualmente 37 anni addietro egli aveva preso lâordine sacerdotale da Bonomo vescovo di Arezzo, previa lâesibizione delle lettere del gastaldo Willerat; documento per avventura il piĂš antico che sia finora comparso alla luce relativamente alla storia civile e politica di Siena sotto il regno deâ Longobardi.
Avvegnachè da questâultimo deposto si viene anche meglio a comprendere che Willerat, il restauratore della chiesa di S. Ansano a Dofana, fino dallâanno 678 almeno doveva esercitare in Siena lâuffizio di governatore o giudice supremo, per conto di Pertarite re dei Longobardi, in un tempo cioè in cui quella nazione, abbandonato dallâArianismo, aveva abbracciato la religione cattolica romana.
Della qual veritĂ Siena con il suo territorio ci fornisce ampia conferma nelle chiese dai Longobardi ivi fondate.
Tali per es. sono quelle di S. Vincenti ad Altaserra ; di S.
Donato in Asso fondata dal re Ariberto II, di S. Ansano in Dofana rifatta dopo la metĂ del VII secolo dal gastaldo Willerat, per non rammentare tutte quelle ivi edificate nel secolo VIII.
Ho giĂ detto che il piĂš antico documento relativo alla storia di Siena sotto il dominio longobardo risalirebbe allâanno 678 quando governava questa cittĂ il gastaldo Willerat, sebbene due altri di quei testimoni, Gaudioso e Potone, uno deâquali Traspadano e lâaltro Lucchese, fino dallâanno 665 erano venuti a stabilirsi nel territorio sanese in qualitĂ di coloni o livellarj entrambi di condizione libera.
Inoltre fra i testimoni del 715 si scuopre uno Scarione del re nella corte di Sexiano, ora nella giurisdizione di Montalcino, giĂ nella Diocesi aretina, ma sotto il contado sanese; ed è questa per avventura la memoria piĂš vetusta che si abbia nel regno longobardo degli scarioni, specie di uomini addetti al foro, e destinati ancora a tutela dei monasteri, deâluoghi pii; lo che corrisponderebbe a visdomini, o avvocati per le chiese per le quali erano ammessi a giurare. Dondechè quel vecchio Pietrone, che nel 715 si qualificava Scarion Regis de curte que dicitur Sexiano era domiciliato a Sestano in Val dâOrcia (forse nel luogo denominato attualmente a Sesta o Sesto, nel popolo di S. Angelo in Colle, se non piuttosto dovâè lâantica pieve di S. Restituta, designata essa pure in fundo Sexiano , ossia Sestano).
Concluderò che dalla procedura del 715 sulla controversia ecclesiastica fra due vescovi siano maggiormente venuti in chiare, in primo luogo, di un fatto citato allâArt. PIEVE A NIEVOLE (vol. IV pag. 244) cioè che nelle cause economiche delle chiese sotto il dominio dei Longobardi (almeno al principio del secolo VIII) dovevano intervenire i messi, o rappresentati regii; in secondo luogo, dallâesame di quei 70 testimoni si è scoperto, non solo quali fossero nel secolo VII e VIII le condizioni ecclesiastiche di Siena e di una parte del suo contado, ma si è venuto a conoscere che il giudice o gastaldo politico di Siena esercitava non piĂš rigore di adesso le attribuzioni del regio diritto sopra i suoi amministrati, i quali non potevano ordinarsi al sacerdozio senza una sua autorizzazione accordata con le lettere che i gastaldi di Siena rilasciavano a quelli che si recavano ad Arezzo per esservi da quel vescovo ordinati al sacerdozio. In terzo luogo, di lĂ si possono conoscere quali fossero dopo la metĂ del secolo VII le condizioni dei livellari di terre nel senese, i quali al pari dei mercanti, dei maestri dâarte e dei chierici erano contemplati dalla legge per uomini liberi; dondechè i popoli italiani vinti dai Longobardi non erano piĂš nella condizione abbietta, come quella in cui furono ridotti al tempo di S. Gregorio Magno. Finalmente in quarto luogo giova avvertire, che la giurisdizione ecclesiastica in urto con la politica di Siena al tempo dei Longobardi, dovè prender piede posteriormente allâeditto di Rotari (anno 643) siccome si osserverĂ in seguito allâArt. SIENA DIOCESI.
III. SIENA SOTTO I CAROLINGI SINO ALLâEPOCA DELLA SUA REPUBBLICA Dopo aver visto che Siena fra il secolo VII e VIII era governata da un giudice con il titolo di gastaldo per conto e a nome del re dei Longobardi, mentre un altro gastaldo soprintendeva allâeconomico; dopo aver visto che in S.
Martino (forse nel luogo tuttora esistente poco lungi dalla gran piazza del Campo) era situata la corte regia; dopo aver trovato in questa cittĂ gli arimanni, quasi visdomini facenti da patroni, e talvolta anche dai giudici subalterni nelle cause piĂš solenni; dopo aver detto che sotto i Longobardi esisteva il regio diritto, dopo aver trovato nel piviere di S. Restituta in Val dâOrcia, una corte minore presieduta dagli scarioni regii e le classi degli uomini liberi, degli esercitali, deâchierici, deâcoloni, e dei livellarj, capaci di far prova in giudizio; dopo tutto ciò resta da dire come nel cambiamento del governo longobardo alla discesa di Carlo Magno in Italia (anni 774 e 775) la cittĂ e contado di Siena accogliesse superiormente ad ogni altro paese dalla Toscana i signori di legge salica venuti con lâesercito alla corte di quel sovrano. I nobili francesi giunti allora in Toscana, sembra che preferissero ad ogni altra cittĂ Siena, (non saprei dire se per la somiglianza del brio nazionale con questo popolo o per altro) tostochè i magnati di legge salica sono comunissimi nelle scritture sanesi di quella e delle posteriori etĂ . Ma la condizione dei vinti italiani in generale e dei Sanesi in particolare durante il dominio dei re Carolingi non si può desumere dalla storia, la quale rispetto a ciò è rimasta, almeno châio sappia, finora taciturna e misteriosa.
Solamente dal debole barlume che ne trapela si può riconoscere in generale, qualmente nellâanno 779 Carlo Magno pubblicò il suo primo Capitolare pel regno longobardo, cui succedè qualche tempo dopo quello sulle leggi personali delle diverse razze, o caste degli uomini abitanti allora in quel regno e a lui soggetti; mentre non prima dellâanno 801 Carlo magno emanò lâaltro Capitolare riguardante le successioni.
La conquista però del regno longobardo fatta da quel Magno portò una modificazione nella parte governativa, talchè a poche città della Toscana fu conservato e a pochissime fu dato un governatore col titolo di duca; le altre tutte erano presedute o dai conti o dai gastaldi di origine francese.
Quando le cittĂ oltre il conte aveva anche il gastaldo, quello soleva presedere al politico, questo allâeconomico; il primo per es. aveva le attribuzioni consimili a quelle deâduchi, cioè di mantenere gli abitanti della sua cittĂ e contado ubbidienti alle leggi e fedeli al re, punire i malfattori, difendere le vedove e i pupilli; era poi cura del gastaldo come del conte di riscuotere lâentrate regie e alla fine presentare in persona il prospetto al tesoro reale. â (MARCULFO, Formul. Lib. I. Cap. 8. - CARLO TROYA, Storia del Medio Evo dâItalia, Vol. I. P. V.) Ciò premesso aggiungerò come la cittĂ di Siena sotto quella dinastia fu preseduta dai conti di origine e legge salica. â Se i di lui governatori estendessero la giurisdizione su tutto lâantico contado sanese o lâoltrepassassero, resta dubbio ancora, con tutto che in un placito tenuto nel luglio dellâ886dentro le mura della cittĂ di Soana da Stefano vescovo di detta cittĂ alla presenza di Liutprando gastaldo di Soana, e di diversi scabini, ve ne fossero due di Siena, uno di Chiusi e un quarto di Pistoja.
â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina.) Comecchè andasse la bisogna, sembra cosa indubitata che Siena con il suo contado entrasse nellâeccezione indicata dallo storico Fredegario, il quale discorrendo deâconti di una sola cittĂ , disse che molti di quella Ducem super se non habent.
Dopo di aver detto che sotto i re Carolingi le cittĂ della Toscana mancanti del conte avevano alla testa del governo un gastaldo, stimo doverne escludere Pisa, cui presedeva lo stesso duca, poi conte di Lucca, innanzi che vi fossero introdotti i marchesi.
AllâArt. BERARDENGA fu detto che lo stipite donde traeva nome quella contea traeva la sua origine da un Winigi figlio di Ranieri di nazione francese, il quale troviamo una volta a Lucca in qualitĂ di legato dellâImperatore Lodovico II (anno 865) innalzato piĂš tardi conte o governatore di Siena (anno 868 e 887).
Lâuso poi di dichiarare la professione della legge sotto la quale uno viveva, dopo Carlo Magno divenne tanto universale in Italia che ciascuno serbava, dirò quasi con orgoglio, la qualitĂ della propria origine, la quale trasmettevasi ai discendenti di generazione in generazione, Dondechè non fia meraviglia se nelle carte senesi, tanto in quelle anteriori quanto in quelle posteriori al mille, pressochè tutte le famiglie magnatizie sanesi dichiaravano di vivere a legge salica.
In ogni modo la serie dei conti salici di Siena sotto il governo Carolingio è piĂš interrotta di quella deâsuoi gastaldi sotto il regno deâ Longobardi, avvegnachè di un solo conte di Siena di origine salica è stata tramandata fino a noi la memoria. Voglio dire del sopra rammentato Winigi o Winighigi figliuolo di Ranieri, o Raghinieri, fondatore nellâanno 867 della badia di S. Salvatore della Berardenga, attualmente appellata Monastero dâOmbrone.
â Vedere ABAZIA DELLA BERARDENGA.
PiĂš chiaramente cotesto personaggio trovasi qualificato conte della cittĂ di Siena in un atto di permuta di beni fatto in Roselle nellâanno 868. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina) Ma innanzi che il conte Winigi esercitasse in Siena le qualitĂ del governatore, non meno di tre sentenze solenni erano state pronunziate dai giudici sotto il regno Carolingio rispetto alla giurisdizione spirituale che i vescovi di Arezzo esercitavano sopra una parte del contado senese, tostochè la loro diocesi penetrò fino ai suburbii di cotesta cittĂ . â Vedere SIENA DIOCESI.
Mi limiterò qui a ra mmentare il giudizio tenuto in ottobre dellâanno 833 nellâepiscopio di Siena, dove assisterono fra gli altri un conte Adalrico e diversi scabini di questa cittĂ . Nel caso poi che Adalrico fosse stato conte di Siena, noi avremmo in esso il primo conte, o governatore conosciuto di questa cittĂ sotto il regime deâCarolingi. â (MURATORI , Ant. M. Aevi, Dissertazione 70) Per ora il governatore piĂš certo di Siena con il titolo di conte si limita a quel Winigi, o Vinigisi, rammentato allâanno 868 da una membrana della Badia Amiatina citata agli Art. ROSELLE e STRABUGLIANO.
Lâepoca di questo conte o governatore di Siena ne ricorda inoltre lâordine emanato fra lâ866 e lâ867 dallâImperatore Lodovico II il quale per riparare agli sbarchi deâSaracini sulle coste dâItalia, mediante una legge ossia capitolare, chiamò sotto lâarmi quanta piĂš gente potè, comandando ai conti e ai gastaldi di non accordare lâesenzione dal servizio militare ad alcuno. Coloro che possedevano il solo valsente di soldi dieci volle che stessero alla difesa deâlidi marittimi; e solamente dichiarò esenti dal servizio i poveri che non possedevano tanto capitale da arrivare a dieci soldi.
Ma qual fosse il governo civile e politico sanese durante gli ultimi imperatori franchi, non saprei indicarlo senza tema di errare. Dirò solamente che in un placito tenuto a Siena dallâImperatore Carlo il Grasso nellâanno 881, vi assistè il marchese Berengario, quello che divenne re dâItalia, oltre un gran numero di vescovi, di giudici, magnati e conti fra i quali quel Winigisi che trovammo conte di Siena nellâanno 868. Il quale placito fu pronunziato a causa delle querele rimesse in campo per la settima volta fra i vescovi di Arezzo e quelli di Siena. Che poi il conte Winigisi assistente a quel placito fosse stato allora governatore politico di Siena, lo farebbe credere il vederlo comparire egli stesso in quella discussione fra i testimoni.
Quando era per avvicinarsi il secolo IX due principi si disputavano la corona ferrea di Milano e quella imperiale di Roma; lo che avvenne dopo mancato lâimperatore Carlo Manno, in un tempo che può dirsi il principio dâinnumerabili mali scatenati sullâItalia, dove fatalmente da lĂŹ innanzi le sciagure della nostra penisola presero tale sopravvento e vi andarono peggiorando di maniera che lâignoranza e la barbarie camminavano di pari passo con la piĂš sfrenata corruzione dei costumi.
Nellâanno 888 due furono i concorrenti al regno dâItalia, il marchese Berengario duca del Friuli ed il marchese Guido duca di Spoleto, il primo nato in Italia e considerato come un italiano, che fu coronato in Pavia come re dâItalia, il secondo di origine francese ossia di legge salica , ebbe in Roma un anno dopo (889) dal Pontefice Stefano IV la corona imperiale.
Ma cotesti due coronati a onte di una stretta amicizia e di una tacita convenzione anteriormente stabilita, quella cioè di ripartirsi fra loro il pingue impero di Carlo il Grosso, terminarono col farsi una guerra lumga e atroce, la quale trascinò nella desolazione la piĂš gran parte dâItalia.
Ognun sa che Berengario fu salutato dal suo panegirista come Principe dâItalia e lo storico Giovanni Villani, al pari di altri scrittori del XIII e XIV secolo, non senza una qualche ilaritĂ , raccontava qualmente per lâelezione di Berengario la corona di ferro piĂš non ornava il capo di un Franco, nĂŠ di alcun altro principe straniero. Dopo però che quei due competitori rimisero la contesa del regno dâItalia alla decisione delle armi, lâImperatore Guido potè (fra lâ889 e lâ894) dominar non solo in Siena e nella maremma grossetana, ma ancora nel territorio di Chiusi, cui allora apparteneva la parte settentrionale del Monte Amiata. Inducono a credere ciò due documenti della Badia Amiatina, ora nellâArchivio Diplomatico Fiorentino, il primo deâquali fu rogato in Chiusi li 27 agosto dellâanno secondo del regno in Italia di Guido (890), e il secondo consistente in un privilegio emanato in Roselle dallo stesso Imperatore li 14 settembre dellâanno 893, cioè, come ivi si dichiara, nellâanno quarto del suo impero. â Vedere ROSELLE e LAMONE.
Che però cotesto Imperatore non regnasse senza interruzione nĂŠ per lungo tempo sugli abitanti di Siena e del suo contado, lo dimostrano altri documenti della provenienza testè indicata. Uno deâquali fu riportato dallâUghelli nella sua ITALIA SACRA in Episcopis Clusinis, essendochè questâultimo ci scuopre il re francese Arnolfo, giunto a Roma nel 26 febbraio dellâ895, corrispondente allâanno IX del suo regno in Francia e III in Italia. â Aggiungasi come due anni innanzi lâImperatore Guido aveva associato al suo impero il di lui figlio Lamberto che assai giovane venne incoronato in Roma (anno 892). Ed eccoci in Italia con due imperatori, Guido e Lamberto, e due re, Berengario e Arnolfo, dallâultimo deâquali restarono vinti e depressi tutti gli altri coronati.
Avvegnachè Arnolfo vedendo la fortuna favorevole alle proprie armi la fece da padrone sulla penisola a segno tale che i marchesi di Toscana e di altre regioni si recarono a riconoscere dal sovrano francese i loro feudi e governi.
Non era peranco compito il primo anno del regno di Arnolfo in Italia quando lâImperatore Guido terminò di vivere; e allâArt. LUCCA, fu avvisato il lettore che i notari di quella e di altre cittĂ della Toscana dopo la morte di cotesto sovrano trascurarono di segnare nei loro rogiti lâanno e i titoli del re Berengario e quelli di Arnolfo.
Peraltro dappoichè questâultimo abbandonò lâItalia, il Popolo sanese e quello di Chiusi ritornò sotto il regime dellâImperatore Lamberto figlio di Guido, il quale potè regnare pacificamente fino alla sua morte, che accadde presso la fine dellâanno 898, per cui poco dopo, mancato di vita il re Arnolfo, riprese vigore Berengario.
Ai fatti storici testè in dicati acquista forza di vero un istrumento rogato in Chiusi li 12 settembre dellâanno 899, nel quale si dichiara c hi allora vi dominava, cioè, nellâanno secondo del regno italico di Berengario dopo la morte dellâImperatore Lamberto. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina).
Sembrava che la Toscana, con tutta lâItalia superiore e centrale ridotta sotto un solo principe sâavesse a godere una pacifica quieta; ma quellâanno appunto, in cui si chiudeva il secolo IX, quandâera per aprirsi il tenebroso secolo X; cominciò per glâItaliani una serie di gravissime sciagure. imperocchè al danno immenso recato ai paesi dellâalta Italia dagli Ungheri inferociti contro il re Berengario, si aggiunse quello dei seguaci dei due imperatori testè defunti; sicchè i popoli italiani si trovarono immersi nella desolazione e nelle guerre di partito.
Che se in Siena al pari che in Chiusi dopo il 900 dominava lâImperatore Lodovico III, figlio del re Arnolfo, il suo impero non fu di lunga durata, giacchè nellâagosto del 903 si scontrarono in Siena i conti salici e di nuovo il governo del re Berengario. Ciò è dimostrato da una carta della Badia Amiatina con la indicazione seguente: Lâanno XVII del regno di Berengario in Italia, dellâIncarnazione, 903, nel mese di agosto, Indizione VI.
Il quale istrumento fu rogato in Siena da Odelberto giudice e notaro, facendo da testimoni varj personaggi, la maggior parte di legge salica. Trattasi in quellâistrumento dellâinvestitura data allâabbate del Monastero precitato da Berta di legge salica figlia di Adelgisio conte, e vedova del fu conte Bernardo, pur esso di legge salica, di alcune case e corti poste in luogo detto Stercorate. Per la quale investitura e donazione la precitata contessa ricevè dallâabbate Amiatino, a titolo di Launechild , la partecipazione alla sacre orazioni del monastero sunnominato, sottoponendo alla penale di lire cinque dâoro e di 10 pesi dâargento chiunque avesse ardito infrangere cotale donazione.
Potrei anche rammentare un diploma dello stesso re Berengario dopo incoronato Imperatore a favore della Badia Amiatina, dato in Roma nel dĂŹ 8 dicembre del 915, corrispondente al primo anno del suo impero, per dire che stando a quella scrittura, Berengario dovè essere incoronato in Roma imperatore innanzi il dĂŹ 8 dicembre dellâanno 915, piuttostochè differire quella funzione al S.
Natale successivo, come supponeva neâsuoi Annali il Muratori.
Non è la sola cittĂ di Siena, ma in generale la Toscana tutta che scarseggia di storici e anco di memorie relative al cupo periodo che corse tra il 924 e il 950. Diversamente però camminano le bisogna dopo la discesa in Italia di Ottone il Grande, considerato da molti qual creatore delle prime riforme economiche, e dirò anche dellâistituzione dei governi municipali italiani.
A quel tempo pertanto le cittĂ della nostra penisola erano rette o dai vescovi, o dai conti. Chi allora di queste due qualitĂ di personaggi governasse Siena, io lo ignoro, poichĂŠ non ebbi la sorte di trovarne indizio fra le molte membrane superstiti visitate; alcune delle quali solamente ne avvisano che Siena con il suo contado nellâanno 950 continuava al pari di Chiusi a far parte del regno italico sottoposto Berengario II e ad Adalberto suo figliolo. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO) Ma non erano cotesti due sovrani giunti a compire il XII anno del loro regno che Ottone I penetrò senza contrasto in Italia, e nella capitale di Pavia egli potè celebrare il S.
Natale del 951, innanzi di tornarvi 10 anni dopo per recarsi a Roma dove nel giorno della Purificazione (2 febbrajo del 962) dal Pontefice Giovanni XII gli fu posta in testa la corona imperiale.
Al rtorno di Ottone I da Roma a Pavia, passando da Rignano nel 22 febbrajo di quellâanno 962 vi sottoscrisse un diploma a favore del monastero del Monte-Amiata.
Tale circostanza giova anzichĂŠ no ad accrescere la probabilitĂ che il nuovo imperatore sia nellâinverno del 962, come nellâestate del 964, attraversando la Toscana, passasse per Siena, giacchè nel dĂŹ 13 marzo 962 è dato in Lucca un suo diploma a favore dè canonici di quella cattedrale; ed in Lucca nel 29 luglio e 3 agosto del 964 furono emanati due altri privilegi da quello stesso sovrano il primo dei quali ad istanza delle monache di S. Giustina di detta cittĂ , ed il secondo inedito a favore delle Badia di S. Salvatore sul monte Amiata. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina).
Ă pure credibile che nel 967 Ottone I ripassasse da Siena tostochè da Ravenna dovĂŠ attraversare la Toscana per recarsi a Volterra, presso la qual cittĂ nel 12 giugno di quellâanno, in Monte-Vetrajo, egli assisteva a un placito pronunciato dal Marchese Oberto conte del palazzo imperiale.
Nulla peraltro di tutto ciò accresce lume alla storia civile di Siena; relativamente a un di cui vescovo e suo capitolo citerò un istrumento dato in essa cittĂ li 7 aprile dellâanno quarto del regno di Ottone III (999), in cui si tratta di affittare dei beni appartenenti al clero della chiesa maggiore di Siena. Dal quale istrumento non solo apparisce che quella cattedrale era retta dal vescovo Ildebrando, ma che in quel capitolo si contavano non meno di 5 canonici dignitarj, il Preposto cioè lâArcidiacono, il Priore della scuola del canto, il Primicero ed il Visdomino. â (PECCI, Dei Vescovi ed Arcivescovi di Siena. â ARCHIVIO BORGHESI-BICHI).
Rispetto agli antichi magnati che sogliono trovarsi nelle carte senes i, ne citerò due, che uno di essi era un Lamberto figlio di un Marchese Ildebrando (forse anche conte) il quale stando nel suo castelletto di Valiano sullâOmbrone, presso Campagnatico, per istrumento del 18 aprile dellâanno 973, oppignorò per la vistosa somma di lire 10,000 non meno di 45 corti con le loro pertinenze, chiese, terre, mulini, servi, fedeli ecc. le quali corti in quel contratto si dichiararono situate in vari contadi della toscana, in Liguria e nel Parmigiano.
Sedici anni dopo fu restituita allâoppignorante la stessa somma di 10,000 lire da donna Ermengarda figlia del conte Ranieri, dopo di essere rimasta vedova del predetto Marchese Lamberto, assistita da Oberto, suo mondualdo, nel modo prescritto da un rogito del 17 aprile 989, fatto in Lattaria.
Un altro magnate si diede a conoscere in un terzo istrumento scritto pur esso nellâaprile del 973 nella torre di Lattaria , col quale il conte Ridolfo, figlio del fu Gherardo che era stato conte del palazzo , comprò alcune terre poste in Campagnatico. â Vedere LATTAJA e SANTA-FIORA.
Finalmente porta la data di Siena un quarto istrumento del novembre 988, stato giĂ citato allâart. CASENOVOLE, dove è fatta menzione di una contessa Willa figlia del fu conte Kadulo di Fucecchio, lasciata vedova da un Ranieri che fu pur esso conte.
Forse alla prenominata contessa Willa vuolsi riferire un quinto atto pubblico rogato in Siena nel novembre 994, in cui si tratta della vendita di una casa massarizia posta in Orciano (forse Orgiale dellâArdenghesca) appartenuta in origine a quella contessa. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina.) Non saprei dire però da qual documento lo storico Malavolti ricavasse la notizia che fino dal secolo X Siena ottenesse la libertĂ sotto il governo degli ottimani per benefizio cocessole dallâImperatore Ottone III, e che lo stesso sovrano da Siena ripassasse, quando dalla Germania tornò a Roma a rimettere nella sede pontificia lâespulso Gregorio V.
Non avendo io prove per corroborare nÊ per infirmare un tale asserto, mi limiterò ad annunciare in iscorcio i cambiamenti radicali accaduti specialmente nelle forme municipali del governo di Siena dal mille al mille duecento sessanta, vale a dire fino alla giornata di Montaperto.
IV. SIENA DAL SECOLO UNDECIMO ALLA GIORNATA DI MONTAPERTO Le prime mosse dâarmi tra cittĂ e cittĂ cominciarono per avventura in Toscana, quando i magnati, i vescovi e i popoli dellâalta Iltalia erano divisi in due partiti, uno dĂŠ quali voleva re Arduino principe italiano, lâaltro Arrigo I sovrano tedesco. Lucca sembra che abbracciasse la sorte del re italiano, mentre Pisa mostravasi partitante per il tedesco. Infatti allâArt. PISA rammentando io il fatto dâarmi accaduto nel 1004 fra i Lucchesi e i Pisani presso Ripafratta nei contorni di Caldaccoli, diceva che probabilmente quella guerra fra due municipj toscani trasse origine dallâelezione di quei due principj chiamati nel tempo stesso a regnare sullâItalia.
ComecchĂŠ riguardo allo stato di repubblica questa di Siena non avesse principio che intorno alla metĂ del secolo XII, contuttociò le memorie relative al suo governo economico e civile sembrano risalire ad un secolo innanzi. ImperocchĂŠ senza rammentare la membrana del 7 aprile 999, la quale conservasi nellâarchivio privato dĂŠ signori Borghesi-Bichi di Siena, dove si parla del vescovo di allora e delle varie dignitĂ che contava il capitolo della sua cattedrale, senza appoggiarmi ad un istrumento scritto in Siena nel gennaio del 1001, riguardanti la vendita di beni fatti a diversi, i quali insieme alla maggior parte dei testimoni si dichiararono di vivere a legge salica, mi fermerò piuttosto sopra altro istrumento del luglio 1010, rogato esso pure in Siena, nella casa di Guido del fu Rainaldo visconte situata nel Castelvecchio . Eâ un contratto di enfiteusi di alcune terre poste presso il luogo di Castagnetolo, fatta dal conte Bernardo, figlio di un altro conte Bernardo, con lâonere al fittuario di recare per censo annuo otto denari al ministro quel conte in Siena nella sua corte situata presso la chiesa di S. Pietro.
Fra i testimoni ivi sottoscritti leggesi il nome di un Ranieri Visconte figlio di Grifone, al quale ultimo personaggio ci richiama un altro istrumento (ERRATA: del 1012) del dicembre 1012, scritto in Siena presso lâArco di S.Donato relativamente al fitto di un pezzo di terra con casa annessa, il tutto posto in Siena nel popolo di S. Desiderio sotto il Duomo (nota bene) lungo la strada che va alla casa del vescovo di detta cittĂ . â (ARCH.
DIPL. FIOR., Carte della Badia di Passignano).
Che poi le cittĂ della Toscana anche nel secolo XI fossero governate dai conti lo dichiara per tutti un diploma di Arrigo III del 17 giugno 1052, col quale il clero di Volterra venne esentato dalla giurisdizione deâ marchesi e dei conti, cui fino allora quei preti erano stati soggetti.- (MURATORI , Ant. Med. Aevi, Dissert. 39.) Assai maggiori furono gli onori che dopo la metĂ del secolo XI ricevè la cittĂ di Siena allâoccasione del concilio ivi celebrato nellâanno 1058, quando Gherardo vescovo di Firenze fu innalzato sulla cattedra di S. Pietro col nome di Niccolò II.
Da quellâepoca in poi anco per la storia politica incomincia ad albeggiare una qualche luce; e comecchè in mezzo ad una lacrimevole desolazione sfortunatamente il secolo II manchi di storici, pure rispetto alla cittĂ di Siena vi riparano in qualche modo i molti documenti superstiti deâ suoi pubblici e privati archivi; parte dei quali spogliati dal chierico Uberto Benvoglienti furono dati alla luce dal Muratori nelle sue preziose Antiq. M. Aevi, ed altri dal Pecci, che li riportò, o citò nelle opere da esso lui pubblicate, o sivvero si racchiudono nella ricca collezione deâMSS. inediti, che attualmente conserva in Siena nella sua biblioteca privata il Cavalier Carlo Lodoli.
Rammenterò inoltre un atto del 16 aprile 1072, rogato nel Castelvecchio di S. Quirico in Siena da Guidone notaro, col quale due fratelli conti, Bernardino e Ardingo, col consenso del conte Ranieri loro padre, confermarono al capitolo della cattedrale sanese la donazione fattagli dal loro genitore; ed una nuova conferma di quella donazione fu ripetuta dal conte Ardingo nipote del Conte Ranieri primo donatario per istrumento del I marzo 1079 scritto in Siena nello stesso Castelvecchio. - (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte citate.) Non starò a rammemorare un altro istrumento dellâaprile 1074, rogato in Montaperto, mercè cui lâarciprete Lamberto a nome del capitolo di Siena diede ad enfiteusi a Bernardo figlio di Winigi e a Berta di lui madre diversi beni e giuspadronati di chiese, fra le quali la chiesa di S.
Pietro in Barca nella Berardenga. (loc. cit.).
Peraltro non debbo passare sotto silenzio un processo, dal quale viene assai meglio a scuoprirsi qual fosse nel secolo XII il regime politico di Siena e del suo contado.
Ă un fatto poco diverso dalla procedura del 715, sennonchè in questâultima si trattava di giurisdizioni ecclesiastiche, mentre lâaltra del 1205 riguarda la giurisdizione secolare e lâestensione nel secolo XII del contado sanese dalla parte di Montepulciano. Il processo fu fatto nel paese di S. Quirico in Val dâOrcia, dove assisterono, oltre il potestĂ di Siena, Bartolommeo di Rinaldino i principali rappresentanti della lega Guelfa di Toscana, alla quale presedeva Ildebrando vescovo di Volterra, mentre Ugo Vinciguerra vi rappresentava la cittĂ di Firenze, un Rustichello quella di Lucca, un Marzi vi era per la cittĂ di Siena, Giotto a nome di Perugia, e Ansaldo per la cittĂ di Arezzo. Inoltre vi si trovarono fra i testimoni un Rinaldino console e rettore dellâarte dei mercanti di Siena con molti personaggi di famiglie nobili sanesi, fra i quali diversi Cacciaconti e Cacciaguerra della Scialenga, della Berardenga, di Sarteano, ecc.
Alla presenza pertanto dei personaggi sunnominati il giudice Ruggero per ordine del potestĂ di Siena nel giorno 5 aprile del 1205 esaminò vari abitanti di San Quirico, di Monte-Follonico, di Corsignano e di Monticchiello i quali tutti conformemente deposero che Montepulciano da 50 e piĂš anni indietro era governato dai rettori dei conti Alemanni di Siena, cioè, a partire dai tempi dellâImperatore Corrado III, dal conte Paltonieri, che reggeva Siena e il suo contado, mentre durante il regno dellâImperatore Federigo I non meno di quattro conti presederono al governo di Siena e del suo territorio, compresovi il distretto di Montepulciano. Altri 4 conti succederono al governo sanese come ministro del conte Arrigo VI. Finalmente da quel processo risulta che un ultimo conte tedesco sulla fine del secolo XII in nome di Filippo duca di Toscana resse Siena ed il suo contado, compreso Montepulciano. â (MURATORI,. Ant. M. Aevi.
Diss. 50.) Del primo conte Paltonieri che fu figlio di altro conte Forteguerra lâarchivio delle riformagioni di Siena conserva un atto del 14 luglio 1151, rogato da Rolando giudice e cancelliere, col quale il conte predetto diede in pegno al sindaco della cittĂ e Comune di Siena il castello di S. Giovanni dâAsso con la sua corte e distretto, ed il castel dâAvana, (presso Chiusure) con tutta la corte a condizione di riprendere lâuno e lâaltro dentro il termine di dieci anni. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Tomo I delle Pergamene N°. 21).
Da qual documento risulta che il conte Paltonieri nasceva da un altro conte vivente nel 1151, ma che fino di detto anno il di lui padre erasi stabilito in Siena, quando giĂ cotesta cittĂ contava una rappresentanza e magistratura sua propria.
Al quale ultimo vero serve di conferma un atto pubblico del dĂŹ 14 maggio dellâanno 1137, rogato dal cancelliere Rolando nella piazza di S. Cristofano di Siena davanti al consiglio del popolo adunato in comuni colloquio . Con il quale atto diversi nobili di Staggia e Strove donarono al vescovo di Siena Ranieri I, capo civile ed ecclesiastico di quel Comune, la quarta parte di Monte-Castelli, una piazza nel Castello di Strove e due piazze situate nel suo borgo con altrettante nel Castello e borgo di Montacutolo sul Monte-Maggio. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO DI SIENA, Tomo I delle Pergamene N°. 14.) ComecchĂŠ Siena col suo contado sino alla morte di Manfredi nel politico fosse governata nel nome degli Imperatori svevi, contuttociò fino dâallora rispetto al civile ed economico essa era retta dai suoi consoli, che a suono di campana facevano adunare il popolo per deliberare o nella chiesa di S. Cristoforo, o in quella di S.
Pellegrino, la prima tuttora esistente in piazza Tolomei, la seconda soppressa poco lungi di lĂ , ed entrambe situate nella parte centrale della cittĂ . Ma il primo giorno della vera libertĂ senese, io dubiterei che non avesse a datare innanzi ilo mese di ottobre dellâanno 1186, allâepoca cioè dellâindulto che i Sanesi ottennero dal re Arrigo VI, vivente lâImperatore Federigo I di lui padre con la conferma della loro zecca e la libera elezione deâ consoli e del rettore o podestĂ , al quale si accordava facoltĂ di estendere la sua giurisdizione sopra tutto il contado, riservando solamente ai giudici o messi dellâimpero le cause in ultimo appello.
Simili grazie peraltro furono precedute da piĂš dure condizioni alle quali i Sanesi dovettero soggiacere dopo aver sostenuto un assedio, non saprei dire, se provocato dallâaver eglino per un momento aderito al partito guelfo o della chiesa romana, oppure per altre cagioni a me ignote.
ChecchĂŠ ne sia è cosa indubitata però che il popolo di Siena non dovĂŠ alienarsi dalla grazia di Federigo I,. se non dopo la morte del Pontefice Alessandro III loro concittadino, siccome dirò qui appresso. Giovano a provare cotesta mia induzione due diplomi, uno dei quali dato in San-Quirico li 27 aprile del 1167 e lâaltro del 12 febbrajo (ERRATA : 1580) 1180 spedito da Monte Fiascone, col quale Cristiano arcivescovo di Magonza, arcicancelliere imperiale, succeduto a Rinaldo in Italia per lâImperatore Federigo I donò al Comune di Siena e per esso ai suoi consoli tutti i diritti che lâImperatore aveva nel castello di San-Quirico, quelli sulla metĂ del castello e distretto di Montieri, e il diritto delle porte della cittĂ di Siena. Inoltre lâindulto citato prometteva ai Sanesi di far confermare tuttociò, compreso il diritto della zecca, allâImperatore Federigo I, il quale due anni innanzi erasi rappacificato con il Pontefice Alessandro III.
GiĂ dagli Art. FIRENZE, PISA, VOLTERRA, si potrĂ rilevare che nei secoli XII e XIII, quando glâImperatori facevano guerra ai Papi, capi e difensori della parte guelfa, i vescovi di molte cittĂ della Toscana presedevano alle deliberazioni del popolo: e nel modo che trovammo in Firenze sul principio del 1200 capo di quella repubblica il vescovo Giovanni da Velletri, in Volterra il Vescovo Ildebrando deâPannocchieschi, cosĂŹ la Signoria di Siena dal 1128 al 1166 era preseduta dal suo vescovo Ranieri I.
Della qual presidenza fu fatta menzione poco sopra e da Giovanni Antonio Pecci nella serie deâ Vescovi e Arcivescovi di detta cittĂ , il quale indicò sotto ilo vescovato di Ranieri I molte sottomissioni e accomandigie fatte al Comune da diversi nobili di contado, indirizzaronsi a Ranieri, quasi (diceva il Pecci) riconosciuto capo della repubblica nello spirituale e nel temporale.
Fra i molti documenti atti a dimostrare tutto ciò mi limiterò agli istrumenti seguenti. Nel 27 febbraio del 1156 Ranuccio signore di Staggia e Strove con Bernardino e Gozzolino suoi figli, unitamente a Ottaviano e Rustico di Soarzo loro consorti, si diedero in accomandigia al popolo sanese nelle mani del vescovo Ranieri col castello di Strove e le sue pertinenze, e mentre giuravano fedeltĂ alla Repubblica, promettevano di difenderla in tutte le guerre e specialmente in quelle contro i Fiorentini, con lâobbligo di consegnar aglâincaricati di quel Comune dentro otto giorni dalla fatta richiesta per servizio della guerra la torre di Montacutolo sul Monte-Maggio. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO DI SIENA, Tomo I Pergamena N°. 24.) Anche nel gennaio del 1163 Ubaldino del fu Ugolino di Soarzo donò al Comune di Siena, e per esso al vescovo Ranieri, ogni diritto che egli aveva sulle terre, castelli e ville che possedeva da Poggibonsi alla Porta Camullja, e nominatamente nei castelli di Staggia e di Strove, nel castello di Montacutolo sul poggio di Monte-Maggio ed in Monte-Castelli, nella corte di Sitecchio e in quella di Stomennano, a condizione per altro di restare tale donazione priva di effetto nel caso in cui il detto Ubaldino lasciasse deâ figli maschi. â (ivi N°. 32.) Nel febbrajo dellâanno stesso Paganello e Rustico di Soarzo con Bellafante e Berta di Ottaviano di Soarzo donarono alla Repubblica in mano di Ranieri vescovo di Siena le ragioni che gli appartenevano nei castelli e corti di Montacutolo nel Monte-Maggio e di Monte-Castelli con i loro boschi e dipendenze. Rogò uno di quegli atti davanti la chiesa di S. Pellegrino il notaro Ranieri alla presenza del consiglio generale del popolo sanese. â (PECCI, Opera citata e ARCHIVIO DIPLOMATICO DI SIENA, Tomo I delle Pergamene. N°. 33 e 34.) Non parlerò della bolla di Alessandro III spedita da Roma nel 1166 ai consoli del popolo di Siena e a Ranieri II vescovo eletto della stessa cittĂ relativamente ai suoi confini territoriali e diocesani con il territorio e Diocesi Fiorentini, perchĂŠ riportata dal Muratori nelle Ant. M.
Aevi (Dissert. 74); nĂŠ starò a rammentare altra bolla diretta da Anagni dieci anni dopo (22 giugno 1176) dal Pontefice medesimo a Gunteramo eletto vescovo di Siena, essendo stata pur essa pubblicata dal Muratori (Opera citata Dissertazione 69), parlerò bensĂŹ di una terza bolla concistoriale da Alessandro III inviata da Venezia li 18 giugno del 1177 al clero della cittĂ e borghi di Siena, con la quale si concedevano a quegli abitanti alcuni privilegi in benemerenza di aver essi aderito al Pontefice medesimo in tempo della di lui persecuzione. â (PECCI, Serie deâ Vescovi e Arcivescovi Sanesi.) Aggiungerò altresĂŹ che nellâanno stesso (1177) cominciò per lâItalia a comparire un raggio di quella pace, della quale da gran tempo essa era privata, tostochĂŠ in quellâanno appunto ebbe fine un deplorevole scisma della chiesa di Dio.
Ho giĂ detto che lâadesione deâSanesi al loro concittadino Pontefice Alessandro III non fu la causa della collera mostrata contro essi da Federigo I, tostochĂŠ erano corsi nove anni quando Arrigo VI in nome dellâAugusto suo padre, assediò quella cittĂ , vale a dire cinque anni dopo la morte di Alessandro III.
Nettampoco io credo che quella collera imperiale traesse origine dalle prime guerre nel 1170 fra i Fiorenti e i Sanesi incominciate, siccome raccontarono Ricordano Malespini e Giovanni Villani, mentre tali fatti non solo precedettero di 7 anni la bolla inviata a questi ultimi dal Pontefice Alessandro III, ma ancora la guerra stessa ebbe fine nel 1175 per mediazione dello stesso Federigo I con un trattato di conseguenza col quale furono rinunciati al popolo e Comune di Firenze da Gunteramo vescovo eletto di Siena e dai consoli di detta cittĂ , i castelli, uomini e ville compresi fra il Castagno aretino e il luogo dove la Burna mette in Arbia.
Finalmente in virtĂš della pace generale conclusa in Costanza nel 1183, e forse prima, trovasi stabilito da varie popolazioni italiane il sistema per reggersi a repubblica.
Ma nel tempo che da una parte Federigo I concedeva privilegi, o confermava governi municipali a molti paesi e cittĂ dellâItalia superiore, dallâaltra parte egli voleva ristringere il dominio di alcune altre dellâItalia media.
Stando allâasserzione deâ due cronisti testĂŠ citati, quellâimperante nellâestate del 1184, oppure secondo lâAmmirato e il Sigonio, nel luglio del 1185, ordinò che a tutte le cittĂ della Toscana, fuorchĂŠ a Pisa ed a Pistoja, si togliessero le regalie consuete e il respettivo contado, e che i loro governi si sottomettessero agli uffiziali imperiali perchĂŠ (aggiungono i due cronisti piĂš antichi) âquando Federigo Barbarossa aveva guerra con Papa Alessandro, le altre cittĂ avendo abbracciato il partito della chiesa erano state a lui contrarie; e fu nellâanno 1184 che lâImperatore stesso inviò un esercito ad assediare la cittĂ di Siena ma non lâebbe.â â Che però cotesto affare terminasse ben diversamente di quanto ne scrissero il Malespini e il Villani, lo dichiararono abbastanza i duri patti imposti ai Sanesi, allorchĂŠ chiesero di tornare in grazia dellâImperatore di suo figlio Arrigo. ImperocchĂŠ durissime furono le condizioni che nel giugno del 1186 si esibirono al popolo sanese per riacquistare la buona grazia deâdue coronati; cioè I° di rassegnare alla regia autoritĂ il contado di Siena con i beni che furono della contessa Matilde e del Conte Ugo, e che appartenevano alla marca della Toscana; 2° di consegnare alla potestĂ imperiale i castelli e le terre del contado medesimo, e specialmente il castel San-Quirico, oltre le regalie spettanti allâImpero tanto quelle di fuori come le altre dentro la cittĂ , fra le quali la Zecca, il Pedaggio ed il Teloneo; 3° di dovere i Sanesi dallâetĂ di 15 fino a 70 anni giurare fedeltĂ ad Arrigo VI; 4° di restituire alle chiese e ai nobili del contado le loro possessioni castelli e ville con tutti i diritti che gli furono tolti; 5° di svincolare dal giuramento quei nobili che dai Sanesi vi fossero stati costretti, e di assolvere gli altri che avessero congiurato contro il governo di Siena; 6° di dover consegnare aglâincaricati del re Arrigo i castelli di Montaguto e di Orgia; 7° di pagare 4000 lire allo stesso re, 600 alla regina e 400 alla curia imperiale; 8° di far pace e guerra con tutti quelli, con i quali venisse loro comandato dal re o da alcuno deâ suoi delegati; 9° di mantenersi in pace col vescovo di Volterra, con gli uomini di Montalcino e con altri fedeli dellâImpero; 10° di conservare immuni da ogni sorta di peso le chiese e specialmente quelle della diocesi volterrana comprese nel territorio o contado senese.
A queste condizioni (termina lâatto) lâimperatore Federigo e il re Arrigo rimetteranno i Sanesi nella pienezza della loro grazia, perdonando tutte le offese che ai sovrani medesimi, ossia allâImpero in qualsiasi modo avessero fatto; alle quali condizioni Arrigo Vi avrebbe concesso al Comune di Siena lâelezione libera dei suoi consoli, ammessa però lâinvestitura da darsi dallâImperatore e cosĂŹ dai di lui successori.
La cosa singolare per altro si è di non trovare fra i documenti sincroni alcuno in cui sia fatta menzione dellâassedio di Siena del 1185, o 1186, nĂŠ delle vicende a quello relative. In ogni caso io tengo per dimostrato che un tale assedio o quella guerra contro la cittĂ e Comune di Siena non accadesse nel 1184 come fu scritto da Giovanni Villani.
ComecchĂŠ il popolo sanese innanzi la fine dellâanno 1186 trovasse modo di riacquistare la grazia dellâImperatore e del suo figlio alle condizioni espresse nellâindulto scritto da Cesena li 25 ottobre 1186, si può altronde chiaramente arguire che dalle principali concessioni in quellâindulto registrate emerge unâorigine meno incerta dello stabilimento della repubblica sanese.
I pesi imposti dal Comune di Siena dalla scrittura del 25 ottobre 1186 dovettero continuare per vari anni, tostochĂŠ con lâatto stipulato li 21 marzo 1190 nel Borgo S. Genesio a cagione di mille marche dâargento somministrate ad imprestito da Ildebrando Vescovo di Volterra al mariscalco Enrico Testa legato imperiale in Toscana, si rilasciavano al mutuante tutte le rendite annuali che pagavano alla corona i paesi del Galleno, Cappiano, Fucecchio, Massa-Piscatoria, San-Miniato, Borgo S.
Genesio e la cittĂ di Lucca, oltre il pedaggio di Castelfiorentino, di Poggibonsi, ecc. piĂš il tributo deâ Sanesi consistente in 70 marche al peso di Colonia, ed il pedaggio delle porte di questa cittĂ . â (LAMI, Monum.
Eccl. Flor. pag. 343.) Frattanto il Comune di Siena non solamente andava a poco a poco tarpando lâali ai piĂš potenti magnati del suo contado con lâobbligarli di fornire della milizie alla repubblica, di fabbricarsi casa in cittĂ , di abitarvi per un dato tempo dellâanno, ma ancora introduceva un uffiziale superiore alla direzione del governo militare e dei giudizj criminali col titolo di podestĂ , da primo scelto fra i nobili sanesi, poscia fra i piĂš distinti forestieri.
LâArchivio Diplomatico di Siena nel Tomo I delle Pergamene (carta 64) conserva un atto originale in data del 4 gennaio 1203 (stile comune) relativo alla formula del giuramento prestato al Comune di Siena dal Conte Ildebrandino Palatino di Santa-Fio ra raccomandato della Signoria per 20 anni con gli oneri ivi espressi.
Unâaltra pergamena scritta li 20 agosto dellâanno 1202 contiene lâatto di giuramento per simile accomandigia prestato da Parenzo potestĂ di Orvieto a nome del suo Comune; mentre nel I ottobre dellâanno stesso i consoli di Siena giurarono di non far pace con i Montepulcianesi se non rendevano al conte Manente di Sarteano e a molti altri dinasti deâCacciaconti tutti i loro vassalli che i Motepulcianesi tenevano prigionieri dopo che i Sanesi bruciarono il borgo di Ciliano. â (Loc. cit. Tomo I delle Pergamene N°. 65, 66 e 67.) Molti scrittori fondati sul giramento prestato in Fonte- Rutoli li 29 marzo 1201, credettero che in quellâanno fosse fatta lega fra la repubblica di Siena e quella di Firenze, mercĂŠ cui il potestĂ e i consoli fiorentini promisero non solo di astenersi dallâassistere i Montalcinesi, nel caso che i Sanesi volessero muovergli guerra, ma che al Comune di Siena dove allora era podestĂ Filippo Malavolti, i Fiorentini avrebbero fornito ajuto per un mese di cento cavalli e di mille fanti. â (AMMIR. Stor. Fior. Lib. I.) Frattanto nel popolo di Siena dopo che nel maggio 1202 ebbe conquistato Montalcino, crebbe vieppiĂš il desiderio di impadronirsi di Montepulciano ed è per questo che il suo governo nello stesso anno concluse unĂŹâalleanza con il Comune di Orvieto. Ma intanto i Montepulcianesi prevedendo il colpo che se gli minacciava stringevano lega con i Fiorentini sotto pretesto, scrive lo storico Ammirato, che Montepulciano non era del Vescovado, nĂŠ del contado di Siena. In vista di ciò quella Terra fu accolta in accomandigia della repubblica Fiorentina a condizione di dovere quel Comune inviare ogni anno a Firenze per la festa di S. Giovanni Battista un cero di 50 libbre e dieci marche dâargento, pari a lire 50 di denari pisani. â (Oper.
e Libro cit.) Tutto ciò asseriva lâAmmirato, ma dal giuramento di San- Quirico (aprile 1205) si scuopre la causa per la quale ebbe luogo, sebbene senza effetto, quel giudizio, avvegnachĂŠ due anni dopo (anno 1207) si riaccese guerra fra i Sanesi e i Montepulcianesi assistiti dai Fiorentini. Quindi è che lâoste fiorentina nel 1207 si condusse nel territorio sanese, e fu sotto Montalto della Berardenga dove accadde nellâanno stesso un fatto dâarmi a danno deâ Sanesi; in conseguenza del quale disse il Villani, vennero a Firenze 1300 Sanesi prigionieri, e i Fiorentini ebbero il detto castello di Montalto che disfeciono. Nellâanno appresso (1208) ritornando lâoste medesima nel contado sanese, disfece Rigomagno, e di lĂ avanzandosi verso Rapolano, prese e condusse seco gran preda e molti prigionieri, finchĂŠ nel 1210 i Sanesi, mediante la pace fatta con i Fiorentini, Montepulcianesi e Montalcinesi riebbero i luoghi perduti. â (GIOVANNI VILLANI, Cronica Lib. V cap.
33 e 34).
NellâArchivio Diplomatico di Siena conservasi nel Tomo I delle Pergamene una membrana (N°. 71) scritta li 4 febbrajo del 1205 (1206 stile comune) nella quale si legge che era allora potestĂ di Siena Jacopo dâIldebrandino succeduto a Bartolommeo di Rinaldino, a quello stesso Bartolommeo che nellâaprile precedente aveva presieduto al giudizio tenuto in San-Quirico di Val dâOrcia.
Poco dopo di essere stata ristabilita fra i Sanesi e i Fiorenti la pace del 1210, la comunitĂ del Monte SS.
Marie per contratto del 3 gennaio 1211 stile comune) prese in affitto da uno degli antichi dinasti di detto luogo, Ranieri di Pepone deâCacciaconti, alcuni boschi compresi nel territorio della stessa ComunitĂ , che ivi li dichiara compresa nel contado sanese. â (Loc. cit. Pergamena N°.
87).
Fu in quellâepoca medesima, quando i Sanesi riformarono il loro governo col determinare, che dâallora in poi il podestĂ si eleggesse esclusivamente fra i nobili forestieri.
Realmente il primo podestĂ di Siena nominato dopo cotesta legge fu Guido di Rinuccio da Orvieto, cui nel 1213 sottentrò Ubaldo Visconti di Pisa, sostituito nellâanno medesimo da Guelfo di Ermanno di Paganello deâPorcaresi, sotto il qual ultimo podestĂ la Repubblica di Siena fece accerchiare di mura torrite il Castello di Monte-Riggioni; e fu sotto quei podestĂ forestieri che la repubblica sanese (fra il 1214 e il 1224) potè estendere il suo contado dalla parte della provincia inferiore.
LâArchivio Diplomatico Sanese conserva un placito del 15 giugno del 1228 dato da Everardo di Arnestein castellano di San-Miniato e da Rinaldo duca di Spoleto vicario per lâImperatore Federigo II in Toscana, col quale si condannava il Comune di Montepulciano in mille marche dâargento, se quel popolo non ubbidiva ai sovrani comandi per la pace da riformarsi in Toscana. Quindi con altro bando del 17 giugno del 1228 lo stesso Everardo di Arnestein comandò al potestĂ di Siena di tenere i Montepulcianesi per nemici deâSanesi, di perseguitarli e di far loro guerra. â (loc. cit. Pergamena N°. 196) Infatti la Signoria di Siena mandò nellâanno appresso la sua oste sopra Montepulciano; in conseguenza di ciò i fiorentini mossero le loro forze e quelle degli amici contro i Sanesi a difesa deâMontepulcianesi loro amici e alleati.
Non Starò a ripetere quanto fu scritto su questo rapporto allâArt. QUERCE-GROSSA; nettampoco dirò, come i Fiorentini, contuttochĂŠ aggravati da una scomunica fulminatagli contro nel 15 ottobre del 1232 a nome del Pontefice Gregorio IX, inaspriti piuttosto che inviliti da simili censure ecclesiastiche, nel 1233 corsero con altre genti dâarme a investire dalle tre parti il giro triangolare delle mura di Siena; nĂŠ ripeterò come essi continuarono neâ due anni successivi (1234 e 1235) a guerreggiare, talchè il Comune di Siena dovette chiedere ai primi quella pace che ottenne a patti onerosissimi mediante lodo del Cardinal Jacopo di Palestina Legato pontificio firmato in Poggibonsi li 30 giugno 1235 negli accampamenti dellâesercito fiorentino. (GIOVANNI VILLANI, Cronica Libro VI, cap. 13.- AMMIRATO, Stor. fior. Libro I.) Fra le principali condizioni di quel lodo vi furono le seguenti: I° che i Sanesi fra 15 giorni dovessero pagare 8000 lire per rifare entro un anno il Castello di Montepulciano; 2° che il Castello di Chianciano stato consegnato dai Sanesi al Cardinal legato dovesse restituirsi agli Orvietani, a condizione che questi ultimi lo riconsegnassero ai suoi veri padroni. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Pergamena N°. 307) Sette giorni dopo quel lodo, nel 7 luglio del 1235, furono stipulate le condizioni di pace tra i Sanesi da una parte e dallâaltra parte i Fiorentini, Orvietani, Aretini, Montepulcianesi, Colligiani, Sangimignanesi, Bolognesi, Conte Guido, Napoleone Visconti di Campiglia, ecc. in articolo della quale si voleva che la repubblica sanese rinunziasse ai Fiorentini tutto ciò che apparteneva loro nel Castello di Poggibonsi, ecc. â (ivi, Pergamena N°. 314) IntantochĂŠ la corte romana e i suoi Pontefici continuavano ad essere in urto con lâImperatore Federico II, accadeva in Siena una riforma, in forza della quale si cambiò il titolo al primo magistrato deâconsoli, cui, al pari di altre cittĂ , fu dato il titolo di Priori del Comune di Siena, aggintovi un consiglio di 24 individui, che si dissero i conservatori del popolo. â Mi limiterò a citare per ogni altra prova una riformagione del magistrato predetto deliberata li 25 luglio dellâanno 1246 nella chiesa di S. Pellegrino, con la quale furono eletti tre sindaci incaricati di recarsi alla corte di Roma per difendere, dove occorresse, gli interessi del Comune di Siena. Forse una delle cause fu quella provocata dal Pontefice Gregorio IX contro il Comune di Siena con una bolla diretta a quel popolo sotto dĂŹ 9 febbrajo 1236, colla quale si ordinava loro di restituire le cose tolte da un tale Gualcherino e compagni a certi vassalli di Guglielmo degli Aldobrandeschi conte Palatino di Toscana; mentre con altra bolla dellâanno precedente il Pontefice medesimo avvisava il podestĂ e popolo sanese di aver scomunicato lâImperatore Federigo II e i suoi fautori; per la qual cosa sua SantitĂ preveniva i Sanesi affinchĂŠ niuno dio loro somministrasse alcuna specie di ajuto, nĂŠ prestasse piĂš obbedienza a quel sovrano. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO BORGHESI-BICHI e DIPLOMATICO SANESE, pergamene N°. 335 e 337) Cotesti avvenimenti politici e guerreschi troppo spesso in quella etĂ , non senza danno e pericolo dei popoli, ripetuti indussero i reggitori del Comune di Siena ad assicurare con migliori difese la loro cittĂ , forse perchĂŠ fino allora quel magistrato erasi fidato piĂš che delle mura e nei fossi nella posizione favorevole del paese e nel coraggio deâsuoi abitanti.
Infatti da quellâepoca in poi gli archivi pubblici di Siena si trovano sempre piĂš ricchi di memorie relative alle opere pubbliche che furono dopo ilo secolo XII in essa cittĂ innalzate, rispetto alle fonte, alle strade, alle porte e al nuovo cerchio delle sue mura. â Vedere lâArt. seguente, SIENA ComunitĂ .
Però anche ad onta della scomunica dal Pontefice Innocenzo IV contro lâImperatore Federigo II fulminata, i Sanesi si mantennero fedeli allâImpero, al quale pagavano puntualmente le 70 marche dâargento state fin dal 1186 da Arrigo VI imposte loro, nel tempo che inviavano in Lombardia i soldati designati per servizio di quel sovrano e della sua causa. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Pergamene N°. 393,416, 422) Per lo contrario, nel mentre che Firenze riformava lo stato, e che, come disse Giovanni Villani, per riparare alle forze deâGhibellini faceva il primo popolo, la Signoria di Siena si occupava del piĂš antico costituto che si conosca di questa cittĂ . â (Loc. cit. Pergamena N°. 437). Il quale statuto scritto nel 14 gennajo 1249 (1250 stile comune), trovasi ripartito in 87 rubriche o capitoli, meritevoli forse di essere dati alla luce a oggetto di conoscer meglio gli usi di quei tempi, lâordine delle magistrature, i regolamenti diversi per la sorveglianza deâluoghi pii, per la vendita delle vettovaglie, per gli albergatori, per le compagnie dei vigili destinati ad estinguere glâincendi, per lâora della sera da ritirarsi alle case, e per la pulizia che allora soleva praticarsi nella cittĂ , ecc. ecc.
Però nellâanno medesimo 1250 il magistrato deâPriori contrasse lega con i Pisani per liberare i Pistojesi e le loro terre investite dallâoste lucchese. La qual misura impolitica non fece altro che metter fuoco alla paglia tostochĂŠ i Fiorentini con il pretesto di difendere i loro amici, rivolsero le armi contro i Pisani. NĂŠ lĂ si arrestarono gli affari, mentre compita che fu la guerra contro i Pis ani, lâesercito fiorentino nel 1252 prese la via di Montalcino, nel tempo che la detta Terra, essendo stretta dalle armi sanesi, fu per battaglia dai Fiorentini liberata. Non era però ancora terminato lâanno 1253 quando lâesercito sanese si recava di nuovo contro Montalcino, e che il Comune di Firenze ordinava sopra Siena la marcia delle sue masnade, le quali strada facendo diedero il guasto ai dintorni della cittĂ , a varie terre e castella dalla Berardenga e della Scialenga innanzi di avviarsi a Montalcino per liberare cotesta terra dallâassedio deâSanesi, e provvederla di vettovaglie.
NĂŠ contenti di ciò, la stessa oste nellâanno seguente dopo aver soggiogato Pistoja che volle si reggesse a parte guelfa, avviossi contro Siena, e di prima giunta fermossi davanti al castello di Monte-Riggioni, dove si accampò e tenne quel castello assediato finchĂŠ dai due sindaci delle cittĂ respettive, adunati nella pieve di S. Donato in Poggio, sotto dĂŹ 31 luglio 1255 fu conclusa una pace e stabilita lega reciproca fra i due popoli, a condizione per altro che i Senesi non dovessero molestare piĂš nĂŠ la terra di Montalcino, nĂŠ quella di Montepulciano.
Ma quando Siena stabiliva con Firenze cotesta lega, dominava in questâultima cittĂ il partito ghibellino, capi del quale erano gli Uberti. â Appena però entrato che fu lâanno 1258 alcuni di cotesta famiglia con i loro seguaci, avendo tramato di rompere il popolo fiorentino che pendeva dalla parte guelfa, scopertosi il trattato, la plebe furibonda corse alle case degli Uberti, dove è la piazza deâPriori del palazzo vecchio, e presi, accusati e condannati alcuni di essi al taglio della testa, fu tutto eseguito in brevissimo spazio di poche ore. Allora si atterrarono i palagi e le torri deâcongiurati, e sopra tutti gli altri quelli della casa Uberti; quindi nel giugno del 1258 vennero cacciati da Firenze, inclusive Farinata degli Uberti, forse il piĂš gran politico della sua etĂ . DondechĂŠ tutta quella gente con molti altri nobili di contado e di cittĂ si rifugiarono in Siena, dove dai magistrati e dai cittadini furono favorevolmente accolti, stante allora i Sanesi retti a parte ghibellina ossia imperiale.
Raccontano alcuni scrittori come la Signoria di Firenze inviasse ambasciatori al Comune di Siena per querelarsi di aver dato ricetto a tanti fuoriusciti esiliati dalla loro città , e ciò in contravvenzione dei patti stabiliti nella lega del 31 luglio 1255: ma i Sanesi mossi non meno dal diritto delle genti, che dalla protezione del re Manfredi, col quale di corto avevano concluso un trattato di alleanza, non diedero ascolto a tali reclami. Si aggiunge che per siffatto procedere la Signoria di Firenze tenendosi offesa e il popolo adontato, dichiarò al Comune di Siena quella guerra, che riescÏ per le conseguenze la piÚ memorabile di tutte le altre nella storia delle repubbliche italiane del medio evo.
Sebbene in questo come in ogni altro caso io soglia preferire a tutti gli storici di epoche posteriori gli scrittori contemporanei, fra i quali non trovo in quellâetĂ che il fiorentino Ricordano Malespini, stato per avventura il primo storico che registrasse nelle sue cronache la battaglia e le conseguenze della giornata di Montaperto, con tutto ciò non debbo dissimulare che lo spirito di un caldo guelfo dovette influire sullâimparzialitĂ di quel racconto. In vista di ciò spero di non meritar biasimo se mi giovo di alcuni documenti pubblici di quel tempo estratti dallâArchivio Diplomatico di Siena , come quelli che mi parvero confacenti a rettificare alcuni racconti dello scrittore fiorentino.
âIn questi tempi (anno 1259) scriveva Ricordano Malespini al Cap. 163 della sua istoria, i Ghibellini usciti di Fiorenza, i quali eransi recati in Siena, ordinarono fra di loro di mandare ambasceria in Puglia al re Manfredi per averne soccorso, cui il re alla fine promise di dare cento cavalieri tedeschi, di che quegli ambasciatori, benchĂŠ turbati da tale sĂŹ povero dono, per consiglio di messer Farinata degli Uberti, accettarono graziosamente la profferta di Manfredi, e tornati a Siena grande sbigottimento nâebbero quegli usciti, ecc.â Che però il racconto del Malespini debba considerarsi alquanto diverso dal vero lo dĂ a conoscere un privilegio di Manfredi, dato in Luceria nel regno di Puglia nel mese di maggio del 1259 e diretto a Ildebrandino di Ugo del Palazzo, ambasciatore deâ Sanesi, inviato al re in nome di quel Comune con Bulgaro di Postierla potestĂ e Bonifazio di Gorrano capitano del popolo sanese, a oggetto di prestare giuramento di fedeltĂ a quel re protettore. Il quale a imitazione di Federigo II di lui padre, con quel diploma dichiarò dui prendere sotto la sua tutela la cittĂ , il contado, le persone e i beni dei Sanesi. â (Loc.
cit. Tomo VII delle Pergamene N°: 705 e 706).
In conferma e appoggio di tutto ciò pochi mesi dopo Manfredi mandò il conte Giordano con titolo di suo vicario in Toscana e con 800 cavalieri tedeschi, i quali arrivarono in Siena nel dicembre del 1259. Arroge che la Signoria di Siena aveva proposto ed il consiglio del popolo sino al luglio 1258 approvato una riformagione sopra i nuovi fossi da farsi intorno alla cittĂ . â (Loc. Cit.
Pergamene N°: 695 e 709).
Frattanto nella primavera del 1260 i Fiorentini feciono oste sopra Siena.
Con un gran corredo di gente costoro, dopo aver preso in Val dâElsa alcune terre e castella del territorio sanese, rivolsero il cammino verso la cittĂ accampandosi fuori di Porta Camullia.
âAvvenne che in cotesto assedio (continua Ricordano) un giorno gli usciti di Fiorenza (nel 18 maggio del 1260) diedono mangiare ai soldati tedeschi di Manfredi châerano in Siena, e fattili bene avvinazzare con promettere loro grandi doni e paghe doppie, caldi di vino uscirono fuori vigorosamente ad assalire il campo deânemici, e tale fu lâimpeto deâTedeschi, che pochi deâ Fiorentini ebbero tempo a mettersi in arme, cosicchĂŠ gli assalitori fecero allâoste gran danno, e molti pedoni e cavalieri presono la fugaâ.
Lo storico Malavolti fidando sopra uno scrittore anonimo vissuto vicino a quella etĂ , diceva, che in quel fatto dâarme restarono morti intorno a 1300 deâ nemici, e dalla banda deâ Sanesi appena 270.
Arroge allo stesso assalto, diversamente dai due opposti popoli e scrittori narrato, un decreto del giorno susseguente deliberato nel consiglio generale della Repubblica sanese adunato nella chiesa di S. Cristoforo, preseduto da messer Francesco Troghisi podestĂ di Siena per il re Manfredi, e da messer Rufredo dellâIsola capitano di quel popolo e Comune, alla presenza del conte Giordano, quando fu risoluto che ai Tedeschi e al loro mariscalco si desse un regalo di 500 lire per menda delle armi e dei cavalli, non chĂŠ per ricompensarli della onorata prova da essi data nella giornata antecedente contro i nemici della Repubblica sanese, ordinando inoltre che i tedeschi stati feriti in quellâazione a spese pubbliche fossero medicati. â (MALAVOLTI, Istor. San. Parte II, Libro I.) Cotesto decreto pertanto annullerebbe quanto aggiunge il Malespini e dietro lui altri scrittori fiorentini, allorchè dopo lâassalto di sopra indicato, egli soggiunge: âChe i Fiorentini ravveggendosi presono lâarme alla difesa contro ai tedeschi, e quanti ne uscirono di Siena non ne campò niuno, e tutti furono morti, e la insegna di Manfredi presa e strascinata per lo campo, e recata in Fiorenza, e poco stette lâoste che tornò in Fiorenzaâ. â (RICORDANO MALESPINI, Opera cit. cap. 164.) Inoltre dalla deliberazione preindicata risulterebbe che fino dal maggio 1260 il cinte Giordano era in Siena in qualitĂ di vicario regio in Toscana, e non giĂ châegli vi arrivasse, come altri dissero, molto tempo dopo quella giornata con 1800 cavalieri tedeschi. Certo è però che nuove genti dâarme erano state richieste al re Manfredi da una deputazione inviata in Puglia dal Comune di Siena, il qual rinforzo giunse in Siena dopo il mese di maggio del 1260 in compagnia degli amb asciatori sanesi e non giĂ del conte Giordano, sicchè quel soccorso di nuova cavalleria tedesca fu reputato ai Sanesi bastante per difendersi dallâoste che i Fiorentini con le cittĂ e terre della lega guelfa toscana contro Siena preparavano.
Quindi è che Firenze, dopo aver ricevuto lâaiuto promesso dai Lucchesi, Bolognesi, Pistojesi, Sanminiatesi, Pratesi, Sangimignanesi, Volterrani e Colligiani, i quali tutti erano in taglia col Comune prenominato, dopo ragunata cotanta numerosa oste, allâuscita di agosto del 1260 si partĂŹ da Fiorenza, menando seco per pompa il Carroccio e in altro carro apposito la campana chiamata Martinella ; e andovvi (cito sempre il Malespini) quasi âtutto il popolo con le insegne delle compagnie, mentre non fu casa, nĂŠ âfamiglia che non vi si recasse, o a piede, o a cavallo, almeno un o due, e âdi tali anche piĂš per casaâ.
âQuando di adunarono tutte coteste genti in sul contado di Siena al luogo âordinato, in sul fiume Arbia, chiamato MontâAperto, coâPerugini e âOrvietani venuti in ajuto deâ Fiorentini, si trovarono essere piĂš di mille âcavalieri (piĂš di 3000 dice Giovanni Villani) e piĂš di 30000 pedoni. In âquesto apparecchio si vuole che i fuoriusciti ghibellini i quali erano in âSiena, ricorressero allâinganno per tradire il Comune e popolo di Firenze, âparendo loro di aver poca gente a comparazione deâ FiorentiniâŚâŚ âAvvenne pertanto che essendo la detta oste neâ colli di MontâAperto, i savj âguidatori dellâoste attendevano che per li traditori di dentro fosse loro data âla porta promessa (di San Vieni, ossia Porta Pispini)âŚ. Quando (dalla âporta stessa) viddero uscire i tedeschi e gli altri cavalieri e il popolo di âSiena inverso loro con vista di combattere, isbigottironsi forte veggendo il âsubito assalto da essi non preveduto; e ciò maggiormente, in quanto che âpiĂš Ghibellini del campo, vedendo appressare le schiere dei nemici, si âfuggirono dallâaltra parte. Tali furono gli Abati e piĂš altri, comecchĂŠ i âFiorentini con loro amistadi non lasciassero di far loro fronte e di attendere âla battaglia. Ma siccome la compagnia deâ tedeschi rovinosamente percosse âla schiera deâ cavalieri fiorentini ovâera Bocca degli Abati traditore, questi âcon la spada tagliò la mano a Jacopo deâPazzi di Fiorenza il quale teneva âlâinsegna della cavalleria del Comune, e veggendo i cavalieri e il popolo âlâinsegna abbattuta e il tradimento, si misono in sconfitta. E perchĂŠ i âcavalieri in prima si avvidono del tradimento non rimasono di loro su âcampo oltrechĂŠ 36 uomini di nome tra morti e presi. Ma la grande âmortalitĂ e presura fu del popolo di Fiorenza a piĂŠ e dei Lucchesi e âOrvietani; e piĂš di 2500 rimasono in sul campo morti, âe piĂš di 1500 presi âdi quegli del popolo e deâ migliori di Fiorenza me deâ âLucchesi e âdeâgrandi amici loro; e cosĂŹ si domò (termina il Malespini) la ârabbia âdellâingrato popolo di Fiorenza.
Ciò accadde uno martedĂŹ, a dĂŹ 4 di âsettembre 1260, e rimasevi il Carroccio e la campana detta Martinella con âmolto arnese deâFiorentini e di loro amistadi. Per la quale cagione fu rotto âil popolo vecchio che era durato (a Firenze) mercè tante vittorie in grande âstato per anni dieciâ. â (RICORDANO MALESPINI, Istor. Fior. cap. 167.) Di questa famosa battaglia molte descrizioni si trovano, parte inedite parte stampate, ma tutte di gran tempo posteriori allâepoca in cui accadde. Aggiungasi che i cronisti e storici sanesi hanno piĂš degli altri e in vario modo, parlato rispetto al novero dei combattenti di una parte e dellâaltra ed ai fatti relativi alla gran giornata.
Era giĂ lâesercito vittorioso tornato in Siena trionfante, e con incredibile letizia di quella popolazione accolto e festeggiato, allorquando arrivò in Fiorenza la novella della sconfitta dolorosa, accompagnata dal ritorno di miseri fuggitivi, nunzj della morte di tanti loro compagni, in guisa che, a confessione di Ricordano, scrittore allora vivente in essa cittĂ non fuvvi famiglia piccola o grande, cui non mancasse per tale sconfitta uomo morto o prigione, in modo da dover concludere che una lunga guerra politica terminasse con una breve battagliaâ.
In quellâanno medesimo fu riformata a stato ghibellino quasi tutta la Toscana, e fu compilato per la cittĂ di Siena un nuovo statuto che può dirsi per avventura il primo conosciuto sotto cotesto titolo esistente nei pubblici archivj, comecchĂŠ di una legge statutaria di dieci anni piĂš antica divisa in 87 rubriche, sia stata da noi fatta menzione poco avanti.
Si è detto che dopo la gran giornata dellâArbia quasi tutta la Toscana fu riformata in parte ghibellina o imperiale, giacchĂŠ ad eccezione di Pisa, di Siena e di Massa- Marittima tutti gli altri popoli e repubbliche a quellâepoca confessavano lâopposto partito.
Erano decorsi appena nove giorni dalla disfatta di MontâAperto quando molti Fiorentini con le loro donne e figli dovettero refugiarsi alcuni a Bologna, ma il maggior numero a Lucca. Nella stessa maniera i guelfi di Prato di Volterra, di Colle e di San Gimignano avviliti, si ritirarono a Lucca, in guisa che questâultima cittĂ rimase per qualche tempo sola e servĂŹ di asilo per dirla quasi il baluardo di tutta la parte guelfa della Toscana.
GiĂ da 28 anni indietro (1232) Siena aveva alquanto riformato il suo governo, ponendo alla sua testa una signoria composta di Nove governatori, uomini scelti fra i grandi popolani; ai quali riescĂŹ di governare la repubblica dal 1232 sino al 1260; ma in questâultimo anno essendo insorta una qualche turbolenza fra il magistrato deâNove e i nobili delle prime famiglie di Siena aspiranti al regime della cittĂ , quel malumore si convertĂŹ in unâaperta ed ostinata ostilitĂ , nella quale alla fine prevalsero i reggitori dello stato. Ciò nonostante questi si contentarono che entrasse in Signoria una parte dellâordine popolano, e di quello deâgentiluomini. â (MALAVOLTI, Istor. Sen. P.I.
Lib. V.) V. SIENA DOPO LA GIORNATA DI MONTâAPERTO SINO ALLâULTIMO SUO ASSEDIO Una delle prime imprese deâSanesi vittoriosi fu contro la terra di Montepulciano, che il re Manfredi in segno della loro fedeltĂ , con suo diploma spedito da Foggia li 20 novembre del 1260, rilasciava in libero dominio al Comune di Siena. Infatti nella primavera susseguente lâoste sanese fu inviata a Montepulciano, sicchĂŠ questo paese dopo qualche mese di assedio, nel luglio del 1261, trovossi costretto a capitolare, per effetto di che gli assediati dovettero accordare facoltĂ ai Sanesi di costruire dentro la loro Terra una fortezza dalla quale fosse libera lâescita dalle mura castellane.
La sconfitta di MontâAperto, della cui descrizione nel dicembre del 1836, e di corto nel gennajo del 1844, lâerudito tipografo sanese Giuseppe Porri ha pubblicato due narrazioni tratte da antichi MSS, quella sconfitta io diceva, fu per i guelfi della Toscana, se alle grandi si possono paragonare le minori cose, come la battaglia di Vaterloo per i Napoleonici della Francia; imperocchĂŠ i ghibellini vincitori dopo il 4 settembre del 1260, furiosi e sitibondi di vendetta si gettarono sopra i paesi, sugli abitanti e i governi di parte guelfa disseminati per la Toscana, senza perdonare alle persone ed alle loro robe, mobili o immobili che fossero state; talchĂŠ è fama doversi alla fermezza del potentissimo Farinata degli Uberti la soppressione del progetto fatto dai ghibellini magnati nel congresso dâEmpoli, in cui proponevasi nientemeno che rovesciare e distruggere da capo a fondo Firenze, la cittĂ piĂš insigne e la piĂš eminentemente guelfa della Toscana.
ChecchĂŠ ne sia tutta la possanza della repubblica fiorentina rimase da quella sconfitta abbattuta e annichilata al segno che per cieca rabbia i vincitori giunsero allâatroce barbarie di abbattere le sepolture per inveire perfino contro i morti, benchĂŠ virtuosi cittadini. â Vedere FIRENZE.
Quasi tutti i paesi e cittĂ della Toscana, meno poche cittĂ , dopo il settembre del 1260 cangiarono governo e partito; nel tempo che Siena salita allâapogeo della sua gloria vedeva umiliati i popoli che furono di lei piĂš costanti rivali. Allora le cose pubbliche deâ Sanesi erano rette quasi dittatorialmente da un potente loro gentiluomo, Provenzano Salvani, perchĂŠ, al dire dellâAlighieri, fu presuntuoso A recar Siena tutta alle sue mani DANTE, Purgatorio. C. II CosĂŹ la pensava quel poeta che pose nel suo Inferno fra i traditori Bocca degli Abati; e ciò nel empo medesimo che quasi tutta la Toscana ubbidiva al conte Giordano, poscia al conte Guido Novello, uno dopo lâaltro vicarj generali del ghibellinissimo re Manfredi.
Vogliono non ostante alcuni dare al Provenzano maggiori virtĂš e piĂš disinteresse a favore della sua patria, per essere stato cotal uomo dopo la giornata di MontâAperto siffattamente alieno dal tiranneggiare i Sanesi che non sdegnò di recarsi con altri cittadini ambasciatore a San- Gimignano, e nel 1261 coprire lâuffizio di podestĂ di Montepulciano. Si crede altresĂŹ che a eternare la memoria di quella vittoria, la repubblica sanese coniasse le sue monete con la doppia legenda: Sena Vetus â Civitas Virginis.
Io non so poi se debba credersi in tutta lâestensione dei termini quanto scrisse lo storico Tommasi (Storia di Siena. P. I.) che per malignitĂ dâalcuno deâ tempi suoi mancano gli atti pubblici del Senato sanese nellâultimo semestre del 1260 tostochĂŠ trovansi in quellâArchivio Diplomatico alcune deliberazioni della Repubblica sanese prese appunto nel secondo semestre dello stesso anno.
Fra i quali documenti gioverĂ rammentare uno del dĂŹ 25 novembre 1260 relativo al trattato di pace e societĂ fra i Comuni di Siena e di Firenze, stato poi approvato dai Fiorentini nel gennajo successivo.
Nel 1261 continua ad esercitare in nome di Manfredi la carica del suo vicario in Toscana quel conte Giordano che ebbe tanta parte alla vittoria di MontâAperto, e ciò nel tempo stesso che un altro vicario regio disimpegnava in Siena lâuffizio di podestĂ . Infatti quando nel dĂŹ 10 novembre del 1261 la Signoria di Siena con i quattro provveditori dellâuffizio di Bicherna e il giudice assessore del consiglio del popolo, radunatisi nella chiesa di S.
Cristoforo, accettarono in accomandigia il Castello, uomini e distretto di Batignano, presedeva a quella riunione messer Petricciolo da Fermo , vicario nella cittĂ di Siena per il conte Giordano suo podestĂ , mentre Guglielmo da Pietracupa era capitano del popolo e Comune sanese. Citerò anche un atto di procura del 3 agosto del 1262, col quale il nobile Pepone deâVisconti di Campiglia dâOrcia prestò giuramento di fedeltĂ al Comune di Siena alla presenza di messer Francesco Simplice allora podestĂ di detta Repubblica, e vicario generale in Toscana pel re Manfredi.- (MALAVOLTI, Istor. Sen. P.II. Lib. II) Nellâanno stesso 1262 essendo capitano del popolo sanese messer Gherardino deâ Pii, molti nobili di contado dovettero sottoporsi al Comune predetto; non eccettuato il conte Bonifazio degli Aldobrandeschi di S. Fiora, il quale non solo fu costretto a rinnovare i patti di accomandigia del 17 maggio 1251, ma sottomettersi al governo di Siena a condizione anche piĂš servili; fra le quali una fu quella di obbligarsi a terminare il palazzo che aveva incominciato a edificare in Siena nel popolo di S. Andrea, contiguo alle mura castellane nel luogo oggi detto Catellare deâ Malavolti.
Frattanto la cittĂ di Lucca nel tempo che trovavasi obbligata dalla forza predominante di sottoporsi al pari di molti altri paesi della Toscana e quindi collegarsi alla taglia deâ ghibellini collâadottarne i principi oligarchici, nel tempo stesso il Pontefice Urbano VI preparava la rovina della casa imperiale di Svevia egida e refugio di tutti i ghibellini dâItalia, e segnatamente di quelli di Toscana.
I primi passi tendenti ad abbattere la potenza di quella dinastia sovrana furono fatti nel 1263, allorchĂŠ Urbano VI adunava un concilio in Viterbo per esibire il regno delle due Sicilie a Carlo dâAngiò, fratello di Lodovico (il santo) re di Francia.
Fu per effetto di una politica siffatta che il partito imperiale difeso e sostenuto dai ghibellini andò di mano in mano declinando a segno di trovarsi costretto a cedere ai guelfi la supremazia politica in Toscana, dove il numero deâliberali, fino allora oppressi dalla forza, ogni giorno piĂš si faceva forte ingrossando. â Eâ cosa notabile per la storia della nostra penisola quella di vedere espulsa e finalmente estinta la casa sovrana di Svevia per effetto specialmente dellâodio di Urbano VI verso i discendenti di Federigo II. Il quale avvenimento rendesi anche piĂš singolare, allorchĂŠ si riflette che nellâanno stesso in cui si chiamava nella bassa Italia Carlo di Angiò per esservi incoronato in re delle due Sicilie, in quellâanno appunto si eleggeva in arcivescovo di Milano Ottone Visconti, origine precipua della fortuna e possanza dei principi potentissimi di quella prosapia nella Lombardia.
Allâinvito del Pontefice Clemente VI, successo di papa Urbano, Carlo dâAngiò nella primavera dellâanno 1265 partĂŹ dalla Provenza per mare accompagnato da venti galere e da uno scelto numero di milizie; lo che obbligò Manfredi a richiamare nel regno il maggior numero della sua cavalleria tedesca, e tutti i soldati sparsi per la Toscana e per le marche. In vista di ciò il Comune di Siena somministrare dovette un numero di milizie in servizio del re Manfredi, come risulta da un atto dellâ11 febbrajo 1265 (stile comune) esistente nellâArchivio Diplomatico Senese, T. VIII. delle Pergamene (N°. 789) Quindi sulla fine dellâestate dello stesso anno scese per le Alpi della Savoja in Italia unâarmata francese, destinata contro il figlio naturale di Federigo II da Clemente IV scomunicato, alla quale oste al pari che a chiunque uomo si fosse recato a combattere contro Manfredi, il Pontefice medesimo riprometteva indulgenze plenarie.
Ad un esercito siffatto che ingrossavasi a proporzione del suo avvicinamento a Roma, si unirono 400 cavalieri Guelfi fuoriusciti di Firenze dei quali fu fatto condottiero il conte Guido Guerra di Dovadola, nel mentre che lâaltro suo cugino in Conte Guido Novello di Modigliana, esercitava in Toscana lâuffizio di vicario per re Manfredi.
Ma lâora estrema del governo della casa Sveva in Italia era per battere; e cotestâora fatale suonò nel giorno 26 febbrajo del 1266 (stile comune). Fu nei campi di Benevento, fu in quellâultimo cimento dove rimase estinto lo sfortunato e coraggioso Manfredi il cui corpo esangue venne scoperto e riconosciuto dopo tre giorni tra i cadaveri dei vinti. La morte do Manfredi appena divulgatasi, recò tanta sorpresa che poche furono le cittĂ le quali avessero coraggio al racconto deâsuccessi prosperosi di Carlo di Angiò di restare fedeli al partito ghibellino. Di questâultime fu la cittĂ di Siena, e ad onta del minacciato interdetto pontificio, non ostante che lâemula sua vicina avesse riformato il governo a parte guelfa, e che perfino i Pisani cercassero di rimettersi alla discrezione del papa, dal quale erano stati scomunicati, contuttociò il governo sanese, dopo la morte di Manfredi.
Arroge che Carlo dâAngiò, nuovo re di Puglia, ad oggetto di abbassare e comprimere il partito imperiale, aveva spedito in Toscana per suo vicario e maresciallo il conte Guido di Monfort con 800 cavalieri francesi. In conseguenza di ciò nel luglio del 1267 il detto conte, e poi lo stesso re Carlo con vigorosa oste unita a quella dei Fiorentini ricominciarono la guerra contro i Sanesi e tutti i ghibellini che in essa cittĂ e in Poggibonsi eransi refugiati.
Lâunica speranza deglâimperiali dâItalia e degli esuli ghibellini era riposta in Corradino nato da Corrado figliuolo legittimo dellâImperatore Federigo II.
A lui perciò i ghibellini della Toscana, quelli dellâItalia superiore e inferiore inviarono messi in Germania per sollecitarlo come legittimo pretendente di venire a riprendersi il regno avito. A questo fine il giovinetto Corradino col titolo châegli assunse di re di Sicilia calò a Verona accompagnato da qualche migliajo di truppe, le quali a poco a poco per mancanza di paga tornarono in gran parte in Germania.
Ma in questo frattempo il Pontefice Clemente IV faceva di tutto per distaccare i popoli italiani dal partito di Corradino; e lâArchivio Diplomatico di Siena conserva una bolla di quel Pontefice data in Viterbo gli 11 maggio del 1267, diretta al podestĂ e Signoria di Siena, affinchĂŠ cotesto popolo obbedisse ai comandi apostolici. In conseguenza di ciò nel I dicembre del 1267 i rappresentanti del Comune sanese e della parte ghibellina di Toscana elessero in capitano generale per cinque anni Enrico figlio del re di Castiglia, allora senator di Roma con lâannuo salario di 10,000 lire, oltre la promessa di pagare soldi 10 il giorno a 200 soldati spagniuoli. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, delle Pergamene, T. IX.
N°. 858 e 871.) Contuttociò i Sanesi con altri ghibellini della Toscana poco dopo inviavano al giovine Corradino circa 100,000 fiorini dâoro, e di altri denari fu anche provvisto dallo stesso governo nella primavera del 1268, allorchĂŠ gli pagò per saldo onze 4200, come da ricevuta dello stesso Corradino data in Pisa li 14 maggio dellâanno 1268. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Pergamene, T. IX, N°.
874) Accresciuto di mezzi e di forze Corradino partĂŹ da Pisa per Poggibonsi e Siena, dove intese il primo fatto dâarmi favorevole ai suoi accaduto nel Val dâArno superiore al Ponte a Valle. Gran rumore fece per la Toscana cotesta piccola battaglia, per cui ne montarono in superbia i ghibellini che prognosticarono da quella al nipote di Federigo II fortune maggiori.
Fu allora che i Sanesi saliti in grandi speranze si diedero a mozzare torri ed atterrare palazzi ad alcune famiglie potenti sospette. I libri della ragione tra quelli di Bicherna, segnano che nellâanno 1268 seguĂŹ il disfacimento di un palazzo deâ Tolomei, donde furono levate 13 colonnine di marmo e 26 fra basi e capitelli. â (BICHERNA, Libro dâEntrata e Uscita. L. giĂ B. fol. 25 e 26) Continuò il suo viaggio da Siena Corradino alla volta di Roma, senza far caso alcuno delle scomuniche contro lui da Clemente IV nel giorno del giovedĂŹ santo in Viterbo fulminate, il quale Pontefice si vuole predicesse la rovina di Corradino, compassionando lâincauto giovane come una vittima che avviavasi al sacrifizio.
Ben presto cotali pronostici si avverarono nel campo di Tagliacozzo, dove nel 23 agosto del 1268 con strana mutazione di scena si vide rivoltare la vittoria dalla parte degli Angioini con la prigionia dellâinfelice giovane Corradino, che poi nellâottobre successivo dovette lasciare sopra un palco il capo reciso dal carnefice, e cosĂŹ finire la nobilissima casa di Svevia non senza infamia del fratello di un santo re.
Giunta in Toscana la nuova della sconfitta di Tagliacozzo e della prigionia di Corradino, non è da dire in quale avvilimento cadessero i ghibellini, nel tempo che grandi feste si facevano dai guelfi che giĂ da due anni erano tornati a dominare sulla maggior parte della Toscana. Due sole cittĂ capitali di due repubbliche, cioè Pisa e Siena, dopo la morte di Corradino non solamente non innalzarono lo stendardo dei gigli francesi, ma il Comune di Siena, dopo aver raccolto un esercito di Tedeschi e Spagniuoli scampati alla battaglia di Tagliacozzo e dopo aver affidato al comando di Provenzano Salvani quanti fuorusciti ghibellini potĂŠ radunare, nel giugno dellâanno 1269 dichiarò la guerra ai Fiorentini portando lâoste sotto la Terra di Colle in Val d âElsa.
A tale avviso si mosse da Firenze il vicario del re Carlo dâAngiò accompagnato da soldati di sua nazione, da quelli deâFiorentini e da molti altri inviati dai paesi della taglia guelfa toscana.
Ostinata e terribile riescĂŹ la battaglia, nella quale restò rotto e sconfitto lâesercito ghibellino con grandissima perdita deâ Sanesi, ai quali si può dire che il di 11 giugno dellâanno 1269 riescĂŹ quasi altrettanto funesto sullâElsa, quanto il dĂŹ 4 settembre dellâanno 1260 era stato sullâArbia disastroso ai guelfi e specialmente ai Fiorentini.
Pochi deâ vinti si salvarono; e Provenzano Salvani, colui che nove anni innanzi aveva molto contribuito alla vittoria di MontâAperto, nella battaglia sotto Colle fu preso e trucidato, ed il suo capo portato in giro sopra una picca pel campo deâ vincitori. Per quanto cotesto uomo sommamente influisse sul governo politico della sua patria, egli si rese commendabile nella storia per un atto di somma pietĂ da esso poco tempo innanzi esercitato, allorchè fatto prigione dallâesercito Angioino un di lui amico, e messogli la taglia di 10,000 fiorini per chi volesse riaverlo, alla pena non pagandoli dentro un tempo determinato di fargli perdere la testa, Provenzano disteso un tappeto sulla gran piazza di Siena, si pose ad accattare il danaro dagli amici e parenti, talchĂŠ raccolta per tal mezzo la somma voluta, liberò dalla prigionia e dalla morte lâamico prigioniero. â (AMMIR, Stor. Fior. Lib. III) Dopo la vittoria riportata a Colle i Fiorentini tentarono di aprire pratiche di pace, affinchĂŠ i guelfi fuorusciti fossero ammessi anco in Siena; lo che si ottenne nel 1270 mediante un trattato fra le due cittĂ .
Fu in conseguenza di ciò che i Sanesi nellâaprile del 1271 dovettero pagare al vicario del re Carlo dâAngiò in Toscana 6000 onze dâoro per ottenere con tale sborso la grazia e protezioni di quel sovrano, a condizione che ai fuorusciti ghibellini non si restituissero i beni senza suo ordine; e due anni dopo (14 giugno del 1273) per mezzo di un sindaco i Sanesi promettevano di obbedire agli ordini della Santa Sede Apostolica, onda ottenere lâassoluzione dalle censure minacciate dai Pontefici Clemente IV a cagione dellâajuto dato allâinfelice Corradino e da Gregorio X rinnovate per non avere voluto riconoscere il re Carlo di Sicilia nominato da quel Papa vicario imperiale in Toscana.- (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, T. X. delle Pergamene N°. 886 e 899.) Ma disgraziatamente non passò gran tempo che i guelfi fuoriusciti, e riammessi in Siena, poco o nulla curando i patti della pace fra i due Comuni ristabilita, istigati dal conte Guido di Monfort, scacciarono dalla cittĂ gli antichi ghibellini.
SennonchĂŠ nel giugno del 1273 per opera del Pontefice Gregorio X, mentre egli passava da Siena per recarsi a Lione, i ghibellini furono restituiti alla patria e riammessi a parte delle prime magistrature.
Peraltro pochi giorni dopo la partenza di Gregorio X, tutto ciò che per cura di lui fu fatto venne guasto e rovesciato in guisa che i ghibellini dovettero di bel nuovo abbandonare questa cittĂ ; per la qual cosa il Pontefice fulminò nuova scomunica al popolo sanese. Intanto gli espulsi ghibellini raccoltisi nella maremma massetana danneggiavano il piĂš che potevano i paesi del dominio di Siena, di maniera che i reggitori della repubblica (anno 1276) inviarono lâoste contro il Castello di Prata, fatto asili di banditi e tanto lâoste vi stette che lo ebbe a patti.
Quindi la Signoria di Siena cominciò a prender parte nel regime politico di Massa cercando ogni modo di avere quel Comune a sĂŠ soggetto. Nellâanno 1277 furono rinnovate le capitolazioni con la cittĂ di Grosseto, e nel gennajo del 1280 (stile comune) con la mediazione del Cardinale Latino si conclusero nuove trattative di pace con il Comune di Firenze.
Quantunque la parte guelfa è la piĂš popolare avesse preso il sopravvento in Siena, dove nel 1280 la Signoria venne portata al numero di 15 governatori tutti dellâordine popolano , non per questo gli altri ordini della cittĂ , nĂŠ i ghibellini di corto rientrati si erano acquietati, e tanto essi brigarono che lâanno di poi furono espulsi da Siena diversi signori di case magnatizie ed altri capi di fazione ghibellina per aver tentato di impadronirsi delle redini del governo.
Ma nuovi segni di perturbazioni politiche apparivano nellâanno stessi in Sicilia, quando gli abitanti di Palermo dalle vessazioni, dalla superbia e dalla libidine deâ Francesi irritati a un suono di vespro fecero man bassa sopra quanti incontrarono per via di quella nazione.
Fu in conseguenza di ciò che i 15 governatori di Siena dopo lâavvenimento del vespro siciliano, che indebolĂŹ moltissimo in Toscana il partito guelfo nel tempo che rianimava quello deâ suoi rivali, con deliberazione del 16 maggio 1282 inviarono parte delle loro masnade ad assalire e disfare i castelli del contado, châerano stati di asilo a molti ghibellini esiliati o ammoniti.
Arroge a ciò come a varie cittĂ e terre della Toscana, per quanto si fossero ridotte a reggimento libero, pure non vi si poterono se non dopo la morte di Manfredi, stabilmente riposare. Quindi è che essendo stato vacante per lunghi anni lâimpero, Siena al pari di altre repubbliche con la protezione degli Angioini di Napoli potĂŠ liberarsi da una soggezione immediata allâImperatore Ridolfo. Il quale dopo le premurose rimostranze del Pontefice Niccolò III, che fruttarono la libera cessione alla Santa Sede di tutta la Romagna, e dopo che il re Carlo dâAngiò ebbe rinunziato al vicariato della Toscana, quellâimperatore rivestĂŹ del titolo di suoi vicarj quasi tutte le Signorie delle repubbliche di cotesta parte dâItalia, previo il pagamento alla corte Aulica di una somma annua in contanti a titolo di tributo o regalia.
LâArchivio Diplomatico Senese conserva tra le sue pergamene (T. XI. N°. 1002) un lodo del 23 ottobre 1280 dato in Siena da Jacopo di Bagnorea podestĂ , e dai 15 governatori di quel Comune, col quale si conclusero gli articoli della pace incominciata fra i guelfi di dentro e i ghibellini fuoriusciti.
In virtĂš pertanto di quel lodo, fu stabilito, che chiunque cittadino fosse stato al servizio della Repubblica sanese, e che dallâagosto p.p. non avesse ricevuto condanna di ribelle, potesse ritornare in Siena; che ai fuorusciti di dentro non fosse permesso tener in casa alcun barone, o grande; che tutte le persone di casa Salvani, Guinigi, e (ERRATA: Bonsi) Bonsignori innanzi di tornare in Siena dovessero ratificare la pace fatta dalò loro sindaco con quelli di casa Tolomei; e che la stessa cosa facessero quelli delle case Incontri, Forteguerri e Piccolomini, col dare mallevadori con lâosservanza di dette paci. Inoltre si volevano far contrarre matrimonj e parentadi fra le dette famiglie e altre nobili di Siena; finalmente a chi rompeva coteste paci si minacciava la pena del capo; oltre lâordine di abolire la memoria delle parti Guelfa e ghibellina, con tutti gli statuti, libri, sigilli, ecc. spettanti a dette parti sotto pene ed arbitrio deâ15 governatori del Comune.
SennonchĂŠ in questo frattempo essendo morto il Pontefice Niccolò III promotore di simili paci tra i diversi partiti in Toscana, si videro i fuorusciti poco dopo tornare allâarmi, per cui i guelfi con lâappoggio della plebe sanese cacciarono nuovamente i ghibellini stati di corto riammessi in patria.
In conseguenza di ciò il partito vincitore prese tal sopravvento che restrinse al numero di Nove i 15 governatori, chiamandoli i Nove Difensori, ed escludendo da quella magistratura gli ordini non popolani. Quindi i Nove unitamente al consiglio del popolo trattarono della redazione di un nuovo statuto che fu rogato li 7 luglio 1288, mentre era podestĂ di Siena per la seconda volta il conte Guido Salvatico di Dovadola. Del quale statuto il Muratori pubblicò alcune rubriche relative allâelezione, alle ingerenze ed al sindacato del podestĂ e deâ suoi uffiziali. â (Ant. M. Aevi, Dissert. 47) Se però le rivoluzioni avvenute nella Sicilia, le vicende delle guerre favorevoli anzichenò ai governi ghibellini di Pisa e di Arezzo, il fatto dâarmi accaduto nel 1288 al passo della Pieve al Toppo a danno grande delle truppe sanesi, se tuttociò èpotĂŠ rianimare lo spirito deâghibellini, dallâaltra parte ogni loro audacia venne compressa e fiaccata nel dĂŹ 11 giugno del 1289 alla battaglia di Campaldino per opera deâ Fiorentini e deâSanesi di parte guelfa; in conseguenza della quale la Repubblica di Siena sâimpossessò nello stesso mese della Terra di Lucignano in Val di Chiana, e poco dopo di molte altre castella nella maremma sanese.
A rendere piĂš solenne cotesto trionfo concorse lâarrivo in Toscana del re di Napoli Carlo II reduce dalla Francia, il quale in Siena al pari che in Firenze fu splendidamente ricevuto e festeggiato.
Aveva giĂ Papa Celestino V fatto il gran rifiuto, quando il suo successore Bonifazio VIII nel 28 ottobre del 1299 inviava da Rieti una bolla al podestĂ ed ai signori Nove di Siena per transigere con quel governo rispetto al pagamento di 8000 marche dâargento (40,000 lire) cui qualche anno innanzi i Sanesi erano stati dal Pontefice Urbano IV condannati. â Vedere RADICOFANI.
Frattanto sorgeva il secolo XIV che può dirsi il piĂš bel secolo per le repubbliche e cittĂ toscane; nel quale periodo fiorirono un Castruccio, un Arnolfo da Colle, un Giotto, un Dante, tre Villani, un Petrarca ed un Boccaccio, per non dire di un Giovanni e Andrea Pisani, di un Simone Merumi, o di Martino, pittore sanese, e di Simone Tondi pur esso da Siena, di costui cioè che forse fu il primo a darci unâidea di statistica, tralasciando di moltissimi altri ingegni toscani celebri ed eminentemente noti.
Non era ancora a mezzo il suo corso lâanno 1303, allorchĂŠ un potente magnate sanese di origine salica (Musciatto Franzesi) accolse nel suo castello di Staggia il Cavalier Nogarèt ministro di Filippo il Bello re di Francia, accompagnato da una schiera di soldati, i quali travestiti si inoltrarono insieme ad altri nemici del Pontefice Bonifazio VIII fino alla cittĂ dâAnagni, e allora sua residenza, dove di nottetempo quel Papa fu sorpreso, arrestato e condotto prigione in Roma; talchĂŠ presto fra il dolore e il furore al Pontefice Bonifazio VIII mancò la vita.
Cinque anni dopo per reprimere lâaudacia e render vani i maneggi delle famiglie magnatizie che in Siena miravano a signoreggiare sul popolo, il magistrato deâNove ordinò la riduzione delle tante contrade, o compagnie, che giĂ esistevano in cotesta cittĂ , e delle quali gioverĂ châio dica qualche parola.
La città di Siena sino da quel tempo repartivasi come attualmente per Terzi e per contrade, ed ogni contrada al suono della campana pubblica eleggere doveva i suoi uffiziali, cioè un capitano ed un alfiere, cui presedeva il gonfaloniere del Terzo, nel quale erano comprese le respettive contrade. Nei casi di sollevazione o di pericolo esterno il popolo di ciascuna contrada si armava e con le insegne proprie accorreva al palazzo pubblico per eseguire quanto dai reggitori del Comune veniva loro comandato.
Allâeffetto medesimo furono organizzate le compagnie nelle Masse (suburbii di Siena) e nei vicariati del contado sotto il comando deâcenturioni, o capitani, e deâ respettivi alfieri, o porta bandiere.
Cotesta istituzione delle contrade di Siena mi sembra il modello, se non è piuttosto una imitazione dei 16 gonfaloni delle arti introdotti nel secolo XIII in Firenze. â Le contrade di Siena ridotte attualmente a 17 sono conservate per fare una comparsa totalmente teatrale nei giorni che precedono di poco quelli in cui hanno effetto due grandi corse entusiastiche dei loro fantini, che si eseguiscono nella gran piazza del Campo nel secondo giorno di luglio e nel dĂŹ 16 di agosto di ciascun anno. MA per tornare alla storia dirò qualmente a speranza del partito ghibellino nel 1311 calava in Italia a prender la corona imperiale Arrigo VII dio Lussemburgo, nemico acerrimo dei guelfi, i di cui governi voleva totlamente disfare. Siena e Firenze furono in Toscana le due cittĂ che chiusero le porte in faccia al troppo ghibellino imperatore, e il magistrato dei Nove tornò a pubblicare il bando di esclusione dei nobili dagli uffizi pubblici. Di ritorno dallâinutilmente tentato assedio di Firenze, lâesercito di Arrigo VII poco dopo marciò verso Siena dando il guasto a tutte le ville di quei suburbj, quando a quel Cesare reduce dai bagni di Macereto in Buonconvento si estinse la vita per liberare da un gran timore il governo sanese e tutte le repubbliche guelfe della Toscana.
CosĂŹ i signori Nove, i quali fino allora si erano trattenuti dal castigare i mal contenti fuggiti da Siena, o che avevano macchinato di dare la cittĂ in mano ai nemici, poterono dopo la morte di Arrigo VII ordinare ai capi della loro oste di recarsi a soggiogare tutti i castelli nei quali si erano rinchiusi quei rivoltosi di ogni munizione provvisti.
Ma la cittĂ di Siena, a pari della rivale Firenze, aveva dentro delle potenti famiglie ghibelline. Tale era quella dei Salimbeni contro lâaltra guelfa deâ Tolomei, tanto che a onta del lodo del 1280 di sopra riportata, nel 16 agosto del 1315, giorno destinato alla festa della giostra e poi della corsa nella piazza del Campo, in quel dĂŹ appunto molti Tolomei riscontrandosi con altri di casa Salimbeni si affrontarono, si ferirono e si uccisero, sicchĂŠ mettendosi in arme anche il popolo, chi da una banda e chi dallâaltra parteggiava. Arrestò alquanto le conseguenze di tanta ostilitĂ lâarrivo in Siena del principe di Taranto fratello del re Roberto di Sicilia; ma la vittoria riprtata nel 29 agosto del 1315 da Ugoccione della Faggiola sotto Monte-Catini rianimò i ghibellini tutti della Toscana, sebbene questi non ritraessero gran profitto da sĂŹ favorevole giornata. AvveganchĂŠ non fuvvi cittĂ della lega guelfa, della quale allora anche Siena faceva parte, che ad onta delle discordie cittadine il suo governo popolare minimamente alterasse.
Che se il vincitore di Monte-Catini, se il gran ghibellino che rinnovò tra i campi di Val di Nievole la sconfitta di Montaperto, se il Faggiuolano fosse stato, dirò con il Malavolti, cosĂŹ prudente nel governare gli stati come mostrò di essere valente nellâarte militare, non vi ha dubbio alcuno che dopo quella luminosa vittoria egli diventar poteva lâarbitro della Toscana. Allâincontro Ugoccione venne espulso in un giorno stesso da Pisa e da Lucca, due cittĂ sulle quali egli dominava, nel tempo che la sua cacciata rianimò e fu di sommo conforto ai governi di parte guelfa in Toscana.
Vedendosi in Siena le cose deâ guelfi andare prosperamente, varie famiglie nobili incominciarono a tornare allâobbedienza della Signoria. Di cotesto numero furono nel 1320 messer Deo deâ Tolomei e messer Francesco deâ Salimbeni con altri loro aderenti; ma due anni appresso essendosi rinnovato tumulto contro il reggimento eâ Nove da molte persone dellâordine e della classe del popolo, una parte di quei rivoltosi fu presa e decapitata, mentre ad altri fuggitivi fu dato il bando e dichiarati ribelli. Accadeva ciò poco tempo innanzi che i soldati della lega guelfa di Toscana ricevessero in Val di Nievole altra piĂš solenne disfatta allâAltopascio da Castruccio Antelminelli, capitano e politico il piĂš valente della sua etĂ , per la quale molti della lega guelfa rimasero morti, o furono avvinti al carro del trionfante vincitore.
Quindi la cittĂ di Siena, al pari di Firenze, avendo adottato in suo vicario il duca di Calabria, figlio del re Roberto di Napoli, i Tolomei e i Salimbeni ad insinuazione dello stesso duca nel luglio del 1326 stabilirono per un quinquennio tregua scambievole.
Dice lo storico Malavolti, che due anni dopo (1328) il magistrato di Siena ordinò il censimento delle famiglie della cittĂ , mentre era capitano del popolo messer Guido Ricci da Reggio: Ignoro per altro su qual base egli si appoggiasse per asserire che allora il Terzo di CittĂ , diviso in 20 compagnie o contrade, contava 4227 famiglie; che nel Terzo di S. Martino si trovavano oltre 20 compagnie con 3120 famiglie; e che nel Terzo di Camollia esistevano 19 compagnie con 4364 famiglie, sommando in quellâanno la cittĂ di Siena fino a 11711 capi di famiglie, ripartiti in 59 compagnie, nelle quali però erano compresi anche i nobili. (MALAVOLTI, Istor.
San. Parte II. Lib. V.) Nellâanno predetto 1328 il capitano del popolo Guido Ricci condusse lâoste sanese allâimpresa del Castello di Montemassi, che non senza fatica potè alla repubblica conquistare. Il qual fatto fu poi dipinto nel palazzo pubblico di Siena nella sala del consiglio per opera del celebre Simone di Martino, comunemente appellato Simone Memmi.
Fu pure durante il capitanato di cotesto Guido deâ Ricci, stato piĂš volte confermato, quando nellâaprile del 1329 essendo insorto tumulto nella plebe a cagione di una gran carestia, vennero cacciati da Siena i mendichi, non senza pericolo della vita di quel capitano che con la forca e con la corda trovò il mezzo di vendicarsi. â (GIOVANNI VILLANI, Cronica Lib. X.. cap. 118. â DOMENICO LENSI BIADAJOLO, MS. inedito intitolato SPECCHIO UMANO, dal Marchese Tempi testĂŠ donato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze).
Non rammenterò una pace trattata in Volterratra i sindaci sanesi e pisani nellâagosto 1330, stantechĂŠ essa non ebbe effetto che tre anni dopo; non dirò in qual modo i Massetani, che erano in lega con i Pisani, nel 1335 si dassero ai Sanesi.
In quel frattempo dopo la nuova elezione della Signoria di Siena essendo stato eletto in priore dei Nove il cittadino Simone dâIacopo Tondi, questi di commissione deâ suoi colleghi recossi a perlustrare il dominio sanese, della qual visita diede relazione al governo, ed il cui sunto leggesi stampato nella storia pubblicata da Giugurta Tommasi, il qual sunto piĂš in certo modo reputarsi il piĂš antico saggio di statistica economica fra noi comparso alla luce.
Frattanto il Comune di Siena, stante le guerre e le spese gravose, nelle quali la Repubblica fiorentina era involta, soccorreva questâultima di gente e di denari, specialmente allorquando nel luglio del 1343 da Siena fu inviata gente armata a Firenze per dare un braccio alla cacciata del duca dâAtene.
Era stato di buon augurio ai Sanesi lâanno 1337 stante la pace con generale soddisfazione fatta in pubblico parlamento fra i Salimbeni ed i Tolomei, due potenti famiglie, sebbene mancasse di effetto tra i Malavolti ed i Piccolomini; ma riescĂŹ altrettanto tristo lâanno 1339 a cagione della peste bubbonica, per cui nella cittĂ perirono molti dei piĂš reputati cittadini. Però assai piĂš fatale e piĂš desolante fu quello della peste del 1348, in conseguenza della quale, scriveva un contemporaneo sanese Angiolo di Tura chiamato il Grasso, sembra che morissero di quel contagio fra Siena ed i borghi (Masse) piĂš di 80,000 persone!!!. ? Dal luglio infino allâottobre del 1348 (aggiunge lo stesso cronista) â quella peste fu talmente micidiale che morivano uomini e donne quasi di subito; ed io Agnolo di Tura sotterrai i miei figlioli in una fossa con le mie mani, ed il simile fecero molti altriâ. â (MURATORI Cron. di Andrea Dei in Rer. Italic. Script. T.
XV.) PiĂš discreto per altro apparisce un altro scrittore anonimo pure sanese citato dal Benvoglienti nelle note alla cronica di Andrea Dei, il quale dice che nella peste del 1348, di 65,000 bocche che allora faceva Siena (escluse le Masse) ne rimasero vive 15,000. â (Oper. cit. ivi.) Frattanto si avvicinava il tempo di una nuova riforma provocata dal popolo minuto per tacito consenso dellâImperatore Carlo IV arrivato in Siena nella vigilia della Santissima Annunziata del 1355, sicchĂŠ nel giorno appresso (25 marzo) con grandissimo tumulto si videro cacciati dal palazzo pubblico i signori Nove, in luogo dei quali entrò alla testa del governo lâarcivescovo di Praga col titolo di vicario imperiale, assistito da una Balia di venti cittadini, dodici dei quali dellâordine del popolo e otto dellâordine deâ gentiluomini. Riformato in tal guisa il governo di Siena Carlo IV proseguĂŹ il suo viaggio a Roma.
CosĂŹ alle grandi sventure naturali della peste e della carestia si aggiunsero le civili, come fu questa del 25 marzo 1355 portata ai Sanesi dal cambiato governo, cambiamento forse il piĂš fatale alla loro libertĂ , siccome apparirĂ dal seguito dei deâ fatti istorici.
I venti eletti di Balia sei giorni dopo (31 marzo 1355) ordinarono un magistrato di Dodici (quattro per terzo) i quali con piena autoritĂ dovevano risedere in palazzo al pari deâ signori Nove per decidere gli affari di stato con lâassistenza e voto di 12 buonomini di famiglie nobili, stati eletti essi pure, quattro per ogni terzo; e questi ultimi costituirono il collegio che in seguito appellossi deâ dodici gentiluomini.
Arroge a ciò come nel giorno 17 del mese di aprile successivo fu organizzato un consiglio generale composto di 400 cittadini, dei quali 150 dellâordine dei nobili e 250 di quello dei popolani, a condizione che questi ultimi non fossero appartenuti a famiglie dellâordine deâ Nove; il qual consiglio doveva ogni sei mesi essere cambiato.
Era in cotesto modo sistemato il regime rappresentativo della Repubblica di Siena quando Carlo IV, dopo la sua incoronazione vi fece ritorno, sicchĂŠ trovando la cittĂ involta nelle solite discordie fra nobiltĂ e il popolo, credette opera facile di potervi stabilire per suo luogotenente e governatore supremo di Siena e suo stato un di lui parente, il patriarca dâAquileia. DondechĂŠ Cesare giovandosi del favore della plebe riesce ad ottenere agevolmente che la Balia, i signori Dodici e il consiglio deâ400 riconoscessero nel patriarca un nuovo padrone, e che rinunciassero al loro uffizio tre settimane dopo esservi stati chiamati.
Ma non era facile ad un patriarca disarmato poter tener il giogo sul collo a cittadini fervidi ed usati alla scelta deâ magistrati propri. Infatti appena di tre giorno Carlo IV erasi allontanato da Siena, che quel popolo corse allâarmi per rimettere in palazzo i signori Dodici, sicchĂŠ innanzi che terminasse il mese di maggio il patriarca di Aquileja fu costretto a rinunciare al governo della cittĂ e del territorio sanese.
Frattanto da coteste rivoluzioni politiche varie cittĂ e terre del contado presero occasione di liberarsi dei Sanesi. Tali furono le cittĂ di Grosseto e di Massa, le terre di Montepulciano, di Montalcino, di Casole e non poche altre, comecchĂŠ Cesare poco tempo dopo a forza di genti estranee e di armi non proprie la capitale del dominio senese sapesse riacquistare.
Allora il magistrato dei signori Dodici nel dĂŹ 1 luglio del 1355 fu aggiunto un capo, il capitano del popolo, del di cui arbitrio dipendevano i capitani delle compagnie, ossia contrade, ed i centurioni delle Masse; talchĂŠ in luogo del solito capitano del popolo scelto fino allora ogni sei mesi forestiero, fu eletto ogni due mesi nazionale dellâordine popolare.
Ă altresĂŹ vero che le compagnie del popolo sanese non erano piĂš quelle che con tanto valore e senza essere salariati figurarono nei campi di Montaperto; non piĂš il campanone della torre del Mangia chiamava i cittadini allâarmi per difesa deâ nemici esterni piuttosto che per spegnere i tumulti interni; cangiò col tempo la maniera di vivere e di dominare; si volevano delle soldatesche prezzolate, si volevano delle compagnie estere di masnadieri, di cui per buona sorte, non si contano piĂš in alcuni luoghi dellâItalia che i Lanzi della Svizzera, mentre da quelle compagnie di soldati avventurieri glâItaliani, dopo il secolo XIV, ebbero a soffrire per lunga etĂ conseguenze lacrimevoli e dolorose.
Il Comune di Siena fu uno dei primi a risentirne i dannosi effetti, allorchĂŠ la Repubblica fu messa a discrezione di una numerosa compagnia di masnadieri guidati dal cavalier provenzale Fra Monriale, cui cadde nellâanimo di raccogliere una buona massa di soldati, tanto a piedi come a cavallo (barbute) che vivevano col mestiere della guerra e cosĂŹ taglieggiavano i popoli e principi italiani.
ImperocchĂŠ quella compagnia dopo aver servito il re dâUngheria contro la regina Giovanna di Napoli; dopo aver devastato la cittĂ di Todi, si ridusse derubando per ogni dove nel contado di Siena, dal cui governo nel 1354, oltre molti regali, ottenne la vistosa somma di 13,300 fiorini dâoro. NĂŠ solamente Siena, ma ancora Firenze e Pisa dovettero soffrire lâonta di comprare da quelle masnade una instabile pace. â CosĂŹ cominciò a spegnersi nelle cittĂ commercianti e ricche virtĂš militari; cosĂŹ le repubbliche e le signorie dellâItalia furono messe a discrezione di turbolenti e rapaci soldatesche, le quali procedendo terribilmente ogni giorno piĂš oltre, alterarono per tanto tempo la prosperitĂ deâ popoli, quasi fossero stati pochi i disastri che soffrivano per la divisione deâpartiti, per la intestine discordie e per le guerre di fuori. â A Fra Monriale tenne dietro il conte Lando pur esso condottiero di una soldatesca sfrenata, che i Dodici di Siena nel 1357 ebbero la debolezza di chiamare al loro soldo assieme con altra compagnia dâInglesi (anno 1363), e rendersi in tal guisa tributarj di cotesti ladroni pronti sempre a nuove inchieste di danaro e a vendersi al maggiore offerente. Una però di codeste compagnie sotto lâinsegna e titolo del Cappello comandata da un conte di Urbino, fu combattuta e dispersa presso Torrita in Val di Chiana dalle genti sanesi comandate da un conte Francesco Orsini, la quale sconfitta fu poi dipinta in una sala del palazzo pubblico di Siena.
In questo frattempo il popolo sanese al pari di quello di molte altre cittĂ si era diviso in due sette, una delle quali favorita dai Tolomei prese il titolo di Caneschi mentre dellâaltra detta deâGrasselli era capo la famiglia Salimbeni. Frattanto la Signoria deâDodici artificiosamente concorreva a mantenere tale divisione col fomentare tra una e casa e lâaltra le cause di scandali atti a ravvivare le discordie antiche. Della qual cosa accortisi i magnati ed altre famiglie nobili sanesi, raccolti i loro aderenti e armati gli amici, nel settembre del 1368 fecero impeto contro i signori Dodici che cacciarono di palazzo e poi di cittĂ ; quindi fu ordinata una Signoria nuova composta di tredici personaggi, dieci dei quali dellâordine deâ gentiluomini e tre di quello dellâordine, ossia Monte detto dei Nove.
Non avevano appena costoro preso le redini del governo, che una subita controrivoluzione nel mese stesso di settembre a danno deâ gentiluomini si suscitò dalla plebe assistita dalla soldatesca inviata dallâImperatore Carlo IV, tornato dâallora in Toscana, sicchĂŠ unâaltra Signoria di Dodici fu formata collâaggiungere ai tre del Monte deâ Nove, cinque deâ popolani e quattro dellâordine deâgentiluomini. DondechĂŠ ai Sanesi siffatte nutazioni repentine deâ loro governanti si addirebbe quanto lâAlighieri, rivolgendo il discorso a Firenze, diceva Verso di te, che fai tanto sottili Provvedimenti, châa mezzo novembre Non giunge quel che tu dâottobre fili Per veritĂ ci allontaneremo troppo dal nostro assunto se qui indicare dovessimo tutte le varie azioni di governo prevalse in Siena nel conflitto fra il popolo e la nobiltĂ , divisa e suddivisa in fazioni, cui fu dato il titolo di Monti.
Pochi giorni dopo la riforma del governo deâDodici testĂŠ accennata, Siena servĂŹ di teatro a una comparsa straordinaria per lâarrivo di Carlo IV e dellâimperatrice sua consorte, comparsa che terminò col dover la nuova Signoria ricattare dai Fiorentini la corona stata impegnata da quellâImperatore per bisogno di denaro.
Ma non era ancora al suo termine lâanno 1368, che unâaltra sollevazione politica nel dicembre sconvolse lâordine del 24 settembre, quando cioè il popolo di Siena armato, volle riformare il magistrato dei Dodici portandolo al numero di 15, otto dei quali scelti fra i Popolani, quattro dalla lista deâDodici, e tre dallâordine, o Monte deâNove, e da questa riforma ebbe origine il consiglio dei 150 che costituĂŹ poi un quarto Monte appellato deâRiformatori.
Si tentò allora di sopprimere cotesti vocaboli dellâordine deâPopolani, ossia Monte del Popolo , di quello deâNove, e dellâordine deâDodici, chiamando i primi il popolo maggiore e i secondi il popolo minore ed il terzo il popolo mezzano. In mezzo a simili incertezze e a tante agitazioni accadde il ritorno da Roma a Siena di Carlo IV; il quale dopo aver promesso di conservare gli statuti del Comune, ordinò che per decidere delle differenze politiche gli fossero consegnate le principali fortezze della repubblica. A tale richiesta però essendosi opposto il consiglio del popolo, e vedendo la Signoria deâ Dodici che per quella via non poteva farla da tiranna, deliberò di ricorrere alla forza per ottenere ciò che non poteva avere con la simulazione di belle parole. Fu allora che Carlo IV risolvĂŠ di rimettere tali differenze allâarbitrio di due commissarj, ed al cardinal di Bologna Legato apostolico arrivato di corto in Siena.
SennonchĂŠ il popolo sanese era giĂ venuto in sospetto che lâimperatore volesse vendere la loro cittĂ ad altri padroni, siccome lo dava a credere il richiamo dallâesilio di tanti nobili cittadini, e lo confermavano in ciò le misure prese dalla Signoria deâDodici. La quale col favore delle genti imperialie delle tedesche condotte dal cardinal Legato e da Niccolò Salimbeni, ospite di Carlo IV, nel 18 gennajo del 1369 (stile comune) mosse contro i fautori dei Nove.
Allora la plebe armatasi corse in piazza contro i Dodici che cacciò di palazzo; ed il capitano del popolo col gonfalone in mano, cui si era unita una gran parte di cittadini sollevati, andò incontro alla squadra dovâera lâImperatore, il quale accompagnato da un gran numero di principi della sua corte recavasi alla volta del palazzo pubblico per volervi installare il cardinal Legato, sicchĂŠ nella zuffa impegnatasi fra il popolo e le truppe imp eriali poco mancò che lo stesso Cesare non fosse dalla plebe tagliato a pezzi, stantechĂŠ in quello scontro, essendo accaduto un grandissimo eccidio di coloro che volevano opporsi alla furia popolare lâImperatore fu costretto a retrocedere e rinchiudersi nel palazzo deâSalimbeni.
Non contento il popolo sanese di aver rotta e svaligiata la cavalleria imperiale, di aver abbattuto lo standardo e costretto lo stesso Carlo a refugiarsi nel palazzo deâSalimbeni, volle anche assediarvelo. A liberarlo da sĂŹ cattivo passo sâintromesse il cardinal Legato con alcuni cittadini, sicchĂŠ Carlo IV fu costretto a lasciare la cittĂ senza altra innovazione. Eâ altresĂŹ vero che cotanta ingiuria costò ai Sanesi molti denari, cosĂŹ essendo uso quellâImperatore a ristorare le sue vergogne. â (AMMIRATO, Storia Fiorentina. Libro XIII.) Dalla impetuosa sollevazione fatta in quellâemergente dalla plebe di Siena, dalla quale un esempio simile rinnovossi alla nostra etĂ , si scorge ciò che possa una popolazione armata del naturale valore contro truppe agguerrite, ben dirette, ma prezzolate.
Se però da un canto i Sanesi per siffatta impresa crebbero in riputazione, altronde la cittĂ rimase piena di tumulti con tutto il territorio, nel quale gli esiliati politici facevano continue depredazioni; finchĂŠ Carlo IV destinò la Signoria di Firenze arbitra fra i nobili e la classe deâ popolani. Ma niuna delle due parti accettò il primo, e solamente aderirono al secondo lodo pronunciato li 30 giugno del 1369; nel quale tra gli altri capitoli uno si era questo: che i nobili e popolani fuoriusciti potessero ritornare in Siena loro patria, e entrare in tutti i magistrati fuorchĂŠ nella Signoria e nel consiglio generale. MercĂŠ tali condizioni, approvate dal concistoro della repubblica da un lato e dai principali fuoriusciti dallâaltro, respirò alquanto cotesta cittĂ , e la pace esterna contribuĂŹ non meno a recare qualche sollievo allâagitato Comune sanese. Fu in tale intervallo quando Siena pervenne piĂš facilmente ed in poco tempo recuperare le terre e castella del suo dominio, obbligando le famiglie magnatizie di quel contado a sottomettersi alla madre patria. Arroge che in cotesto periodo terminossi la strada rotabile fra Siena e Grosseto, dai Fiorentini molto innanzi reclamata per recare a Firenze le mercanzie di oltremare che scaricavansi a Talamone.
Che se tutto ciò aveva effetto per un accordo interno e una pacificazione esterna, difficilmente suole questâultima andare esente dalla commozione di cittadine discordie.
Tali furono quelle che nel 1370 si suscitarono dentro Siena per lâinsolenze fatte dalla compagnia appellata del Bruco al palazzo del senatore, (come allora chiamavano il podestĂ ) a quello pubblico della Signoria, allâaltro deâSalimbeni, e ad una compagnia di gentiluomini che inutilmente presero le armi per respingere quella plebaglia; sino a che una mattina di luglio, unitasi alla compagnia del Bruco quella del popolo armato, corsero entrambe al palazzo deâSignori di dove cacciarono i quattro dellâordine deâGentiluomini , ed i tre dellâordine deâ Nove che risiedevano fra i Quindici del magistrato primiero della cittĂ , in luogo deâ quali furono sostituiti altri sette dellâordine deâ Popolani. Ma non era ancora al suo termine il mese stesso, quando quelli deâDodici, avendo congiurato con alquanti Noveschi e col capitano del popolo, assaltarono dâimprovviso, armata mano nelle loro case le genti della compagnia del Bruco. Questi però a un tempo stesso levatisi a rumore, corsero per la cittĂ , e unitisi alla compagnia del popolo, ruppero e sbaragliarono i congiurati, ai di cui capi fu tosto tagliata la testa, dichiarando i ribelli fuggitivi. Quindi fu riformato il magistrato deâQuindici Difensori, 12 deâ quali scelti fra i popolani , o del numero maggiore, e tre dallâordine deâNove, ossia del numero minore; tutti glâindividui inclusi nel numero mezzano furono ammoniti e quasi tutti levati dalla borsa degli eligibili, ai quali si aggiunsero dellâordine o Monte deâRiformatori molti artigiani giĂ compresi fra i popolani.
Una simile riforma governativa, che si accostava molto a quella da Giano della Bella eseguita in Firenze nel 1294, costò la testa al capitano del popolo e ai gonfalonieri dei tre Terzi, cioè il Terzo di CittĂ , di S. Martino e di Camullia, la pena dellâesilio e della borsa a molti altri.
SennonchĂŠ un tal procedere inasprĂŹ sempre piĂš lâordine deâ Dodici e la classe deâ messeri, per cui sorgevano in Siena continue sedizioni, che infine, a parere di un grave storico sanese, produssero la morte di codesta repubblica.
Anche il magistrato dei Dieci di Balia sopra la guerra, creato in Siena nel 1374 a similitudine del sistema usato da tempo indietro di Fiorenza, ordinava con un suo bando di dovere carcerare 26 cittadini dellâordine dei Dodici, e quindi li condannava nella pena di 12000 fiorini dâoro.
Due anni dopo però ad insinuazione di una santa vergine sanese, S. Caterina, il Pontefice Gregorio XI sulla fine dellâanno 1376 si partĂŹ con tutta la sua corte da Avignone per riportare con giubilo di tutta lâItalia la sede apostolica in Roma che ne era stata priva per il corso di 70 anni continui.
Cotante innovazioni di governanti rendevano sempre piÚ ardite le compagnie dei masnadieri, sicchÊ il Comune di Siena piÚ volte (come ho detto) mediante gravose somme di danaro, dovè, talora dal saccheggio del suo contado liberarsi, e talvolta farsi di esse per breve tempo scudo servendosi del loro appoggio con molto denaro assoldate.
Furono di questo numero la compagnia della Stella, quella inglese comandata dallâAugut, una italiana denominata di S. Giorgio, e una di Brettoni condotta da un Ubaldini, per lasciare di tante altre, alle quali bene spesso si univano i fuoriusciti ribelli della repubblica.
Non era ancora inoltrata la primavera del 1384 quando i Sanesi tumultuarono contro il reggimento denominato deâRiformatori, i quali non furono cacciati solo dal palazzo, ma ancora da tutto il territorio sanese, richiamando in patria tanti fuoriusciti. Ciò per altro riescĂŹ in tale tumulto di maggior danno alla cittĂ fu lâesilio dato a un grandissimo numero di artigiani, dei quali, quattrâanni dopo, quando fu conclusa fra le due fazioni la pace, non ritornò in Siena appena la decima parte: sicchĂŠ a questa cacciata del magistrato deâ Quindici Riformatori e di circa 4000 persone della classe del popolo, il maggior numero artefici, a parere del Malavolti, fia da attribuirsi, se non la prima, al certo la piĂš essenziale decadenza delle industrie manifatturiere di Siena.
Era di poco terminato lâanno 1384, che giĂ si disegnò, come poi accadde, di rimettere in seggio il magistrato espulso deâRiformatori riducendoli al numero di Dieci, cui fu dato il titolo di Priori. Ma talmente stavano poco dâaccordo fra loro magistrati e cittadini che in due anni non meno di tre congiure contro il governo dai reggitori di quello furono sventate.
Nel declinare dellâanno 1387 il magistrato deâDieci Priori aveva giĂ ammesso fra i componenti della Signoria un altro individuo dellâordine deâRiformatori, introducendovi nel tempo stesso in tutte le altre magistrature quelli dellâordine deâPopolani.
MA essendosi in quel tempo i Montepulcianesi ribellati ai Sanesi, e il loro territorio corso e depredato dalla compagnia deglâInglesi, credettesi che ciò fosse stato per opera deâFiorentini. DondechĂŠ la Signoria di Siena si maneggiò per avere lâappoggio del potente Giovanni Galeazzo Visconti Signore di Milano, onde con le forze dei due stati danneggiare il piĂš che si poteva il territorio della Repubblica fiorentina.
Intanto agli ambasciatori del governo di Firenze Giovanni Galeazzo Visconti con sommo artifizio rispondeva: che avendo i Sanesi esibito di sottomettersi alla sua tutela, egli non volle acconsentirvi. Conoscevano i Fiorentini per esperienza che il Conte di VirtĂš altro fingeva con le parole, altro aveva nellâanimo; e tale il fatto lo dimostrò quando, nel 22 settembre del 1389, furono stabiliti patti di alleanza contro Firenze fra i Sanesi e lo stesso Giovanni Galeazzo Visconti. In vista di ciò i signori della repubblica fiorentina unitamente al Comune di Bologna, mandarono ambasciatori a Carlo VI re di Francia per averne ajuto contro il Visconti di Milano mettendogli avanti gli acquisti che quella MaestĂ potrebbe fare nella Lombardia. NĂŠ contenti di ciò essi ricorsero a un altro peggior ripiego invitando i capi delle compagnie a rimuoverle ai danni deâSanesi. Trovavansi i due governi di Firenze e di Siena in una tacita quanto sincera ostilitĂ quando Piero Gambacorti, capitano e difensore del popolo pisano sâinterpose paciario fra loro, sicchĂŠ dopo molte fatiche, previa la restituzione di Montepulciano ai Sanesi, si concluse accordo fra le parti con una lega a difesa comune per lo spazio di tre anni da incominciare il dĂŹ 9 ottobre 1389 (stile comune). Uno deâprincipali capitoli fu questo, che durante il tempo della lega, Giovan Galeazzo Conte di VirtĂš non dovesse in modo alcuno impacciarsi delle cose di Bologna, della Romagna e della Toscana.
Con altro capitolo si obbligavano i colleghi a difendersi lâun lâaltro dai masnadieri che sottonome di compagnie continuavano a mettere la taglia ora a questa, ora a quella cittĂ ; e fu stabilito per patto espresso che si dovesse fare in modo di sciogliere la compagnia deglâInglesi, la qual non solo era la piĂš numerosa, ma aveva per suo capitano il celebre Giovanni Augut.
Ma il Conte di VirtÚ, solito come si disse a promettere ma non a mantenere, non solo non si attenne alle condizioni della lega dei 9 ottobre del 1389, ma poco dopo segretamente si maneggiò per fare occupare dalle genti del suo fedele Giovanni Ubaldini la rocca di San-Miniato al Tedesco.
Il qual disegno essendo stato dai Fiorentini scoperto e reso vano, non impedĂŹ ciò nondimeno allâUbaldini di adoprare ogni industria per indurre i reggitori di Siena a romperla con la Signoria di Firenze. Della quale i Sanesi erano entrati in sospetto, dubitando che i Fiorentini nutrissero animo contrario alle promesse e che segretamente proteggessero i Montepulcianesi, per essersi questi di nuovo alla repubblica di Siena ribellati. In vista di ciò il governo sanese innanzi che terminasse lo stesso mese di ottobre del 1389 rinnovò la lega fatta nel 22 settembre di quellâanno con Giovanni Galeazzo, cosicchĂŠ dal Comune di Firenze nella primavera successiva fu dichiarata la guerra nel tempo stesso al signore di Milano ed al Comune di Siena.
Erano giĂ in ordine grandi preparativi da tutte le parti, tanto che i Fiorentini, cui si accostarono i Bolognesi, i Perugini fuoriusciti, i Carraresi di Padova ed i figliuoli di Bernabò Visconti, quanto dal lato deâSanesi, coi quali tenevano il Conte di VirtĂš, la cittĂ di Perugia i Malatesti di Rimini, gli estensi di Ferrara, i Gonzaga di Mantova ed altri alleati. Si principiò una guerra fierissima nella Lombardia, nello Stato Veneto, e nella Toscana specialmente dalla parte della Val di Chiana, dove i Sanesi riebbono Lucignano oltre varie castella che tolsero ai Fiorentini in Val dâAmbra.
Ma ciò che riescĂŹ a tutti di grandissimo danno fu la peste che infuriò e si propagò in Toscana e nella Lombardia, sicchĂŠ le parti belligeranti dalle gravose spese della guerra e dalle stragi della peste sommamente afflitte ed estenuate, erano però disposte di dare ascolto alle proposizioni di pace, che a utilitĂ comune verso la fine di quellâanno il Pontefice Bonifazio IX proponeva. Sembrò in realtĂ ai meno appassionati fra i Sanesi e i Fiorentini esser cosa vana il volersi consumare del tutto per servire o per contraddire il Conte di VirtĂš, dal quale la Toscana non poteva altro sperare che una spiacevole e acerba servitĂš. E questa servitĂš giĂ si cominciava a conoscere, dice il Malavolti, da chi non era accecato dallâodio che il volgo di Siena per le offese ripetute portava da gran tempo ai suoi vicini.
Infatti il popolo sanese, che si sarebbe dato piuttosto al diavolo che ai Fiorentini, preferÏ anzichÊ la pace di sottoporsi al Visconti Signore di Milano. Fu allora che Orlando Malavolti con altri consorti di parte guelfa della stessa potente famiglia sanese, si diede in accomandigia alla repubblica fiorntina (2 febbrajo 1391 stile comune) con tutti i castelli e beni, previa la protesta che faceva ciò perchÊ vedeva in schiavitÚ la sua patria.
Ma le alternative ora favorevoli, ora contrarie di una guerra desolatrice, cui accresceva infortunio la peste e una spaventevole carestia, cominciarono a voltar gli animi ai ragionamenti che allo stesso scopo un anno innanzi il Pontefice Bonifazio IX aveva mosso. Che sebbene le trattative, affidato alle premure del doge e Comune di Genova andassero soggette a continue difficoltĂ , finalmente nel 26 gennaio del 1392 fu proferite il lodo.
Fra i capitoli del quale eravi questo relativo ai Sanesi: di dovere a questi ed ai loro aderenti i Fiorentini restituire le terre e luoghi occupati dopo la lega del 9 ottobre 1389, e viceversa consegnare i Sanesi i luoghi stati tolti ai Fiorentini, ecc. Fu pure lodato che il Conte di VirtĂš non dovesse intromettersi in alcun modo nelle cose politiche della Toscana, come nella lega del 9 ottobre 1389 era stato stabilito.
Memorabile quanto generosa ed altiera fu la risposta data da uno degli ambasciatori fiorentini presenti a quel lodo, allorchĂŠ uno dei due delegati proponeva a ciascuna delle parti di dare mallevadori idonei: la spada (rispondeva il fiorentino) la spada sia quella che sodi: poichĂŠ Giovanni Galeazzo ha fatto esperienza delle mostre forze e noi delle sue.
Con tutto il lodo per altro del gennaio 1392 il Conte di VirtĂš non cessò dâintrigarsi negli affari della Toscana, siccome lo dimostra per tutti lâevento della Repubblica di Pisa che cadde in sua balia, e quella di Siena, con la quale pochi anni dopo (1396) strinse altri patti di alleanza. Un tal procedere accrebbe fomite allâamicizia fra i Fiorentini ed i Sanesi, sicchĂŠ da una banda e dallâaltra si tornò a far prede e scorrerie nei contadi respettivi, sospese, ma non terminate da una tregua conclusa gli 11 maggio del 1398, cioè, poco innanzi che dallâAppiano fosse venduto a Giovanni Galeazzo la cittĂ e contado di Pisa, e che i Sanesi per mal consiglio deliberassero di sottomettere la loro patria allâarbitrio di quel medesimo signore.
Realmente nel dĂŹ 11 dicembre del 1399 furono stabiliti i patti di cotesta dedizione che nel 26 del mese medesimo dal consiglio della Campana di Siena vennero approvati.
Quindi avvenne che nel dĂŹ primo del gannajo successivo arrivò in cittĂ il Conte Guido di Modigliana come luogotenente del Duca di Milano per risedervi insieme col nuovo magistrato deâgovernatori e del capitano del popolo sanese. â (MALAVOLTI, Istoria Sanese. P. II. Libro X.) Frattanto la cittĂ di Siena perdeva unâaltra volta la propria libertĂ , la fame e la peste nellâanno stesso concorrevano a gara ad accoppiarsi alle pazze misure prese dal suo governo, e la plebe quasi si ricreò appena si accorse che lo stesso male si era attaccato al popolo di Perugia, ridottosi pur esso dalle divisioni intestine al tristo compenso (gennajo 1401) di darsi in braccio allo stesso Duca di Milano, nelle cui mani, nel giugno del 1402 pervenne anche il popolo di Bologna. In tale stato di cose la repubblica di Firenze vedevasi in grande pericolo di cadere vittima del biscione, quando quel principe potentissimo, cui non restavano piĂš ostacoli da superare per farsi signore della Toscana, colpito da fiero morbo in mezzo alla sua maggiore prosperitĂ , per misericordia di Dio nel 3 settembre dello stesso anno 1402 passò agli eterni riposi.
La morte di cotesto Duca ritornò in vita tanti popoli oppressi; sicchĂŠ Bologna, Perugia ed altre cittĂ dello stato pontificio poterono cantare col salmista: Vincula facta sunt, et nos liberati sumus. I Sanesi aspettarono il 1404 prima di licenziare il luogotenente ducale per tornare a reggersi a Comune. Nel qual tempo i reggitori del governo sanese mostrandosi pronti a trattare di pace con la Signoria di Firenze, questa nel 6 dâaprile dellâanno medesimo fu conclusa a condizione di comprendervi gli esuli sanesi, e di restituire ai medesimi tutti i beni, castella e luoghi che il governo di pertinenza loro riteneva. Inoltre fu stabilito che restasse ai Fiorentini la Terra di Montepulciano, ai Sanesi quella di Lucignano.
Per tal guisa la cittĂ di Siena non solo rimase libera dalla servitĂš del principe milanese, ma potĂŠ in breve tempo ricuperare molte terre e castella che per cagione della guerra erano state loro dai Fiorentini occupate, oltre lâacquistarne altre che ribellatesi dai proprj signori se gli erano sottomesse.
In questo frattempo cadde in odio grande ai Pisani il loro signore Gabbriello Maria figlio naturale del Conte di VirtÚ, dopo che quella già libera popolazione si era accorta, qualmente il signor Gabbriello Maria trattava di vendere Pisa ai Fiorentini nemici suoi. Quindi avvenne che i Pis ani furibondi si sollevarono contro il loro signore, costringendolo ad abbandonare la città ; sicchÊ dopo di avere perduta la speranza di riacquistarla, vendè Pisa per grossa moneta agli odiati vicini. E perchÊ i Fiorentini consideravano che non avrebbero conseguito ciò senza guerra, fu mandato a Siena dalla Signoria un loro ambasciatore non tanto per dar parte ai Sanesi del fatto acquisto, come ancora per richiederli di ajuto e cosÏ distornarli dal favorire una città che preferiva di essere piuttosto serva di qualunque tiranno che suddita di una repubblica ostinatamente da quel popolo odiata.
Tra anni dopo Ladislao re di Napoli tentò a danno deâ Fiorentini di fare un trattato con i Sanesi, i quali dai delegati di Firenze essendo stati per tempo rincorati a non lasciarsi dalle regie lusinghe ingannare, risposero a Ladislao, di non potere a tenore delle convenzioni senza lâannuenza deâ Fiorentini loro amici entrare con chicchessia in alcun trattato. SicchĂŠ dopo aver i ministri regj tentata ogni via di stornare i Sanesi da quella sentenza, Ladislao era giĂ con un numeroso esercito di fanti e cavalli entrato nello stato senese fino a Buonconvento, quando ordinò che si corresse verso le porte di Siena e che si facessero per via quanti maggiori danni e ruberie si potevano mai fare.
Ma per quanto lâoste napoletana si fosse avvicinata alle mure della cittĂ , per quanto le arsioni e i saccheggi di rabbiosa soldatesca fossero infiniti, nulla valse a rimuovere i Sanesi dal loro proposito, nĂŠ appariva speranza alcuna di poter prendere Siena per forza.
DondechÊ si accrebbero gli obblighi del Comune di Firenze verso questo di Siena, il di cui contegno, a confessione degli storici fiorentini, salvò la loro libertà .
Finalmente dopo lo spoglio delle campagne vicine a Siena, lâesercito regio per scarsezza di vettovaglie fu costretto a ritirarsi di lĂ , e per Asciano e Torrita entrare nella Val di Chiana, dove finalmente trovò li primi paesi deâFiorentini, accampandosi sotto Monte-Sansavino.
RiuscĂŹ però vana la speranza dâinsignorirsi di questa Terra, sicchĂŠ lâoste napoletana si mosse per inoltrarsi alla conquista di Arezzo. Ma dopo aver tentato inutilmente lâacquisto, Ladislao dovĂŠ retrocedere con lâesercito per Castiglione-Aretino, dove non fece piĂš di quello che sâavesse fatto a Montesansavino e ad Arezzo, meno che a un gran guasto di biade in un tempo vicino alle masse (maggio e giugno del 1409). Quindi è che i Toscano cominciarono forte a farsi beffe di lui chiamandolo il re guasta grano; e i popoli di piĂš terre e cittĂ si unirono in lega fra loro per cacciare quellâesercito dalla Toscana.
Realmente il trattato fu concluso in Pisa alla fine di giugno di quellâanno tra i Fiorentini, il cardinal Coscia Legato pontificio di Bologna, i Sanesi e varie altre ComunitĂ .
Finalmente il re Ladislao venendo a buoni patti nel gennajo del 1411 conchiuse i capitoli di una pace con le due repubbliche di Firenze e di Siena.
Ben presto il prognostico di chi sospettò simulata la pace del gennajo 1411 per parte di Ladislao, si avverò, giacchĂŠ egli due anni dopo la ruppe rientrando ostilmente in Roma e di lĂ avanzando lâesercito fino a Perugia come in atto di minacciare ai Sanesi e ai Fiorentini nuova guerra. Allora queste due repubbliche risolvettero di mandare nel campo di quel re i loro ambasciatori, i quali conclusero una lega di sei anni a difesa reciproca firmata dai plenipotenziarj nella pianura dâAssisi sotto di 22 giugno dellâanno 1414.
Terminato il negozio della lega Ladislao mostrò desiderio di voler conferire di alcuni oggetti con i sindaci sanesi; per cui avvisata quella Signoria furono incaricati due cittadini, uno dellâordine deâRiformatori, lâaltro di quello deâNove. Ma i Popolani per sospetto che non si trattassero affari politici a danno della patria e in pregiudizio loro, suscitarono una sollevazione nella cittĂ , sicchĂŠ fu dâuopo per la quiete pubblica eleggere un terzo sindaco dellâOrdine deâPopolani. Ma per buona sorte recatisi quei tre a Perugia, vi trovarono il re Ladislao gravemente malato e perciò fu ricondotto a Napoli dove nellâagosto dellâanno stesso morĂŹ, liberando cosĂŹ, tanto la repubblica di Siena come lâaltra di Firenze da nuovi pericoli e timori.
Dopo di ciò la lega fatta sino dal 1408 fra i Fiorentini ed i Sanesi fu con soddisfazione scambievole nel giugno del 1416 confermata. E veramente del 1414, epoca della seconda pace stipulata col re Ladislao, fino al 1430 non avendo il Comune di Siena dei potenti nemici da combattere, ebbe agio dâingrandire il suo dominio con la sottomissione di molte famiglie nobili che divennero sue feudatarie.
Peraltro la pace generale non bastò a rendere la calma agli animi di molti cittadini e nobili banditi dalla loro patria, sicchÊ questi non cercassero di trovar modo per ritornarvi.
Era in tale stato la cittĂ di Siena quando nel 1428 essendosi fatta la pace fra il Duca di Milano da una parte, i Veneziani e Fiorentini dallâaltra parte, il governo sanese entrò in dubbio di questi ultimi. Al che davano cagione le genti deâFiorentini reduci dalla Lombardia che si erano in parte avvicinate ai confin i dello stato di Siena con ordine di non lasciar passare in questo alcuna merce, nĂŠ vettovaglie. Che sebbene dietro le rimostranze deâSanesi quegli ordini fossero revocati, ormai il pomo della discordia fra i due popoli era gettato. Quindi è che se i Fiorentini, nel tempo che assediavano Lucca, benchĂŠ poco innanzi avessero mandato ambasciatori a pregare i Sanesi che non volessero sopportare che un loro cittadino, messer Antonio Petrucci, si recasse al soldo di Paolo Guinigi Signor di Lucca, la Signoria di Siena aveva motivo di dubitare della loro sinceritĂ e buona fede specialmente dopo che il conte Francesco Sforza generale del Duca di Milano essendo sceso con un esercito in Toscana per proteggere la cittĂ di Lucca, aveva fatto dire agli ambasciatori sanesi che i governanti della loro patria non si fidassero deâFiorentini comecchĂŠ se gli mostrassero amici. Si accorsero bene questi ultimi del cattivo uffizio fatto loro dal conte, e volendo chiarirsi meglio dellâanimo deâSanesi, veduto che si provvedevano essi di nuova gente dâarme, la Signoria di Firenze mandò a domandare loro, come a collegati, ajuto di soldati e di vettovaglie per lâimpresa divisata. A simile richiesta i reggitori di Siena risposero, che lâanimo loro era rivolto alla difesa delle cose proprie senza far ingiuria ad altri.
Occorse in quei giorni la morte di Papa Martino V, autore di una importante bolla del 13 febbrajo 1429, con la quale detto Pontefice proibiva ai Padri Predicatori dellâInquisizione e ad ogni altra persona tanto ecclesiastica come secolare di predicare e incitare la plebe contro gli Ebrei, ordinando S. SantitĂ ai Padri Inquisitori di astenersi di recare loro molestia, meno nel caso che gli Ebrei fossero fautori di eresie, e vietando a tutti i Cristiani di offenderli nella persona o nella roba; e di non dover obbligare in alcun modo gli Ebrei dâintervenire ai divini uffizj, nĂŠ di battezzare alcuno di loro prima che fosse arrivato allâetĂ di dodici anni senza licenza deâsuoi maggiori.
A Martino V succedĂŠ nel pontificato Eugenio IV, il quale per essere stato vescovo di Siena col nome di Gabbriello Condelmiero, mandò in questa cittĂ il Cardinal di Bologna ad esortare i suoi magistrati di mantenere il popolo in pace e stare amici deâloro vicini. â Ma i conforti suoi non ottennero profitto alcuno, anzi scopertosi Eugenio IV partigiano deâFiorentini, sĂŹ fattamente gli animi deâSanesi e del Duca di Milano sdegnò, che la pace fu perduta affatto in Toscana e in Lombardia, dove ogni cosa si riempĂŹ di scompiglio. Per effetto di ciò nel mezzo a tanti mali (anno 1431), sia nelle parti del Lucchese, sia nel Sanese si ruppe apertamente la guerra contro i Fiorentini.
Arrivò poco appresso in Siena un inviato dellâImperatore Sigismondo a prevenire la Signoria dellâimminente passaggio di quel Cesare. Le principali provvisioni fatte allora da chi governava la repubblica si ridussero a confinare la maggior parte dei cittadini dellâordine deâGentiluomini e dellâordine deâDodici, ad oggetto di togliere a costoro lâoccasione di dolersi con lâImperatore.
Frattanto Sigismondo a dispetto del governo fiorentino che ne avrebbe volentieri impedito il passaggio, nel luglio del 1432 giunse a Siena per seguitare il cammino verso Roma e prendervi la corona imperiale. Finalmente dopo varie vicende della guerra fra i Fiorentini uniti alla lega guelfa da una parte e il Duca di Milano con i suoi alleati dallâaltra parte si venne a trattative di pace, mentre lâImperatore era tornato a Siena (gennajo del 1433); della quale pace furono mediatori i marchesi Niccolò dâEste e Lodovico di Saluzzo. Essa fu conclusa in Ferrara a dĂŹ 26 aprile del 1433 e uno di quei capitoli lasciava facoltĂ ai Sanesi di poter, volendo, fra un tempo determinato in essa pace intervenire come alleati del Duca di Milano, a condizione però di restituire e di riavere le cose reciprocamente acquistate, o perdute, e che i Sanesi, nel caso che per tale rapporto i Fiorentini gli muovessero guerra, non dovessero esser dal Duca di Milano ajutati.
Terminati con la pace di Ferrara i pericoli esterni, ribollirono in Siena i cattivi umori di dentro, per le quali cose mentre che i Fiorentini della fazione di Rinaldo degli Albizzi incarcerava e poi esiliava Cosimo deâMedici il vecchio, la Signoria di Siena confinava una gran parte di cittadini dellâordine deâDodici, stati di giĂ esclusi dal governo, sul dubbio che cotesta classe volesse tentare qualche innovazione di regime. â Mentre tali violenze tendevano ad assicurare al partito dominante i frutti della pace, i reggitori di Firenze rilasciavano salvacondotto ad Antonio di Cecco Rosso Petrucci stato amicissimo di Paolo Guinigi per andare a Roma al Pontefice. Nella quale circostanza il Petrucci essendo stato amorevolmente alloggiato da Galeotto da Ricasoli suo compare nel castel di Brolio, il Petrucci, nellâottobre del 1434 con inganno e di furto sâimpadronĂŹ di quel fortilizio, facendo prigioniero lo stesso padrone. Tale incidente poteva servir di motivo a nuova guerra fra le due repubbliche, se i Fiorentini non avessero avuto piena certezza che ciò era accaduto contro ogni volontĂ del Comune di Siena. NĂŠ meno franca fu la risposta data dai reggitori della repubblica sanese ad Otto Niccolini, uno dei Dieci di Balia del Comune di Firenze, allorchĂŠ nellâagosto del 1451, tornato da Siena, riferiva in senato, che i Sanesi non darebbono passo, nĂŠ vettovaglia, nĂŠ ricetto alcuno a chi venisse nel loro territorio con animo di far guerra ai Fiorentini; aggiungendo che per nessun conto la Signoria di Siena con Alfonso dâAragona re di Napoli farebbe lega.
Intanto alla fine del 1451 arrivavano in Siena per diverso cammino il nuovo Imperatore Federigo dâAustria ed Eleonora di Portogallo destinata sua sposa; la quale accompagnata da Enea Silvio Piccolomini, allora vescovo di Siena, da molte matrone e da un drappello di donzelle, allâantiporto di Camullia Eleonora di Portogallo dallâImperatore venne riscontrata, e di lĂ con nobile e numeroso corteggio in mezzo alla plaudente popolazione lâAugusta coppia fece solennissima entrata nella cittĂ .
E qui avverte lo storico Malavolti che coloro, i quali governavano la cittĂ quando vi arrivò Sigismondo, seguendo lâesempio del 1432, avevano confinato lungi da Siena tutte le persone atte a portar lâarmi dellâordine deâGentiluomini e di quello deâDodici.
Peraltro non era appena Federigo III ritornato neâsuoi stati di Alemagna, che una guerra tra il re di Napoli ed i Fiorentini si vide scoppiare; e comecchĂŠ una gran parte di cittadini sanesi non bramasse che il loro governo in quel conflitto prendesse parte a danno deâFiorentini, contuttociò i reggitori del Comune di Siena dovettero somministrare viveri e passaggio pel territorio allâesercito Aragonese.
Finalmente ciò che nel primo anno della guerra (1452) non fu fatto ebbe effetto nel successivo, quando i Sanesi negoziarono e conclusero lega con il re Alfonso, sebbene i primi sordi alle rimostranze dellâAragonese nel 1454 accettassero la pace conclusa in Lodi li 11 aprile dello stesso anno, bandita in Siena pochi giorni dopo.
Quantunque cotesta pace fosse stata promossa piÚ che dagli interessi pubblici da oggetti privati per essere le parti belligeranti smunte dalle spese della guerra, pure il governo di Siena in vigore di quella non solo cessò di offendere i Fiorentini, ma fece intendere al duca di Calabria figlio del re Alfonso, che se egli continuava a tenere il suo esercito nel dominio sanese non dasse molestia ai paesi della Repubblica Fiorentina.
In conseguenza di cotesta tregua, che appellavasi pace, i Sanesi tenevano le loro milizie occupate in Maremma contro i conti di Pitigliano, allora quando Jacopo Piccinino, licenziato dal soldo deâVeneziani, essendosi congiunto ad altri condottieri, e avendo messo insieme un piccolo esercito a guisa delle antiche masnade, con moltitudine si fatta vaga di preda mosse guerra ai Sanesi, coi quali sebbene i Fiorentini avessero fatta pace, non avevano stabilito lega nĂŠ obbligo di reciprocamente difendersi. â Una vera alleanza bensĂŹ fra i due governi fu conclusa nel principio del 1457 dopo che riescirono inutili i maneggi ed i tentativi di ribellione procurati contro la patria dal noto Antonio Petrucci e da Ghino Bellanti, due potenti cittadini sanesi, onde ridurre alla devozione del re Alfonso il governo e la cittĂ di Siena. Scoperta la quale congiura Antonio Petrucci come traditore della patria con deliberazione del 13 ottobre 1456 fu dichiarato ribelle con la confisca dei beni e ordinato il disfacimento della sua fortezza di Perignano in Val dâOrcia.
In conseguenza di ciò per deliberazione del consiglio del popolo sanese si rinnovarono i bossoli degli uffizj tanto della cittĂ come del contado, riempiendoli deânomi di uomini desiderosi della quiete e della conservazione della libertĂ e dello stato. Quindi essendosi scoperti molti altri congiurati fra quelli rimasti in cittĂ , furono presi, imprigionati, processati, ed i maggiori delinquenti decapitati, gli altri confinati, o condannati in danari.
Lâalleanza del 1457 tanto maggiormente dovette essere accetta ai contraenti, quando si seppe che dopo la morte del re Alfonso il suo figlio Ferdinando duca di Calabria successogli nel regno, aveva domandato il passo al Pontefice Callisto III per il conte Jacopo Piccino, nellâesercito del quale erasi arruolato per capitano il ribelle Antonio Petrucci, e molto piĂš tal lega divenne importante dopo la morte occorsa poco stante del Papa predetto, nel cui ajuto il governo sanese sommamente confidava. Ma se riescĂŹ ai Sanesi dispiacente la morte di Callisto III, altrettanto essi dovettero rallegrarsi allâannunzio dellâelezione del nuovo Papa nel Card. Enea Silvio Piccolomini loro concittadino che nel 19 agosto del 1458 assunse il nome di Pio II. Fu infatti un primo segno di pubblica esultazione quello di riabilitare ad essere del supremo magistrato le famiglie Piccolomini e Tedeschini, nellâultima delle quali era entrata una sorella del Papa, essendo che giĂ da molti anni le due famiglie erano state ascritte allâordine deâGentiluomini e come tali espulse da Siena; sicchĂŠ il padre del Pontefice Pio II si era stabilito in una possessione nella Terra di Corsignano, che poi per benefizio del medesimo Pio II fu fatta cittĂ e chiamata Pienza.
Uno dei maggiori desiderj di quel Pontefice essendo quello di riabilitare al diritto delle magistrature non solo i Piccolomini ed i Tedeschini, ma tutto lâordine deâGentiluomini , domandò ripetutamente per nunzj ed in persona, e per mezzo anche del Duca di Milano alla Signoria di Siena un tale benefizio.
Ciò poco o nulla valse a far cambiare sistema ai reggitori del Comune di Siena, sul riflesso, diceva un patrizio sanese scrittore, che i nobili essendo naturalmente superbi, non avrebbero potuto mantenere le qualitĂ civili in comune con gli altri cittadini a benefizio dellâuniversale.
Ho detto, poco o nulla valse, giacchĂŠ tante e sĂŹ pressanti furono le istanze di Pio II che la Signoria, dopo aver sentito il consiglio del popolo, abilitò quellâordine deâGentiluomini a poter rientrare in magistrato, però con alcune restrizioni e riserve, come quella di passare a scrutinio glâindividui deârientrati, di non restituire loro i castelli o rocche delle quali erano stati giĂ dalla Repubblica spogliati, e di partecipare per una quarta parte del numero deâmagistarti. SennonchĂŠ dopo due anni di cotesto benefizio allâordine deâ Gentiluomini cessò con la morte del Pontefice Pio II, il quale con ripetute premure da quei governanti lâaveva ottenuto. â (MALAVOLTI, Istor. San. P. III. Lib. IV .) In questo tempo il Pontefice suddetto avendo volto tutta Italia al lodevole progetto di riparare alla crescente potenza dei Turchi in Europa, egli a tale uopo si recò a Mantova, dove si adunarono molti principi Cristiani, o i loro ambasciatori, per consultare con essi del modo di porre un rimedio efficace a tanto male.
Ma poco dopo essendosi accesa la guerra nellâItalia stessa fra il re di Napoli e il duca di Milano, il Pontefice Pio II nel gennajo del 1460 deliberò tornasse a Roma per la via di Firenze e di Siena; nĂŠ ad altro tanti apparecchi servirono che a mettere in sospetto Maometto, perchĂŠ affrettasse la rovina del greco Impero. In tale frattempo il Pontefice Pio II passando di Siena creò cinque cardinali, fra i quali il giovane Francesco suo nipote di sorella, dopo essere stato innalzato alla cattedra arcivescovile della sua patria poco innanzi (22 aprile 1459) dal Pontefice medesimo eretta in Metropolitana.
Stesse la cittĂ di Siena per qualche anno quieta dalle sezioni interne e dalle guerre esterne; sicchĂŠ potĂŠ accogliere forse nel palazzo deâDiavoli, fuori Porta Camullia, in cui fu scolpito a lettere cubitali: (ERRATA : Palatium Turcarum) Palatium Turcorum (della famiglia Turchi), la vedova dellâultimo imperatore greco di Costantinopoli, dopo essere stata presa dai Turca quella sua capitale. â Vedere MONTAGUTO in Val di Fiora.
Ma non stette molto ad accadere in Firenze la congiura deâPazzi contro la potente famiglia deâMedici, nella quale prese parte ed ebbe pena capitale il Cardinale Salviati arcivescovo di Pisa. DondechĂŠ se non trasse origine di costĂ , di certo sâinfiammò maggiormente lo sdegno del Pontefice Sisto IV contro la Repubblica fiorentina e verso Lorenzo deâMedici detto il Magnifico sicchĂŠ il preindicato Papa non tardò a collegarsi con il re di Napoli, i Sanesi ed i Genovesi per far guerra ai Fiorentini. La qual guerra ridusse la Repubblica fiorentina in tale critica posizione che Lorenzo deâMedici si recò a Napoli a chiedere pietĂ a nome della sua patria, rimettendosi nelle braccia del re siciliano. â In grazia del Magnifico nel 13 marzo del 1480 fu conchiusa pace col re Ferdinando e nel tempo stesso venne firmata una lega tra i due stati di Firenze e di Napoli, ratificata nello stesso mese dalla Repubblica sanese.
Ma appena terminate le turbolenze di fuori, si cominciarono a scuoprire in Siena quelle di dentro la cittĂ , in cui rinnovaronsi i progetti medesimi altre volte messi in campo rispetto ai nobili fuoriusciti, e segnatamente a quei ribelli che nel 1456 con Francesco Piccinino avevano congiurato (tra i quali uno dei capi fu il bandito Antonio Petrucci), meditando in un modo o nellâaltro non solo di ritornare in patria, ma ancora di essere ammessi al governo di Siena come gli altri dellâordine Popolano.
Che però considerando i congiurati che ciò per via ordinaria non otterrebbero giammai, i promotori di una simile riforma, cioè il Duca di Calabria e il Duca di Urbino risolvettero di ricorrere alla forza per rimettere in Siena quei fuoriusciti. Fu tentato ciò nellâaprile del 1480, quando avvisato della congiura il consiglio del popolo creò una Balia di 15 con autoritĂ di gastigare severamente i perturbatori dellâordine e del reggimento deâRiformatori.
Questa misura peraltro non bastò, avvegnachĂŠ nel 22 giugno dello stesso anno quelli dellâordine deâNove con parte delle genti del Duca di Calabria entrarono armata mano in palazzo, dove fu riformata una nuova Signoria ed un consiglio del popolo a scelta dei rivoltosi, in cui si deliberò, che tutti i cittadini dellâordine o Monte deâRiformatori restassero esclusi in perpetuo essi ed i loro discendenti dagli uffizj e daglâimpieghi tutti della Repubblica.
Sotto cotesto reggimento politico avvennero in Siena dentro breve periodo tante alterazioni e cittadine rivolte dannose alla sua repubblica che sarebbe nojoso in questâarticolo ripetere, potendo ognuno che il voglia leggerle nel Lib. V. P. III. delle storie del Malavolti, il quale non tralasciò di asserire, che queste continue e sanguinolenti riforme indussero molti cittadini a cercare quiete e sicurtĂ lungi dalla loro patria.
Fu uno dei fuoriusciti rientrati i Siena Pandolfo Petrucci, il quale ad imitazione di Lorenzo deâMedici, appellossi il Magnifico, quando egli in una di quelle sommosse essendo ritornato in patria con molti esuli dellâordine o Monte dei Nove, nel dĂŹ 22 luglio del 1487, erasi messo alla testa di alcuni soldati forestieri, correndo con essi la cittĂ ; e penetrato nel pubblico palazzo fece riformare quel reggimento mediante una Balia di 24, cui venne riunita tutta lâautoritĂ della Signoria e del concistoro.
Ă cosa singolare di trovare nella storia sanese una classe di cittadini, stata giĂ con tanta violenza dalla maggior parte della popolazione espulsa dalla cittĂ , tornarvi poi con altrettanta facilitĂ a governarla in quella guisa che piacque ai rientrati. â Una delle prime riforme della BalĂŹa deâ24, comecchĂŠ si rimanesse presto senza effetto, fu quella di sopprimere i quattro Monti o Ordine col ridurli ad uno solo, nel quale si dovevano comprendere tutti gli altri, in guisa che per lâavvenire gli uffizi della repubblica fossero distribuiti per Terzi, o per Rioni della cittĂ .
Sebbene fino dallâanno 1474 la Signoria di Siena, con istrumento del 13 maggio, avesse stabilito con le maestranze di Pace di Cecco Pacini e Antonio di Matteo di Francio le condizioni per la fabbrica del muro del Lago di Pietra in Val di Bruna da farsi per cura deâmedesimi (ARCH. DIPL. SAN. T. XXVII Pergamene N. 2132), non sembra però, a dire del Malavolti, che a quellâopera malaugurata si mettesse mano prima dellâanno 1490. â Vedere lâArticolo LAGO DI PIETRA, o LAGO DELLA BRUNA Vol. II pag. 619; cui si può aggiungere la notizia di due lettere della BalĂŹa di Siena scritte li 18 e 31 gennajo del 1492 (stile comune) ad Alfonso Duca di Calabria, colle quali richiedevasi al suddetto Principe il rinvio di maestro Francesco di Giorgio architetto della Repubblica, che alle istanze del Duca di Calabria piĂš mesi indietro la BalĂŹa aveva a Napoli inviato. âAl presente, (cito le parole delle lettere) occorrendo due cose importantissime, una, che per essersi trovati distrutti certi acquedotti per i quali si conduce lâacqua a tutte le fonti della cittĂ nostra; lâaltra che siamo per far serrare lo Lago nostro , e senza la presenza del prefato maestro Francesco, tali cose non si potriano eseguire.â Segue la risposta del Duca di Calabria data dal Castel Capuano li 4 febbrajo 1492, con la quale Alfonso avvisava la BalĂŹa dellâinvio a Siena di maestro Francesco, purchĂŠ quella Signoria lo rimandasse a Napoli nel marzo successivo come prometteva. â (GAYE, Carteggio di Artisti inedito Vol. I.) Passava da Siena il re Carlo VIII col suo esercito per recarsi alla conquista di Napoli, quando si riabilitarono i fuoriusciti a ritornare in patria, quantunque dopo retroceduta lâoste francese accadessero in Siena tumulti a cagione della plebe troppo inclinata per natura a novitĂ , e caldamente incitata dai nobili dellâordine deâRiformatori e deâPopolani rientrati. In conseguenza di ciò molti di quella congiura furono confinati o ammoniti; lo che facevasi per ordine secreto e per consiglio del Magnifico Petrucci, organo e parte principale del governo, senza volere come tale comparire.
Son ben noti i dis pareri e le conseguenze fra Pandolfo e Niccolò Borghesi suo suocero introno a molte cose che accadevano giornalmente nel governo, dondechĂŠ non corse molto tempo, che il Magnifico (19 luglio 1500) fece ammazzare il suocero, per aver troppo arditamente tentato di attraversare i suoi disegni; sicchĂŠ tolto via questâemulo, e spaventati gli altri, lâastuto Petrucci seppe confermarsi ogni dĂŹ piĂš nella sua tirannide.
Era per compirsi il secolo XV, quando gli eserciti Francesi invadevano la Lombardia, gli Spagnuoli il regno di Napoli, glâItaliani e masnadieri le Marche, la Romagna e la Toscana sotto gli ordini del Duca Valentino figlio del Pontefice Alessandro IV saccheggiavano. Fu allora che il Valentino celebre per la perfidia e piĂš ancora per una barbara crudeltĂ unita ad unâambizione disordinata di dominare, meditò di far uccidere il Petrucci per aver lo scettro di Siena. Per la qual cosa il Magnifico considerando che in mezzo a tanti preparativi di guerre il Valentino avrebbe potuto facilmente voltare lâesercito a danno suo, onde premunirsi da un colpo di mano, condusse al servizio deâSanesi il capitano Gio. Paolo Baglioni di Perugia, collegando insieme lâuna e lâaltra cittĂ . Tanto efficaci riescirono i maneggi politici di Pandolfo che il governo di Siena terminò per allearsi col Duca Valentino, e quindi per mezzo dello stesso Petrucci ajutare con denari i Pisani assediati dai Fiorentini, ed in seguito fornire soldatesche, munizioni e vettovaglie gli Aretini ribellatisi dal Comune di Firenze; talchĂŠ il Magnifico ebbe traccia da molti di promotore in Toscana di turbolenze municipali.
Frattanto il Duca Valentino penetrando con le sue genti in Val di Chiana ed in Val dâOrcia faceva immensi danni a quelle contrade, ponendo in pericolo la cittĂ di Siena e Pandolfo stesso che vi dominava; sicchĂŠ questâultimo con tutta lâalleanza dovĂŠ cedere alla necessitĂ ed alle istanze gentili del Duca allontanandosi da Siena. Di fatti il Petrucci nel 18 gennajo del 1502 si partĂŹ di costĂ accompagnato da molti aderenti, e per il medesimo effetto dovĂŠ licenziare Gio. Paolo Baglioni per farlo tornare con la sua compagnia a Perugia. Frattanto il Duca Valentino inviava il suo procuratore a proporre un trattato con la Repubblica sanese ed a congratularsi con quella BalĂŹa che la rappresentava di avere liberato la patria dalla schiavitĂš in cui era tenuta dal Magnifico, esortando per giunta la BalĂŹa stessa a dichiarare Pandolfo ed i suoi seguaci fuoriusciti perpetui da Siena e dello stato, in ajuto del quale il Duca offeriva largamente ogni suo potere. A chi non conoscesse la doppiezza e la perfidia del Valentino, lo crederebbe lâuomo il piĂš retto ed il piĂš liberale, non giĂ il piĂš perfido ed il piĂš bugiardo della sua etĂ .
Il motivo piÚ verisimile però parve quello che, essendo il Valentino assistito dal S. Padre, cercasse i mezzi piÚ indegni per insignorirsi di Siena, col progetto di dare in compenso a Pandolfo Petrucci il principato di Piombino.
Il quale, essendo piĂš volte chiamato colĂ , adusse per cagione una infermitĂ o vera o finta per non recarsi dal Papa mentre era a Piombino (sul finire dellâanno 1501).
DondechĂŠ si ebbe ricorso ad altro mezzo per cacciare da Siena il Magnifico, il quale mentre dirigevasi a Lucca fu tentato per mano di sgherri di trucidare.
ComecchĂŠ in vista deâconsigli del Valentino Pandolfo fosse dichiarato fuoriuscito della Repubblica sanese; comecchĂŠ ai suoi complici venisse inibito lo stare nella cittĂ e suo territorio; comecchĂŠ la BalĂŹa che allora reggeva la repubblica avesse deliberato, che tutti quelli dellâordine deâRiformatori giĂ stati ammoniti sâintendessero restituiti al reggimento, contuttociò i Sanesi, che fino allora erano stati governati dagli amici e dipendenti di Pandolfo, nel dĂŹ 29 marzo del 1503, per pubblico decreto richiamarono il Magnifico in patria, confermandolo nel magistrato di BalĂŹa comâera per lâinnanzi e riconducendo nel tempo medesimo agli stipendj della Repubblica il giĂ licenziato Gio. Paolo Baglioni con la sua compagnia.
Nel tempo che Siena in apparenza dalla BalÏa, in sostanza dal Magnifico era arbitrariamente governata, la Repubblica di Firenze reggevasi da un gonfaloniere perduto, Pier Soderini, di cui fu segretariato il celebre Niccolò Macchiavelli, mentre faceva da segretario e consigliere del Petrucci il napoletano Antonio da Venafro.
Era il gonfaloniere Soderini, come lo definĂŹ il suo segretario, unâanima del Limbo, mentre il Petrucci riuniva ad un animo forte molto senno, grande prudenza ed una fina politica artatamente velata sotto unâastuzia tenebrosa, e talvolta ammantata da unâapparente generositĂ di animo, come sembrò quella di dare glâimpieghi pubblici di preferenza a che se gli mostrava piĂš affezionato. Il Magnifico sanese ad esempio del fiorentino Padre della patria, cercava dâinfluenzare su tutti i magistrati rendendoli ligj alla sua volontĂ , mentre sembrava al popolo nella montatura degli uffizj unâombra dellâantica sua libertĂ .
Tentò pure il Magnifico di mostrarsi benefico, sia nel distribuire copiose limosine, come ancora nel cattivarsi lâanimo degli artisti collâinnalzare una qualche fabbrica sacra o profana, e col fare lâamico deâletterati mediante il suo segretario e consigliere Antonio di Venafro stato professore di diritto nella UniversitĂ di Siena.
Frattanto cessato di vivere Alessandro VI (anno 1503) mancò al Duca Valentino il suo braccio forte, e la Repubblica di Siena si levò una spina davanti agli occhi, sicchĂŠ dâallora in poi quella BalĂŹa dominata con piĂš sicurezza dal Magnifico, e costui liberato dai sospetti che sĂŹ lungamente lâavevano tenuto agiato, ebbe comodo di dare nuova forma ai tribunali cosĂŹ civili come criminali, ordinando che i giudici dovessero tenere udienza e pronunziare sentenza collegialmente, allorchĂŠ furono riunite nel magistrato di appello le attribuzioni del PotestĂ , del Collaterale e dellâAssessore col titolo di Consiglio della Giustizia . Convalidò maggiormente Pandolfo il suo dominio, allorchĂŠ nel 1505 a nome della Repubblica fece lega con il Pontefice Giulio II, prorogando poco dopo quella giĂ fatta coi Fiorentini, i due piĂš potenti e piĂš temibili vicini dello stato senese. â Arroge che nel principio dellâanno 1507 il Magnifico seppe persuadere il consiglio generale della repubblica sanese a confermare per la terza volta il magistrato di BalĂŹa da dedurre altri cinque anni con la medesima autoritĂ e giurisdizione che per un decennio continuo aveva esercitata.
Frattanto sotto il dominio di Pandolfo la Repubblica di Siena acquistò in affitto perpetuo le terre, castella, corti e isole che la Badia delle Tre Fontane ad Aquas Salvias possedeva nellâOrbetellano. Ma nel tempo che il Magnifico a nome e con i danari della repubblica sanese faceva questo ed altri acquisti, egli operava in guisa che una gran parte deâluoghi comprati sotto finti colori fosse venduta ai suoi aderenti per tenerli sempre piĂš obbligati a mantenerlo in seggio.
Ma appena caduta Pisa in potere deâFiorentini (giugno 1509) non avendo piĂš i vincitori di quella Repubblica sospetto che fosse impedita loro lâimpresa, dâordine del gonfaloniere perpetuo Pier Soderini fu inviato a Siena il segretario Niccolò Machiavelli per disdire la tregua fra le due Repubbliche, disegnando il senato di Firenze di riavere la Terra di Montepulciano datasi di corto alla Repubblica sanese.
La qual cosa fu prevista non solamente dal Petrucci, ma dal Pontefice Giulio II, il quale nel dubbio che le armate francesi esistenti in Italia, ed il cui re era legato in amicizia coi Fiorentini, non penetrassero in Toscana, sâinterpose mediatore fra le due repubbliche, acciocchĂŠ, con la restituzione di Montepulciano ai Fiorentini si fosse da questi concluso un nuovo trattato di amicizia con i Sanesi, a somiglianza dellâaltro rinnovato nel 1505.
Infatti la lega fra i due Comuni fu stabilita nel settembre del 1511, e quindi approvata dalle parti con il consenso deâMontepulcianesi.
Appena firmato cotesto trattato, in un articolo del quale facevasi menzione della lega conclusa dai Sanesi con Ferdinando il Cattolico dâAragona, per cui quel re si obbligava proteggere la Repubblica sanese, difendere la cittĂ ed il suo dominio, e di mantenere Pandolfo Petrucci nella medesima dignitĂ che allora godeva nello stato. Fu pure in grazia deâconsigli del Magnifico se il senato di Siena non consentĂŹ alle ripetute istanze del Pontenfice Giulio II di rompere la lega mercĂŠ sua stabilita nel 1511 coi Fiorentini, a motivo che questi permisero che si celebrasse in Pisa un concilio contro la volontĂ del Papa, di maniera che per opera del Petrucci, non solamente i Fiorentini, ma la Toscana tutta si rimase in pace. Quindi è che neanco la morte del Magnifico, accaduta nel 21 maggio del 1512, portò alterazione nel governo di Siena, la cui cittĂ continuava ad esser retta dal magistrato stesso di BalĂŹa, essendo stato rimpiazzato Pandolfo da Borghese Petrucci suo figlio maggiore. Peraltro nove mesi dopo, alla morte del Magnifico tenne dietro quella del Pontefice Giulio II, una delle ultime operazioni politiche del quale fu di acquistare segretamente dallâImperatore Massimiliano per 30,000 ducati dâoro i diritti sovrani sulla cittĂ di Siena con la mira dâinvestirne il Duca dâUrbino suo nipote. Appena i Sanesi ebbero notizie di tali maneggi, tanto maggiormente sâinasprirono gli animi loro in quantochĂŠ eglino oltre di avere giĂ pagato grosse somme a Cesare, avevano anco sborsato 7000 ducati al vicerĂŠ di Napoli, dopochĂŠ cotesto signore ebbe ordinato ai suoi Spagnuoli il sacco alla Terra di Prato, e dopo di avere rimessi in Firenze i figli dellâesiliato Piero deâ Medici, scacciandone il gonfaloniere perpetuo.
A rendere poi maggiormente efficaci le ragioni che per tal mezzo Papa Giulio sperava acquistare sopra Siena, egli condusse a suoi stipendj Carlo Baglioni, con animo di cacciare anche di Perugia il signore della cittĂ Gio. Paolo Baglioni, stato affezionatissimo del Magnifico, e sempre caro al figlio di lui Borghese Petrucci successore in Siena della grandezza, ma non della prudenza ne della politica del padre.
Venne però la morte (22 febbrajo 1513) per impedire di mettere ad effetto questi ed altri smisurati concetti del coraggioso Giulio II, Pontefice, diceva il Guicciardini, degno di somma gloria, se fosse stato principe secolare, o se quella cura e intenzione che ebbe ad esaltare con lâarti della guerra la Chiesa romana nella grandezza temporale, lâavesse avuta ad esaltarla con lâarti della pace nelle cose spirituali.
Non cessarono però con la morte di Giulio II le guerre in Italia, nĂŠ i Sanesi sospesero di pagar denari allâImperatore; in guisa che spesse volte molte repubbliche della Toscana dovettero in tal guisa ricomprare la loro franchigia da tanti Cesari, allorchĂŠ essi accompagnati da gran corredo di gente scendevano a visitare lâItalia.
Sebbene Leone X successore di Papa Giulio nel primo anno del suo pontificato si dichiarasse protettore della Repubblica sanese, pure i reggitori della medesima non furono lasciati tranquilli dalle trame dei fuoriusciti.
E perchĂŠ Borghese Petrucci non mostrava gran perizia nellâarte di governare, il Pontefice Leone X volle giovarsi del di lui cugino Mons. Raffaello Petrucci comandante del Castel S. Angelo e vescovo di Grosseto per inviarlo (marzo del 1515) a Siena accompagnato da buon numero di fanti e cavalli sotto il comando di Vitello Vitelli, lusingato lâuno e lâaltro dalle parole deâfuoriusciti e da molti Sanesi nemici del Borghese, i quali promettevano a Leone che il Vescovo castellano sarebbe stato bene accolto da tutta la cittĂ per capo del governo in luogo del di lui cugino.
Uno deâprimi passi diretti ad ottenere lâintento fu quello di far partire da Siena Antonio da Venafro, il fido ed accorto consigliere del Magnifico, onde staccarlo dal di lui figlio. Costui sentendo che il cugino si avvicinava con lâesercito alla cittĂ , partĂŹ da Siena con suo fratello minore, Fabio, dirigendosi alla volta di Napoli, lasciata la patria, la famiglia, gli amici e le sostanze sue a discrezione deârivoltosi.
Non era appena entrato in Siena (12 marzo del 1515) il vescovo di Grosseto che fece convocare il consiglio generale per creare una nuova BalĂŹa di 90 individui, 30 per Monte, da durare per tre anni con la medesima autoritĂ della BalĂŹa passata. Quindi fu confinato e poco dopo dichiarato ribelle il Borghese col di lui fratello Fabio, e fu rinnovata la lega tra la Chiesa e la Repubblica di Siena, includendovi il Duca Lorenzo deâMedici nipote del Pontefice. Che se cotanta felicitĂ fu in gran parte raffrenata dalla morte di Giuliano fratello di Leone X, altronde essa non impedĂŹ il progetto di costui, châera di fare uno stato al nipote Duca Lorenzo deâMedici rivolgendo le mire allâimpresa e conquista del duca dâUrbino, cui il buon Giuliano con ogni studio e ardentissime preghiere se egli era mostrato contrario.
Allo sdegno del Duca vecchio di Urbino per tal divisamento si congiunsero le ire di Malatesta e di Orazio Baglioni figliuoli di Gio. Paolo, cui Leone X aveva fatto mozzare il capo, mentre i Fiorentini che mantenevano viva quella guerra, presero anche a difendere Perugia per mantenervi in dominio un altro Baglione di fazione contraria. â La morte però del Duca Lorenzo deâMedici sconcertò tali divisamenti, imperrocchĂŠ il vecchio Duca non solo riescĂŹ a ricuperare il suo stato dâUrbino, ma Perugia ancora fu ripresa dai figli di Gio. Paolo Baglioni ad onta che il loro rivale valorosamente vi si fosse difeso.
Quindi il Duca dâUrbino alla testa della sua oste si diresse verso Siena, la quale dopo la cacciata di Borghese Petrucci seguitava a dipendere dai Medici; sicchĂŠ ai Sanesi non restava altra speranza che il soccorso deâFiorentini per lâintelligenza che avevano col cardinale Giulio della stessa prosapia Medicea.
GiĂ il Duca Francesco Maria cominciava a taglieggiare il contado di Siena ed era con lui Mons. Lattanzio Petrucci, che dal Pont. Leone era stato privato del vescovado di Soana, quando si sentĂŹ lâelezione del Pontefice Adriano VI e quasi contemporaneamente la morte del porporato Raffaello Petrucci capo del governo sanese.
In tale circostanza il Card. Giulio deâMedici accordatosi con la Signoria di Firenze allora sua ligia, dopo raccolte molte truppe, fece avvicinarle a Siena, châera in pericolo di cadere sotto il dominio del vecchio Principe dâUrbino.
Quindi rassicurata Siena, lâoste fiorentina sâincamminò verso Perugia avendo seco lâespulso gentile Baglioni con la mira di ricuperare la cittĂ alla Sede Apostolica.
In questo mentre fu conclusa fra le parti una pace che lasciava il Duca di Urbino tranquillo possessore del suo stato, a condizione che egli in alcun modo nĂŠ ai Fiorentini nĂŠ ai Sanesi recasse piĂš danno.
Erano in tale stato le facende politiche dellâItalia, allorchĂŠ si scoperse una nuova turbazione, che a quella breve e sospetta quiete fu principio di grandissimi travagli. - Le forze vistose di due potenti sovrani esteri, i reali di Francia, e glâimperatori di Germania, che per anni e secoli con varia sorte ed alacritĂ si contesero il primato dellâItalia, dopo la morte di Papa Leone X ripresero nuovo vigore.
Erasi di poco tempo la cittĂ di Siena liberata dalle guerre, prima del Duca di Urbino, poi del romano Renzo da Ceri, quando il governo di Siena dovette pagare 30000 ducati dâoro per i bisogni dellâesercito di Carlo V, e ciò poco innanzi che arrivassero lettere da Roma dellâambasciatore cesareo in data dellâ8 maggio 1523, con le quali sâinvitavano i magistrati del Comune di Siena ad una riforma governativa tendente a rimettere in patria ed a riabilitare aglâimpieghi pubblici i fuoriusciti. La qual cosa rimase per allora sospesa stante la morte accaduta del Pontefice Adriano VI, finchĂŠ dopo lâesaltazione del cardinale Giulio deâMedici sul trono pontificio col nome di Clemente VII si videro in diverso modo gli affari di Siena maneggiati.
E parendo a questo gerarca cosa difficile il poter mutare a forza dâarmi lo stato di questa Repubblica, sulla quale aveva preso molta autoritĂ Francesco Petrucci nipote del cardinal Alfonso, egli ricorse allâindustria. Chiamò il Petrucci a Roma col pretesto di confermare la confederazione stabilita tra la Rep. Fiorentina e quella sanese, ma frattanto che il Petrucci con belle parole era trattenuto a Roma, sostituivasi in Siena nel magistrato di BalĂŹa Fabio figlio minore di Pandolfo Petrucci (26 dicembre 1523). Ma non avendo costui nĂŠ lâaccortezza politica, nĂŠ i talenti del padre, la sua grandezza non era fondata sulla benevolenza deâsuoi cittadini, quelli medesimi che avevano contribuito al ritorno di Fabio, misero a romore il popolo sanese, in guisa che Fabio dovĂŠ fuggire unâaltra volta dalla sua patria. La partenza di costui parve ai Sanesi un ritorno alla libertĂ , e la Signoria fece adunare il consiglio del popolo per trovar modo se era possibile di poterla mantenere.
Conobbero per tanto, sebbene tardi, coloro dellâordine deâNove che furono i capi della cacciata di Fabio, lâerrore da essi fatto vedendo quanto la popolazione insorta a nuova libertĂ ed allâordine deâNove nemica, li superasse di numero e di potere. Credendo essi rimediarvi, caddero in un male peggiore, come fu quello di aderire ai disegni dellâaccorto Clemente VII, il quale profittò del passaggio per Siena di unâarmata del re di Francia, che dalla Lombardia doveva continuare il cammino allâimpresa di Napoli, per farla trattenere alcuni giorni nel territorio sanese ed intanto cogliere lâoccasione di far proporre e consentire dal consiglio del popolo di Siena che si annullassero tutti i Monti, ossia gli ordini vecchi, e che si richiamasse ad effetto la riformagione del dicembre 1487, con la quale si tentò di ridurre tutti gli ordini ad un Monte solo, ordinando che il nuovo unico Monte si appellasse deâNobili e Reggenti. Quindi nel mese di gennajo dellâanno 1525 fu costituita per 4 anni unâaltra BalĂŹa di 78, lasciando la prima nella medesima autoritĂ col titolo di BalĂŹa maggiore.
Volendo poi a soddisfazione del Pontefice ristringere in pochi lâautoritĂ della BalĂŹa il consiglio del popolo con provvisione del 17 febbrajo dellâanno stesso 1525 elesse una BalĂŹa di 16 cittadini, investendola di ogni autoritĂ sopra le cose dello stato.
Una delle prime misure tiranniche dei 16 della BalĂŹa, sulla quale primeggiava Alessandro Bichi, fu lâordine perentorio a tutti i cittadini di dovere consegnare qualunque sorta dâarmi tenessero in casa, o che portassero in dosso, meno chĂŠ una spada.
Ma il dĂŹ 24 del mese medesimo di febbrajo essendo accaduta la gran battaglia di Pavia, nella quale daglâImperiali rimase sconfitto lâesercito francese e prigioniero lo stesso loro re, quasi tutti i governi dâItalia divennero servi del vincitore, dal quale bisognò che si redimessero a forza di danari. Però alla BalĂŹa di Siena ciò non bastava, stantechĂŠ un nemico interno assai piĂš temibile la minacciava al punto che i popolani, sentita la buona fortuna deglâImperiali, presero animo contro il governo dato loro da Clemente VII. - In vigore di ciò nel 6 aprile del 1525 un cittadino sanese Girolamo Severini ad esempio di Bruto salĂŹ in palazzo e davanti alla BalĂŹa maggiore trucidò Alessandro Bichi principale di quel magistrato. Dopo il qual fatto altre genti col Severini congiurate avendo levato il popolo malcontento a rumore, cacciarono di Siena molti aderenti dellâordine deâNove, e riformarono la cittĂ a regime popolare nemico del Pontefice e piuttosto aderente di Cesare, non senza una tacita approvazione di Carlo V per tuttociò châera stato fatto.
Tale fu un tempo lâanimo di colui che trentâanni dopo con la sua potenza costrinse un popolo eroico dopo un lungo ed ostinato assedio a sottomettersi disperato alla sua discrezione.
E tale era pur lâanimo del Pontefice Clemente VII che o per spirito di partito, o forse anco di vendetta, nel 1526 a danno deâSanesi si unĂŹ col popolo fiorentino, con quel popolo contro il quale tre anni dopo rivolse le proprie armi e quelle dello stesso Imperatore per ridurlo servo della casa dei Medici.
Infatti Papa Clemente non so o tentò segretamente dâimpadronirsi di Siena, ma ricorse alla forza aperta allorquando avendo messo insieme, oltre i fuoriusciti sanesi, un numeroso esercito, nĂŠ affidò il comando a valenti capitani, collâordine di marciare contro Siena.
Giunta lâarmata ai confini, si divise in due corpi, uno diretto per la strada regia romana, lâaltro per la Val di Chiana.
Col primo strada facendo assalĂŹ inutilmente Montalcino, il cui presidio bravamente si difese; con il secondo, dopo essersi unito per via a nuove genti e ad altri banditi, si diresse nel suburbio settentrionale di Siena, dove unâarmata di Fiorentini accompagnata da Roberto Pucci e da Antonio Ricasoli suoi commissarii con lâoste papalina si accampò fuori di Porta Camullia. â E affinchĂŠ i Sanesi fossero da piĂš parti nel tempo medesimo molestati, lâammiraglio Andrea Doria assaltava con unâarmata navale i porti della Maremma, sebbene egli non ritrovasse corrispondenza in quelli di dentro. A rendere sempre piĂš fallaci le speranze di Clemente VII e dei ribelli si aggiunse un fervido amor di patria innato nei cittadini sanesi, di loro natura ardentissimi; i quali per cotal procedere sâinfiammarono a segno che tutti gli uomini atti alle armi corsero sotto le bandiere delle loro contrade, e animosamente si mossero per andare, parte di fronte, e parte di fianco contro i nemici, sicchĂŠ gli uni fuori di Porta Camullia, gli altri escendo dalla Porta di Frontebranda contro lâoste sâincamminarono. La battaglia fu breve ma sanguinosa, in guisa che il nemico da tanto impeto atterrito si diede presto alla fuga lasciando in potere dei Sanesi artiglierie, armi, stendardi, vettovaglie, carri, cavalli e prigioni.
Cotesta vittoria riportata contro le armi di Clemente VII e deâ Fiorentini precedĂŠ di poche settimane lâarrivo in Toscana dellâesercito imperiale diretto a Roma contro lo stesso Papa sotto il comando del duca Carlo di Borbone, il quale attraversando il dominio sanese fu dagli ambasciatori della Repubblica largamente presentato, ed il suo esercito di gran copia di viveri e di armi ancora fornito. Accadeva ciò non molti giorni innanzi che le truppe spagnuole del devoto Imperatore dassero il sacco allâalma cittĂ , e obbligassero il gerarca universale della Romana Chiesa a rinchiudersi nel Castel S. Angelo.
La presa di Roma accaduta nel 26 maggio del 1526, e la ritirata di Clemente in Castello, se da un canto ebbe a scoraggiare i fuorusciti sanesi, togliendo loro ogni speranza di rientrare a signoreggiare la patria, dallâaltro canto incoraggĂŹ talmente il popolo fiorentino ed i nemici dei Medici che quasi tumultuariamente a questa famiglia fu dato il bando ed i capi di quella prosapia dichiarati di nuovo come nel 1494 ribelli della patria per dare in tal guisa a Papa Clemente esca e motivo maggiore di unire le forze della Chiesa a quelle di un Imperatore potentissimo onde disfare il governo popolare di quella Repubblica.
ComecchĂŠ per arrivare a tale intento restasse un osso assai duro a rodersi da quei can mastini, non era peraltro il fiorentino il solo governo rappresentativo che si voleva togliere di mezzo in Toscana, mentre gli occhi dei due potentati non perdettero mai di vista anche lâaltro di Siena.
Quantunque tardi, pure i Sanesi si accorsero del mal consiglio preso dai loro magistrati allorchĂŠ fornirono artiglierie e vettovaglie allâesercito pontificio -imperiale nel recarsi che fece allâassedio di Firenze, e ciò ad onta che i governanti di questâultima cittĂ tenessero viva la pratica di collegare alla loro fortuna quella del Comune di Siena, mostrando, che se la Repubblica di Firenze restava oppressa, la sorte medesima sarebbe toccata alla loro patria.
Realmente non era per anco Firenze caduta in mano dei suoi nemici quanto da quelli che vi stavano ad assediarla fu mandato a Siena un agente dellâImperatore per trattare coi governanti del modo di farvi rientrare i fuoriusciti.
Che se cotesta dimanda non ottenne subito il suo effetto, essa convertirsi in comando assoluto dopo la conquista di Firenze, tostochĂŠ lâImperatore ordinò ad una porzione dellâesercito stato fino allora negli accampamenti di quella cittĂ , di avviarsi nel dominio sanese. Bentosto il loro Generale Gonzaga chiese alla Signoria di Siena di mandare al suo quartiere di Pienza persona con facoltĂ di stabilire in modo che i fuoriusciti e ribelli per cagione di stato fossero rimessi nella loro patria, ben inteso che se gli restituissero i beni confiscati e che dovessero partecipare con tutto lâordine, o Monte dei Nove agli uffizi pubblici.
Tutte coteste condizioni proprie a stabilire un governo assoluto furono prontamente accettate dalla Signoria di Siena, che sino dâallora rimanendo sotto lâinfluenza imperiale ebbe a far buon vis o ad un rappresentante di Carlo V, don Lopez de SorĂŹa, arrivato nella cittĂ alla testa di una compagnia di 400 spagnuoli e di molti fuorusciti dellâordine deâ Nove. E perchĂŠ due anni innanzi, allorchĂŠ per cagione di una rivolta sanguinosa, lâordine deâ Nove fu escluso affatto dal governo; e vennero tolte ai particolari le armi, delle quali i fuorusciti si erano provvisti a Firenze di quelle appartenute ai cittadini della estinta Repubblica.
GiĂ fu detto che lâordine deâNove, il quale dominò in Siena fino alla sua cacciata comandata da Carlo IV, era popolare, mentre dopo il suo ritorno forzato con Pandolfo Petrucci divenne aderente al regime tirannico e assolutista; e tale si mantenne, sia per la rabbia delle continue rivolte popolari che lo avevano cacciato, sia per la tacita intelligenza di potenti monarchi, dai quali quei fuorusciti furono assistiti.
Anche cotesta volta non contenti che il nuovo reggimento gli avesse accettati e riammessi a partecipare degli uffizi governativi in patria, i ribelli avendo fatto acquisto senza cautela di armi da fuoco, e quelli dellâordine deâ Popolani accorgendosi che il partito deâ Nove cercava vendicarsi deglâinsulti ricevuti, chiamarono una notte la popolazione allâarmi; e sebbene in tale occasione la cosa riescisse senza effetto, ciò ebbe luogo nel due gennajo del 1531, quando ad un nuovo romore i Nove furono allâordine deâPopolani e deâRiformatori con lâaiuto della plebe superati e disarmati, facendo a molti di essi con la morte pagare la pena.
La qual cosa fu cosĂŹ mal sentita dallâImperatore, che inviando in luogo di don Ferrante Gonzaga il March. del Vasto comandante del suo esercito nel dominio sanese, questi presentò una lettera di Cesare scritta da Bruselles il dĂŹ 21 febbraio 1531 al senato e al consiglio generale della repubblica sanese, colla quale rimproverava il popolo di Siena delle cose ultimamente accadute, consigliando il senato a richiamare in patria i loro concittadini stati di corto cacciati di lĂ . â (Malavolti, Istor. San. P. II Lib.
VIII.) In modochĂŠ, scriveva lo storico testĂŠ citato, non fu da maravigliarsi se coloro che governavano la cittĂ , non avendo osservato quanto dallâImperatore era stato al governo di Siena in quella lettera ordinato, ad oggetto di conservarsi liberi, non è, diceva egli, da maravigliarsi se dopo avere nel 1545 cacciato di Siena una parte di cittadini, per difetto loro facessero perdere alla patria la propria libertĂ con danno di tanti altri che non ne avevano colpa.
Intanto andava in Siena talmente crescendo tra le diverse fazioni la discordia, che una parte di esse nel 1539 ricorse alle armi con intenzione di abbassare la grandezza della famiglia Salvi favorita dal duca di Amalfi generale di Carlo V, comecchè essa in apparenza facesse la sviscerata del popolo, se il Duca stesso di Amalfi con la guardia deâ suoi Spagnuoli non vi avesse riparato.
Quindi nella fine dellâanno 1541 fu mandato a Siena da Carlo V un suo legato con ordine di riformare il governo.
Ma non passò molto tempo che parendo allâordine deâ Popolani che quella riforma avesse accresciuto troppo lâautoritĂ allâordine deâ Nove con detrimento degli altri Monti, si unirono al medesimo quelli dellâordine deâ Riformatori, e poichĂŠ non potevano con lâarmi tenerli bassi, cercarono di mettere in sospetto i capitan di giustizia che vi era per lâImperatore; di modo che in luogo di don Lopez di Soria fu inviato a Siena (luglio 1543) don Giovanni De Luna.
Cesare dopo aver assegnato a Siena nuovo capitano, poco essi stettero a prendere anche costui in sospetto credendolo troppo favorevole allâordine deâ Nove, sicchĂŠ a dĂŹ 8 febbrajo del 1545 si levò gran rumore dallâordine deâ Popolani contro quello deâ Nove, cui si unirono molti del Monte detto deâ Gentiluomini . â In tale frangente escĂŹ fuori il capitano del popolo, il quale valendosi del favore della plebe, riescĂŹ a superare la fazione contraria, sicchĂŠ il popolo dopo sfogate le private vendette cercò di riformare il reggimento governativo, dal quale fu dichiarato (marzo del 1545) che lâordine deâ Nove, incolpato dello scandalo accaduto, fosse levato totalmente dalla borsa dei governanti e da tutti i magistrati, cui era stato fino allora ammesso per una quarta parte. E non bastando ciò, fu licenziata da Siena la guardia spagnuola col suo capitano, fu tolta lâautoritĂ alla Balia deâ Quaranta ed eletta una Signoria di tre per ciascun deâ tre Monti, cioè di Popolani, di Gentiluomini e di Riformatori, i quali insieme al capitano del popolo ebbero la medesima autoritĂ della BalĂŹa deâQuaranta.
Ma non corse molto tempo che in Siena continuando le divisioni, le rapine e gli omicidi ritornò la guardia spagnuola, contuttochÊ la città si reggesse a nome di Repubblica. TalchÊ appoco appoco don Diego di Mendoza, che risiedeva in Roma in qualità di ambasciatore di Carlo V, insinuava il suo sovrano per il bene e sicurezza di quella città a farvi una fortezza.
Inoltre don Diego cercava di persuadere Cesare che, a volere stabilire ed assicurare bene lâimperio suo in Italia, sarebbe stata cosa utile dichiarare signore di Siena Filippo II suo figliuolo, acciocchĂŠ, impadronitosi di quello stato, tenesse in un medesimo tempo a freno il Papa ed il Duca di Firenze,non importando altro la fortezza di Siena, che un ceppo sul collo ad ambedue i principi, e diceva, anche un freno allâindomabile popolo sanese.
Nel tempo che coteste pratiche si andavano agitando, don Diego di Mendoza a richiesta dei Signori di Balia tornò da Roma a Siena, la qual misura si risolvĂŠ in danno deâ governanti, perchĂŠ i Sanesi non solo accettarono i 400 soldati spagnuoli, ma il Mendoza stesso fu fastosamente accolto dal pubblico e dai particolari anco innanzi che lâImperatore dirigesse da Augusta in data del 15 giugno 1548 lettere alla repubblica di Siena esortando cotesto popolo alla quiete, ed a fare quanto per sua commissione gli veniva comandato. Con tali facoltĂ don Diego il dĂŹ ultimo di ottobre fece adunare il consiglio del popolo, quindi esortò quel senato a restituire i cittadini dellâordine deâ Nove per una quarta parte nel governo, di che s i rifacesse la Balia deâ Quaranta. Che sebbene il senato sanese di prima giunta non vi aderisse, dovĂŠ presto accettare tuttociò per ordine di S. M. Cesarea, in guisa che la Rep.di Siena fu organizzata a modo e volontĂ di don Diego di Mendoza.
Onde anche meglio assicurarsi dellâubbedienza di un popolo poco avvezzo ad ubbidire allo straniero, don Diego dopo aver introdotto in cittĂ alla spicciolata parecchie centinaja di soldati spagnuoli, ordinò che le armi pubbliche ad eccezione di poche con le artiglierie e munizioni dal palazzo della Signoria si portassero nel convento di S. Domenico in Camporegi.
NĂŠ tuttociò bastava per far di Siena una cittĂ ligia dellâimperatore; era disegno giĂ fatto dal ministro di Cesare di erigere nella cittĂ una fortezza. Al quale effetto don Diego dopo cavati i fondamenti presso lâattual Lizza, con i materiali delle torri scapezzate ad onta delle rimostranze e preghiere dei magistrati e del popolo, la disegnata cittadella faceva innalzare. â Racconta Bernardo Segni nelle sue storie che nel cavare i fondamenti per erigervi la rocca fu trovata una palla grossa di ferro, intorno al quale erano scritte queste parole: Nel giardino delicato la fortezza si farĂ , e poco tempo durerĂ . A queste parole corrispondevano quelle del famoso Brandano, il quale andava gridando per le strade di Siena: Invanum laboraverunt qui aedificant eam. E lo stesso Segni aggiunge, come in quei giorni tutti i Sanesi sbigottiti e malcontenti, avevano fatta una pubblica processione e con solenne pompa presentate ad unâimmagine della Beata Vergine, avuta da quel popolo in singolare devozione, le chiavi della loro cittĂ : Presentino (disse il Mendoza) i Senesi, e consegnino a chi vogliono le chiavi di Siena da motteggio, a me basta di avere in mia podestĂ le chiavi da dovvero.
Non trovando i cittadini mezzo lecito da far desistere glâImperiali da quellâimpresa, si rivolsero ad altra via. E benchĂŠ il Duca di Firenze avesse fatto intendere al Mendoza che in Siena essendo sollevati tutti gli umori pei mali portamenti suoi e del presidio spagnuolo, egli stesse bene in guardia, perchĂŠ gli erano venute a notizia alcune pratiche sospette di Enea Piccolomini, nipote per via di donna del Pontefice Paolo IV, e del capitano Girolamo da Vecchiano, con tutto ciò il Mendoza non ne volle far conto.
Frattanto Girola mo da Vecchiano, il quale aveva avuto soldo dal re di Francia, con 500 fanti passò da Siena mentre il Mendoza era a Roma, e col pretesto di amicizia verso Enea Piccolomini conferÏ seco lui per parte del cardinale Farnese di alcune cose, fra le quali eravi la promessa mandata dal re di Francia, di restituire Siena in libertà e rovinar la fortezza, se il Piccolomini volesse porgere in causa si pia ajuto alla patria.
In conseguenza di ciò Enea che con Mario Bandini e con altri della Balia nutriva mal umore verso don Diego, di buon animo vi aderĂŹ. Levossi allora il popolo a rumore, e sebbene fosse stato spogliato in gran parte delle sue armi, sbigottiti gli Spagnuoli, si ritirarono tutti nella fortezza, mandando prontamente avviso al Duca di Firenze di tale sollevazione. â Era il giorno di S. Francesco dellâanno 1552 quando il Duca Cosimo, appena informato di quel tumulto, fece accorrere le sue compagnie di Val dâElsa verso Siena, e senza attendere altro consiglio ordinò ad Otto da Montauto che con i suoi 500 fanti entrasse in Siena. Questi appena introdotto per la fortezza vicina a Porta Camullia, la notte appresso uscĂŹ fuori con le sue genti e col presidio spagnuolo in ordine di battaglia, e tosto si attaccò zuffa con il popolo sanese armato, non senza la morte di varj spagnuoli e di un maggior numero di palleschi; sicchĂŠ il Montauto caricato e respinto dal furore della popolazione fu costretto ritirarsi in quella rocca, di dove mandò avviso al Duca che gli sollecitasse nuovi soccorsi, giacchĂŠ in quel modo non avrebbe potuto tenersi fermo nella cittadella piĂš di cinque giorni.
Allora Cosimo I, fra la diversitĂ di opinioni dei suoi consiglieri, accettò quella di non impacciarsi in cosa alcuna di Siena, e dopo tre giorni commise al Montauto che uscisse dalla cittadella. Passati pochi altri giorni partirono gli Spagnuoli, previo accordo fatto coâSanesi di partire della cittĂ a bandiere spiegate con le loro robe; quindi lâambasciatore di Francia presso il Papa venuto a Siena si fece consegnare la fortezza in nome del suo re, che poi donò a quella Signoria, lasciando alla medesima lâamministrazione delle facende della Repubblica, ed al popolo sanese lâarbitrio di rovinare dai fondamenti lâodiato fortilizio.
VI. SIENA NELLâULTIMO ASSEDIO SINO ALLA SUA CESSIONE A COSIMO I.
La partenza del presidio spagnuolo da Siena e la distruzione della fortezza a dispetto dellâImperatore e senza lâannuenza del Duca di Firenze, che pure fingeva di non avvertire quei casi, tutto ciò decise il potentissimo Carlo V alla distruzione di cotesta Repubblica. NĂŠ corse molto tempo che il Duca Cosimo per gelosia di stato iviò ai confini 3000 deâsuoi soldati a guardia di tutti i luoghi posti in vicinanza del contado sanese, tanto piĂš che dal re di Francia fu mandato a risieder in Siena Mons. di Termes con titolo di governatore e di suo capitano; il quale lasciava ai Sanesi liberamente governare i pubblici affari.
Che se da un canto lâambasciatore regio intento alla guardia della cittĂ , suo stato e marina assoldava gente, dallâaltro canto Cosimo I si provvedeva di milizie. A sostenere la quale spesa, oltre ai balzelli e agli accatti, il Duca ebbe ricorso a una gabella sopra la farina che pagava per tutto il dominio soldi tre e danari quattro lo stajo, ed in Firenze soldi quattro, e dicevasi che cotesto dazio sarebbe arrivato in un anno quasi 200,000 scudi, col computo fatto di tutti i sudditi e forestieri, che si facevano allora ammontare nello stato vecchio di Firenze e Pisa a 900,000 anime.
Frattanto per la Toscana passavano fanti, cavalli, danari ed arme deâFrancesi, senza che fosse loro impedito il transito pel dominio fiorentino, fingendo il Duca Cosimo di non avvertire quel caso; in guisa che Siena potette presto riempirsi di soldati, di vettovaglie, di munizioni, di artiglieria e di ogni sorta di arme. Contuttociò appena lâImperatore potĂŠ sbrigarsi dalle guerre che aveva in Alemagna e nelle Fiandre, sulla fine dellâanno 1552 inviò a Don Pietro di Toledo suo vicerĂŠ a Napoli e suocero del Duca Cosimo lâordine di apparecchiare un esercito opportuno per assalire lo stato di Siena.
Era giĂ lâoste in cammino dal regno di Napoli alla volta della Toscana, ed appena era entrato lâanno 1553 quando il vicerĂŠ giunse a Livorno con 2000 fanti spagnuoli, 400 lance e mille cavalleggeri napoletani, quasi nel tempo stesso in cui il suo figlio don Garzia arrivava con molta cavalleria e con 8000 pedoni sotto Cortona. âDisegnava costui dâassaltare il dominio di Siena, con una metĂ dellâesercito dalla parte di Val di Chiana e con lâaltra metĂ invadere la Maremma. Ma poco dopo essendo morto a Firenze il vicerĂŠ, fu da Carlo V destinato don Garzia in generalissimo di quella guerra, assistito dal valente capitano Alessandro Vitelli. NĂŠ intanto i Sanesi restavano di provvedere ai casi loro, poichĂŠ mentre monsignor di Termes recatosi a Grosseto ordinava che molti castelli di quella provincia si fortificassero, il governo della repubblica metteva in armi da 10,000 fanti e da 500 cavalleggeri. Arroge che il re Cristianissimo di Francia fino dal novembre dellâanno precedente aveva mandato suo luogotenente in Siena il cardinal di Ferrara, Ippolito dâEste, che offrĂŹ ai sanesi da parte di S. M. ogni sorta dâajuto per la conservazione e difesa della loro libertĂ .
Dallâaltro canto il Duca Cosimo, sebbene in apparenza figurasse in tale emergente di volersi mantenere neutrale fra i Francesi e glâImperiali, non volendo senza profitto di Cesare nimicarsi il re di Francia, contuttociò lâanimo suo era propenso a giovare a Carlo V, nella speranza di poi ritornare lo stesso vantaggio che era toccato al Duca Alessandro deâMedici dopo la caduta di Firenze.
DondechĂŠ Cosimo non lasciò opera alcuna addietro per provvedersi di moneta, al qual uopo giovossi non solamente della copiosa vendita deâbeni appartenuti ai ribelli, ma dopo aver gravato i popoli con la gabella sulla farina, aumentò anche quella della carne, stata messa poco innanzi, e ne aggiunse delle altre. Fu allora dato lâordine che si fortificasse il castello di San Casciano, che si munissero e che si serrassero insieme i bastioni incominciati sul monte di San Miniato sopra Firenze, e ciò ad oggetto di tener guardata e sicura tutta quella parte della cittĂ di Oltrarno.
Molti e in vari tempi scrissero delle vicende occorse in Siena dallâepoca della cacciata del presidio spagnuolo fino alla resa di detta cittĂ alle armi di Carlo V per non aver io bisogno di qui tutte annoverate, bastando la nota (I) pagina X della prefazione al Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 ai 28 giugno 1555, scritto da Alessandro Sozzini, e per la prima volta pubblicato in Firenze nel Volume II dellâArchivio storico italiano insieme con altri racconti a quella guerra relativi.
Anche un moderno scrittore credo che vada preparando un romanzo storico intorno al serio argomento dellâAssedio di Siena.
La prima Terra pertanto presa ai Sanesi daglâImperiali fu Asinalunga in Val di Chiana, dietro la quale venne quella di Lucignano: e cosĂŹ incominciò il Duca Cosimo a levarsi la maschera col dichiararsi palesemente nelico deâFrancesi e deâSanesi, tostochĂŠ egli inviò una compagnia deâ suoi soldati a presidiare Lucignano e guardarla in nome e per conto dellâImperatore; quantunque per antiche ragioni della Repubblica fiorentina avesse egli avuto luogo di tenersi Lucignano per conto proprio. Di lĂ lâesercito imperiale sâinviò a Montefollonico per poi innoltrarsi verso Pienza, dovâera entrato con 500 fanti Girolamo Orsini passato di corto al servizio deâFrancesi; il quale non avendo avuto tempo di farvi ripari da potere reggere ai colpi delle artiglierie, gli parve meglio di abbandonare la piccola Pienza.
Ma una parte di quei soldati essendosi ritirata con Adriano Baglioni nel vicino castel di Montichiello, questo capitano deliberò di tenere forte il castello per natura del sito assai ben difeso, nella speranza se non altro di dare comodità a quelli di Montalcino di potersi fortificare.
Non ostante però una coraggiosa difesa, essendo mancata a quelli di dentro la munizione e rimastovi ferito il comandante Baglioni, il presidio di Montichiello dovĂŠ rendersi a discrezione. â Vedere MONTICHIELLO.
Con questi felici principj glâImperiali si rivolsero al castello di Trequanda inutilmente guardato da 300 Francesi, e di lĂ si spinsero nella Valle dellâOmbrone sopra Buonconvento per avvicinarsi a Montalcino nel tempo che un altro corpo di 4000 Tedeschi penetrava nella Maremma sanese, e che 500 Spagnuoli a Orbetello e altri 400 sbarcavano a Piombino; sicchĂŠ questi uniti a mille soldati Italiani e a molta cavalleria tentarono non solo di privare i Sanesi del mare e delle vettovaglie, ma di occupare la capitale della Maremma Grossetana.
Essendo però questâultimo progetto riescito vano, fu dato ordine ai soldati Tedeschi e Spagnuoli di avviarsi per il Volterrano, onde poi si unissero al grosso dellâesercito di don Garzia per lâacquisto di Montalcino. Il quale generale per giungere piĂš presto ad impadronirsi di questâultima cittĂ , ricevĂŠ da Firenze altri 2000 fanti con buon numero di guastatori e fra le cose necessarie alla sua impresa alcuni pezzi di artiglieria per battere il castello che quella cittĂ difendeva.
Avendo don Garzia con cotesta triplice armata Tedesco- Spagnuola-Medicea potuto abbattere una torre della fortezza di Montalcino, attendeva animosamente ad avvicinarvisi con le trincee, non sapendo che dalla parte di dentro per i ripari fatti al castello e alla cittĂ il nemico avrebbe molto da sudare prima di venire a capo dei suoi desiderii, mentre non era minore lâardire degli abitanti, e di un presidio di mille fanti scelti che sotto il conte Mario Sforza ed il capitano Giordano Orsini Montalcino difendevano.
Infine don Garzia era venuto in speranza di potersi insignorire di cotesto paese per via di trattative, ma nÊ tampoco da ciò trasse alcun frutto, meno il pericolo di perdervi la vita, se da una sentinella degli assediati non fosse stato avvertito.
Una simile speranza aveva concepito il Duca Cosimo delle cose di Siena, che per maneggio di un Salvi capitano del popolo onestamente sperava si muovesse a tumulto per cacciarne i Francesi col pretesto di chiamare il popolo a libertĂ .
Ma scoperta la congiura, il Salvi con un fratello suo canonico del Duomo, e due altri implicati nella trama medesima vennero condannati nella testa.
La sventata congiura fu come mettere zolfo sopra il fuoco.
I Sanesi di ogni ceto, di ogni etĂ , di ambo i sessi si armarono da disperati, e sebbene divisi fra loro per qualitĂ , o per nascita, in quella emergenza di comune pericolo unitissimi procederono con la speranza di riacquistare lâindipendenza che ad essi loro ed alla patria si voleva togliere per sempre.
Al momento che quella popolazione per intrighi segreti o per forza di bajonette e cannonate si vide in pericolo di perdere affatto patria e libertĂ , anche le donne di ogni condizione in tale circostanza spiegarono un animo risoluto; e comecchĂŠ la debolezza del sesso non permettesse loro dâimprendere cose superiori alle proprie forze, pure riunitesi per Terzi e ordinate in altrettante schiere sotto distinte insegne e sotto il comando di tre generosi gentildonne, senza altra distinzione di preminenza di nascita, nobili, cittadine, plebee, tutte cantando una specie di Marsiliese marciavano per squadroni a porgere materiali e a lavorare alle fortificazioni della cittĂ , nĂŠ da tali opere desisterono finchĂŠ non lâebbero terminate.
La generosa condotta di quelle Amazzoni meritò gli elogj anco degli scrittori forestieri. Tale uno di questi fu il maresciallo francese di Monluc, il quale, dopo la caduta di Siena trovandosi alla difesa dellâeterna cittĂ , scriveva neâsuoi commentarj, che avrebbe voluto difendere Roma piuttosto con le donne sanesi che con i soldati romani.
Avvenne però che il Duca Cosimo nellâottobre del 1553 mandò il suo fedele segretario Bartolommeo Concino allâImperatore per dirle, che ogni volta S. M. I. volesse accordare 2000 fanti Tedeschi, altrettanti Spagnuoli, e 300 cavalleggeri mantenuti per 10 mesi, il suo padrone sâimpegnava a prendere sopra di sĂŠ lâimpresa di Siena, a condizione che da Cesare fosse poi ricompensato deâdanari che avrebbe speso col ricevere dalla corte Aulica altrettanto Stato in Toscana.
Accettò Carlo V lâofferta, lodando il coraggio e lâattaccamento di Cosimo alla causa imperiale, desiderosissimo ad ogni modo di punire i Sanesi e di levare i Francesi dâItalia, tanto piĂš che Piero Strozzi nemico personale di Cosimo era stato di corto dal re di Francia dichiarato comandante generale di tutte le sue armi in Italia.
Disposti in tal guisa i mezzi, fu concertato il piano delle operazioni, fu deliberato che cotesta seconda guerra cominciata nel gennajo del 1554 (stile comune) sâintraprendesse a nome dellâImperatore e del Duca di Firenze suo alleato, e che si approfittasse della buona fede in cui erano i Sanesi per sorprenderli movendo improvvisamente contro la cittĂ il suo esercito innanzi che arrivassero le truppe promesse dallâImperatore. Alla quale operazione doveva essere favorevole la circostanza dellâassenza da Siena del generale Piero Strozzi, e la dimestichezza che il Duca dimostrava continuamente verso il cardinal di Ferrara, rimasto al governo della nemica cittĂ .
Vedendo però Carlo V e Cosimo deâMedici come le vie state fino allora adoperate non riescivano a conquistare nĂŠ Siena, nĂŠ Montalcino, stabilirono di procedere innanzi a detta guerra con nuove genti e nuovo comandante generale. Si pensò di affidare cotanta impresa al generalissimo marchese di Marignano, creduto derivato da un ramo della famiglia deâMedici uscita di Firenze e stabilitasi in Milano.
Cotesto marchese, châera tenuto in quei tempi per uno deâpiĂš abili capitani che fossero in Italia, fu condotto al soldo del Duca Cosimo, come persona la piĂš opportuna ai disegni suoi. Tentò egli da primo di prendere per sorpresa la cittĂ assediata, ma svegli erano i suoi abitanti, e piĂš sveglio il generale Piero Strozzi che quel numeroso presidio era venuto a dirigere, talchĂŠ riescirono frustanei i ripetuti assalti, dai quali però si vide sempre la rabbia del Marignano sfogarsi barbaramente sopra gli abitanti delle e sopra i prigionieri che la sua oste prendeva. â Frattanto che accadeva la guerra ora nelle vicinanze, ora in lontananza dalle mura di Siena, ma sempre devastando ognor piĂš il paese intorno, ogni cittadino, non esclusi gli ecclesiastici, sia della cittĂ come del contado affrontava coraggioso qualsiasi pericolo, ed anche la morte, per difendere la patria perfino nelle campagne.
Accortosi il marchese di Marignano essere cosa quasi impossibile di prendere la cittĂ di Siena colla forza dellâarmi, si dovĂŠ risolvere a costringerla con affamarla.
Se vi era innanzi qualche dubbioso, niuno restò perplesso dopo la condotta del marchese di Marignano, che Cosimo I piÚ che Carlo V voleva finire la Repubblica di Siena a costo di disfare la stessa città . DondechÊ gli storici fiorentini meno sospetti scrissero senza mistero della risoluzione assunta a suo carico dal Duca Cosimo di scacciare da Siena i Francesi per farsi padrone di quella città e del suo stato.
Dirò col Segni (Istorie fiorentine, Lib. XIV.) âche questa guerra mossa ai Sanesi dal Duca di Firenze, fu cagione espressa dellâultima rovina di Toscana tutta. La somma di tutte le genti del Duca fra Italiani, Spagnuoli e Tedeschi, nei primi tre mesi di quellâanno radunate, ascendeva a 24,000 fanti e a mille cavalli, ed il loro mantenimento a 100,000 scudi, che tutta cotesta somma dovĂŠ cavarsi da gravezze straordinarie poste ai sudditi tribolati sempre piĂš da unâaffliggente carestia, la quale cominciava in quellâanno ad essere grandissimaâ.
Primo pensiero dellâaccordo Marignano fu quello di assaltare nel tempo medesimo i Sanesi in casa, nella Maremma, in Val di Chiana, in Val dâOrcia ed in Val dâAsso. In Maremma dare il guasto a Grosseto, in Val di Chiana investire Chiusi, in Val dâOrcia Pienza, e in Val dâAsso Montalcino, nel tempo stesso che le sue genti in Siena occupavano il bastione accosto alla Porta Camullia con quel piĂš che poterono avere.
Che se dallâattivitĂ dello Strozzi e dal coraggio deâFrancesi e deâSanesi una gran parte di quei progetti furono resi vani, non mancò peraltro il Duca Cosimo di arrivare presto al suo intento. NĂŠ guerra fu mai esercitata con maggiore asprezza e ferocia. ImperrocchĂŠ usavansi crudeltĂ atrocissime in impiccar contadini, in isforzare donne, in ammazzare innocenti, ed in mettere a fuoco e fiamma ogni cosa. (SEGNI, loc. cit.) Dopo però la vittoria del 2 agosto 1554 daglâImperiali e Ducheschi nei campi di Scannagallo presso Marciano in Val di Chiana sopra i Sanesi e Francesi riportata, al marchese di Marignano riescĂŹ facile cosa dâimpadronirsi delle piĂš forti posizioni intorno le mura di Siena.
ImperrocchĂŠ questo generale era convinto sempre piĂš non esservi altro mezzo sicuro per impadronirsi della cittĂ di Siena che quello di ridurre agli estremi i suoi difensori ed abitanti per via della fame; sicchĂŠ egli dopo aver fatto demolire tutti i mulini deâcontorni, dopo disfatti i bottini o acquedotti che conducevano lâacqua potabile in Siena, impose pene severissime ed atroci a chiunque ardisse trasportare vettovaglie di qualsiasi sorte nellâassediare cittĂ .
Allora cominciò in Siena una lacrimevole costernazione cominciando a limitarsi ad una libbra a testa di grano che poi fu ridotto a mezza libbra, finchÊ mancò affatto al pubblico la sua dispensa.
Il governo vedendo che una parte della popolazione a cagione di digiuni e di stenti era di giĂ scomparsa dal numero deâviventi, decretò con poca caritĂ di mandar fuori di cittĂ tutte le bocche inutili dâinfermi, di vecchi e di donne, e perfino dei gettatelli impuberi giunti ad una certa etĂ dellâuno e dellâaltro sesso, i quali appena discostati pochi passi dalle mura urbane rimanevano a discrezione di un inesorabile nemico.
Finalmente essendo venuto meno ogni umano soccorso, nella lusinga di dar fine a sĂŹ spaventevole catastrofe, i magistrati sanesi risolvettero di ricorrere ad un accordo. â La prima risposta del Marchese di Marignano fu orgogliosa quanto crudele, allorchĂŠ fece sapere agli assediati non esservi per loro altro scampo fuori di quello di sottomettersi intieramente alla discrezione del Duca di Firenze, se il sacco, il fuoco e la rovina della loro patria volevano evitare.
Frattanto che si dava cotesta aspra risposta, le armi francesi minacciavano fortemente dal Piemonte di avanzarsi verso la Toscana, ed in Lucca e perfino in Firenze si manifestava il maltalento deâcittadini verso il Duca che voleva fare di Siena ciò che Papa Clemente VII era riescito a fare della repubblica fiorentina, e ciò che, al dire del Vasari, Cosimo meditava di Lucca; dondechĂŠ ogni giorno si appiccavano nei luoghi pubblici della cittĂ di Firenze cartelli ingiuriosi al Duca, e polizze col motto: Viva Francia e muoja lâImpero .
D'altronde a tal punto era arrivata la risolutezza deâSanesi che piuttosto di accettare lâumiliante quanto barbara proposta del generalissimo di Cosimo, si sarebbero essi piĂš volentieri seppelliti vivi sotto le rovine della propria patria incendiandola con le loro mani.
Non dirò del patriottismo e fedeltà in questa guerra dai contadini dimostrata, tostochÊ gl' istorici, gli annalisti italiani e oltramontani, non che le relazioni parziali e giornaliere di una guerra cotanto accanita, parlano assai rispetto alla fermezza e coraggio, col quale i villani del contado sanese assalivano, e assaliti bravamente i resedj dominicali difendevano; talchÊ lo storico Ammirato ebbe a concludere, che tuttociò dovÊ succedere per effetto del mansueto ed amabile reggimento tenuto dai signori e possidenti sanesi, per cui animi rozzi e villani s'indussero di mettere a rischio la vita propria piuttosto che violare la loro fede. - (AMMIR. Stor. Fior. Lib. XXX.) Ma dopochÊ alle superbe parole susseguirono proposizioni meno severe inviate ai Sanesi dal Duca di Firenze, il suo governo, vista la perdita di quasi tutti i paesi del dominio sanese; visto che il maresciallo Strozzi non aveva potuto allontanare il nemico dai contorni di Siena, dove aveva devastato tutte le campagne delle vicinanze della città per togliere affatto gli assediati ogni speranza di raccolta; considerata l'inutile diversione nello stato fiorentino fatta dall'esercito francese condotto dallo Strozzi; visto inoltre che dopo la terribile disfatta nei campi di Scannagallo era accaduta l'espugnazione di Casole e di Massa Marittima; vista la mancanza di ogni sorta di vettovaglie, l'emigrazione e la perdita ognor crescente de'cittadini: e sentito l'ordine barbaro dato dal generale nemico di ammazzare tutti i contadini che avessero tentato di portare vettovaglie in Siena, costringere uomini e donne che uscivano di città a ritornarvi; considerando perciò i magistrati della Repubblica non restarvi altro modo di salvare la città , risolvettero di pregare il Pontefice Giulio III ed il Duca di Ferrara a promuovere la pace a meno dare condizioni di quelle inviate loro di prima.
Non tutti i capi della Repubblica opinavano in tal maniera, quelli del Monte de'Nove, che per sola neces sità e sicurezza propria avevano aderito all'ultima rivoluzione, bramavano l'antico governo aristocratico sotto la protezione dell'Imperatore, mentre i capi del Monte de'Popolani essendo lusingati dai comandanti francesi di trasferire altrove la sede della patria pericolante, giudicavano indifferente che questa fosse in Siena o in Montalcino. Altronde la plebe desiderando un ristoro sollecito a tanti mali; in tale stato di cose i Signori di Balia della repubblica di concerto con il maresciallo di Monluc, divenuto l'arbitro del governo di Siena, destinarono ambasciatori a Cosimo I per trattare le condizioni della resa. - Ma per conciliare le mire de'Francesi e l'urgenza de'Sanesi con la fermezza del Duca si passò un altro mese di tempo; finalmente stringendo la fame, fu firmata la capitolazione nel 17 aprile del 1555, un articolo della quale esigeva, che per tutto il 22 aprile stesso la città di Siena dovesse restare evacuata dai Francesi per introdurvi la guarnigione imperiale. La qual cosa avvenne a dispetto della popolazione che con tanti disagi sofferti in 15 mesi di assedio, con tutto il sangue sparso, non avendo potuto conservarsi in libertà , doveva tornare sotto gli odiati Spagnuoli. OltredichÊ un altro articolo della resa accordava facoltà di rifare una fortezza in Siena nel modo che piaceva al Duca Cosimo. Infatti dopo introdotti 2000 soldati imperiali, Cosimo spedÏ a Siena Angelo Niccolini come suo luogotenente incaricato di stabilirvi un piano di governo composto di persone non sospette (benchÊ poche si stimassero fedeli) ed atte a ridurre la città alla devozione dell'Imperatore, cominciando intanto dal togliere le armi di casa a tutti i cittadini e contadini.
Un simile atto di schiavitĂš, da pochi anni indietro praticato, dispiacque talmente all'universale che si accrebbero le emigrazioni al segno da dovere a furia di bandi minacciare pene severe a chi abbandonava la giĂ deserta cittĂ . Frattanto alcuni dell'antico governo repubblicano ritiratisi in Montalcino con i sigilli dello stato invitavano col nome di libertĂ i Sanesi a riunirsi in quell'ultimo asilo della loro indipendenza.
Furono perciò con altro bando ducale richiamati alla capitale gli emigrati con la minaccia dopo un dato termine loro assegnato di essere considerati ribelli dello stato confiscando loro tutti i beni. - à fama che all'epoca suddetta dentro la città non rimanessero piÚ che 6000 abitanti di 40,000 che vi furono innanzi d'assedio. In tal guisa la guerra civile cangiata in guerra politica divenne di giorno in giorno maggiormente desolante e disastrosa.
Frattanto dopo qualche ripugnanza di Carlo V a confermare l'accordo, come era stato promesso dal Duca ai Sanesi, l'esercito imperiale, avendo lasciato in Siena un forte presidio, si mosse per recarsi ad occupare molte terre e castella del suo contado e della Maremma che tenevano i Francesi.
Non si fecero però in quell'anno imprese maggiori della conquista della fortezza di Port'Ercole nel Mont'Argenterio, per cui si vuole che il re di Francia levasse al maresciallo Piero Strozzi il comando generale delle sue armi in Italia.
Intorno a questo tempo e nell'anno medesimo 1555 arrivò in Siena a risiedere con titolo di governatore cesareo don Francesco di Toledo, il quale seppe cosÏ bene maneggiarsi con i capi del governo sanese, che Signoria e Balia d'accordo rimisero nell'arbitrio di S. M. I. ogni autorità senza limitazione di tempo sopra la città di Siena e suo stato. Ad ottenere cotesta facoltà il Toledo trattava umanamente il popolo di Siena ostinato nemico del Duca di Firenze . CosicchÊ Carlo V trovossi qualificato signore della stessa repubblica; e dopo aver fatto redigere in valida forma cotest'atto di schiavitÚ, nel quale si annullavano tutti i patti piÚ essenziali delle capitolazioni precedenti, l'imperatore stesso ne investÏ Filippo II re di Spagna suo figliuolo.
Poco dopo essendo morto in Siena il governatore don Francesco di Toledo fu eletto nello stesso uffizio dal re di Spagna il cardinale don Bernardino di Mendoza, detto il Card. di Burgos.
In cotesto frattempo però il Pontefice Paolo IV Caraffa si diede a scoprire decisamente nemico di Cesare e fautore non solamente de'Francesi, ma di tutti i fuoriusciti di Toscana, dondechÊ gl'imperiali ebbero motivo di dubitare che il Papa da quelle genti assistito volesse muovere le sue armi contro il governo assoluto di Siena, città di malcontenti piena e di ogni cosa da vivere sfornita; tanto piÚ che Cosimo non poteva provvederla per le grandi spese della guerra e per le magre raccolte che da tre anni Toscana tutta affliggevano. DondechÊ convenne al Duca fare grossi accatti di grano, nelle Sicilie, e sovvenire molti gentiluomini sanesi suoi fedeli, caduti in miseria cotanta, che coloro, i quali solevano essere i piÚ ricchi e agiati, vi morivano di fame, essendochÊ le loro possessioni erano divenute preda di amici come di nemici, in tempo in cui da ogni parte soldati ed assassini scorrevano a depredare tutto quel territorio.
Erano in tale stato le cose, quando nel 15 dicembre del 1555 fu segnato il trattato di alleanza fra il re di Francia, il Papa ed i Caraffa suoi nepoti, trattato che tennesi occulto il piÚ che fu possibile affinchÊ gli Spagnuoli e il Duca non si fortificassero, e per dare tempo a far venire la flotta Turca onde secondare le operazioni mediate. CosÏ (esclamava il Galluzzi) il fondatore de'Teatini, e il piÚ ardente promotore della Inquisizione divenne alleato de'Turchi per sola ambizione di far grandi i nipoti - (Istor. del Granducato Lib. II. Cap. 5 .) Accadeva tuttociò nel tempo che Carlo V cedendo la corona dell'Impero a Ferdinando suo fratello, voltava il pensiero alla quiete del ritiro religioso, comecchÊ non sapesse risolversi ancora ad abbandonare l'ambizione di regnare.
Questa doppia rinunzia del regno di Spagna al figlio Filippo e dell'Impero al fratello Ferdinando fece credere che dovesse favorire i nuovi alleati, sicchĂŠ nel tempo che a Pitigliano il Duca Ottavio Orsini adunava un buon numero di gente d'armi, delle quali affidava il comando a Cornelio Bentivogli, nel tempo stesso. Piero Strozzi comparso improvvisamente a Roma faceva sperare ai repubblicani sanesi di Montalcino, avvicinarsi il giorno di recuperare la patria.
Per questi movimenti il Duca, cui stava a cuore di sventare simili progetti, domandava al re Filippo centomila scudi ad imprestito per sostenere il peso della guerra, ricordando alla corte di Spagna che Siena non si poteva mantenere se non con grande spesa e continua, nĂŠ ubbidienti soldati se non pagandoli e saziandoli di moneta, tanto piĂš che i Francesi erano vicini, e la migliore gente di Siena fuori di paese, e che quella rimasta dentro era quasi tutta sua nemica. SennonchĂŠ il dissidio fra le corti di Francia e di Spagna contribuiva non poco a interporre degli ostacoli che si resero anche maggiori per la mala intelligenza insorta fra Carlo V e il re Filippo suo figliuolo.
Mentre gli affari politici erano involti in cotanta confusione, i ministri delle due monarchie, nel 5 febbrajo del 1556, segnarono in Cambrecy una tregua per cinque anni, ratificata da Filippo II li 12 marzo susseguente, con la quale fu convenuto, che durante quel quinquennio ciascuna delle due potenze, compresivi i rispettivi alleati, dovesse ritenere i paesi che fino a quel giorno aveva occupato.
Non restavano pertanto senza sospetto lo cose dalla parte dei repubblicani di Montalcino che si mostravano avversi a condizioni dÏ fatte, mentre quelli del contado sanese erano cordialmente nemici degli Spagnuoli non meno che dei Tedeschi; cosÏ cittadini e contadini preferivano piuttosto il giogo francese. Infine dopo tanto indugio, che terminò in brevi ostilità , la tregua ebbe il suo effetto piuttosto per stanchezza delle parti che in vigore della capitolazione; ed in Toscana appena il Duca di Firenze ebbe intieramente pagato i suoi Tedeschi, nell'atto di licenziare i capitani che avevano militato nella guerra di Siena donò loro una catena d'oro, dalla quale, in segno dalla felice giornata di Marciano, pendeva una medaglia con l'immagine di S. Stefano Papa I (nel giorno festivo del di cui martirio si ottenne la vittoria) e dall'altra parte l'arme di casa Medici, talchÊ costoro poterono chiamarsi i primi insigniti in quell'ordine cavalleresco che Cosimo I sei anni dopo in memoria di quella giornata instituÏ.
Tali furono le apparenze pacifiche del Duca, cui per altro non era ignoto il mal animo che contro esso lui nutrivano Sanesi e Francesi. NÊ il cardinal di Burgos soffriva di buon animo che il magistrato di Montalcino esercitasse impunemente i diritti e le prerogative di sovranità col titolo di repubblica sanese, in nome della quale si coniarono anco delle monete. ComecchÊ molte fossero le prove da far temere quella tregua di corta durata e assai lontana la pace, comecchÊ le proposizioni fatte per conseguirla riescissero inutili per causa specialmente del Pontefice Paolo IV che sperava di mettere i nipoti Caraffa principi in Siena e in tutto il territorio, contuttociò i progressi delle armi spagnuole spinte dal vicerÊ di Napoli nello stato Pontificio indussero alla fine quel Papa a trattare della pace. Questa infatti fu conclusa in Gand li 15 settembre del 1556, pochi mesi innanzi che il re di Spagna incaricasse il suo castellano di Milano don Giovanni de Figueroa di recarsi a Firenze per stabilire col Duca Cosimo le basi della cessione di Siena e suo stato.
Ciò ebbe effetto nel dÏ 3 luglio del 1557 mediante un trattato di alleanza, col quale Filippo II fra le altre cose concedÊ al Duca Cosimo de'Medici ed ai suoi successori la città e stato di Siena, donandogli inoltre in libera proprietà la tenuta e beni della Marsiliana, a condizione che ne restasse al re di Spagna il sovrano dominio riunito a quello di Orbetello con Talamone, Port'Ercole, Santo Stefano, Monte Argentario ecc. e rilasciando al Duca il pieno possesso di Porto Ferrajo, a condizione di restituire a S. M. il restante dell'isola dell'Elba con Piombino ecc.
ecc.- Intanto che si trattava tra Filippo II e Cosimo I della sorte futura di Siena e del suo stato, i repubblicani di Montalcino rompevano la tregua con i Spagnuoli depredando terre e villaggi, alcuni de'quali munivano di una guarnigione; e appena si pubblicò il trattato di Firenze del 3 luglio 1557 le scaramucce, le sorprese, le reciproche depredazioni e gl'incendj tornarono a molestare soprammondo quella provincia essendo ormai decisa la sorte futura di Siena e del suo stato.
Quell'annunzio, dice il Galluzzi, riempĂŹ di timore i repubblicani di Montalcino, di rabbia e di dispetto i Spagnuoli, di tristezza e di costernazione tutti i Sanesi.
Comparve poco dopo in Siena don Giovanni de Figueroa con mandato speciale del suo re per consegnare la città predetta a don Luigi di Toledo inviato con le opportune facoltà dal Duca Cosimo suo cognato onde riceverne il possesso finale. Dopo varj pretesti e difficoltà fu gioco forza pertanto al nuovo Duca di Siena di sborsare una ragguardevole somma di danaro ai soldati di quella guarnigione tumultuanti per mancanza di paghe onde saziare la loro ingordigia; e quasi che ciò non bastasse, ad esempio di Brenno sul Campidoglio, Cosimo I dovette pagare in contanti l'artiglie ria e le munizioni esistenti nei bastioni, comecchÊ esse fossero proprietà del Comune di Siena. -Si cambiarono finalmente i presidj, e nel 19 luglio 1557 Mons. Angelo Niccolini luogotenente del Duca, e suo governatore della città e stato di Siena, ne prese formale possesso quasi nell'istante medesimo della BalÏa, il capitano del popolo, la Signoria ed altri magistrati della spirata repubblica giuravano obbedienza e fedeltà al nuovo sovrano nelle mani del suo plenipotenziario don Luigi di Toledo.
Accadeva contemporaneamente tuttociò quando il capitano Chiappino Vitelli con le sue truppe tedesche prendeva la guardia del palazzo pubblico e degli altri luoghi soliti ad essere presidiati nella città di Siena, nel tempo che un'altra partita di Spagnuoli al servizio del Duca si avviava a rinforzare il presidio della Terra di Buonconvento posta di fronte alla città di Montalcino.
Una delle prime misure del nuovo governo fu di rinnovare la ricerca e consegna delle armi de'cittadini, e ordinare severamente ai ministri di giustizia d'invigilare i Sanesi con piĂš solerzia di quella cui fossero stati fino allora avvezzi. Frattanto i paesi e Terre dello stato sanese che si tenevano dalle truppe alleate inviarono i loro sindaci a giurar fedeltĂ al nuovo Signore. -Rimanevano Montalcino, Grosseto, Chiusi, Radicofani, Montepescali ed alcuni altri castelli in mano de'Francesi, con i quali di scambievole consenso fu continuata la tregua, escludendo dalla medesima i porti di Orbetello e di Portercole, dove i Francesi contro gli Spagnoli si mantennero in guerra.
I titoli de'magistrati in Siena si tennero a un dipresso i medesimi come al tempo della repubblica, cioè la BalÏa, il capitano del popolo e la Signoria che si creava di due in due mesi; nondimeno gli uffiziali di BalÏa ed il capitano del popolo dovevansi eleggere dal Duca, mentre degli altri magistrati fu lasciata l'elezione al concistoro con l'approvazione però del sovrano che ritenne a sÊ la nomina dei tre gonfalonieri dei Terzi della città .
VII. SIENA SOTTO IL GOVERNO GRANDUCALE FINO ALL' ANNO 1844.
Fermo in tal modo il governo di Siena sotto il Duca Cosimo I, il maresciallo Monluc, ch'era rimasto al comando delle forze francesi nello stato sanese, fece sgombrare per tutto il contado il grano e portarlo nei paesi guardati da una guarnigione. Intanto si costruivano con sollecitudine bastioni e ripari intorno a Montalcino, si soldavano milizie a Roma e al campo francese che trovavasi nello stato Pontificio e si mettevano quelle milizie alla guardia delle fortezze a preferenza de'soldati italiani. Al Duca però cotesti preparativi riescivano gravosi, dovendo tener fornite le frontiere, presidiare la città di Siena e sovvenire nel tempo medesimo alla guerra di Lombardia; talchÊ gli conveniva gravare piÚ spesso i suoi popoli, per cui nell'anno medesimo 1557 fece imporre per il dominio fiorentino un grande accatto o balzello, oltre l'aver imposto l'uno per cento sul valsente dei fondi spettanti ai possidenti del contado dello stato vecchio.
Avvertasi che il presidio tedesco in Siena, oltre la noja che ai Sanesi recava, soleva anche insolentire contro inermi abitanti.
DondechĂŠ il Duca trovossi costretto di licenziare quei soldati, inviando invece a Siena quattro compagnie di fanti italiani piĂš disciplinati. Intanto sopra le cose governative vegliava monsignor Agnolo Niccolini, e rispetto al militare Federigo da Montauto. - Ma i Francesi nell'antico stato sanese andavano sempre piĂš indebolendo, massimamente nelle parti della Maremma, sicchĂŠ in pochi giorni Talomone e Castiglione della Pescaja si videro cadere in mano degli Spagnuoli, dai quali poco dopo Castiglione della Pescaja fu consegnato ad una compagnia di fanti di Cosimo I che ne prese possesso insieme all'isola del Giglio.
Pure il nuovo Duca diede qualche segno onde ingrazionarsi per quanto fosse stato possibile i Sanesi, in guisa che nel 1558 avendo la loro città sentito penuria di grano, non solamente fece provvederne tutto il Comune dagli uffiziali dell'Abbondanza di firenze, ma ordinò che a Massa, a Casole, a Sarteano, a Torrita, ad Asinalunga e in altri luoghi che insino allora erano stati governati da commissarj e uffiziali non sanesi, fossero mandati a tali uffizi quei cittadini di Siena che paressero piÚ atti a ciò. - Pochi mesi innanzi peraltro i rappresentanti del Comune di Siena fermi nei loro divisamenti avevano mandato ambasciatori alla corte di Francia per supplicare quel re a rimetterli nella perduta libertà , e che la loro città e tutte le terre del sanese territorio ritornasse sotto la protezione della corona francese.
Dall'altro canto il Duca non mancava dal far ufficiare il re Cattolico con proporre a S. M., che accomodandolo di 4000 fanti e 400 cavalli avrebbe potuto in breve tempo dare onorato fine alla guerra al punto di costringere i nemici a ricevere le condizioni che piacesse al vincitore; e inoltre pregava Filippo II a non si dimenticare dell'obbligo che aveva con Cosimo I contratto, cioè, di fare in maniera che Montalcino e le altre Terre sanesi gli venissero in mano.
Ma i repubblicani di Montalcino che ogni altra cosa avriano anteposto a quella di cadere nelle mani del nuovo padrone di Siena non si sapevano adattare alla pace stabilita nel 7 febbrajo del 1559, in un articolo della quale si diceva, che il re di Francia dovesse nello spazio di tre mesi ritirare tutte le genti da guerra che avesse in Montalcino e in altre cittĂ e Terre della vinta Repubblica, e che abbandonasse la protezione dei Sanesi, rinunziando a qualsiasi ragione poteva pretendere sopra quel paese.
NĂŠ solamente i Sanesi di Montalcino, ma gli abitanti stessi di Siena lusingati dai ministri francesi, che a detta loro, Siena avrebbe dovuto rimanere in stato di libertĂ ,speravano di poter vivere e governarsi senza maggioranza di alcuno, riformando a piacere il regime della loro patria.
Ma intanto alla corte di Francia si davano gli ordini affinchĂŠ le condizioni convenute si eseguissero; sicchĂŠ ben presto i Francesi cominciarono a ritirare a poco a poco le truppe dalle rocche, dai castelli, e dalle cittĂ da esse nel senese fino allora occupate.
GiĂ erano arrivate alla bocca di Ombrone 13 galere da Marsilia per imbarcare le genti e le artiglierie de'Francesi, quando per un tristo caso avvenne la morte di Enrico II re di Francia, caso che fece ritardare la consegna delle piazze sanesi. E perchĂŠ il comandante di Montalcino, Cornelio Bentivoglio, poteva agevolare molto il modo per cederla alle armi del Duca, egli insinuò a Cosimo I che ad una ventina de'Sanesi piĂš influenti fra quelli di Montalcino fosse data una provvisione a vita di 15 o 20 ducati il mese per ciascuno, mentre allo stesso Bentivoglio a titolo di feudo il Duca volle assegnare il castello di Magliano in Maremma. â Vedere MAGLIANO nella Valle dell'Albegna.
Nonostante coteste belle promesse convenute segretamente fra le parti, quando fu dato ordine di trarre da Montalcino la guarnigione, si scuoprirono nuove difficoltà rispetto al credito de'soldati di molti mesi di paghe, protestando essi di non voler uscire di là se prima non fossero stati saldati. Però il Bentivoglio con l'opera de'ministri fiorentini cominciò a trarne l'artiglieria con le munizioni inviandole a Batignano presso Grosseto, e il medesimo aveva fatto Antonio degli Albizzi in Chiusi, dove benchÊ i soldati si fossero alquanto ammutinati, con buone parole e con molt'arte furono levati di città , e avvinti in Val d'Orcia per congiungerli a quelli di Montalcino.
Intanto i capi sanesi ritirati in quest'ultimo paese risolverono di mandare due ambasciatori a Firenze a quel Duca per domandargli alcune grazie, le quali furono da Cosimo concedute, eccetto quelle relative all'autorità sovrana ed alle rendite dello stato. In conseguenza di ciò fu perdonato a ciascuno ogni offesa, riamettendo tutti dal bando di ribelle con una franchigia a favor loro per 5 anni dai debiti pubblici e privati.
E quantunque ogni giorno molti tornassero a Siena da Montalcino, pure l'Adriani, storico fiorentino allora vivente, ci avvisò come di cosa singolare: che fra tante città e luoghi dello stato sanese, tenuti con disagio per tanti anni in mano de'Francesi, ora che molti giorni furono in tutto liberi, non se ne vide pur uno che venisse ad offerirsi al Duca ed a sollecitarne la grazia, come in altre nazioni si è veduto il piÚ delle volte essere avvenuto.
Non rimaneva a far altro se non che l'a mbasciatore spagnuolo prendesse la possessione di Montalcino e ne desse il governo libero al Duca Cosimo. Ciò ebbe effetto con tutte le cerimonie il giorno 4 agosto del 1559; alla qual consegna tennero dietro Chiusi, Radicofani, Grosseto, Montepescali ecc.; ed in tal maniera dopo otto anni di operazioni, in cui varie potenze furono impegnate; dopo una guerra che desolò ed impoverÏ la maggior parte dell'Europa, tutto lo stato sanese cadde in potere del Duca di Firenze, che fra tanti interessati piÚ di ogni altro vi guadagnò, meno i RR. Presidj di Orbetello, che S. M.
Cattolica nella prima convenzione si era riservati. - Dopo di ciò Cosimo de'Medici potÊ licenziare molte truppe, ed il presidio di Siena ad un minor numero di soldati limitare.
Cotanta fortuna del Duca di Firenze e di Siena suscitò non poca gelosia ed invidia in molti Principi d'Italia, e per fino negli Spagnuoli ch'erano rimasti ad Orbetello, i quali cercavano di allargare la giurisdizione loro dal lato di Terraferma comprendendovi il paese di Tricosto sotto Capalbio, che il Duca dovÊ cedere alla Spagna.
Frattanto la comparsa di una flotta Turchesca nelle coste della Toscana dava un buon pretesto a Cosimo I per fornire di soldati e di legni armati i posti ed i paesi della Maremma toscana.
L'acquisto del vasto territorio sanese, che allora si distinte col nome di Stato nuovo , e la sua unione allo Stato vecchio, ossia al fiorentino e pisano, meritò pochi anni dopo per opera del Pontefice Pio V la corona granducale a Cosimo I. - Nel tempo che assodavasi il trono nella dinastia Medicea, smorzavasi di mano in mano nei Sanesi quello spirito d'indipendenza che per lunga età li fece ricalcitranti alla soggezione di un principe assoluto; il rigore delle leggi, una occulata polizia e la severa osservanza della giustizia prevenivano le occulte macchinazioni, sicchÊ la tranquillità di questo stato sotto il primo Granduca potÊ dirsi assicurata,vivente lui che volle esser solo a dettar bandi e leggi per lo Stato vecchio e nuovo, lui che aveva diretto per tanti anni una guerra la quale gli fruttò un esteso dominio; cosicchÊ parve al primo Granduca contraria al vero la pittura del Vasari, quando disegnava nel gran salone del palazzo vecchio piÚ da poeta che da storico le imprese della guerra di Siena, e la notturna scalata dal bastione di Camullia e non dalle mura della città , dipingendovi Cosimo in mezzo ai suoi consiglieri che gli suggerivano le deliberazioni di quella campagna. Un solo confidente, il segretario Bartolommeo Concini, fu fatto partecipe non del modo, sibbene della volontà del suo Principe per eseguire cotanta impresa, senza sapere piÚ oltre neppure il marchese di Marignano generale del suo esercito.
Però la guerra di Siena fu disastrosa anche alla pingue cassa di Cosimo I, il quale, non ostante le grandi risorse che sapeva ritrarre dai suoi sudditi, trovossi costretto di sospendere per qualche tempo gli stipendj a diversi uffiziali che lo servirono.
Nel 1561 Cosimo I nel ritorno da Roma passando per la Val di Chiana si recò a Siena a fine di stabilirvi unitamente al suo luogotenente Niccolini un sistema relativo specialmente all'amministrazione della giustizia; nella qual circostanza ordinò all'architetto Baldassarre Lanci il disegno di quella fortezza che venne alzata poco lungi dal luogo dove fu l'altra fondata nel 1548 dagli Spagnuoli e distrutta poco dopo dai Sanesi, mercÊ le quali opere Carlo V e dopo di lui Cosimo I si erano prefissi di tenere in freno gli abitanti di Siena.
Ma a gloria del GRAN LEOPOLDO anche la fortezza di Cosimo I fu aperta al pubblico passeggio de'Sanesi, quasi appendice a quello della contigua Lizza. E ben meritamente il Comune di Siena con l'annuenza sovrana in memoria di tanta munificenza e gratitudine ha fatto collocare nell'attico posto in fondo al parco, quasi sull'ingresso della fortezza Medicea, una laconica caratteristica iscrizione, la di cui copia merita di essere tramandata alla posteritĂ : ARCEM A COSIMO MEDICEO AD IMPERII SECVRITATEM FUNDATAM ANNO MDLXI PETRVS LEOPOLDVS AVSTRIACVS SPECTATA SENENSIVM FIDE AD DELICIAS VERIT ANNO MDCCLXXVIII.
Cotesta misura odiosa per un popolo vinto basta a dimostrare quanto poco in realtĂ quel Granduca si curasse di affezionarsi i Sanesi, poichĂŠ nel tempo che si fabbricava la fortezza onde assicurare sopra di essi un assoluto dominio, egli instituiva l'ordine militare di S.
Stefano Papa e Martire per eternare la memoria di quella battaglia che fu il segnale di agonia della Repubblica sanese, come il combattimento di Montemurlo aveva servito in quel giorno stesso (2 agosto del 1537) a convalidare allo stesso Principe il dominio di Firenze.
Quale fosse allora la popolazione e la statistica di Siena e del suo dominio sarebbe opera perduta ricercare, dopo che non mi è stato possibile ritrovare un MS. della visita da Cosimo I nel 1572 ordinata all'auditore Francesco Rasi, che il Pad. Ximenes nella sua opera sopra la Maremma sanese rammentò, dopo vista nella R. Biblioteca Palatina de'Pitti. - Dalla qual visita peraltro se, a confessione dello stesso padre Ximenes, non si saprebbe precisamente rilevare lo stato nel quale il Duca Cosimo ricevette da Filippo II il dominio di Siena, si avrebbe non ostante un indizio della popolazione di quel dominio 17 anni dopo la caduta della sua repubblica; si saprebbe quali fossero allora le rendite pubbliche, che poteva concernere lo stato economico e forse ancora lo stato fisico delle due Provincie, superiore e inferiore sanese.
Ă noto altresĂŹ che quel documento del 1572 fu trasportato dalla R. Palatina nella Biblioteca Magliabechiana, dove lo vide il ch. Gio. Targioni Tozzetti (Notizie de'progressi delle scienze fisiche in Toscana durante il dominio di Cosimo I, MS. inedito presso il Professore Antonio suo nipote). Aggiunge inoltre il P. Ximenes, che quella visita non deve confondersi con la relazione scritta qualche tempo innanzi da Vincenzo Fedeli, segretario della Repubblica veneta e suo incaricato presso Cosimo I, nella quale fu data come semplice congettura, che la popolazione di tutto il dominio sanese all'epoca della sua sottomissione a Cosimo de'Medici era ridotto a 40,000 abitanti.
Se però fu smarrita la relazione del Rasi, esistono piÚ copie di quella testÊ rammentata di Vincenzo Fedeli, stato inviato nel 1556 dalla repubblica di Venezia al Duca di Firenze affinchÊ gli risedesse appresso con insegne, non già con titolo di ambasciadore. -(ADRIANI, Storia de'suoi tempi all'anno 1560, Lib. XVI. Cap. 4.) E avvegnachÊ la relazione di un ministro estero come il Fedeli, può fornire notizie relative all'indole del paese, ed al sistema governativo introdotto da Cosimo de'Medici nei primi anni della riunione dello Stato nuovo sanese allo Stato vecchio, gioverà citarne qualche squarcio.
âHa lo stato di Siena 136 fra cittĂ , castelli e terre murate, che hanno i suoi uffiziali di giustizia repartiti in 26 podesterie con 8 capitanati, mentre tutti gli altri sono vicariati, oltre infiniti luoghi aperti e popoli di campagna.
Le città sono Montalcino, Pienza, Massa, Grosseto, Sovana e Chiusi. Ma Siena è quella che ha il nome dello stato, e che è la cit tà principale, dalla quale dipende il governo e reggimento con i soliti Ordini, Maestrati, e Consigli colle dignità del Palazzo, ove risiede sempre la Signoria; dimodochÊ i Sanesi colla forma de'soliti uffizj loro, non gli parendo aver mutato governo, sebbene la condizione mutata, del tutto stanno quieti, poichÊ dal terrore del principe si veggono cessare dal sangue et essere sicuri dalle tirannie de'loro potenti cittadini.
Sta ora nella città di Siena un governatore generale, che immediate rappresenta il Principe con superiore autorità , il quale ha l'occhio a tutte le cose; e senza sua saputa e volontà non si fa cosa d'importanza, previa partecipazione del Principe. E delle sette città dello stato, le quali sono fortificate e custodite, la principale è Siena che per lo sito fortificatissimo, e per la fortificazione fattavi che tuttavia si va riducendo a miglior forma , sarà inespugnabile. Ma (lo stato) tiene altre 9 fortezze di molta importanza.
Sono i Sanesi molto accomodati e tutti hanno del suo, e non attesero mai ad industrie alcune , se non a quelle dell'agricoltura; dimodochĂŠ solevano vivere continuamente in una dannosa libertĂ delicatissimamente.
E le donne tutte piene di spirito e di lusso erano quelle che facevano la cittĂ molto piĂš bella e dilettevole, ma gli uomini ambiziosi sopra modo gli onori, per farsi padroni dell'entrate pubbliche ed usarle a modo loro, sempre contendendo insieme fino al sangue, ammazzandosi e tagliandosi a pezzi, ed essendo divisi in parti fra loro, talchĂŠ in pochi momenti furono ammazzati 46 dei principali della cittĂ , che fu l'ultima loro strage; di maniera che senza uscir fuori di casa, ed in casa propria stando sull'arme riescivano buoni e valorosi soldati.
Ma finalmente le pazzie loro causate dal troppo comodo e dalla molta morbidezza gli hanno condotti in servitÚ; però dicono pubblicamente che perfino a che non saranno tocchi colle gravezze ed angarie, delle quali sono liberi, staranno sempre ne'termini, ma altrimenti saranno quelli medesimi che sono stati, desiderosi di cose nuove.
Il che conoscendo ed intendendo il Principe, ci va ponendo il freno per levargli ogni ardire, e per abbassarli quanto piĂš puòâŚâŚ.
Ă la cittĂ di Siena cosĂŹ com'è bella; nobile e accomodata, cosĂŹ è piena d'onorati edificj, di palazzi, di chiese e di ospitali ricchi e benissimo governati. - E furono i Sanesi, et sono piĂš che mai nimicissimi ai Fiorentini; avendo insieme combattuto piĂš volteâŚ.. e dicono i Sanesi che non potranno tollerare, nĂŠ tollereranno mai di essere sottoposti ai Fiorentini; ma che colla casa de'Medici non avendo avuto nimicizia sopportano essere da lei governati, poichĂŠ a quella vedono medesimamente sottoposti i Fiorentini, e che avendoli per compagni nella misera servitĂš, gli pare di essere sollevati assaiâŚ..â Infatti piĂš sotto il veneto valoroso, riportando il sunto di un abboccamento da esso avuto col Duca Cosimo, soggiunge: âDi quello (stato) di Siena, mi disse: io cavo poco per ora per l'esenzione fattagli per la guerra, ma penso ridurli a buon termine. - Ora cavo poco piĂš di 100,000 scudi oltre la spesa; e questo danaro si cava solamente dalle pasture, ovvero dai pascoli, dal sale e dai dazj; i quali dazj io spero che si ridurranno molto maggiori presto; perchĂŠ torneranno li traffichi e moltiplicheranno le genti, e cosĂŹ anderanno crescendo ogni dĂŹ piĂš, talchĂŠ l'entrata libera e netta di spesa è di 60,000 ducati, la milizia descritta e di 7000, tutta gente eletta che il sanese fa sempre buoni soldati ecc. ecc.â - (FEDELI, Relazione MS. nella Magliabechiana).
Arroge alla relazione del Fedeli l'attestato di uno storico contemporaneo quale si fu Giovan Battista Adriani, allorchĂŠ nell'anno 1560 della Storia de'suoi tempi (Lib.
TestĂŠ citato) ne avvisava âche il Duca Cosimo nel dimorare che fece in Siena dopo la tornata da Roma riconobbe i magistrati, confermò loro l'autoritĂ , ed in alcuna parte li riformò, e vi creò un consiglio grande di buon numero di cittadini scelti di tutte le famiglie nobili, ma non piĂš di uno per casa, e che i consiglieri non avessero meno di 35 anni, i quali si dovessero radunare a tempi opportuni nella loro sala col capitano del popolo ed i signori per creare la Signoria e i quattro consiglieri del capitano con altri maestrati e uffizj per di fuori e dentro, perchĂŠ risedessero ai governi; dal numero dei quali consiglieri gli uffiziali di Balia dovessero essere eletti dal Duca, e che stessero in uffizio per un anno. Ordinossi inoltre un nuovo magistrato chiamato de'Conservadori dello stato da durare in impiego un anno ed il di cui scopo esser doveva difendere e guardare le rendite e beni delle ComunitĂ del dominio sanese.
Queste ed altre cose che avevano bisogno di regola fermò il Duca cosĂŹ nella cittĂ come fuori, quindi partĂŹ per visitare tutto lo Stato nuovo, avendo lasciato che alla fortezza di Siena, la quale non era nĂŠ finita, nĂŠ bene divisata, si dovessero fabbricare alcuni baluardi, ristringendola molto dal primo disegno, e vi si lavorò sollecitamente molti mesi.â - (Vedere la legge del 5 febbrajo 1561 (stile comune) sulla riformagione del governo della cittĂ e stato di Siena.) Inoltre lo storico Adriani aggiunge, che, scopertasi nell'entrata che fece al suo andarvi il Duca in Siena una vana ambizione del segretario (Fedeli), il quale essendo con la corte ebbe animo di volere il luogo sopra l'ambasciatore della Repubblica di Lucca, ma per non avere egli il titolo d'ambasciatore della sua Signoria essendogli dato il torto, se ne sdegnò e poco di poi prese licenza di tornarsene a Venezia. Il qual fatto è accennato pure nella relazione stessa del Fedeli al veneto senato.
Un altro bando del 30 agosto 1559 fu motivato dalle trame che si ordinavano in Siena contro il governo di Cosimo, siccome lo dichiarò il Duca stesso in una lettera del 28 agosto di detto anno diretta a Monsignore Agnolo Niccolini suo luogotenente e governatore di Siena, colla quale inviò un bando che proibiva di tener armi tanto in città come in campagna nel raggio di 10 miglia toscane da Siena; bando che richiama quello del 27 luglio 1557, il primo per avventura stato pubblicato in Siena da Cosimo de'Medici.
Rispetto alle leggi e regolamenti generali concernenti lo stato sanese, una delle prime istituzioni fu quella dell'Uffizio de'paschi designato sotto il nome di Dogana, per far intendere che il territorio pubblico della Maremma sanese era destinato per il pascolo del bestiame grosso e minuto. Cotest'Uffizio dava a fido, ossia a frutto, le terre per pascolarvi il bestiame col pagare al governo la gabella del pascolo.
A tale effetto nel 1572 Cosimo I approvò la nuova riforma de'statuti riguardanti i pascoli pubblici del dominio sanese; mentre due anni dopo sotto il di lui figlio e successore Francesco I fu firmata altra legge ad oggetto di provvedere meglio ai pascoli di Dogana, o dello stato, la cui rendita netta annua ammo natva allora sino a 32,000 scudi o poco meno. - E sebbene in una relazione del 9 agosto 1613 la rendita de'paschi della Maremma fosse giĂ diminuita, ciò non ostante essa riguardavasi la maggiore che vi avesse il governo. â Vedere SIENA ComunitĂ S.
Stabilimenti di economia pubblica.
Nel 1568 il Comune di Siena inviò al sovrano una memoria relativa ai pascoli di Dogana, che promosse nuovi regolamenti rispetto ai magistrati ed ai pascoli pubblici della Maremma stati pubblicati negli anni 1574, 1584 e 1588.
Nel 1579 il Granduca Francesco I ordinò un nuovo compartimento dei tribunali nello stato senese.
Nellâanno 1622 il magistrato della Badia di Siena fece una rappresentanza al governo in cui si diceva che in Maremma lâarte agraria era ridotta a poco o nulla per cui le due Granduchesse tutrici destinarono quattro nobili sanesi per visitare la provincia inferiore di Siena onde suggerirne i rimedj.
Non per questo i costumi divennero migliori, essendochè il popolo trovandosi vessato da leggi troppo severe, spaventato dalle minacce e dal duro procedere daâ PP.
Inquisitori, cresceva nella ferocia e nel mal animo suo contro un governo al quale non solo non poteva piĂš in alcun modo partecipare, ma ne era stato allontanato dalla costituzione monarchica, e tenuto in freno dalla forza armata e dal cannone. Arroge che un tal sistema invece di estinguere le passioni fomentava nel volgo anzi che no le false opinioni sugli incantesimi, per modo che lâinquisizione nei primi anni del governo mediceo si rese terribile in Siena al segno che nel 1569 un Auto da Fè mandò sul rogo e fece bruciare vive cinque donne convinte di aver rinunciato al battesimo, di essersi date al demonio, e di aver ciurmato diciotto bambini. â (GALLUZZI, Storia del Granducato).
Accadeva ciò nellâanno stesso in cui Cosimo I mediante molte cure e maneggi diplomatici veniva incoronato dal Pontefice Pio V in Granduca di Toscana, per cui vedendo che assodavasi la fresca sovranitĂ , tolse alla provincia piĂš ricca di granaglie ogni libertĂ frumentaria collâimporre una gabella nelle Maremme di lire 7 e 1/2 sopra ogni moggio di grano, mentre quattro anni innanzi furono date altre disposizioni (1565) onde regolarne la tratta per la via del mare.
Al quale proposito lo storico del Granduca aggiunge âche ai tempi di Francesco I, figlio primogenito successo nel trono al Granduca Cosimo I nel ministero fiorentino aveva preso la massima che lo stato di Siena dovesse servire a quello di Firenze con lâavanzo deâsuoi prodotti.
In conseguenza di ciò tutto tendeva a operare in guisa che ogni vantaggio dello stato sanese ridondasse sempre in maggior benefizio di quello fiorentino; e siccome non poteva entrarvi altro denaro che per mezzo dei suoi prodotti, qualunque vincolo che si opponesse alla vendita deâmedesimi impoveriva direttamente lo Statoâ⌠Il granduca Francesco I continuò per qualche tempo il metodo adottato da Cosimo suo padre collâaprire e chiudere temporariamente le tratte de grani di Maremma a seconda della maggiore o minore raccolta.
âMa la sua aviditĂ prosegue lo storico, gli suggerĂŹ un metodo di profittare di simil sorta di tratte con raddoppiare la tassa che prima era di uno scudo per moggio, portandola a due scudi. Vide egli che in un decennio essendosi estratte 7991, era un bel colpo il raddoppiare questa somma, siccome egli fece nel 1578.â In conseguenza di tale aumento, se da una parte si accrebbe lâerario del Principe, portò dallâaltro canto una notabilissima diminuzione nella sementa, ed uno scoraggiamento universale ne proprietarj e affittuarj di quelle terre, ma non per questo se ne conobbe subito, o non si volle conoscere la cagione, la quale spingeva le sue radici fino ai tempi della repubblica sanese in un vecchio statuto di Grosseto dellâanno 1378.
Cotesti mali erano resi piĂš gravi dallâincertezza e crescente languore delle antiche manifatture e dalle nove abitudini della nobiltĂ sanese, la quale ai tempi della sua Repubblica, intenta principalmente alle operazioni agrarie della sua campagna, veniva distratta dallo spirito cavalleresco e impegnata nel lusso maggiore che esigeva una corte sovrana, mentre ogni piĂš diminuivano le raccolte di suolo, accrescendosi il cumulo delle pubbliche disavventure.
Si tentò infatti di portarvi un rimedio collâistituzione del Monte deâPaschi, stabilimento unico nel suo genere che ebbe origine in Siena nel 1624, colla veduta di frenare le usure eccessive nei cambi e di favorire lâagricoltura, previa la sovrana approvazione del 30 dicembre del 1622, colla quale fu assegnata per garanzia la somma di scudi 200,000, portata nel 1640 fino a 300,000, sopra lâUffizio deâPaschi di Dogana , mediante il frutto del 5 per cento.
Oltredichè una compagnia di cento nobili fu istituita nel (ERRATA: 1691) nel 1591 in Siena, nella quale ciascun individuo distinto con simboli, impresa e nome accademico, ed era una scuola dâarmi e nel tempo stesso di scienziati. Al Granduca Ferdinando I essendone il capo, fu data lâimpresa del re delle Api col motto in una medaglia Majestate tantum, invenzione che fu del Cavalier Scipione Bargagli; il Marchese Giovanni Vincenzo Vitelli luogotenente della compagnia spiegava lâimpresa di un cane bianco a sedere in un campo nero col motto: NĂŠ piĂš fermo nĂŠ piĂš fedele; il conte Germanico Ercolani alfiere tolse per divisa un cavallo fornito deâ suoi arnesi guerrieri col motto: In quocumque belli munus.
Lâimpresa comune della compagnia era una schiera di pecchie in atto di aguzzare lâaculeo col motto: Pro Rege exacuunt. â (RUOLO, ovvero CENTO IMPRESE DEI SIGNORI UOMINI DâARME SANESI. Bologna 1591).
Cotesto patriottismo dellâonore sotto nome cavalleresco ne richiama alla smania châebbero i repubblicani sanesi di suddividere la loro nobiltĂ in altrettanti Ordini o Monti diversi, per cui venne a mancare nella stessa cittĂ quel bisogno di concordia e di unione che da ogni lato cerca punti di contatto tra i figli di una stessa patria onde stringersi con vincoli di generoso accordo e di reciproca amorevolezza.
Dopo la visita del 1572 da Cosimo I ordinata al suo auditore fiscale Francesco Rasi, fin credibile che le relazioni deâperiti spediti dal governo sanese nelle due province, superiore e inferiore, dello stato sanese, diretta allo stesso scopo, fossero frequenti se non continue. Senza dire di quella compilata nel 1639 dal Coresi del Bruno e inserita nel suo Blasone sanese, opera in IV Volumi in fol. MS. nella Magliabechiana, senza rammentare la visita piĂš nota del Gherardini, mi limiterò a citarne una incominciata nellâanno 1589, e continuata in piĂš luoghi di quel territorio per ordine del Granduca Ferdinando I da Fabiano Spini viceprovveditore del magistrato deâconsiglieri dello stato di Siena, e il di cui originale conservasi nellâarchivio della Camera delle ComunitĂ di Siena.
Comecchè si dica nel frontespizio fatta quella visita nel 1598 essa per altro fu incominciata sino dal 1589 nel capitanato di Arcidosso, siccome apparisce da una lettera autografa del 3 febbraio 1588 (stile Fior. E San.) ivi riportata da Giulio del Caccia senatore fiorentino luogotenete e governatore generale della città e stato di Siena, relativa alla consegna da farsi in Arcidosso, previa cauzione, agli acquirenti della farina di castagne del patrimonio granducale.
Che la stessa visita continuasse per un corso di anni lo manifesta anche una lettera autografa del 5 febbraio 1593 (Stile Fior. e San.) scritta da Fabio della Cornia governatore ai consiglieri dello stato di Siena sulla caccia deâlupi e sulla mercede da darsi per la loro estirpazione.
Inoltre in altro libro MS. di visite da farsi ai magistrati di Siena e dello stato si rileva che a tenore di una provvisione del granduca Ferdinando I emanata nel 1588 le visite suddette dovevano essere annuali.
Fra le istruzioni date a tale uopo vi è quella relativa allâuffizio appellato, Magistrato o cassa di Bicherna, dove molte ComunitĂ del territorio sanese versavano le imposizioni, chiamate Tasse di Bocche, e alcuni debiti vecchi. âEssendo poi a suo carico (dice lâistruzione) il mantenimento delle piazze, âstrade, mura urbane e fonti pubbliche, perchĂŠ la fonte del Ponte (esistente âtuttora dentro Siena) tanto proficua e necessaria al pubblico e al privato âservizio per abbeverarvi le bestie nonchĂŠ per bevere, oltre alla comoditĂ âalle povere donne che lavano i bucati nel lavatojo di sotto alla fonte, era da âpiĂš mesi asciutta, per essere stata deviata oltre il dovere per le case âdeâparticolari, ordina, ecc. â Vi si rammentano pure le guardie deâvigili esistenti in Siena sin dai primi secoli della repubblica il cui uffizio era quello di accorrere per riparare glâincendi ecc.
Nel 1592 fu stampato un nuovo statuto col titolo di Formulario sanese, in cui tra le altre cose si proibiva ai notari di rogare possessi di benefizj senza licenza, di S.A.S, o del suo governatore; lo che era stato espresso in un bando precedente del 27 agosto 1565 dal cardinal Angiolo Niccolini luogotenente e governatore di Siena per Cosimo I, bando che fu rinnovato nel 25 ottobre 1603 dal governatore Marchese Tommaso Malaspina deâMarchesi di Villafranca.
Lo stesso Granduca Ferdinando I nellâanno 1602 aveva orinato una riforma nel collegio della Sapienza di Siena pel convito di quei scolari onde vivessero in comunitĂ , il quale uso essendo stato abbandonato, fu rimesso in vigore dal di lui figlio Cosimo II che nel 1612 ordinò una statistica della popolazione del territorio sanese, forse la piĂš antica fra le superstiti dello Stato nuovo .
Dopo la morte però di questo giovine Granduca il governo essendo regolato a piacere di due vedove Granduchesse, vi sâintrodussero disordini dâogni sorta; sicchè Ferdinando II, allorquando giunse alla maggior etĂ per assumere le redini del governo, trovò talmente esausto lâerario e rovinato lo stato che ebbe pena a rimetterlo. Con tutto ciò sotto quel granduca si tentò di far risorgere lâagricoltura e il commercio. Però nella provincia inferiore sanese la decadenza di quel paese era talmente aumentata che a proporzione della cresciuta insalubritĂ andavano diminuendo le braccia per i lavori campestri, nonchĂŠ il prodotto dei pascoli neâterreni che non davano piĂš altro utile ai proprietari se non quello della fide di pastura.
Fu sotto Ferdinando II ordinata una nuova visita per tutto lo stato sanese, nella quale si dovevano indicare le rendite di ciascun paese, grande o piccolo che fosse, il numero deâpoderi, quello delle famiglie, e dei respettivi abitanti. E vaglia il vero fu dalla visita del 1640 che io potei estrarre la popolazione dello stato sanese dalla prima epoca la quale, se non è la piĂš antica, precede di 36 anni quella del Gherardini, popolazione riportata nella presenta opera sotto i capoluoghi delle comunitĂ di quello stato, suddiviso fra i Compartimenti di Siena, di Grosseto, e in parte dato a quello di Arezzo.
Ma la visita piĂš importante per i principj economici dal suo autore sviluppati, visita che può dirsi fonte inesausta dâimportantissime veritĂ , fu quella fatta nel primo anno fortunatissimo che la Toscana toccò in retaggio allâAugusta Casa regnante.
Fu il Discorso economico dellâarcidiacono sanese Sallustio Bandini scritto circa lâanno 1738, sebbene pubblicato la prima volta nel 1775; fu quel Discorso che senza tema di cadere in errore si può dire che desse il primo slancio alle beneficenze sovrane rispetto alla provincia inferiore sanese per le opere ordinate dallâImperatore Francesco I, quindi dal granduca Pietro Leopoldo prodigate, e finalmente con somma munificenza sopra un piano piĂš generale e piĂš efficace dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante estese e continuate.
Nemico degli ostacoli di ogni sorta lâarcidiacono Bandini con mete aperta e cuore integerrimo si slanciava contro le gravose gabelle, la restrizione delle tratte, contro gli appalti, le proibizioni e la troppa moltiplicitĂ deâbandi; e onde allontanare le carestie, con ragioni riconosciute valide 40 anni dopo, dimostrava il bisogno di una libertĂ agricola intera in specie per i prodotti della Maremma. â I prezzi delle grasce, diceva egli, sono stabiliti dai bisogni e dal consumo; i ricchi terrieri restano poveri colle cantine e i granai pieni, i terreni perdono di prezzo, e mancando il credito allo stato, viene a scemarsi il tributo fondiario.
Una circolazione rapidissima e continuata (cito sempre le parole dellâarcidiacono sanese), moltiplica in proporzione i capitali e fa prosperare tutte le classi di una popolazione.
In questo modo scriveva Bandini un secolo innanzi che sâinventassero le macchine e che si trovasse la via di correre per vettura e per battello a forza di vapore.
Lâarcidiacono Sallustio era talmente convinto di tali veritĂ â che non darei âper sospetta (soggiungeva egli) nel giudizio di questa causa, se non la âcondizione di persone che si pascono, dirò cosĂŹ, di carni morte, cioè, che si âarricchiscono in un processo, nella rovina di una famiglia, ecc. eccâŚMa âessendochè io propongo un edifizio che farebbe ombra a quei luminosi âposti che essi godono, sâingegneranno eglino destramente ad ingrandirne le âdifficoltĂ , ad esagerare lâimperizia dellâarchitetto, ma non si arrischieranno âmai a dire che non vi sia necessitĂ di pensare ad un nuovo regolamentoâ.
Fuvvi finalmente chi a questo regolamento ed al Discorso economico del Bandini rivolse il pensiero.
Il Grande Leopoldo Principe filosofo, e vera sorgente di sagge provvidenze governative, fino dai primi anni del suo governo granducale fece esaminare i difetti onde ricorrere ai mezzi piĂš opportuni per risanare la Maremma sanese. In pochi anni lo stesso Leopoldo I operò nello stato sanese assai piĂš che non si era fatto nel lungo periodo del governo mediceo. Le provvidenze economiche suggerite dallâarcidiacono Bandini furono associate alle fisiche progettate dallâingegnere idraulico Pad. Ximenes. Si abolirono le gravezze fiscali, si accordò la libertĂ ai prodotti del suolo, si migliorò lâamministrazione politica e quella della giustizia, si fornirono mezzi per costruire case ai nuovi proprietari, si edificarono neâpoggi lontani acquedotti sino ai paesi di pianura per somministrare acqua salubre da bere, e tutto ciò nel tempo medesimo che si tentava di rinfrescare le acque stagnanti, credute, se non lâunica, al certo la causa piĂš essenziale della malsanĂŹa della Maremma sanese.
GiĂ si disse altrove che il giorno 3 settembre 1765 in cui arrivò in Firenze i Granduca Pietro Leopoldo può dirsi per la Toscana il primo giorno del suo secolo dâoro. â (Vedere FIRENZE, Vol. II. p. 244).
Avvegnachè dallâaurora del felice avvenimento al trono della Toscana di Leopoldo I, cotesto sovrano risolve la mente e dedicò il regio erario a correggere e con sagaci provvedimenti a riparare tanti mali. Egli provvide allâabolizione di regolamenti e di privilegj speciali di corporazioni di arti, di caste e di fa miglie, ed a semplicizzare il sistema delle imposizioni di tanti dazj molteplici e indiretti che riempivano la Toscana di frodatori e di concussioni con danno immenso del progresso industriale.
Non vi è che prima del sanese Bandini alzasse forte la voce contro tanti abusi, e chi meglio di lui sino allâevidenza dimostrasse che i molti inceppamenti e fiscalitĂ erano i mezzi piĂš sicuri onde spopolare e impoverire maggiormente le piĂš fertili ed ubertose contrade.
Frattanto il Discorso economico dellâarcidiacono rimase quasi sconosciuto sino allâarrivo in Toscana del granduca Leopoldo I; e comecchè cotesta opera fosse stata scritta al primo annunzio che il granducato di Toscana sarebbe toccato allâAugusta Casa allora regnante in Lorena, il Discorso economico non comparve alle stampe se non che 37 anni dopo.
Peraltro sino dal 1769 erano venuti alla luce i due Ragionamenti della fisica riduzione della Maremma sanese del P. Ximenes corrispondente allâepoca dellâoperazioni idrauliche ordinate in quella provincia sotto gli auspici del Granduca Pietro Leopoldo, operazioni che per qualche tempo continuarono secondo il piano allora proposto e stabilito, quello cioè di procurare lo scolo alle acque mancanti di molo, come cosa la piĂš essenziale alla salubritĂ dellâaria. â Vedere GROSSETO, Vol. II. pag. 545 e segg. di questâOpera.
Dopo che Pietro Leopoldo con motuproprio del 10 novembre 1765, primo anno del suo regno divise in due province lo stato sanese, e che nella provincia inferiore, ossia della Maremma vi ordinò un governo economico e giuridico immediatamente dipendente dalla sua sovrana autoritĂ , dopo coteste misure organiche uno deâ tanti provvedimenti salutari concesso dal Granduca ai sanesi fu quello dettato nel dĂŹ 11 gennaio 1772, col quale si degnò istituire un deputato civico nella cittĂ e provincia superiore dello stato di Siena, da eleggersi ogni anno dal collegio di Balia, il quale deputato, indipendentemente da qualsiasi tribunale e magistrato avrebbe dovuto esaminare e far presente direttamente al trono i bisogni, esponendo i vantaggi dellâuniversale e deâ propri concittadini in particolare.
Nellâanno 1774 con altro motuproprio del 2 gennajo il Granduca emanò la legge per un nuovo compartimento per i tribunali di giustizia della provincia superiore sanese, riformando quello del 16 gennajo 1691 allorchè volle ampliare il perimetro della giurisdizione criminale del capitano di giustizia della cittĂ di Siena, e istituire nella stessa provincia dei vicariati regi e 12 potesterie civili soggette ai primi rispetto agli affari criminali; mentre sette mesi innanzi con la legge del 14 giugno 1773 fece abolire la giurisdizione del magistrato della Grascia.
Nel 2 giugno 1777 fu emanato il regolamento generale per una nuova organizzazione delle comunitĂ allora esistenti nella provincia superiore dello stato di Siena.
Fra le riforme deâvecchi sistemi non meno importante si può dire quella dellâabolizione di uno dei vincoli alla proprietĂ dei beni di suolo; quando fu tolta dal Gran Leopoldo la servitĂš del pascolo pubblico sulle terre di privata proprietĂ sulle Maremme. Si cominciò quasi per prova con la legge del 3 giugno 1769 ad esentare da simili dipendenze i terreni dati a quei forestieri che si stabilivano nella provincia inferiore, quindi nove anni dopo con la legge del dĂŹ 11 aprile 1778 fu abolita generalmente la servitĂš deâpascoli comunali; sicchè agevolando ai possidenti terrieri i mezzi della riunione dellâ jus pascendi con la proprietĂ del suolo gli si concederono le pasture amministrate dal magistrato del Monte deâPaschi di Siena, il quale restò soppresso contemporaneamente alla legge sulle Manimorte. E affinchè il benefizio di queste riforme si conservasse con la stessa legge dellâaprile 1778 furono annullati i dazj imposti sopra il bestiame dâogni specie, per lâintroduzione transito ed estrazione del Granducato.
NĂŠ a quei soli benefizj quei provvedimenti si arrestavano, poichĂŠ oltre alla piena libertĂ concessa al commercio deâprodotti agricoli, la provincia inferiore sanese ebbe quello di poter lavorare il ferro, di seminare e manipolare il tabacco, e dâintrodurvi molti altri generi proibiti per il rimanente del Granducato. Inoltre i costruttori di nuove case ottennero incoraggiamento con sussidj in denaro, in legname gratuito, in ferro e in arnesi a prezzo vilissimo, oltre non pochi ajuti in diversa specie fra i quali lâesenzione da alcune tasse e gabelle dello stato.
Queste e altre molte riprove di amorevolezza e di sapienza furono date dal Gran Leopoldo a oggetto di facilitare lâaccasamento degli abitanti e dei coltivatori nella provincia inferiore sanese, riprove che avrebbero probabilmente condotto al resultato che lâAugusto Sovrano desiderava, se la vita non avesse piĂš incontrato in Maremma pericoli gravissimi per effetto del clima.
Mancando però lâarte alle sue promesse, mancarono anche i benefizj che a gran prezzo erano stati retribuiti: non mancò la sapienza amministrativa e molto meno la generositĂ del Principe di cui chiare rimangono ancora e rimarranno per sempre le vestigia. â (F. TARTINI, Memorie sul bonificamento della Maremma , Firenze, 1838).
Graditissimo inoltre riescĂŹ ai cittadini senesi lâordine dato nel 1778 dal Granduca Leopoldo I di aprire al pubblico passeggio la fortezza innalzata da Cosimo I a sicurezza del suo dominio. â Vedere pag. 348.
Mercè il motuproprio del 20 agosto 1790 da Granduca Ferdinando III augusto figlio e successore di Pietro Leopoldo, fu ordinato che al luogotenente e governatore di Siena fossero riunite le incombenze del ministro superiore di pulizia della città e provincia sanese; la qual giurisdizione con legge del 29 novembre 1838 fu trasferita negli auditori del governo.
Io non parlerò del periodo del regno dâEtruria, nĂŠ di quello dellâinvasione francese che obbligò il legittimo Granduca di Toscana Ferdinando III ad abbandonare per tre lustri i suoi amatissimi sudditi, e molto meno starò a rammentare un periodo ancora piĂš lacrimevole per la storia della Toscana, quando uno sciame di gentaglie armate di furore piĂš che di fucili, col nome di Maria in bocca e col demonio in cuore spogliava, uccideva e bruciava a capriccio chi non era stato fanatico realista.
Cotesto luttuoso periodo vorrei poter cancellare dalla storia della città per non avere occasione di rammentare il giorno terribile del 28 giugno 1799, quando la plebaglia unitasi ai cosi detti Aretini entrati in quel giorno in Siena, spogliarono, trucidarono, abbruciarono vivi non meno do dodici israeliti di varie classi e di ambo i sessi; nÊ starò a rammentare il superbo niello scolpito nella Pace del Duomo, che il magistrato sanese di quel tempo regalò alla Madonna di Arezzo.
Ma per buona sorte dellâumanitĂ cotesto stato di violenza dovè cessare e finalmente la Toscana tutta nel 1814 potè tornare nel pacifico grembo del suo desideratissimo sovrano Ferdinando III, che dopo di lui ritornò sul trono avito fra le opere di stato utilissime ai Senesi si conta quella dellâistituto aperto alle Belle Arti; vi è lâorganizzazione di un nuovo sistema amministrativo per tutto il Granducato repartito in quattro poi in cinque Compartimenti (giugno 1814 e novembre 1825); evvi lâordinazione del nuovo catasto (1817), mentre lâistituzione del corpo degli Ingegneri di acque e strade devesi alla legge del 1 novembre 1825, mentre le loro direzione generale spetta al regolamento del 10 dicembre 1826 opere tutte del Granduca Leopoldo II felicemente regnante; cui pure si debbono gli ordinamenti amministrativi tendenti a preparare la riforma del sistema economico agrario delle Maremme, dopo avere Sua Altezza ordinato lâopera grandiosa del loro bonificamento. Inoltre dalla munificenza di Leopoldo II Siena al pari di tutto il Granducato di Toscana, ricevè una nuova organizzazione deâtribunali e dellâordine giudiciario (2 agosto 1838); una essenziale riforma degli studi nelle UniversitĂ di Pisa e di Siena (1840) per non dire di tanti altri provvedimenti utili alla cittĂ di Siena, come per esempio la casa deâPoveri, lo stabilimento deâSordo-Muti, ecc. ecc. su di che avrò luogo di ritornare allâArt. seguente, SIENA, COMUNITAâ.
MOVIMENTO della popolazione della CITTA' DI SIENA a cinque epoche diverse, divisa per famiglie.
ANNO 1640: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici secolari e regolari -; monache e converse -; ebrei e acattolici -; numero delle famig lie -; totale della popolazione 15998.
ANNO 1745: Impuberi maschi 1688; femmine 1492; adulti maschi 2439, femmine 2928; coniugati dei due sessi 4434; ecclesiastici secolari e regolari 788; monache e converse 980; ebrei e acattolici 296; numero delle famiglie 3198; totale della popolazione 14645.
ANNO 1833: Impuberi maschi 2373; femmine 2462; adulti maschi 2830, femmine 3678; coniugati dei due sessi 6581; ecclesiastici secolari e regolari 256; monache e converse 236; ebrei e acattolici â (1); numero delle famiglie 4633; totale della popolazione 18860.
ANNO 1840: Impuberi maschi 2572; femmine 2587; adulti maschi 3003, femmine 3974; coniugati dei due sessi 6520; ecclesiastici secolari e regolari 284; monache e converse 301; ebrei e acattolici -; numero delle fa miglie 4514; totale della popolazione 19646.
ANNO 1843: Impuberi maschi 2478; femmine 2466; adulti maschi 3398, femmine 4137; coniugati dei due sessi 6849; ecclesiastici secolari e regolari 367; monache e converse 274; ebrei e acattolici 364; numero delle famiglie 4598; totale della popolazione 20333.
(1) Negli anni 1833 e 1840 la popolazione degli Ebrei e degli Acatolici fu ripartita nellâinsieme della popolazione della cittĂ .
COMUNITAâ DI SIENA La ComunitĂ di Siena trovasi circoscritta dalle mura urbane fra il grado 43° 18' e 19" di latitudine ed il grado 28° 54' 55" di longitudine. â La sua maggior lunghezza è da settentrione a ostro-libeccio; vale a dire dalla Porta Camollia sino in fondo alle mura di via delle Sperandie presso la Porta S. Marco, la quale distanza si estende per gradi 0. 1'. 8" di longitudine. La maggior larghezza della cittĂ di Siena è quella da ponente-maestrale a levante- scirocco partendo dallâangolo piĂš occidentale della fortezza sino alla Porta Pispini o di San Vieni la quale abbraccia gradi 0. 1' 18" di latitudine settentrionale.
Le mura urbane di questa cittĂ girano poco piĂš di quattro miglia toscane in una superficie irregolare di 412,36 quadrati (circa un mezzo miglio quadrato) non escludendo 72 quadrati occupati dalle pubbliche piazze e dalle strade.
La popolazione nel 1833 era di 18,860 persone, quella del 1843 era aumentata fino a 20,333 abitanti, cioè di 1473 individui di piÚ, repartiti in 4598 famiglie.
Ă contornata da due sole comunitĂ , cioè, da quella delle Masse del Terzo di CittĂ , e dallâaltra pure delle Masse del terzo di S. Martino. La prima si accosta alle mura urbane di Siena che dalla parte di settentrione girano per ponente fino ad ostro; dalla porta di Camollia sotto la Fortezza, e di lĂ per la porta di Fonte Branda, porta Laterina, porta S. Marco e porta Tufi fino alla porta Romana; mentre costĂ , procedendo da scirocco verso levante e grecale sottentra il territorio della ComunitĂ del Terzo di S.
Martino, il quale passa rasente le mura di Siena per porta Pispini e porta Ovile sino a quella di Camollia.
Non si può senza vederne la pianta precisare con qualche veritĂ la figura grafica di Siena stante i valloni che scendono dal biforcato poggio, lungo il quale si alzano i maggiori templi, la sveltissima Torre del Mangia, e le strade principali di questa cittĂ . Le porte nei punti piĂš elevati sono quelle di Camollia, di Laterina, di S. Marco e la porta Romama . Le altre quattro scendono in altrettanti valloni sul quale scorre il torrente Bozzone, che uno dopo lâaltro poco lungi da Siena si svuotano nel fiumicello Arbia.
Quattro strade regie fanno capo a Siena, oltre a quella suburbana detta di Pescaja . Due di esse sono postali, una che vi entra per porta di Camollia venendo da Firenze, lâaltra che esce da porta Romana per Radicofani e Roma.
Le altre due non postali escono per porta S. Marco per andare a Grosseto e nella sua Maremma, e la seconda, dalla porta Pispini per Arezzo.
Chi considerava la posizione di Siena come quella di una cittĂ centrale della Toscana meridionale, non sâingannava, siccome non sâingannò Giovanni Villani, quando nella sua cronica dichiarava la Terra di Poggibonsi nel bilico della Toscana .
La posizione corografica priva la cittĂ di Siena non solamente di corsi dâacqua che lâattraversino, ma ancora di buoni pozzi e di fontane copiose di acqua potabile e agli usi domestici indispensabilissima.
Per riparare a tanta necessitĂ gli antichi Sanesi procuraronsi varie fonti pubbliche ricercando acque sotterranee da lungi mediante stillicidj, non giĂ che essi lo volessero, come scrisse poetando lâAlighieri, ricercare nelle viscere deâloro colli lâimmaginaria riviera della Diana.
Non vi è chi possa dubitate dellâantichitĂ di questi sotterranei acquedotti, la cui origine rimonta probabilmente allâepoca della colonia militare di Siena, siccome lo fa credere la magnificenza e spesa grande di quei lavori, per i quali al dire di Strabone, i Romani superarono ognâaltra nazione, su di che mi riserbo piĂš sotto a parlare.
Nettampoco starò qui a intrattenere chi mi legge sulla struttura geognostica del biforcato poggio sul quale siede regina cotesta cittĂ , considerandolo come una piccola parte del territorio delle due comunitĂ suburbane, quelle del Terzo di CittĂ e del Terzo di S. Martino, alle quali richiamo il lettore. â Vedere piĂš sotto SIENA, COMUNITAâ DEL TERZO DI CITTAâ, e SIENA, COMUNITAâ DEL TERZO DI S. MARTINO.
Solamente dirò che il suolo della cittĂ apparisce in generale coperto da banchi profondissimi di tufo calcare siliceo, giallo-rossiccio, volgarmente appellato sabbione, i quali bene spesso alternano nelle parti piĂš elevate con banchi altissimi di ciottoli e di grosse ghiaje della mole da un uovo di piccione a quello di struzzo e insieme collegati da un glutine calcareo-siliceo. Ma ciò che maggiormente sorprende è di trovare codesti banchi formati esclusivamente di pietra calcareo-compatta, ciò che basta indicare esservi stati strascinati da lungi allâoccasione di alcune correnti impetuose di acque.
La situazione alquanto elevata di Siena ha dalla parte di grecale alquanto lungi da sĂŠ i monti pietrosi del Chianti, e dirimpetto a maestro e a ponente i colli di Montemaggio, e della Montagnuola, mentre da tutti gli altri lati i monti sono assai piĂš lontani dalla cittĂ . Che se cotesta situazione contribuisce da un lato a rendere lâaria elastica e salubre, dallâaltro canto un orizzonte aperto in mezzo a valli profonde rende il clima di Siena alquanto piĂš rigido di quello che dovrebbe comportare la situazione geografica e lâaltezza deâsuoi colli; sicchè su questo proposito il Padre della Valle diceva: Se toccasse a me lo scegliere in Toscana i paesi da abitarsi, passerei lâinverno in Pisa, e lâestate in Siena.
Cerchi principali delle mura di Siena.
Qualora si dovesse prestar fede a non pochi scrittori di epoca troppo moderna, bisognerebbe dire che la cittĂ di Siena dalla sua origine in poi sia stata circondata da otto e perfino da nove giri di mura urbane, gli ultimi sempre maggiori di periferia, assegnando a ciascuno di quei recinti unâetĂ del tutto immaginaria.
Mancando pertanto di qualsiasi autoritĂ contemporanea onde prestar qualche credenza a congetture che sembrano affatto gratuite, nĂŠ anche parlerò di una meno improbabile di tutte, cioè che il primo fabbricato di Siena fosse nel risalto del poggio chiamato tuttora il Castel vecchio, tostochè passa per tradizione, che di qua prendesse il titolo lâintiera cittĂ , appellata Sena vetus, innanzi che lo stesso titolo fosse ripetuto nelle sue monete. â (Antologia di Firenze, Fascicolo XXX, Giugno 1823. pag. 16) NĂŠ tampoco fia da esaminare se nel recinto del Castel vecchio tenessero una volta residenza i governatori o castaldi dei re longobardi, e i conti degli imperatori Carolingi, siccome è fama che vi risiedessero i vescovi senesi; mi fermerò piuttosto ad indicare alcuni documenti meno equivoci che mi servirono di scorta relativamente allâepoca del terzultimo e secondâultimo recinto, anteriori allâattuale delle mura di Siena.
Terzâultimo cerchio, ossia giro piĂš antico delle mura di Siena. A questo recinto, il piĂš angusto degli altri due posteriori, io tengo per fermo che appelli lâuso tuttora praticato dal clero maggiore di Siena di recarsi processionalmente nei tre giorni delle rogazioni per i Terzi della cittĂ e di cantare le antifone relative ai luoghi dove furono le mura e alcune porte del cerchio piĂš vetusto di Siena. Era giĂ abbandonato cotesto recinto, e incominciato il secondâultimo, quando nel 1213 dal canonico Oderigo fu scritto il rituale del clero senese, il di cui originale conservasi in quella pubblica biblioteca, dato alla luce nellâanno 1766 in Bologna sotto il titolo: Ordo officiorum Ecclesiae senensis etc.. Da esso rituale pertanto si ha indizio del giro che sino da allora faceva la processione della cattedrale nei tre giorni che precedono la festa dellâAscensione. Avvegnachè nel primo giorno delle rogazioni il clero della chiesa maggiore dirigendosi nel Terzo di Camollia passava, e passa tuttora, da S.
Pellegrino e da S. Cristofano, due antiche chiese dove il popolo teneva le sue adunanze. Di costĂ la processione inoltravasi per la strada che va dalla porta di Camollia, e arrivata alla distrutta chiesa di S. Donato allâArco, dove fu una delle prime porte di quel Terzo, il clero fermavasi cantando diverse antifone quindi faceva porre in alto traverso la strada il gonfalone, o stendardo, affinchè vi passassero di sotto tutti quelli che accompagnavano la processione, ecc.
Nel secondo giorno delle rogazioni il clero del Duomo, entrando nel terzo di S. Martino, si fermava da primo davanti la distrutta chiesa di S. Desiserio presso S.
Giovanni, quindi arrivato alla Costarella deâBarbieri, dove fu la Porta Salara, in exitu civitatis(antiquae) cantava lâantifona con lâoremus cantando anche costĂŹ attraverso la via il gonfalone come a S. Donato allâArco.
Di lĂ sâinoltra alla chiesa di S, Martino dove il clero faceva stazione prima di avviarsi verso la chiesa di S.
Giorgio e fra questa e lâaltra chiesa soppressa di S.
Maurizio attraversava il gonfalone sulla strada che va allâArco del Ponte, Nel terzo giorno la processione dal Duomo avviandosi nel Terzo di CittĂ , passava per S. Pietro alle Scale di lĂ dalla qual chiesa voltando per la strada delle Murella si dirigeva allâoratorio di S. Ansano in Castel vecchio e alla chiesa deâSS. Quirico e Giuditta, quindi scendendo per la via di Stalloreggi di dentro arrivava nel Piano deâMantellini, (ossia piazza del Carmine). Dopo il giro di diverse chiese esistenti o distrutte, la processione soleva retrocedere per la via delle Cerchia dal Castel vecchio verso il prato di S. Agostino avanzandosi di lĂ fino a Porta Tufi. Nel ritorno poi verso il Duomo il clero, giunto alla crociata della via delle Marella con quella del Casato, soleva e continua a far mettere il gonfalone attraverso la strada che fa crociata con il Casato, la via delle Murella, quella di S. Pietro alle Scale e alla Porta allâArco.
Quantunque nĂŠ il rituale del 1213, nĂŠ un altro libretto antico registrato nellâedizione del 1766, spieghino lâabitudine di mettere il gonfalone attraverso alle strade dove furono non giĂ dei tempj idolatri, ma alcune porte del vecchio recinto, vi supplisce peraltro un libretto pubblicato in Siena nel 1810, SullâOrdine delle tre processioni delle Rogazioni secondo lâuso della chiesa sanese.
Inoltre un altro MS. antico, posto in nota sotto a quello del 1213 pubblicato nel 1766 dĂ a conoscere che la processione del terzo giorno dopo essere tornata alla porta di Castel vecchio (cioè sullâincrociatura di via delle Murella con quella del Casato), il cantore con altri due accoliti, stando sub limine portae, intuona per tre volte e sempre piĂš a voce alta: Domine miserere ed il coro risponde: Kyrie eleison; dopo di che lâarciprete del Duomo posto danti al luogo dove fu la porta, dice lâorazione: Deus qui Angelorum etc., finita la quale il clero torna processionalmente alla pieve maggiore cantando il responsorio: Civitate istam tu circunda Domine, et Angeli tui custodiant muros ejus, etc.
Ho citato cotesta funzione per indicare alcune porte dei tre Terzi del cerchio piĂš antico dove si abbassava il gonfalone, cioè nel Terzo di Camollia alla distrutta porta di S. Donato allâArco, nel Terzo di S. Martino alle due distrutte porte Solara e di S. Maurizio; e nel Terzo di CittĂ a quella di Stalloreggi di dentro , tuttora in piedi, e alla porta che fu del quadrivio fra la via delle Murelle e quella del Casato, porta che non deve confondersi con quella ivi presso esistente denominata la Porta allâArco, la quale appartenere doveva al secondâultimo recinto, di cui ora debbo parlare.
In appoggio alle porte ed al cerchio piĂš antico fra quelli conosciuti della cittĂ di Siena mi giovano cinque istrumenti inediti dove sono nominate alcune delle porte di Siena vecchia molti anni innanzi lâassedio vero o supposto del re Arrigo VI.
Il primo istrumento è rogato in Siena nel dicembre del 1012 presso lâArco di S. Donato; il secondo fu scritto pur esso in Siena nel 29 settembre del 1148, presso la porta Solara , entrambi esistenti nellâArchivio Diplomatico Fiorentino fra le carte della badia di Passignano, e il terzo del 4 novembre 1081 fu pubblicato dal Muratori, dove si rammentano non solo i muri della cittĂ di Siena, ma la Fonte di Vetrice e la Fonte Branda . Aggiungasi a questi tre un quarto istrumento del 25 marzo 1153esistente in Siena nellâArchivio Bichi-Borghersi, nel quale si fa menzione della Porta Camollia.
Questâultimo istrumento per avventura è uno deâ piĂš antichi che io conosca che fanno parola della porta Camollia; la quale peraltro doveva essere piĂš interna di quella del secondâultimo e del cerchio attuale, giacche nel 1262 presso il castellare per andare al passaggio della Lizza detto ora il poggio deâMalavolti esistevano le mura antiche castellane di Siena. â Vedere in questo a pag. 314) Finalmente il quinto e ultimo documento lo fornisce una pergamena dellâArchivio Diplomatico Sanese fra quelle del T. V (N°405), la quale sebbene acefala, contiene diverse deliberazioni del senato sanese sotto dĂŹ 27 aprile 1246, che una di esse ordinava doversi fare la via antica che usciva dalla porta di Stalloreggi, della larghezza di 12 braccia per linea retta; con la seconda fu prescritta una strada nuova della larghezza di braccia 10 che doveva passare per la vigna dâAccorso a partire dalla via che andava per Stalloreggi fino alla piazza di S. Lorenzo . La terza deliberazione provvedeva a unâaltra strada che doveva passare dai possessi della Badia di S. Donato allâArco, dalle terre dâJacopo dâIldebrandino e della chiesa di S. Egidio ecc. la qual via dirigevasi dalla Porta (nota bene) della Badia di S.
Donato fino alla via che veniva dalla Porta S. Lorenzo ecc.. Seguono altri ordini per varie strade da farsi dentro la cittĂ , talchè quella carta io penso che meriterebbe di essere pubblicata e illustrata. â (Arch. cit.) Secondâultimo cerchio della cittĂ di Siena. Dai molti spogli fatti dal benemerito Uberto Benvoglienti, una gran parte deâquali si conserva nella biblioteca pubblica di Siena, sarebbero da raccogliersi non poche notizie confacenti a dimostrare che il secondâultimo cerchio delle mura di Siena fu ordinato parecchi anni innanzi la battaglia di Montaperto. In prova di ciò mi limiterò a citare alcuni pagamenti per i lavori eseguiti al secondâultimo recinto innanzi quellâepoca; e prima di tutti un pagamento di lire 119 3 soldi 17, fatto nellâanno 1229 dai camarlinghi di Bicherna in acconto dei lavori per costruire le porte della cittĂ di Siena secondo la forma prescritta dallo Statuto . (Entrata e Uscita B, ora L. N° 462 fol. 9.). 2° la vendita di un pezzo delle mura delle cerchia antiche posto nella via del Casato fatta nel 1239 dietro provvisione deâSignori Nove, approvata dal consiglio del popolo adunato nella chiesa di S. Cristofano; il qual pezzo di muro fu venduto a un lanaiolo abitante nella stessa via del Casato per tutta la lunghezza della sua casa ; 3° nel 24 dicembre del 1247 i deputati destinati a eseguire il dirupo e fossi della parte della CITTAâ VECCHIA DI SIENA a tal effetto descrissero i luoghi dove si dovevano fare i fossi e il dirupo. (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Pergamena N°425).
Lo stesso Archivio Diplomatico Sanese contiene una deliberazione del 22 febbraio 1248 (Pergamena N°427) relativa ai deputati nominati dal podestĂ di Siena per porre i termini intorno alla Piazza di Fontebranda vecchia, che trovarono larga braccia 67, lunga braccia 52;(ivi); 4° nel 1250 si pagarono lire 833 agli operai della Porta di Camporeggi e delle mura del piano dâOvile servendosi a tal uopo dei denari della dogana dellâolio, del sale e del pesce; e nellâanno medesimo furono saldati tre periti per aver stimato il terreno dove era stata fatta la porta Follonica e la piazza di detta Fonte; 5° nel 1251 si pagarono lire 200 a tre operaj delle mura, della porta Ovile e dellâantiporto di Camporeggi; 6° e cinque anni dopo lire 437 ad altri deputati incaricati di far costruire le mura e munizioni della cittĂ ; 7° nel 1257 il Comune di Siena prese ad imprestito danari per darli ai deputati alla fabbrica delle nuove mura (spogli del Benvoglienti). 8° finalmente nel 1259, cioè un anno innanzi la giornata di Montaperto, si riattarono le mura della cittĂ dalla porta di Camporeggi fino alla porta di Follonica e si diedero danari per fare la castellaccia di S. Prospero con altre mura e fossi intorno alla cittĂ . (loc. cit.) Inoltre una delle pergamene dellâArchivio Diplomatico di Siena (N°394) contiene una deliberazione della Signoria in data del 27 maggio 1244 mentre era capitano generale dellâImperatore Federico II Pandolfo di Fasianella, mercè la quale furono eletti in deputati maestro Giovanni dellâopera del Duomo e maestro Ildebrandino della Valle di S. Martino (ossia del Montone) a oggetto di dar compimento alla fontana, lavatojo e beveratojo di Fonte di Follonica, situata tuttora fra porta Ovile e porta Pispini.
Inoltre nel 14 febbraio 1246 (stile comune) Orlando e Ranuccio fratelli, e Bernardino Malavolti venderono al Comune di Siena per lire 80 la loro porzione di un terreno posto in Camporeggi per ampliare la strada. (ivi N°399).
Fin qui rispetto ai lavori fatti nel secondâultimo cerchio innanzi il settembre dellâanno 1260; ma le opere relative alle mura castellane, e fossi di questo secondo recinto di Siena continuarono anche per molti anni anche dopo la vittoria di Montaperto.
Infatti nel 1261 dâordine di messer Manfredi sindaco del Comune di Siena e deâ15 buonuomini fu rimborsata persona che aveva speso denari di suo nel tempo dellâassedio di Montepulciano per spianare la strada deâfosso Camollia fino alla porta S. Maurizio. Nel 1266 si pagarono quelli che disegnarono i lavori della castellaccia di S. Agata e di S: Marco sino alla porta della Vetrice, e per le castellaccia della fonte di Follonica. Cosi nel 1267 furono date a Simone di Bulgarino lire 150 per spenderle nei muri delle castellaccia di Camollia, di S. Prospero e di Ovile, e altri cento soldi se gli diedero per mandare la vena del pozzo deâFrati Umiliati nella fonte dâOvile (ivi).
Nello stesso anno 1267 si pagarono alcune somme ai deputati destinati a far fare i muri della castellaccia della Badia nuova come anche a quelli che ordinarono nei muri nuovi della cittĂ la costruzione delle cosĂŹ dette bicocche (guardiole ?) ed a coloro che chiusero la porta dei Provenzani di sotto (presso lâattuale chiesa collegiata di Provenzano) e che disfecero la porta Salara (ivi).
Nel 1268 il preindicato Simone di Bulgarino ricevè dal Comune di Siena altri denari per pagare i lavoranti che restaurarono il palazzo del Vescovo, quando passò di qua il re Corradino (1267).
Nellâanno stesso vennero rimurate alcune porte spettanti al cerchio precedente comprese nel Terzo di CittĂ . Allo stesso oggetto furono date lire 13 e denari 5 al deputato Speranza di Bonifazio Forteguerra, acciocchè egli facesse rimurare la postierla di S. Quirico in Castelvecchio, ecc.
Nel 1273 si spesero lire nove soldi sei e denari 6 nellâacconciatura dellâantiporto della castellaccia alla porta di Camollia quando il re Carlo (II) venne in Siena.
(loc. cit.) Forse il pagamento del 1273 testè rammentato fu uno degli ultimi da doverlo riferire al secondo cerchio della cittĂ di Siena; mentre i documenti posteriori, che vidi, mi sembrano appellare allâultimo recinto, ossia quello delle mura attuali. Cotesto ultimo cerchio eseguivasi in Siena nel tempo in cui le fabbriche pubbliche, sacre e profane, non che le case deâprivati erano in tale movimento da imprimere agli edifizj di questa cittĂ il carattere del loro secolo, cioè, dal 1300 al 1400 inoltrato.
Cerchio attuale della cittĂ di Siena Le piĂš antiche prove da me conosciute relative al giro attuale delle mura e porte di cotesta cittĂ esistono fra le membrane degli Agostiniani Romitani di Siena, ora nel Archivio Diplomatico Fiorentino. La prima di tutte spetta ad un rogito del 16 aprile del 1298 relativo alla donazione di 4 case poste nel popolo di S. Agata, nel borgo esistente tuttora fra la Porta allâArco e la Porta Tufi ; le quali case furono acquistate per lire 200 da detti fra ti Romitani. Il secondo documento del 17 aprile dello stesso anno verte sopra una deliberazione deâNove governatori di Siena nel tempo che vi era potestĂ il famoso Cante deâGabbrielli da Gubbio, mercè cui venne accordata facoltĂ ai Frati Romitani di S. Agostino di poter ampliare la loro piazza posta presso il muro del Comune di Siena fuori la Porta, per la quale si esce per andare a S. Agostino nel popolo di S. Salvatore. (loc. cit.) Non lasciano poi dubbio che allâultimo recinto di Siena debbansi riferire alcuni pagamenti negli anni 1322, 1323 e 1324 fatti per ordine dei Nove agli oparaj incaricati di far costruire, ora i muri della castellaccia, della Porta S.
Salvatore; ora di rifare la strada nuova che conduce dalla porta vecchia di Val di Montone alla Porta nuova di S.
Maria (Porta Romana), ed ora di costruire la via per la quale si passava dalla Porta nuova per quella deâPeruzzini sino alla Porta S. Leonardo. (loc. cit.) Anche nel 1328, 1329 e 1330 gli operaj con i 4 provveditori per conto del Comune presedevano alla costruzione delle mura nuove della cittĂ , per le quali fu ordinato di ritenere sopra i salarj deâmilitari deâgiusdicenti, degli uffiziali forestieri e dei potestĂ , in proporzione di 6 denari per lira del loro onorario a tenore dello statuto senese.
Inoltre nel 1347 Buoninsegna di Meo operajo delle nuove mura del Comune nel Terzo S. Martino di 15 mesi arretrati; e nellâanno stesso furono date mille lire a Bencivenni di Luccio, operaj delle nuove mura per servirsene alla costruzione delle medesime. BICHERNA, Libri Entrata e Uscita B, ora L. N°147 fol. 88. N°210 fol.
165. N°256 fol. 169 N°213 fol. 119 e 142) Coteste mura continuavansi anche nel secolo susseguente, siccome lo dimostrano varj atti esistenti nellâArchivio Diplomatico sanese fra i quali citerò per tutti un pagamento di fiorini 500 dâoro fatto nel 1413 alle monache di S. Barnaba fuori della porta nuova, ossia della Porta Romana, per il danno ricevuto dagli operaj delle mura della cittĂ ; ed un altro pagamento di lire 33455, soldi 19 e denari 11 fatto nel 1414 a messer Pace camarlingo deâ4 provveditori di Bicherna per la costruzione delle mura urbane. (BICHERNA B., ora L.
N°291 fol. 61, e N° 447 fol. 56) Finalmente una porzione del cerchio attuale di Siena fu eseguita sul declinare del secolo stesso allorchè si rinchiusero in cittĂ il prato, il tempio ed il fabbricato intorno al poggio sul quale sâinnalzano il convento e la chiesa di S. Francesco, nel giro, cioè che dalla Porta Ovile si distende verso la chiesa di S. Spirito; la qual sezione non era fatta quando si recò ad abitare nel convento predetto (1462) il Pontefice Pio II per di cui ordine fu messa mano a quel lavoro (MALAVOLTI, Istoria sanese P. III. Libro IV.) La ripartizione della cittĂ di Siena in Terzi, ossia Rioni, rimonta ad unâepoca assai remota chiamandosi uno di essi Terzo di CittĂ , il secondo Terzo di S. Martino, ed il terzo di Camollia. Nei tempi della sua repubblica i terzi di Siena si estendevano anche ai suoi suburbj coi vocaboli di Masse del terzo di CittĂ , di S. Martino e di Camollia. In seguito le Masse costituirono tre comunitĂ suburbane dipendenti nel civile e nel politico dai magistrati residenti in Siena.
Nel 1299 lungo le mura della città contavansi nel Terzo di Camollia non meno di dieci fra Porte e Postierle cioè: 1.
la Porta di Camollia; 2. di S. Prospero; 3. di Camporeggi; 4. di Campansi; 5. di Pescaja; 6. di Porta Ovile; 7. di Monte Guattani; 8. di Provenzano; 9. deâ Frati Minori e 10. Porticciola deâFrati prenominati.
Oltre le 10 porte del terzo di Camollia di sopra nominate (nellâanno stesso 1299) non si noveravano non meno di 13 fra porte e porticciole nel Terzo di CittĂ , e 12 nel Terzo di S. Martino che qui rammenterò. Spettavano a questâultimo le porte o postierle 1° deâPeruzzini;2°di maestro Salomone; 4°la porta dellâUliviera; 5° della Val di Montone; 6° di S. Giorgio di fuori, 7° di S. Giorgio di dentro; 8° di S. Maurizio; 9° di S. Vieni; 10° di Castel Montone; 11° di S. Giovanni; 12° deâPeruzzini nuova.
Quelle del Terzo di CittĂ erano le seguenti: 1° Porta di Fonte Branda; 2° deâCodenacci; 3° della Vetrice; 4° di Laterina; 5° deâVecchioni; 6° postierla di S. Quirico in Castelvecchio; 7° del Borgo nuovo; 8° Porta S. Marco; 9° delle Sperandie; 10°Porta allâArco; 11° del Ponte Nuovo; 12° di Tufi; 13° di Stalloreggi . Alcune di coteste porte per altro appartengono al terzâultimo cerchio.
Porte piĂš cospicue della cittĂ . Ho giĂ detto che le porte attualmente aperte in Siena si residuano a sette, oltre la Porta Laterina che si apre solo momentaneamente la notte. Fra le esistenti meritano qualche distinzione le seguenti: La Porta di Camullia attuale, cui deve aver dato il nome una delle Maste, o borgata di Camullia, è citata fino dal secolo XII nelle carte dellâArchivio Borghesi-Bichi. Essa fu rifatta nel 1604 piĂš grandiosa sotto Ferdinando I presso lâantica porta, però diversa da quella rammentata allâanno 1153, e dallâaltra citata allâanno 1273.
Sullâarco esterno della porta attuale leggesi in lettere cubitali cotesto invito ai forestieri che vi vanno: Cor magi tibi Sena pandit. Infatti io credo che vi siano itinerarii di oltramontani che non lodino deâ Sanesi lâospitalitĂ e la grazia, delle donne la venustĂ e lâilaritĂ , talchè il tedesco Schroder nel suo libro Monumentorum Italiae ebbe a definire le femmine senesi delizie italiane.
Due tiri dâarco fuor della Porta di Camollia sorge fino dal 1258, sulla strada regia postale il cosĂŹ detto Portone restaurato e forse rifatto nei secoli posteriori. Presso a cotesto Portone esiste unâiscrizione in marmo sopra una colonna posta nel luogo dove dal vescovo di Siena Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II, fu presentata allâImperatore Federigo III la sua fidanzata Eleonora principessa di Portogallo (24 febbraio 1452 stile comune) che dice: Caesarem Federicum III. Imp. et leonoram sponsam Portugaliae Regis filiam, hoc se primum salutovisse loco, laetisque inter sese consultavisse auspiciis, marmoreum posteris indicat Monumentum. A. D. MCCCCLI. VI KAL.
MARTIAS Porta Romana giĂ detta Porta Nuova. â Il maestoso antiporto a guisa di torrione fu disegnato dai due fratelli scultori e architetti Agostino e Agnolo di Siena i quali ne diressero lâesecuzione dopo il 1320.
Nel 1440 fu dipinta la parte esterna del torrione terminata nel 1459. Vi si murò lateralmente un frammento dâiscrizione deâtempi romani illustrata da altra moderna postavi nella prima metĂ del secolo XVIII.
Nel 1299 la Porta Nuova ossia Romana non era ancora fatta, prova non dubbia che allora non esisteva il cerchio attuale.
Porta S. Marco. â Se dobbiamo tenere per esatta la nota di sopra rammentata questa porta esistere doveva fino dallâanno 1299. Lâantiporto grandioso di cui restano ora pochi avanzi, era disegno del celebre architetto Baldassarre Peruzzi: Ma il merito maggiore lâacquista oggi che si stĂ costruendo fuori di questa porta un grandioso piazzale per il pubblico passeggio, e una nuova e piĂš ampia strada per andare a Grosseto di una pendenza assai piĂš docile che non era lâaltra strada regia, la quale per un ardito pendio scendeva nel vallone della Tressa .
Porta Pispini o di San Vieni. â Questa porta è famosa sia per essere una delle piĂš antiche del secondo cerchio, sia perchĂŠ di costĂ escĂŹ lâoste sanese per scendere nei campi di Montaperto nel giorno della gran battaglia che fece scorrere lâArbia in rosso ; sia perchĂŠ di qua parte anche una quarta strada regia, lâAretina, oltre quella Lauretana.
Sopra la Porta Pispini nel 1326 fu innalzato il torrione, dove il Sodoma ducentâanni dopo dipinse dalla parte esterna il bel presepio con un meraviglioso angiolo situato nellâarco superiore guardato di sotto in su. Il baluardo situato a sinistra di chi esce dalla Porta Pispini fu disegnata da Baldassarre Peruzzi.
Porta Laterina . Forse fu lâultima porta del cerchio attuale ad aprirsi e la prima a chiudersi ai viventi. Essa fu terminata nel 1528 quando lâuffizio di Bicherna sotto dĂŹ 11 dicembre di quellâanno saldò ogni restante della spesa fatta nella Porta Laterina relativamente a una grottesca stata dipinta sopra la medesima.
Fu aperta sullo sprone occidentale del poggio che dirigesi dalla Porta S. Marco e da quella di Laterina per lâarioso colle di Galignano dove fu un piccolo cenobio di eremiti Camaldolensi, fondato nel 1258, distrutto nel 1554, e la cui clausura nel 1784 fu ridotta a uso camposanto per inumarvi i defunti cattolici sanesi, al solo trasporto deâquali è limitato il diritto di aprire di notte cotesta porta della cittĂ .
Fonti Pubbliche. â Senza riandare allâorigine dei grandiosi acquedotti di Siena, mi limiterò ad osservare come dal principio del secolo XII fino a tutto il XV nei risalti deâpoggi a settentrione della cittĂ si raccogliessero da stillicidj piĂš o meno profondi tante acque per alimentare non meno di nove pubbliche fontane, senza contare la Fonte Becci , eretta nel 1218 quasi due miglia a settentrione della porta Camollia.
Tale fu la Fonte dellâarte della Lana aperta fra il 1212 e il 1220 nel piano di Castel-Montone, per cui poco dopo essa prese il vocabolo di Fonte di Val-Montone; tale quella di Porta Ovile che fu aumentata nel 1262 mediante una vena raccolta da un pozzo dei Frati Umiliati, la qual fonte poco tempo dopo essendo stata rifatta piĂš grandiosa prese il nome di Fonte Nuova; e tale la Fonte di Follonica cominciata nellâanno1249. Lo stesso dicasi della Fonte di Pantaneto che conta il suo principio nel 1352; della Fonte Pispini stata aperta sulla strada che guida alla porta di detto nome; della Fonte del Ponte lungo la strada del corso che va alla Porta Romana; cosĂŹ della Fonte di Pescaja e della Fonte di Vetrice dove erano i lavatoi fino al 1259.
Ma tutte coteste fontane cederono in fama alle due fonti maggiori di Siena, la Fonte Branda e la Fonte Gaja .
Non vi è persona che parli di Siena nĂŠ forestiero che percorra la cittĂ senza rammentare o senza che visiti la copiosa Fonte Branda, quella fonte che ha fatto dire di sĂŠ e delle sue proprietĂ immaginarie cose da fermare la luna, fonte da non doversi confondere con lâaltra Fonte Branda esistita presso Romena, e alla quale appellava dante nel canto XXX del suo Inferno.
Ă la Fonte Branda la piĂš bassa la piĂš antica e nel tempo stesso la piĂš copiosa della cittĂ di Siena. Essa scaturisce alle falde del poggio della chiesa parrocchiale di S: Antonio Abate, sotto le profonde balze sulle quali si alza il tempio di S. Do menico, presso la porta detta tuttora di Fonte Branda, dove non solo esistono copiose bocche dâacqua da bere, ma estesissimi lavatoj per lavare e per guazzare a comodo deâvicini fabbricanti di corde di budella, deâconciatori di cuoia, delle tintorie e deâmacelli riuniti tutti nel gran piazzale innanzi di arrivare alla porta preindicata; e tanta è la copia delle sue acque che possono mettere in moto macine da mulino e altri edifizj idraulici.
(ERRATA : La sua prima memoria dellâanno 1193) La sua prima memoria è dellâanno 1081, quella del 1103 fu registrata in una pietra che diceva: Anni sunt Domini, trahe septem, mille dugenti La Fonte Branda fu in piĂš tempi rifatta: la prima volta nel 1246, come apparisce dal libro Entrata e Uscita di Bicherna (B, ora L. N° 3, fol.. 20) in cui è registrato un pagamento per ridurre lâacqua in Fonte Branda nuova, e per terminare la fossa dove fu Fonte Branda vecchi.
Accadeva ciò nel tempo stesso che si restaurava la Fonte di Pescaja , la quale fu terminata nel 1247, comecchè la sua origine si faccia risalire al 1087, mentre non prima del 1259 furono costruiti gli abbeveratoi a questa e allâaltra vicina Fonte di Vetrice. (Libri citati, B, ora L. N° 5. fol.
29 e 39.) Lâaltra fonte anche piĂš celebre è la Fonte Gaja nella gran piazza del Campo, condottavi non prima dellâanno 1343 con gioia e gajetĂ somma del popolo senese, per cui si acquistò il titolo di Fonte Gaja . Essa piĂš tardi diede il soprannome al celebre scultore Giacomo della Quercia per i bei lavori di statuaria che intorno a quella nel 1419 scolpĂŹ, sicchè Giacomo della Fonte fu dâallora in poi appellato.
Edifizj pubblici e luoghi piĂš insigni. Citerò prima di tutto la Piazza del Campo. Cotesta grandiosa area che fu detta del Campo, innanzi lâedificazione del secondâultimo cerchio cella cittĂ , trovavasi fuori delle mura e della sua porta occidentale denominata Porta Salara , esistita, come dissi, a piè della via del Casato davanti alla Costarella deâBarbieri. Ă la piĂš vaga e piĂš gran piazza di Siena, singolare per la forma per lâarchitettura degli edifizi che la contornano, e piĂš che altro per le gioconde e magnifiche feste deâfantini delle contrade. Essa gira da 570 braccia, e ha la forma di mezza conchiglia incavata.
Tutte le acque che vi scolano entrano in una vasta cloaca situata nella parte piĂš depressa, davanti al Palazzo Pubblico, che sotterranea trapassa per avviarsi tra Porta Tufi e Porta Romana attraversando la Valle del Montone onde mandare gli spurghi fuori di cittĂ .
Dirimpetto al palazzo pubblico sopra la Fonte Gaja esisteva la curia della Mercanzia, ridotta piĂš tardi a uso di casino deâNobili, accosto al grandioso palazzo de0 marchesi Chigi, stato innalzato al pari del casino con disegno assai diverso da quello deâpalazzi del secolo XIV e XV che rendono alla gran piazza e in generale a tutta la cittĂ unâimpronta singolare.
Sino dal 1333 cotesta piazza fu selciata di mattoni in costa e nel 1346 intorno alla grande strada che la circondava, furono disposti i cordoni di pietra; finalmente nel secolo passato furono messi i piuoli di travertino con catene di ferro.
Vi sboccano undici strade fra le quali quella del Casato dove furono le mura del piĂš antico, o terzâultimo cerchio, e la larga salitella detta la Costarella deâBarbieri sul luogo della distrutta Porta Salara .
Infatti nellâanno 1339 i camarlinghi di Bicherna pagarono danari ed alcuni maestri qui terminaverunt Campum Fori in pede Portae Salarae. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Libri di Entrata e Uscita di Bicherna, B. ora L.
143 fol. 48) Ă dentro cotesto gran recinto dove si affolla una popolazione talvolta superiore a quella della cittĂ per assistere nel giorno due luglio e nel 16 agosto alla corsa di 10 fantini delle contrade, la cui festa degna di un poema piuttosto che di un Dizionario geografico è stata recentemente scritta con entusiasmo pari alla veritĂ dal chierico G. La Farina in un giornale fiorentino che porta per titolo Rivista Musicale (N° 19 del 1 settembre 1842) Una delle fabbriche piĂš grandiose della gran piazza del Campo è quella del palazzo pubblico giĂ detto della Signoria, il quale costruivasi sino dal 1284, giacchè in cotestâanno i Signori Nove destinarono in operaj di quellâedifizio Bartolommeo di Bascilla e Palmieri Linaiolo; mentre nel 1298 fu nominato operajo un Cante di Fredo. Lo stesso palazzo pubblico però continuava a fabbricarsi non solamente nel 1308 sotto gli operaj Lelio di Fabio e Bindo di Montalceto, ma ancora nellâanno 1318 quando ancora si pagarono denari per i lavori della loggia superiore a Neri dâAgnolo e a Guccio di Vanni del Marchese, operaj del palazzo del Comune che si faceva per i Signori Nove.
Finalmente nel 1329 furono sborsate lire 16 a maestro Simone di Martino dipintore per la pittura di Monte Massi e di Sasso Forte da esso fatta nel palazzo del Comune.
Ma che nellâanno 1330 il palazzo della Signoria di Siena non fosse ancora terminato lo dichiara il pagamento di 300 lire eseguito nellâanno suddetto per terminare le volte del palazzo medesimo dove era solita a risedere la Curia.
Al che si aggiunga come nel 1330 furono sborsate lire 4700 agli operaj del palazzo novo nonchĂŠ per quello delle Carceri. Per la costruzione di questâultimo lâerario della Repubblica sanese nellâanno stesso fece acquisto di 50 migliaja di mattoni, dopo di aver un triennio prima sborsato lire 7950 nella compra di dieci case poste in Salicotto a oggetto di costruire nel luogo di esse il palazzo detto tuttora delle Carceri, giacchè innanzi quel tempo i carcerati si rinchiudevano nelle torri deâprivati. â (UBERTO BENVOGLIENTI, Spogli dei Libri di Bicherna MSS. nella Biblioteca pubblica di Siena) Non occorre rammentare che nelle stanze terrene del pubblico palazzo della Signoria di Siena, attualmente ridotte a uso di archivj, esisteva lâofficina della zecca, sulla quale è comparsa alla luce una storia coscienziosa sotto il modesto titolo di Cenni sulla zecca sanese dellâerudito tipografo Giuseppe Porri in una sua Miscellanea istorica pubblicata nellâanno corrente 1844.
Non era ancora terminato il palazzo della Signoria quando i due fratelli sanesi Agnolo e Agostino, nel 1325, dâordine del disegnarono la svelta altissima torre annessa al palazzo del Comune, volgarmente appellata la Torre del Mangia , la di cui costruzione doveva essere terminata nel 1349, tostochè in quellâanno si pagarono danari per fondere la gran campana, e si diedero lire 7815 a Ristoro di Lottino, fabbro per valuta del battaglio, ecc. (loc. cit.) Lâaltezza di codesta torre ammonta a braccia 175 1/2 e la sua sommitĂ trovasi braccia 690 superiore al livello del mare Mediterraneo.
A piè della medesima fu incominciata nel 1352 la cappella detta di Piazza: Nel 1460 Cecco di Giorgio disegnò il fregio, mentre i bassorilievi allegorici sono di scultore ignoto, ma dello stesso secolo.
Vi vuole una guida per descrivere le bellezze tutte di cotesto palazzo, che al pari di molti altri edifizj pubblici e privati innalzossi tra i secoli XIII e XIV per cui tralasciando questi aggiungerò pochi cenni sulle chiese piÚ sontuose e sugli stabilimenti piÚ distinti della stessa città .
Chiesa Metropolitana .- Ă la prima chiesa, la piĂš bella, la piĂš ricca, la piĂš ornata di Siena e del suo stato fabbricata secondo la liturgia antica con la facciata volta a ponente.
Sarebbe opera perduta per chi volesse distinguere le varie epoche del suo ingrandimento a partire dalla sua origine fino allo stao attuale, siccome imprenderebbe un lavoro improbo, chi senza altri appoggi sâimmaginasse discutere sulla tradizione presso molti invalsa, che lâantico Duomo di Siena esistesse nel Castelvecchio. Comunque vada la bisogna, è certo però che in un istrumento archetipo del dicembre 1012 in questâArticolo a pag. 304 rammentato, si parla del Duomo di Siena situato vicino alla distrutta chiesa di S. Desiderio, vale a dire dove attualmente questo tempio risiede.
Un altro fatto anco meno incerto ci sembra quello che la cattedrale sanese sino dalla piĂš remota etĂ doveva essere dedicata a Maria Vergine Assunta, e che il suo capitolo anche innanzi il mille contava cinque dignitĂ , come può vedersi in una membrana del 1 aprile dellâanno 999 pubblicata dal Muratori e dal Pecci, il cui originale conservansi a Siena nellâarchivio privato deânobili Borghesi-Bichi.
Ma se ciò non lascia dubbio sullâantica esistenza, titolo e varie dignitĂ della chiesa maggiore sanese, altrettanta dubbiezza ci presenta la parte edificatoria.
Lâerudito e carissimo Ettore Romagnoli, la cui memoria sarĂ sempre onorata dagli amici e dalla patria sua, in piĂš dâun lavoro a tal proposito ripeteva: esservi in ciò troppa oscuritĂ , nĂŠ alcuna chiarezza maggiore ci diedero i cronis ti sanesi. Solamente dalle carte che conservansi nellâArchivio dellâOpera del Duomo si comprende, che la Signoria di Siena, dopo aver una sua provvisione del 16 novembre 1259 nominato nove personaggi incaricati di esaminare, dove fosse meglio fare il coro della chiesa maggiore, con altra provvisione dello stesso anno il consiglio della Campana, sentito il rapporto deânove deputati per la fabbrica del coro della cattedrale di Siena, deliberò che cotesto coro si facesse secondo il disegno stabilito dai canonici di essa chiesa e dagli operaj del Duomo. Mediante poi una terza provvisione dellâ11 febbraio 1260 (stile comune) il gran consiglio di Siena decretò lâelezione di altri nove deputati, tre per Terzo, destinati a esaminare in che maniera si procedeva nella fabbrica dellâOpera di S. Maria di Siena .
Inoltre con provvisione del 29 aprile 1308, il consiglio della Campana deliberò che lâoperajo e i consiglieri dellâOpera del Duomo incassassero dal Comune ogni anno, mille lire di moneta per servire alla fabbrica della cattedrale ed acciocchè si possa fare lâutile e necessaria chiesa di S. Giovanni Battista nella cittĂ di Siena.
Arroge a ciò, come nei libri di Bicherna (Entrata e Uscita, B. ora L- N° 97 fol 253) si legge una partita, del 1296 che ordina a maestro Toscano, maestro Lando dâJacopo e maestro Simone, stati deputati dal consiglio della Campana, acciocchè facessero atterrare le case e le piazze nel luogo dove si dovevano porre i fondamenti della chiesa di S. Giovanni del Vescovado.
Dondechè dai fatti qui sopra annunziati, mi trovo costretto a dovere concludere, che se la pieve di S. Giovanni del Vescovado, la quale serve tuttora di fondamento al coro del Duomo di Siena, dovette edificarsi dopo il 1296, bisogna dire che il Duomo attuale non sâincominciasse prima del XIV secolo. Infatti nellâArchivio Diplomatico Sanese (al T. 125 deâConsigli della Campana) esiste una provvisione della Signoria sotto il 23 agosto anno 1339, nella quale si ordina lâaccrescimento da farsi alla navata maggiore del Duomo da estendersi verso la piazza deâManetti nel modo stao disegnato dummodo (termina la provvisione) in opere novo dictae ecclesiae iam incepto nihilominus solicite et continue procedatur.
Cotesta Opera nuova pertanto deve essere una continuazione di quella che i deputati eletti nel 17 febbraio 1322 (stile comune) decretarono super factis et negotiis NOVI OPERIS JAM INCEPTI Ecclesiae S.
Mariae; nel qual decreto si ordina: quod fundamenta NOVI OPERIS, quae fiunt ad praesens ad augumentum majoris Ecclesiae non sunt sufficientia, eo quod incipiunt vallare in aliqua parte sui, quod muri praedicti NOVI OPERIS non sunt tantae grossitudinis, quod sufficientes sin ad substentandum pondus, et ire ad tantam altitudinem eo quod muri facciatae anterioris dictae Ecclesiae versus Hospitale S. Mariae sunt grossiores muri NOVI OPERIS MEMORATI. Et dictum NOVUM OPUS esse debet majori altitudinis veteri. Che perciò i deputati in quel decreto conclusero: Nobis videtur quod fundamenta nova non conveniunt cum veteribus, et adjungendo OPUS NOVUM CUM VETERI in pilando (nel serrare) obstendunt aliquam novitatem: et nobis videtur, quod supra dicto opere non procedatur, cum sit necesse dissipare de OPERE DOMUS VETERIS a medietate muri saper VETUS OPUS INCEPTUM; et quia volendo dissipare OPUS VETUS causa congiungendi cum dicto NOVO OPERE, fieri non posset absque magno periculo muri et voltarum veterum, et quia murus praedictae Ecclesiae, FINITO NOVO OPERE, non remaneret in medio crucis. In vista di tali riflessi ancorchè si fosse potuto compire quel lavoro, volendo ridurlo ragionevolmente ad altra misura, i deputati del febbraio del 1322 consigliarono che il Duomo vecchio fosse dâuopo atterrarlo per lâaffatto.
Contemporaneamente al precedente consiglio gli stessi deputati, con rapporto dello stesso dĂŹ 17 febbraio ed anno medesimo 1322 furono di parere: quod ad honorem Mariae Virginis incipiatur et fiat una Ecclesia pulcra, magna et magnifica quae sit bene proporzionata in longitudine, altitudine et amplitudine, et cum omnibus mensuris quae ad pulcram Ecclesiae pertinent, et cum omnibus fulgidis ornamentis, que ad tam magnam, tamque honorificam et pulcram Ecclesiam pertinent et expectant.
Ho voluto riportare ad litteram le espressioni di cotesti due pareri e deliberazioni dello stesso giorno onde meglio provare che nellâanno 1322 accadde la sospensione dellâopera nuova e la riedificazione dellâattuale Duomo di Siena, il quale dietro il parere dei nuovi deputati dovevasi rifabbricare da capo: QUOD INCIPIATUR ET FIAT UNA ECCLESIA PULCRA ET MAGNA, ET MAGNIFICA.
Che piĂš? la ricostruzione dellâattuale cattedrale di Siena collegasi a meraviglia con lâepoca dellâedificazione della pieve di S. Giovanni sotto il Duomo come pure della provvisione del 23 agosto 1339 dei Signori Nove e del gran consiglio, che ordinava rispetto allâaccrescimento della chiesa maggiore nel modo dei maestri di quellâopera designato, qualmente in opere novo dictae Ecclesiae jam incepto nihilominus solicite et continue procedatur.
(ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE) Frattanto non deve omettersi per la storia dellâarti circa lâepoca e gli autori che architettarono la torre campanaria, anche per rettificare quanto fu scritto dal barone di Rumohr e dal Romagnoli, un pagamento fatto nel 1263 dai camarlinghi di Bicherna ad un maestro pisano il quale terminava di cuoprire il campanile della chiesa maggiore di Siena. (BICHERNA, Libro di Entrata e di Uscita, B.
ora L. N° 26 fol. 17) Probabilmente la fabbrica del Duomo vecchio che prima del 1322 si voleva innestare con lâOpera nuova, come chiaramente lo dissero i deputati a quellâopera, aveva relazione con lâantica Opera del Duomo di Siena, rammentata sino dal 31 ottobre 1220 in una sentenza di due canonici sanesi delegati dal Pontefice Onorio III pronunciata nellâopera nuova fuori della chiesa maggiore di Siena . â vedere PAPAJANO nella Va-dâElsa.
La lunghezza totale di questo ornatissimo tempio è di braccia fiorentine 153, la larghezza della crociata di braccia 89, e delle navate braccia 42.
Non vi è angolo che in questa chiesa sia rimasto nudo, a principia re dal pavimento nel suo fastigio e dalla ricchissima facciata fino dietro al suo coro; talchè fia impossibile rinchiudere in un breve paragrafo la nota solamente delle sue bellezze artistiche; fra le quali il pavimento istoriato del Beccafumi e da altri, il pulpito insigne di Niccolò e del figlio suo Giovanni Pisano.
Ă assai nota la cosiddetta Libreria del Duomo di Siena, dove il Pinturicchio in dieci grandi spartiti dipinse le gesta principali del Pontefice Pio III per ordine del suo nipote Pio III deâTedeschini-Piccolomini.
Nel centro di questa gran sala ammirasi un gruppo di greco lavoro rappresentante le Tre Grazie, ed alle pareti il cenotafio del benemerito governatore Giulio Bianchi, scultura di Pietro Tenerani, situato presso lâaltro cenotafio dellâinsigne anatomico Paolo Mascagni, opera di Stefano Ricci.
Sino altresĂŹ pregevoli i grandi libri corali ivi esistenti, specialmente per le belle miniature ivi eseguite da monaco Benedetto da Matera.
Chiesa di S. Domenico. â Questo chiesone situato sopra una piaggia che sprofonda nel vallone di Fonte Branda, fu incominciato ad innalzarsi intorno al 1221 nella contrada di Camporeggi, quando il primo pittore toscano, Guido da Siena, lâanno innanzi aveva dipinto una tavola che in cotesta chiesa si conserva, e quando il piĂš antico miniatore sino dal 1213 aveva colorito le coperte del MS.
del canonico Oderico intitolato Ordo Officiorum, ora nella biblioteca Pubblica di Siena.
Il convento di S. Domenico, dovâebbero stanza S.
Tommaso dâAquino, S. Antonio e il Beato Ambrosio Sansedoni, fu edificato nel tempo che viveva questâultimo religioso sanese. Nel secolo XV venne innalzato il campanile, ed ingrandito il contiguo claustro.
Dellâannessa sacrestia si hanno notizie dal principio del secolo XIV, come lo danno a conoscere diverse somme pagate nel 1308 e 1309 per spenderle nella fabbrica del palazzo che si faceva per i Signori Nove, rogandosi lâatto nella sagrestia dei Frati Predicatori di Camporeggi.
(Spogli Benvoglienti MMS. nella Biblioteca pubblica di Siena.) Il claustro fu abitato fino allâanno 1784 dai Domenicani i quali dovettero cedere chiesa e convento ai monaci Benedettini venuti costĂ dal monastero suburbano di S.
Eugenio fuori della Porta S. Marco.
Chiesa di S. Francesco. â Anche questa chiesa vasta ed elevata fu incominciata sopra un alto sprone di poggio che scende sopra Porta Ovile.
Dicono gli storici sanesi che i due fratelli Agostino e Agnolo, verso il 1326 architettassero cotesto tempio, e che il cardinal legato Napoleone Orsini ne gettasse i fondamenti.
Ă vero per altro che la stessa chiesa di primo slancio non fu fabbricata tanto vasta come ora si vede, mentre la piĂš antica precede di 70 e piĂš anni quella disegnata dai due fratelli prenominati; avvegnachè il Comune di Siena negliâanno 1249 e 1259 ordinò che si pagassero cento lire ai frati delââOrdine deâMinori per fabbricare la chiesa di S. Francesco. Essa realmente non fu ridotta nella forma grandiosa che ora si vede, se non dopo la metĂ del secolo XV. Prova ne siano due grossi pagamenti ordinati dalla Signoria di Siena sotto dĂŹ 19 giugno 1468, e anco quattro anni dopo, il primo di 8000, e il secondo di 16000 lire, effettuati in mano degli operaj della fabbrica della nuova chiesa di S. Francesco di Siena. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Memoriale N°122 fol. 142, e N° 124 fol 40.) Anche le Guide per la cittĂ di Siena ne avvisano che nel 1448 a spese del Comune fu accresciuto e abbellito il convento di S. Francesco, dove nellâestate del 1460 si recò ad abitare il Pontefice Pio II.
Il primo claustro quadrilatero contornato da un portico a colonne fu murato a spese di Nicoluccio Petroni. Gli altri due claustri piĂš interni si edificarono sul declinare del secolo XV sul disegno dato da Francesco di Giorgio. Vi stettero i Frati Minori Conventuali (ERRATA: fino al 1782) fino al 1809, epoca della loro soppressione, quando nella chiesa e convento suddetto entrarono i frati Domenicani Gavotti, ora tornati in S. Spirito.
La confraternita di S. Bernardino contigua al primo claustro del convento suddetto è ricca di pitture a fresco di eccellenti artisti sanesi come il Sodoma, il Beccafumi, il Vanni e il Pacchiarotto; pitture state tutte modernamente ravvivate.
Chiesa dei Padri Serviti.- Nel poggio dove fu fondata cotesta chiesa esisteva lâantica parrocchiale di S.
Clemente. Essa nel 1408 minacciava rovina, quando per ordine del gran consiglio furono sborsate ai religiosi Serviti lire 4000 per restaurarla.- (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Memorie N° 122. fol. 156.) Finalmente nel 1528 si rifabbricò da capo a fondo la chiesa attuale col disegno di Baldassarre Peruzzi. Fu allora che quel chiaro architetto mise in opera le belle colonne di marmo cipollino dellâIsola dâElba, le quali sorreggono gli archi della navata di mezzo, tutte di grandezza uniforme, e tre di esse di un sol pezzo. Siccome poi cotesta qualitĂ di marmo dopo la caduta del romano impero non è stata piĂš che si sappia, trasportata in Italia, ciò farebbe dubitare che tutte quelle colonne di una dimensione uniforme, avessero servito per una qualche basilica o portico d i Siena romana.
Chiesa di S. Agostino. â Questa bella chiesa ha una magnifica clausura annessa, convertita in abitazione per lâI. e R. Collegio Tolomei. Anche cotesta fabbrica si alza sopra uno sprone meridionale della cittĂ ; ed ebbe origine fino dallâanno 1258, quando il suo locale trovavasi fuori dal secondâultimo cerchio di Siena.
Fra le molte pergamene possedute dai frati Romitani di S.
Agostino di questa cittĂ , cui furono unite quelle dei conventi degli Eremitani Agostiniani di Rosia, di Sestinga, deâVallesi, di Montecchio ecc. una scritta del 12 ottobre 1262 faceva menzione deâRomitani Agostiniani di Siena.
Con partito poi del 17 aprile 1298 i Signori Nove e il consiglio della Campana concederono facoltĂ ai frati di S.
Agostino di Siena di poter ampliare la piazza davanti la loro chiesa. E nellâanno stesso lo spedalingo di S. Maria della Scala diede ordine di vendere a quei frati una carbonaja con piazza situata presso il muro della cittĂ , fuori della Porta allâArco per andare a S. Agostino. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO Carte cit.) Per altro, la chiesa e il convento di S. Agostino nel secolo XIII erano ben lungi dallo stato grandioso in cui lâuno e lâaltro furono posteriormente ridotti. Imperocchè la chiesa piĂš antica fondata come si disse nel 1258, fu rifatta in due epoche assai disparate, la prima dopo la metĂ del secolo XV, quando la Signoria con deliberazione del dĂŹ 8 giugno 1468 fece pagare ai frati e capitolo di S. Agostino lire 12000 per la fabbrica della loro chiesa; e la seconda epoca, quando nel 1773 fu ridotta nello stato attuale con disegno dellâarchitetto Vanvitelli.
Rispetto ai lavori fatti alla sua grandiosa clausura essi spettano alla fine del secolo passato, nel tempo in cui vi abitavano i religiosi Agostiniani, ai quali si debbono i doppi e ben disegnato i chiostri, i comodi e numerosi quartieri. La grandiosa scala per altro è opera piĂš recente di Francesco Peccagnini, e quelle del vestibolo esterno dellâarchitetto Agostino Fantastici, a direzione del quale, dieci anni dopo, soppressi i Frati, che lâabitavano, nel 1818 cotesto spazioso e ben situato convento fu ridotto ad uso deânobili alunni traslocativi dal palazzo, giĂ Collegio Tolomei, riducendo questâultimo a residenza del R.
Governo.
Nellâantico convento di S. Agostino di Siena furono accolti ad ospizio i Pontefici Gregorio XII ed Eugenio IV, nel nuovo vi dimorò nel 1799 il Papa Pio VI.
Chiesa di S. Spirito. â Fu eretta nel 1345 dirimpetto alla Fonte Pispini, in origine abitata fino a verso la metĂ del secolo XV dai monaci Silvestrini, dopo dei quali vi entrarono i frati Domenicani Gavotti; cui nel 1468 per deliberazione del consiglio della Campana furono date lire 12000 per rifare le mura della loro chiesa do S.
Spirito. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Memoriale N° 122. fol. 163.) Il Magnifico Pandolfo Petrucci nel 1504 vi fece innalzare a proprie spese la cupola.
Nel 1782 quando i frati Gavotti furono traslati in S.
Francesco, la chiesa e convento di S. Spirito furono ceduti allâAccademia Ecclesiastica, poscia al parrroco della chiesa soppressa di S. Maurizio, fino a che nel 1843 vi ritornò da S. Francesco la famiglia dei religiosi Gavotti.
Nel chiostro annesso alla chiesa si conserva un affresco figurante il Calvario, opera pregiatissima di Fra Bartolommeo, detto della Porta.
Chiesa di S. Martino. â Se questa non può dirsi delle piĂš vaste, nĂŠ delle piĂš belle di Siena, è per altro una delle piĂš antiche dopo la cattedrale; siccome fu lâunica a dare il nome a uno dei Terzi della cittĂ e delle Masse, ed è la sola della cittĂ che dopo la cattedrale si trovi rammentata al tempo deâ Longobardi. Inoltre la chiesa di S. Martino fin dal XII secolo, e forse assai prima, era stata decorata del titolo e qualitĂ di chiesa cardinale, ossia cura con battistero, quando essa, che fu nel primo cerchio presso il borgo della cittĂ di Siena, dal vescovo sanese Ranieri, con breve del 17 settembre 1168, venne concessa con tutti i suoi beni e preminenze ai canonici Lateranensi di S.
Frediano di Lucca; la qual concessione fu confermata nel secolo stesso dai Pontefici Alessandro, Lucio e Urbano III. â (PECCI, Serie deâVescovi e Arcivescovi di Siena).
Nel 1439 per breve del Pontefice Eugenio IV, la stessa chiesa fu data ai frati Leccetani di S: Salvatore, tre anni dopo aver essi ottenuto il priorato di S. Maria degli Angeli fuori di Siena, oltre lo spedale di S. Niccolò vicino alla chiesa di S. Pietro alla Magione, assai dappresso alla Porta Camullia; e finalmente nel 1440 vi fu incorporata anche la soppressa badia di S. Lorenzo dellâArdenghesca con tutti i suoi beni.
I frati Leccetani che stettero in S. Martino fino alla loro soppressione, (ERRATA: accaduta nel 1783) accaduta nel 1809, fecero riedificare nel 1537 cotesto tempio, sebbene la facciata in travertino non sia stata eretta che nellâanno 1613 sopra una doppia gradinata con disegno dellâarchitetto Giovanni Fontana.
Confraternita di S. Caterina da Siena. â Piccolo ma insigne si è reso questo oratorio per le memorie della Santa, e per la bellezza e la copia delle pitture che lâadornano.
Trovasi sulla strada maggiore che scende alla piazza di Fonte Branda, ed è ufiziato dagli abitanti della contrada denominata dellâOca. Fu fabbricato dal Comune nel 1464 dove era la bottega di tintoria del padre di S. Caterina e la casa in cui essa nacque. La facciata è disegno di Cecco di Giorgio, nel frontespizio interno dipinsero il Riccio ed il Folli, nelle pareti laterali da una parte il Pacchiarotto e dallâaltra il Salimbeni, la lunetta sullâaltare è del Sodoma.
Vanni, il Sorri, Rutilio, Casolani ed altri distinti pittori sanesi lavoravano nelle pareti della confraternita superiore. Il piccolo claustro superiore credesi disegnato da Baldassarre Peruzzi.
Collegiata di Provenzano . â Questa devota e frequentissima (ERRATA : chiesa a croce greca) chiesa quasi a croce greca, dove si venera la miracolosa immagine della Madonna detta di Provenzano, fu eretta nel 1594. Essa trovasi uffiziata da un capitolo di canonici presieduto (ERRATA: dal proposto, ed è lâunica dignitĂ di questâinsigne collegiata) dal proposto che è la prima delle cinque dignitĂ di quest'insigne collegiata.
Stabilimenti Pii - Spedale di S. Maria della Scala â Se la Toscana richiama, e se lâattenzione degli estranei per le numerose opere di beneficenza che la rendono superiore a molte altre parti dellâEuropa civilizzata, Siena ne conta tante da meritare di essere queste piĂš conosciute, perchĂŠ danno a scoprire anche lo spirito e la civiltĂ dei suoi abitanti.
Una delle istituzioni di caritĂ per la quale i Sanesi furono sempre larghi, sia per anzianitĂ , sia per lustro, contasi quella dallo Spedale di S. Maria della Scala cui posteriormente se gli affigliarono molti altri spedali di cittĂ e terre della Toscana e di altri stati ad essa limitrofi..
Non resiste alla buona critica la tradizione che un beato ciabattino per nome Sorore fondasse sino dal secolo IX questo spedale. Imperocchè senza negare o affermare che costĂ dirimpetto alla facciata della cattedrale fino dâallora esistesse un ospizio per i pellegrini, quando si tratta di prove mancano i documenti, nei quali si faccia menzione di questo spedale; nĂŠ si conosce memoria, châio sappia piĂš vetusta di quella indicata in un istrumento del 16 aprile 1088, nel quale rilevasi che lo spedale di S. Maria della Scala era in quel tempo di giuspadronato del capitolo della cattedrale di Siena.
In conseguenza di ciò lâArciprete del duomo a nome deâcanonici continuò a confermare per qualche tempo lâelezione dei nuovi rettori di questo spedale, siccome lo qualifica un altro istrumento del 3 marzo 1094, conservati entrambi nellâarchivio della Scala. Forse da questa padronanza gli spedalinghi di S. Maria ante-gradus seppero emanciparsi innanzi che dal concilio di Vienna del 1311 fosse stabilita la massima, che il governo dei luoghi pii e deglâospedali non dipendesse piĂš dagli enti ecclesiastici.
Che questo però davanti alle scalere del Duomo non fosse in origine che uno ospizio per pellegrini, stato piĂš tardi esteso alla cura degli infermi, a ricevere gli esposti a distribuire elemosine ai poveri ecc., me lo fa credere un atto del 1265 col quale Tommaso vescovo di Siena concedette allo spedale in discorso di tenervi un sacerdote, mentre 12 anni innanzi il vescovo Buonfiglio con altro breve aveva accordato al rettore facoltĂ dello spedale della Scala di fabbricarvi una chiesa; forse quellâoratorio stesso nel 1466 venne riedificato in maggiori dimensioni col disegno di un tal Guidoccio di Andrea.
Al secolo XIV spettano le immense sostruzioni e aggiunte fatte a cotesto stabilimento pio, avvegnachè nel 1356 il Comune di Siena pagava i tegoli e gli embrici per cuoprire la fabbrica nuova dello spedale di S. Maria della Scala. â (BICHERNA, Entrata e Uscita B. L. N° 224 fol.
33.) Nella parte piĂš antica dello spedale denominata tuttora il Pellegrinaio, esistono ancora gli affreschi eseguiti nellâanno 1349 da Luciano da Velletri, continuati nel 1440 da Domenico Bartoli, e piĂš tardi da Priamo, fratello di Giacomo della Quercia, ossia della Fonte.
Lâingresso maggiore di S. Maria ante-gradus è sempre volto a levante, dirimpetto alle scalere e alla facciata del Duomo; le grandi sostruzioni sono dal lato opposto della fabbrica che scendono forse per 60 braccia nel sottoposto giardino botanico.
A questo stabilimento per glâinfermi il Granduca Leopoldo I con motuproprio del 22 ottobre 1779 comandò si riunissero varj spedaletti sparsi per la cittĂ , fra i quali lo spedale di S. Niccolò in Sasso, di Monagnese, per le partorienti, quello di S, Lucia per i pellegrini; lo spedale di S, Sebastiano per gli esposti e lâaltro di S. Antonio Abate, ora confraternita della Misericordia (si aggiunga) eretta nel 1833 per le cure di un uomo zelante, il fu Giovanni Amidei, e corrispondente con zelo al filantropico suo istituto, per accogliervi i pellegrini, ecc.
Lo Spedale di S. Maria della Scala nellâanno 1280 contava 514 possessioni. Utilissima riforma non meno dellâaltra, fu quella che comandò lâalienazione delle tante Grancie (tenute) attinenti a cotesto spedale; e ciò con lo scopo di arricchire il paese e di concedere i diversi predj a persone che potessero renderli piĂš fruttuosi. In conseguenza di tali disposizioni economiche la rendita annuale di cotesto spedale fu ridotta costante.
Cosicchè questo stabilimento oggi può contare sopra a un incasso che ammonta annualmente a Lire 179,404. â. â Senza le rendite annue dello spedale degli Esposti che sono di Lire 8,802. â. â TOTALE, Lire 188,206. â. â Spedale di S. Niccolò degli Alienati. â Ă unâistituzione moderna eretta da una congregazione antica conosciuta sotto il titolo di Confraternita deâDisciplinati, ossia della Madonna sotto le Volte dello Spedale. Il locale di S.
Niccolò, dopo aver servito alle monache, nel 1818 fu ridotto per custodia degli Alienati. Esso è capace di circa 60 individui dementi, mantenuti mediante una retribuzione mensuale dalle Comunità cui appartengono.
Il fabbricato risiede in un angolo della cittĂ in prospettiva ridente e ben ventilato. La prima montatura e direzione devesi al governatore Giulio Bianchi e allo zelo del benemerito professor Giuseppe Lodoli, che occupossi anco della cura deâ tignosi, riuniti in questo stesso edifizio, dove fu preparato un quartiere separato per ricevere costĂŹ le donne gravide occulte.
Stabilimento di MendicitĂ . â Quasi nel tempo stesso che la confraternita prenominata fondava il Reclusorio degli Alienati , i Sanesi mossi dalla situazione lacrimevole della plebe, affamata e oppressa dalla carestia e dal tifo, si tassarono volontariamente per aprire un asilo alla mendicitĂ onde ricevervi e nutrirvi i questuanti della cittĂ , e accogliere per pochi giorni i convalescenti che escivano dallo spedale della Scala.
Dai rapporti annuali di questo pio stabilimento sul rendimento dei conti resi dalla deputazione gratuita che vi presiede si rileva, che, oltre le spontanee oblazioni dei cittadini, lo stabilimento è sussidiato stabilmente dallâImp. e R. Governo. CostĂŹ non vi è trascurata nĂŠ lâistruzione religiosa, nĂŠ quella civile, a oggetto di far apprendere al povero i doveri del cristiano, e unâarte che ponga i loro figli di abbandonare lâabbietto mestiero di accattone; giacchè quelli che vi si ricevono, meno glâimpotenti, sogliono occuparsi di qualche lavoro proporzionato allâetĂ , al sesso e alla capacitĂ . Avvertasi che costĂ la reclusione dei poveri si limita al giorno, giacchè al tramontare del sole essi ritornano alle loro case, non saprei dire se facciasi ciò per economia, ossivero per rispettare i legami di famiglia e quella libertĂ personale che non suole ottenersi nei reclusorj notturni. In vista della quale libertĂ molti accattoni sogliono riguardare le pie case di lavoro piuttosto come luoghi di castigo che come refugio alla mendicitĂ .
Compagnia deâDisciplinati, o della Madonna sotto le Volte dello Spedale. â Della storia di questa benemerita congrega non farò parola, avendone trattato lâabate De- Angelis in un opuscolo pubblicato nel 1828. Dirò solo che la sua antichità è anteriore al 1295, epoca della prima riforma deâsuoi statuti; dirò che il suo scopo fu sempre quello di rendere utili ai suoi concittadini i soccorsi di cui è depositaria per disposizioni pie di benefattori che accumularono in essa un ricco patrimonio; a onore della quale istituzione aggiungerò che la sua esistenza fu rispettata da tutti i governi che hanno dominato la Toscana.
I deputati di questa compagnia sogliono conferire annualmente un numero di doti, somministrare alle partorienti povere un sussidio per il vitto nei primi giorni del puerperio, distribuire elemosine a domicilio a molte persone vergognose. Ma assai piĂš rilevanti sono i sussidi di cui essa è collatrice a favore di coloro che si dedicano ai buoni studj, e ciò per disposizioni testamentarie fatte negli anni 1610 e 1632 dai fratelli Giulio e Deifebo Mancini, e nel 1724 dai coniugi Marcello Biringucci e Cassandra deâVecchi.
Gli alunni deâprimi, ossia deâmancini, ricevono per un intero lustro scudi 60 lâanno, con lâobbligo di conseguire la laurea dottorale, ottenuta la quale ritirano altri 60 scudi per le spese.
Gli alunni Biringucci devono essere giĂ laureati in patria per recarsi a una delle universitĂ piĂš celebri italiane, o anche fuori dâItalia con un assegno mensile di 14 scudi romani da durare per un settennio, da poter prolungare sino a 10 anni e anche confermarlo. Era poi in facoltĂ della stessa compagnia di aumentare lâassegno mensuale agli alunni che recavasi fuori dâItalia. Però tanto gli uni come gli altri concorrenti non sono ammessi per lâalunnato se non sono nativi oppure originarj della cittĂ o stato di Siena.
Il numero medio degli alunni Mancini cui annualmente si conferiva il posto, soleva essere di tre, ma quello degli alunni Biringucci per lo studio fuori di patria negli ultimi tempi era salito fino a 13, sennonchè attualmente cotanta elargita è stata diminuita e tolta la conferma del settennio per destinare invece una parte di quegli assegni alla rimontata università di Siena.
Distribuzioni annue di doti per parte di cotesta Congrega, Lire 13,700 â â Annui sussidj dotali di regia collazione, Lire 4,480 â â Doti di collazione di altri stabilimenti di Siena, Lire 13,800 â â TOTALE, L. 18,280 â â Stabilimenti dâIstruzione pubblica. â Ă opinione invalsa fra molti che in Siena non incominciasse lâUniversitĂ prima del 1321, e che ciò si dovesse alle premure di un concittadino, Guglielmo Tolomei, allora professore nellâUniversitĂ di Bologna, il quale condusse in patria la maggior parte di quella scolaresca nelle circostanze di essere stato condannato a morte in Bologna uno di queâscolari. â (GHIRARDACCI, Storia di Bologna T. II.
P. IV.) Il Cronista Dei forse fu il primo a darne lâavviso, dicendo che ânel mese di maggio del 1321 venne in Siena lo studio generale di Bologna. Ma poco tempo vi stette imperocchè lo Comune aveva promesso agli scolarj venuti da Bologna di far loro avere i privilegi del convento (UniversitĂ ) e poi non li poterono avere e per questa cagione si partironoâ. Non saprei dire se fu questa la cagione o piuttosto lâaltra detta dal canonista Pietro Ancarano, il quale viveva sulla fine del secolo XIV, cioè che i sanesi pattuirono con gli scolari condotti da Imola a Siena, di pagare ai medesimi seimila fiorini per riscattare i loro libri lasciati in pegno a Bologna, e dare ai professori lâannua paga di 300 fiorini dâoro, oltre il fornire 16 mesi gratuita abitazione agli scolari, con che il governo procurasse ottenere dal Pontefice il privilegio al nuovo studio di conferire le lauree.
Di cotesta traslazione medesima dello studio da Bologna a Siena fece menzione Dino del garbo, nella dilucidazione al secondo canone sopra lâopera di Avicenna che dichiarò compita li 27 ottobre 1325, sebbene egli la cominciasse in Siena, mentre vi era professore, quam ego Dinus de Florentia minimus inter medicinae doctores incepi CUM FIGUIT STUDIUM IN CIVITATE SENARUM, et hanc partem Avicennae ibi in chatedra legi, sed eam complevi cum Florentiam redii propter illius studii diminutionem et annichilationem.
Con tutto ciò altre circostanze mi spingono a credere che in Siena assai prima del 1321 avesse origine un liceo se non fu una compita Università .
Realmente Uberto Benvoglienti anche su tale rapporto raccolse tali e tanti documenti, i quali sembrano sufficienti a dimostrare che in Siena fino dalla prima metĂ del secolo XIII esisteva uno studio.
Sul qual rapporto io non rimetterò in campo la notizia registrata in Bicherna sotto lâanno 1322, quando i camarlinghi del Comune pagarono a tal uopo lire 11,12 e 9 a maestro Francesco di Tura di Buonamico, sivvero rammenterò una somma che essi nel 1248 diedero ai maestri Pepone, Givannino, a Givanni deâMordenti ed a maestro Pietro Spagnolo per passarla ai messi che recavano le lettere del Comune in diverse parti della Toscana, onde invitare i scolari a venire a studio a Siena.
â (BICHERNA, Entrata e Uscita, B. ora L. N°4 fol. 29) Inoltre nellâanno stesso 1248 si pagarono lire dieci a forma dello statuto a maestro Pietro Spagnolo dottore in Fisica. â (loc. cir. B 5. fol. 37) Era per avventura cotesto Pietro Spagnuolo quel maestro che 20 anni prima, fu professore delle decretali in Bologna, quando un suo collega guascone lo invitava a recarsi allâUniversitĂ di Padova dove il maestro guascone allora professava la materia stessa. Ma per qual motivo Pietro Spagnuolo abbandonasse la giurisprudenza per la scienza fisica non è cosa agevole a definire. â (TIRABISCHI Storia della Letteratura Italiana, T. IV. P.
I. lib. I.) Che poi glâincunabuli dellâUniversitĂ di Siena risalgano verso la metĂ del secolo XIII lo dimostra una bolla del Pontefice Innocenzo IV data in Perugia li 26 novembre dellâanno X del suo pontificato (1252) il cui originale fu riscontrato dal chiaro Abate marini nellâarchivio segreto Vaticano, mentre una sua copia esiste in un libro in gran foglio intitolato âNotizie relative allâUniversitĂ di Siena si dichiarano essi e i bidelli esenti dalle imposizioni, servizj angarie ecc. ecc., se non che nella detta bolla non trovo fatta menzione del diritto della laurea nĂŠ dei cancellieri dellâUniversitĂ .
Arroge che negli spogli del Benvoglienti, estratti dallâArchivio Diplomatico Sanese, sono indicate sotto gli anni 1262, 1267, 1274, 1279; 1280 e 1285 diverse paghe per salarj ad alcuni maestri e dottori i quali leggevano in Siena. â (BIBLIOT. SAN.) Che poi lâUniversitĂ predetta nel 1321 non fosse ancora stabilita nella casa della Sapienza, lo dichiararono in primo luogo, il pagamento fatto nel 1322 per conto del Comune di Siena per la pigione di una casa nella quale si trovavano i scaffali del pubblico per riporre i libri deâscolari; e in secondo logo lo sborso di lire 17,16 eseguito nel 1323 dai camarlinghi di Bicherna per un semestre della pigione della scuola, nella quale leggeva il celebre dottore fiorentino Tommaso Corsini; in terzo luogo per il fitto di quattro mesi pagato di una casa deâTolomei, nella quale si adunavano i rettori dellâUniversitĂ deâscolari. Inoltre nellâanno stesso 1323 fu saldato Marsilio di Scotto per la pigione di una sua casa, in cui solevano leggere i dottori in medicina.
Bisogna ben dire che lo studio aperto in Siena fra il 1246 e il 1248, rinnovato poi nel 1321, non vi gittasse troppo salde radici, tostochè quei governanti nel 1357 inviarono una solenne imbasciata allâImperatore Ca rlo IV, supplicandolo a riaprire la stessa UniversitĂ , come seguĂŹ mercè diploma del 16 agosto 1357, col quale si concederono a questa di Siena esenzioni e oneri propri delle altre UniversitĂ , con tutte le cattedre meno la teologica. Anche la facoltĂ di teologia fu aggiunta allo studio sanese dallâantipapa Gregorio XII, da quello stesso che con tre bolle spedite da Lucca nel giorno 7 maggio del 1408, oltre la conferma del diploma imperiale predetto concedeva allâUniversitĂ senese la facoltĂ della teologia, e quella della laurea, deputando in cancelliere della medesima Monsignor Antonio Casini, allora vescovo di Siena, ed in seguito i di lui successori: (PECCI, Serie deâVescovi e Arcivescovi di Siena).- Con una di quelle bolle lo stesso Gregorio XII incorporò allo studio di Siena lo spedale di S. Maria della Misericordia di questa cittĂ , nel quale per scarsezza di entrate (dice la bolla) non vi si tenendo quasi veruna ospitalitĂ , convertĂŹ il suo locale ad uso di abitazione e convito per 30 scolari dello studio generale di Siena, a condizione che cotesto spedale si appellasse dâallora in poi Casa della Sapienza .
Colla terza bolla finalmente si concedevano 5 anno dâindulgenza a tutte le persone pie che lasciavano beni alla nuova Casa della Sapienza per il mantenimento degli scolari. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE T.
XXVI delle Pergamene N° 2026 e 2027.) Realmente la Sapienza o UniversitĂ di Siena dopo tali incoraggiamenti dovè rendersi una delle famigerate dâItalia, siccome lo dimostrò lâaffluenza degli scolari che in seguito vi accorsero; talchè il Cardinale Francesco Piccolomini, Poi Papa Pio III, ebbe in mira di far ingrandire il fabbricato. Al quale effetto fu commesso a Giuliano da S. Gallo un confacente disegno, che non fu mai eseguito, ed il ci originale fu acquistato dal Cavalier Giovanni Antonio Pecci. Accrebbe poi lustro a questa UniversitĂ lâaver avuto per scolaro fra il 1425 ed il 1430 Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II ed il suo apologista Girolamo Agliotti, il quale rammenta fra i 600 scolari che allora vi si contavano molti giureconsulti e medici insigni di varie parti dellâItalia stati professori o scolari dello studio di Siena, dove si recò per poco il noto Francesco Filelfo con lo stipendio annuo di 350 fiorini dâoro. Ma le lunghe guerre che terminarono con la caduta della repubblica sanese dovettero portare a cotesta UnivrsitĂ il maggior tracollo.
Nel ruolo del 1588 comparisce per la prima volta nellâUniversitĂ di Siena un professore di botanica, ed il Bosco Mattioli servĂŹ allora di orto deâsemplici. Comecchè il Granduca Francesco I accrescesse il numero e gli stipendj deâprofessori; comecchè Ferdinando I nel 1590 estendesse fino a 35 le cattedre, e concedesse allâuniversitĂ sanese tanti privilegj da dover essa quasi gareggiare con le piĂš famose dellâItalia; comecchè Ferdinando II nel 1655 prescrivesse un nuovo regolamento, acciocchè il numero degli scolari, non meno che il zelo e lâimpegno deâprofessori nellâistruirli, si facesse sempre maggiore, comecchè finalmente anche Cosimo III, nel 1672, ordinasse nuovi provvedimenti con accrescere gli stipendj ai suoi professori, contuttociò lâUniversitĂ di Siena non potè stare a confronto di quella di Pisa nello stesso Granducato.
Nella rimontatura di questo studio (anno 1784) il Granduca Leopoldo I ordinò un orto botanico, che affidò al professore di quella cattedra Biagio Bartalini e che il Prof: attuale Giuseppe Giulj accrebbe fino a circa 3000 specie di piante.
STUDENTI concorsi allâUniversitĂ dopo le ultime Riforme.
nellâAnno 1839 â 40: Rassegnati 271, non Rassegnati 64 nellâAnno 1840 â 41: Rassegnati 212, non Rassegnati 23 nellâAnno 1841 â 42: Rassegnati 141, non Rassegnati 83 nellâAnno 1842 â 43: Rassegnati 123, non Rassegnati 34 nellâAnno 1843 â 44: Rassegnati 136, non Rassegnati 53 I. e R. Collegio Tolomei. â Sebbene questo stabilimento fondato fosse per i nobili alunni dal sanese Celso Tolomei mediante testamento degli 8 settembre 1628 destinando a tale scopo scudi 50,000, pure una simile istituzione dubito che prendesse origine da altra compagnia, da quella cioè di cento nobili cavalieri sanesi organizzata nel principio di questo secolo, ed i cui alunni sotto un nome accademico esercitavansi nella cavallerizza e nelle scienze avendo per loro capo il Granduca Ferdinando I, al quale per ingegno di Scipione Bargagli fu dato lâemblema del re dellâAlpi col motto Maiestate tantum, Il nobile collegio Tolomei fu aperto il 25 novembre 1676 sotto la direzione dei Padri Gesuiti nel casamento contiguo al palazzo e piazze Tolomei, quindi fu preso (ERRATA: in affitto nel 1783) in affitto nel 1683 il palazzo detto Papeschi della famiglia Piccolomini, dove si trasferirono quegli alunni e quivi restarono fino al 1820, epoca della loro traslazione nel giĂ convento di S.
Agostino di Siena.
Dopo la soppressione deâGesuiti (anno 1774), furono chiamati alla direzione di questo collegio i Padri delle Scuole Pie, che costantemente vi sono, occupandosi ancora dellâeducazione intellettuale e morale deâ nobili convittori, il numero deâquali per altro oggidĂŹ resta inferiore a quello di 50 limitato per la loro accettazione.
I giovani sono istruiti nelle arti cavalleresche, nella letteratura, nella lingua latina, greca, italiana, francese, inglese, tedesca, nelle scienze morali, nelle fisiche e matematiche. Fra i miglioramenti introdotti da poco tempo a questa parte, potrebbero contarsi una scuola botanico-agraria e un giardino di semplici per lâistruzione di giovani signori.
Presiede ad esso una deputazione economica composta del provveditore della Camera communitativa del Compartimento di Siena, del gonfaloniere della cittĂ e del nobile Giovan Battista Pannilini.
Regio Istituto Toscano deâ Sordo-Muti.- Questâistituto può dirsi quasi un miracolo della provvidenza. Cominciò nellâanno 1828 senzâaltra risorsa che quella di alcune oblazioni volontarie dei sanesi; poscia fu soccorso e protetto dal Granduca regnate Leopoldo II e dalla sua Augusta famiglia; ed ora con sovrano rescritto del 13 aprile del 1843 dichiarato regio, esentato dalla legge delle Mani-morte e dotato con gli assegnamenti del soppresso R. Istituto deâSordo-Muti di Pisa. Vi sono otto posti gratuiti per altrettanti Sordo-Muti della Toscana a nomina di S. A. I. e R. si ricevono tutti i Sordo-Muti nazionali ed esteri che pagano unâannua retta di lire 400. Due religiosi delle Scuole Pie di nomina del Principe dirigono lâistruzione deâSordo-Muti e quattro Suore della caritĂ hanno la direzione del convito delle Sorde-Mute. Presiede a tutto lo stabilimento la deputazione medesima che dirige lâamministrazione del nobil Collegio Tolomei.
Il direttore di questa filantropica istituzione che accresce onore al cuore deâsanesi è il suo zelante fondatore professore P. Tommaso Pendola delle Scuole Pie, rettore del Collegio Tolomei, per opera del quale sono state pubblicate otto Tavole statistiche dei Sordo-Muti esistenti nel Granducato di Toscana al termine dellâanno 1843.
Lâistituto conta attualmente N°40 alunni, 25 maschi e 15 femmine.
Rispetto alle scuole primarie non citerò quelle di letteratura latina, italiana, e scienze morali aperte nellâOpera del Duomo, nel Seminario Arcivescovile di S.
Giorgio, nella collegiata di Provenzano, e di corto dai Padri Gavotti nel loro convento di S. Spirito.
Conservatorj di femmine. â Sono tre, cioè, 1° lâI. e R.
Ritiro del Refugio istituito nel 1598 per nobili fanciulle; 2° quello di S. Maria Maddalena delle Montalve; 3° di S.
Girolamo detto delle Abbandonate. A questi conservatori restano da aggiungere le Scuole Normali fondate nel 1783 per le fanciulle che le frequentano il giorno per tornare la sera alle case proprie dove concorrono un anno per lâaltro da 260 ragazze.
Scuola ebraica e Sinagoga . â Sebbene lâintroduzione a Siena degli Ebrei sia antica, la sinagoga attuale non è piĂš vecchia delâanno 1788. Vi è anche una scuola israelitica maschile dove si contano 17 fanciulli per lâinsegnamento primario. Il ghetto di Siena nel 1745 noverava 60 famiglie con 296 abitanti.
In Siena non manca una cassa di risparmio, nĂŠ una sala per gli asili infantili, nĂŠ una scuola dâinsegnamento reciproco.
I. e R. Istituto delle Belle Arti. â Recentissima quanto utile istituzione fu questa fondata nellâanno 1816 dal granduca Ferdinando III nei locali della Sapienza, di dove per troppa angustia fu levata lâUniversitĂ e di lĂ traslocata nellâantico monastero di S. Vigilio, giĂ residenza del Prefetto dedl Dipartimento dellâOmbrone.
La direzione di cotesto istituto è affidata alla conosciuta intelligenza e bravura del professor Francesco Nenci. Nel locale medesimo è stata riunita una quantitĂ di pitture, molte delle quali appartenute a chiese e conventi soppressi, dove fu trovato quanto i pittori sanesi fecero di meglio. Sono quelle pitture disposte per ordine di etĂ , e la pinacoteca pubblica sanese dĂ meglio a conoscere quanto fosse giusta la sentenza dellâAbate Lanzi allorchè, sia per lâelezione deâcolori, sia per lâaria rallegrante e gaja deâvolti caratterizzò la pittura senese lieta scuola fra lieto popolo. Che se costĂ fosse riunita la celebre tavola dipinta nel 1220 da Guido da Siena, ora nella chiesa di S.
Domenico, e la miniatura stata fatta sul MS. del 1231 esistente in quella pubblica libreria intitolato: Ordo Officiorum Senensis Ecclesiae, la raccolta delle pitture dellâIstituto Senese di Belle Arti sarebbe per anzianitĂ di autori la prima di tutta Italia.
Osservava giustamente il Padre della Valle che la scuola pittorica di Siena spiega un talento speciale per lâinvenzione e per lâespressione. Ne era difficile soggiungeva lâAbate Lanzi studiare unâultima parte in una cittĂ sĂŹ nemica della simulazione comâè Siena dove per lo spirito e per lâeducazione si ha pronto nella lingua e nel volto ciò che si sente nel cuore. Cotesta veritĂ pronunziata da un uomo venerando non toscano e non appassionato, onora talmente il carattere dei sanesi, che non ho potuto fare a meno di riportarla.
Quanto al numero degli artefici, Siena rispetto alla sua popolazione nâebbe molti finchè contò molti cittadini; scemato però il numero di questi, scemarono anche i cultori delle Belle Arti, fintanto che sotto il governo Mediceo ogni traccia di scuola le venne meno. Sono della prima epoca oltre la miniatura del 1213 e la pittura del 1220 di Guido da Siena, i mosaici di Fra Mino da Torrita, i dipinti di maestro Duccio di Boninsegna, di Simone di Martino, o di Simone Memmi, ecc. â Si Distinsero fra quelli della seconda epoca il Raggi, detto il Sodoma, il Beccafumi, il Pacchiarotto, Baldassarre Peruzzi, ecc. â La terza epoca comincerebbe col Riccio, o Bartolommeo Neroni e col Salimbeni seguiterebbe col Casolani e col Cavalier Francesco Vanni, cui si deve il ritrovato di dipingere in marmi, lasciando nei figlioli i seguaci della quarta epoca e della sua scuola, nella quale figurò il Cavalier Giuseppe Nasini, allievo esso pure del Vanni.
A conservazione poi dei monumenti dellâarte sia pittorica, sia statuaria, sia architettonica della cittĂ di Siena, il Granduca Leopoldo II fin dal 1829 instituĂŹ una deputazione affinchè vigilasse non solamente sopra gli oggetti dâarte che si trovano situati nelle chiese, conventi ed altri pubblici stabilimenti, ma ancora nelle strade e piazze di Siena, compresa lâarchitettura di tante belle fabbriche private egregiamente costruite di mattoni senza intonaco.
Accademie scientifiche e letterarie. â Dopo Firenze, scriverĂ lâAbate Tiraboschi, (Storia della Letteratura Italiana T. VII. P. I. Lib. I.) non vi ebbe cittĂ della Toscana che in numero e in fama di letterarie adunanze si potesse paragonare a Siena.
La piĂš antica di tutte è quella deâRozzi, cui succedè lâaccademia deglâIntronati, la prima nata nel principio del secolo XV, la seconda circa 5 lustri dopo. â Lâaccademia deâFisiocritici appartiene alla fine del secolo XVII; piĂš giovane delle altre è la Tegea, che fu aperta dopo la metĂ del secolo XVIII la piĂš grande economista deâsuoi tempi, lâarcidiacono Salustio Bandini. Non dirò di unâaccademia poetica di dame sanesi nata e protetta da dopo la metĂ del secolo XVII dalla Granduchessa Vittoria della Rovere dopo rimasta vedova di Ferdinando II, le componenti della quale accademia tennero le loro adunanze pubbliche assai frequentate, finchè visse la principessa protettrice dopo la cui morte si spense anche cotesta poetica societĂ .
LâAccademia deâRozzi fu soppressa da Cosimo I avendo ragione di temere che quelle assemblee fossero dannose alla pubblica tranquillitĂ per la fervidezza deâSanesi assai pronti ad accendersi. Alla sventura stessa deâRozzi fu soggetta lâaccademia deglâIntronati, ma tanto lâuna che lâaltra rivissero al principio del secolo XVII sotto il Granduca Ferdinando I.
Frattanto lâaccademia deglâIntronati non potendo piĂš risorgere allâantico splendore, nel 1654, si associò ad altra accademia detta deâFilomati, nata clandestinamente nel 1586, e questa fuse il suo nome nellâaltra deglâIntronati, alla quale nel 1647 fu accordato il teatro aperto nel palazzo pubblico, dove i socj recitarono una loro produzione comica intitolata la Statira . In tal guisa le due accademie riunite sotto un solo nome continuarono fino al 1674, in una sala annessa alla Sapienza, sala che in questo secolo fu aggiunta alla pubblica biblioteca ivi contigua.
La esistente congrega deâRozzi, sebbene innalzasse nel suo locale un grazioso teatro per le rappresentanze scritte dai suoi colleghi, questi nel 1816 lo ridussero a teatro dâistrioni e di cantanti, abusivamente chiamati virtuosi.
Lâunica fra le antiche accademie che conservi in Siena il titolo corrispondente allo scopo è quella deâFisiocritici, eretta nel 1691 nel locale della Sapienza, trasferita nellâanno 1815, nel soppresso monastero di S. Mustiola; il cui locale nel 1828 fu ridotto ed arricchito di oggetti di storia naturale per cura del defunto Prof. Guiseppe Lodoli, che procurò di rendere cotesta fabbrica confacente alle adunanze accademiche ad un museo dâistoria naturale e di mineralogia specialmente patria. Infatti si trovano costĂ riunite molte preziose raccolte fatte nel territorio senese dallâAbate Prof. Ambrogio Soldani, dal Prof. Annibale Baldassarri, e da molti acquistate da Padre Ricca per buon dire deâpezzi importantissimi ivi depositati dal Prof. Cav.
Prospero Mazzi, dallâattuale preparatore Abate Francesco Baldacconi e da non pochi altri scienziati viventi. Oltre la scientifica collezione del primo, X volumi in 4° finora pubblicati degli Atti dellâAccademia deâFisiocritici, non è da tacersi il programma di corto venuto alla luce per due premj, che uno di lire 600 e lâaltro di lire 300 da quel governatore assegnati a chi risponderĂ meglio a due quesiti di argomento industriale e agrario per utilitĂ del paese. a cura dello stesso conte Serristori nel 1843 fu aggiunta allâAccademia suddetta una sezione per la scienza agraria.
Accademia Tegea. â Essa ha come dissi, la gloria di aver per fondatore ed autore del suo titolo il celebre patrizio senese Salustio Antonio Bandini, (si aggiunga) risorta per cura dei Prof. Valeri e Lodoli. Sebbene col nome di Tegea di radice greca si tentasse abbracciare cielo e terra, pure i suoi modesti accademici si applicano con zelo a promuovere la tecnologia nella loro patria. Per effetto della quale essi nel 1842 fondarono per gli artigiani due cattedre di chimica e di meccanica applicata, assegnando medaglie a coloro che meglio ne profittassero, oltredichè nellâanno susseguente istituirono due premj per quelli che con soddisfazione risolverebbero un qualche quesito di pubblica economia.
Biblioteca pubblica. â Scriveva un secolo fa il Muratori al Cav. Giovanni Pecci queste parole: Chi lo crederebbe, una cittĂ cotanto ricca di stabilimenti utili, abitanti di un temperamento tutto fuoco e tutto spirito stati per tanti secoli senza il comodo di una buona libreria!âŚ. Mi dispiace nondimeno di dover dire che Siena per ingegni siffatti è un teatro troppo angusto. Senza libri non si può fare deâgran voli, e di questi io tempo che Siena sia poco provveduta.
Non direbbe cosĂŹ oggi se Muratori vivesse e sapesse, che oltre la generositĂ dellâarcidiacono Bandini, cui si deve lâorigine della biblioteca pubblica attuale, fondata nel 1758, essa è stata notabilmente accresciuta e dalla cure del suo primo bibliotecario, lâAbate Ciaccheri e dai preziosi MSS. di eruditi sanesi ivi depositati, fra i quali molti spogli fatti dallâeruditissimo Uberto Benvoglienti, e da una collezione pure MSS. deâBellartisti del defunto Ettore Romagnoli, oltre i molti libri a stampa e MSS.
trasportativi dai conventi soppressi.
Inoltre il Muratori saprebbe che la biblioteca pubblica di Siena ora possiede un indice per ordine di materie e di autori, lavoro immenso del laboroso Lorenzo Ilari benemerito custode, o piuttosto sottobibliotecario della medesima.
Archivii pubblici. â Io non credo che dopo Firenze vi sia cittĂ in Toscana cotanto doviziosa di archivi pubblici e di antiche pergamene, senza aggiungere che molte case di nobili posseggono numerose membrane e preziosi MSS.
Tale per esempio, è lâarchivio deâBorghesi.-Bichi, la libreria del Cav. Carlo Lodoli, dovizioso il primo di contratti antichi, la seconda di MSS. lasciati dallâerudito sanese cav. Giovanni Pecci.
Fra gli archivi pubblici uno deâpiĂš importanti per la storia patria tengo che sia il Diplomatico Sanese riunito a quello delle Riformagioni della repubblica, ai consigli della Campana, ai libri di Bicherna ed alle pergamene della cittĂ e Compartimento di Massa Marittima.
Lascio al suo lungo, perchĂŠ basata sopra una semplice traduzione quella raccontata dal Gigli, che dagli archivj di Bicherna fossero stati un tempo rubati e venduti a peso di carta molti pregevoli libri e memorie di antichitĂ sanesi.
Nello stesso palazzo pubblico a terreno due altri archivi importantissimi. Il primo è quello Civile o deâNotari, raccolto nel 1560 costĂ , dove sotto il governo del granduca Leopoldo I furono depositati gli archivj minori della mercanzia, dellâarti e mestieri con i respettivi statuti, oltre una serie considerabile di pergamene ascendenti in tutte a circa 19000, succintamente spogliate dallâAbate Pietro Paolo Pizzetti. Il secondo è lâarchivio sottoposto alla soprintendenza della Camera comunitativa del Compartimento di Siena, ricco esso pure di MSS. di membrane, di visite pubbliche per la cittĂ e lo stato sanese, ecc.
LâArchivio dellâOpera del Duomo è meritevole delle osservazioni dello studioso che bramasse di recare qualche maggior lume alla storia di quel magnifico tempio. Vi è uno spoglio succinto di 1586 pergamene, consistenti in contratti, donazioni, provvisioni, pagamenti di lavori, ecc. a partire dalla carta piĂš antica che è del 1002 fino allâultima che scende al 1780.
LâArchivio dello Spedale della Scala. â Non è fra i meno importanti di questa cittĂ per gli atti pubblici, sia per gli originali statuti del pio stabilimento, ricopiati in lingua volgare per ordine dello spedale, messer Jacopo figliolo di Cristofano di Mancino cittadino sanese, che nel 17 luglio dellâanno 1318 offrĂŹ tutti i suoi beni a quel luogo pio. Il quale spedalingo fu da alcuni equivocato con altro messer Iacopo di Bencivenni, che era stato rettore dello spedale medesimo nellâanno 1265.
Fra la collezione delle pergamene sonovi piĂš bullettoni o copie autentiche di contratti scritti dopo il 1166.
Monte deâPaschi e Monte Pio. â Il Monte deâPaschi la cui fondazione risale al 1624, è unâistituzione originale e dirò propria di questa cittĂ , creata nello scopo di frenare le usure eccessive che riescivano a danno dellâindustria territoriale e delle quasi spente manifatture del paese.
Le prime costituzioni del Monte deâpaschi sono atteggiate a seconda delle idee e dei pregiudizj municipali di quella etĂ , stati tolti n gran parte ai tempi nostri giacchè non si ammettevano al godimento del credito del Monte deâpaschi che i Sanesi.
Innanzi lâintroduzione delle ipoteche il Monte deâPaschi affidava le somme richieste alla probitĂ individuale e allâesame delle respettive ricchezze, comecchè il richiedente dovesse associarsi una o piĂš persone possidenti e solventi, le quali stassero garanti al pagamento deâfrutti e della sorte al pari del mutuante.
Del resto tutte queste precauzioni cessarono dopo lâintroduzione del sistema ipotecario, per cui inutili si rendono oggi le doppie firme, senza alcun obbligo al traente della restituzione del capitale; il quale può anche estinguersi a piccole frazioni che il Monte deâPaschi riceve dai particolari dei depositi in danaro, corrispondendo al mutuante attualmente di frutto il 3 3/4 per cento mentre nel Monte stesso sâimpiegano capitali al 4 1/3 per cento.
Monte Pio . â PiĂš antica di qualche secolo è la fondazione del Monte Pio di Siena, perchĂŠ fu istituito fino dal 1471, quando imprestava moneta con lâusura di 6 danari per ogni lira (2 1/2 per cento). Fu chiuso e poscia, nel 1569 riaperto nel fabbricato della dogana presso la residenza del Monte deâPaschi che sussidia il primo qualora gli imprestiti eccedono il suo capitale.
Lâinteresse annuo è del 5 per cento, ma la frazione dei mesi suole calcolarsi per un mese intiero.
Anno 1839, Depositi fatti: Pegni N °. 31,296 per la somma di Lire 678,000 Anno 1840, Depositi fatti: Pegni N °30,275 per la somma di Lire 663,000 Anno 1841, Depositi fatti: Pegni N °25,974 per la somma di Lire 386,000 Anno 1842, Depositi fatti: Pegni N °24,192 per la somma di Lire 544,000 Anno 1843, Depositi fatti: Pegni N °25,318 per la somma di Lire 501,000 Banca Senese. â Ă la piĂš recente e forse piĂš attiva istituzione commerciale di Siena essendo stata aperta nel primo maggio dellâanno 1842. Essa ha tolta la difficoltĂ somma alle persone industriali di trovare denaro pronto e per poco tempo sa discreto frutto, dondechè le sue operazioni hanno ravvivato lâindustria manifatturiera, commerciale ed agraria non solo della cittĂ , ma di tutto lâantico suo stato, in modo che colui che abbia visitata Siena nellâanno 1841, e poi rivisitata nel 1843, gli sembrerĂ trovarla risorta a vita nuova.
Con quanta celebritĂ questa banca abbia esteso le sue operazioni lo dĂ a conoscere il rapporto fatto nel primo anno da quella direzione, e meglio ancora lo dimostrerĂ il rapporto del secondâanno.
La banca senese si aprĂŹ con un capitale di lire 150,000; le operazioni dei primi tre mesi non oltrepassarono le 60,000 lire, mentre negli ultimi tre dellâanno bancario salirono fino a 180,000 lire. Nel totale le operazioni attive nel primo anno furono di lire 1,179,972.5.4; mentre nei primi otto mesi del secondo anno, cioè dal primo maggio a tutto dicembre del 1843, il suo giro bancario è stato di lire 1,465,796.9.4.
Industrie principali della cittĂ . â Dalla prima esposizione delle manifatture eseguita nellâagosto del 1842 si rileva che in Siena primeggiano i tessuti di seta, di lino e di cotone, i cappelli di feltro, ed in singolare modo glâintagli di legno.
Clima di Siena. â Innanzi di chiudere questo lungo articolo non sarĂ forse inutile aggiungere qualche parola rispetto al clima di questa cittĂ , tanto piĂš che la topografia atmosferica esercita una singolare influenza sulla salute degli abitanti. â Se toccasse a me scegliere nella Toscana dove meglio vivere, diceva il Padre Della Valle, darei la preferenza nellâinverno a Pisa e nellâestate a Siena.
Per veritĂ il clima di questa cittĂ nella calda stagione è delizioso, mentre nellâinverno vi dominano frequentemente i venti, e in special modo quelli di grecale. Non io giĂ vorrei dare, come dava quel buon frate, al vento grecale la virtĂš di trasportare nellâatmosfera di Siena e delle sue vicinanze le molecule saline, donde egli supponeva che restassero, dirò cosĂŹ, conditi di brio gli abitanti di Siena.
Imperocchè è innato nei Sanesi un ingegno fervido, svegliato e di gran fuoco,per cui eccellenti pittori e poeti escirono di costĂ ; talchè niun pittore prima deâSanesi lasciò memoria di sĂŠ, e niuno dopo il Tasso e il Petrarca meritò fra i poeti estemporanei la corona dâalloro che ottenne sul Campidoglio il Cavalier Perfetti. Glâingegni di cotesti abitanti scriveva il Muratori a Giovanni Antonio Pecci, sogliono avere gran fuoco: ella nĂŠ ha troppo poco; il defunto Uberto Benvoglienti camminava pel mezzo, ed è stata gran disgrazia anche per Lei che lâabbiamo perduto; ecc.
Uomini piĂš celebri nelle scienze e nelle lettere. â Se dovessi noverare tutti glâingegni sanesi piĂš insigni in vari generi di virtĂš non mi basterebbe un libro.
Lasciando a parte i piĂš famosi per santitĂ o per eresie, i molti pontefici, cardinali, i tanti prelati e distinti dottori che ebbero i natali in Siena, mi limiterò solamente agli artisti, scienziati e letterati piĂš conosciuti, come sarebbero per esempio un Folcacchieri, che forse fu il primo fra i poeti italiani siccome uno deâpiĂš moderni e piĂš distinti improvvisatori riescĂŹ il rammentato Cavalier Perfetti.
Ricorderò Guido da Siena, il piÚ antico fra i pittori, e Mino da Torrita, il piÚ vecchio in genere mosaici, senza dire di un Beccafumi, di un Raggi, soprachiamato il Sodoma , senza citare fra gli architetti piÚ insigni un Francesco di Giorgio, un Baldassarre Peruzzi ecc. tutti capiscuola senesi.
Fra i sommi canonisti rammenterò Mariano Sozzini il vecchio, di cui fece un magnifico elogio il suo concittadino Enea Silvio Piccolomini, poscia Papa Pio II, abilissimo egli stesso in varii rami di scienze non che in belle lettere.
Ricorderò un Bartolommeo di Mariano Sozzini che fra i professori di diritto civile non fu inferiore ad alcuno del secolo XV, nel qual tempo fra gli altri si distinse il sanese giureconsulto Bulgarino.
Citerò fra i naturalisti e dottori un Mattioli, un Biringucci, un Baldassarri, un Abate Soldani, un Giulio Mancini, un Giuseppe Lodoli, benchè ad alcuni di essi Siena non fosse stata loro culla, ma solo patria di affezione.
Rispetto ai piĂš grandi scrittori di cose patrie mi limiterò a un Orlando Malavolti e a un Giugurta Tommasi, a Celso Cittadini, a Uberto Benvoglienti, a Giovannio Antonio Pecci, ad Ettore Romagnoli, mentre un nome che equivale a un tesoro è quello dellâarcidiacono Salustio Bandini stato il primo economista del secolo passato.
QUADRO della Popolazione della CITTAâ e COMUNITAâ di SIENA a cinque epoche diverse PIEVANATO MAGGIORE DI S. GIOVANNI IN SIENA - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Giovanni (Pieve maggiore) con gli annessi di S. Desiderio (cura soppressa nellâanno 1787) e Spedali riuniti di S. Maria della Scala abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1167 (S.
Giovanni) n° 411 (S. Desiderio) n° 309 (Spedali riuniti di S. Maria della Scala), abitanti anno 1833 n° 1986, abitanti anno 1840 n° 1977, abitanti anno 1843 n° 2537 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Andrea Apostolo con una porzione della cura deâSS. Vincenzio e Anastasio (soppressa nel 1783) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 453, abitanti anno 1833 n° 620, abitanti anno 1840 n° 632, abitanti anno 1843 n° 678 - titolo della chiesa: S. Antonio Abbate (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 750, abitanti anno 1833 n° 858, abitanti anno 1840 n° 801, abitanti anno 1843 n° 892 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Clemente ai Servi con S. Michele a Castel Montone (soppresso verso lâanno 1280) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 533, abitanti anno 1833 n° 840, abitanti anno 1840 n° 911, abitanti anno 1843 n° 1060 - titolo della chiesa: S. Cristofano (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 530, abitanti anno 1833 n° 971, abitanti anno 1840 n° 1007, abitanti anno 1843 n° 1007 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Donato allâArco in S. Michele alla Badia nuova (dopo il 1745) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1383, abitanti anno 1833 n° 1589, abitanti anno 1840 n° 1694, abitanti anno 1843 n° 1660 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Martino (Priorato) con una porzione di S; Giorgio (soppresso nel 1783), compresa la Nazione Israelitica abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 2499, abitanti anno 1833 n° 2589, abitanti anno 1840 n° 2422, abitanti anno 1843 n° 2502 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Spirito trasportato da S. Maurizio ed una porzione di S. Giorgio (soppresso nel 1783) (soppressa nel 1783) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1320, abitanti anno 1833 n° 1538, abitanti anno 1840 n° 1672, abitanti anno 1843 n° 1619 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Pellegrino traslato nel 1783 nella chiesa della Sapienza abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 606, abitanti anno 1833 n° 782, abitanti anno 1840 n° 837, abitanti anno 1843 n° 803 - titolo della chiesa: S. Pietro in Castelvecchio (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 652, abitanti anno 1833 n° 971, abitanti anno 1840 n° 1074, abitanti anno 1843 n° 1107 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Pietro alla Magione con parte dellâannesso della soppressa cura deâSS. Vincenzio e Anastasio abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 484, abitanti anno 1833 n° 518, abitanti anno 1840 n° 619, abitanti anno 1843 n° 648 - titolo della chiesa: S. Pietro a Ovile (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1115, abitanti anno 1833 n° 1552, abitanti anno 1840 n° 1649, abitanti anno 1843 n° 1614 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): SS. Pietro e Paolo trasportato nel 1782 inS. Giovannino in Pantaneto abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 295, abitanti anno 1833 n° 387, abitanti anno 1840 n° 458, abitanti anno 1843 n° 458 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): SS. Quirico e Giulitta con lâannesso della cura di S. Marco (soppressa nel 1783) e parte della cura di S. Mustiola alla Rosa (soppressa nel 1815) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1475, abitanti anno 1833 n° 2029, abitanti anno 1840 n° 2139, abitanti anno 1843 n° 1950 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Salvatore in S. Agostino con lâannesso di S. Agata (cura riunita nel 1783 a quella di S. Mustiola) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1024, abitanti anno 1833 n° 1063, abitanti anno 1840 n° 1104, abitanti anno 1843 n° 1117 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Stefano alla Lizza con lâannesso di S. Barbera alla Fortezza e parte della soppressa cura deâSS. Vincenzio e Anastasio abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 535, abitanti anno 1833 n° 520, abitanti anno 1840 n° 650, abitanti anno 1843 n° 681 - Totale abitanti anno 1640 n° 15998 - Totale abitanti anno 1745 n° 15541 - Totale abitanti anno 1833 n° 18813 - Totale abitanti anno 1840 n° 19646 - Totale abitanti anno 1843 n° 20333 SIENA, COMUNITAâ DEL TERZO DI CITTAâ Il territorio di questa ComunitĂ occupa una superficie di 16488 quadrati, 340 dei quali spettano a corsi dâacqua e a pubbliche strade. CostĂŹ nel 1833 stavano fissi 4443 individui a proporzione di 222 abitanti per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
Cotesto territorio nella sua maggior lunghezza da settentrione a ostro stendesi per gradi 0. 6' 12" in longitudine dellâimbocco della Via di Fabbrica nella postale Romana, presso lâOsteria del Ceppo fino Ponte a Tressa; mentre la sua maggior larghezza, a partire dal Ponte di Larniano, da ponente al suo levante-scirocco, sino alla Porta Romana corrisponde a gradi 0. 6' 30" nella latitudine settentrionale.
Confina con il territorio di cinque ComunitĂ . Dalla Porta di Camullia fino alla strada postale di Fonte Becci, ha di fronte, a levante la ComunitĂ delle Masse del Terzo di S.
Martino. La medesima strada postale da Fonte Becci allâOsteria del Ceppo, e dallâaltra parte per la via comunitativa della Castellina sino davanti al Castagno, ha davanti a settentrione la ComunitĂ di Monteriggioni, con la quale continua a fronteggiare dirimpetto a maestrale per le strade comunitative del Pian del Lago e di S. Colomba; finalmente per tortuosi ed artificiali confini sino al fosso di Larniano, dove sottentra il territorio comunitativo di Sovicille, da primo dirimpetto a ponente mediante il fosso prenominato, poi di fronte, a libeccio per la via rotabile della Montagnuola e per confini artificiali fino alla strada Regia Grossetana, che percorre dalla Grotta fino al Chiesino e di lĂ per il borro della Fogna.
Su questo stesso borro il territorio da libeccio a scirocco il territorio in discorso va incontro al torrente Sorra , che separa la Comunità del Terzo di Città da quella di Monteroni , con la quale passa nel borro delle Rose, quindi nel torrente Tressa, finchè scende al Ponte a Tressa sulla strada postale Romana. Rimontando questa via regia trova dirimpetto a levante-grecale fino alla Porta Romana il territorio comunitativo del Terzo di S. Martino.
Finalmente si tocca con le mura urbane di Siena dalla Porta Romana, girando verso Porta S. Marco, Porta Laterina, e di lĂ voltando direzione da ponente a settentrione tocca la Porta di Fonte-Branda per girare i bastioni esterni della fortezza fino alla Porta Camullia dove cotesta ComunitĂ ritrova sulla strada postale Fiorentina lâaltra del Terzo di S. Martino.
Queste due Comunità suburbane furono ingrandite, allorchè con regolamento del 2 giugno 1777 il Granduca Leopoldo I soppresse le Comunità del terzo di Camullia, ripartendo i suoi 17 comunelli fra quelli delle Comunità dei due Terzi superstiti, quelli di Città e di S. Martino.
Per tal guisa alla ComunitĂ del Terzo di CittĂ , oltre ai venti comunelli antichi furono aggregati altri dieci fino allora appartenuti alla ComunitĂ del Terzo di Camullia.
I primi venti comunelli spettanti al Terzo di CittĂ si appellavano: 1. Agostoli; 2. Arsiccioli; 3. S. Apollinare; 4.
Casciano; 5. Certano; 6. Formicaja; 7. Fonte Benedeta; 8. Ginestreto; 9. Galiganmo; 10. Montecchio; 11. S.
Margherita; 12. Monsindoli; 13. S. Maffeo; 14. S. Maria a Tressa; 15. Monte Albuccio; 16. Munistero, 17. Trojola, 18. Terrensano; 19. S. Teodoro; 20. Volte.
I dieci comunelli stati riuniti alla ComunitĂ del Terzo di CittĂ sono i seguenti: 1. S. Bartolommeo; 2. S. Prospero; 3. S. Petronilla; 4. Vico dâArbia; 5. Marciano; 6.
Fontebecci; 7. Uopini; 8. S. Dalmazio; 9. Badia a Quarto; 10. Castagno .
Niuna delle due Comunità delle Masse ha capoluogo speciale, nÊ conta alcun paese murato, sicchè i loro rappresentanti comunitativi tengono le loro adunanze magistralj nelle stanze della cancelleria civica nel palazzo pubblico di Siena.
Questa del terzo di CittĂ non è attraversata da alcun fiume, sivvero da borri e torrenti, il maggiore deâquali è quello della Tressa che passato il ponte omonimo entra nellâArbia; mentre i torrenti Serpenna e Rigo si svuotano nel fiume Merse. Tutti questi e anche i minori corsi dâacqua, attesa la loro pendenza, sono precipitosi, trascinando seco una gran quantitĂ di zolle argillose che costituiscono la massima parte della superficie meridionale della ComunitĂ in discorso. Dissi la massima parte perchĂŠ nei suoi confini a maestrale e ponente si distendono i fianchi orientali di Monte Maggio e della Montagnuola, formati di calcare cavernoso e metamorfosato. Fra le falde meridionali del Monte Maggio e il fosso Rigo esiste il noto Pian del Lago stato bonificato sul declinare del secolo passato. â Vedere LAGO (PIAN DEL).
Il maggior numero dei torrenti che scorrono per il territorio di cotesta ComunitĂ dirigendo per lo piĂš il loro cammino da maestrale a scirocco, vennero a formare fra lâuno e lâaltro strette colline, alcune delle quali diedero il loro nome a casali e ville su di esse edificate. Per esempio il Terzo di CittĂ conta al suo settentrione la collina di Marciano, a ponente la collina degli Agostoli e di Belcaro , a libeccio e ostro le colline di Montecchio e di Fogliano.
Niuna chiesa merita particolare menzione; la meritavano bensĂŹ il Monastero di Lecceto, lâAbbadia di S. Eugenio, detta il Munistero , fuori di Porta S. Marco, e quella di S.
Abundio ; il primo insigne ritiro di una congregazione di Agostiniani, distinta da questo luogo, deâLeccetani; il secondo abitato fin dal 730 dai monaci benedettini, stato soppresso nel 1786, e il terzo sino al 1810 stato asilo di monache dellâordine di S. Benedetto, tutti tre locali ridotti attualmente ad abitazioni private.
Fra le ville signorili di questa ComunitĂ primeggia quella di Belcaro deâsignori (ERRATA: Camajani) Camajori per lâimponente suo fabbricato e per le pittura a fresco di Baldassarre Peruzzi; la villa di Formicaja del signor Marsili; la Torre Fiorentina della casa Sergardi; i Due Marciani, che uno della famiglia Gori-Pannilini, e lâaltro deâconti Spannocchi; le Volte deâsignori Muli, e il Palazzo deâDiavoli per la graziosa cappella architettata da Francesco di Giorgio piĂš che per il ridicolo suo nome, ecc.
Vi entrava la grandiosa villa di S, Colomba dellâI. e R.
collegio Tolomei, innanzi che essa con la sua parrocchia (anno 1834), come uno deâComunelli dellâantico Terzo di Camullia, fosse inclusa nella ComunitĂ di Monteriggioni.
I parrochi delle Masse erano e sono tuttora obbligati ad intervenire come quelli della cittĂ di Siena alle pubbliche funzioni della loro metropolitana.
Ho giĂ detto altrove che la popolazione antica di Siena comprendeva ancora i suoi sobborghi nei quali si estesero le Masse dei tre Terzi di Siena, i di cui abitanti dipendevano dal medesimo podestĂ e capitano del popolo, talchè erano soggetti alle gravezze urbane godendo dei privilegi di cittadinanza al pari di quelli che abitavano dentro le mura della cittĂ . Infatti i Terzi delle tre masse davano ciascuno per mezzâagosto un palio di velluto al Duomo, mezzo nero e mezzo bianco, insegna della Balzana propria di Siena, quando i castelli dello stato dovevano inviarli di tinte dissimili da quelle della Balzana.
I dazj di consumo che si esigevano a Monteriggioni dalla parte settentrionale, e allâIsola presso Ponte a Tressa per il lato meridionale, erano di aggravio ai popoli delle Masse come agli abitanti della cittĂ . Eglino al pari dei Sanesi avevano un magistrato civico apppellato sindaco, la cui autoritĂ corrispondeva a un dipresso a quella del giudice di pace deâtempi napoleonici, o piuttosto di un priore comunitativo deâtempi attuali.
Nellâanno 1303 il Terzo di CittĂ contava 5 sindaci, i quali solevano risedere a S. Apollinare, a S. Margherita, a Monsindoli, ad Arbiola e a Trojola.
In seguito ebbero sindaco anche i luoghi di Terrensano, MontâAlluccio, S. Maria in Tressa, Montecchio, Casciano delle Masse, Agostoli, Arsiccioli, Belcaro, Ginestreto e Galignano.
Nel suddetto anno il Terzo di Camullia contava 12 sindaci residenti a S. Giorgio, a Lapi, a Castagnoli, a Colle, a Castagno, Uopini, a Fugnano, a Quarto, a Monteliscai, a S. Miniato, a Tolfe, a S. Martino a Cellole e a Vignaglia .
Nel Terzo di S. Martino esistevano gli 11 sindaci seguenti: a Isola, Cuna, Lucciano, S. Angelo in Tressa, Borgovecchio, Val di Pugna, Badia a Alfiano, S. Maria a Bulciano, Spedale Novigli, Salteano e Paterno.
Inoltre nel 1347 avevano i loro sindaci le Masse di Fontebecci, S. Dalmazio, e S. Petronilla. Tutti i suddetti luoghi che contavano un qualche sindaco e per la festa di S. Maria di mezzo agosto dovevano pagare il censo respettivo alla cassa deâconservatori di Bicherna.
La statistica dellâanno 1318 delle Masse intorno a Siena dava per il Terzo di CittĂ 1307 allirati con un solo cognome, 61 detti con due cognomi, e dieci con piĂš casati, oltre 194 cosĂŹ detti eredi, in tutto 1572 allirati, piĂš due conventi di Frati, uno di monache, sei cappelle e tre altre corporazioni pie.
Il Terzo di S. Martino nellâanno stesso 1318 forniva 1007 allirati con un solo cognome, 51 con due cognomi, 18 con piĂš casati e 167 eredi in tutto 1243 allirati, oltre 4 conventi di uomini, 5 monasteri di donne, 6 chiese e 3 altre corporazioni.
Il Terzo di Camullia allâepoca stessa dava 1069 allirati con un cognome, 57 con due, 14 con piĂš casati e 170 eredi, in tutto 1310 allirati, oltre 4 conventi di religiosi, 2 di monache, 10 chiese e 2 altre corporazioni pie.
Totale degli allirati delle tre Comunità delle Masse, N° La statistica del 1612 dava a Siena una popolazione di Abitanti N° 13679 Ed a quella delle Masse dei Terzi Abitanti N° 10299 TOTALE Abitanti N° 23978 Le statistiche del 1640, 1745, 1833, 1840 e 1843 sono riportate nel quadro che segue.
Rispetto allâindole del terreno che cuopre cotesta ComunitĂ potrei dire che i poggi situati sul confine a maestrale di questo territorio spettano al calcare cavernoso e metamorfosato, mentre le sottostanti colline avvicinanti il grande sprone su cui si distende la cittĂ di Siena, sono coperte al pari dello sprone medesimo di calcare-siliceo, rossastro, giallognolo, specie di sabbione terziario marino superiore, non di rado alternante con potenti banchi orizzontali di ciottoli di calcare compatto, collegati a guisa di poudinga da un cemento siliceo- calcare durissimo. Ă in questo tufo terziario ricco di conchiglie marine univalvi e bivalvi di varia specie, e in special modo di microscopiche politalamiche, e in questo terreno dove si ammaestrarono insigni naturalisti, come furono tra gli altri nel secolo passato il Prof. Annibale Baldassarri, LâA. Ambrogio Soldani, e nel secolo attuale il Prof. Cavalier Gaspero Mazzi, ecc. ecc.
A mano a mano che le colline si avvallano sottentra la tufo calcare-siliceo la marna argillosa, ossia il mattajone, che i Senesi chiamano le crete sul quale si tornerĂ a far parola nellâArticolo seguente della ComunitĂ del Terzo di S. Martino.
Quali fossero le cause di mutazioni tanto repentine nei terreni che cuoprono la contrada in discorso non si potrebbe da chicchessia con sicurezza asserire.
Molte strade rotabili attraversano il territorio di questa ComunitĂ . Fra le regie vi è quella postale Romana che serve di confine tanto dalla parte settentrionale, come dalla parte meridionale alle ComunitĂ deâdue terzi. Havvi la regia Grossetana che esce dalla Porta S. Marco, e che passa per questa ComunitĂ fino al Chiesino. Le spetta pure la via regia suburbana di Pescaja , che da ponente a levante staccandosi dalla Grossetana sale fino alla postale Fiorentina. Vi sono poi molte strade comunitative rotabili che si staccano dalle regie prenominate per condurre alle ville signorili e alle chiese parrocchiali di questa ComunitĂ .
Dal novero delle Masse dei tre Terzi esistiti nellâanno 1640 si rileva che allora coteste Masse, Ville o casali ascendevano al numero di 57, e che contavano una popolazione di 5414 abitanti, mentre nellâanno 1745 le stesse Masse comprese in 38 chiese parrocchiali ammontavano in tutte a 8704 abitanti.
NOTA delle 57 MASSE o LUOGHI che nel 1640 erano compresi nei tre TERZI DELLE MASSE DI SIENA e loro respettiva popolazione in detto anno Arsiccioli, Abitanti n° 31 Agostoli, Abitanti n° 51 S. Apolinare, Abitanti n° 59 Abbadia Alfiano, Abitanti n° 44 Abbadia a Bozzone, Abitanti n° 96 S. Agnolo in Tressa, Abitanti n° 95 Bulciano, Abitanti n° 68 Borgovecchio, Abitanti n° 52 Arbiola, Abitanti n° 59 S. Bartolommeo, Abitanti n° 82 Casciano delle Masse, Abitanti n° 96 Corsano, Abitanti n° 91 Cuna, Abitanti n° 136 Colle Melemerenda, Abitanti n° 22 Capraja (allâOsservanza), Abitanti n° 163 Cellole, Abitanti n° 96 Castagno, Abitanti n° 126 S. Dalmazio, Abitanti n° 60 S. Eugenia, Abitanti n° 104 Fonte Benedetta, Abitanti n° 70 Fonte Becci, Abitanti n° 33 Fornicchiaja, Abitanti n° 40 Ginestreto, Abitanti n° 67 Galignano, Abitanti n° 70 S. Giorgio a Lapi, Abitanti n° 50 S. Giovanni a Collanza, Abitanti n° 72 S. Giovanni a Papajano, Abitanti n° 118 Isola dâArbia, Abitanti n° 98 S. Maria Tressa, Abitanti n° 105 Montalluccio, Abitanti n° 60 S. Matteo, Abitanti n° 80 Montecchio, Abitanti n° 172 Monsindoli, Abitanti n° 56 S. Margherita, Abitanti n° 73 Maggiano, Abitanti n° 196 S. Mamiliano, Abitanti n° 425 Marciano, Abitanti n° 165 Monteliascjo, Abitanti n° 95 S. Miniato (a Cellole), Abitanti n° 68 Munistero, Abitanti n° 298 S. Pietro a Paterno, Abitanti n° 111 S. Petronilla, Abitanti n° 132 S. Prospero, Abitanti n° 56 S. Reina, Abitanti n° 160 Recciano, Abitanti n° 132 Salteano, Abitanti n° 23 S. Stefano a Pecorile, Abitanti n° 20 S. Teodoro, Abitanti n° 45 Terrensano, Abitanti n° 80 Trojola, Abitanti n° 106 Tolfe, Abitanti n° 36 Usinina, Abitanti n° 20 Uopini, Abitanti n° 65 Volte, Abitanti n° 103 Vignano, Abitanti n° 189 Val di Pugna, Abitanti n° 104 Vico dâArbia, Abitanti n° 90 TOTALE, Abitanti n° 5414 NOTA dei titoli delle 37 MASSE DI SIENA che avevano parrocchia nel 1745 e loro respettiva popolazione.
Vignano, Abitanti n° 331 Montecchio, Abitanti n° 351 Munistero, Abitanti n° 465 Volte, Abitanti n° 169 Osservanza, Abitanti n° 160 S. Dalmazio, Abitanti n° 279 Ginestreto, Abitanti n° 74 S. Mamiliano, Abitanti n° 360 S. Eugenia, Abitanti n° 264 Collanza, Abitanti n° 132 Fogliano, Abitanti n° 126 Busciano, Abitanti n° 348 Casciano delle Muse, Abitanti n° 430 Cuna, Abitanti n° 172 Recciano, Abitanti n° 201 Isola di Val dâArbia, Abitanti n° 91 Pieve al Bozzone, Abitanti n° 263 Terransano, Abitanti n° 170 Salteano, Abitanti n° 109 Poggiolo, Abitanti n° 204 S. Maria a Tressa, Abitanti n° 171 Cellole, Abitanti n° 352 SS. Matteo e Teodoro, Abitanti n° 251 S. Angelo in Tressa, Abitanti n° 125 Maggiano, Abitanti n° 206 Presciano, Abitanti n° 145 Tolfe, Abitanti n° 49 S, Petronilla, Abitanti n° 512 Monsindoli, Abitanti n° 174 Uopini, Abitanti n° 257 Marciano, Abitanti n° 450 Monteliscaj, Abitanti n° 256 S. Colomba, Abitanti n° 315 Vico Bello e Monte Chiaro, Abitanti n° 174 S. Reina, Abitanti n° 200 Colle Malemerenda, Abitanti n° 111 Val di Pugna, Abitanti n° 257 TOTALE, Abitanti n° 8704 QUADRO della Popolazione della COMUNITAâ DEL TERZO DI CITTAâ a cinque epoche diverse.
- nome del luogo: Casciano con lâannesso di Galignano, titolo della chiesa: SS. Giusto e Clemente (Pieve), abitanti anno 1640 n° 96 (Casciano) e n° 50 (Galignano), abitanti anno 1745 n° 430, abitanti anno 1833 n° 436, abitanti anno 1840 n° 532, abitanti anno 1843 n° 560 - nome del luogo: S. Dalmazio (1), titolo della chiesa: S.
Dalmazio (Cura), abitanti anno 1640 n° 90, abitanti anno 1745 n° 279, abitanti anno 1833 n° 440, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Fogliano, titolo della chiesa: S.
Giovanni Battista (Prepositura), abitanti anno 1640 n° 94, abitanti anno 1745 n° 126, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 150, abitanti anno 1843 n° 151 - nome del luogo: Ginestreto, titolo della chiesa: S.
Donato (Cura), abitanti anno 1640 n° 77, abitanti anno 1745 n° 74, abitanti anno 1833 n° 81, abitanti anno 1840 n° 79, abitanti anno 1843 n° 81 - nome del luogo: Marciano con gli annessi di Fonte Becci e di S. Martino (*), titolo della chiesa: SS. Pietro e Paolo ed Antonino (Cura), abitanti anno 1640 n° 198 e n° 56, abitanti anno 1745 n° 450, abitanti anno 1833 n° 421, abitanti anno 1840 n° 424, abitanti anno 1843 n° 441 - nome del luogo: Monistero, o Munistero , titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 292, abitanti anno 1745 n° 465, abitanti anno 1833 n° 493, abitanti anno 1840 n° 493, abitanti anno 1843 n° 505 - nome del luogo: Monsindoli e Trojola (*), titolo della chiesa: S. Pietro (Cura), abitanti anno 1640 n° 162, abitanti anno 1745 n° 174, abitanti anno 1833 n° 231, abitanti anno 1840 n° 238, abitanti anno 1843 n° 240 - nome del luogo: Montecchio con lâannesso della Costa al Pino, titolo della chiesa: S. Andrea (Cura), abitanti anno 1640 n° 245, abitanti anno 1745 n° 351, abitanti anno 1833 n° 448, abitanti anno 1840 n° 453, abitanti anno 1843 n° 436 - nome del luogo: S. Petronilla a Camullia (*), titolo della chiesa: S. Petronilla (Cura), abitanti anno 1640 n° 132, abitanti anno 1745 n° 512, abitanti anno 1833 n° 551, abitanti anno 1840 n° 518, abitanti anno 1843 n° 552 - nome del luogo: Terrensano con lâannesso di Certano, titolo della chiesa: SS. Lorenzo e Michele (Cura), abitanti anno 1640 n° 171, abitanti anno 1745 n° 170, abitanti anno 1833 n° 176, abitanti anno 1840 n° 189, abitanti anno 1843 n° 201 - nome del luogo: Tressa e Fonte Benedetta, titolo della chiesa: S. Maria (Cura), abitanti anno 1640 n° 175, abitanti anno 1745 n° 171, abitanti anno 1833 n° 338, abitanti anno 1840 n° 172, abitanti anno 1843 n° 405 - nome del luogo: Tufi con lâannesso di S. Apollinare e S.
Teodoro, titolo della chiesa: SS. Matteo e Margherita (Cura), abitanti anno 1640 n° 257, abitanti anno 1745 n° 251, abitanti anno 1833 n° 319, abitanti anno 1840 n° 341, abitanti anno 1843 n° 339 - nome del luogo: Uopini, titolo della chiesa: SS.
Marcellino ed Erasmo (Cura), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 257, abitanti anno 1833 n° 335, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Volte (*), titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 62, abitanti anno 1745 n° 103, abitanti anno 1833 n° 174, abitanti anno 1840 n° 149, abitanti anno 1843 n° 148 - Totale abitanti anno 1640: n° 3879 - Totale abitanti anno 1745: n° 2263 - Totale abitanti anno 1833: n° 4443 - Totale abitanti anno 1840: n° 3943 - Totale abitanti anno 1843: n° 4059 N.B. Le parrocchie segnate di (1) nelle ultime due epoche spettavano ad altre Comunità , e quelle con (*) mandavano fuori di questa Comunità - anno 1840: abitanti n° 429 - anno 1843: abitanti n° 610 - RESTANO abitanti anno 1840: n° 3533 - RESTANO abitanti anno 1843: n° 3449 Altronde entravano in questa Comunità dalle parrocchie limitrofe - anno 1840: abitanti n° 573 - anno 1843: abitanti n° 582 - TOTALE abitanti anno 1840: n° 4106 - TOTALE abitanti anno 1843: n° 4031 SIENA, COMUNITà DEL TERZO S. MARTINO II territorio di questa seconda Comunità suburbana abbraccia una superficie di 10,808 quadrati, dei quali 557 quadrati spettano a corsi acqua ed a pubbliche strade.
Nel 1833 vi stanziavano 4434 abitanti, a proporzione di quasi 328 individui per ogni miglio toscano quadrati di suolo imponibile.
Il territorio di questa ComunitĂ nella sua maggior lunghezza da settentrione a ostro è di gradi 0° 6' 50" longitudine, a partire dallo scontro della strada della Castellina del Chianti col torrente Bozzone sino al Ponte di Tressa, e da ponente a levante di gradi 0° 7â 30" latitudine dalla Fonte Becci allâ estremitĂ dell' insenatura dell'Arbia dirimpetto alla cosĂŹ detta Casanuova. Confina con il territorio di quattro ComunitĂ . Dalla parte di libeccio e di ponente tocca le mura castellane di Siena, a partire dalla Porta Romana sino a quella di Camollia, da questâultima sino a Fonte Becci mediante la strada postale Fiorentina ha dirimpetto a ponente la ComunitĂ del Terzo di CittĂ . A Fonte Becci trova il territorio comunitativo di Monteriggioni, col quale fronteggia di faccia a maestrale lungo la strada della Castellina del Chianti sino al torrente Bozzone, dove sottentra dirimpetto a grecale la ComunitĂ di Castelnuovo Berardenga, con il di cui territorio cammina di conserva dirimpetto a settentrione mediante il torrente Bozzone tinche entra nella via di Castelnuovo Berardenga, e lungh'essa si accompagnano entrambe nell' Arbia , dove voltando la fronte a levante la nostra arriva col detto fiume alla confluenza del torrente Tressa. CosĂŹ dirimpetto a libeccio viene la ComunitĂ del Terzo di CittĂ , con la quale l'altra del Terzo di S. Martino arriva alla Porta Romana per rasentare le mura di Siena sino alla Porta di Camollia.
Il territorio di questa al pari dell'altra Comunità del Terzo di Città , venne accresciuto dalla legge del 2 giugno 1777 nel tempo che restò soppressa l'altra Comunità del Terzo di Camollia; nella quale circostanza, come dissi, si aggregarono a questa del Terzo di S. Martino, oltre venti comunelli delle antiche sue Masse, altri sette ch'erano stati del Terzo di Camollia.
I primi venti comunelli delle Masse del Terzo S. Martino appellavansi: 1. Abbadia a Alfiano; 2. Arbiola; 3. S.
Angelo in Tressa; 4. Borgo Vecchio; 5. Bulciano; 6.
Cuna; 7. Colle Malemerenda; 8. S. Mamiliano; 9. S.
Giovanni a Collana 10. S. Eugenia; 1 1 . isola; 12. S.
Giorgio a Lapi; 1 3 . Maggiano; 1 4 . S. Pietro a Paterno; 1 5 . S. Stefano a Pecorile; 16. Salteano; 17.
S. Reina; 18 . Vignano; 19. Val di Pugna; 20. e Usinina. â I sette comunelli aggiunti furono: 1.
Recciano; 2. S. Giorgio a Papajano; 3. Cap raja; 4.
Tolfe; 5. Monteliscaj; 6. Cellole; 7. S. Miniato.
La ComunitĂ delle Masse del Terzo S. Martino ha dirimpetto a maestrale le colline di Vico, del Castagno, o del Colombajo, di Capraja, e di Vignano, nel centro sono le colline del Poggio a Pini, della Certosa e di Valli, a levante e a scirocco le colline di Monte-Chiaro, di Maggiano e di Presciano.
Fra i maggiori corsi d'acqua si conta il fiume Arbia che a scirocco ne lambisce i confini, ed i torrenti Bozzone, Bolgione e Riluogo. Quest'ultimo scorre parallelo al torrente Bolgione che resta al suo grecale.
Fra le vie regie che rasentano, ossia che attraversano il territorio di questa ComunitĂ , si contano due strade postali, la Fiorentina, cioè, che dalla Fonte Becci entra in Siena per Porta Camullia, e la Romana che esce dalla Porta di questo nome sino al Ponte a Tressa. Sono regie non postali la strada Aretina, a partire dalla Porta Pispini, o di Sanvieni, fino sullâArbia, oltre la strada provinciale Lauretana; tutte le altre vie rotabili sono comunitative.
Lâindole del suolo che copre la superficie delle colline a grecale di Siena può dirsi nella massima parte analogo a quello degli sproni di tufo calcare -siliceo alternato da banchi ghiajosi sui quali risiede la cittĂ .
Peraltro coteste colline ghiajose di tufo terziario marino tramezzate da banchi poudinga di grossa ghiaja e di ciottoli di calcare compatto, dal lato di levante e scirocco della cittĂ si perdono gradatamente di vista a proporzione che uno si avvicina allâArbia. AvvegnachĂŠ in cotesta parte il terreno cambia aspetto e natura, mentre invece di tufo calcare-siliceo, o di sabbione sparso di banchi di ciottoli, si scuopre ad esso sottostante una marna terziaria marina (crete senesi) poco opportuna allâindustria agricola, mentre nel sovrastante tufo, o sabbione prosperano gli ulivi e le viti, ed è in coteste superiori colline dove risiedono le ville, alle quali i Senesi sogliono fare frequenti visite e lunghe stazioni, allettati dall' amenitĂ deâsiti, dalla vicinanza alla cittĂ , non che dalla temperatura e salubritĂ del clima.
Tali sono, la grandiosa villa di Vico Bello de'marchesi Chigi, di Monte Chiaro de'signori Bianchi, di Maggiano de'signori Finetti, del Poggio a Pini del conte Vecchi, di Presciano del conte Pieri, di Solaja de'signori Clementini, del Serraglio de'signori Taja e la villa Lodoli, giĂ Venturi-Gallerani, a S. Reina architettata dal Peruzzi ecc.
Fra le chiese e conventi meritano di essere distinti quello dell'Osservanza nella collina di Capraja, la soppressa Certosa di Pontignano per la grandiosa clausura, per il vasto fabbricato e per la copia de'marmi; l'altra chiesa della Certosa di Maggiano, attualmente ridotta ad uso di parrocchia.
Senza possedere in una stessa tenuta il tufo calcare-siliceo delle colline superiori, non si potrebbero bonificare le sottostanti biancane, donde per altro si ottengono vini spiritosi, ottime granaglie, e saporite pasture al bestiame pecorino, talchĂŠ i casci delle crete senesi per sapore e delicatezza si accostano ai casci notissimi di Lucardo. â Vedere. ASCIANO e BARBERINO DI VAL DâELSA, ComunitĂ .
QUADRO della Popolazione della COMUNITAâ DEL TERZO DI S. MARTINO a cinque epoche diverse.
- nome del luogo: al Bozzone (1), titolo della chiesa: S.
Giovanni (Pieve), abitanti anno 1640 n° - , abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 190, abitanti anno 1843 n° 206 - nome del luogo: Cellole con lâannesso di S. Maria a Cellole (2), titolo della chiesa: S. Martino (Pieve), abitanti anno 1640 n° 164, abitanti anno 1745 n° 352, abitanti anno 1833 n° 357, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Collanza senza il suo annesso di Medane Spennazzi (2), titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), abitanti anno 1640 n° 72, abitanti anno 1745 n° 66, abitanti anno 1833 n° 121, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Colle Malamerenda con lâannesso di Borgo Vecchio (*), titolo della chiesa: SS. Simone e Giuda (Pieve), abitanti anno 1640 n° 74, abitanti anno 1745 n° 111, abitanti anno 1833 n° 125, abitanti anno 1840 n° 145, abitanti anno 1843 n° 135 - nome del luogo: Cuna (2), titolo della chiesa: SS.
Giacomo e Cristofano (Pieve), abitanti anno 1640 n° 136, abitanti anno 1745 n° 304, abitanti anno 1833 n° 356, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Monistero, o Munistero , titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 292, abitanti anno 1745 n° 465, abitanti anno 1833 n° 493, abitanti anno 1840 n° 493, abitanti anno 1843 n° 505 - nome del luogo: S. Eugenia, titolo della chiesa: S.
Eugenia (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 104, abitanti anno 1745 n° 264, abitanti anno 1833 n° 353, abitanti anno 1840 n° 272, abitanti anno 1843 n° 249 - nome del luogo: Isola in Val dâArbia, titolo della chiesa: S. Ilaio (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 98, abitanti anno 1745 n° 91, abitanti anno 1833 n° 139, abitanti anno 1840 n° 129, abitanti anno 1843 n° 129 - nome del luogo: Maggiano, titolo della chiesa: S.
Niccolò (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 196, abitanti anno 1745 n° 206, abitanti anno 1833 n° 293, abitanti anno 1840 n° 306, abitanti anno 1843 n° 309 - nome del luogo: Monte Liscaj con lâannesso di S.
Giorgio ai Lupi (*), titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 145, abitanti anno 1745 n° 256, abitanti anno 1833 n° 295, abitanti anno 1840 n° 299, abitanti anno 1843 n° 304 - nome del luogo: Osservanza nel Colle di Capraja, titolo della chiesa: S. Bernardino (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 163, abitanti anno 1745 n° 160, abitanti anno 1833 n° 196, abitanti anno 1840 n° 282, abitanti anno 1843 n° 309 - nome del luogo: Paterno, titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 111, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 128, abitanti anno 1840 n° 136, abitanti anno 1843 n° 141 - nome del luogo: Ponte a Tressa (*), titolo della chiesa: S. Angelo (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 95, abitanti anno 1745 n° 125, abitanti anno 1833 n° 247, abitanti anno 1840 n° 165, abitanti anno 1843 n° 158 - nome del luogo: Presciano (1) (*), titolo della chiesa: S.
Paolo (Rettoria), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 399, abitanti anno 1843 n° 419 - nome del luogo: S. Regina, titolo della chiesa: S. Regina (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 160, abitanti anno 1745 n° 200, abitanti anno 1833 n° 285, abitanti anno 1840 n° 275, abitanti anno 1843 n° 284 - nome del luogo: Tolfe, titolo della chiesa: S. Paterniano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 36, abitanti anno 1745 n° 49, abitanti anno 1833 n° 153, abitanti anno 1840 n° 148, abitanti anno 1843 n° 146 - nome del luogo: Val di Pugna con gli annessi di Alfiano e di Bulciano, titolo della chiesa: S. Tommaso, SS. Trinità e S. Maria (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 216, abitanti anno 1745 n° 267, abitanti anno 1833 n° 397, abitanti anno 1840 n° 402, abitanti anno 1843 n° 427 - nome del luogo: Valli (*), titolo della chiesa: S.
Mamiliano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 425, abitanti anno 1745 n° 360, abitanti anno 1833 n° 604, abitanti anno 1840 n° 689, abitanti anno 1843 n° 618 - nome del luogo: Vico dâArbia con lâannesso di Montechiaro (1), titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 225, abitanti anno 1843 n° 235 - nome del luogo: Vignano con gli annessi di Pecorile e Papajano, titolo della chiesa: S. Agnese e S. Stefano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 327, abitanti anno 1745 n° 331, abitanti anno 1833 n° 385, abitanti anno 1840 n° 412, abitanti anno 1843 n° 420 - Totale abitanti anno 1640: n° 2522 - Totale abitanti anno 1745: n° 3142 - Totale abitanti anno 1833: n° 4434 - Totale abitanti anno 1840: n° 4474 - Totale abitanti anno 1843: n° 4492 N.B. Le parrocchie contrassegnate con la nota (1) nelle prime tre epoche spettavano ad altre ComunitĂ . Altronde quelle segnate di nota (2) nelle ultime due epoche entrarono in questa ed escirono da altre ComunitĂ .
Annessi provenienti da parrocchie situate fuori di questa ComunitĂ che nelle ultime due epoche penetravano in questa dal Terzo di S. Martino - anno 1840: abitanti n° 407 - anno 1843: abitanti n° 617 - TOTALE abitanti anno 1840: n° 4881 - TOTALE abitanti anno 1843: n° 5109 Altronde nelle ultime due epoche dalle parrocchie di sopra segnate con lâasterisco (*) escivano da questa ComunitĂ - anno 1840: abitanti n° 578 - anno 1843: abitanti n° 691 - RESTANO abitanti anno 1840: n° 4303 - RESTANO abitanti anno 1843: n° 4418 DIOCESI DI SIENA â Fra le tante opinioni emesse da sommi scrittori sullâorigine del vescovato e Diocesi di Siena, mi sembra la piĂš ragionevole quella che ha dato a cotesta cittĂ un vescovo avanti la discesa de' Longobardi in Italia. Avvegnachè, se dalla famosa questione fra il vescovo di Siena e quello di Arezzo, incominciata fino dal 712 , si rileva che il primo vescovo restituito a Siena dopo l'ingresso de' Longobardi in Toscana appellavasi Mauro; e che questi reggeva la chiesa sanese sotto il regno di Rotari, non ne consegue che innanzi la venuta deâ Longobardi in Toscana i Sanesi non potessero avere il loro vescovo. Infatti sembra che ciò dichiarasse il prelato aretino Luperziano nella controversia suddetta quando, nel 715 , affermava che sino dal tempo antico, ed innanzi la venuta de'Longobardi, Siena aveva avuto vescovo proprio.
Con tale ingenua confessione pertanto ogni discreto lettore si persuaderĂ che il vescovo Eusebio, il quale assistè, nel 465, sotto il Pontefice Ilario al concilio romano, dove si firmò Episcopus Senensis, fosse vescovo di Siena in Toscana piuttosto che di Sinigallia sulle coste dellâAdriatico.
Checche ne sia, ho giĂ protestato, che non intendo risalire con ciò, nĂŠ a quel Luciferio che lâUghelli e molti storici sanesi supposero il primo vescovo di Siena verso il 306 dell' Era cristiana, nĂŠ io pretendo rimontare ai primi tempi in cui il popolo sanese da S. Ansano fu redento con l'acque battesimali. Molto meno sarebbe impresa dâoggidĂŹ, dopo che ne'secoli scorsi per tanti altri riesci opera perduta il rintracciare lâantico perimetro della Diocesi di Siena.
ImperocchĂŠ, se dovessimo tenere per vera lâopinione esternata dal Borghini e da altri, che i confini antichi della diocesi civile di una cittĂ servissero di norma a quelli della sua diocesi ecclesiastica, bisognerebbe concludere, essere stato giusto il reclamo dei vescovi di Siena contro quelli di Arezzo, stato piĂš volte, sebbene con poco successo, rinnovato, a meno che si debba credere che quando la fede di G. Cristo fu abbracciata in Toscana le giurisdizioni ecclesiastiche non corrispondessero piĂš con quelle politiche. â Vedere FIRENZE e LUCCA, DIOCESI.
Comunque sia di ciò, certo è che Mauro vescovo di Siena eletto nei 637 o 638 dell'Era cristiana, intervenne al concilio lateranense del 649. L' Ughelli nella sua Italia sacra in Episcopis Senensibus fece succedere a Mauro nel 658 il vescovo Andrea, a questi nel 670 Gualterano, a lui nel 674 Gerardo, indi Vitaliano che intervenne al sesto concilio romano sotto il Pontefice Agatone nel 679.
Quindi non so con quanta veritĂ quellâautore facesse succedere a Vitaliano nel 689 un vescovo Lupo, e ad esso Caurisio nel 722, mentre fu omesso Magno II stato vescovo di Siena tra il 700 ed il 703 come dai deposti dei testimoni esaminati nella lite del 715 rilevasi.
Rispetto poi alla giurisdizione civile sotto i Longobardi, una buona porzione di territorio sanese, spettante fino d'allora ai diocesani di Arezzo, dipendeva dai gastaldi politici della città di Siena; ed Ê egualmente cosi indubitata, che nello stato attuale il perimetro della Diocesi sanese è uno dei piÚ piccoli vescovati antichi della Toscana. Es sendochÊ i suoi confini, dalla parte di levante, di grecale e di maestrale della città , appena arrivano alle 4 miglia, e di poco lo stesso perimetro oltrepassa le sette miglia dalla parte di ponente e di settentrione.
La porzione piĂš estesa della Diocesi ecclesiastica di Siena comparisce nella direzione di ostro sotto la confluenza dell'Arbia fino passata quella della Merse nell'Ombrone sanese.
Donde ne consegue, che se cotesta Diocesi nella direzione di settentrione a ostro si dilata in una lunghezza di oltre 30 miglia toscane, altronde la sua maggiore larghezza da levante a ponente non arriva alle 20 miglia toscane, avvertendo che la porzione piĂš stretta trovasi appunto nei contorni della sua cattedrale.
Con tuttochĂŠ la Diocesi di Arezzo si estendesse fra lâOmbrone e la Chiana, fra l'Asso e lâOrcia, abbracciando gran parte del territorio politico sanese, ciò non ostante questa di Siena è stata posteriormente decimata, allorchĂŠ nel 1592 il Pontefice Clemente VIII eresse in Diocesi quella di Colle, togliendole dalla parte di settentrione il piviere di S. Agnese sopra Poggibonsi e quello di Lijiano del Chianti, mentre a ponente della cittĂ staccò da questa stessa diocesi il piviere di Marmoraja nella Montagnuola di Siena.. â Vedere COLLE (DIOCESI DI).
La chiesa vescovile senese fa eretta in metropolitana nell'aprile del 1459 dal Pontefice Pio II con bolla data in Siena, dove allora era vescovo il monaco Camaldolense Antonio Tedeschini nei Piccolomini della famiglia del Pontefice, il qual nuovo arcivescovo fu nel tempo stesso decorato del pallio per se e per tutti i suoi successori. Con la bolla stessa vennero assegnati per suffraganei al nuovo metropolitano i vescovi di Chiusi, di Grosseto e di Massa Marittima.
Dopo la lite piÚ volte accesa fra i diocesani Aretini e Senesi una delle bolle concistoriali piÚ antiche comparse, in cui si trovano rammentate le chiese battesimali della Diocesi di Siena, reputo quella data in Laterano li 20 aprile del 1189, che il Pontefice Clemente III diresse a Buono vescovo di Siena, cui confermò non meno di 26 chiese battesimali con molte cappelle e loro pertinenze, cioè: la Pieve di S. Agnese, quelle Lil iano , di Lontano , di Asciata, del Bozzone , di S. Martino in Grania , di S. Cristina a Lucignano d'Arbia, di Sprenna; di S. Nazzario, di Saturniano (forse Saltennano) di Ancajano (o Mont'Antico) di Monte Godano, (ora Case-Nuovole) S. Giorgio in Vallona, (ignota) la pieve Coppiano, o di Monte Pescini , quella S . Innocenza , le pievi di Carli, di Murlo, di Creoli, di S. Cristina in Cajo, le chiese di S . Maria nel borgo di S. Quirico, di Casciano (di Murlo) e dÏ Maria in Tressa, le pievi di Corsano , Ricenza, di Rosia , di Pentolia,, di Sovicille, di Fogliano, di S.
Giusto a Casciano (delle Masse) e di Marmoraja.
Sono state qui omesse le pievi di Oppiano e di ÂŤS.
Valentino (forse a Monte Follonico) come quelle che allora dipendevano ed erano comprese nell'antica Diocesi Arezzo, e però da doversi escludere da questa di Siena, seppure non erano quelle due altre pievi a me ignote.
Egualmente ignota mi resta la pieve di S. Nazario, non potendola equivocare con la parrocchia di S. Nazzario di Chiusure in ComunitĂ di Buonconvento, che fu della Diocesi aretina, e ora di quella di Pienza.
Esistevano nella Diocesi senese nell'anno 1745 numero 118 chiese parrocchiali, riunite attualmente in 111 parrocchie, 16 delle quali dentro le mura di Siena e 95 repartite per la campagna in undici vicariati foranei, siccome apparisce dal Quadro sinottico qui appresso registrato.
La Diocesi di Siena oltre la metropolitana con un capitolo di canonici mitrati, sei dignitĂ canonicali ed un numero di mansionarj, di cappellani e di chierici, conta dentro la cittĂ un'insigne collegiata nella chiesa di S. Maria di Provenzano, ed un seminario vescovile con tre conservatorj, 4 mo nasteri di donne, ed uno di monaci, sei fraterie, quattro delle quali in cittĂ , e due nei suburbj delle Masse.
Ma i monasteri in cotesta città nei secoli trascorsi erano talmente numerosi e popolati che per raffrenare tanta mania vi fu bisogno perfino di un breve pontificio, il di cui originale conservasi nell' Arch. Dipl. San. (Tomo XXVII delle Pergamene N° 2123).
à una bolla data in Roma li 27 aprile 1463, anno V del pontificato di Papa Pio II, con la quale il Pontefice nominato inibÏ di fabbricare nuovi monasteri nella città e subborghi di Siena poichÊ, dice la bolla, ve ne erano piÚ di quello che fosse conveniente, e di tanti ordini di religioni, ed in tanto numero che non vi si poteva conservare la castità claustrale; perciò Pio II dava ordine al vescovo di Siena di dover sopprimere quei monasteri che credesse meglio con le respettive dignità abbaziali, e che si riunisse con i loro beni e famiglie ad altri monasteri nel modo che avesse conosciuto piÚ conveniente.
QUADRO SINOTTICO delle Parrocchie della DIOCESI DI SIENA repartite nei 12 Vicariati foranei con la loro popolazione a cinque epoche diverse Nome del piviere: PIEVE MAGGIORE DELLA CITTAâ DI SIENA e sue chiese parrocchiali N.B. In cotesto piviere maggiore dalla seconda allâultima epoca furono soppresse sei parrocchie, e quattro traslatate in altre chiese superstiti 1. S. Giovanni Battista (Pieve) con lâannesso di S.
Desiderio, compreso lo Spedale della Scala popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1887 popolazione anno 1833: abitanti n° 1986 popolazione anno 1840: abitanti n° 1977 popolazione anno 1843: abitanti n° 2537 2. S. Andrea con porzione della cura deâSS. Vincenzio e Anastasio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 453 popolazione anno 1833: abitanti n° 620 popolazione anno 1840: abitanti n° 632 popolazione anno 1843: abitanti n° 678 3. S. Antonio Abate popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 750 popolazione anno 1833: abitanti n° 858 popolazione anno 1840: abitanti n° 801 popolazione anno 1843: abitanti n° 892 4. S. Clemente nella SS. Concezione dei Servi popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 533 popolazione anno 1833: abitanti n° 840 popolazione anno 1840: abitanti n° 911 popolazione anno 1843: abitanti n° 1060 5. S. Cristofano popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 530 popolazione anno 1833: abitanti n° 971 popolazione anno 1840: abitanti n° 1007 popolazione anno 1843: abitanti n° 1007 6. S. Donato in S. Michele alla Badia nuova popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1383 popolazione anno 1833: abitanti n° 1589 popolazione anno 1840: abitanti n° 1694 popolazione anno 1843: abitanti n° 1660 7. S. Martino con porzione del popolo di S. Giorgio soppresso nel 1783 e la nazione Israelitica popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 2499 popolazione anno 1833: abitanti n° 2589 popolazione anno 1840: abitanti n° 2422 popolazione anno 1843: abitanti n° 2502 8. S. Maurizio in S. Spirito con porzione del soppresso popolo di S. Giorgio al Seminario popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1320 popolazione anno 1833: abitanti n° 1538 popolazione anno 1840: abitanti n° 1672 popolazione anno 1843: abitanti n° 1619 9. S. Pellegrino nella Sapienza popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 606 popolazione anno 1833: abitanti n° 782 popolazione anno 1840: abitanti n° 837 popolazione anno 1843: abitanti n° 803 10. S. Pietro in Castelvecchio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 652 popolazione anno 1833: abitanti n° 971 popolazione anno 1840: abitanti n° 1072 popolazione anno 1843: abitanti n° 1107 11. S. Pietro Bujo in S. Giovannino in Pantaneto popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 295 popolazione anno 1833: abitanti n° 387 popolazione anno 1840: abitanti n° 458 popolazione anno 1843: abitanti n° 458 12. S. Pietro alla Magione con porzione del popolo soppresso deâSS. Vincenzio e Anastasio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 484 popolazione anno 1833: abitanti n° 518 popolazione anno 1840: abitanti n° 619 popolazione anno 1843: abitanti n° 648 13. S. Pietro a Ovile popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1115 popolazione anno 1833: abitanti n° 1552 popolazione anno 1840: abitanti n° 1649 popolazione anno 1843: abitanti n° 1614 14. S. Quirico in Castelvecchio con lâannesso di S.
Marco, e parte del popolo di S. Mustiola alla Rosa popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1475 popolazione anno 1833: abitanti n° 2029 popolazione anno 1840: abitanti n° 2139 popolazione anno 1843: abitanti n° 1950 15. S. Salvatore in S. Agostino con la porzione del popolo di S. Mustiola popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1024 popolazione anno 1833: abitanti n° 1063 popolazione anno 1840: abitanti n° 1104 popolazione anno 1843: abitanti n° 1117 16. S. Stefano alla Lizza con gli annessi di S. Barbera in Fortezza e porzione della cura deâSS. Vincenzio e Anastasio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 535 popolazione anno 1833: abitanti n° 520 popolazione anno 1840: abitanti n° 650 popolazione anno 1843: abitanti n° 681 I. VICARIATO DI CASCIANO DELLE MASSE Nome del luogo: Casciano delle masse con lâannesso di Galognano e Agostoli 17. SS. Giusto e Clemente (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 248 popolazione anno 1745: abitanti n° 430 popolazione anno 1833: abitanti n° 436 popolazione anno 1840: abitanti n° 532 popolazione anno 1843: abitanti n° 560 Nome del luogo: Valle 18. S. Mamiliano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 425 popolazione anno 1745: abitanti n° 360 popolazione anno 1833: abitanti n° 604 popolazione anno 1840: abitanti n° 689 popolazione anno 1843: abitanti n° 618 Nome del luogo: Terrenzano e Cortano 19. S. Lorenzo e S. Michele (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 171 popolazione anno 1745: abitanti n° 170 popolazione anno 1833: abitanti n° 176 popolazione anno 1840: abitanti n° 189 popolazione anno 1843: abitanti n° 201 Nome del luogo: in Tressa e Fonte Benedetta 20. S. Maria (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 175 popolazione anno 1745: abitanti n° 171 popolazione anno 1833: abitanti n° 338 popolazione anno 1840: abitanti n° 396 popolazione anno 1843: abitanti n° 405 Nome del luogo: S. Dalmazio 21. S. Dalmazio (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 60 popolazione anno 1745: abitanti n° 279 popolazione anno 1833: abitanti n° 440 popolazione anno 1840: abitanti n° 353 popolazione anno 1843: abitanti n° 400 Nome del luogo: Uopini 22. SS. Marcellino, Pietro ed Erasmo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 65 popolazione anno 1745: abitanti n° 257 popolazione anno 1833: abitanti n° 335 popolazione anno 1840: abitanti n° 325 popolazione anno 1843: abitanti n° - Nome del luogo: S. Petronilla 23. S. Petronilla (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 132 popolazione anno 1745: abitanti n° 512 popolazione anno 1833: abitanti n° 551 popolazione anno 1840: abitanti n° 518 popolazione anno 1843: abitanti n° 552 Nome del luogo: Maggiano 24. S. Niccolò (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 196 popolazione anno 1745: abitanti n° 206 popolazione anno 1833: abitanti n° 293 popolazione anno 1840: abitanti n° 306 popolazione anno 1843: abitanti n° 309 Nome del luogo: Marciano e Fonte Becci 25. SS. Pietro e Paolo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 310 popolazione anno 1745: abitanti n° 450 popolazione anno 1833: abitanti n° 421 popolazione anno 1840: abitanti n° 424 popolazione anno 1843: abitanti n° 441 Nome del luogo: al Munistero 26. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 298 popolazione anno 1745: abitanti n° 465 popolazione anno 1833: abitanti n° 495 popolazione anno 1840: abitanti n° 493 popolazione anno 1843: abitanti n° 505 Nome del luogo: Tufi con tre annessi 27. S. Matteo con i SS. Apollinare, Teodoro e Margherita popolazione anno 1640: abitanti n° 257 popolazione anno 1745: abitanti n° 251 popolazione anno 1833: abitanti n° 319 popolazione anno 1840: abitanti n° 341 popolazione anno 1843: abitanti n° 339 Nome del luogo: Santa Colomba 28. S. Pietro (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 311 popolazione anno 1745: abitanti n° 315 popolazione anno 1833: abitanti n° 456 popolazione anno 1840: abitanti n° 352 popolazione anno 1843: abitanti n° 427 N.B. Nel Vicariato di Casciano delle Masse dalla prima allâultima epoca furono soppresse sei cure II. VICARIATO DEL BOZZONE Nome del luogo: Bozzone e Larniano 29. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 128 popolazione anno 1745: abitanti n° 263 popolazione anno 1833: abitanti n° 171 popolazione anno 1840: abitanti n° 190 popolazione anno 1843: abitanti n° 206 Nome del luogo: Paterno 30. SS. Pietro e Paolo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 111 popolazione anno 1745: abitanti n° 108 popolazione anno 1833: abitanti n° 128 popolazione anno 1840: abitanti n° 136 popolazione anno 1843: abitanti n° 141 Nome del luogo: Vignano con Pecorile e Papajano 31. S. Agnese (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 327 popolazione anno 1745: abitanti n° 331 popolazione anno 1833: abitanti n° 385 popolazione anno 1840: abitanti n° 412 popolazione anno 1843: abitanti n° 420 Nome del luogo: Osservanza al Colle di Capraja 32. S. Bernardino, giĂ S. Maria (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 163 popolazione anno 1745: abitanti n° 160 popolazione anno 1833: abitanti n° 196 popolazione anno 1840: abitanti n° 282 popolazione anno 1843: abitanti n° 309 Nome del luogo: Monteliscaj, con S. Giorgio a Lapi 33. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 145 popolazione anno 1745: abitanti n° 256 popolazione anno 1833: abitanti n° 295 popolazione anno 1840: abitanti n° 299 popolazione anno 1843: abitanti n° 304 Nome del luogo: Tolfe 34. S. Paterniano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 36 popolazione anno 1745: abitanti n° 49 popolazione anno 1833: abitanti n° 153 popolazione anno 1840: abitanti n° 148 popolazione anno 1843: abitanti n° 149 Nome del luogo: Presciano 35. S. Paolo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 103 popolazione anno 1745: abitanti n° 145 popolazione anno 1833: abitanti n° 275 popolazione anno 1840: abitanti n° 399 popolazione anno 1843: abitanti n° 419 Nome del luogo: Val di Pugna, Badia Alfiano e Bulciano 36. S. Tommaso con SS. TrinitĂ e S. Maria (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 216 popolazione anno 1745: abitanti n° 267 popolazione anno 1833: abitanti n° 397 popolazione anno 1840: abitanti n° 402 popolazione anno 1843: abitanti n° 427 Nome del luogo: Reina 37. S. Regina (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 160 popolazione anno 1745: abitanti n° 200 popolazione anno 1833: abitanti n° 287 popolazione anno 1840: abitanti n° 275 popolazione anno 1843: abitanti n° 284 Nome del luogo: Vico dâArbia e Montechiaro 38. S. Pietro (Rettoria) popolazione anno 1640: abitanti n° 90 popolazione anno 1745: abitanti n° 174 popolazione anno 1833: abitanti n° 253 popolazione anno 1840: abitanti n° 225 popolazione anno 1843: abitanti n° 235 Nome del luogo: S. Eugenia 39. S. Eugenia (Rettoria) popolazione anno 1640: abitanti n° 104 popolazione anno 1745: abitanti n° 264 popolazione anno 1833: abitanti n° 353 popolazione anno 1840: abitanti n° 272 popolazione anno 1843: abitanti n° 149 III. VICARIATO DI BUONCONVENTO Nome del luogo: Buonconvento e Gaggiolo 40. SS. Pietro e Paolo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 149 popolazione anno 1745: abitanti n° 232 popolazione anno 1833: abitanti n° 409 popolazione anno 1840: abitanti n° 417 popolazione anno 1843: abitanti n° 422 Nome del luogo: Percenna 41. S. Lorenzo (Prepositura) popolazione anno 1640: abitanti n° 50 popolazione anno 1745: abitanti n° 255 popolazione anno 1833: abitanti n° 546 popolazione anno 1840: abitanti n° 607 popolazione anno 1843: abitanti n° 603 Nome del luogo: Castiglion del Bosco 42. S. Michele (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 35 popolazione anno 1745: abitanti n° 124 popolazione anno 1833: abitanti n° 179 popolazione anno 1840: abitanti n° 175 popolazione anno 1843: abitanti n° 174 Nome del luogo: Montauto Giuseppi, e Casal deâFrati 43. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 223 popolazione anno 1745: abitanti n° 206 popolazione anno 1833: abitanti n° 312 popolazione anno 1840: abitanti n° 274 popolazione anno 1843: abitanti n° 260 Nome del luogo: Sprenna a Seravalle 44. S. Lorenzo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 292 popolazione anno 1745: abitanti n° 273 popolazione anno 1833: abitanti n° 381 popolazione anno 1840: abitanti n° 416 popolazione anno 1843: abitanti n° 440 Nome del luogo: Abbadia Ardenga 45. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 76 popolazione anno 1833: abitanti n° 106 popolazione anno 1840: abitanti n° 119 popolazione anno 1843: abitanti n° 110 Nome del luogo: Piana e Saltennano 46. S. Innocenziana (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 264 popolazione anno 1745: abitanti n° 414 popolazione anno 1833: abitanti n° 591 popolazione anno 1840: abitanti n° 666 popolazione anno 1843: abitanti n° 609 Nome del luogo: Castel nuovo e Taneredi 47. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 81 popolazione anno 1745: abitanti n° 99 popolazione anno 1833: abitanti n° 119 popolazione anno 1840: abitanti n° 118 popolazione anno 1843: abitanti n° 127 Nome del luogo: Bibbiano Giuglieschi 48. S. Lorenzo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 307 popolazione anno 1745: abitanti n° 252 popolazione anno 1833: abitanti n° 360 popolazione anno 1840: abitanti n° 314 popolazione anno 1843: abitanti n° 268 N.B. Nel Vicariato di Buonconvento dalla prima allâultima epoca furono soppresse tre cure.
IV. VICARIATO DI CORSANO Nome del luogo: Corsano 49. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 91 popolazione anno 1745: abitanti n° 361 popolazione anno 1833: abitanti n° 472 popolazione anno 1840: abitanti n° 455 popolazione anno 1843: abitanti n° 508 Nome del luogo: Bagnaja e Lestine 50. SS. Vincenzio e Anastasio (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 109 popolazione anno 1745: abitanti n° 161 popolazione anno 1833: abitanti n° 188 popolazione anno 1840: abitanti n° 222 popolazione anno 1843: abitanti n° 209 Nome del luogo: Filetta e Faltignano 51. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 376 popolazione anno 1745: abitanti n° 186 popolazione anno 1833: abitanti n° 159 popolazione anno 1840: abitanti n° 172 popolazione anno 1843: abitanti n° 248 Nome del luogo: Radi di Creta 52. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 80 popolazione anno 1745: abitanti n° 147 popolazione anno 1833: abitanti n° 176 popolazione anno 1840: abitanti n° 178 popolazione anno 1843: abitanti n° 156 Nome del luogo: Campriano e S. Lazzerello 53. S. Giovanni Decollato e S. Lazzero (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 130 popolazione anno 1745: abitanti n° 118 popolazione anno 1833: abitanti n° 330 popolazione anno 1840: abitanti n° 178 popolazione anno 1843: abitanti n° 135 Nome del luogo: Pilli 54. S. Salvatore (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 176 popolazione anno 1745: abitanti n° 302 popolazione anno 1833: abitanti n° 442 popolazione anno 1840: abitanti n° 454 popolazione anno 1843: abitanti n° 442 Nome del luogo: Magnano 55. S. Giacomo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 71 popolazione anno 1745: abitanti n° 55 popolazione anno 1833: abitanti n° 78 popolazione anno 1840: abitanti n° 79 popolazione anno 1843: abitanti n° 71 V. VICARIATO DI MONTERIGGIONI Nome del luogo: Monteriggioni 56. S. Maria Assunta (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 260 popolazione anno 1745: abitanti n° 271 popolazione anno 1833: abitanti n° 348 popolazione anno 1840: abitanti n° 489 popolazione anno 1843: abitanti n° 430 Nome del luogo: Poggiolo 57. S. Maria Assunta (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 149 popolazione anno 1745: abitanti n° 204 popolazione anno 1833: abitanti n° 253 popolazione anno 1840: abitanti n° 259 popolazione anno 1843: abitanti n° 268 Nome del luogo: Lornano 58. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 75 popolazione anno 1745: abitanti n° 168 popolazione anno 1833: abitanti n° 194 popolazione anno 1840: abitanti n° 177 popolazione anno 1843: abitanti n° 176 Nome del luogo: Basciano 59. S. Giovanni Evangelista (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 110 popolazione anno 1745: abitanti n° 348 popolazione anno 1833: abitanti n° 449 popolazione anno 1840: abitanti n° 391 popolazione anno 1843: abitanti n° 368 Nome del luogo: Querce Grossa e Petrojo 60. S. Giacomo e S. Angelo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 121 popolazione anno 1745: abitanti n° 184 popolazione anno 1833: abitanti n° 261 popolazione anno 1840: abitanti n° 253 popolazione anno 1843: abitanti n° 243 Nome del luogo: Reciano e Chiocciola 61. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 324 popolazione anno 1745: abitanti n° 201 popolazione anno 1833: abitanti n° 277 popolazione anno 1840: abitanti n° 286 popolazione anno 1843: abitanti n° 287 Nome del luogo: Fungaia e al Colle 62. S. Michele e S. Lorenzo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 111 popolazione anno 1745: abitanti n° 152 popolazione anno 1833: abitanti n° 118 popolazione anno 1840: abitanti n° 131 popolazione anno 1843: abitanti n° 141 N.B. Nel vicariato di Monteriggioni dalla prima allâultima epoca furono soppresse tre chiese parrocchiali.
VI. VICARIATO DELLA CANONICA A CERRETO Nome del luogo: Canonica a Cerreto con Cerreto Ciampoli 63. S. Pietro (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 280 popolazione anno 1745: abitanti n° 285 popolazione anno 1833: abitanti n° 325 popolazione anno 1840: abitanti n° 394 popolazione anno 1843: abitanti n° 392 Nome del luogo: Pieve Asciata con Catignano e Selvoli 64. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 311 popolazione anno 1745: abitanti n° 365 popolazione anno 1833: abitanti n° 487 popolazione anno 1840: abitanti n° 623 popolazione anno 1843: abitanti n° 568 Nome del luogo: Cellule e Pontignano 65. SS. Martino e Miniato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 207 popolazione anno 1745: abitanti n° 352 popolazione anno 1833: abitanti n° 357 popolazione anno 1840: abitanti n° 373 popolazione anno 1843: abitanti n° 370 Nome del luogo: Cerreto 66. S. Giovanni (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 86 popolazione anno 1745: abitanti n° 96 popolazione anno 1833: abitanti n° 136 popolazione anno 1840: abitanti n° 137 popolazione anno 1843: abitanti n° 131 Nome del luogo: Vagliagli e Coschine 67. SS. Cristofano e Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 264 popolazione anno 1745: abitanti n° 335 popolazione anno 1833: abitanti n° 474 popolazione anno 1843: abitanti n° 472 N.B. Nel Vicariato della Canonica a Cerreto fra la prima e lâultima epoca furono soppressi quattro popoli.
VII. VICARIATO DI S. LORENZO A MERSE Nome del luogo: in Val di Merse 68. S. Lorenzo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 235 popolazione anno 1745: abitanti n° 125 popolazione anno 1833: abitanti n° 264 popolazione anno 1840: abitanti n° 262 popolazione anno 1843: abitanti n° 248 Nome del luogo: Recenza 69. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 66 popolazione anno 1745: abitanti n° 161 popolazione anno 1833: abitanti n° 244 popolazione anno 1840: abitanti n° 237 popolazione anno 1843: abitanti n° 218 Nome del luogo: Jesa 70. S. Michele (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 240 popolazione anno 1745: abitanti n° 252 popolazione anno 1833: abitanti n° 415 popolazione anno 1840: abitanti n° 421 popolazione anno 1843: abitanti n° 435 Nome del luogo: al Santo 71. SS. Jacopo e Filippo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 51 popolazione anno 1745: abitanti n° 71 popolazione anno 1833: abitanti n° 99 popolazione anno 1840: abitanti n° 98 popolazione anno 1843: abitanti n° 89 VIII. VICARIATO DI MONTERONI Nome del luogo: Monteroni con Arbiola 72. SS. Giusto e Donato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 251 popolazione anno 1745: abitanti n° 309 popolazione anno 1833: abitanti n° 369 popolazione anno 1840: abitanti n° 412 popolazione anno 1843: abitanti n° 390 Nome del luogo: Cuna 73. SS. Jacopo e Cristofano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 136 popolazione anno 1745: abitanti n° 172 popolazione anno 1833: abitanti n° 356 popolazione anno 1840: abitanti n° 327 popolazione anno 1843: abitanti n° 320 Nome del luogo: Quinciano 74. S. Albano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 44 popolazione anno 1745: abitanti n° 79 popolazione anno 1833: abitanti n° 134 popolazione anno 1840: abitanti n° 136 popolazione anno 1843: abitanti n° 127 Nome del luogo: Ponte a Tressa 75. S. Angelo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 95 popolazione anno 1745: abitanti n° 125 popolazione anno 1833: abitanti n° 247 popolazione anno 1840: abitanti n° 165 popolazione anno 1843: abitanti n° 158 Nome del luogo: Grania con Ponzano 76. S. Martino (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 78 popolazione anno 1745: abitanti n° 139 popolazione anno 1833: abitanti n° 159 popolazione anno 1840: abitanti n° 207 popolazione anno 1843: abitanti n° 205 Nome del luogo: Leonina con Ripa Medani 77. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 139 popolazione anno 1745: abitanti n° 211 popolazione anno 1833: abitanti n° 249 popolazione anno 1840: abitanti n° 262 popolazione anno 1843: abitanti n° 277 Nome del luogo: Isola dâArbia con Borgovecchio 78. S. Ilario (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 150 popolazione anno 1745: abitanti n° 91 popolazione anno 1833: abitanti n° 139 popolazione anno 1840: abitanti n° 129 popolazione anno 1843: abitanti n° 129 Nome del luogo: Colle Malamerenda 79. SS. Simone e Giuda (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 22 popolazione anno 1745: abitanti n° 111 popolazione anno 1833: abitanti n° 125 popolazione anno 1840: abitanti n° 145 popolazione anno 1843: abitanti n° 135 Nome del luogo: Collanza con Medane Spennazzi 80. S. Giovanni Decollato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 123 popolazione anno 1745: abitanti n° 132 popolazione anno 1833: abitanti n° 121 popolazione anno 1840: abitanti n° 136 popolazione anno 1843: abitanti n° 131 Nome del luogo: Lucignano dâArbia con S. Maria al Pino 81. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 256 popolazione anno 1745: abitanti n° 549 popolazione anno 1833: abitanti n° 703 popolazione anno 1840: abitanti n° 712 popolazione anno 1843: abitanti n° 709 N.B. Nel Vicariato di Monteroni dalla prima allâultima epoca furono soppresse sei cure.
IX. VICARIATO DI CIVITELLA DI PARI Nome del luogo: Civitella di pari con lâAbbadia Ardenghesca 82. S. Maria in Montibus (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 530 popolazione anno 1745: abitanti n° 171 popolazione anno 1833: abitanti n° 692 popolazione anno 1840: abitanti n° 639 popolazione anno 1843: abitanti n° 598 Nome del luogo: Casenovole 83. S. Giovanni Evangelista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 127 popolazione anno 1745: abitanti n° 96 popolazione anno 1833: abitanti n° 130 popolazione anno 1840: abitanti n° 149 popolazione anno 1843: abitanti n° 142 Nome del luogo: Paganico 84. S. Michele (Prepositura) popolazione anno 1640: abitanti n° 391 popolazione anno 1745: abitanti n° 84 popolazione anno 1833: abitanti n° 238 popolazione anno 1840: abitanti n° 240 popolazione anno 1843: abitanti n° 241 Nome del luogo: Montantico 85. S. Tommaso (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 100 popolazione anno 1745: abitanti n° 145 popolazione anno 1833: abitanti n° 203 popolazione anno 1840: abitanti n° 196 popolazione anno 1843: abitanti n° 215 Nome del luogo: Pari 86. S. Biagio (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 523 popolazione anno 1745: abitanti n° 463 popolazione anno 1833: abitanti n° 605 popolazione anno 1840: abitanti n° 733 popolazione anno 1843: abitanti n° 733 N.B. Il popolo soppresso della Badia Ardenghesca era compreso nella Diocesi di Grosseto.
X. VICARIATO DI MURLO Nome del luogo: Murlo di Vescovado 87. S. Fortunato (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 639 popolazione anno 1833: abitanti n° 734 popolazione anno 1840: abitanti n° 745 popolazione anno 1843: abitanti n° 717 Nome del luogo: Crevole 88. S. Cecilia (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 104 popolazione anno 1833: abitanti n° 105 popolazione anno 1840: abitanti n° 113 popolazione anno 1843: abitanti n° 115 Nome del luogo: San Giusto 89. S. Salvatore (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 71 popolazione anno 1833: abitanti n° 107 popolazione anno 1840: abitanti n° 104 popolazione anno 1843: abitanti n° 90 Nome del luogo: Monte Pescini 90. SS. Pietro e Paolo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 102 popolazione anno 1833: abitanti n° 108 popolazione anno 1840: abitanti n° 132 popolazione anno 1843: abitanti n° 106 Nome del luogo: Casciano di Vescovado 91. SS. Giusto e Clemente (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 454 popolazione anno 1833: abitanti n° 634 popolazione anno 1840: abitanti n° 641 popolazione anno 1843: abitanti n° 626 Nome del luogo: Monte Pertuso 92. S. Michele (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 198 popolazione anno 1833: abitanti n° 240 popolazione anno 1840: abitanti n° 283 popolazione anno 1843: abitanti n° 237 Nome del luogo: Vallerano 93. S. Donato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 72 popolazione anno 1833: abitanti n° 94 popolazione anno 1840: abitanti n° 98 popolazione anno 1843: abitanti n° 101 Nome del luogo: Sovignano 94. S. Stefano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 45 popolazione anno 1745: abitanti n° 109 popolazione anno 1833: abitanti n° 97 popolazione anno 1840: abitanti n° 103 popolazione anno 1843: abitanti n° 111 N.B. Le parrocchie di Murlo di Vescovado nella prima epoca mancano della loro popolazione, per essere stati allora quei popoli feudatarj degli arcivescovi di Siena.
XI. VICARIATO DI BARONTOLI Nome del luogo: Brontoli con Viteccio 95. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 336 popolazione anno 1745: abitanti n° 443 popolazione anno 1833: abitanti n° 477 popolazione anno 1840: abitanti n° 457 popolazione anno 1843: abitanti n° 484 Nome del luogo: Fogliano 96. S. Giovanni Battista (Prepositura) popolazione anno 1640: abitanti n° 94 popolazione anno 1745: abitanti n° 126 popolazione anno 1833: abitanti n° 151 popolazione anno 1840: abitanti n° 150 popolazione anno 1843: abitanti n° 151 Nome del luogo: Canonica a Pilli 97. S. Bartolommeo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 393 popolazione anno 1745: abitanti n° 429 popolazione anno 1833: abitanti n° 617 popolazione anno 1840: abitanti n° 587 popolazione anno 1843: abitanti n° 596 Nome del luogo: Sovicille, al Ponte allo Spino, o alla Pieve Vecchia 98. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 271 popolazione anno 1745: abitanti n° 492 popolazione anno 1833: abitanti n° 569 popolazione anno 1840: abitanti n° 553 popolazione anno 1843: abitanti n° 522 Nome del luogo: Ginestreto con Fonte Benedetta e Formicaja 99. S. Donato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 177 popolazione anno 1745: abitanti n° 74 popolazione anno 1833: abitanti n° 81 popolazione anno 1840: abitanti n° 79 popolazione anno 1843: abitanti n° 71 Nome del luogo: Montecchio con la Costa al Pino 100. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 275 popolazione anno 1745: abitanti n° 351 popolazione anno 1833: abitanti n° 448 popolazione anno 1840: abitanti n° 453 popolazione anno 1843: abitanti n° 436 Nome del luogo: Cerreto alla Selva 101. S. Stefano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 66 popolazione anno 1745: abitanti n° 101 popolazione anno 1833: abitanti n° 83 popolazione anno 1840: abitanti n° 88 popolazione anno 1843: abitanti n° 95 Nome del luogo: Monsindoli con Trojola 102. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 289 popolazione anno 1745: abitanti n° 174 popolazione anno 1833: abitanti n° 231 popolazione anno 1840: abitanti n° 238 popolazione anno 1843: abitanti n° 240 Nome del luogo: alle Volte 103. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 103 popolazione anno 1745: abitanti n° 169 popolazione anno 1833: abitanti n° 174 popolazione anno 1840: abitanti n° 149 popolazione anno 1843: abitanti n° 148 N.B. Nel Vicariato di Brontoli dalla prima allâultima epoca compariscono quattro popoli di meno XII. VICARIATO DI ROSIA Nome del luogo: Rosia 104. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 25 popolazione anno 1745: abitanti n° 309 popolazione anno 1833: abitanti n° 410 popolazione anno 1840: abitanti n° 474 popolazione anno 1843: abitanti n° 454 Nome del luogo: Sovicille (al Catello) 105. S. Lorenzo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 500 popolazione anno 1833: abitanti n° 644 popolazione anno 1840: abitanti n° 630 popolazione anno 1843: abitanti n° 642 Nome del luogo: Castel dâOrgia 106. S. Bartolommeo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 222 popolazione anno 1745: abitanti n° 240 popolazione anno 1833: abitanti n° 269 popolazione anno 1840: abitanti n° 333 popolazione anno 1843: abitanti n° 305 Nome del luogo: Pentolina 107. S. Bartolommeo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 49 popolazione anno 1745: abitanti n° 49 popolazione anno 1833: abitanti n° 87 popolazione anno 1840: abitanti n° 100 popolazione anno 1843: abitanti n° 103 Nome del luogo: Badia a Torri 108. S. Mustiola (Prioria) popolazione anno 1640: abitanti n° 153 popolazione anno 1745: abitanti n° 193 popolazione anno 1833: abitanti n° 281 popolazione anno 1840: abitanti n° 298 popolazione anno 1843: abitanti n° 290 Nome del luogo: Brenne 109. S. Michele (Prioria) popolazione anno 1640: abitanti n° 128 popolazione anno 1745: abitanti n° 195 popolazione anno 1833: abitanti n° 354 popolazione anno 1840: abitanti n° 304 popolazione anno 1843: abitanti n° 287 Nome del luogo: Stigliano 110. SS. Fabiano e Sebastiano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 247 popolazione anno 1745: abitanti n° 359 popolazione anno 1833: abitanti n° 380 popolazione anno 1840: abitanti n° 416 popolazione anno 1843: abitanti n° 439 N.B. Nel Vicariato di Rosia fra la prima e lâultima epoca non compariscono soppressioni di parrocchie Totale popolazione anno 1640: abitanti n° 31391 Totale popolazione anno 1745: abitanti n° 37285 Totale popolazione anno 1833: abitanti n° 47920 Totale popolazione anno 1840: abitanti n° 49569 Totale popolazione anno 1843: abitanti n° 49665 RICAPITOLAZIONE Il numero totale delle Parrocchie della DIOCESI DI SIENA comparisce Nellâanno 1640 di Popoli N° 151 (*) con Abitanti N° Nellâanno 1745 di Popoli N° 118 con Abitanti N° 37285 Nellâanno 1843 di Popoli N° 110 con Abitanti N° 49665 (*) Meno il feudo di Murlo di Vescovado.
COMPARTIMENTO SANESE Con la legge del 18 marzo 1766 Io Stato sanese fu diviso in due governi separati, che uno spettante alla Provincia inferiore, capoluogo Grosseto, e l'altro alla Provincia superiore capo della quale fu la cittĂ di Siena.
Con la legge del 27 giugno 1814 fu variata denominazione a tutte due le Province sanesi, al pari della fiorentina e della pisana, sostituendovi il titolo di Compartimenti, ed affidandone la direzione ad un soprintendente per la parte economica delle rispettive ComunitĂ dei luoghi pii comunitativi, oltre la sorveglianza alle deputazioni de' fiumi, allâesazione della tassa di famiglia, alla collezione deâ fondi necessarj al mantenimento delle strade provinciali, e per la parte economica ai lavori delle strade medesime e di quelle regie.
Alle quattro Camere di soprintendenza comunitativa, ossia ai quattro Compartimenti economici del Granducato, con motuproprio del primo novembre 1825 venne aggiunto il quinto Compartimento di Arezzo formato in gran parte di quelli di Firen ze e di Siena. Nella quale occasione furono smembrate dal Compartimento sanese le Comunità di Val di Chiana; cioè, di Chiusi, Cetona, Sarteano, Chianciano, Torrita, Asinalunga e Lucignano, mentre con altra legge dell'anno 1840 fu staccata dal Compartimento sanese la Comunità di Montieri per assegnarla a quello di Grosseto.
Con altro motuproprio del 29 dicembre 1840 fu rinnovato il dipartimento della Soprintendenza generale alle ComunitĂ del Granducato di Toscana, ad oggetto d'invigilare all'esatta osservanza della legislazione commutativa, come pure rispetto alla direzione del nuovo catasto.
II Compartimento di Siena attualmente è formato di 33 Comunità comprese in undici Cancellerie comunitative.
STRADE REGIE E PROVINCIALI CHE ATTRAVERSANO IL COMPARTIMENTO SANESE. STRADE REGIE 1. Strada Regia postale Romana. Dai confini della ComunitĂ di Poggibonsi con quella di Barberino di Val d'Elsa fino all'osteria della Torricella in ComunitĂ di S.
Casciano de' Bagni, attraversando le ComunitĂ di Poggibonsi e di MonteReggioni e rasentando i confini delle ComunitĂ suburbane del Terzo di CittĂ e del Terzo di S. Martino prima di arrivare e dopo escita dalla cittĂ di Siena; quindi passando per le ComunitĂ di Monteroni, di Buonconvento, di Montalcino, di San Quirico, di Castiglion d'Orcia, dell'Abbazia di S. Salvadore, di Radicofani, e di S.
Cascian de'Bagni.â Nel 1843 sotto stati fatti dei lavori per correggere l'ardua costa di Ricorsi, non che al ponte del Formone.
2. Strada Regia da Siena ad Arezzo.â Dalla Porta Pispini della cittĂ di Siena attraversando la ComunitĂ del Terzo di S. Mart i n o e per breve tragitto quella d'Asciano. Essa rasenta per lungo trattola vallecola del torrente Biene in ComunitĂ , di Castelnuovo della Berardenga, quindi passando per quella di Rapolano sale sul monte di Palazzuolo dove sul confine occidentale della ComunitĂ del Monte S. Savino trova il Compartimento aretino. â In questa strada nel 1843 è stato costruito un bel ponte nuovo che attraversa il torrente Bozzone.
3. Strada Regia Suburbana occidentale di Siena. â Staccasi dalla Regia postale Romana presso la Porta di Camullia e per Pescaja scende nel torrente Tressa per congiungersi alla strada Regia Grossetana che trova al Chiesino di S. Carlo. Nell'anno 1843 ĂŠ stata corretta e resa questa strada piĂš agevole nella salita di Pescaja.
4. Strada Regia Grossetana. â Esce dalla Porta S.
Marco scende per la Costa a Fabbri in Tressa, quindi risale la Costa al Pino attraversando la ComunitĂ delle Masse del Terzo di CittĂ , poscia i territorj comunitativi di Sovicille e Murlo, dove passa la Merse sul ponte a Macereto, di lĂ inoltrandosi nella ComunitĂ di Monticiano, entra in quella di Campagnatico sino al ponte di Petriolo sulla Farma, ponte dove comincia il Compartimento di Grosseto.
Nel 1843 ed anche nell'anno attuale si lavora fuori della Porta S. Marco in questi strada per rendere meno ripida l'ardua salita della Costa a Fabbri, onde arrivare piĂš agevolmente dal piano della Tressa alla Porta S.
Marco.
STRADE PROVINCIALI 1. Strada Chiantigiana. â Entra nel Compartimento sanese al confine della ComunitĂ di Greve con quella di Radda, il di cui territorio attraversa dirigendosi nella ComunitĂ di Gajole sino alla strada Regia Aretina che incontra nella Vallecola di Biena per arrivare al ponte detto di Grillo sull'Ombrone in ComunitĂ di Castelnuovo della Berardenga.
2. Strada da Levane alla Val di Biena. â Dopo rimontata la Val d'Ambra entra nel Compartimento sanese nel poggio di Montalto per dirigersi al ponte di Grillo.
3. Strada Lauretana. â Staccasi dalla Regia Aretina presso il ponte delle Taverne d'Arbia passando per il territorio di Asciano, di Rapolano e di Trequanda, sul di cui confine trova la ComunitĂ di Asinalunga del Compartimento aretino.
4. Strada da Siena a Cortona , o de' Vallesi. â Staccasi dalla Regia Aretina presso il ponte di Grillo sull'Ombrone in ComunitĂ di Castelnuovo Berardenga, di lĂ per Rapolano ed i Vallesi arriva sul confine della ComunitĂ di Lucignano spettante al Compartimento aretino.
5. Strada traversa del Sentino. â Diramasi dalla strada qui sopra nominata in ComunitĂ di Rapolano per arrivare sulla strada Lauretana che trova presso S.
Gimignanello dentro la stessa ComunitĂ .
6. Strada traversa de' Monti. â Entra nel Compartimento sanese sul confine d'Asinalunga e per il territorio comunitativo di Trequanda si dirige a Montisi, scende a S. Giovanni d'Asso e a Torrenieri, sale a Montalcino, quindi per Poggio alle Mura giunge sul confine della ComunitĂ di Campagnatico, dove ai Cannicci si unisce alla strada Regia Grossetana.
7. Strada del Monte Amiata. â Staccasi dalla Regia postale Romana alla posta della Poderina, e salendo a Castiglion d'Orcia di lĂ si dirige nel Compartimento grossetano passando per Castel del Piano, Arcidosso e Santa-Fiora, di dove ritorna nel Compartimento sanese a Pian-Castagnajo, per scendere sulla strada Regia postale Romana al Ponte a Rigo in ComunitĂ di S. Casciano de'Bagni.
8. Strada Traversa dalla Via regia Romana all'Aurelia. â Parte dalla via suddetta sotto Pian- Castagnajo dirigendosi per la Sforzesca, dov'entra nel Compartimento grossetano, nel quale prosegue per S.
Giovanni delle Contee, Sorano, Pitigliano ecc.
9. Strada da Siena o Massa. â Staccasi sulla Costa al Pino dalla Regia Grossetana fino alla strada seguente di Follonica.
10. Strada da Poggibonsi a Folloni ca. â Strada magnifica che staccasi dalla postale Romana presso al ponte sulla Staggia passando per le ComunitĂ di Poggibonsi, di Colle, di Casole, di Radicondoli, di Elei,di lĂ dalla quale entra nelle ComunitĂ di Montieri e di Massa spettanti al Compartimento grossetano, e dentro questo arriva al ponte imbarcatore a Follonica.
11. Strada da Siena a Volterra. â Staccasi dalla strada Regia Romana presso Monteriggioni fino a che a Monte Miccioli entra nella strada provinciale volterrana passando per le ComunitĂ di Monteriggioni, di Colle e di San Gimignano.
PROSPETTO delle ComunitĂ del COMPARTIMENTO SANESE distribuite per Cancellerie con la respettiva superficie e popolazione Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 1. SIENA, CittĂ , Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: (ERRATA: 41236) 412,36 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Masse del Terzo di CittĂ valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 16488 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Masse del Terzo di S. Martino valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 16808 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Castelnuovo Berardenga valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 50661 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Monteroni valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 32082 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 2. ASCIANO, Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 61142 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Rapolano valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 23039 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Trequanda valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâAsso superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 22997 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 3. CHIUSDINO, Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 38803 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Elci valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Cecina superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 18669 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Monticiano valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 30704 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 4. COLLE, CittĂ , Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 26178 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Monteriggioni valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 28304 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Poggibonsi valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 19815 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 5. MONTALCINO, CittĂ , Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâAsso superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 26178 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Buonconvento valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 18165 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Murlo valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 32347 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 6. SAN GIMIGNANO Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 40066 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 7. SAN QUIRICO Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 12087 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Pienza, CittĂ valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 34489 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Castiglion dâOrcia valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 30201 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - S. Giovanni dâAsso valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâAsso superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 14011 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 8. RADICOFANI Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia e dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 33215 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - San Cascian deâBagni valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 25659 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 9. RADDA Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Pesa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 22945 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Castellina in Chianti valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa e Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 28240 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Gajole valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 36954 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Cavriglia valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArno superiore superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 17322 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 10. RADICONDOLI Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 18636 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Casole valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 42329 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Sovicille valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 41007 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 11. ABBADIA S. SALVADORE Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia e dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 26214 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Pian Castagnajo valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 19647 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - TOTALE superficie territoriale delle ComunitĂ in Quadrati: (ERRATA : 987549) 946725, 36 - TOTALE popolazione delle ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° 135640
Cotesta nobile cittĂ vagamente situata risiede sulla cresta di due sproni di poggi, uno deâquali diramasi dai monti della Castellina del Chianti, dirigendosi per Vagliagli da settentrione a libeccio sulla strada postale fino a Fonte Becci dove si accoppia allâaltro sprone che staccasi dal Monte-Maggio nella direzione di ponente a scirocco. I due sproni riuniti da Fonte Becci si avanzano verso Siena sino verso le sue porte meridionali. A metĂ circa della cittĂ si toccavano i termini dei tre Terzi di Siena, cioè poco lungi dalla Croce del Travaglio presso alla gran del campo, celebre per la svelta altissima torre detta del Mangia , per il palazzo pubblico e per il gioco piĂš popolare e piĂš allegro di quanti contar ne può tutta Italia; e costĂ dove i due poggi riuniti tornano a biforcare in due rami, uno deâ quali dirigesi a scirocco verso la Porta Romana, mentre lâaltro verso libeccio sale al Duomo, al Castel vecchio, e di lĂ sino alla Porta S. Marco, donde esce la strada regia Grossetana.
Trovasi Siena sotto il grado 28° 59' di longitudine e 43° 19' di latitudine, da 600 alle 700 braccia superiore al livello del mare Mediterraneo, 40 miglia a ostro di Firenze, 39 miglia a ponente libeccio di Arezzo, altrettante a grecale di Massa Marittima, e circa 48 miglia a settentrione di Grosseto.
Ad oggetto di dare un riposo ai lettori, suddividerò cotesto Articolo in sette capitoli per discorrere nel 1° di Siena dallâEpoca Romana sino a quella dei Longobardi; nel 2° di Siena dal tempo deâLongobardi a quella deâCarolingi; nel 3° di Siena dallâetĂ Carolingia sino allâorigine della sua Repubblica; nel 4° di Siena dallâorigine della sua Repubblica alla giornata di Montaperto; nel 5° di Siena dalla giornata di Montaperto allâepoca del suo ultimo assedio; nel 6° di Siena da quellâassedio alla sua successione al duca Cosimo I; e 7° di Siena sotto il Governo granducale.
I. SIENA DALLâEPOCA ROMANA A QUELLA DEâLONGOBARDI Per quanto lâorigine di questa cittĂ sia stata oggetto di lunga contesa fra molti scrittori deâsecoli troppo a noi vicini, contuttociò dobbiamo convenire col Cellario, quando dichiarò: Quale sia stata Siena innanzi lâetĂ di Cesare non apparisce, nĂŠ alcuna memoria è pervenuta fino a noi che possa far fede deâsuoi incunaboli, comecchè si debba essa credere di una etĂ assai piĂš antica.
Che se rispetto allâorigine di Roma fu tanta diversitĂ di opinioni fra i dotti, molto piĂš la è stata della nostra Siena, che ebbe nome consimile ad altra cittĂ (Sena, ora Sinigaglia) la quale fu parimente una delle romane colonie. Imperocchè alla cittĂ di Siena toscana (stante forse lâortografia diversa, per la quale scrivevasi il suo nome col dittongo (Saena) non fu aggiunto alcun altro distintivo eccetto quello di Sena Julia, indicato per vero dire, dallâautore della Tavola Peutingeriana.
Non so infatti, mi rispondeva da Sanmarino il ch. Cavalier Bartolomeo Borghesi con unâeruditissima lettera del 25 ottobre 1843, non so infatti che Siena dâEtruria sia ricordata da altri degli antichi se non che da Strabone e da Tolomeo fra i Greci, da Plinio e da Tacito fra i Latini, i quali ultimi ne assicurano che cotesta cittĂ fu colonia.
Della quale peraltro non trovando noi fatta menzione durante la repubblica romana, e neppure, come scrisse Flavio Blondo, ai tempi di Pompeo, dobbiamo concludere che la colonia di Siena in Etruria fosse una delle militari, e non delle cittadine, siccome era stata quella di Sinigallia, che Sena, come dissi, denominossi. â Alla qual conclusione (soggiunge lo stesso Borghesi)presta gravissimo appoggio il cognome di Giulia dalla Tavola Peutingeriana dato alla colonia di Siena nostra. Solamente resterebbe da ricercare a quale delle tre deduzioni di colonie militari, fatte secondo la legge Giulia, questa senese appartenesse: se alle colonie dedotte da Gaio Cesare, o seppure a quelle dei triunviri, finita che fu la guerra coi congiurati Bruto e Cassio, o sivvero alle terze dedotte da Augusto, sotto del quale lâepiteto di Giulia può egualmente convenire. Parve però al prelodato Borghesi che la colonia militare di Siena si dovesse escludere dalla terza deduzione fatta per lâItalia dopo la vittoria dâAzio, perchĂŠ quantunque si ammetta, che anche le colonie fondate da quellâImperatore assumessero il titolo di Giulia Augusta, avendo egli pure appartenuto alla famiglia Giulia, ciò non di meno quando le cittĂ usarono una sola di quelle denominazioni, preferirono lâAugusta come lo dimostrano gli esempj lapidari dellâAUGUSTA PERUSIA, dellâAUGUSTA TAURINORUM, della COLONIA CIVICA AUGUSTA BRIXIA e della COLONIA AUGUSTA ARIMIN. ecc.
Dopo queste e altre osservazioni a confermare tutto ciò, quel dottissimo uomo soggiungeva: La questione sarà dunque ridotta a sapere se Siena sia stata creata colonia militare da Giulio Cesare oppure dai Triumviri, questione che per mancanza di monumenti non si è ancora in istato di definire.
In conseguenza di una sentenza cosĂŹ chiara pronunziata dal Nestore degli archeologi italiani dobbiamo limitarci per ora a concludere: che se la colonia senese in Toscana non precedè, fu almeno coetanea a quella di Firenze, della quale siamo certi essere stata dedotta dai triumviri dopo la vittoria di Farsaglia.â Vedere lâArt. FIRENZE.
Ma lâindole vivace e caratteristica del popolo di Siena dallâepoca del romano impero fino alla nostra etĂ , costantemente conservata, trovasi pennelleggiata dal piĂš robusto storico della prima serie degli Imperatori; dico da C. Cornelio Tacito che nel Libro IV, Cap. 45 delle sue storie romane tramandò sino a noi il fatto seguente accaduto in Siena al tempo dellâImperatore Vespasiano.
âRiconciliarono alquanto (scrive egli) le cure deâpadri, la cognizione di una âcausa trattata in senato secondo lâuso antico: Manlio Patruito dellâordine âsenatorio si querelò di essere stato picchiato di pugna nella cittĂ di Siena âdella classe della plebe, consenziente quel magistrato.
NĂŠ qui terminava âlâingiuria ricevuta dal romano senatore, poichĂŠ dopo essere stato dai Senesi âben battuto questi gli fecero cerchio e a similitudine di un morto lo âesequiarono con piagnistei e lamenti, oltre molti altri scherni e contumelie âstrazianti tutto il senato. Citansi a Roma gli accusati, e conosciuta la causa, âsi condannano i rei. Oltredichè un Senatus consulto fu decretato per âammonire la plebe di Siena, onde con piĂš modestia si comportasse ânellâavvenireâ.
Ma per tornare a dire due parole sulla colonia militare senese, ossia che essa fosse dedotta da Gaio Cesare, ovvero dai Triumviri, è cosa ben naturale che una cittĂ nella quale furono repartiti e assegnati terreni a molti veterani che vi stabilirono il loro domicilio, dovesse essere di qualche importanza, siccome avvenne a Pisa, a Firenze, ad Arezzo, a Luni, per tralasciare di tante altre cittĂ della Toscana e dellâItalia; e tostochè lo storico Cornelio Tacito in quel racconto ne avvisava che, sino dai tempi dellâImperatore Vespasiano la colonia senese aveva un corpo di magistratura suo proprio. Arroge a ciò un marmo del museo Vaticano relativo al registro di soldati pretoriani arruolati sotto lâImperatore Adriano negli anni 143 e 144 dellâEra nostra, nel quale si leggono scolpiti i nomi di due pretoriani della cittĂ di Siena.
Cotesto monumento inoltre ha servito agli antiquarj di conferma relativamente alla retta ortografia antica della parola Siena, che solamente i copisti della Geografia di Tolomeo scrissero col dittongo: ΣιΚνι.
Una sola iscrizione epigrafica innanzi la scoperta di quel registro poteva citarsi in appoggio alla detta lezione. Essa consiste in un frammento di base esistente in Roma nella villa Mattei, nella quale si legge: SAENENSIUM ORDO. Ma la sola autoritĂ di una lapida era troppo debole prova, perchĂŠ di bassissimo secolo, come quella che porta la data consolare corrispondente allâanno di Cristo 394. Ora poi dopo la testimonianza del registro militare surriferito, che rialza e conferma il frammento epigrafico Matteiano, non potrĂ piĂš dubitarsi che i soli copisti dellâopera di Tolomeo siano stati accurati e che il vero nome latino antico della nostra Siena si scrivesse SAENA, non SENAE, nĂŠ SENA.
Se fossero poi da riferirsi a cotesta cittĂ le lapide riportate dal Gori fra quelle di Siena nel Vol. II della sua Opera Inscriptiones antiquae in Etruriae urbibus extantes noi avvremmo diritto di credere che Siena, oltre una magistratura propria avesse anche lâordine deâSEVIRI AUGUSTALI, instituiti dallâImperatore Tiberio a onore di Augusto suo antecessore.
Ma quantunque scarsi non mancano però in Siena avanzi di buona scultura, poichĂŠ senza citare il bel gruppo delle Tre Grazie di greca maniera, nĂŠ il candelabro antico esistenti nel Duomo, comecchè mi sia ignota la provenienza loro, non tralascerò di rammentare lâarca di marmo scolpita ad alto rilievo con figure mitologiche, lavoro del tempo degli Antonini, scavata nei secoli trascorsi vicino allâOpera del Duomo, nel cui vestibolo a guisa di architrave vedesi attualmente murata.
II. SIENA SOTTO I LONGOBARDI Se è vero che in Siena al pari che in molte altre città mancano documenti sincroni atti a dimostrare le sue vicende politiche e civili nei tempi romani, riesce altrettanto doloroso dover confessare che bisogna percorrere uno studio di oltre 600 anni prima di arrivare a scuoprire quale fosse lo stato politici ed ecclesiastico di questa città .
Ă notoria abbastanza, perchĂŠ non vi sia duopo di qui ripeterla, la controversia insorta a causa di diritti diocesani fra il Vescovo di Siena e quello di Arezzo verso lâanno 712, mentre regnava nellâalta Italia il longobardo Ariberto II; solamente mi gioverò di richiamare alla memoria gli atti piĂš importanti allo scopo. Questi si riducono ai due fatti seguenti: uno alla prima sentenza emanata in Siena sul principio de l715 nella corte regia presso la chiesa di S. Martino da Ambrogio messo e maggiordomo del re Liutprando; lâaltro allâesame di circa 70 testimoni sentiti in Siena lâanno stesso dal notaro Gunteramo inviatovi da Pavia in qualitĂ di messo regio. - Imperocchè se dal primo fatto trasluce il luogo dove in Siena i Longobardi tenevano i tribunali, col secondo si vengono a conoscere le condizioni politiche e civili della stessa cittĂ e di gran parte del suo contado allâepoca longobarda.
Inoltre dalle espressioni del compendiatore di quel processo si scuopre, che la cittĂ di Siena compreso il suo contado, sotto i Longobardi non dipendeva dai duchi di Toscana, avvegnachè essa in quel tempo era amministrata per conto direttamente del re. A ciò voglionsi riferire le parole di quel compendio in cui si legge: âIllo autem tempore senensis civitas erat domnicata ad manus Ariberti regis Langobardorumâ. Ed è perciò che nel principio del secolo VIII trovavansi in Siena due qualitĂ diverse di Gastaldi, uno deâquali disimpegnava la prima carica politica (come fu il gastaldo Gundiperto cugino di Deodato vescovo sanese, nel tempo stesso che un altro longobardo per nome Roberto esercitava lâuffizio di gastaldo regio, o amministratore deâbeni della corona.
Frattanto questi due uffiziali, vivente il re Ariberto II, si recarono dalla cittĂ alla Pieve a Paciana, ad oggetto di impedire la visita diocesana a Luperziano vescovo di Arezzo, dicendo eglino che quella pieve era (siccome lo è tuttora) compresa nel contado di Siena, cioè dentro i limiti della sua giurisdizione politica; ma gli uomini del vescovo aretino dando addosso al gastaldo politico Gundiperto, lâuccisero. â Vedere PACINA (PIEVE A).
Che se ad alcuno parve sospetta lâautenticitĂ di quel documento redatto o ricopiato circa 340 anni dopo, niuno per latro pose in dubbio la veritĂ degli atti che per comandamento del re Liutprando, successore del re Ariberto II, furono istituiti nellâanno 715 innanzi a Gunteramo suo messo regio; e niuno si oppose alla sentenza stata in seguito dopo la compilazione di quel processo nella pieve di S. Genesio, alla presenza dello stesso messo Gunteramo , pronunziata da quattro vescovi della Toscana, cioè da quelli di Firenze, di Fiesole, di Pisa e di Lucca, assistiti da vari teologi sacerdoti nonchĂŠ da molti testimoni.
Da quei numerosi depositi pertanto risulta che al gastaldo regio Gundiperto, stato ucciso verso il 712 alla Pieve a Paciana , in Siena era succeduto un altro gastaldo politico per nome Warnefrido, il quale ultimo nel 715 fu presente allâesame predetto dove fu qualificato da due testimoni col titolo di giudice. E probabilmente era quello stesso gastaldo che 15 anni dopo fondò il monastero di S.
Eugenio presso la cittĂ di Siena. â Vedere ABAZIA DI S. EUGENIO e LESTINE.
Dai documenti poi del 752 sulla controversa giurisdizione ecclesiastica fra i due diocesani rinnovata, risulta che alla metĂ del secolo VIII il gastaldo politico di Siena appellavasi Gausperto.
Avvertasi inoltre che uno deâtestimoni esaminati nel 715 fu un vecchio sacerdote stato ordinato nella chiesa di S.
Ansano a Dofana, dove allora riposava il corpo di quel santo, il quale giurò: che cotesta chiesa molti anni indietro era stata restaurata dal gastaldo regio Willerat, e dal suo figlio Rotto, dei quali il detto sacerdote un tempo fu servo innanzi che fosse da loro affrancato, ossia dichiarato uomo libero , per cui egli potè mediante cotal benefizio ordinarsi chierico e quindi pervenire al sacerdozio.
Dalle dichiarazioni di quei 70 testimoni non solo apparis ce quale fosse la condizione politica e civile della cittĂ di Siena, dove si trovavano gli arimanni, o giudici secondari, ma ancora si viene a scuoprire in qual parte e fino dove dal lato di libeccio e di levante si estendesse la giurisdizione politica senese. Finalmente dallâesame medesimo risulta che i gastaldi politici di questa cittĂ , essendo indipendenti dai duchi, si dovevano trovare in condizioni consimili a quelle dei gastaldi di Capua, uno dei quali ordinò ai suoi governati che lo dovessero chiamare non piĂš con il titolo di Gastaldo, ma di Conte.
Per quanto riescisse solenne il giudizio collegiale pronunziato nella Pieve di S. Genesio, contuttociò il Vescovo di Siena volle ricorrere in ultimo appello al re in Pavia, affinchè lo stesso Liutprando ne pronunziasse il suo. Il quale re, assistito dal vescovo della capitale e da altri giudici, poco dopo confermò i primi due giudicati.
Ma tuttociò non servĂŹ a condurre la pace fra quei due popoli e i loro prelati, avvegnachè, nel 752, Alfredo vescovo di Siena, avendo di proprio arbitrio e contro le leggi canoniche consagrato nella chiesa di S, Ansano a Dofana un altare fabbricato da Gausperto sanese, Stabile vescovo di Arezzo ricorse al Pontefice Zaccaria per reclamare contro quello di Siena, anco perchĂŠ tols e dal detto tempio il corpo di S. Ansano senza cognizione e consenso del diocesano. Ma essendo mancato in quel frattempo i Pontefice Zaccaria, e succedutogli Stefano II, questi, con lâannuenza del re Astolfo, presso il quale era ricorso il prelato sanese, delegò la causa a tre vescovi, la sentenza deâquali fu confermata in favore del vescovo aretino dal Pontefice Stefano II con bolla del 20 maggio 752: Non dirò del giudizio per la stessa causa nellâ801 sotto Carlo Magno proferito; non parlerò del placito pronunziato in Siena nellâanno 833 sotto Lodovico Pio; non di quello emanato nellâ853 dal Pontefice Leone IV e dallâImperatore Lodovico II; passerò pure sotto silenzio la sentenza del 1029 promulgata dal Cardinal Benedetto vescovo di Porto; e ne anche parlerò di un breve del Pontefice Alessandro II del 1070, tutti relativi alla causa predetta, alla quale finalmente fu imposto un termine definitivo dopo la metĂ del secolo XV per cura del Pontefice Pio II.
Frattanto dal preambolo scritto nel 1057 da Gherardo primicero della chiesa di Arezzo, posto in testa alla sentenza del 715 data da Ambrogio maggiordomo delegato del re Liutprando, e molto piĂš dal deposto dei testimoni esaminati nellâanno stesso dal secondo messo regio Gunteramo , oltre le cose di sopra accennate si viene a sapere che la cittĂ di Siena in grazia del re Rotari, aveva riottenuto il suo vescovo, la serie dei quali era stata interrotta, come si dirĂ , dal quinto sino verso la metĂ del secolo settimo, dondechè ne consegue che prima deâGoti e conseguentemente innanzi la discesa deâ Longobardi, Siena era sede di un diocesano, e che fino dâallora essa ebbe contado proprio e magistrati. Vedere appresso , SIENA DIOCESI.
Inoltre dalla bolla del 752 del Pontefice Stefano II si ha lâavviso che in quellâanno esercitava in Siena lâuffizio di Gastaldo politico, o governatore, un tale Gausperto mentre dai deposti del 715 si apprende ugualmente tutti i chierici del contado senese dovevano munirsi di una carta o permesso del gastaldo politico, onde presentarlo al diocesano affine di ordinarsi al sacerdozio.
Ad accrescere valore a tale veritĂ si prestano meravigliosamente le parole del vescovo di Fiesole, uno degli esaminati nella procedura del 715 il quale depose: qualmente egli stesso vide molti chierici del territorio sanese con lettere del gastaldo Willerat recarsi in Arezzo ad oggetto di essere da quel vescovo ordinati al sacerdozio.
CosĂŹ il pievano di S. Giovanni in Rancia (ora S. Vito in Creta) giurò qualmente 37 anni addietro egli aveva preso lâordine sacerdotale da Bonomo vescovo di Arezzo, previa lâesibizione delle lettere del gastaldo Willerat; documento per avventura il piĂš antico che sia finora comparso alla luce relativamente alla storia civile e politica di Siena sotto il regno deâ Longobardi.
Avvegnachè da questâultimo deposto si viene anche meglio a comprendere che Willerat, il restauratore della chiesa di S. Ansano a Dofana, fino dallâanno 678 almeno doveva esercitare in Siena lâuffizio di governatore o giudice supremo, per conto di Pertarite re dei Longobardi, in un tempo cioè in cui quella nazione, abbandonato dallâArianismo, aveva abbracciato la religione cattolica romana.
Della qual veritĂ Siena con il suo territorio ci fornisce ampia conferma nelle chiese dai Longobardi ivi fondate.
Tali per es. sono quelle di S. Vincenti ad Altaserra ; di S.
Donato in Asso fondata dal re Ariberto II, di S. Ansano in Dofana rifatta dopo la metĂ del VII secolo dal gastaldo Willerat, per non rammentare tutte quelle ivi edificate nel secolo VIII.
Ho giĂ detto che il piĂš antico documento relativo alla storia di Siena sotto il dominio longobardo risalirebbe allâanno 678 quando governava questa cittĂ il gastaldo Willerat, sebbene due altri di quei testimoni, Gaudioso e Potone, uno deâquali Traspadano e lâaltro Lucchese, fino dallâanno 665 erano venuti a stabilirsi nel territorio sanese in qualitĂ di coloni o livellarj entrambi di condizione libera.
Inoltre fra i testimoni del 715 si scuopre uno Scarione del re nella corte di Sexiano, ora nella giurisdizione di Montalcino, giĂ nella Diocesi aretina, ma sotto il contado sanese; ed è questa per avventura la memoria piĂš vetusta che si abbia nel regno longobardo degli scarioni, specie di uomini addetti al foro, e destinati ancora a tutela dei monasteri, deâluoghi pii; lo che corrisponderebbe a visdomini, o avvocati per le chiese per le quali erano ammessi a giurare. Dondechè quel vecchio Pietrone, che nel 715 si qualificava Scarion Regis de curte que dicitur Sexiano era domiciliato a Sestano in Val dâOrcia (forse nel luogo denominato attualmente a Sesta o Sesto, nel popolo di S. Angelo in Colle, se non piuttosto dovâè lâantica pieve di S. Restituta, designata essa pure in fundo Sexiano , ossia Sestano).
Concluderò che dalla procedura del 715 sulla controversia ecclesiastica fra due vescovi siano maggiormente venuti in chiare, in primo luogo, di un fatto citato allâArt. PIEVE A NIEVOLE (vol. IV pag. 244) cioè che nelle cause economiche delle chiese sotto il dominio dei Longobardi (almeno al principio del secolo VIII) dovevano intervenire i messi, o rappresentati regii; in secondo luogo, dallâesame di quei 70 testimoni si è scoperto, non solo quali fossero nel secolo VII e VIII le condizioni ecclesiastiche di Siena e di una parte del suo contado, ma si è venuto a conoscere che il giudice o gastaldo politico di Siena esercitava non piĂš rigore di adesso le attribuzioni del regio diritto sopra i suoi amministrati, i quali non potevano ordinarsi al sacerdozio senza una sua autorizzazione accordata con le lettere che i gastaldi di Siena rilasciavano a quelli che si recavano ad Arezzo per esservi da quel vescovo ordinati al sacerdozio. In terzo luogo, di lĂ si possono conoscere quali fossero dopo la metĂ del secolo VII le condizioni dei livellari di terre nel senese, i quali al pari dei mercanti, dei maestri dâarte e dei chierici erano contemplati dalla legge per uomini liberi; dondechè i popoli italiani vinti dai Longobardi non erano piĂš nella condizione abbietta, come quella in cui furono ridotti al tempo di S. Gregorio Magno. Finalmente in quarto luogo giova avvertire, che la giurisdizione ecclesiastica in urto con la politica di Siena al tempo dei Longobardi, dovè prender piede posteriormente allâeditto di Rotari (anno 643) siccome si osserverĂ in seguito allâArt. SIENA DIOCESI.
III. SIENA SOTTO I CAROLINGI SINO ALLâEPOCA DELLA SUA REPUBBLICA Dopo aver visto che Siena fra il secolo VII e VIII era governata da un giudice con il titolo di gastaldo per conto e a nome del re dei Longobardi, mentre un altro gastaldo soprintendeva allâeconomico; dopo aver visto che in S.
Martino (forse nel luogo tuttora esistente poco lungi dalla gran piazza del Campo) era situata la corte regia; dopo aver trovato in questa cittĂ gli arimanni, quasi visdomini facenti da patroni, e talvolta anche dai giudici subalterni nelle cause piĂš solenni; dopo aver detto che sotto i Longobardi esisteva il regio diritto, dopo aver trovato nel piviere di S. Restituta in Val dâOrcia, una corte minore presieduta dagli scarioni regii e le classi degli uomini liberi, degli esercitali, deâchierici, deâcoloni, e dei livellarj, capaci di far prova in giudizio; dopo tutto ciò resta da dire come nel cambiamento del governo longobardo alla discesa di Carlo Magno in Italia (anni 774 e 775) la cittĂ e contado di Siena accogliesse superiormente ad ogni altro paese dalla Toscana i signori di legge salica venuti con lâesercito alla corte di quel sovrano. I nobili francesi giunti allora in Toscana, sembra che preferissero ad ogni altra cittĂ Siena, (non saprei dire se per la somiglianza del brio nazionale con questo popolo o per altro) tostochè i magnati di legge salica sono comunissimi nelle scritture sanesi di quella e delle posteriori etĂ . Ma la condizione dei vinti italiani in generale e dei Sanesi in particolare durante il dominio dei re Carolingi non si può desumere dalla storia, la quale rispetto a ciò è rimasta, almeno châio sappia, finora taciturna e misteriosa.
Solamente dal debole barlume che ne trapela si può riconoscere in generale, qualmente nellâanno 779 Carlo Magno pubblicò il suo primo Capitolare pel regno longobardo, cui succedè qualche tempo dopo quello sulle leggi personali delle diverse razze, o caste degli uomini abitanti allora in quel regno e a lui soggetti; mentre non prima dellâanno 801 Carlo magno emanò lâaltro Capitolare riguardante le successioni.
La conquista però del regno longobardo fatta da quel Magno portò una modificazione nella parte governativa, talchè a poche città della Toscana fu conservato e a pochissime fu dato un governatore col titolo di duca; le altre tutte erano presedute o dai conti o dai gastaldi di origine francese.
Quando le cittĂ oltre il conte aveva anche il gastaldo, quello soleva presedere al politico, questo allâeconomico; il primo per es. aveva le attribuzioni consimili a quelle deâduchi, cioè di mantenere gli abitanti della sua cittĂ e contado ubbidienti alle leggi e fedeli al re, punire i malfattori, difendere le vedove e i pupilli; era poi cura del gastaldo come del conte di riscuotere lâentrate regie e alla fine presentare in persona il prospetto al tesoro reale. â (MARCULFO, Formul. Lib. I. Cap. 8. - CARLO TROYA, Storia del Medio Evo dâItalia, Vol. I. P. V.) Ciò premesso aggiungerò come la cittĂ di Siena sotto quella dinastia fu preseduta dai conti di origine e legge salica. â Se i di lui governatori estendessero la giurisdizione su tutto lâantico contado sanese o lâoltrepassassero, resta dubbio ancora, con tutto che in un placito tenuto nel luglio dellâ886dentro le mura della cittĂ di Soana da Stefano vescovo di detta cittĂ alla presenza di Liutprando gastaldo di Soana, e di diversi scabini, ve ne fossero due di Siena, uno di Chiusi e un quarto di Pistoja.
â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina.) Comecchè andasse la bisogna, sembra cosa indubitata che Siena con il suo contado entrasse nellâeccezione indicata dallo storico Fredegario, il quale discorrendo deâconti di una sola cittĂ , disse che molti di quella Ducem super se non habent.
Dopo di aver detto che sotto i re Carolingi le cittĂ della Toscana mancanti del conte avevano alla testa del governo un gastaldo, stimo doverne escludere Pisa, cui presedeva lo stesso duca, poi conte di Lucca, innanzi che vi fossero introdotti i marchesi.
AllâArt. BERARDENGA fu detto che lo stipite donde traeva nome quella contea traeva la sua origine da un Winigi figlio di Ranieri di nazione francese, il quale troviamo una volta a Lucca in qualitĂ di legato dellâImperatore Lodovico II (anno 865) innalzato piĂš tardi conte o governatore di Siena (anno 868 e 887).
Lâuso poi di dichiarare la professione della legge sotto la quale uno viveva, dopo Carlo Magno divenne tanto universale in Italia che ciascuno serbava, dirò quasi con orgoglio, la qualitĂ della propria origine, la quale trasmettevasi ai discendenti di generazione in generazione, Dondechè non fia meraviglia se nelle carte senesi, tanto in quelle anteriori quanto in quelle posteriori al mille, pressochè tutte le famiglie magnatizie sanesi dichiaravano di vivere a legge salica.
In ogni modo la serie dei conti salici di Siena sotto il governo Carolingio è piĂš interrotta di quella deâsuoi gastaldi sotto il regno deâ Longobardi, avvegnachè di un solo conte di Siena di origine salica è stata tramandata fino a noi la memoria. Voglio dire del sopra rammentato Winigi o Winighigi figliuolo di Ranieri, o Raghinieri, fondatore nellâanno 867 della badia di S. Salvatore della Berardenga, attualmente appellata Monastero dâOmbrone.
â Vedere ABAZIA DELLA BERARDENGA.
PiĂš chiaramente cotesto personaggio trovasi qualificato conte della cittĂ di Siena in un atto di permuta di beni fatto in Roselle nellâanno 868. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina) Ma innanzi che il conte Winigi esercitasse in Siena le qualitĂ del governatore, non meno di tre sentenze solenni erano state pronunziate dai giudici sotto il regno Carolingio rispetto alla giurisdizione spirituale che i vescovi di Arezzo esercitavano sopra una parte del contado senese, tostochè la loro diocesi penetrò fino ai suburbii di cotesta cittĂ . â Vedere SIENA DIOCESI.
Mi limiterò qui a ra mmentare il giudizio tenuto in ottobre dellâanno 833 nellâepiscopio di Siena, dove assisterono fra gli altri un conte Adalrico e diversi scabini di questa cittĂ . Nel caso poi che Adalrico fosse stato conte di Siena, noi avremmo in esso il primo conte, o governatore conosciuto di questa cittĂ sotto il regime deâCarolingi. â (MURATORI , Ant. M. Aevi, Dissertazione 70) Per ora il governatore piĂš certo di Siena con il titolo di conte si limita a quel Winigi, o Vinigisi, rammentato allâanno 868 da una membrana della Badia Amiatina citata agli Art. ROSELLE e STRABUGLIANO.
Lâepoca di questo conte o governatore di Siena ne ricorda inoltre lâordine emanato fra lâ866 e lâ867 dallâImperatore Lodovico II il quale per riparare agli sbarchi deâSaracini sulle coste dâItalia, mediante una legge ossia capitolare, chiamò sotto lâarmi quanta piĂš gente potè, comandando ai conti e ai gastaldi di non accordare lâesenzione dal servizio militare ad alcuno. Coloro che possedevano il solo valsente di soldi dieci volle che stessero alla difesa deâlidi marittimi; e solamente dichiarò esenti dal servizio i poveri che non possedevano tanto capitale da arrivare a dieci soldi.
Ma qual fosse il governo civile e politico sanese durante gli ultimi imperatori franchi, non saprei indicarlo senza tema di errare. Dirò solamente che in un placito tenuto a Siena dallâImperatore Carlo il Grasso nellâanno 881, vi assistè il marchese Berengario, quello che divenne re dâItalia, oltre un gran numero di vescovi, di giudici, magnati e conti fra i quali quel Winigisi che trovammo conte di Siena nellâanno 868. Il quale placito fu pronunziato a causa delle querele rimesse in campo per la settima volta fra i vescovi di Arezzo e quelli di Siena. Che poi il conte Winigisi assistente a quel placito fosse stato allora governatore politico di Siena, lo farebbe credere il vederlo comparire egli stesso in quella discussione fra i testimoni.
Quando era per avvicinarsi il secolo IX due principi si disputavano la corona ferrea di Milano e quella imperiale di Roma; lo che avvenne dopo mancato lâimperatore Carlo Manno, in un tempo che può dirsi il principio dâinnumerabili mali scatenati sullâItalia, dove fatalmente da lĂŹ innanzi le sciagure della nostra penisola presero tale sopravvento e vi andarono peggiorando di maniera che lâignoranza e la barbarie camminavano di pari passo con la piĂš sfrenata corruzione dei costumi.
Nellâanno 888 due furono i concorrenti al regno dâItalia, il marchese Berengario duca del Friuli ed il marchese Guido duca di Spoleto, il primo nato in Italia e considerato come un italiano, che fu coronato in Pavia come re dâItalia, il secondo di origine francese ossia di legge salica , ebbe in Roma un anno dopo (889) dal Pontefice Stefano IV la corona imperiale.
Ma cotesti due coronati a onte di una stretta amicizia e di una tacita convenzione anteriormente stabilita, quella cioè di ripartirsi fra loro il pingue impero di Carlo il Grosso, terminarono col farsi una guerra lumga e atroce, la quale trascinò nella desolazione la piĂš gran parte dâItalia.
Ognun sa che Berengario fu salutato dal suo panegirista come Principe dâItalia e lo storico Giovanni Villani, al pari di altri scrittori del XIII e XIV secolo, non senza una qualche ilaritĂ , raccontava qualmente per lâelezione di Berengario la corona di ferro piĂš non ornava il capo di un Franco, nĂŠ di alcun altro principe straniero. Dopo però che quei due competitori rimisero la contesa del regno dâItalia alla decisione delle armi, lâImperatore Guido potè (fra lâ889 e lâ894) dominar non solo in Siena e nella maremma grossetana, ma ancora nel territorio di Chiusi, cui allora apparteneva la parte settentrionale del Monte Amiata. Inducono a credere ciò due documenti della Badia Amiatina, ora nellâArchivio Diplomatico Fiorentino, il primo deâquali fu rogato in Chiusi li 27 agosto dellâanno secondo del regno in Italia di Guido (890), e il secondo consistente in un privilegio emanato in Roselle dallo stesso Imperatore li 14 settembre dellâanno 893, cioè, come ivi si dichiara, nellâanno quarto del suo impero. â Vedere ROSELLE e LAMONE.
Che però cotesto Imperatore non regnasse senza interruzione nĂŠ per lungo tempo sugli abitanti di Siena e del suo contado, lo dimostrano altri documenti della provenienza testè indicata. Uno deâquali fu riportato dallâUghelli nella sua ITALIA SACRA in Episcopis Clusinis, essendochè questâultimo ci scuopre il re francese Arnolfo, giunto a Roma nel 26 febbraio dellâ895, corrispondente allâanno IX del suo regno in Francia e III in Italia. â Aggiungasi come due anni innanzi lâImperatore Guido aveva associato al suo impero il di lui figlio Lamberto che assai giovane venne incoronato in Roma (anno 892). Ed eccoci in Italia con due imperatori, Guido e Lamberto, e due re, Berengario e Arnolfo, dallâultimo deâquali restarono vinti e depressi tutti gli altri coronati.
Avvegnachè Arnolfo vedendo la fortuna favorevole alle proprie armi la fece da padrone sulla penisola a segno tale che i marchesi di Toscana e di altre regioni si recarono a riconoscere dal sovrano francese i loro feudi e governi.
Non era peranco compito il primo anno del regno di Arnolfo in Italia quando lâImperatore Guido terminò di vivere; e allâArt. LUCCA, fu avvisato il lettore che i notari di quella e di altre cittĂ della Toscana dopo la morte di cotesto sovrano trascurarono di segnare nei loro rogiti lâanno e i titoli del re Berengario e quelli di Arnolfo.
Peraltro dappoichè questâultimo abbandonò lâItalia, il Popolo sanese e quello di Chiusi ritornò sotto il regime dellâImperatore Lamberto figlio di Guido, il quale potè regnare pacificamente fino alla sua morte, che accadde presso la fine dellâanno 898, per cui poco dopo, mancato di vita il re Arnolfo, riprese vigore Berengario.
Ai fatti storici testè in dicati acquista forza di vero un istrumento rogato in Chiusi li 12 settembre dellâanno 899, nel quale si dichiara c hi allora vi dominava, cioè, nellâanno secondo del regno italico di Berengario dopo la morte dellâImperatore Lamberto. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina).
Sembrava che la Toscana, con tutta lâItalia superiore e centrale ridotta sotto un solo principe sâavesse a godere una pacifica quieta; ma quellâanno appunto, in cui si chiudeva il secolo IX, quandâera per aprirsi il tenebroso secolo X; cominciò per glâItaliani una serie di gravissime sciagure. imperocchè al danno immenso recato ai paesi dellâalta Italia dagli Ungheri inferociti contro il re Berengario, si aggiunse quello dei seguaci dei due imperatori testè defunti; sicchè i popoli italiani si trovarono immersi nella desolazione e nelle guerre di partito.
Che se in Siena al pari che in Chiusi dopo il 900 dominava lâImperatore Lodovico III, figlio del re Arnolfo, il suo impero non fu di lunga durata, giacchè nellâagosto del 903 si scontrarono in Siena i conti salici e di nuovo il governo del re Berengario. Ciò è dimostrato da una carta della Badia Amiatina con la indicazione seguente: Lâanno XVII del regno di Berengario in Italia, dellâIncarnazione, 903, nel mese di agosto, Indizione VI.
Il quale istrumento fu rogato in Siena da Odelberto giudice e notaro, facendo da testimoni varj personaggi, la maggior parte di legge salica. Trattasi in quellâistrumento dellâinvestitura data allâabbate del Monastero precitato da Berta di legge salica figlia di Adelgisio conte, e vedova del fu conte Bernardo, pur esso di legge salica, di alcune case e corti poste in luogo detto Stercorate. Per la quale investitura e donazione la precitata contessa ricevè dallâabbate Amiatino, a titolo di Launechild , la partecipazione alla sacre orazioni del monastero sunnominato, sottoponendo alla penale di lire cinque dâoro e di 10 pesi dâargento chiunque avesse ardito infrangere cotale donazione.
Potrei anche rammentare un diploma dello stesso re Berengario dopo incoronato Imperatore a favore della Badia Amiatina, dato in Roma nel dĂŹ 8 dicembre del 915, corrispondente al primo anno del suo impero, per dire che stando a quella scrittura, Berengario dovè essere incoronato in Roma imperatore innanzi il dĂŹ 8 dicembre dellâanno 915, piuttostochè differire quella funzione al S.
Natale successivo, come supponeva neâsuoi Annali il Muratori.
Non è la sola cittĂ di Siena, ma in generale la Toscana tutta che scarseggia di storici e anco di memorie relative al cupo periodo che corse tra il 924 e il 950. Diversamente però camminano le bisogna dopo la discesa in Italia di Ottone il Grande, considerato da molti qual creatore delle prime riforme economiche, e dirò anche dellâistituzione dei governi municipali italiani.
A quel tempo pertanto le cittĂ della nostra penisola erano rette o dai vescovi, o dai conti. Chi allora di queste due qualitĂ di personaggi governasse Siena, io lo ignoro, poichĂŠ non ebbi la sorte di trovarne indizio fra le molte membrane superstiti visitate; alcune delle quali solamente ne avvisano che Siena con il suo contado nellâanno 950 continuava al pari di Chiusi a far parte del regno italico sottoposto Berengario II e ad Adalberto suo figliolo. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO) Ma non erano cotesti due sovrani giunti a compire il XII anno del loro regno che Ottone I penetrò senza contrasto in Italia, e nella capitale di Pavia egli potè celebrare il S.
Natale del 951, innanzi di tornarvi 10 anni dopo per recarsi a Roma dove nel giorno della Purificazione (2 febbrajo del 962) dal Pontefice Giovanni XII gli fu posta in testa la corona imperiale.
Al rtorno di Ottone I da Roma a Pavia, passando da Rignano nel 22 febbrajo di quellâanno 962 vi sottoscrisse un diploma a favore del monastero del Monte-Amiata.
Tale circostanza giova anzichĂŠ no ad accrescere la probabilitĂ che il nuovo imperatore sia nellâinverno del 962, come nellâestate del 964, attraversando la Toscana, passasse per Siena, giacchè nel dĂŹ 13 marzo 962 è dato in Lucca un suo diploma a favore dè canonici di quella cattedrale; ed in Lucca nel 29 luglio e 3 agosto del 964 furono emanati due altri privilegi da quello stesso sovrano il primo dei quali ad istanza delle monache di S. Giustina di detta cittĂ , ed il secondo inedito a favore delle Badia di S. Salvatore sul monte Amiata. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina).
Ă pure credibile che nel 967 Ottone I ripassasse da Siena tostochè da Ravenna dovĂŠ attraversare la Toscana per recarsi a Volterra, presso la qual cittĂ nel 12 giugno di quellâanno, in Monte-Vetrajo, egli assisteva a un placito pronunciato dal Marchese Oberto conte del palazzo imperiale.
Nulla peraltro di tutto ciò accresce lume alla storia civile di Siena; relativamente a un di cui vescovo e suo capitolo citerò un istrumento dato in essa cittĂ li 7 aprile dellâanno quarto del regno di Ottone III (999), in cui si tratta di affittare dei beni appartenenti al clero della chiesa maggiore di Siena. Dal quale istrumento non solo apparisce che quella cattedrale era retta dal vescovo Ildebrando, ma che in quel capitolo si contavano non meno di 5 canonici dignitarj, il Preposto cioè lâArcidiacono, il Priore della scuola del canto, il Primicero ed il Visdomino. â (PECCI, Dei Vescovi ed Arcivescovi di Siena. â ARCHIVIO BORGHESI-BICHI).
Rispetto agli antichi magnati che sogliono trovarsi nelle carte senes i, ne citerò due, che uno di essi era un Lamberto figlio di un Marchese Ildebrando (forse anche conte) il quale stando nel suo castelletto di Valiano sullâOmbrone, presso Campagnatico, per istrumento del 18 aprile dellâanno 973, oppignorò per la vistosa somma di lire 10,000 non meno di 45 corti con le loro pertinenze, chiese, terre, mulini, servi, fedeli ecc. le quali corti in quel contratto si dichiararono situate in vari contadi della toscana, in Liguria e nel Parmigiano.
Sedici anni dopo fu restituita allâoppignorante la stessa somma di 10,000 lire da donna Ermengarda figlia del conte Ranieri, dopo di essere rimasta vedova del predetto Marchese Lamberto, assistita da Oberto, suo mondualdo, nel modo prescritto da un rogito del 17 aprile 989, fatto in Lattaria.
Un altro magnate si diede a conoscere in un terzo istrumento scritto pur esso nellâaprile del 973 nella torre di Lattaria , col quale il conte Ridolfo, figlio del fu Gherardo che era stato conte del palazzo , comprò alcune terre poste in Campagnatico. â Vedere LATTAJA e SANTA-FIORA.
Finalmente porta la data di Siena un quarto istrumento del novembre 988, stato giĂ citato allâart. CASENOVOLE, dove è fatta menzione di una contessa Willa figlia del fu conte Kadulo di Fucecchio, lasciata vedova da un Ranieri che fu pur esso conte.
Forse alla prenominata contessa Willa vuolsi riferire un quinto atto pubblico rogato in Siena nel novembre 994, in cui si tratta della vendita di una casa massarizia posta in Orciano (forse Orgiale dellâArdenghesca) appartenuta in origine a quella contessa. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte della Badia Amiatina.) Non saprei dire però da qual documento lo storico Malavolti ricavasse la notizia che fino dal secolo X Siena ottenesse la libertĂ sotto il governo degli ottimani per benefizio cocessole dallâImperatore Ottone III, e che lo stesso sovrano da Siena ripassasse, quando dalla Germania tornò a Roma a rimettere nella sede pontificia lâespulso Gregorio V.
Non avendo io prove per corroborare nÊ per infirmare un tale asserto, mi limiterò ad annunciare in iscorcio i cambiamenti radicali accaduti specialmente nelle forme municipali del governo di Siena dal mille al mille duecento sessanta, vale a dire fino alla giornata di Montaperto.
IV. SIENA DAL SECOLO UNDECIMO ALLA GIORNATA DI MONTAPERTO Le prime mosse dâarmi tra cittĂ e cittĂ cominciarono per avventura in Toscana, quando i magnati, i vescovi e i popoli dellâalta Iltalia erano divisi in due partiti, uno dĂŠ quali voleva re Arduino principe italiano, lâaltro Arrigo I sovrano tedesco. Lucca sembra che abbracciasse la sorte del re italiano, mentre Pisa mostravasi partitante per il tedesco. Infatti allâArt. PISA rammentando io il fatto dâarmi accaduto nel 1004 fra i Lucchesi e i Pisani presso Ripafratta nei contorni di Caldaccoli, diceva che probabilmente quella guerra fra due municipj toscani trasse origine dallâelezione di quei due principj chiamati nel tempo stesso a regnare sullâItalia.
ComecchĂŠ riguardo allo stato di repubblica questa di Siena non avesse principio che intorno alla metĂ del secolo XII, contuttociò le memorie relative al suo governo economico e civile sembrano risalire ad un secolo innanzi. ImperocchĂŠ senza rammentare la membrana del 7 aprile 999, la quale conservasi nellâarchivio privato dĂŠ signori Borghesi-Bichi di Siena, dove si parla del vescovo di allora e delle varie dignitĂ che contava il capitolo della sua cattedrale, senza appoggiarmi ad un istrumento scritto in Siena nel gennaio del 1001, riguardanti la vendita di beni fatti a diversi, i quali insieme alla maggior parte dei testimoni si dichiararono di vivere a legge salica, mi fermerò piuttosto sopra altro istrumento del luglio 1010, rogato esso pure in Siena, nella casa di Guido del fu Rainaldo visconte situata nel Castelvecchio . Eâ un contratto di enfiteusi di alcune terre poste presso il luogo di Castagnetolo, fatta dal conte Bernardo, figlio di un altro conte Bernardo, con lâonere al fittuario di recare per censo annuo otto denari al ministro quel conte in Siena nella sua corte situata presso la chiesa di S. Pietro.
Fra i testimoni ivi sottoscritti leggesi il nome di un Ranieri Visconte figlio di Grifone, al quale ultimo personaggio ci richiama un altro istrumento (ERRATA: del 1012) del dicembre 1012, scritto in Siena presso lâArco di S.Donato relativamente al fitto di un pezzo di terra con casa annessa, il tutto posto in Siena nel popolo di S. Desiderio sotto il Duomo (nota bene) lungo la strada che va alla casa del vescovo di detta cittĂ . â (ARCH.
DIPL. FIOR., Carte della Badia di Passignano).
Che poi le cittĂ della Toscana anche nel secolo XI fossero governate dai conti lo dichiara per tutti un diploma di Arrigo III del 17 giugno 1052, col quale il clero di Volterra venne esentato dalla giurisdizione deâ marchesi e dei conti, cui fino allora quei preti erano stati soggetti.- (MURATORI , Ant. Med. Aevi, Dissert. 39.) Assai maggiori furono gli onori che dopo la metĂ del secolo XI ricevè la cittĂ di Siena allâoccasione del concilio ivi celebrato nellâanno 1058, quando Gherardo vescovo di Firenze fu innalzato sulla cattedra di S. Pietro col nome di Niccolò II.
Da quellâepoca in poi anco per la storia politica incomincia ad albeggiare una qualche luce; e comecchè in mezzo ad una lacrimevole desolazione sfortunatamente il secolo II manchi di storici, pure rispetto alla cittĂ di Siena vi riparano in qualche modo i molti documenti superstiti deâ suoi pubblici e privati archivi; parte dei quali spogliati dal chierico Uberto Benvoglienti furono dati alla luce dal Muratori nelle sue preziose Antiq. M. Aevi, ed altri dal Pecci, che li riportò, o citò nelle opere da esso lui pubblicate, o sivvero si racchiudono nella ricca collezione deâMSS. inediti, che attualmente conserva in Siena nella sua biblioteca privata il Cavalier Carlo Lodoli.
Rammenterò inoltre un atto del 16 aprile 1072, rogato nel Castelvecchio di S. Quirico in Siena da Guidone notaro, col quale due fratelli conti, Bernardino e Ardingo, col consenso del conte Ranieri loro padre, confermarono al capitolo della cattedrale sanese la donazione fattagli dal loro genitore; ed una nuova conferma di quella donazione fu ripetuta dal conte Ardingo nipote del Conte Ranieri primo donatario per istrumento del I marzo 1079 scritto in Siena nello stesso Castelvecchio. - (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO, Carte citate.) Non starò a rammemorare un altro istrumento dellâaprile 1074, rogato in Montaperto, mercè cui lâarciprete Lamberto a nome del capitolo di Siena diede ad enfiteusi a Bernardo figlio di Winigi e a Berta di lui madre diversi beni e giuspadronati di chiese, fra le quali la chiesa di S.
Pietro in Barca nella Berardenga. (loc. cit.).
Peraltro non debbo passare sotto silenzio un processo, dal quale viene assai meglio a scuoprirsi qual fosse nel secolo XII il regime politico di Siena e del suo contado.
Ă un fatto poco diverso dalla procedura del 715, sennonchè in questâultima si trattava di giurisdizioni ecclesiastiche, mentre lâaltra del 1205 riguarda la giurisdizione secolare e lâestensione nel secolo XII del contado sanese dalla parte di Montepulciano. Il processo fu fatto nel paese di S. Quirico in Val dâOrcia, dove assisterono, oltre il potestĂ di Siena, Bartolommeo di Rinaldino i principali rappresentanti della lega Guelfa di Toscana, alla quale presedeva Ildebrando vescovo di Volterra, mentre Ugo Vinciguerra vi rappresentava la cittĂ di Firenze, un Rustichello quella di Lucca, un Marzi vi era per la cittĂ di Siena, Giotto a nome di Perugia, e Ansaldo per la cittĂ di Arezzo. Inoltre vi si trovarono fra i testimoni un Rinaldino console e rettore dellâarte dei mercanti di Siena con molti personaggi di famiglie nobili sanesi, fra i quali diversi Cacciaconti e Cacciaguerra della Scialenga, della Berardenga, di Sarteano, ecc.
Alla presenza pertanto dei personaggi sunnominati il giudice Ruggero per ordine del potestĂ di Siena nel giorno 5 aprile del 1205 esaminò vari abitanti di San Quirico, di Monte-Follonico, di Corsignano e di Monticchiello i quali tutti conformemente deposero che Montepulciano da 50 e piĂš anni indietro era governato dai rettori dei conti Alemanni di Siena, cioè, a partire dai tempi dellâImperatore Corrado III, dal conte Paltonieri, che reggeva Siena e il suo contado, mentre durante il regno dellâImperatore Federigo I non meno di quattro conti presederono al governo di Siena e del suo territorio, compresovi il distretto di Montepulciano. Altri 4 conti succederono al governo sanese come ministro del conte Arrigo VI. Finalmente da quel processo risulta che un ultimo conte tedesco sulla fine del secolo XII in nome di Filippo duca di Toscana resse Siena ed il suo contado, compreso Montepulciano. â (MURATORI,. Ant. M. Aevi.
Diss. 50.) Del primo conte Paltonieri che fu figlio di altro conte Forteguerra lâarchivio delle riformagioni di Siena conserva un atto del 14 luglio 1151, rogato da Rolando giudice e cancelliere, col quale il conte predetto diede in pegno al sindaco della cittĂ e Comune di Siena il castello di S. Giovanni dâAsso con la sua corte e distretto, ed il castel dâAvana, (presso Chiusure) con tutta la corte a condizione di riprendere lâuno e lâaltro dentro il termine di dieci anni. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Tomo I delle Pergamene N°. 21).
Da qual documento risulta che il conte Paltonieri nasceva da un altro conte vivente nel 1151, ma che fino di detto anno il di lui padre erasi stabilito in Siena, quando giĂ cotesta cittĂ contava una rappresentanza e magistratura sua propria.
Al quale ultimo vero serve di conferma un atto pubblico del dĂŹ 14 maggio dellâanno 1137, rogato dal cancelliere Rolando nella piazza di S. Cristofano di Siena davanti al consiglio del popolo adunato in comuni colloquio . Con il quale atto diversi nobili di Staggia e Strove donarono al vescovo di Siena Ranieri I, capo civile ed ecclesiastico di quel Comune, la quarta parte di Monte-Castelli, una piazza nel Castello di Strove e due piazze situate nel suo borgo con altrettante nel Castello e borgo di Montacutolo sul Monte-Maggio. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO DI SIENA, Tomo I delle Pergamene N°. 14.) ComecchĂŠ Siena col suo contado sino alla morte di Manfredi nel politico fosse governata nel nome degli Imperatori svevi, contuttociò fino dâallora rispetto al civile ed economico essa era retta dai suoi consoli, che a suono di campana facevano adunare il popolo per deliberare o nella chiesa di S. Cristoforo, o in quella di S.
Pellegrino, la prima tuttora esistente in piazza Tolomei, la seconda soppressa poco lungi di lĂ , ed entrambe situate nella parte centrale della cittĂ . Ma il primo giorno della vera libertĂ senese, io dubiterei che non avesse a datare innanzi ilo mese di ottobre dellâanno 1186, allâepoca cioè dellâindulto che i Sanesi ottennero dal re Arrigo VI, vivente lâImperatore Federigo I di lui padre con la conferma della loro zecca e la libera elezione deâ consoli e del rettore o podestĂ , al quale si accordava facoltĂ di estendere la sua giurisdizione sopra tutto il contado, riservando solamente ai giudici o messi dellâimpero le cause in ultimo appello.
Simili grazie peraltro furono precedute da piĂš dure condizioni alle quali i Sanesi dovettero soggiacere dopo aver sostenuto un assedio, non saprei dire, se provocato dallâaver eglino per un momento aderito al partito guelfo o della chiesa romana, oppure per altre cagioni a me ignote.
ChecchĂŠ ne sia è cosa indubitata però che il popolo di Siena non dovĂŠ alienarsi dalla grazia di Federigo I,. se non dopo la morte del Pontefice Alessandro III loro concittadino, siccome dirò qui appresso. Giovano a provare cotesta mia induzione due diplomi, uno dei quali dato in San-Quirico li 27 aprile del 1167 e lâaltro del 12 febbrajo (ERRATA : 1580) 1180 spedito da Monte Fiascone, col quale Cristiano arcivescovo di Magonza, arcicancelliere imperiale, succeduto a Rinaldo in Italia per lâImperatore Federigo I donò al Comune di Siena e per esso ai suoi consoli tutti i diritti che lâImperatore aveva nel castello di San-Quirico, quelli sulla metĂ del castello e distretto di Montieri, e il diritto delle porte della cittĂ di Siena. Inoltre lâindulto citato prometteva ai Sanesi di far confermare tuttociò, compreso il diritto della zecca, allâImperatore Federigo I, il quale due anni innanzi erasi rappacificato con il Pontefice Alessandro III.
GiĂ dagli Art. FIRENZE, PISA, VOLTERRA, si potrĂ rilevare che nei secoli XII e XIII, quando glâImperatori facevano guerra ai Papi, capi e difensori della parte guelfa, i vescovi di molte cittĂ della Toscana presedevano alle deliberazioni del popolo: e nel modo che trovammo in Firenze sul principio del 1200 capo di quella repubblica il vescovo Giovanni da Velletri, in Volterra il Vescovo Ildebrando deâPannocchieschi, cosĂŹ la Signoria di Siena dal 1128 al 1166 era preseduta dal suo vescovo Ranieri I.
Della qual presidenza fu fatta menzione poco sopra e da Giovanni Antonio Pecci nella serie deâ Vescovi e Arcivescovi di detta cittĂ , il quale indicò sotto ilo vescovato di Ranieri I molte sottomissioni e accomandigie fatte al Comune da diversi nobili di contado, indirizzaronsi a Ranieri, quasi (diceva il Pecci) riconosciuto capo della repubblica nello spirituale e nel temporale.
Fra i molti documenti atti a dimostrare tutto ciò mi limiterò agli istrumenti seguenti. Nel 27 febbraio del 1156 Ranuccio signore di Staggia e Strove con Bernardino e Gozzolino suoi figli, unitamente a Ottaviano e Rustico di Soarzo loro consorti, si diedero in accomandigia al popolo sanese nelle mani del vescovo Ranieri col castello di Strove e le sue pertinenze, e mentre giuravano fedeltĂ alla Repubblica, promettevano di difenderla in tutte le guerre e specialmente in quelle contro i Fiorentini, con lâobbligo di consegnar aglâincaricati di quel Comune dentro otto giorni dalla fatta richiesta per servizio della guerra la torre di Montacutolo sul Monte-Maggio. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO DI SIENA, Tomo I Pergamena N°. 24.) Anche nel gennaio del 1163 Ubaldino del fu Ugolino di Soarzo donò al Comune di Siena, e per esso al vescovo Ranieri, ogni diritto che egli aveva sulle terre, castelli e ville che possedeva da Poggibonsi alla Porta Camullja, e nominatamente nei castelli di Staggia e di Strove, nel castello di Montacutolo sul poggio di Monte-Maggio ed in Monte-Castelli, nella corte di Sitecchio e in quella di Stomennano, a condizione per altro di restare tale donazione priva di effetto nel caso in cui il detto Ubaldino lasciasse deâ figli maschi. â (ivi N°. 32.) Nel febbrajo dellâanno stesso Paganello e Rustico di Soarzo con Bellafante e Berta di Ottaviano di Soarzo donarono alla Repubblica in mano di Ranieri vescovo di Siena le ragioni che gli appartenevano nei castelli e corti di Montacutolo nel Monte-Maggio e di Monte-Castelli con i loro boschi e dipendenze. Rogò uno di quegli atti davanti la chiesa di S. Pellegrino il notaro Ranieri alla presenza del consiglio generale del popolo sanese. â (PECCI, Opera citata e ARCHIVIO DIPLOMATICO DI SIENA, Tomo I delle Pergamene. N°. 33 e 34.) Non parlerò della bolla di Alessandro III spedita da Roma nel 1166 ai consoli del popolo di Siena e a Ranieri II vescovo eletto della stessa cittĂ relativamente ai suoi confini territoriali e diocesani con il territorio e Diocesi Fiorentini, perchĂŠ riportata dal Muratori nelle Ant. M.
Aevi (Dissert. 74); nĂŠ starò a rammentare altra bolla diretta da Anagni dieci anni dopo (22 giugno 1176) dal Pontefice medesimo a Gunteramo eletto vescovo di Siena, essendo stata pur essa pubblicata dal Muratori (Opera citata Dissertazione 69), parlerò bensĂŹ di una terza bolla concistoriale da Alessandro III inviata da Venezia li 18 giugno del 1177 al clero della cittĂ e borghi di Siena, con la quale si concedevano a quegli abitanti alcuni privilegi in benemerenza di aver essi aderito al Pontefice medesimo in tempo della di lui persecuzione. â (PECCI, Serie deâ Vescovi e Arcivescovi Sanesi.) Aggiungerò altresĂŹ che nellâanno stesso (1177) cominciò per lâItalia a comparire un raggio di quella pace, della quale da gran tempo essa era privata, tostochĂŠ in quellâanno appunto ebbe fine un deplorevole scisma della chiesa di Dio.
Ho giĂ detto che lâadesione deâSanesi al loro concittadino Pontefice Alessandro III non fu la causa della collera mostrata contro essi da Federigo I, tostochĂŠ erano corsi nove anni quando Arrigo VI in nome dellâAugusto suo padre, assediò quella cittĂ , vale a dire cinque anni dopo la morte di Alessandro III.
Nettampoco io credo che quella collera imperiale traesse origine dalle prime guerre nel 1170 fra i Fiorenti e i Sanesi incominciate, siccome raccontarono Ricordano Malespini e Giovanni Villani, mentre tali fatti non solo precedettero di 7 anni la bolla inviata a questi ultimi dal Pontefice Alessandro III, ma ancora la guerra stessa ebbe fine nel 1175 per mediazione dello stesso Federigo I con un trattato di conseguenza col quale furono rinunciati al popolo e Comune di Firenze da Gunteramo vescovo eletto di Siena e dai consoli di detta cittĂ , i castelli, uomini e ville compresi fra il Castagno aretino e il luogo dove la Burna mette in Arbia.
Finalmente in virtĂš della pace generale conclusa in Costanza nel 1183, e forse prima, trovasi stabilito da varie popolazioni italiane il sistema per reggersi a repubblica.
Ma nel tempo che da una parte Federigo I concedeva privilegi, o confermava governi municipali a molti paesi e cittĂ dellâItalia superiore, dallâaltra parte egli voleva ristringere il dominio di alcune altre dellâItalia media.
Stando allâasserzione deâ due cronisti testĂŠ citati, quellâimperante nellâestate del 1184, oppure secondo lâAmmirato e il Sigonio, nel luglio del 1185, ordinò che a tutte le cittĂ della Toscana, fuorchĂŠ a Pisa ed a Pistoja, si togliessero le regalie consuete e il respettivo contado, e che i loro governi si sottomettessero agli uffiziali imperiali perchĂŠ (aggiungono i due cronisti piĂš antichi) âquando Federigo Barbarossa aveva guerra con Papa Alessandro, le altre cittĂ avendo abbracciato il partito della chiesa erano state a lui contrarie; e fu nellâanno 1184 che lâImperatore stesso inviò un esercito ad assediare la cittĂ di Siena ma non lâebbe.â â Che però cotesto affare terminasse ben diversamente di quanto ne scrissero il Malespini e il Villani, lo dichiararono abbastanza i duri patti imposti ai Sanesi, allorchĂŠ chiesero di tornare in grazia dellâImperatore di suo figlio Arrigo. ImperocchĂŠ durissime furono le condizioni che nel giugno del 1186 si esibirono al popolo sanese per riacquistare la buona grazia deâdue coronati; cioè I° di rassegnare alla regia autoritĂ il contado di Siena con i beni che furono della contessa Matilde e del Conte Ugo, e che appartenevano alla marca della Toscana; 2° di consegnare alla potestĂ imperiale i castelli e le terre del contado medesimo, e specialmente il castel San-Quirico, oltre le regalie spettanti allâImpero tanto quelle di fuori come le altre dentro la cittĂ , fra le quali la Zecca, il Pedaggio ed il Teloneo; 3° di dovere i Sanesi dallâetĂ di 15 fino a 70 anni giurare fedeltĂ ad Arrigo VI; 4° di restituire alle chiese e ai nobili del contado le loro possessioni castelli e ville con tutti i diritti che gli furono tolti; 5° di svincolare dal giuramento quei nobili che dai Sanesi vi fossero stati costretti, e di assolvere gli altri che avessero congiurato contro il governo di Siena; 6° di dover consegnare aglâincaricati del re Arrigo i castelli di Montaguto e di Orgia; 7° di pagare 4000 lire allo stesso re, 600 alla regina e 400 alla curia imperiale; 8° di far pace e guerra con tutti quelli, con i quali venisse loro comandato dal re o da alcuno deâ suoi delegati; 9° di mantenersi in pace col vescovo di Volterra, con gli uomini di Montalcino e con altri fedeli dellâImpero; 10° di conservare immuni da ogni sorta di peso le chiese e specialmente quelle della diocesi volterrana comprese nel territorio o contado senese.
A queste condizioni (termina lâatto) lâimperatore Federigo e il re Arrigo rimetteranno i Sanesi nella pienezza della loro grazia, perdonando tutte le offese che ai sovrani medesimi, ossia allâImpero in qualsiasi modo avessero fatto; alle quali condizioni Arrigo Vi avrebbe concesso al Comune di Siena lâelezione libera dei suoi consoli, ammessa però lâinvestitura da darsi dallâImperatore e cosĂŹ dai di lui successori.
La cosa singolare per altro si è di non trovare fra i documenti sincroni alcuno in cui sia fatta menzione dellâassedio di Siena del 1185, o 1186, nĂŠ delle vicende a quello relative. In ogni caso io tengo per dimostrato che un tale assedio o quella guerra contro la cittĂ e Comune di Siena non accadesse nel 1184 come fu scritto da Giovanni Villani.
ComecchĂŠ il popolo sanese innanzi la fine dellâanno 1186 trovasse modo di riacquistare la grazia dellâImperatore e del suo figlio alle condizioni espresse nellâindulto scritto da Cesena li 25 ottobre 1186, si può altronde chiaramente arguire che dalle principali concessioni in quellâindulto registrate emerge unâorigine meno incerta dello stabilimento della repubblica sanese.
I pesi imposti dal Comune di Siena dalla scrittura del 25 ottobre 1186 dovettero continuare per vari anni, tostochĂŠ con lâatto stipulato li 21 marzo 1190 nel Borgo S. Genesio a cagione di mille marche dâargento somministrate ad imprestito da Ildebrando Vescovo di Volterra al mariscalco Enrico Testa legato imperiale in Toscana, si rilasciavano al mutuante tutte le rendite annuali che pagavano alla corona i paesi del Galleno, Cappiano, Fucecchio, Massa-Piscatoria, San-Miniato, Borgo S.
Genesio e la cittĂ di Lucca, oltre il pedaggio di Castelfiorentino, di Poggibonsi, ecc. piĂš il tributo deâ Sanesi consistente in 70 marche al peso di Colonia, ed il pedaggio delle porte di questa cittĂ . â (LAMI, Monum.
Eccl. Flor. pag. 343.) Frattanto il Comune di Siena non solamente andava a poco a poco tarpando lâali ai piĂš potenti magnati del suo contado con lâobbligarli di fornire della milizie alla repubblica, di fabbricarsi casa in cittĂ , di abitarvi per un dato tempo dellâanno, ma ancora introduceva un uffiziale superiore alla direzione del governo militare e dei giudizj criminali col titolo di podestĂ , da primo scelto fra i nobili sanesi, poscia fra i piĂš distinti forestieri.
LâArchivio Diplomatico di Siena nel Tomo I delle Pergamene (carta 64) conserva un atto originale in data del 4 gennaio 1203 (stile comune) relativo alla formula del giuramento prestato al Comune di Siena dal Conte Ildebrandino Palatino di Santa-Fio ra raccomandato della Signoria per 20 anni con gli oneri ivi espressi.
Unâaltra pergamena scritta li 20 agosto dellâanno 1202 contiene lâatto di giuramento per simile accomandigia prestato da Parenzo potestĂ di Orvieto a nome del suo Comune; mentre nel I ottobre dellâanno stesso i consoli di Siena giurarono di non far pace con i Montepulcianesi se non rendevano al conte Manente di Sarteano e a molti altri dinasti deâCacciaconti tutti i loro vassalli che i Motepulcianesi tenevano prigionieri dopo che i Sanesi bruciarono il borgo di Ciliano. â (Loc. cit. Tomo I delle Pergamene N°. 65, 66 e 67.) Molti scrittori fondati sul giramento prestato in Fonte- Rutoli li 29 marzo 1201, credettero che in quellâanno fosse fatta lega fra la repubblica di Siena e quella di Firenze, mercĂŠ cui il potestĂ e i consoli fiorentini promisero non solo di astenersi dallâassistere i Montalcinesi, nel caso che i Sanesi volessero muovergli guerra, ma che al Comune di Siena dove allora era podestĂ Filippo Malavolti, i Fiorentini avrebbero fornito ajuto per un mese di cento cavalli e di mille fanti. â (AMMIR. Stor. Fior. Lib. I.) Frattanto nel popolo di Siena dopo che nel maggio 1202 ebbe conquistato Montalcino, crebbe vieppiĂš il desiderio di impadronirsi di Montepulciano ed è per questo che il suo governo nello stesso anno concluse unĂŹâalleanza con il Comune di Orvieto. Ma intanto i Montepulcianesi prevedendo il colpo che se gli minacciava stringevano lega con i Fiorentini sotto pretesto, scrive lo storico Ammirato, che Montepulciano non era del Vescovado, nĂŠ del contado di Siena. In vista di ciò quella Terra fu accolta in accomandigia della repubblica Fiorentina a condizione di dovere quel Comune inviare ogni anno a Firenze per la festa di S. Giovanni Battista un cero di 50 libbre e dieci marche dâargento, pari a lire 50 di denari pisani. â (Oper.
e Libro cit.) Tutto ciò asseriva lâAmmirato, ma dal giuramento di San- Quirico (aprile 1205) si scuopre la causa per la quale ebbe luogo, sebbene senza effetto, quel giudizio, avvegnachĂŠ due anni dopo (anno 1207) si riaccese guerra fra i Sanesi e i Montepulcianesi assistiti dai Fiorentini. Quindi è che lâoste fiorentina nel 1207 si condusse nel territorio sanese, e fu sotto Montalto della Berardenga dove accadde nellâanno stesso un fatto dâarmi a danno deâ Sanesi; in conseguenza del quale disse il Villani, vennero a Firenze 1300 Sanesi prigionieri, e i Fiorentini ebbero il detto castello di Montalto che disfeciono. Nellâanno appresso (1208) ritornando lâoste medesima nel contado sanese, disfece Rigomagno, e di lĂ avanzandosi verso Rapolano, prese e condusse seco gran preda e molti prigionieri, finchĂŠ nel 1210 i Sanesi, mediante la pace fatta con i Fiorentini, Montepulcianesi e Montalcinesi riebbero i luoghi perduti. â (GIOVANNI VILLANI, Cronica Lib. V cap.
33 e 34).
NellâArchivio Diplomatico di Siena conservasi nel Tomo I delle Pergamene una membrana (N°. 71) scritta li 4 febbrajo del 1205 (1206 stile comune) nella quale si legge che era allora potestĂ di Siena Jacopo dâIldebrandino succeduto a Bartolommeo di Rinaldino, a quello stesso Bartolommeo che nellâaprile precedente aveva presieduto al giudizio tenuto in San-Quirico di Val dâOrcia.
Poco dopo di essere stata ristabilita fra i Sanesi e i Fiorenti la pace del 1210, la comunitĂ del Monte SS.
Marie per contratto del 3 gennaio 1211 stile comune) prese in affitto da uno degli antichi dinasti di detto luogo, Ranieri di Pepone deâCacciaconti, alcuni boschi compresi nel territorio della stessa ComunitĂ , che ivi li dichiara compresa nel contado sanese. â (Loc. cit. Pergamena N°.
87).
Fu in quellâepoca medesima, quando i Sanesi riformarono il loro governo col determinare, che dâallora in poi il podestĂ si eleggesse esclusivamente fra i nobili forestieri.
Realmente il primo podestĂ di Siena nominato dopo cotesta legge fu Guido di Rinuccio da Orvieto, cui nel 1213 sottentrò Ubaldo Visconti di Pisa, sostituito nellâanno medesimo da Guelfo di Ermanno di Paganello deâPorcaresi, sotto il qual ultimo podestĂ la Repubblica di Siena fece accerchiare di mura torrite il Castello di Monte-Riggioni; e fu sotto quei podestĂ forestieri che la repubblica sanese (fra il 1214 e il 1224) potè estendere il suo contado dalla parte della provincia inferiore.
LâArchivio Diplomatico Sanese conserva un placito del 15 giugno del 1228 dato da Everardo di Arnestein castellano di San-Miniato e da Rinaldo duca di Spoleto vicario per lâImperatore Federigo II in Toscana, col quale si condannava il Comune di Montepulciano in mille marche dâargento, se quel popolo non ubbidiva ai sovrani comandi per la pace da riformarsi in Toscana. Quindi con altro bando del 17 giugno del 1228 lo stesso Everardo di Arnestein comandò al potestĂ di Siena di tenere i Montepulcianesi per nemici deâSanesi, di perseguitarli e di far loro guerra. â (loc. cit. Pergamena N°. 196) Infatti la Signoria di Siena mandò nellâanno appresso la sua oste sopra Montepulciano; in conseguenza di ciò i fiorentini mossero le loro forze e quelle degli amici contro i Sanesi a difesa deâMontepulcianesi loro amici e alleati.
Non Starò a ripetere quanto fu scritto su questo rapporto allâArt. QUERCE-GROSSA; nettampoco dirò, come i Fiorentini, contuttochĂŠ aggravati da una scomunica fulminatagli contro nel 15 ottobre del 1232 a nome del Pontefice Gregorio IX, inaspriti piuttosto che inviliti da simili censure ecclesiastiche, nel 1233 corsero con altre genti dâarme a investire dalle tre parti il giro triangolare delle mura di Siena; nĂŠ ripeterò come essi continuarono neâ due anni successivi (1234 e 1235) a guerreggiare, talchè il Comune di Siena dovette chiedere ai primi quella pace che ottenne a patti onerosissimi mediante lodo del Cardinal Jacopo di Palestina Legato pontificio firmato in Poggibonsi li 30 giugno 1235 negli accampamenti dellâesercito fiorentino. (GIOVANNI VILLANI, Cronica Libro VI, cap. 13.- AMMIRATO, Stor. fior. Libro I.) Fra le principali condizioni di quel lodo vi furono le seguenti: I° che i Sanesi fra 15 giorni dovessero pagare 8000 lire per rifare entro un anno il Castello di Montepulciano; 2° che il Castello di Chianciano stato consegnato dai Sanesi al Cardinal legato dovesse restituirsi agli Orvietani, a condizione che questi ultimi lo riconsegnassero ai suoi veri padroni. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Pergamena N°. 307) Sette giorni dopo quel lodo, nel 7 luglio del 1235, furono stipulate le condizioni di pace tra i Sanesi da una parte e dallâaltra parte i Fiorentini, Orvietani, Aretini, Montepulcianesi, Colligiani, Sangimignanesi, Bolognesi, Conte Guido, Napoleone Visconti di Campiglia, ecc. in articolo della quale si voleva che la repubblica sanese rinunziasse ai Fiorentini tutto ciò che apparteneva loro nel Castello di Poggibonsi, ecc. â (ivi, Pergamena N°. 314) IntantochĂŠ la corte romana e i suoi Pontefici continuavano ad essere in urto con lâImperatore Federico II, accadeva in Siena una riforma, in forza della quale si cambiò il titolo al primo magistrato deâconsoli, cui, al pari di altre cittĂ , fu dato il titolo di Priori del Comune di Siena, aggintovi un consiglio di 24 individui, che si dissero i conservatori del popolo. â Mi limiterò a citare per ogni altra prova una riformagione del magistrato predetto deliberata li 25 luglio dellâanno 1246 nella chiesa di S. Pellegrino, con la quale furono eletti tre sindaci incaricati di recarsi alla corte di Roma per difendere, dove occorresse, gli interessi del Comune di Siena. Forse una delle cause fu quella provocata dal Pontefice Gregorio IX contro il Comune di Siena con una bolla diretta a quel popolo sotto dĂŹ 9 febbrajo 1236, colla quale si ordinava loro di restituire le cose tolte da un tale Gualcherino e compagni a certi vassalli di Guglielmo degli Aldobrandeschi conte Palatino di Toscana; mentre con altra bolla dellâanno precedente il Pontefice medesimo avvisava il podestĂ e popolo sanese di aver scomunicato lâImperatore Federigo II e i suoi fautori; per la qual cosa sua SantitĂ preveniva i Sanesi affinchĂŠ niuno dio loro somministrasse alcuna specie di ajuto, nĂŠ prestasse piĂš obbedienza a quel sovrano. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO BORGHESI-BICHI e DIPLOMATICO SANESE, pergamene N°. 335 e 337) Cotesti avvenimenti politici e guerreschi troppo spesso in quella etĂ , non senza danno e pericolo dei popoli, ripetuti indussero i reggitori del Comune di Siena ad assicurare con migliori difese la loro cittĂ , forse perchĂŠ fino allora quel magistrato erasi fidato piĂš che delle mura e nei fossi nella posizione favorevole del paese e nel coraggio deâsuoi abitanti.
Infatti da quellâepoca in poi gli archivi pubblici di Siena si trovano sempre piĂš ricchi di memorie relative alle opere pubbliche che furono dopo ilo secolo XII in essa cittĂ innalzate, rispetto alle fonte, alle strade, alle porte e al nuovo cerchio delle sue mura. â Vedere lâArt. seguente, SIENA ComunitĂ .
Però anche ad onta della scomunica dal Pontefice Innocenzo IV contro lâImperatore Federigo II fulminata, i Sanesi si mantennero fedeli allâImpero, al quale pagavano puntualmente le 70 marche dâargento state fin dal 1186 da Arrigo VI imposte loro, nel tempo che inviavano in Lombardia i soldati designati per servizio di quel sovrano e della sua causa. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Pergamene N°. 393,416, 422) Per lo contrario, nel mentre che Firenze riformava lo stato, e che, come disse Giovanni Villani, per riparare alle forze deâGhibellini faceva il primo popolo, la Signoria di Siena si occupava del piĂš antico costituto che si conosca di questa cittĂ . â (Loc. cit. Pergamena N°. 437). Il quale statuto scritto nel 14 gennajo 1249 (1250 stile comune), trovasi ripartito in 87 rubriche o capitoli, meritevoli forse di essere dati alla luce a oggetto di conoscer meglio gli usi di quei tempi, lâordine delle magistrature, i regolamenti diversi per la sorveglianza deâluoghi pii, per la vendita delle vettovaglie, per gli albergatori, per le compagnie dei vigili destinati ad estinguere glâincendi, per lâora della sera da ritirarsi alle case, e per la pulizia che allora soleva praticarsi nella cittĂ , ecc. ecc.
Però nellâanno medesimo 1250 il magistrato deâPriori contrasse lega con i Pisani per liberare i Pistojesi e le loro terre investite dallâoste lucchese. La qual misura impolitica non fece altro che metter fuoco alla paglia tostochĂŠ i Fiorentini con il pretesto di difendere i loro amici, rivolsero le armi contro i Pisani. NĂŠ lĂ si arrestarono gli affari, mentre compita che fu la guerra contro i Pis ani, lâesercito fiorentino nel 1252 prese la via di Montalcino, nel tempo che la detta Terra, essendo stretta dalle armi sanesi, fu per battaglia dai Fiorentini liberata. Non era però ancora terminato lâanno 1253 quando lâesercito sanese si recava di nuovo contro Montalcino, e che il Comune di Firenze ordinava sopra Siena la marcia delle sue masnade, le quali strada facendo diedero il guasto ai dintorni della cittĂ , a varie terre e castella dalla Berardenga e della Scialenga innanzi di avviarsi a Montalcino per liberare cotesta terra dallâassedio deâSanesi, e provvederla di vettovaglie.
NĂŠ contenti di ciò, la stessa oste nellâanno seguente dopo aver soggiogato Pistoja che volle si reggesse a parte guelfa, avviossi contro Siena, e di prima giunta fermossi davanti al castello di Monte-Riggioni, dove si accampò e tenne quel castello assediato finchĂŠ dai due sindaci delle cittĂ respettive, adunati nella pieve di S. Donato in Poggio, sotto dĂŹ 31 luglio 1255 fu conclusa una pace e stabilita lega reciproca fra i due popoli, a condizione per altro che i Senesi non dovessero molestare piĂš nĂŠ la terra di Montalcino, nĂŠ quella di Montepulciano.
Ma quando Siena stabiliva con Firenze cotesta lega, dominava in questâultima cittĂ il partito ghibellino, capi del quale erano gli Uberti. â Appena però entrato che fu lâanno 1258 alcuni di cotesta famiglia con i loro seguaci, avendo tramato di rompere il popolo fiorentino che pendeva dalla parte guelfa, scopertosi il trattato, la plebe furibonda corse alle case degli Uberti, dove è la piazza deâPriori del palazzo vecchio, e presi, accusati e condannati alcuni di essi al taglio della testa, fu tutto eseguito in brevissimo spazio di poche ore. Allora si atterrarono i palagi e le torri deâcongiurati, e sopra tutti gli altri quelli della casa Uberti; quindi nel giugno del 1258 vennero cacciati da Firenze, inclusive Farinata degli Uberti, forse il piĂš gran politico della sua etĂ . DondechĂŠ tutta quella gente con molti altri nobili di contado e di cittĂ si rifugiarono in Siena, dove dai magistrati e dai cittadini furono favorevolmente accolti, stante allora i Sanesi retti a parte ghibellina ossia imperiale.
Raccontano alcuni scrittori come la Signoria di Firenze inviasse ambasciatori al Comune di Siena per querelarsi di aver dato ricetto a tanti fuoriusciti esiliati dalla loro città , e ciò in contravvenzione dei patti stabiliti nella lega del 31 luglio 1255: ma i Sanesi mossi non meno dal diritto delle genti, che dalla protezione del re Manfredi, col quale di corto avevano concluso un trattato di alleanza, non diedero ascolto a tali reclami. Si aggiunge che per siffatto procedere la Signoria di Firenze tenendosi offesa e il popolo adontato, dichiarò al Comune di Siena quella guerra, che riescÏ per le conseguenze la piÚ memorabile di tutte le altre nella storia delle repubbliche italiane del medio evo.
Sebbene in questo come in ogni altro caso io soglia preferire a tutti gli storici di epoche posteriori gli scrittori contemporanei, fra i quali non trovo in quellâetĂ che il fiorentino Ricordano Malespini, stato per avventura il primo storico che registrasse nelle sue cronache la battaglia e le conseguenze della giornata di Montaperto, con tutto ciò non debbo dissimulare che lo spirito di un caldo guelfo dovette influire sullâimparzialitĂ di quel racconto. In vista di ciò spero di non meritar biasimo se mi giovo di alcuni documenti pubblici di quel tempo estratti dallâArchivio Diplomatico di Siena , come quelli che mi parvero confacenti a rettificare alcuni racconti dello scrittore fiorentino.
âIn questi tempi (anno 1259) scriveva Ricordano Malespini al Cap. 163 della sua istoria, i Ghibellini usciti di Fiorenza, i quali eransi recati in Siena, ordinarono fra di loro di mandare ambasceria in Puglia al re Manfredi per averne soccorso, cui il re alla fine promise di dare cento cavalieri tedeschi, di che quegli ambasciatori, benchĂŠ turbati da tale sĂŹ povero dono, per consiglio di messer Farinata degli Uberti, accettarono graziosamente la profferta di Manfredi, e tornati a Siena grande sbigottimento nâebbero quegli usciti, ecc.â Che però il racconto del Malespini debba considerarsi alquanto diverso dal vero lo dĂ a conoscere un privilegio di Manfredi, dato in Luceria nel regno di Puglia nel mese di maggio del 1259 e diretto a Ildebrandino di Ugo del Palazzo, ambasciatore deâ Sanesi, inviato al re in nome di quel Comune con Bulgaro di Postierla potestĂ e Bonifazio di Gorrano capitano del popolo sanese, a oggetto di prestare giuramento di fedeltĂ a quel re protettore. Il quale a imitazione di Federigo II di lui padre, con quel diploma dichiarò dui prendere sotto la sua tutela la cittĂ , il contado, le persone e i beni dei Sanesi. â (Loc.
cit. Tomo VII delle Pergamene N°: 705 e 706).
In conferma e appoggio di tutto ciò pochi mesi dopo Manfredi mandò il conte Giordano con titolo di suo vicario in Toscana e con 800 cavalieri tedeschi, i quali arrivarono in Siena nel dicembre del 1259. Arroge che la Signoria di Siena aveva proposto ed il consiglio del popolo sino al luglio 1258 approvato una riformagione sopra i nuovi fossi da farsi intorno alla cittĂ . â (Loc. Cit.
Pergamene N°: 695 e 709).
Frattanto nella primavera del 1260 i Fiorentini feciono oste sopra Siena.
Con un gran corredo di gente costoro, dopo aver preso in Val dâElsa alcune terre e castella del territorio sanese, rivolsero il cammino verso la cittĂ accampandosi fuori di Porta Camullia.
âAvvenne che in cotesto assedio (continua Ricordano) un giorno gli usciti di Fiorenza (nel 18 maggio del 1260) diedono mangiare ai soldati tedeschi di Manfredi châerano in Siena, e fattili bene avvinazzare con promettere loro grandi doni e paghe doppie, caldi di vino uscirono fuori vigorosamente ad assalire il campo deânemici, e tale fu lâimpeto deâTedeschi, che pochi deâ Fiorentini ebbero tempo a mettersi in arme, cosicchĂŠ gli assalitori fecero allâoste gran danno, e molti pedoni e cavalieri presono la fugaâ.
Lo storico Malavolti fidando sopra uno scrittore anonimo vissuto vicino a quella etĂ , diceva, che in quel fatto dâarme restarono morti intorno a 1300 deâ nemici, e dalla banda deâ Sanesi appena 270.
Arroge allo stesso assalto, diversamente dai due opposti popoli e scrittori narrato, un decreto del giorno susseguente deliberato nel consiglio generale della Repubblica sanese adunato nella chiesa di S. Cristoforo, preseduto da messer Francesco Troghisi podestĂ di Siena per il re Manfredi, e da messer Rufredo dellâIsola capitano di quel popolo e Comune, alla presenza del conte Giordano, quando fu risoluto che ai Tedeschi e al loro mariscalco si desse un regalo di 500 lire per menda delle armi e dei cavalli, non chĂŠ per ricompensarli della onorata prova da essi data nella giornata antecedente contro i nemici della Repubblica sanese, ordinando inoltre che i tedeschi stati feriti in quellâazione a spese pubbliche fossero medicati. â (MALAVOLTI, Istor. San. Parte II, Libro I.) Cotesto decreto pertanto annullerebbe quanto aggiunge il Malespini e dietro lui altri scrittori fiorentini, allorchè dopo lâassalto di sopra indicato, egli soggiunge: âChe i Fiorentini ravveggendosi presono lâarme alla difesa contro ai tedeschi, e quanti ne uscirono di Siena non ne campò niuno, e tutti furono morti, e la insegna di Manfredi presa e strascinata per lo campo, e recata in Fiorenza, e poco stette lâoste che tornò in Fiorenzaâ. â (RICORDANO MALESPINI, Opera cit. cap. 164.) Inoltre dalla deliberazione preindicata risulterebbe che fino dal maggio 1260 il cinte Giordano era in Siena in qualitĂ di vicario regio in Toscana, e non giĂ châegli vi arrivasse, come altri dissero, molto tempo dopo quella giornata con 1800 cavalieri tedeschi. Certo è però che nuove genti dâarme erano state richieste al re Manfredi da una deputazione inviata in Puglia dal Comune di Siena, il qual rinforzo giunse in Siena dopo il mese di maggio del 1260 in compagnia degli amb asciatori sanesi e non giĂ del conte Giordano, sicchè quel soccorso di nuova cavalleria tedesca fu reputato ai Sanesi bastante per difendersi dallâoste che i Fiorentini con le cittĂ e terre della lega guelfa toscana contro Siena preparavano.
Quindi è che Firenze, dopo aver ricevuto lâaiuto promesso dai Lucchesi, Bolognesi, Pistojesi, Sanminiatesi, Pratesi, Sangimignanesi, Volterrani e Colligiani, i quali tutti erano in taglia col Comune prenominato, dopo ragunata cotanta numerosa oste, allâuscita di agosto del 1260 si partĂŹ da Fiorenza, menando seco per pompa il Carroccio e in altro carro apposito la campana chiamata Martinella ; e andovvi (cito sempre il Malespini) quasi âtutto il popolo con le insegne delle compagnie, mentre non fu casa, nĂŠ âfamiglia che non vi si recasse, o a piede, o a cavallo, almeno un o due, e âdi tali anche piĂš per casaâ.
âQuando di adunarono tutte coteste genti in sul contado di Siena al luogo âordinato, in sul fiume Arbia, chiamato MontâAperto, coâPerugini e âOrvietani venuti in ajuto deâ Fiorentini, si trovarono essere piĂš di mille âcavalieri (piĂš di 3000 dice Giovanni Villani) e piĂš di 30000 pedoni. In âquesto apparecchio si vuole che i fuoriusciti ghibellini i quali erano in âSiena, ricorressero allâinganno per tradire il Comune e popolo di Firenze, âparendo loro di aver poca gente a comparazione deâ FiorentiniâŚâŚ âAvvenne pertanto che essendo la detta oste neâ colli di MontâAperto, i savj âguidatori dellâoste attendevano che per li traditori di dentro fosse loro data âla porta promessa (di San Vieni, ossia Porta Pispini)âŚ. Quando (dalla âporta stessa) viddero uscire i tedeschi e gli altri cavalieri e il popolo di âSiena inverso loro con vista di combattere, isbigottironsi forte veggendo il âsubito assalto da essi non preveduto; e ciò maggiormente, in quanto che âpiĂš Ghibellini del campo, vedendo appressare le schiere dei nemici, si âfuggirono dallâaltra parte. Tali furono gli Abati e piĂš altri, comecchĂŠ i âFiorentini con loro amistadi non lasciassero di far loro fronte e di attendere âla battaglia. Ma siccome la compagnia deâ tedeschi rovinosamente percosse âla schiera deâ cavalieri fiorentini ovâera Bocca degli Abati traditore, questi âcon la spada tagliò la mano a Jacopo deâPazzi di Fiorenza il quale teneva âlâinsegna della cavalleria del Comune, e veggendo i cavalieri e il popolo âlâinsegna abbattuta e il tradimento, si misono in sconfitta. E perchĂŠ i âcavalieri in prima si avvidono del tradimento non rimasono di loro su âcampo oltrechĂŠ 36 uomini di nome tra morti e presi. Ma la grande âmortalitĂ e presura fu del popolo di Fiorenza a piĂŠ e dei Lucchesi e âOrvietani; e piĂš di 2500 rimasono in sul campo morti, âe piĂš di 1500 presi âdi quegli del popolo e deâ migliori di Fiorenza me deâ âLucchesi e âdeâgrandi amici loro; e cosĂŹ si domò (termina il Malespini) la ârabbia âdellâingrato popolo di Fiorenza.
Ciò accadde uno martedĂŹ, a dĂŹ 4 di âsettembre 1260, e rimasevi il Carroccio e la campana detta Martinella con âmolto arnese deâFiorentini e di loro amistadi. Per la quale cagione fu rotto âil popolo vecchio che era durato (a Firenze) mercè tante vittorie in grande âstato per anni dieciâ. â (RICORDANO MALESPINI, Istor. Fior. cap. 167.) Di questa famosa battaglia molte descrizioni si trovano, parte inedite parte stampate, ma tutte di gran tempo posteriori allâepoca in cui accadde. Aggiungasi che i cronisti e storici sanesi hanno piĂš degli altri e in vario modo, parlato rispetto al novero dei combattenti di una parte e dellâaltra ed ai fatti relativi alla gran giornata.
Era giĂ lâesercito vittorioso tornato in Siena trionfante, e con incredibile letizia di quella popolazione accolto e festeggiato, allorquando arrivò in Fiorenza la novella della sconfitta dolorosa, accompagnata dal ritorno di miseri fuggitivi, nunzj della morte di tanti loro compagni, in guisa che, a confessione di Ricordano, scrittore allora vivente in essa cittĂ non fuvvi famiglia piccola o grande, cui non mancasse per tale sconfitta uomo morto o prigione, in modo da dover concludere che una lunga guerra politica terminasse con una breve battagliaâ.
In quellâanno medesimo fu riformata a stato ghibellino quasi tutta la Toscana, e fu compilato per la cittĂ di Siena un nuovo statuto che può dirsi per avventura il primo conosciuto sotto cotesto titolo esistente nei pubblici archivj, comecchĂŠ di una legge statutaria di dieci anni piĂš antica divisa in 87 rubriche, sia stata da noi fatta menzione poco avanti.
Si è detto che dopo la gran giornata dellâArbia quasi tutta la Toscana fu riformata in parte ghibellina o imperiale, giacchĂŠ ad eccezione di Pisa, di Siena e di Massa- Marittima tutti gli altri popoli e repubbliche a quellâepoca confessavano lâopposto partito.
Erano decorsi appena nove giorni dalla disfatta di MontâAperto quando molti Fiorentini con le loro donne e figli dovettero refugiarsi alcuni a Bologna, ma il maggior numero a Lucca. Nella stessa maniera i guelfi di Prato di Volterra, di Colle e di San Gimignano avviliti, si ritirarono a Lucca, in guisa che questâultima cittĂ rimase per qualche tempo sola e servĂŹ di asilo per dirla quasi il baluardo di tutta la parte guelfa della Toscana.
GiĂ da 28 anni indietro (1232) Siena aveva alquanto riformato il suo governo, ponendo alla sua testa una signoria composta di Nove governatori, uomini scelti fra i grandi popolani; ai quali riescĂŹ di governare la repubblica dal 1232 sino al 1260; ma in questâultimo anno essendo insorta una qualche turbolenza fra il magistrato deâNove e i nobili delle prime famiglie di Siena aspiranti al regime della cittĂ , quel malumore si convertĂŹ in unâaperta ed ostinata ostilitĂ , nella quale alla fine prevalsero i reggitori dello stato. Ciò nonostante questi si contentarono che entrasse in Signoria una parte dellâordine popolano, e di quello deâgentiluomini. â (MALAVOLTI, Istor. Sen. P.I.
Lib. V.) V. SIENA DOPO LA GIORNATA DI MONTâAPERTO SINO ALLâULTIMO SUO ASSEDIO Una delle prime imprese deâSanesi vittoriosi fu contro la terra di Montepulciano, che il re Manfredi in segno della loro fedeltĂ , con suo diploma spedito da Foggia li 20 novembre del 1260, rilasciava in libero dominio al Comune di Siena. Infatti nella primavera susseguente lâoste sanese fu inviata a Montepulciano, sicchĂŠ questo paese dopo qualche mese di assedio, nel luglio del 1261, trovossi costretto a capitolare, per effetto di che gli assediati dovettero accordare facoltĂ ai Sanesi di costruire dentro la loro Terra una fortezza dalla quale fosse libera lâescita dalle mura castellane.
La sconfitta di MontâAperto, della cui descrizione nel dicembre del 1836, e di corto nel gennajo del 1844, lâerudito tipografo sanese Giuseppe Porri ha pubblicato due narrazioni tratte da antichi MSS, quella sconfitta io diceva, fu per i guelfi della Toscana, se alle grandi si possono paragonare le minori cose, come la battaglia di Vaterloo per i Napoleonici della Francia; imperocchĂŠ i ghibellini vincitori dopo il 4 settembre del 1260, furiosi e sitibondi di vendetta si gettarono sopra i paesi, sugli abitanti e i governi di parte guelfa disseminati per la Toscana, senza perdonare alle persone ed alle loro robe, mobili o immobili che fossero state; talchĂŠ è fama doversi alla fermezza del potentissimo Farinata degli Uberti la soppressione del progetto fatto dai ghibellini magnati nel congresso dâEmpoli, in cui proponevasi nientemeno che rovesciare e distruggere da capo a fondo Firenze, la cittĂ piĂš insigne e la piĂš eminentemente guelfa della Toscana.
ChecchĂŠ ne sia tutta la possanza della repubblica fiorentina rimase da quella sconfitta abbattuta e annichilata al segno che per cieca rabbia i vincitori giunsero allâatroce barbarie di abbattere le sepolture per inveire perfino contro i morti, benchĂŠ virtuosi cittadini. â Vedere FIRENZE.
Quasi tutti i paesi e cittĂ della Toscana, meno poche cittĂ , dopo il settembre del 1260 cangiarono governo e partito; nel tempo che Siena salita allâapogeo della sua gloria vedeva umiliati i popoli che furono di lei piĂš costanti rivali. Allora le cose pubbliche deâ Sanesi erano rette quasi dittatorialmente da un potente loro gentiluomo, Provenzano Salvani, perchĂŠ, al dire dellâAlighieri, fu presuntuoso A recar Siena tutta alle sue mani DANTE, Purgatorio. C. II CosĂŹ la pensava quel poeta che pose nel suo Inferno fra i traditori Bocca degli Abati; e ciò nel empo medesimo che quasi tutta la Toscana ubbidiva al conte Giordano, poscia al conte Guido Novello, uno dopo lâaltro vicarj generali del ghibellinissimo re Manfredi.
Vogliono non ostante alcuni dare al Provenzano maggiori virtĂš e piĂš disinteresse a favore della sua patria, per essere stato cotal uomo dopo la giornata di MontâAperto siffattamente alieno dal tiranneggiare i Sanesi che non sdegnò di recarsi con altri cittadini ambasciatore a San- Gimignano, e nel 1261 coprire lâuffizio di podestĂ di Montepulciano. Si crede altresĂŹ che a eternare la memoria di quella vittoria, la repubblica sanese coniasse le sue monete con la doppia legenda: Sena Vetus â Civitas Virginis.
Io non so poi se debba credersi in tutta lâestensione dei termini quanto scrisse lo storico Tommasi (Storia di Siena. P. I.) che per malignitĂ dâalcuno deâ tempi suoi mancano gli atti pubblici del Senato sanese nellâultimo semestre del 1260 tostochĂŠ trovansi in quellâArchivio Diplomatico alcune deliberazioni della Repubblica sanese prese appunto nel secondo semestre dello stesso anno.
Fra i quali documenti gioverĂ rammentare uno del dĂŹ 25 novembre 1260 relativo al trattato di pace e societĂ fra i Comuni di Siena e di Firenze, stato poi approvato dai Fiorentini nel gennajo successivo.
Nel 1261 continua ad esercitare in nome di Manfredi la carica del suo vicario in Toscana quel conte Giordano che ebbe tanta parte alla vittoria di MontâAperto, e ciò nel tempo stesso che un altro vicario regio disimpegnava in Siena lâuffizio di podestĂ . Infatti quando nel dĂŹ 10 novembre del 1261 la Signoria di Siena con i quattro provveditori dellâuffizio di Bicherna e il giudice assessore del consiglio del popolo, radunatisi nella chiesa di S.
Cristoforo, accettarono in accomandigia il Castello, uomini e distretto di Batignano, presedeva a quella riunione messer Petricciolo da Fermo , vicario nella cittĂ di Siena per il conte Giordano suo podestĂ , mentre Guglielmo da Pietracupa era capitano del popolo e Comune sanese. Citerò anche un atto di procura del 3 agosto del 1262, col quale il nobile Pepone deâVisconti di Campiglia dâOrcia prestò giuramento di fedeltĂ al Comune di Siena alla presenza di messer Francesco Simplice allora podestĂ di detta Repubblica, e vicario generale in Toscana pel re Manfredi.- (MALAVOLTI, Istor. Sen. P.II. Lib. II) Nellâanno stesso 1262 essendo capitano del popolo sanese messer Gherardino deâ Pii, molti nobili di contado dovettero sottoporsi al Comune predetto; non eccettuato il conte Bonifazio degli Aldobrandeschi di S. Fiora, il quale non solo fu costretto a rinnovare i patti di accomandigia del 17 maggio 1251, ma sottomettersi al governo di Siena a condizione anche piĂš servili; fra le quali una fu quella di obbligarsi a terminare il palazzo che aveva incominciato a edificare in Siena nel popolo di S. Andrea, contiguo alle mura castellane nel luogo oggi detto Catellare deâ Malavolti.
Frattanto la cittĂ di Lucca nel tempo che trovavasi obbligata dalla forza predominante di sottoporsi al pari di molti altri paesi della Toscana e quindi collegarsi alla taglia deâ ghibellini collâadottarne i principi oligarchici, nel tempo stesso il Pontefice Urbano VI preparava la rovina della casa imperiale di Svevia egida e refugio di tutti i ghibellini dâItalia, e segnatamente di quelli di Toscana.
I primi passi tendenti ad abbattere la potenza di quella dinastia sovrana furono fatti nel 1263, allorchĂŠ Urbano VI adunava un concilio in Viterbo per esibire il regno delle due Sicilie a Carlo dâAngiò, fratello di Lodovico (il santo) re di Francia.
Fu per effetto di una politica siffatta che il partito imperiale difeso e sostenuto dai ghibellini andò di mano in mano declinando a segno di trovarsi costretto a cedere ai guelfi la supremazia politica in Toscana, dove il numero deâliberali, fino allora oppressi dalla forza, ogni giorno piĂš si faceva forte ingrossando. â Eâ cosa notabile per la storia della nostra penisola quella di vedere espulsa e finalmente estinta la casa sovrana di Svevia per effetto specialmente dellâodio di Urbano VI verso i discendenti di Federigo II. Il quale avvenimento rendesi anche piĂš singolare, allorchĂŠ si riflette che nellâanno stesso in cui si chiamava nella bassa Italia Carlo di Angiò per esservi incoronato in re delle due Sicilie, in quellâanno appunto si eleggeva in arcivescovo di Milano Ottone Visconti, origine precipua della fortuna e possanza dei principi potentissimi di quella prosapia nella Lombardia.
Allâinvito del Pontefice Clemente VI, successo di papa Urbano, Carlo dâAngiò nella primavera dellâanno 1265 partĂŹ dalla Provenza per mare accompagnato da venti galere e da uno scelto numero di milizie; lo che obbligò Manfredi a richiamare nel regno il maggior numero della sua cavalleria tedesca, e tutti i soldati sparsi per la Toscana e per le marche. In vista di ciò il Comune di Siena somministrare dovette un numero di milizie in servizio del re Manfredi, come risulta da un atto dellâ11 febbrajo 1265 (stile comune) esistente nellâArchivio Diplomatico Senese, T. VIII. delle Pergamene (N°. 789) Quindi sulla fine dellâestate dello stesso anno scese per le Alpi della Savoja in Italia unâarmata francese, destinata contro il figlio naturale di Federigo II da Clemente IV scomunicato, alla quale oste al pari che a chiunque uomo si fosse recato a combattere contro Manfredi, il Pontefice medesimo riprometteva indulgenze plenarie.
Ad un esercito siffatto che ingrossavasi a proporzione del suo avvicinamento a Roma, si unirono 400 cavalieri Guelfi fuoriusciti di Firenze dei quali fu fatto condottiero il conte Guido Guerra di Dovadola, nel mentre che lâaltro suo cugino in Conte Guido Novello di Modigliana, esercitava in Toscana lâuffizio di vicario per re Manfredi.
Ma lâora estrema del governo della casa Sveva in Italia era per battere; e cotestâora fatale suonò nel giorno 26 febbrajo del 1266 (stile comune). Fu nei campi di Benevento, fu in quellâultimo cimento dove rimase estinto lo sfortunato e coraggioso Manfredi il cui corpo esangue venne scoperto e riconosciuto dopo tre giorni tra i cadaveri dei vinti. La morte do Manfredi appena divulgatasi, recò tanta sorpresa che poche furono le cittĂ le quali avessero coraggio al racconto deâsuccessi prosperosi di Carlo di Angiò di restare fedeli al partito ghibellino. Di questâultime fu la cittĂ di Siena, e ad onta del minacciato interdetto pontificio, non ostante che lâemula sua vicina avesse riformato il governo a parte guelfa, e che perfino i Pisani cercassero di rimettersi alla discrezione del papa, dal quale erano stati scomunicati, contuttociò il governo sanese, dopo la morte di Manfredi.
Arroge che Carlo dâAngiò, nuovo re di Puglia, ad oggetto di abbassare e comprimere il partito imperiale, aveva spedito in Toscana per suo vicario e maresciallo il conte Guido di Monfort con 800 cavalieri francesi. In conseguenza di ciò nel luglio del 1267 il detto conte, e poi lo stesso re Carlo con vigorosa oste unita a quella dei Fiorentini ricominciarono la guerra contro i Sanesi e tutti i ghibellini che in essa cittĂ e in Poggibonsi eransi refugiati.
Lâunica speranza deglâimperiali dâItalia e degli esuli ghibellini era riposta in Corradino nato da Corrado figliuolo legittimo dellâImperatore Federigo II.
A lui perciò i ghibellini della Toscana, quelli dellâItalia superiore e inferiore inviarono messi in Germania per sollecitarlo come legittimo pretendente di venire a riprendersi il regno avito. A questo fine il giovinetto Corradino col titolo châegli assunse di re di Sicilia calò a Verona accompagnato da qualche migliajo di truppe, le quali a poco a poco per mancanza di paga tornarono in gran parte in Germania.
Ma in questo frattempo il Pontefice Clemente IV faceva di tutto per distaccare i popoli italiani dal partito di Corradino; e lâArchivio Diplomatico di Siena conserva una bolla di quel Pontefice data in Viterbo gli 11 maggio del 1267, diretta al podestĂ e Signoria di Siena, affinchĂŠ cotesto popolo obbedisse ai comandi apostolici. In conseguenza di ciò nel I dicembre del 1267 i rappresentanti del Comune sanese e della parte ghibellina di Toscana elessero in capitano generale per cinque anni Enrico figlio del re di Castiglia, allora senator di Roma con lâannuo salario di 10,000 lire, oltre la promessa di pagare soldi 10 il giorno a 200 soldati spagniuoli. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, delle Pergamene, T. IX.
N°. 858 e 871.) Contuttociò i Sanesi con altri ghibellini della Toscana poco dopo inviavano al giovine Corradino circa 100,000 fiorini dâoro, e di altri denari fu anche provvisto dallo stesso governo nella primavera del 1268, allorchĂŠ gli pagò per saldo onze 4200, come da ricevuta dello stesso Corradino data in Pisa li 14 maggio dellâanno 1268. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Pergamene, T. IX, N°.
874) Accresciuto di mezzi e di forze Corradino partĂŹ da Pisa per Poggibonsi e Siena, dove intese il primo fatto dâarmi favorevole ai suoi accaduto nel Val dâArno superiore al Ponte a Valle. Gran rumore fece per la Toscana cotesta piccola battaglia, per cui ne montarono in superbia i ghibellini che prognosticarono da quella al nipote di Federigo II fortune maggiori.
Fu allora che i Sanesi saliti in grandi speranze si diedero a mozzare torri ed atterrare palazzi ad alcune famiglie potenti sospette. I libri della ragione tra quelli di Bicherna, segnano che nellâanno 1268 seguĂŹ il disfacimento di un palazzo deâ Tolomei, donde furono levate 13 colonnine di marmo e 26 fra basi e capitelli. â (BICHERNA, Libro dâEntrata e Uscita. L. giĂ B. fol. 25 e 26) Continuò il suo viaggio da Siena Corradino alla volta di Roma, senza far caso alcuno delle scomuniche contro lui da Clemente IV nel giorno del giovedĂŹ santo in Viterbo fulminate, il quale Pontefice si vuole predicesse la rovina di Corradino, compassionando lâincauto giovane come una vittima che avviavasi al sacrifizio.
Ben presto cotali pronostici si avverarono nel campo di Tagliacozzo, dove nel 23 agosto del 1268 con strana mutazione di scena si vide rivoltare la vittoria dalla parte degli Angioini con la prigionia dellâinfelice giovane Corradino, che poi nellâottobre successivo dovette lasciare sopra un palco il capo reciso dal carnefice, e cosĂŹ finire la nobilissima casa di Svevia non senza infamia del fratello di un santo re.
Giunta in Toscana la nuova della sconfitta di Tagliacozzo e della prigionia di Corradino, non è da dire in quale avvilimento cadessero i ghibellini, nel tempo che grandi feste si facevano dai guelfi che giĂ da due anni erano tornati a dominare sulla maggior parte della Toscana. Due sole cittĂ capitali di due repubbliche, cioè Pisa e Siena, dopo la morte di Corradino non solamente non innalzarono lo stendardo dei gigli francesi, ma il Comune di Siena, dopo aver raccolto un esercito di Tedeschi e Spagniuoli scampati alla battaglia di Tagliacozzo e dopo aver affidato al comando di Provenzano Salvani quanti fuorusciti ghibellini potĂŠ radunare, nel giugno dellâanno 1269 dichiarò la guerra ai Fiorentini portando lâoste sotto la Terra di Colle in Val d âElsa.
A tale avviso si mosse da Firenze il vicario del re Carlo dâAngiò accompagnato da soldati di sua nazione, da quelli deâFiorentini e da molti altri inviati dai paesi della taglia guelfa toscana.
Ostinata e terribile riescĂŹ la battaglia, nella quale restò rotto e sconfitto lâesercito ghibellino con grandissima perdita deâ Sanesi, ai quali si può dire che il di 11 giugno dellâanno 1269 riescĂŹ quasi altrettanto funesto sullâElsa, quanto il dĂŹ 4 settembre dellâanno 1260 era stato sullâArbia disastroso ai guelfi e specialmente ai Fiorentini.
Pochi deâ vinti si salvarono; e Provenzano Salvani, colui che nove anni innanzi aveva molto contribuito alla vittoria di MontâAperto, nella battaglia sotto Colle fu preso e trucidato, ed il suo capo portato in giro sopra una picca pel campo deâ vincitori. Per quanto cotesto uomo sommamente influisse sul governo politico della sua patria, egli si rese commendabile nella storia per un atto di somma pietĂ da esso poco tempo innanzi esercitato, allorchè fatto prigione dallâesercito Angioino un di lui amico, e messogli la taglia di 10,000 fiorini per chi volesse riaverlo, alla pena non pagandoli dentro un tempo determinato di fargli perdere la testa, Provenzano disteso un tappeto sulla gran piazza di Siena, si pose ad accattare il danaro dagli amici e parenti, talchĂŠ raccolta per tal mezzo la somma voluta, liberò dalla prigionia e dalla morte lâamico prigioniero. â (AMMIR, Stor. Fior. Lib. III) Dopo la vittoria riportata a Colle i Fiorentini tentarono di aprire pratiche di pace, affinchĂŠ i guelfi fuorusciti fossero ammessi anco in Siena; lo che si ottenne nel 1270 mediante un trattato fra le due cittĂ .
Fu in conseguenza di ciò che i Sanesi nellâaprile del 1271 dovettero pagare al vicario del re Carlo dâAngiò in Toscana 6000 onze dâoro per ottenere con tale sborso la grazia e protezioni di quel sovrano, a condizione che ai fuorusciti ghibellini non si restituissero i beni senza suo ordine; e due anni dopo (14 giugno del 1273) per mezzo di un sindaco i Sanesi promettevano di obbedire agli ordini della Santa Sede Apostolica, onda ottenere lâassoluzione dalle censure minacciate dai Pontefici Clemente IV a cagione dellâajuto dato allâinfelice Corradino e da Gregorio X rinnovate per non avere voluto riconoscere il re Carlo di Sicilia nominato da quel Papa vicario imperiale in Toscana.- (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, T. X. delle Pergamene N°. 886 e 899.) Ma disgraziatamente non passò gran tempo che i guelfi fuoriusciti, e riammessi in Siena, poco o nulla curando i patti della pace fra i due Comuni ristabilita, istigati dal conte Guido di Monfort, scacciarono dalla cittĂ gli antichi ghibellini.
SennonchĂŠ nel giugno del 1273 per opera del Pontefice Gregorio X, mentre egli passava da Siena per recarsi a Lione, i ghibellini furono restituiti alla patria e riammessi a parte delle prime magistrature.
Peraltro pochi giorni dopo la partenza di Gregorio X, tutto ciò che per cura di lui fu fatto venne guasto e rovesciato in guisa che i ghibellini dovettero di bel nuovo abbandonare questa cittĂ ; per la qual cosa il Pontefice fulminò nuova scomunica al popolo sanese. Intanto gli espulsi ghibellini raccoltisi nella maremma massetana danneggiavano il piĂš che potevano i paesi del dominio di Siena, di maniera che i reggitori della repubblica (anno 1276) inviarono lâoste contro il Castello di Prata, fatto asili di banditi e tanto lâoste vi stette che lo ebbe a patti.
Quindi la Signoria di Siena cominciò a prender parte nel regime politico di Massa cercando ogni modo di avere quel Comune a sĂŠ soggetto. Nellâanno 1277 furono rinnovate le capitolazioni con la cittĂ di Grosseto, e nel gennajo del 1280 (stile comune) con la mediazione del Cardinale Latino si conclusero nuove trattative di pace con il Comune di Firenze.
Quantunque la parte guelfa è la piĂš popolare avesse preso il sopravvento in Siena, dove nel 1280 la Signoria venne portata al numero di 15 governatori tutti dellâordine popolano , non per questo gli altri ordini della cittĂ , nĂŠ i ghibellini di corto rientrati si erano acquietati, e tanto essi brigarono che lâanno di poi furono espulsi da Siena diversi signori di case magnatizie ed altri capi di fazione ghibellina per aver tentato di impadronirsi delle redini del governo.
Ma nuovi segni di perturbazioni politiche apparivano nellâanno stessi in Sicilia, quando gli abitanti di Palermo dalle vessazioni, dalla superbia e dalla libidine deâ Francesi irritati a un suono di vespro fecero man bassa sopra quanti incontrarono per via di quella nazione.
Fu in conseguenza di ciò che i 15 governatori di Siena dopo lâavvenimento del vespro siciliano, che indebolĂŹ moltissimo in Toscana il partito guelfo nel tempo che rianimava quello deâ suoi rivali, con deliberazione del 16 maggio 1282 inviarono parte delle loro masnade ad assalire e disfare i castelli del contado, châerano stati di asilo a molti ghibellini esiliati o ammoniti.
Arroge a ciò come a varie cittĂ e terre della Toscana, per quanto si fossero ridotte a reggimento libero, pure non vi si poterono se non dopo la morte di Manfredi, stabilmente riposare. Quindi è che essendo stato vacante per lunghi anni lâimpero, Siena al pari di altre repubbliche con la protezione degli Angioini di Napoli potĂŠ liberarsi da una soggezione immediata allâImperatore Ridolfo. Il quale dopo le premurose rimostranze del Pontefice Niccolò III, che fruttarono la libera cessione alla Santa Sede di tutta la Romagna, e dopo che il re Carlo dâAngiò ebbe rinunziato al vicariato della Toscana, quellâimperatore rivestĂŹ del titolo di suoi vicarj quasi tutte le Signorie delle repubbliche di cotesta parte dâItalia, previo il pagamento alla corte Aulica di una somma annua in contanti a titolo di tributo o regalia.
LâArchivio Diplomatico Senese conserva tra le sue pergamene (T. XI. N°. 1002) un lodo del 23 ottobre 1280 dato in Siena da Jacopo di Bagnorea podestĂ , e dai 15 governatori di quel Comune, col quale si conclusero gli articoli della pace incominciata fra i guelfi di dentro e i ghibellini fuoriusciti.
In virtĂš pertanto di quel lodo, fu stabilito, che chiunque cittadino fosse stato al servizio della Repubblica sanese, e che dallâagosto p.p. non avesse ricevuto condanna di ribelle, potesse ritornare in Siena; che ai fuorusciti di dentro non fosse permesso tener in casa alcun barone, o grande; che tutte le persone di casa Salvani, Guinigi, e (ERRATA: Bonsi) Bonsignori innanzi di tornare in Siena dovessero ratificare la pace fatta dalò loro sindaco con quelli di casa Tolomei; e che la stessa cosa facessero quelli delle case Incontri, Forteguerri e Piccolomini, col dare mallevadori con lâosservanza di dette paci. Inoltre si volevano far contrarre matrimonj e parentadi fra le dette famiglie e altre nobili di Siena; finalmente a chi rompeva coteste paci si minacciava la pena del capo; oltre lâordine di abolire la memoria delle parti Guelfa e ghibellina, con tutti gli statuti, libri, sigilli, ecc. spettanti a dette parti sotto pene ed arbitrio deâ15 governatori del Comune.
SennonchĂŠ in questo frattempo essendo morto il Pontefice Niccolò III promotore di simili paci tra i diversi partiti in Toscana, si videro i fuorusciti poco dopo tornare allâarmi, per cui i guelfi con lâappoggio della plebe sanese cacciarono nuovamente i ghibellini stati di corto riammessi in patria.
In conseguenza di ciò il partito vincitore prese tal sopravvento che restrinse al numero di Nove i 15 governatori, chiamandoli i Nove Difensori, ed escludendo da quella magistratura gli ordini non popolani. Quindi i Nove unitamente al consiglio del popolo trattarono della redazione di un nuovo statuto che fu rogato li 7 luglio 1288, mentre era podestĂ di Siena per la seconda volta il conte Guido Salvatico di Dovadola. Del quale statuto il Muratori pubblicò alcune rubriche relative allâelezione, alle ingerenze ed al sindacato del podestĂ e deâ suoi uffiziali. â (Ant. M. Aevi, Dissert. 47) Se però le rivoluzioni avvenute nella Sicilia, le vicende delle guerre favorevoli anzichenò ai governi ghibellini di Pisa e di Arezzo, il fatto dâarmi accaduto nel 1288 al passo della Pieve al Toppo a danno grande delle truppe sanesi, se tuttociò èpotĂŠ rianimare lo spirito deâghibellini, dallâaltra parte ogni loro audacia venne compressa e fiaccata nel dĂŹ 11 giugno del 1289 alla battaglia di Campaldino per opera deâ Fiorentini e deâSanesi di parte guelfa; in conseguenza della quale la Repubblica di Siena sâimpossessò nello stesso mese della Terra di Lucignano in Val di Chiana, e poco dopo di molte altre castella nella maremma sanese.
A rendere piĂš solenne cotesto trionfo concorse lâarrivo in Toscana del re di Napoli Carlo II reduce dalla Francia, il quale in Siena al pari che in Firenze fu splendidamente ricevuto e festeggiato.
Aveva giĂ Papa Celestino V fatto il gran rifiuto, quando il suo successore Bonifazio VIII nel 28 ottobre del 1299 inviava da Rieti una bolla al podestĂ ed ai signori Nove di Siena per transigere con quel governo rispetto al pagamento di 8000 marche dâargento (40,000 lire) cui qualche anno innanzi i Sanesi erano stati dal Pontefice Urbano IV condannati. â Vedere RADICOFANI.
Frattanto sorgeva il secolo XIV che può dirsi il piĂš bel secolo per le repubbliche e cittĂ toscane; nel quale periodo fiorirono un Castruccio, un Arnolfo da Colle, un Giotto, un Dante, tre Villani, un Petrarca ed un Boccaccio, per non dire di un Giovanni e Andrea Pisani, di un Simone Merumi, o di Martino, pittore sanese, e di Simone Tondi pur esso da Siena, di costui cioè che forse fu il primo a darci unâidea di statistica, tralasciando di moltissimi altri ingegni toscani celebri ed eminentemente noti.
Non era ancora a mezzo il suo corso lâanno 1303, allorchĂŠ un potente magnate sanese di origine salica (Musciatto Franzesi) accolse nel suo castello di Staggia il Cavalier Nogarèt ministro di Filippo il Bello re di Francia, accompagnato da una schiera di soldati, i quali travestiti si inoltrarono insieme ad altri nemici del Pontefice Bonifazio VIII fino alla cittĂ dâAnagni, e allora sua residenza, dove di nottetempo quel Papa fu sorpreso, arrestato e condotto prigione in Roma; talchĂŠ presto fra il dolore e il furore al Pontefice Bonifazio VIII mancò la vita.
Cinque anni dopo per reprimere lâaudacia e render vani i maneggi delle famiglie magnatizie che in Siena miravano a signoreggiare sul popolo, il magistrato deâNove ordinò la riduzione delle tante contrade, o compagnie, che giĂ esistevano in cotesta cittĂ , e delle quali gioverĂ châio dica qualche parola.
La città di Siena sino da quel tempo repartivasi come attualmente per Terzi e per contrade, ed ogni contrada al suono della campana pubblica eleggere doveva i suoi uffiziali, cioè un capitano ed un alfiere, cui presedeva il gonfaloniere del Terzo, nel quale erano comprese le respettive contrade. Nei casi di sollevazione o di pericolo esterno il popolo di ciascuna contrada si armava e con le insegne proprie accorreva al palazzo pubblico per eseguire quanto dai reggitori del Comune veniva loro comandato.
Allâeffetto medesimo furono organizzate le compagnie nelle Masse (suburbii di Siena) e nei vicariati del contado sotto il comando deâcenturioni, o capitani, e deâ respettivi alfieri, o porta bandiere.
Cotesta istituzione delle contrade di Siena mi sembra il modello, se non è piuttosto una imitazione dei 16 gonfaloni delle arti introdotti nel secolo XIII in Firenze. â Le contrade di Siena ridotte attualmente a 17 sono conservate per fare una comparsa totalmente teatrale nei giorni che precedono di poco quelli in cui hanno effetto due grandi corse entusiastiche dei loro fantini, che si eseguiscono nella gran piazza del Campo nel secondo giorno di luglio e nel dĂŹ 16 di agosto di ciascun anno. MA per tornare alla storia dirò qualmente a speranza del partito ghibellino nel 1311 calava in Italia a prender la corona imperiale Arrigo VII dio Lussemburgo, nemico acerrimo dei guelfi, i di cui governi voleva totlamente disfare. Siena e Firenze furono in Toscana le due cittĂ che chiusero le porte in faccia al troppo ghibellino imperatore, e il magistrato dei Nove tornò a pubblicare il bando di esclusione dei nobili dagli uffizi pubblici. Di ritorno dallâinutilmente tentato assedio di Firenze, lâesercito di Arrigo VII poco dopo marciò verso Siena dando il guasto a tutte le ville di quei suburbj, quando a quel Cesare reduce dai bagni di Macereto in Buonconvento si estinse la vita per liberare da un gran timore il governo sanese e tutte le repubbliche guelfe della Toscana.
CosĂŹ i signori Nove, i quali fino allora si erano trattenuti dal castigare i mal contenti fuggiti da Siena, o che avevano macchinato di dare la cittĂ in mano ai nemici, poterono dopo la morte di Arrigo VII ordinare ai capi della loro oste di recarsi a soggiogare tutti i castelli nei quali si erano rinchiusi quei rivoltosi di ogni munizione provvisti.
Ma la cittĂ di Siena, a pari della rivale Firenze, aveva dentro delle potenti famiglie ghibelline. Tale era quella dei Salimbeni contro lâaltra guelfa deâ Tolomei, tanto che a onta del lodo del 1280 di sopra riportata, nel 16 agosto del 1315, giorno destinato alla festa della giostra e poi della corsa nella piazza del Campo, in quel dĂŹ appunto molti Tolomei riscontrandosi con altri di casa Salimbeni si affrontarono, si ferirono e si uccisero, sicchĂŠ mettendosi in arme anche il popolo, chi da una banda e chi dallâaltra parteggiava. Arrestò alquanto le conseguenze di tanta ostilitĂ lâarrivo in Siena del principe di Taranto fratello del re Roberto di Sicilia; ma la vittoria riprtata nel 29 agosto del 1315 da Ugoccione della Faggiola sotto Monte-Catini rianimò i ghibellini tutti della Toscana, sebbene questi non ritraessero gran profitto da sĂŹ favorevole giornata. AvveganchĂŠ non fuvvi cittĂ della lega guelfa, della quale allora anche Siena faceva parte, che ad onta delle discordie cittadine il suo governo popolare minimamente alterasse.
Che se il vincitore di Monte-Catini, se il gran ghibellino che rinnovò tra i campi di Val di Nievole la sconfitta di Montaperto, se il Faggiuolano fosse stato, dirò con il Malavolti, cosĂŹ prudente nel governare gli stati come mostrò di essere valente nellâarte militare, non vi ha dubbio alcuno che dopo quella luminosa vittoria egli diventar poteva lâarbitro della Toscana. Allâincontro Ugoccione venne espulso in un giorno stesso da Pisa e da Lucca, due cittĂ sulle quali egli dominava, nel tempo che la sua cacciata rianimò e fu di sommo conforto ai governi di parte guelfa in Toscana.
Vedendosi in Siena le cose deâ guelfi andare prosperamente, varie famiglie nobili incominciarono a tornare allâobbedienza della Signoria. Di cotesto numero furono nel 1320 messer Deo deâ Tolomei e messer Francesco deâ Salimbeni con altri loro aderenti; ma due anni appresso essendosi rinnovato tumulto contro il reggimento eâ Nove da molte persone dellâordine e della classe del popolo, una parte di quei rivoltosi fu presa e decapitata, mentre ad altri fuggitivi fu dato il bando e dichiarati ribelli. Accadeva ciò poco tempo innanzi che i soldati della lega guelfa di Toscana ricevessero in Val di Nievole altra piĂš solenne disfatta allâAltopascio da Castruccio Antelminelli, capitano e politico il piĂš valente della sua etĂ , per la quale molti della lega guelfa rimasero morti, o furono avvinti al carro del trionfante vincitore.
Quindi la cittĂ di Siena, al pari di Firenze, avendo adottato in suo vicario il duca di Calabria, figlio del re Roberto di Napoli, i Tolomei e i Salimbeni ad insinuazione dello stesso duca nel luglio del 1326 stabilirono per un quinquennio tregua scambievole.
Dice lo storico Malavolti, che due anni dopo (1328) il magistrato di Siena ordinò il censimento delle famiglie della cittĂ , mentre era capitano del popolo messer Guido Ricci da Reggio: Ignoro per altro su qual base egli si appoggiasse per asserire che allora il Terzo di CittĂ , diviso in 20 compagnie o contrade, contava 4227 famiglie; che nel Terzo di S. Martino si trovavano oltre 20 compagnie con 3120 famiglie; e che nel Terzo di Camollia esistevano 19 compagnie con 4364 famiglie, sommando in quellâanno la cittĂ di Siena fino a 11711 capi di famiglie, ripartiti in 59 compagnie, nelle quali però erano compresi anche i nobili. (MALAVOLTI, Istor.
San. Parte II. Lib. V.) Nellâanno predetto 1328 il capitano del popolo Guido Ricci condusse lâoste sanese allâimpresa del Castello di Montemassi, che non senza fatica potè alla repubblica conquistare. Il qual fatto fu poi dipinto nel palazzo pubblico di Siena nella sala del consiglio per opera del celebre Simone di Martino, comunemente appellato Simone Memmi.
Fu pure durante il capitanato di cotesto Guido deâ Ricci, stato piĂš volte confermato, quando nellâaprile del 1329 essendo insorto tumulto nella plebe a cagione di una gran carestia, vennero cacciati da Siena i mendichi, non senza pericolo della vita di quel capitano che con la forca e con la corda trovò il mezzo di vendicarsi. â (GIOVANNI VILLANI, Cronica Lib. X.. cap. 118. â DOMENICO LENSI BIADAJOLO, MS. inedito intitolato SPECCHIO UMANO, dal Marchese Tempi testĂŠ donato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze).
Non rammenterò una pace trattata in Volterratra i sindaci sanesi e pisani nellâagosto 1330, stantechĂŠ essa non ebbe effetto che tre anni dopo; non dirò in qual modo i Massetani, che erano in lega con i Pisani, nel 1335 si dassero ai Sanesi.
In quel frattempo dopo la nuova elezione della Signoria di Siena essendo stato eletto in priore dei Nove il cittadino Simone dâIacopo Tondi, questi di commissione deâ suoi colleghi recossi a perlustrare il dominio sanese, della qual visita diede relazione al governo, ed il cui sunto leggesi stampato nella storia pubblicata da Giugurta Tommasi, il qual sunto piĂš in certo modo reputarsi il piĂš antico saggio di statistica economica fra noi comparso alla luce.
Frattanto il Comune di Siena, stante le guerre e le spese gravose, nelle quali la Repubblica fiorentina era involta, soccorreva questâultima di gente e di denari, specialmente allorquando nel luglio del 1343 da Siena fu inviata gente armata a Firenze per dare un braccio alla cacciata del duca dâAtene.
Era stato di buon augurio ai Sanesi lâanno 1337 stante la pace con generale soddisfazione fatta in pubblico parlamento fra i Salimbeni ed i Tolomei, due potenti famiglie, sebbene mancasse di effetto tra i Malavolti ed i Piccolomini; ma riescĂŹ altrettanto tristo lâanno 1339 a cagione della peste bubbonica, per cui nella cittĂ perirono molti dei piĂš reputati cittadini. Però assai piĂš fatale e piĂš desolante fu quello della peste del 1348, in conseguenza della quale, scriveva un contemporaneo sanese Angiolo di Tura chiamato il Grasso, sembra che morissero di quel contagio fra Siena ed i borghi (Masse) piĂš di 80,000 persone!!!. ? Dal luglio infino allâottobre del 1348 (aggiunge lo stesso cronista) â quella peste fu talmente micidiale che morivano uomini e donne quasi di subito; ed io Agnolo di Tura sotterrai i miei figlioli in una fossa con le mie mani, ed il simile fecero molti altriâ. â (MURATORI Cron. di Andrea Dei in Rer. Italic. Script. T.
XV.) PiĂš discreto per altro apparisce un altro scrittore anonimo pure sanese citato dal Benvoglienti nelle note alla cronica di Andrea Dei, il quale dice che nella peste del 1348, di 65,000 bocche che allora faceva Siena (escluse le Masse) ne rimasero vive 15,000. â (Oper. cit. ivi.) Frattanto si avvicinava il tempo di una nuova riforma provocata dal popolo minuto per tacito consenso dellâImperatore Carlo IV arrivato in Siena nella vigilia della Santissima Annunziata del 1355, sicchĂŠ nel giorno appresso (25 marzo) con grandissimo tumulto si videro cacciati dal palazzo pubblico i signori Nove, in luogo dei quali entrò alla testa del governo lâarcivescovo di Praga col titolo di vicario imperiale, assistito da una Balia di venti cittadini, dodici dei quali dellâordine del popolo e otto dellâordine deâ gentiluomini. Riformato in tal guisa il governo di Siena Carlo IV proseguĂŹ il suo viaggio a Roma.
CosĂŹ alle grandi sventure naturali della peste e della carestia si aggiunsero le civili, come fu questa del 25 marzo 1355 portata ai Sanesi dal cambiato governo, cambiamento forse il piĂš fatale alla loro libertĂ , siccome apparirĂ dal seguito dei deâ fatti istorici.
I venti eletti di Balia sei giorni dopo (31 marzo 1355) ordinarono un magistrato di Dodici (quattro per terzo) i quali con piena autoritĂ dovevano risedere in palazzo al pari deâ signori Nove per decidere gli affari di stato con lâassistenza e voto di 12 buonomini di famiglie nobili, stati eletti essi pure, quattro per ogni terzo; e questi ultimi costituirono il collegio che in seguito appellossi deâ dodici gentiluomini.
Arroge a ciò come nel giorno 17 del mese di aprile successivo fu organizzato un consiglio generale composto di 400 cittadini, dei quali 150 dellâordine dei nobili e 250 di quello dei popolani, a condizione che questi ultimi non fossero appartenuti a famiglie dellâordine deâ Nove; il qual consiglio doveva ogni sei mesi essere cambiato.
Era in cotesto modo sistemato il regime rappresentativo della Repubblica di Siena quando Carlo IV, dopo la sua incoronazione vi fece ritorno, sicchĂŠ trovando la cittĂ involta nelle solite discordie fra nobiltĂ e il popolo, credette opera facile di potervi stabilire per suo luogotenente e governatore supremo di Siena e suo stato un di lui parente, il patriarca dâAquileia. DondechĂŠ Cesare giovandosi del favore della plebe riesce ad ottenere agevolmente che la Balia, i signori Dodici e il consiglio deâ400 riconoscessero nel patriarca un nuovo padrone, e che rinunciassero al loro uffizio tre settimane dopo esservi stati chiamati.
Ma non era facile ad un patriarca disarmato poter tener il giogo sul collo a cittadini fervidi ed usati alla scelta deâ magistrati propri. Infatti appena di tre giorno Carlo IV erasi allontanato da Siena, che quel popolo corse allâarmi per rimettere in palazzo i signori Dodici, sicchĂŠ innanzi che terminasse il mese di maggio il patriarca di Aquileja fu costretto a rinunciare al governo della cittĂ e del territorio sanese.
Frattanto da coteste rivoluzioni politiche varie cittĂ e terre del contado presero occasione di liberarsi dei Sanesi. Tali furono le cittĂ di Grosseto e di Massa, le terre di Montepulciano, di Montalcino, di Casole e non poche altre, comecchĂŠ Cesare poco tempo dopo a forza di genti estranee e di armi non proprie la capitale del dominio senese sapesse riacquistare.
Allora il magistrato dei signori Dodici nel dĂŹ 1 luglio del 1355 fu aggiunto un capo, il capitano del popolo, del di cui arbitrio dipendevano i capitani delle compagnie, ossia contrade, ed i centurioni delle Masse; talchĂŠ in luogo del solito capitano del popolo scelto fino allora ogni sei mesi forestiero, fu eletto ogni due mesi nazionale dellâordine popolare.
Ă altresĂŹ vero che le compagnie del popolo sanese non erano piĂš quelle che con tanto valore e senza essere salariati figurarono nei campi di Montaperto; non piĂš il campanone della torre del Mangia chiamava i cittadini allâarmi per difesa deâ nemici esterni piuttosto che per spegnere i tumulti interni; cangiò col tempo la maniera di vivere e di dominare; si volevano delle soldatesche prezzolate, si volevano delle compagnie estere di masnadieri, di cui per buona sorte, non si contano piĂš in alcuni luoghi dellâItalia che i Lanzi della Svizzera, mentre da quelle compagnie di soldati avventurieri glâItaliani, dopo il secolo XIV, ebbero a soffrire per lunga etĂ conseguenze lacrimevoli e dolorose.
Il Comune di Siena fu uno dei primi a risentirne i dannosi effetti, allorchĂŠ la Repubblica fu messa a discrezione di una numerosa compagnia di masnadieri guidati dal cavalier provenzale Fra Monriale, cui cadde nellâanimo di raccogliere una buona massa di soldati, tanto a piedi come a cavallo (barbute) che vivevano col mestiere della guerra e cosĂŹ taglieggiavano i popoli e principi italiani.
ImperocchĂŠ quella compagnia dopo aver servito il re dâUngheria contro la regina Giovanna di Napoli; dopo aver devastato la cittĂ di Todi, si ridusse derubando per ogni dove nel contado di Siena, dal cui governo nel 1354, oltre molti regali, ottenne la vistosa somma di 13,300 fiorini dâoro. NĂŠ solamente Siena, ma ancora Firenze e Pisa dovettero soffrire lâonta di comprare da quelle masnade una instabile pace. â CosĂŹ cominciò a spegnersi nelle cittĂ commercianti e ricche virtĂš militari; cosĂŹ le repubbliche e le signorie dellâItalia furono messe a discrezione di turbolenti e rapaci soldatesche, le quali procedendo terribilmente ogni giorno piĂš oltre, alterarono per tanto tempo la prosperitĂ deâ popoli, quasi fossero stati pochi i disastri che soffrivano per la divisione deâpartiti, per la intestine discordie e per le guerre di fuori. â A Fra Monriale tenne dietro il conte Lando pur esso condottiero di una soldatesca sfrenata, che i Dodici di Siena nel 1357 ebbero la debolezza di chiamare al loro soldo assieme con altra compagnia dâInglesi (anno 1363), e rendersi in tal guisa tributarj di cotesti ladroni pronti sempre a nuove inchieste di danaro e a vendersi al maggiore offerente. Una però di codeste compagnie sotto lâinsegna e titolo del Cappello comandata da un conte di Urbino, fu combattuta e dispersa presso Torrita in Val di Chiana dalle genti sanesi comandate da un conte Francesco Orsini, la quale sconfitta fu poi dipinta in una sala del palazzo pubblico di Siena.
In questo frattempo il popolo sanese al pari di quello di molte altre cittĂ si era diviso in due sette, una delle quali favorita dai Tolomei prese il titolo di Caneschi mentre dellâaltra detta deâGrasselli era capo la famiglia Salimbeni. Frattanto la Signoria deâDodici artificiosamente concorreva a mantenere tale divisione col fomentare tra una e casa e lâaltra le cause di scandali atti a ravvivare le discordie antiche. Della qual cosa accortisi i magnati ed altre famiglie nobili sanesi, raccolti i loro aderenti e armati gli amici, nel settembre del 1368 fecero impeto contro i signori Dodici che cacciarono di palazzo e poi di cittĂ ; quindi fu ordinata una Signoria nuova composta di tredici personaggi, dieci dei quali dellâordine deâ gentiluomini e tre di quello dellâordine, ossia Monte detto dei Nove.
Non avevano appena costoro preso le redini del governo, che una subita controrivoluzione nel mese stesso di settembre a danno deâ gentiluomini si suscitò dalla plebe assistita dalla soldatesca inviata dallâImperatore Carlo IV, tornato dâallora in Toscana, sicchĂŠ unâaltra Signoria di Dodici fu formata collâaggiungere ai tre del Monte deâ Nove, cinque deâ popolani e quattro dellâordine deâgentiluomini. DondechĂŠ ai Sanesi siffatte nutazioni repentine deâ loro governanti si addirebbe quanto lâAlighieri, rivolgendo il discorso a Firenze, diceva Verso di te, che fai tanto sottili Provvedimenti, châa mezzo novembre Non giunge quel che tu dâottobre fili Per veritĂ ci allontaneremo troppo dal nostro assunto se qui indicare dovessimo tutte le varie azioni di governo prevalse in Siena nel conflitto fra il popolo e la nobiltĂ , divisa e suddivisa in fazioni, cui fu dato il titolo di Monti.
Pochi giorni dopo la riforma del governo deâDodici testĂŠ accennata, Siena servĂŹ di teatro a una comparsa straordinaria per lâarrivo di Carlo IV e dellâimperatrice sua consorte, comparsa che terminò col dover la nuova Signoria ricattare dai Fiorentini la corona stata impegnata da quellâImperatore per bisogno di denaro.
Ma non era ancora al suo termine lâanno 1368, che unâaltra sollevazione politica nel dicembre sconvolse lâordine del 24 settembre, quando cioè il popolo di Siena armato, volle riformare il magistrato dei Dodici portandolo al numero di 15, otto dei quali scelti fra i Popolani, quattro dalla lista deâDodici, e tre dallâordine, o Monte deâNove, e da questa riforma ebbe origine il consiglio dei 150 che costituĂŹ poi un quarto Monte appellato deâRiformatori.
Si tentò allora di sopprimere cotesti vocaboli dellâordine deâPopolani, ossia Monte del Popolo , di quello deâNove, e dellâordine deâDodici, chiamando i primi il popolo maggiore e i secondi il popolo minore ed il terzo il popolo mezzano. In mezzo a simili incertezze e a tante agitazioni accadde il ritorno da Roma a Siena di Carlo IV; il quale dopo aver promesso di conservare gli statuti del Comune, ordinò che per decidere delle differenze politiche gli fossero consegnate le principali fortezze della repubblica. A tale richiesta però essendosi opposto il consiglio del popolo, e vedendo la Signoria deâ Dodici che per quella via non poteva farla da tiranna, deliberò di ricorrere alla forza per ottenere ciò che non poteva avere con la simulazione di belle parole. Fu allora che Carlo IV risolvĂŠ di rimettere tali differenze allâarbitrio di due commissarj, ed al cardinal di Bologna Legato apostolico arrivato di corto in Siena.
SennonchĂŠ il popolo sanese era giĂ venuto in sospetto che lâimperatore volesse vendere la loro cittĂ ad altri padroni, siccome lo dava a credere il richiamo dallâesilio di tanti nobili cittadini, e lo confermavano in ciò le misure prese dalla Signoria deâDodici. La quale col favore delle genti imperialie delle tedesche condotte dal cardinal Legato e da Niccolò Salimbeni, ospite di Carlo IV, nel 18 gennajo del 1369 (stile comune) mosse contro i fautori dei Nove.
Allora la plebe armatasi corse in piazza contro i Dodici che cacciò di palazzo; ed il capitano del popolo col gonfalone in mano, cui si era unita una gran parte di cittadini sollevati, andò incontro alla squadra dovâera lâImperatore, il quale accompagnato da un gran numero di principi della sua corte recavasi alla volta del palazzo pubblico per volervi installare il cardinal Legato, sicchĂŠ nella zuffa impegnatasi fra il popolo e le truppe imp eriali poco mancò che lo stesso Cesare non fosse dalla plebe tagliato a pezzi, stantechĂŠ in quello scontro, essendo accaduto un grandissimo eccidio di coloro che volevano opporsi alla furia popolare lâImperatore fu costretto a retrocedere e rinchiudersi nel palazzo deâSalimbeni.
Non contento il popolo sanese di aver rotta e svaligiata la cavalleria imperiale, di aver abbattuto lo standardo e costretto lo stesso Carlo a refugiarsi nel palazzo deâSalimbeni, volle anche assediarvelo. A liberarlo da sĂŹ cattivo passo sâintromesse il cardinal Legato con alcuni cittadini, sicchĂŠ Carlo IV fu costretto a lasciare la cittĂ senza altra innovazione. Eâ altresĂŹ vero che cotanta ingiuria costò ai Sanesi molti denari, cosĂŹ essendo uso quellâImperatore a ristorare le sue vergogne. â (AMMIRATO, Storia Fiorentina. Libro XIII.) Dalla impetuosa sollevazione fatta in quellâemergente dalla plebe di Siena, dalla quale un esempio simile rinnovossi alla nostra etĂ , si scorge ciò che possa una popolazione armata del naturale valore contro truppe agguerrite, ben dirette, ma prezzolate.
Se però da un canto i Sanesi per siffatta impresa crebbero in riputazione, altronde la cittĂ rimase piena di tumulti con tutto il territorio, nel quale gli esiliati politici facevano continue depredazioni; finchĂŠ Carlo IV destinò la Signoria di Firenze arbitra fra i nobili e la classe deâ popolani. Ma niuna delle due parti accettò il primo, e solamente aderirono al secondo lodo pronunciato li 30 giugno del 1369; nel quale tra gli altri capitoli uno si era questo: che i nobili e popolani fuoriusciti potessero ritornare in Siena loro patria, e entrare in tutti i magistrati fuorchĂŠ nella Signoria e nel consiglio generale. MercĂŠ tali condizioni, approvate dal concistoro della repubblica da un lato e dai principali fuoriusciti dallâaltro, respirò alquanto cotesta cittĂ , e la pace esterna contribuĂŹ non meno a recare qualche sollievo allâagitato Comune sanese. Fu in tale intervallo quando Siena pervenne piĂš facilmente ed in poco tempo recuperare le terre e castella del suo dominio, obbligando le famiglie magnatizie di quel contado a sottomettersi alla madre patria. Arroge che in cotesto periodo terminossi la strada rotabile fra Siena e Grosseto, dai Fiorentini molto innanzi reclamata per recare a Firenze le mercanzie di oltremare che scaricavansi a Talamone.
Che se tutto ciò aveva effetto per un accordo interno e una pacificazione esterna, difficilmente suole questâultima andare esente dalla commozione di cittadine discordie.
Tali furono quelle che nel 1370 si suscitarono dentro Siena per lâinsolenze fatte dalla compagnia appellata del Bruco al palazzo del senatore, (come allora chiamavano il podestĂ ) a quello pubblico della Signoria, allâaltro deâSalimbeni, e ad una compagnia di gentiluomini che inutilmente presero le armi per respingere quella plebaglia; sino a che una mattina di luglio, unitasi alla compagnia del Bruco quella del popolo armato, corsero entrambe al palazzo deâSignori di dove cacciarono i quattro dellâordine deâGentiluomini , ed i tre dellâordine deâ Nove che risiedevano fra i Quindici del magistrato primiero della cittĂ , in luogo deâ quali furono sostituiti altri sette dellâordine deâ Popolani. Ma non era ancora al suo termine il mese stesso, quando quelli deâDodici, avendo congiurato con alquanti Noveschi e col capitano del popolo, assaltarono dâimprovviso, armata mano nelle loro case le genti della compagnia del Bruco. Questi però a un tempo stesso levatisi a rumore, corsero per la cittĂ , e unitisi alla compagnia del popolo, ruppero e sbaragliarono i congiurati, ai di cui capi fu tosto tagliata la testa, dichiarando i ribelli fuggitivi. Quindi fu riformato il magistrato deâQuindici Difensori, 12 deâ quali scelti fra i popolani , o del numero maggiore, e tre dallâordine deâNove, ossia del numero minore; tutti glâindividui inclusi nel numero mezzano furono ammoniti e quasi tutti levati dalla borsa degli eligibili, ai quali si aggiunsero dellâordine o Monte deâRiformatori molti artigiani giĂ compresi fra i popolani.
Una simile riforma governativa, che si accostava molto a quella da Giano della Bella eseguita in Firenze nel 1294, costò la testa al capitano del popolo e ai gonfalonieri dei tre Terzi, cioè il Terzo di CittĂ , di S. Martino e di Camullia, la pena dellâesilio e della borsa a molti altri.
SennonchĂŠ un tal procedere inasprĂŹ sempre piĂš lâordine deâ Dodici e la classe deâ messeri, per cui sorgevano in Siena continue sedizioni, che infine, a parere di un grave storico sanese, produssero la morte di codesta repubblica.
Anche il magistrato dei Dieci di Balia sopra la guerra, creato in Siena nel 1374 a similitudine del sistema usato da tempo indietro di Fiorenza, ordinava con un suo bando di dovere carcerare 26 cittadini dellâordine dei Dodici, e quindi li condannava nella pena di 12000 fiorini dâoro.
Due anni dopo però ad insinuazione di una santa vergine sanese, S. Caterina, il Pontefice Gregorio XI sulla fine dellâanno 1376 si partĂŹ con tutta la sua corte da Avignone per riportare con giubilo di tutta lâItalia la sede apostolica in Roma che ne era stata priva per il corso di 70 anni continui.
Cotante innovazioni di governanti rendevano sempre piÚ ardite le compagnie dei masnadieri, sicchÊ il Comune di Siena piÚ volte (come ho detto) mediante gravose somme di danaro, dovè, talora dal saccheggio del suo contado liberarsi, e talvolta farsi di esse per breve tempo scudo servendosi del loro appoggio con molto denaro assoldate.
Furono di questo numero la compagnia della Stella, quella inglese comandata dallâAugut, una italiana denominata di S. Giorgio, e una di Brettoni condotta da un Ubaldini, per lasciare di tante altre, alle quali bene spesso si univano i fuoriusciti ribelli della repubblica.
Non era ancora inoltrata la primavera del 1384 quando i Sanesi tumultuarono contro il reggimento denominato deâRiformatori, i quali non furono cacciati solo dal palazzo, ma ancora da tutto il territorio sanese, richiamando in patria tanti fuoriusciti. Ciò per altro riescĂŹ in tale tumulto di maggior danno alla cittĂ fu lâesilio dato a un grandissimo numero di artigiani, dei quali, quattrâanni dopo, quando fu conclusa fra le due fazioni la pace, non ritornò in Siena appena la decima parte: sicchĂŠ a questa cacciata del magistrato deâ Quindici Riformatori e di circa 4000 persone della classe del popolo, il maggior numero artefici, a parere del Malavolti, fia da attribuirsi, se non la prima, al certo la piĂš essenziale decadenza delle industrie manifatturiere di Siena.
Era di poco terminato lâanno 1384, che giĂ si disegnò, come poi accadde, di rimettere in seggio il magistrato espulso deâRiformatori riducendoli al numero di Dieci, cui fu dato il titolo di Priori. Ma talmente stavano poco dâaccordo fra loro magistrati e cittadini che in due anni non meno di tre congiure contro il governo dai reggitori di quello furono sventate.
Nel declinare dellâanno 1387 il magistrato deâDieci Priori aveva giĂ ammesso fra i componenti della Signoria un altro individuo dellâordine deâRiformatori, introducendovi nel tempo stesso in tutte le altre magistrature quelli dellâordine deâPopolani.
MA essendosi in quel tempo i Montepulcianesi ribellati ai Sanesi, e il loro territorio corso e depredato dalla compagnia deglâInglesi, credettesi che ciò fosse stato per opera deâFiorentini. DondechĂŠ la Signoria di Siena si maneggiò per avere lâappoggio del potente Giovanni Galeazzo Visconti Signore di Milano, onde con le forze dei due stati danneggiare il piĂš che si poteva il territorio della Repubblica fiorentina.
Intanto agli ambasciatori del governo di Firenze Giovanni Galeazzo Visconti con sommo artifizio rispondeva: che avendo i Sanesi esibito di sottomettersi alla sua tutela, egli non volle acconsentirvi. Conoscevano i Fiorentini per esperienza che il Conte di VirtĂš altro fingeva con le parole, altro aveva nellâanimo; e tale il fatto lo dimostrò quando, nel 22 settembre del 1389, furono stabiliti patti di alleanza contro Firenze fra i Sanesi e lo stesso Giovanni Galeazzo Visconti. In vista di ciò i signori della repubblica fiorentina unitamente al Comune di Bologna, mandarono ambasciatori a Carlo VI re di Francia per averne ajuto contro il Visconti di Milano mettendogli avanti gli acquisti che quella MaestĂ potrebbe fare nella Lombardia. NĂŠ contenti di ciò essi ricorsero a un altro peggior ripiego invitando i capi delle compagnie a rimuoverle ai danni deâSanesi. Trovavansi i due governi di Firenze e di Siena in una tacita quanto sincera ostilitĂ quando Piero Gambacorti, capitano e difensore del popolo pisano sâinterpose paciario fra loro, sicchĂŠ dopo molte fatiche, previa la restituzione di Montepulciano ai Sanesi, si concluse accordo fra le parti con una lega a difesa comune per lo spazio di tre anni da incominciare il dĂŹ 9 ottobre 1389 (stile comune). Uno deâprincipali capitoli fu questo, che durante il tempo della lega, Giovan Galeazzo Conte di VirtĂš non dovesse in modo alcuno impacciarsi delle cose di Bologna, della Romagna e della Toscana.
Con altro capitolo si obbligavano i colleghi a difendersi lâun lâaltro dai masnadieri che sottonome di compagnie continuavano a mettere la taglia ora a questa, ora a quella cittĂ ; e fu stabilito per patto espresso che si dovesse fare in modo di sciogliere la compagnia deglâInglesi, la qual non solo era la piĂš numerosa, ma aveva per suo capitano il celebre Giovanni Augut.
Ma il Conte di VirtÚ, solito come si disse a promettere ma non a mantenere, non solo non si attenne alle condizioni della lega dei 9 ottobre del 1389, ma poco dopo segretamente si maneggiò per fare occupare dalle genti del suo fedele Giovanni Ubaldini la rocca di San-Miniato al Tedesco.
Il qual disegno essendo stato dai Fiorentini scoperto e reso vano, non impedĂŹ ciò nondimeno allâUbaldini di adoprare ogni industria per indurre i reggitori di Siena a romperla con la Signoria di Firenze. Della quale i Sanesi erano entrati in sospetto, dubitando che i Fiorentini nutrissero animo contrario alle promesse e che segretamente proteggessero i Montepulcianesi, per essersi questi di nuovo alla repubblica di Siena ribellati. In vista di ciò il governo sanese innanzi che terminasse lo stesso mese di ottobre del 1389 rinnovò la lega fatta nel 22 settembre di quellâanno con Giovanni Galeazzo, cosicchĂŠ dal Comune di Firenze nella primavera successiva fu dichiarata la guerra nel tempo stesso al signore di Milano ed al Comune di Siena.
Erano giĂ in ordine grandi preparativi da tutte le parti, tanto che i Fiorentini, cui si accostarono i Bolognesi, i Perugini fuoriusciti, i Carraresi di Padova ed i figliuoli di Bernabò Visconti, quanto dal lato deâSanesi, coi quali tenevano il Conte di VirtĂš, la cittĂ di Perugia i Malatesti di Rimini, gli estensi di Ferrara, i Gonzaga di Mantova ed altri alleati. Si principiò una guerra fierissima nella Lombardia, nello Stato Veneto, e nella Toscana specialmente dalla parte della Val di Chiana, dove i Sanesi riebbono Lucignano oltre varie castella che tolsero ai Fiorentini in Val dâAmbra.
Ma ciò che riescĂŹ a tutti di grandissimo danno fu la peste che infuriò e si propagò in Toscana e nella Lombardia, sicchĂŠ le parti belligeranti dalle gravose spese della guerra e dalle stragi della peste sommamente afflitte ed estenuate, erano però disposte di dare ascolto alle proposizioni di pace, che a utilitĂ comune verso la fine di quellâanno il Pontefice Bonifazio IX proponeva. Sembrò in realtĂ ai meno appassionati fra i Sanesi e i Fiorentini esser cosa vana il volersi consumare del tutto per servire o per contraddire il Conte di VirtĂš, dal quale la Toscana non poteva altro sperare che una spiacevole e acerba servitĂš. E questa servitĂš giĂ si cominciava a conoscere, dice il Malavolti, da chi non era accecato dallâodio che il volgo di Siena per le offese ripetute portava da gran tempo ai suoi vicini.
Infatti il popolo sanese, che si sarebbe dato piuttosto al diavolo che ai Fiorentini, preferÏ anzichÊ la pace di sottoporsi al Visconti Signore di Milano. Fu allora che Orlando Malavolti con altri consorti di parte guelfa della stessa potente famiglia sanese, si diede in accomandigia alla repubblica fiorntina (2 febbrajo 1391 stile comune) con tutti i castelli e beni, previa la protesta che faceva ciò perchÊ vedeva in schiavitÚ la sua patria.
Ma le alternative ora favorevoli, ora contrarie di una guerra desolatrice, cui accresceva infortunio la peste e una spaventevole carestia, cominciarono a voltar gli animi ai ragionamenti che allo stesso scopo un anno innanzi il Pontefice Bonifazio IX aveva mosso. Che sebbene le trattative, affidato alle premure del doge e Comune di Genova andassero soggette a continue difficoltĂ , finalmente nel 26 gennaio del 1392 fu proferite il lodo.
Fra i capitoli del quale eravi questo relativo ai Sanesi: di dovere a questi ed ai loro aderenti i Fiorentini restituire le terre e luoghi occupati dopo la lega del 9 ottobre 1389, e viceversa consegnare i Sanesi i luoghi stati tolti ai Fiorentini, ecc. Fu pure lodato che il Conte di VirtĂš non dovesse intromettersi in alcun modo nelle cose politiche della Toscana, come nella lega del 9 ottobre 1389 era stato stabilito.
Memorabile quanto generosa ed altiera fu la risposta data da uno degli ambasciatori fiorentini presenti a quel lodo, allorchĂŠ uno dei due delegati proponeva a ciascuna delle parti di dare mallevadori idonei: la spada (rispondeva il fiorentino) la spada sia quella che sodi: poichĂŠ Giovanni Galeazzo ha fatto esperienza delle mostre forze e noi delle sue.
Con tutto il lodo per altro del gennaio 1392 il Conte di VirtĂš non cessò dâintrigarsi negli affari della Toscana, siccome lo dimostra per tutti lâevento della Repubblica di Pisa che cadde in sua balia, e quella di Siena, con la quale pochi anni dopo (1396) strinse altri patti di alleanza. Un tal procedere accrebbe fomite allâamicizia fra i Fiorentini ed i Sanesi, sicchĂŠ da una banda e dallâaltra si tornò a far prede e scorrerie nei contadi respettivi, sospese, ma non terminate da una tregua conclusa gli 11 maggio del 1398, cioè, poco innanzi che dallâAppiano fosse venduto a Giovanni Galeazzo la cittĂ e contado di Pisa, e che i Sanesi per mal consiglio deliberassero di sottomettere la loro patria allâarbitrio di quel medesimo signore.
Realmente nel dĂŹ 11 dicembre del 1399 furono stabiliti i patti di cotesta dedizione che nel 26 del mese medesimo dal consiglio della Campana di Siena vennero approvati.
Quindi avvenne che nel dĂŹ primo del gannajo successivo arrivò in cittĂ il Conte Guido di Modigliana come luogotenente del Duca di Milano per risedervi insieme col nuovo magistrato deâgovernatori e del capitano del popolo sanese. â (MALAVOLTI, Istoria Sanese. P. II. Libro X.) Frattanto la cittĂ di Siena perdeva unâaltra volta la propria libertĂ , la fame e la peste nellâanno stesso concorrevano a gara ad accoppiarsi alle pazze misure prese dal suo governo, e la plebe quasi si ricreò appena si accorse che lo stesso male si era attaccato al popolo di Perugia, ridottosi pur esso dalle divisioni intestine al tristo compenso (gennajo 1401) di darsi in braccio allo stesso Duca di Milano, nelle cui mani, nel giugno del 1402 pervenne anche il popolo di Bologna. In tale stato di cose la repubblica di Firenze vedevasi in grande pericolo di cadere vittima del biscione, quando quel principe potentissimo, cui non restavano piĂš ostacoli da superare per farsi signore della Toscana, colpito da fiero morbo in mezzo alla sua maggiore prosperitĂ , per misericordia di Dio nel 3 settembre dello stesso anno 1402 passò agli eterni riposi.
La morte di cotesto Duca ritornò in vita tanti popoli oppressi; sicchĂŠ Bologna, Perugia ed altre cittĂ dello stato pontificio poterono cantare col salmista: Vincula facta sunt, et nos liberati sumus. I Sanesi aspettarono il 1404 prima di licenziare il luogotenente ducale per tornare a reggersi a Comune. Nel qual tempo i reggitori del governo sanese mostrandosi pronti a trattare di pace con la Signoria di Firenze, questa nel 6 dâaprile dellâanno medesimo fu conclusa a condizione di comprendervi gli esuli sanesi, e di restituire ai medesimi tutti i beni, castella e luoghi che il governo di pertinenza loro riteneva. Inoltre fu stabilito che restasse ai Fiorentini la Terra di Montepulciano, ai Sanesi quella di Lucignano.
Per tal guisa la cittĂ di Siena non solo rimase libera dalla servitĂš del principe milanese, ma potĂŠ in breve tempo ricuperare molte terre e castella che per cagione della guerra erano state loro dai Fiorentini occupate, oltre lâacquistarne altre che ribellatesi dai proprj signori se gli erano sottomesse.
In questo frattempo cadde in odio grande ai Pisani il loro signore Gabbriello Maria figlio naturale del Conte di VirtÚ, dopo che quella già libera popolazione si era accorta, qualmente il signor Gabbriello Maria trattava di vendere Pisa ai Fiorentini nemici suoi. Quindi avvenne che i Pis ani furibondi si sollevarono contro il loro signore, costringendolo ad abbandonare la città ; sicchÊ dopo di avere perduta la speranza di riacquistarla, vendè Pisa per grossa moneta agli odiati vicini. E perchÊ i Fiorentini consideravano che non avrebbero conseguito ciò senza guerra, fu mandato a Siena dalla Signoria un loro ambasciatore non tanto per dar parte ai Sanesi del fatto acquisto, come ancora per richiederli di ajuto e cosÏ distornarli dal favorire una città che preferiva di essere piuttosto serva di qualunque tiranno che suddita di una repubblica ostinatamente da quel popolo odiata.
Tra anni dopo Ladislao re di Napoli tentò a danno deâ Fiorentini di fare un trattato con i Sanesi, i quali dai delegati di Firenze essendo stati per tempo rincorati a non lasciarsi dalle regie lusinghe ingannare, risposero a Ladislao, di non potere a tenore delle convenzioni senza lâannuenza deâ Fiorentini loro amici entrare con chicchessia in alcun trattato. SicchĂŠ dopo aver i ministri regj tentata ogni via di stornare i Sanesi da quella sentenza, Ladislao era giĂ con un numeroso esercito di fanti e cavalli entrato nello stato senese fino a Buonconvento, quando ordinò che si corresse verso le porte di Siena e che si facessero per via quanti maggiori danni e ruberie si potevano mai fare.
Ma per quanto lâoste napoletana si fosse avvicinata alle mure della cittĂ , per quanto le arsioni e i saccheggi di rabbiosa soldatesca fossero infiniti, nulla valse a rimuovere i Sanesi dal loro proposito, nĂŠ appariva speranza alcuna di poter prendere Siena per forza.
DondechÊ si accrebbero gli obblighi del Comune di Firenze verso questo di Siena, il di cui contegno, a confessione degli storici fiorentini, salvò la loro libertà .
Finalmente dopo lo spoglio delle campagne vicine a Siena, lâesercito regio per scarsezza di vettovaglie fu costretto a ritirarsi di lĂ , e per Asciano e Torrita entrare nella Val di Chiana, dove finalmente trovò li primi paesi deâFiorentini, accampandosi sotto Monte-Sansavino.
RiuscĂŹ però vana la speranza dâinsignorirsi di questa Terra, sicchĂŠ lâoste napoletana si mosse per inoltrarsi alla conquista di Arezzo. Ma dopo aver tentato inutilmente lâacquisto, Ladislao dovĂŠ retrocedere con lâesercito per Castiglione-Aretino, dove non fece piĂš di quello che sâavesse fatto a Montesansavino e ad Arezzo, meno che a un gran guasto di biade in un tempo vicino alle masse (maggio e giugno del 1409). Quindi è che i Toscano cominciarono forte a farsi beffe di lui chiamandolo il re guasta grano; e i popoli di piĂš terre e cittĂ si unirono in lega fra loro per cacciare quellâesercito dalla Toscana.
Realmente il trattato fu concluso in Pisa alla fine di giugno di quellâanno tra i Fiorentini, il cardinal Coscia Legato pontificio di Bologna, i Sanesi e varie altre ComunitĂ .
Finalmente il re Ladislao venendo a buoni patti nel gennajo del 1411 conchiuse i capitoli di una pace con le due repubbliche di Firenze e di Siena.
Ben presto il prognostico di chi sospettò simulata la pace del gennajo 1411 per parte di Ladislao, si avverò, giacchĂŠ egli due anni dopo la ruppe rientrando ostilmente in Roma e di lĂ avanzando lâesercito fino a Perugia come in atto di minacciare ai Sanesi e ai Fiorentini nuova guerra. Allora queste due repubbliche risolvettero di mandare nel campo di quel re i loro ambasciatori, i quali conclusero una lega di sei anni a difesa reciproca firmata dai plenipotenziarj nella pianura dâAssisi sotto di 22 giugno dellâanno 1414.
Terminato il negozio della lega Ladislao mostrò desiderio di voler conferire di alcuni oggetti con i sindaci sanesi; per cui avvisata quella Signoria furono incaricati due cittadini, uno dellâordine deâRiformatori, lâaltro di quello deâNove. Ma i Popolani per sospetto che non si trattassero affari politici a danno della patria e in pregiudizio loro, suscitarono una sollevazione nella cittĂ , sicchĂŠ fu dâuopo per la quiete pubblica eleggere un terzo sindaco dellâOrdine deâPopolani. Ma per buona sorte recatisi quei tre a Perugia, vi trovarono il re Ladislao gravemente malato e perciò fu ricondotto a Napoli dove nellâagosto dellâanno stesso morĂŹ, liberando cosĂŹ, tanto la repubblica di Siena come lâaltra di Firenze da nuovi pericoli e timori.
Dopo di ciò la lega fatta sino dal 1408 fra i Fiorentini ed i Sanesi fu con soddisfazione scambievole nel giugno del 1416 confermata. E veramente del 1414, epoca della seconda pace stipulata col re Ladislao, fino al 1430 non avendo il Comune di Siena dei potenti nemici da combattere, ebbe agio dâingrandire il suo dominio con la sottomissione di molte famiglie nobili che divennero sue feudatarie.
Peraltro la pace generale non bastò a rendere la calma agli animi di molti cittadini e nobili banditi dalla loro patria, sicchÊ questi non cercassero di trovar modo per ritornarvi.
Era in tale stato la cittĂ di Siena quando nel 1428 essendosi fatta la pace fra il Duca di Milano da una parte, i Veneziani e Fiorentini dallâaltra parte, il governo sanese entrò in dubbio di questi ultimi. Al che davano cagione le genti deâFiorentini reduci dalla Lombardia che si erano in parte avvicinate ai confin i dello stato di Siena con ordine di non lasciar passare in questo alcuna merce, nĂŠ vettovaglie. Che sebbene dietro le rimostranze deâSanesi quegli ordini fossero revocati, ormai il pomo della discordia fra i due popoli era gettato. Quindi è che se i Fiorentini, nel tempo che assediavano Lucca, benchĂŠ poco innanzi avessero mandato ambasciatori a pregare i Sanesi che non volessero sopportare che un loro cittadino, messer Antonio Petrucci, si recasse al soldo di Paolo Guinigi Signor di Lucca, la Signoria di Siena aveva motivo di dubitare della loro sinceritĂ e buona fede specialmente dopo che il conte Francesco Sforza generale del Duca di Milano essendo sceso con un esercito in Toscana per proteggere la cittĂ di Lucca, aveva fatto dire agli ambasciatori sanesi che i governanti della loro patria non si fidassero deâFiorentini comecchĂŠ se gli mostrassero amici. Si accorsero bene questi ultimi del cattivo uffizio fatto loro dal conte, e volendo chiarirsi meglio dellâanimo deâSanesi, veduto che si provvedevano essi di nuova gente dâarme, la Signoria di Firenze mandò a domandare loro, come a collegati, ajuto di soldati e di vettovaglie per lâimpresa divisata. A simile richiesta i reggitori di Siena risposero, che lâanimo loro era rivolto alla difesa delle cose proprie senza far ingiuria ad altri.
Occorse in quei giorni la morte di Papa Martino V, autore di una importante bolla del 13 febbrajo 1429, con la quale detto Pontefice proibiva ai Padri Predicatori dellâInquisizione e ad ogni altra persona tanto ecclesiastica come secolare di predicare e incitare la plebe contro gli Ebrei, ordinando S. SantitĂ ai Padri Inquisitori di astenersi di recare loro molestia, meno nel caso che gli Ebrei fossero fautori di eresie, e vietando a tutti i Cristiani di offenderli nella persona o nella roba; e di non dover obbligare in alcun modo gli Ebrei dâintervenire ai divini uffizj, nĂŠ di battezzare alcuno di loro prima che fosse arrivato allâetĂ di dodici anni senza licenza deâsuoi maggiori.
A Martino V succedĂŠ nel pontificato Eugenio IV, il quale per essere stato vescovo di Siena col nome di Gabbriello Condelmiero, mandò in questa cittĂ il Cardinal di Bologna ad esortare i suoi magistrati di mantenere il popolo in pace e stare amici deâloro vicini. â Ma i conforti suoi non ottennero profitto alcuno, anzi scopertosi Eugenio IV partigiano deâFiorentini, sĂŹ fattamente gli animi deâSanesi e del Duca di Milano sdegnò, che la pace fu perduta affatto in Toscana e in Lombardia, dove ogni cosa si riempĂŹ di scompiglio. Per effetto di ciò nel mezzo a tanti mali (anno 1431), sia nelle parti del Lucchese, sia nel Sanese si ruppe apertamente la guerra contro i Fiorentini.
Arrivò poco appresso in Siena un inviato dellâImperatore Sigismondo a prevenire la Signoria dellâimminente passaggio di quel Cesare. Le principali provvisioni fatte allora da chi governava la repubblica si ridussero a confinare la maggior parte dei cittadini dellâordine deâGentiluomini e dellâordine deâDodici, ad oggetto di togliere a costoro lâoccasione di dolersi con lâImperatore.
Frattanto Sigismondo a dispetto del governo fiorentino che ne avrebbe volentieri impedito il passaggio, nel luglio del 1432 giunse a Siena per seguitare il cammino verso Roma e prendervi la corona imperiale. Finalmente dopo varie vicende della guerra fra i Fiorentini uniti alla lega guelfa da una parte e il Duca di Milano con i suoi alleati dallâaltra parte si venne a trattative di pace, mentre lâImperatore era tornato a Siena (gennajo del 1433); della quale pace furono mediatori i marchesi Niccolò dâEste e Lodovico di Saluzzo. Essa fu conclusa in Ferrara a dĂŹ 26 aprile del 1433 e uno di quei capitoli lasciava facoltĂ ai Sanesi di poter, volendo, fra un tempo determinato in essa pace intervenire come alleati del Duca di Milano, a condizione però di restituire e di riavere le cose reciprocamente acquistate, o perdute, e che i Sanesi, nel caso che per tale rapporto i Fiorentini gli muovessero guerra, non dovessero esser dal Duca di Milano ajutati.
Terminati con la pace di Ferrara i pericoli esterni, ribollirono in Siena i cattivi umori di dentro, per le quali cose mentre che i Fiorentini della fazione di Rinaldo degli Albizzi incarcerava e poi esiliava Cosimo deâMedici il vecchio, la Signoria di Siena confinava una gran parte di cittadini dellâordine deâDodici, stati di giĂ esclusi dal governo, sul dubbio che cotesta classe volesse tentare qualche innovazione di regime. â Mentre tali violenze tendevano ad assicurare al partito dominante i frutti della pace, i reggitori di Firenze rilasciavano salvacondotto ad Antonio di Cecco Rosso Petrucci stato amicissimo di Paolo Guinigi per andare a Roma al Pontefice. Nella quale circostanza il Petrucci essendo stato amorevolmente alloggiato da Galeotto da Ricasoli suo compare nel castel di Brolio, il Petrucci, nellâottobre del 1434 con inganno e di furto sâimpadronĂŹ di quel fortilizio, facendo prigioniero lo stesso padrone. Tale incidente poteva servir di motivo a nuova guerra fra le due repubbliche, se i Fiorentini non avessero avuto piena certezza che ciò era accaduto contro ogni volontĂ del Comune di Siena. NĂŠ meno franca fu la risposta data dai reggitori della repubblica sanese ad Otto Niccolini, uno dei Dieci di Balia del Comune di Firenze, allorchĂŠ nellâagosto del 1451, tornato da Siena, riferiva in senato, che i Sanesi non darebbono passo, nĂŠ vettovaglia, nĂŠ ricetto alcuno a chi venisse nel loro territorio con animo di far guerra ai Fiorentini; aggiungendo che per nessun conto la Signoria di Siena con Alfonso dâAragona re di Napoli farebbe lega.
Intanto alla fine del 1451 arrivavano in Siena per diverso cammino il nuovo Imperatore Federigo dâAustria ed Eleonora di Portogallo destinata sua sposa; la quale accompagnata da Enea Silvio Piccolomini, allora vescovo di Siena, da molte matrone e da un drappello di donzelle, allâantiporto di Camullia Eleonora di Portogallo dallâImperatore venne riscontrata, e di lĂ con nobile e numeroso corteggio in mezzo alla plaudente popolazione lâAugusta coppia fece solennissima entrata nella cittĂ .
E qui avverte lo storico Malavolti che coloro, i quali governavano la cittĂ quando vi arrivò Sigismondo, seguendo lâesempio del 1432, avevano confinato lungi da Siena tutte le persone atte a portar lâarmi dellâordine deâGentiluomini e di quello deâDodici.
Peraltro non era appena Federigo III ritornato neâsuoi stati di Alemagna, che una guerra tra il re di Napoli ed i Fiorentini si vide scoppiare; e comecchĂŠ una gran parte di cittadini sanesi non bramasse che il loro governo in quel conflitto prendesse parte a danno deâFiorentini, contuttociò i reggitori del Comune di Siena dovettero somministrare viveri e passaggio pel territorio allâesercito Aragonese.
Finalmente ciò che nel primo anno della guerra (1452) non fu fatto ebbe effetto nel successivo, quando i Sanesi negoziarono e conclusero lega con il re Alfonso, sebbene i primi sordi alle rimostranze dellâAragonese nel 1454 accettassero la pace conclusa in Lodi li 11 aprile dello stesso anno, bandita in Siena pochi giorni dopo.
Quantunque cotesta pace fosse stata promossa piÚ che dagli interessi pubblici da oggetti privati per essere le parti belligeranti smunte dalle spese della guerra, pure il governo di Siena in vigore di quella non solo cessò di offendere i Fiorentini, ma fece intendere al duca di Calabria figlio del re Alfonso, che se egli continuava a tenere il suo esercito nel dominio sanese non dasse molestia ai paesi della Repubblica Fiorentina.
In conseguenza di cotesta tregua, che appellavasi pace, i Sanesi tenevano le loro milizie occupate in Maremma contro i conti di Pitigliano, allora quando Jacopo Piccinino, licenziato dal soldo deâVeneziani, essendosi congiunto ad altri condottieri, e avendo messo insieme un piccolo esercito a guisa delle antiche masnade, con moltitudine si fatta vaga di preda mosse guerra ai Sanesi, coi quali sebbene i Fiorentini avessero fatta pace, non avevano stabilito lega nĂŠ obbligo di reciprocamente difendersi. â Una vera alleanza bensĂŹ fra i due governi fu conclusa nel principio del 1457 dopo che riescirono inutili i maneggi ed i tentativi di ribellione procurati contro la patria dal noto Antonio Petrucci e da Ghino Bellanti, due potenti cittadini sanesi, onde ridurre alla devozione del re Alfonso il governo e la cittĂ di Siena. Scoperta la quale congiura Antonio Petrucci come traditore della patria con deliberazione del 13 ottobre 1456 fu dichiarato ribelle con la confisca dei beni e ordinato il disfacimento della sua fortezza di Perignano in Val dâOrcia.
In conseguenza di ciò per deliberazione del consiglio del popolo sanese si rinnovarono i bossoli degli uffizj tanto della cittĂ come del contado, riempiendoli deânomi di uomini desiderosi della quiete e della conservazione della libertĂ e dello stato. Quindi essendosi scoperti molti altri congiurati fra quelli rimasti in cittĂ , furono presi, imprigionati, processati, ed i maggiori delinquenti decapitati, gli altri confinati, o condannati in danari.
Lâalleanza del 1457 tanto maggiormente dovette essere accetta ai contraenti, quando si seppe che dopo la morte del re Alfonso il suo figlio Ferdinando duca di Calabria successogli nel regno, aveva domandato il passo al Pontefice Callisto III per il conte Jacopo Piccino, nellâesercito del quale erasi arruolato per capitano il ribelle Antonio Petrucci, e molto piĂš tal lega divenne importante dopo la morte occorsa poco stante del Papa predetto, nel cui ajuto il governo sanese sommamente confidava. Ma se riescĂŹ ai Sanesi dispiacente la morte di Callisto III, altrettanto essi dovettero rallegrarsi allâannunzio dellâelezione del nuovo Papa nel Card. Enea Silvio Piccolomini loro concittadino che nel 19 agosto del 1458 assunse il nome di Pio II. Fu infatti un primo segno di pubblica esultazione quello di riabilitare ad essere del supremo magistrato le famiglie Piccolomini e Tedeschini, nellâultima delle quali era entrata una sorella del Papa, essendo che giĂ da molti anni le due famiglie erano state ascritte allâordine deâGentiluomini e come tali espulse da Siena; sicchĂŠ il padre del Pontefice Pio II si era stabilito in una possessione nella Terra di Corsignano, che poi per benefizio del medesimo Pio II fu fatta cittĂ e chiamata Pienza.
Uno dei maggiori desiderj di quel Pontefice essendo quello di riabilitare al diritto delle magistrature non solo i Piccolomini ed i Tedeschini, ma tutto lâordine deâGentiluomini , domandò ripetutamente per nunzj ed in persona, e per mezzo anche del Duca di Milano alla Signoria di Siena un tale benefizio.
Ciò poco o nulla valse a far cambiare sistema ai reggitori del Comune di Siena, sul riflesso, diceva un patrizio sanese scrittore, che i nobili essendo naturalmente superbi, non avrebbero potuto mantenere le qualitĂ civili in comune con gli altri cittadini a benefizio dellâuniversale.
Ho detto, poco o nulla valse, giacchĂŠ tante e sĂŹ pressanti furono le istanze di Pio II che la Signoria, dopo aver sentito il consiglio del popolo, abilitò quellâordine deâGentiluomini a poter rientrare in magistrato, però con alcune restrizioni e riserve, come quella di passare a scrutinio glâindividui deârientrati, di non restituire loro i castelli o rocche delle quali erano stati giĂ dalla Repubblica spogliati, e di partecipare per una quarta parte del numero deâmagistarti. SennonchĂŠ dopo due anni di cotesto benefizio allâordine deâ Gentiluomini cessò con la morte del Pontefice Pio II, il quale con ripetute premure da quei governanti lâaveva ottenuto. â (MALAVOLTI, Istor. San. P. III. Lib. IV .) In questo tempo il Pontefice suddetto avendo volto tutta Italia al lodevole progetto di riparare alla crescente potenza dei Turchi in Europa, egli a tale uopo si recò a Mantova, dove si adunarono molti principi Cristiani, o i loro ambasciatori, per consultare con essi del modo di porre un rimedio efficace a tanto male.
Ma poco dopo essendosi accesa la guerra nellâItalia stessa fra il re di Napoli e il duca di Milano, il Pontefice Pio II nel gennajo del 1460 deliberò tornasse a Roma per la via di Firenze e di Siena; nĂŠ ad altro tanti apparecchi servirono che a mettere in sospetto Maometto, perchĂŠ affrettasse la rovina del greco Impero. In tale frattempo il Pontefice Pio II passando di Siena creò cinque cardinali, fra i quali il giovane Francesco suo nipote di sorella, dopo essere stato innalzato alla cattedra arcivescovile della sua patria poco innanzi (22 aprile 1459) dal Pontefice medesimo eretta in Metropolitana.
Stesse la cittĂ di Siena per qualche anno quieta dalle sezioni interne e dalle guerre esterne; sicchĂŠ potĂŠ accogliere forse nel palazzo deâDiavoli, fuori Porta Camullia, in cui fu scolpito a lettere cubitali: (ERRATA : Palatium Turcarum) Palatium Turcorum (della famiglia Turchi), la vedova dellâultimo imperatore greco di Costantinopoli, dopo essere stata presa dai Turca quella sua capitale. â Vedere MONTAGUTO in Val di Fiora.
Ma non stette molto ad accadere in Firenze la congiura deâPazzi contro la potente famiglia deâMedici, nella quale prese parte ed ebbe pena capitale il Cardinale Salviati arcivescovo di Pisa. DondechĂŠ se non trasse origine di costĂ , di certo sâinfiammò maggiormente lo sdegno del Pontefice Sisto IV contro la Repubblica fiorentina e verso Lorenzo deâMedici detto il Magnifico sicchĂŠ il preindicato Papa non tardò a collegarsi con il re di Napoli, i Sanesi ed i Genovesi per far guerra ai Fiorentini. La qual guerra ridusse la Repubblica fiorentina in tale critica posizione che Lorenzo deâMedici si recò a Napoli a chiedere pietĂ a nome della sua patria, rimettendosi nelle braccia del re siciliano. â In grazia del Magnifico nel 13 marzo del 1480 fu conchiusa pace col re Ferdinando e nel tempo stesso venne firmata una lega tra i due stati di Firenze e di Napoli, ratificata nello stesso mese dalla Repubblica sanese.
Ma appena terminate le turbolenze di fuori, si cominciarono a scuoprire in Siena quelle di dentro la cittĂ , in cui rinnovaronsi i progetti medesimi altre volte messi in campo rispetto ai nobili fuoriusciti, e segnatamente a quei ribelli che nel 1456 con Francesco Piccinino avevano congiurato (tra i quali uno dei capi fu il bandito Antonio Petrucci), meditando in un modo o nellâaltro non solo di ritornare in patria, ma ancora di essere ammessi al governo di Siena come gli altri dellâordine Popolano.
Che però considerando i congiurati che ciò per via ordinaria non otterrebbero giammai, i promotori di una simile riforma, cioè il Duca di Calabria e il Duca di Urbino risolvettero di ricorrere alla forza per rimettere in Siena quei fuoriusciti. Fu tentato ciò nellâaprile del 1480, quando avvisato della congiura il consiglio del popolo creò una Balia di 15 con autoritĂ di gastigare severamente i perturbatori dellâordine e del reggimento deâRiformatori.
Questa misura peraltro non bastò, avvegnachĂŠ nel 22 giugno dello stesso anno quelli dellâordine deâNove con parte delle genti del Duca di Calabria entrarono armata mano in palazzo, dove fu riformata una nuova Signoria ed un consiglio del popolo a scelta dei rivoltosi, in cui si deliberò, che tutti i cittadini dellâordine o Monte deâRiformatori restassero esclusi in perpetuo essi ed i loro discendenti dagli uffizj e daglâimpieghi tutti della Repubblica.
Sotto cotesto reggimento politico avvennero in Siena dentro breve periodo tante alterazioni e cittadine rivolte dannose alla sua repubblica che sarebbe nojoso in questâarticolo ripetere, potendo ognuno che il voglia leggerle nel Lib. V. P. III. delle storie del Malavolti, il quale non tralasciò di asserire, che queste continue e sanguinolenti riforme indussero molti cittadini a cercare quiete e sicurtĂ lungi dalla loro patria.
Fu uno dei fuoriusciti rientrati i Siena Pandolfo Petrucci, il quale ad imitazione di Lorenzo deâMedici, appellossi il Magnifico, quando egli in una di quelle sommosse essendo ritornato in patria con molti esuli dellâordine o Monte dei Nove, nel dĂŹ 22 luglio del 1487, erasi messo alla testa di alcuni soldati forestieri, correndo con essi la cittĂ ; e penetrato nel pubblico palazzo fece riformare quel reggimento mediante una Balia di 24, cui venne riunita tutta lâautoritĂ della Signoria e del concistoro.
Ă cosa singolare di trovare nella storia sanese una classe di cittadini, stata giĂ con tanta violenza dalla maggior parte della popolazione espulsa dalla cittĂ , tornarvi poi con altrettanta facilitĂ a governarla in quella guisa che piacque ai rientrati. â Una delle prime riforme della BalĂŹa deâ24, comecchĂŠ si rimanesse presto senza effetto, fu quella di sopprimere i quattro Monti o Ordine col ridurli ad uno solo, nel quale si dovevano comprendere tutti gli altri, in guisa che per lâavvenire gli uffizi della repubblica fossero distribuiti per Terzi, o per Rioni della cittĂ .
Sebbene fino dallâanno 1474 la Signoria di Siena, con istrumento del 13 maggio, avesse stabilito con le maestranze di Pace di Cecco Pacini e Antonio di Matteo di Francio le condizioni per la fabbrica del muro del Lago di Pietra in Val di Bruna da farsi per cura deâmedesimi (ARCH. DIPL. SAN. T. XXVII Pergamene N. 2132), non sembra però, a dire del Malavolti, che a quellâopera malaugurata si mettesse mano prima dellâanno 1490. â Vedere lâArticolo LAGO DI PIETRA, o LAGO DELLA BRUNA Vol. II pag. 619; cui si può aggiungere la notizia di due lettere della BalĂŹa di Siena scritte li 18 e 31 gennajo del 1492 (stile comune) ad Alfonso Duca di Calabria, colle quali richiedevasi al suddetto Principe il rinvio di maestro Francesco di Giorgio architetto della Repubblica, che alle istanze del Duca di Calabria piĂš mesi indietro la BalĂŹa aveva a Napoli inviato. âAl presente, (cito le parole delle lettere) occorrendo due cose importantissime, una, che per essersi trovati distrutti certi acquedotti per i quali si conduce lâacqua a tutte le fonti della cittĂ nostra; lâaltra che siamo per far serrare lo Lago nostro , e senza la presenza del prefato maestro Francesco, tali cose non si potriano eseguire.â Segue la risposta del Duca di Calabria data dal Castel Capuano li 4 febbrajo 1492, con la quale Alfonso avvisava la BalĂŹa dellâinvio a Siena di maestro Francesco, purchĂŠ quella Signoria lo rimandasse a Napoli nel marzo successivo come prometteva. â (GAYE, Carteggio di Artisti inedito Vol. I.) Passava da Siena il re Carlo VIII col suo esercito per recarsi alla conquista di Napoli, quando si riabilitarono i fuoriusciti a ritornare in patria, quantunque dopo retroceduta lâoste francese accadessero in Siena tumulti a cagione della plebe troppo inclinata per natura a novitĂ , e caldamente incitata dai nobili dellâordine deâRiformatori e deâPopolani rientrati. In conseguenza di ciò molti di quella congiura furono confinati o ammoniti; lo che facevasi per ordine secreto e per consiglio del Magnifico Petrucci, organo e parte principale del governo, senza volere come tale comparire.
Son ben noti i dis pareri e le conseguenze fra Pandolfo e Niccolò Borghesi suo suocero introno a molte cose che accadevano giornalmente nel governo, dondechĂŠ non corse molto tempo, che il Magnifico (19 luglio 1500) fece ammazzare il suocero, per aver troppo arditamente tentato di attraversare i suoi disegni; sicchĂŠ tolto via questâemulo, e spaventati gli altri, lâastuto Petrucci seppe confermarsi ogni dĂŹ piĂš nella sua tirannide.
Era per compirsi il secolo XV, quando gli eserciti Francesi invadevano la Lombardia, gli Spagnuoli il regno di Napoli, glâItaliani e masnadieri le Marche, la Romagna e la Toscana sotto gli ordini del Duca Valentino figlio del Pontefice Alessandro IV saccheggiavano. Fu allora che il Valentino celebre per la perfidia e piĂš ancora per una barbara crudeltĂ unita ad unâambizione disordinata di dominare, meditò di far uccidere il Petrucci per aver lo scettro di Siena. Per la qual cosa il Magnifico considerando che in mezzo a tanti preparativi di guerre il Valentino avrebbe potuto facilmente voltare lâesercito a danno suo, onde premunirsi da un colpo di mano, condusse al servizio deâSanesi il capitano Gio. Paolo Baglioni di Perugia, collegando insieme lâuna e lâaltra cittĂ . Tanto efficaci riescirono i maneggi politici di Pandolfo che il governo di Siena terminò per allearsi col Duca Valentino, e quindi per mezzo dello stesso Petrucci ajutare con denari i Pisani assediati dai Fiorentini, ed in seguito fornire soldatesche, munizioni e vettovaglie gli Aretini ribellatisi dal Comune di Firenze; talchĂŠ il Magnifico ebbe traccia da molti di promotore in Toscana di turbolenze municipali.
Frattanto il Duca Valentino penetrando con le sue genti in Val di Chiana ed in Val dâOrcia faceva immensi danni a quelle contrade, ponendo in pericolo la cittĂ di Siena e Pandolfo stesso che vi dominava; sicchĂŠ questâultimo con tutta lâalleanza dovĂŠ cedere alla necessitĂ ed alle istanze gentili del Duca allontanandosi da Siena. Di fatti il Petrucci nel 18 gennajo del 1502 si partĂŹ di costĂ accompagnato da molti aderenti, e per il medesimo effetto dovĂŠ licenziare Gio. Paolo Baglioni per farlo tornare con la sua compagnia a Perugia. Frattanto il Duca Valentino inviava il suo procuratore a proporre un trattato con la Repubblica sanese ed a congratularsi con quella BalĂŹa che la rappresentava di avere liberato la patria dalla schiavitĂš in cui era tenuta dal Magnifico, esortando per giunta la BalĂŹa stessa a dichiarare Pandolfo ed i suoi seguaci fuoriusciti perpetui da Siena e dello stato, in ajuto del quale il Duca offeriva largamente ogni suo potere. A chi non conoscesse la doppiezza e la perfidia del Valentino, lo crederebbe lâuomo il piĂš retto ed il piĂš liberale, non giĂ il piĂš perfido ed il piĂš bugiardo della sua etĂ .
Il motivo piÚ verisimile però parve quello che, essendo il Valentino assistito dal S. Padre, cercasse i mezzi piÚ indegni per insignorirsi di Siena, col progetto di dare in compenso a Pandolfo Petrucci il principato di Piombino.
Il quale, essendo piĂš volte chiamato colĂ , adusse per cagione una infermitĂ o vera o finta per non recarsi dal Papa mentre era a Piombino (sul finire dellâanno 1501).
DondechĂŠ si ebbe ricorso ad altro mezzo per cacciare da Siena il Magnifico, il quale mentre dirigevasi a Lucca fu tentato per mano di sgherri di trucidare.
ComecchĂŠ in vista deâconsigli del Valentino Pandolfo fosse dichiarato fuoriuscito della Repubblica sanese; comecchĂŠ ai suoi complici venisse inibito lo stare nella cittĂ e suo territorio; comecchĂŠ la BalĂŹa che allora reggeva la repubblica avesse deliberato, che tutti quelli dellâordine deâRiformatori giĂ stati ammoniti sâintendessero restituiti al reggimento, contuttociò i Sanesi, che fino allora erano stati governati dagli amici e dipendenti di Pandolfo, nel dĂŹ 29 marzo del 1503, per pubblico decreto richiamarono il Magnifico in patria, confermandolo nel magistrato di BalĂŹa comâera per lâinnanzi e riconducendo nel tempo medesimo agli stipendj della Repubblica il giĂ licenziato Gio. Paolo Baglioni con la sua compagnia.
Nel tempo che Siena in apparenza dalla BalÏa, in sostanza dal Magnifico era arbitrariamente governata, la Repubblica di Firenze reggevasi da un gonfaloniere perduto, Pier Soderini, di cui fu segretariato il celebre Niccolò Macchiavelli, mentre faceva da segretario e consigliere del Petrucci il napoletano Antonio da Venafro.
Era il gonfaloniere Soderini, come lo definĂŹ il suo segretario, unâanima del Limbo, mentre il Petrucci riuniva ad un animo forte molto senno, grande prudenza ed una fina politica artatamente velata sotto unâastuzia tenebrosa, e talvolta ammantata da unâapparente generositĂ di animo, come sembrò quella di dare glâimpieghi pubblici di preferenza a che se gli mostrava piĂš affezionato. Il Magnifico sanese ad esempio del fiorentino Padre della patria, cercava dâinfluenzare su tutti i magistrati rendendoli ligj alla sua volontĂ , mentre sembrava al popolo nella montatura degli uffizj unâombra dellâantica sua libertĂ .
Tentò pure il Magnifico di mostrarsi benefico, sia nel distribuire copiose limosine, come ancora nel cattivarsi lâanimo degli artisti collâinnalzare una qualche fabbrica sacra o profana, e col fare lâamico deâletterati mediante il suo segretario e consigliere Antonio di Venafro stato professore di diritto nella UniversitĂ di Siena.
Frattanto cessato di vivere Alessandro VI (anno 1503) mancò al Duca Valentino il suo braccio forte, e la Repubblica di Siena si levò una spina davanti agli occhi, sicchĂŠ dâallora in poi quella BalĂŹa dominata con piĂš sicurezza dal Magnifico, e costui liberato dai sospetti che sĂŹ lungamente lâavevano tenuto agiato, ebbe comodo di dare nuova forma ai tribunali cosĂŹ civili come criminali, ordinando che i giudici dovessero tenere udienza e pronunziare sentenza collegialmente, allorchĂŠ furono riunite nel magistrato di appello le attribuzioni del PotestĂ , del Collaterale e dellâAssessore col titolo di Consiglio della Giustizia . Convalidò maggiormente Pandolfo il suo dominio, allorchĂŠ nel 1505 a nome della Repubblica fece lega con il Pontefice Giulio II, prorogando poco dopo quella giĂ fatta coi Fiorentini, i due piĂš potenti e piĂš temibili vicini dello stato senese. â Arroge che nel principio dellâanno 1507 il Magnifico seppe persuadere il consiglio generale della repubblica sanese a confermare per la terza volta il magistrato di BalĂŹa da dedurre altri cinque anni con la medesima autoritĂ e giurisdizione che per un decennio continuo aveva esercitata.
Frattanto sotto il dominio di Pandolfo la Repubblica di Siena acquistò in affitto perpetuo le terre, castella, corti e isole che la Badia delle Tre Fontane ad Aquas Salvias possedeva nellâOrbetellano. Ma nel tempo che il Magnifico a nome e con i danari della repubblica sanese faceva questo ed altri acquisti, egli operava in guisa che una gran parte deâluoghi comprati sotto finti colori fosse venduta ai suoi aderenti per tenerli sempre piĂš obbligati a mantenerlo in seggio.
Ma appena caduta Pisa in potere deâFiorentini (giugno 1509) non avendo piĂš i vincitori di quella Repubblica sospetto che fosse impedita loro lâimpresa, dâordine del gonfaloniere perpetuo Pier Soderini fu inviato a Siena il segretario Niccolò Machiavelli per disdire la tregua fra le due Repubbliche, disegnando il senato di Firenze di riavere la Terra di Montepulciano datasi di corto alla Repubblica sanese.
La qual cosa fu prevista non solamente dal Petrucci, ma dal Pontefice Giulio II, il quale nel dubbio che le armate francesi esistenti in Italia, ed il cui re era legato in amicizia coi Fiorentini, non penetrassero in Toscana, sâinterpose mediatore fra le due repubbliche, acciocchĂŠ, con la restituzione di Montepulciano ai Fiorentini si fosse da questi concluso un nuovo trattato di amicizia con i Sanesi, a somiglianza dellâaltro rinnovato nel 1505.
Infatti la lega fra i due Comuni fu stabilita nel settembre del 1511, e quindi approvata dalle parti con il consenso deâMontepulcianesi.
Appena firmato cotesto trattato, in un articolo del quale facevasi menzione della lega conclusa dai Sanesi con Ferdinando il Cattolico dâAragona, per cui quel re si obbligava proteggere la Repubblica sanese, difendere la cittĂ ed il suo dominio, e di mantenere Pandolfo Petrucci nella medesima dignitĂ che allora godeva nello stato. Fu pure in grazia deâconsigli del Magnifico se il senato di Siena non consentĂŹ alle ripetute istanze del Pontenfice Giulio II di rompere la lega mercĂŠ sua stabilita nel 1511 coi Fiorentini, a motivo che questi permisero che si celebrasse in Pisa un concilio contro la volontĂ del Papa, di maniera che per opera del Petrucci, non solamente i Fiorentini, ma la Toscana tutta si rimase in pace. Quindi è che neanco la morte del Magnifico, accaduta nel 21 maggio del 1512, portò alterazione nel governo di Siena, la cui cittĂ continuava ad esser retta dal magistrato stesso di BalĂŹa, essendo stato rimpiazzato Pandolfo da Borghese Petrucci suo figlio maggiore. Peraltro nove mesi dopo, alla morte del Magnifico tenne dietro quella del Pontefice Giulio II, una delle ultime operazioni politiche del quale fu di acquistare segretamente dallâImperatore Massimiliano per 30,000 ducati dâoro i diritti sovrani sulla cittĂ di Siena con la mira dâinvestirne il Duca dâUrbino suo nipote. Appena i Sanesi ebbero notizie di tali maneggi, tanto maggiormente sâinasprirono gli animi loro in quantochĂŠ eglino oltre di avere giĂ pagato grosse somme a Cesare, avevano anco sborsato 7000 ducati al vicerĂŠ di Napoli, dopochĂŠ cotesto signore ebbe ordinato ai suoi Spagnuoli il sacco alla Terra di Prato, e dopo di avere rimessi in Firenze i figli dellâesiliato Piero deâ Medici, scacciandone il gonfaloniere perpetuo.
A rendere poi maggiormente efficaci le ragioni che per tal mezzo Papa Giulio sperava acquistare sopra Siena, egli condusse a suoi stipendj Carlo Baglioni, con animo di cacciare anche di Perugia il signore della cittĂ Gio. Paolo Baglioni, stato affezionatissimo del Magnifico, e sempre caro al figlio di lui Borghese Petrucci successore in Siena della grandezza, ma non della prudenza ne della politica del padre.
Venne però la morte (22 febbrajo 1513) per impedire di mettere ad effetto questi ed altri smisurati concetti del coraggioso Giulio II, Pontefice, diceva il Guicciardini, degno di somma gloria, se fosse stato principe secolare, o se quella cura e intenzione che ebbe ad esaltare con lâarti della guerra la Chiesa romana nella grandezza temporale, lâavesse avuta ad esaltarla con lâarti della pace nelle cose spirituali.
Non cessarono però con la morte di Giulio II le guerre in Italia, nĂŠ i Sanesi sospesero di pagar denari allâImperatore; in guisa che spesse volte molte repubbliche della Toscana dovettero in tal guisa ricomprare la loro franchigia da tanti Cesari, allorchĂŠ essi accompagnati da gran corredo di gente scendevano a visitare lâItalia.
Sebbene Leone X successore di Papa Giulio nel primo anno del suo pontificato si dichiarasse protettore della Repubblica sanese, pure i reggitori della medesima non furono lasciati tranquilli dalle trame dei fuoriusciti.
E perchĂŠ Borghese Petrucci non mostrava gran perizia nellâarte di governare, il Pontefice Leone X volle giovarsi del di lui cugino Mons. Raffaello Petrucci comandante del Castel S. Angelo e vescovo di Grosseto per inviarlo (marzo del 1515) a Siena accompagnato da buon numero di fanti e cavalli sotto il comando di Vitello Vitelli, lusingato lâuno e lâaltro dalle parole deâfuoriusciti e da molti Sanesi nemici del Borghese, i quali promettevano a Leone che il Vescovo castellano sarebbe stato bene accolto da tutta la cittĂ per capo del governo in luogo del di lui cugino.
Uno deâprimi passi diretti ad ottenere lâintento fu quello di far partire da Siena Antonio da Venafro, il fido ed accorto consigliere del Magnifico, onde staccarlo dal di lui figlio. Costui sentendo che il cugino si avvicinava con lâesercito alla cittĂ , partĂŹ da Siena con suo fratello minore, Fabio, dirigendosi alla volta di Napoli, lasciata la patria, la famiglia, gli amici e le sostanze sue a discrezione deârivoltosi.
Non era appena entrato in Siena (12 marzo del 1515) il vescovo di Grosseto che fece convocare il consiglio generale per creare una nuova BalĂŹa di 90 individui, 30 per Monte, da durare per tre anni con la medesima autoritĂ della BalĂŹa passata. Quindi fu confinato e poco dopo dichiarato ribelle il Borghese col di lui fratello Fabio, e fu rinnovata la lega tra la Chiesa e la Repubblica di Siena, includendovi il Duca Lorenzo deâMedici nipote del Pontefice. Che se cotanta felicitĂ fu in gran parte raffrenata dalla morte di Giuliano fratello di Leone X, altronde essa non impedĂŹ il progetto di costui, châera di fare uno stato al nipote Duca Lorenzo deâMedici rivolgendo le mire allâimpresa e conquista del duca dâUrbino, cui il buon Giuliano con ogni studio e ardentissime preghiere se egli era mostrato contrario.
Allo sdegno del Duca vecchio di Urbino per tal divisamento si congiunsero le ire di Malatesta e di Orazio Baglioni figliuoli di Gio. Paolo, cui Leone X aveva fatto mozzare il capo, mentre i Fiorentini che mantenevano viva quella guerra, presero anche a difendere Perugia per mantenervi in dominio un altro Baglione di fazione contraria. â La morte però del Duca Lorenzo deâMedici sconcertò tali divisamenti, imperrocchĂŠ il vecchio Duca non solo riescĂŹ a ricuperare il suo stato dâUrbino, ma Perugia ancora fu ripresa dai figli di Gio. Paolo Baglioni ad onta che il loro rivale valorosamente vi si fosse difeso.
Quindi il Duca dâUrbino alla testa della sua oste si diresse verso Siena, la quale dopo la cacciata di Borghese Petrucci seguitava a dipendere dai Medici; sicchĂŠ ai Sanesi non restava altra speranza che il soccorso deâFiorentini per lâintelligenza che avevano col cardinale Giulio della stessa prosapia Medicea.
GiĂ il Duca Francesco Maria cominciava a taglieggiare il contado di Siena ed era con lui Mons. Lattanzio Petrucci, che dal Pont. Leone era stato privato del vescovado di Soana, quando si sentĂŹ lâelezione del Pontefice Adriano VI e quasi contemporaneamente la morte del porporato Raffaello Petrucci capo del governo sanese.
In tale circostanza il Card. Giulio deâMedici accordatosi con la Signoria di Firenze allora sua ligia, dopo raccolte molte truppe, fece avvicinarle a Siena, châera in pericolo di cadere sotto il dominio del vecchio Principe dâUrbino.
Quindi rassicurata Siena, lâoste fiorentina sâincamminò verso Perugia avendo seco lâespulso gentile Baglioni con la mira di ricuperare la cittĂ alla Sede Apostolica.
In questo mentre fu conclusa fra le parti una pace che lasciava il Duca di Urbino tranquillo possessore del suo stato, a condizione che egli in alcun modo nĂŠ ai Fiorentini nĂŠ ai Sanesi recasse piĂš danno.
Erano in tale stato le facende politiche dellâItalia, allorchĂŠ si scoperse una nuova turbazione, che a quella breve e sospetta quiete fu principio di grandissimi travagli. - Le forze vistose di due potenti sovrani esteri, i reali di Francia, e glâimperatori di Germania, che per anni e secoli con varia sorte ed alacritĂ si contesero il primato dellâItalia, dopo la morte di Papa Leone X ripresero nuovo vigore.
Erasi di poco tempo la cittĂ di Siena liberata dalle guerre, prima del Duca di Urbino, poi del romano Renzo da Ceri, quando il governo di Siena dovette pagare 30000 ducati dâoro per i bisogni dellâesercito di Carlo V, e ciò poco innanzi che arrivassero lettere da Roma dellâambasciatore cesareo in data dellâ8 maggio 1523, con le quali sâinvitavano i magistrati del Comune di Siena ad una riforma governativa tendente a rimettere in patria ed a riabilitare aglâimpieghi pubblici i fuoriusciti. La qual cosa rimase per allora sospesa stante la morte accaduta del Pontefice Adriano VI, finchĂŠ dopo lâesaltazione del cardinale Giulio deâMedici sul trono pontificio col nome di Clemente VII si videro in diverso modo gli affari di Siena maneggiati.
E parendo a questo gerarca cosa difficile il poter mutare a forza dâarmi lo stato di questa Repubblica, sulla quale aveva preso molta autoritĂ Francesco Petrucci nipote del cardinal Alfonso, egli ricorse allâindustria. Chiamò il Petrucci a Roma col pretesto di confermare la confederazione stabilita tra la Rep. Fiorentina e quella sanese, ma frattanto che il Petrucci con belle parole era trattenuto a Roma, sostituivasi in Siena nel magistrato di BalĂŹa Fabio figlio minore di Pandolfo Petrucci (26 dicembre 1523). Ma non avendo costui nĂŠ lâaccortezza politica, nĂŠ i talenti del padre, la sua grandezza non era fondata sulla benevolenza deâsuoi cittadini, quelli medesimi che avevano contribuito al ritorno di Fabio, misero a romore il popolo sanese, in guisa che Fabio dovĂŠ fuggire unâaltra volta dalla sua patria. La partenza di costui parve ai Sanesi un ritorno alla libertĂ , e la Signoria fece adunare il consiglio del popolo per trovar modo se era possibile di poterla mantenere.
Conobbero per tanto, sebbene tardi, coloro dellâordine deâNove che furono i capi della cacciata di Fabio, lâerrore da essi fatto vedendo quanto la popolazione insorta a nuova libertĂ ed allâordine deâNove nemica, li superasse di numero e di potere. Credendo essi rimediarvi, caddero in un male peggiore, come fu quello di aderire ai disegni dellâaccorto Clemente VII, il quale profittò del passaggio per Siena di unâarmata del re di Francia, che dalla Lombardia doveva continuare il cammino allâimpresa di Napoli, per farla trattenere alcuni giorni nel territorio sanese ed intanto cogliere lâoccasione di far proporre e consentire dal consiglio del popolo di Siena che si annullassero tutti i Monti, ossia gli ordini vecchi, e che si richiamasse ad effetto la riformagione del dicembre 1487, con la quale si tentò di ridurre tutti gli ordini ad un Monte solo, ordinando che il nuovo unico Monte si appellasse deâNobili e Reggenti. Quindi nel mese di gennajo dellâanno 1525 fu costituita per 4 anni unâaltra BalĂŹa di 78, lasciando la prima nella medesima autoritĂ col titolo di BalĂŹa maggiore.
Volendo poi a soddisfazione del Pontefice ristringere in pochi lâautoritĂ della BalĂŹa il consiglio del popolo con provvisione del 17 febbrajo dellâanno stesso 1525 elesse una BalĂŹa di 16 cittadini, investendola di ogni autoritĂ sopra le cose dello stato.
Una delle prime misure tiranniche dei 16 della BalĂŹa, sulla quale primeggiava Alessandro Bichi, fu lâordine perentorio a tutti i cittadini di dovere consegnare qualunque sorta dâarmi tenessero in casa, o che portassero in dosso, meno chĂŠ una spada.
Ma il dĂŹ 24 del mese medesimo di febbrajo essendo accaduta la gran battaglia di Pavia, nella quale daglâImperiali rimase sconfitto lâesercito francese e prigioniero lo stesso loro re, quasi tutti i governi dâItalia divennero servi del vincitore, dal quale bisognò che si redimessero a forza di danari. Però alla BalĂŹa di Siena ciò non bastava, stantechĂŠ un nemico interno assai piĂš temibile la minacciava al punto che i popolani, sentita la buona fortuna deglâImperiali, presero animo contro il governo dato loro da Clemente VII. - In vigore di ciò nel 6 aprile del 1525 un cittadino sanese Girolamo Severini ad esempio di Bruto salĂŹ in palazzo e davanti alla BalĂŹa maggiore trucidò Alessandro Bichi principale di quel magistrato. Dopo il qual fatto altre genti col Severini congiurate avendo levato il popolo malcontento a rumore, cacciarono di Siena molti aderenti dellâordine deâNove, e riformarono la cittĂ a regime popolare nemico del Pontefice e piuttosto aderente di Cesare, non senza una tacita approvazione di Carlo V per tuttociò châera stato fatto.
Tale fu un tempo lâanimo di colui che trentâanni dopo con la sua potenza costrinse un popolo eroico dopo un lungo ed ostinato assedio a sottomettersi disperato alla sua discrezione.
E tale era pur lâanimo del Pontefice Clemente VII che o per spirito di partito, o forse anco di vendetta, nel 1526 a danno deâSanesi si unĂŹ col popolo fiorentino, con quel popolo contro il quale tre anni dopo rivolse le proprie armi e quelle dello stesso Imperatore per ridurlo servo della casa dei Medici.
Infatti Papa Clemente non so o tentò segretamente dâimpadronirsi di Siena, ma ricorse alla forza aperta allorquando avendo messo insieme, oltre i fuoriusciti sanesi, un numeroso esercito, nĂŠ affidò il comando a valenti capitani, collâordine di marciare contro Siena.
Giunta lâarmata ai confini, si divise in due corpi, uno diretto per la strada regia romana, lâaltro per la Val di Chiana.
Col primo strada facendo assalĂŹ inutilmente Montalcino, il cui presidio bravamente si difese; con il secondo, dopo essersi unito per via a nuove genti e ad altri banditi, si diresse nel suburbio settentrionale di Siena, dove unâarmata di Fiorentini accompagnata da Roberto Pucci e da Antonio Ricasoli suoi commissarii con lâoste papalina si accampò fuori di Porta Camullia. â E affinchĂŠ i Sanesi fossero da piĂš parti nel tempo medesimo molestati, lâammiraglio Andrea Doria assaltava con unâarmata navale i porti della Maremma, sebbene egli non ritrovasse corrispondenza in quelli di dentro. A rendere sempre piĂš fallaci le speranze di Clemente VII e dei ribelli si aggiunse un fervido amor di patria innato nei cittadini sanesi, di loro natura ardentissimi; i quali per cotal procedere sâinfiammarono a segno che tutti gli uomini atti alle armi corsero sotto le bandiere delle loro contrade, e animosamente si mossero per andare, parte di fronte, e parte di fianco contro i nemici, sicchĂŠ gli uni fuori di Porta Camullia, gli altri escendo dalla Porta di Frontebranda contro lâoste sâincamminarono. La battaglia fu breve ma sanguinosa, in guisa che il nemico da tanto impeto atterrito si diede presto alla fuga lasciando in potere dei Sanesi artiglierie, armi, stendardi, vettovaglie, carri, cavalli e prigioni.
Cotesta vittoria riportata contro le armi di Clemente VII e deâ Fiorentini precedĂŠ di poche settimane lâarrivo in Toscana dellâesercito imperiale diretto a Roma contro lo stesso Papa sotto il comando del duca Carlo di Borbone, il quale attraversando il dominio sanese fu dagli ambasciatori della Repubblica largamente presentato, ed il suo esercito di gran copia di viveri e di armi ancora fornito. Accadeva ciò non molti giorni innanzi che le truppe spagnuole del devoto Imperatore dassero il sacco allâalma cittĂ , e obbligassero il gerarca universale della Romana Chiesa a rinchiudersi nel Castel S. Angelo.
La presa di Roma accaduta nel 26 maggio del 1526, e la ritirata di Clemente in Castello, se da un canto ebbe a scoraggiare i fuorusciti sanesi, togliendo loro ogni speranza di rientrare a signoreggiare la patria, dallâaltro canto incoraggĂŹ talmente il popolo fiorentino ed i nemici dei Medici che quasi tumultuariamente a questa famiglia fu dato il bando ed i capi di quella prosapia dichiarati di nuovo come nel 1494 ribelli della patria per dare in tal guisa a Papa Clemente esca e motivo maggiore di unire le forze della Chiesa a quelle di un Imperatore potentissimo onde disfare il governo popolare di quella Repubblica.
ComecchĂŠ per arrivare a tale intento restasse un osso assai duro a rodersi da quei can mastini, non era peraltro il fiorentino il solo governo rappresentativo che si voleva togliere di mezzo in Toscana, mentre gli occhi dei due potentati non perdettero mai di vista anche lâaltro di Siena.
Quantunque tardi, pure i Sanesi si accorsero del mal consiglio preso dai loro magistrati allorchĂŠ fornirono artiglierie e vettovaglie allâesercito pontificio -imperiale nel recarsi che fece allâassedio di Firenze, e ciò ad onta che i governanti di questâultima cittĂ tenessero viva la pratica di collegare alla loro fortuna quella del Comune di Siena, mostrando, che se la Repubblica di Firenze restava oppressa, la sorte medesima sarebbe toccata alla loro patria.
Realmente non era per anco Firenze caduta in mano dei suoi nemici quanto da quelli che vi stavano ad assediarla fu mandato a Siena un agente dellâImperatore per trattare coi governanti del modo di farvi rientrare i fuoriusciti.
Che se cotesta dimanda non ottenne subito il suo effetto, essa convertirsi in comando assoluto dopo la conquista di Firenze, tostochĂŠ lâImperatore ordinò ad una porzione dellâesercito stato fino allora negli accampamenti di quella cittĂ , di avviarsi nel dominio sanese. Bentosto il loro Generale Gonzaga chiese alla Signoria di Siena di mandare al suo quartiere di Pienza persona con facoltĂ di stabilire in modo che i fuoriusciti e ribelli per cagione di stato fossero rimessi nella loro patria, ben inteso che se gli restituissero i beni confiscati e che dovessero partecipare con tutto lâordine, o Monte dei Nove agli uffizi pubblici.
Tutte coteste condizioni proprie a stabilire un governo assoluto furono prontamente accettate dalla Signoria di Siena, che sino dâallora rimanendo sotto lâinfluenza imperiale ebbe a far buon vis o ad un rappresentante di Carlo V, don Lopez de SorĂŹa, arrivato nella cittĂ alla testa di una compagnia di 400 spagnuoli e di molti fuorusciti dellâordine deâ Nove. E perchĂŠ due anni innanzi, allorchĂŠ per cagione di una rivolta sanguinosa, lâordine deâ Nove fu escluso affatto dal governo; e vennero tolte ai particolari le armi, delle quali i fuorusciti si erano provvisti a Firenze di quelle appartenute ai cittadini della estinta Repubblica.
GiĂ fu detto che lâordine deâNove, il quale dominò in Siena fino alla sua cacciata comandata da Carlo IV, era popolare, mentre dopo il suo ritorno forzato con Pandolfo Petrucci divenne aderente al regime tirannico e assolutista; e tale si mantenne, sia per la rabbia delle continue rivolte popolari che lo avevano cacciato, sia per la tacita intelligenza di potenti monarchi, dai quali quei fuorusciti furono assistiti.
Anche cotesta volta non contenti che il nuovo reggimento gli avesse accettati e riammessi a partecipare degli uffizi governativi in patria, i ribelli avendo fatto acquisto senza cautela di armi da fuoco, e quelli dellâordine deâ Popolani accorgendosi che il partito deâ Nove cercava vendicarsi deglâinsulti ricevuti, chiamarono una notte la popolazione allâarmi; e sebbene in tale occasione la cosa riescisse senza effetto, ciò ebbe luogo nel due gennajo del 1531, quando ad un nuovo romore i Nove furono allâordine deâPopolani e deâRiformatori con lâaiuto della plebe superati e disarmati, facendo a molti di essi con la morte pagare la pena.
La qual cosa fu cosĂŹ mal sentita dallâImperatore, che inviando in luogo di don Ferrante Gonzaga il March. del Vasto comandante del suo esercito nel dominio sanese, questi presentò una lettera di Cesare scritta da Bruselles il dĂŹ 21 febbraio 1531 al senato e al consiglio generale della repubblica sanese, colla quale rimproverava il popolo di Siena delle cose ultimamente accadute, consigliando il senato a richiamare in patria i loro concittadini stati di corto cacciati di lĂ . â (Malavolti, Istor. San. P. II Lib.
VIII.) In modochĂŠ, scriveva lo storico testĂŠ citato, non fu da maravigliarsi se coloro che governavano la cittĂ , non avendo osservato quanto dallâImperatore era stato al governo di Siena in quella lettera ordinato, ad oggetto di conservarsi liberi, non è, diceva egli, da maravigliarsi se dopo avere nel 1545 cacciato di Siena una parte di cittadini, per difetto loro facessero perdere alla patria la propria libertĂ con danno di tanti altri che non ne avevano colpa.
Intanto andava in Siena talmente crescendo tra le diverse fazioni la discordia, che una parte di esse nel 1539 ricorse alle armi con intenzione di abbassare la grandezza della famiglia Salvi favorita dal duca di Amalfi generale di Carlo V, comecchè essa in apparenza facesse la sviscerata del popolo, se il Duca stesso di Amalfi con la guardia deâ suoi Spagnuoli non vi avesse riparato.
Quindi nella fine dellâanno 1541 fu mandato a Siena da Carlo V un suo legato con ordine di riformare il governo.
Ma non passò molto tempo che parendo allâordine deâ Popolani che quella riforma avesse accresciuto troppo lâautoritĂ allâordine deâ Nove con detrimento degli altri Monti, si unirono al medesimo quelli dellâordine deâ Riformatori, e poichĂŠ non potevano con lâarmi tenerli bassi, cercarono di mettere in sospetto i capitan di giustizia che vi era per lâImperatore; di modo che in luogo di don Lopez di Soria fu inviato a Siena (luglio 1543) don Giovanni De Luna.
Cesare dopo aver assegnato a Siena nuovo capitano, poco essi stettero a prendere anche costui in sospetto credendolo troppo favorevole allâordine deâ Nove, sicchĂŠ a dĂŹ 8 febbrajo del 1545 si levò gran rumore dallâordine deâ Popolani contro quello deâ Nove, cui si unirono molti del Monte detto deâ Gentiluomini . â In tale frangente escĂŹ fuori il capitano del popolo, il quale valendosi del favore della plebe, riescĂŹ a superare la fazione contraria, sicchĂŠ il popolo dopo sfogate le private vendette cercò di riformare il reggimento governativo, dal quale fu dichiarato (marzo del 1545) che lâordine deâ Nove, incolpato dello scandalo accaduto, fosse levato totalmente dalla borsa dei governanti e da tutti i magistrati, cui era stato fino allora ammesso per una quarta parte. E non bastando ciò, fu licenziata da Siena la guardia spagnuola col suo capitano, fu tolta lâautoritĂ alla Balia deâ Quaranta ed eletta una Signoria di tre per ciascun deâ tre Monti, cioè di Popolani, di Gentiluomini e di Riformatori, i quali insieme al capitano del popolo ebbero la medesima autoritĂ della BalĂŹa deâQuaranta.
Ma non corse molto tempo che in Siena continuando le divisioni, le rapine e gli omicidi ritornò la guardia spagnuola, contuttochÊ la città si reggesse a nome di Repubblica. TalchÊ appoco appoco don Diego di Mendoza, che risiedeva in Roma in qualità di ambasciatore di Carlo V, insinuava il suo sovrano per il bene e sicurezza di quella città a farvi una fortezza.
Inoltre don Diego cercava di persuadere Cesare che, a volere stabilire ed assicurare bene lâimperio suo in Italia, sarebbe stata cosa utile dichiarare signore di Siena Filippo II suo figliuolo, acciocchĂŠ, impadronitosi di quello stato, tenesse in un medesimo tempo a freno il Papa ed il Duca di Firenze,non importando altro la fortezza di Siena, che un ceppo sul collo ad ambedue i principi, e diceva, anche un freno allâindomabile popolo sanese.
Nel tempo che coteste pratiche si andavano agitando, don Diego di Mendoza a richiesta dei Signori di Balia tornò da Roma a Siena, la qual misura si risolvĂŠ in danno deâ governanti, perchĂŠ i Sanesi non solo accettarono i 400 soldati spagnuoli, ma il Mendoza stesso fu fastosamente accolto dal pubblico e dai particolari anco innanzi che lâImperatore dirigesse da Augusta in data del 15 giugno 1548 lettere alla repubblica di Siena esortando cotesto popolo alla quiete, ed a fare quanto per sua commissione gli veniva comandato. Con tali facoltĂ don Diego il dĂŹ ultimo di ottobre fece adunare il consiglio del popolo, quindi esortò quel senato a restituire i cittadini dellâordine deâ Nove per una quarta parte nel governo, di che s i rifacesse la Balia deâ Quaranta. Che sebbene il senato sanese di prima giunta non vi aderisse, dovĂŠ presto accettare tuttociò per ordine di S. M. Cesarea, in guisa che la Rep.di Siena fu organizzata a modo e volontĂ di don Diego di Mendoza.
Onde anche meglio assicurarsi dellâubbedienza di un popolo poco avvezzo ad ubbidire allo straniero, don Diego dopo aver introdotto in cittĂ alla spicciolata parecchie centinaja di soldati spagnuoli, ordinò che le armi pubbliche ad eccezione di poche con le artiglierie e munizioni dal palazzo della Signoria si portassero nel convento di S. Domenico in Camporegi.
NĂŠ tuttociò bastava per far di Siena una cittĂ ligia dellâimperatore; era disegno giĂ fatto dal ministro di Cesare di erigere nella cittĂ una fortezza. Al quale effetto don Diego dopo cavati i fondamenti presso lâattual Lizza, con i materiali delle torri scapezzate ad onta delle rimostranze e preghiere dei magistrati e del popolo, la disegnata cittadella faceva innalzare. â Racconta Bernardo Segni nelle sue storie che nel cavare i fondamenti per erigervi la rocca fu trovata una palla grossa di ferro, intorno al quale erano scritte queste parole: Nel giardino delicato la fortezza si farĂ , e poco tempo durerĂ . A queste parole corrispondevano quelle del famoso Brandano, il quale andava gridando per le strade di Siena: Invanum laboraverunt qui aedificant eam. E lo stesso Segni aggiunge, come in quei giorni tutti i Sanesi sbigottiti e malcontenti, avevano fatta una pubblica processione e con solenne pompa presentate ad unâimmagine della Beata Vergine, avuta da quel popolo in singolare devozione, le chiavi della loro cittĂ : Presentino (disse il Mendoza) i Senesi, e consegnino a chi vogliono le chiavi di Siena da motteggio, a me basta di avere in mia podestĂ le chiavi da dovvero.
Non trovando i cittadini mezzo lecito da far desistere glâImperiali da quellâimpresa, si rivolsero ad altra via. E benchĂŠ il Duca di Firenze avesse fatto intendere al Mendoza che in Siena essendo sollevati tutti gli umori pei mali portamenti suoi e del presidio spagnuolo, egli stesse bene in guardia, perchĂŠ gli erano venute a notizia alcune pratiche sospette di Enea Piccolomini, nipote per via di donna del Pontefice Paolo IV, e del capitano Girolamo da Vecchiano, con tutto ciò il Mendoza non ne volle far conto.
Frattanto Girola mo da Vecchiano, il quale aveva avuto soldo dal re di Francia, con 500 fanti passò da Siena mentre il Mendoza era a Roma, e col pretesto di amicizia verso Enea Piccolomini conferÏ seco lui per parte del cardinale Farnese di alcune cose, fra le quali eravi la promessa mandata dal re di Francia, di restituire Siena in libertà e rovinar la fortezza, se il Piccolomini volesse porgere in causa si pia ajuto alla patria.
In conseguenza di ciò Enea che con Mario Bandini e con altri della Balia nutriva mal umore verso don Diego, di buon animo vi aderĂŹ. Levossi allora il popolo a rumore, e sebbene fosse stato spogliato in gran parte delle sue armi, sbigottiti gli Spagnuoli, si ritirarono tutti nella fortezza, mandando prontamente avviso al Duca di Firenze di tale sollevazione. â Era il giorno di S. Francesco dellâanno 1552 quando il Duca Cosimo, appena informato di quel tumulto, fece accorrere le sue compagnie di Val dâElsa verso Siena, e senza attendere altro consiglio ordinò ad Otto da Montauto che con i suoi 500 fanti entrasse in Siena. Questi appena introdotto per la fortezza vicina a Porta Camullia, la notte appresso uscĂŹ fuori con le sue genti e col presidio spagnuolo in ordine di battaglia, e tosto si attaccò zuffa con il popolo sanese armato, non senza la morte di varj spagnuoli e di un maggior numero di palleschi; sicchĂŠ il Montauto caricato e respinto dal furore della popolazione fu costretto ritirarsi in quella rocca, di dove mandò avviso al Duca che gli sollecitasse nuovi soccorsi, giacchĂŠ in quel modo non avrebbe potuto tenersi fermo nella cittadella piĂš di cinque giorni.
Allora Cosimo I, fra la diversitĂ di opinioni dei suoi consiglieri, accettò quella di non impacciarsi in cosa alcuna di Siena, e dopo tre giorni commise al Montauto che uscisse dalla cittadella. Passati pochi altri giorni partirono gli Spagnuoli, previo accordo fatto coâSanesi di partire della cittĂ a bandiere spiegate con le loro robe; quindi lâambasciatore di Francia presso il Papa venuto a Siena si fece consegnare la fortezza in nome del suo re, che poi donò a quella Signoria, lasciando alla medesima lâamministrazione delle facende della Repubblica, ed al popolo sanese lâarbitrio di rovinare dai fondamenti lâodiato fortilizio.
VI. SIENA NELLâULTIMO ASSEDIO SINO ALLA SUA CESSIONE A COSIMO I.
La partenza del presidio spagnuolo da Siena e la distruzione della fortezza a dispetto dellâImperatore e senza lâannuenza del Duca di Firenze, che pure fingeva di non avvertire quei casi, tutto ciò decise il potentissimo Carlo V alla distruzione di cotesta Repubblica. NĂŠ corse molto tempo che il Duca Cosimo per gelosia di stato iviò ai confini 3000 deâsuoi soldati a guardia di tutti i luoghi posti in vicinanza del contado sanese, tanto piĂš che dal re di Francia fu mandato a risieder in Siena Mons. di Termes con titolo di governatore e di suo capitano; il quale lasciava ai Sanesi liberamente governare i pubblici affari.
Che se da un canto lâambasciatore regio intento alla guardia della cittĂ , suo stato e marina assoldava gente, dallâaltro canto Cosimo I si provvedeva di milizie. A sostenere la quale spesa, oltre ai balzelli e agli accatti, il Duca ebbe ricorso a una gabella sopra la farina che pagava per tutto il dominio soldi tre e danari quattro lo stajo, ed in Firenze soldi quattro, e dicevasi che cotesto dazio sarebbe arrivato in un anno quasi 200,000 scudi, col computo fatto di tutti i sudditi e forestieri, che si facevano allora ammontare nello stato vecchio di Firenze e Pisa a 900,000 anime.
Frattanto per la Toscana passavano fanti, cavalli, danari ed arme deâFrancesi, senza che fosse loro impedito il transito pel dominio fiorentino, fingendo il Duca Cosimo di non avvertire quel caso; in guisa che Siena potette presto riempirsi di soldati, di vettovaglie, di munizioni, di artiglieria e di ogni sorta di arme. Contuttociò appena lâImperatore potĂŠ sbrigarsi dalle guerre che aveva in Alemagna e nelle Fiandre, sulla fine dellâanno 1552 inviò a Don Pietro di Toledo suo vicerĂŠ a Napoli e suocero del Duca Cosimo lâordine di apparecchiare un esercito opportuno per assalire lo stato di Siena.
Era giĂ lâoste in cammino dal regno di Napoli alla volta della Toscana, ed appena era entrato lâanno 1553 quando il vicerĂŠ giunse a Livorno con 2000 fanti spagnuoli, 400 lance e mille cavalleggeri napoletani, quasi nel tempo stesso in cui il suo figlio don Garzia arrivava con molta cavalleria e con 8000 pedoni sotto Cortona. âDisegnava costui dâassaltare il dominio di Siena, con una metĂ dellâesercito dalla parte di Val di Chiana e con lâaltra metĂ invadere la Maremma. Ma poco dopo essendo morto a Firenze il vicerĂŠ, fu da Carlo V destinato don Garzia in generalissimo di quella guerra, assistito dal valente capitano Alessandro Vitelli. NĂŠ intanto i Sanesi restavano di provvedere ai casi loro, poichĂŠ mentre monsignor di Termes recatosi a Grosseto ordinava che molti castelli di quella provincia si fortificassero, il governo della repubblica metteva in armi da 10,000 fanti e da 500 cavalleggeri. Arroge che il re Cristianissimo di Francia fino dal novembre dellâanno precedente aveva mandato suo luogotenente in Siena il cardinal di Ferrara, Ippolito dâEste, che offrĂŹ ai sanesi da parte di S. M. ogni sorta dâajuto per la conservazione e difesa della loro libertĂ .
Dallâaltro canto il Duca Cosimo, sebbene in apparenza figurasse in tale emergente di volersi mantenere neutrale fra i Francesi e glâImperiali, non volendo senza profitto di Cesare nimicarsi il re di Francia, contuttociò lâanimo suo era propenso a giovare a Carlo V, nella speranza di poi ritornare lo stesso vantaggio che era toccato al Duca Alessandro deâMedici dopo la caduta di Firenze.
DondechĂŠ Cosimo non lasciò opera alcuna addietro per provvedersi di moneta, al qual uopo giovossi non solamente della copiosa vendita deâbeni appartenuti ai ribelli, ma dopo aver gravato i popoli con la gabella sulla farina, aumentò anche quella della carne, stata messa poco innanzi, e ne aggiunse delle altre. Fu allora dato lâordine che si fortificasse il castello di San Casciano, che si munissero e che si serrassero insieme i bastioni incominciati sul monte di San Miniato sopra Firenze, e ciò ad oggetto di tener guardata e sicura tutta quella parte della cittĂ di Oltrarno.
Molti e in vari tempi scrissero delle vicende occorse in Siena dallâepoca della cacciata del presidio spagnuolo fino alla resa di detta cittĂ alle armi di Carlo V per non aver io bisogno di qui tutte annoverate, bastando la nota (I) pagina X della prefazione al Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 ai 28 giugno 1555, scritto da Alessandro Sozzini, e per la prima volta pubblicato in Firenze nel Volume II dellâArchivio storico italiano insieme con altri racconti a quella guerra relativi.
Anche un moderno scrittore credo che vada preparando un romanzo storico intorno al serio argomento dellâAssedio di Siena.
La prima Terra pertanto presa ai Sanesi daglâImperiali fu Asinalunga in Val di Chiana, dietro la quale venne quella di Lucignano: e cosĂŹ incominciò il Duca Cosimo a levarsi la maschera col dichiararsi palesemente nelico deâFrancesi e deâSanesi, tostochĂŠ egli inviò una compagnia deâ suoi soldati a presidiare Lucignano e guardarla in nome e per conto dellâImperatore; quantunque per antiche ragioni della Repubblica fiorentina avesse egli avuto luogo di tenersi Lucignano per conto proprio. Di lĂ lâesercito imperiale sâinviò a Montefollonico per poi innoltrarsi verso Pienza, dovâera entrato con 500 fanti Girolamo Orsini passato di corto al servizio deâFrancesi; il quale non avendo avuto tempo di farvi ripari da potere reggere ai colpi delle artiglierie, gli parve meglio di abbandonare la piccola Pienza.
Ma una parte di quei soldati essendosi ritirata con Adriano Baglioni nel vicino castel di Montichiello, questo capitano deliberò di tenere forte il castello per natura del sito assai ben difeso, nella speranza se non altro di dare comodità a quelli di Montalcino di potersi fortificare.
Non ostante però una coraggiosa difesa, essendo mancata a quelli di dentro la munizione e rimastovi ferito il comandante Baglioni, il presidio di Montichiello dovĂŠ rendersi a discrezione. â Vedere MONTICHIELLO.
Con questi felici principj glâImperiali si rivolsero al castello di Trequanda inutilmente guardato da 300 Francesi, e di lĂ si spinsero nella Valle dellâOmbrone sopra Buonconvento per avvicinarsi a Montalcino nel tempo che un altro corpo di 4000 Tedeschi penetrava nella Maremma sanese, e che 500 Spagnuoli a Orbetello e altri 400 sbarcavano a Piombino; sicchĂŠ questi uniti a mille soldati Italiani e a molta cavalleria tentarono non solo di privare i Sanesi del mare e delle vettovaglie, ma di occupare la capitale della Maremma Grossetana.
Essendo però questâultimo progetto riescito vano, fu dato ordine ai soldati Tedeschi e Spagnuoli di avviarsi per il Volterrano, onde poi si unissero al grosso dellâesercito di don Garzia per lâacquisto di Montalcino. Il quale generale per giungere piĂš presto ad impadronirsi di questâultima cittĂ , ricevĂŠ da Firenze altri 2000 fanti con buon numero di guastatori e fra le cose necessarie alla sua impresa alcuni pezzi di artiglieria per battere il castello che quella cittĂ difendeva.
Avendo don Garzia con cotesta triplice armata Tedesco- Spagnuola-Medicea potuto abbattere una torre della fortezza di Montalcino, attendeva animosamente ad avvicinarvisi con le trincee, non sapendo che dalla parte di dentro per i ripari fatti al castello e alla cittĂ il nemico avrebbe molto da sudare prima di venire a capo dei suoi desiderii, mentre non era minore lâardire degli abitanti, e di un presidio di mille fanti scelti che sotto il conte Mario Sforza ed il capitano Giordano Orsini Montalcino difendevano.
Infine don Garzia era venuto in speranza di potersi insignorire di cotesto paese per via di trattative, ma nÊ tampoco da ciò trasse alcun frutto, meno il pericolo di perdervi la vita, se da una sentinella degli assediati non fosse stato avvertito.
Una simile speranza aveva concepito il Duca Cosimo delle cose di Siena, che per maneggio di un Salvi capitano del popolo onestamente sperava si muovesse a tumulto per cacciarne i Francesi col pretesto di chiamare il popolo a libertĂ .
Ma scoperta la congiura, il Salvi con un fratello suo canonico del Duomo, e due altri implicati nella trama medesima vennero condannati nella testa.
La sventata congiura fu come mettere zolfo sopra il fuoco.
I Sanesi di ogni ceto, di ogni etĂ , di ambo i sessi si armarono da disperati, e sebbene divisi fra loro per qualitĂ , o per nascita, in quella emergenza di comune pericolo unitissimi procederono con la speranza di riacquistare lâindipendenza che ad essi loro ed alla patria si voleva togliere per sempre.
Al momento che quella popolazione per intrighi segreti o per forza di bajonette e cannonate si vide in pericolo di perdere affatto patria e libertĂ , anche le donne di ogni condizione in tale circostanza spiegarono un animo risoluto; e comecchĂŠ la debolezza del sesso non permettesse loro dâimprendere cose superiori alle proprie forze, pure riunitesi per Terzi e ordinate in altrettante schiere sotto distinte insegne e sotto il comando di tre generosi gentildonne, senza altra distinzione di preminenza di nascita, nobili, cittadine, plebee, tutte cantando una specie di Marsiliese marciavano per squadroni a porgere materiali e a lavorare alle fortificazioni della cittĂ , nĂŠ da tali opere desisterono finchĂŠ non lâebbero terminate.
La generosa condotta di quelle Amazzoni meritò gli elogj anco degli scrittori forestieri. Tale uno di questi fu il maresciallo francese di Monluc, il quale, dopo la caduta di Siena trovandosi alla difesa dellâeterna cittĂ , scriveva neâsuoi commentarj, che avrebbe voluto difendere Roma piuttosto con le donne sanesi che con i soldati romani.
Avvenne però che il Duca Cosimo nellâottobre del 1553 mandò il suo fedele segretario Bartolommeo Concino allâImperatore per dirle, che ogni volta S. M. I. volesse accordare 2000 fanti Tedeschi, altrettanti Spagnuoli, e 300 cavalleggeri mantenuti per 10 mesi, il suo padrone sâimpegnava a prendere sopra di sĂŠ lâimpresa di Siena, a condizione che da Cesare fosse poi ricompensato deâdanari che avrebbe speso col ricevere dalla corte Aulica altrettanto Stato in Toscana.
Accettò Carlo V lâofferta, lodando il coraggio e lâattaccamento di Cosimo alla causa imperiale, desiderosissimo ad ogni modo di punire i Sanesi e di levare i Francesi dâItalia, tanto piĂš che Piero Strozzi nemico personale di Cosimo era stato di corto dal re di Francia dichiarato comandante generale di tutte le sue armi in Italia.
Disposti in tal guisa i mezzi, fu concertato il piano delle operazioni, fu deliberato che cotesta seconda guerra cominciata nel gennajo del 1554 (stile comune) sâintraprendesse a nome dellâImperatore e del Duca di Firenze suo alleato, e che si approfittasse della buona fede in cui erano i Sanesi per sorprenderli movendo improvvisamente contro la cittĂ il suo esercito innanzi che arrivassero le truppe promesse dallâImperatore. Alla quale operazione doveva essere favorevole la circostanza dellâassenza da Siena del generale Piero Strozzi, e la dimestichezza che il Duca dimostrava continuamente verso il cardinal di Ferrara, rimasto al governo della nemica cittĂ .
Vedendo però Carlo V e Cosimo deâMedici come le vie state fino allora adoperate non riescivano a conquistare nĂŠ Siena, nĂŠ Montalcino, stabilirono di procedere innanzi a detta guerra con nuove genti e nuovo comandante generale. Si pensò di affidare cotanta impresa al generalissimo marchese di Marignano, creduto derivato da un ramo della famiglia deâMedici uscita di Firenze e stabilitasi in Milano.
Cotesto marchese, châera tenuto in quei tempi per uno deâpiĂš abili capitani che fossero in Italia, fu condotto al soldo del Duca Cosimo, come persona la piĂš opportuna ai disegni suoi. Tentò egli da primo di prendere per sorpresa la cittĂ assediata, ma svegli erano i suoi abitanti, e piĂš sveglio il generale Piero Strozzi che quel numeroso presidio era venuto a dirigere, talchĂŠ riescirono frustanei i ripetuti assalti, dai quali però si vide sempre la rabbia del Marignano sfogarsi barbaramente sopra gli abitanti delle e sopra i prigionieri che la sua oste prendeva. â Frattanto che accadeva la guerra ora nelle vicinanze, ora in lontananza dalle mura di Siena, ma sempre devastando ognor piĂš il paese intorno, ogni cittadino, non esclusi gli ecclesiastici, sia della cittĂ come del contado affrontava coraggioso qualsiasi pericolo, ed anche la morte, per difendere la patria perfino nelle campagne.
Accortosi il marchese di Marignano essere cosa quasi impossibile di prendere la cittĂ di Siena colla forza dellâarmi, si dovĂŠ risolvere a costringerla con affamarla.
Se vi era innanzi qualche dubbioso, niuno restò perplesso dopo la condotta del marchese di Marignano, che Cosimo I piÚ che Carlo V voleva finire la Repubblica di Siena a costo di disfare la stessa città . DondechÊ gli storici fiorentini meno sospetti scrissero senza mistero della risoluzione assunta a suo carico dal Duca Cosimo di scacciare da Siena i Francesi per farsi padrone di quella città e del suo stato.
Dirò col Segni (Istorie fiorentine, Lib. XIV.) âche questa guerra mossa ai Sanesi dal Duca di Firenze, fu cagione espressa dellâultima rovina di Toscana tutta. La somma di tutte le genti del Duca fra Italiani, Spagnuoli e Tedeschi, nei primi tre mesi di quellâanno radunate, ascendeva a 24,000 fanti e a mille cavalli, ed il loro mantenimento a 100,000 scudi, che tutta cotesta somma dovĂŠ cavarsi da gravezze straordinarie poste ai sudditi tribolati sempre piĂš da unâaffliggente carestia, la quale cominciava in quellâanno ad essere grandissimaâ.
Primo pensiero dellâaccordo Marignano fu quello di assaltare nel tempo medesimo i Sanesi in casa, nella Maremma, in Val di Chiana, in Val dâOrcia ed in Val dâAsso. In Maremma dare il guasto a Grosseto, in Val di Chiana investire Chiusi, in Val dâOrcia Pienza, e in Val dâAsso Montalcino, nel tempo stesso che le sue genti in Siena occupavano il bastione accosto alla Porta Camullia con quel piĂš che poterono avere.
Che se dallâattivitĂ dello Strozzi e dal coraggio deâFrancesi e deâSanesi una gran parte di quei progetti furono resi vani, non mancò peraltro il Duca Cosimo di arrivare presto al suo intento. NĂŠ guerra fu mai esercitata con maggiore asprezza e ferocia. ImperrocchĂŠ usavansi crudeltĂ atrocissime in impiccar contadini, in isforzare donne, in ammazzare innocenti, ed in mettere a fuoco e fiamma ogni cosa. (SEGNI, loc. cit.) Dopo però la vittoria del 2 agosto 1554 daglâImperiali e Ducheschi nei campi di Scannagallo presso Marciano in Val di Chiana sopra i Sanesi e Francesi riportata, al marchese di Marignano riescĂŹ facile cosa dâimpadronirsi delle piĂš forti posizioni intorno le mura di Siena.
ImperrocchĂŠ questo generale era convinto sempre piĂš non esservi altro mezzo sicuro per impadronirsi della cittĂ di Siena che quello di ridurre agli estremi i suoi difensori ed abitanti per via della fame; sicchĂŠ egli dopo aver fatto demolire tutti i mulini deâcontorni, dopo disfatti i bottini o acquedotti che conducevano lâacqua potabile in Siena, impose pene severissime ed atroci a chiunque ardisse trasportare vettovaglie di qualsiasi sorte nellâassediare cittĂ .
Allora cominciò in Siena una lacrimevole costernazione cominciando a limitarsi ad una libbra a testa di grano che poi fu ridotto a mezza libbra, finchÊ mancò affatto al pubblico la sua dispensa.
Il governo vedendo che una parte della popolazione a cagione di digiuni e di stenti era di giĂ scomparsa dal numero deâviventi, decretò con poca caritĂ di mandar fuori di cittĂ tutte le bocche inutili dâinfermi, di vecchi e di donne, e perfino dei gettatelli impuberi giunti ad una certa etĂ dellâuno e dellâaltro sesso, i quali appena discostati pochi passi dalle mura urbane rimanevano a discrezione di un inesorabile nemico.
Finalmente essendo venuto meno ogni umano soccorso, nella lusinga di dar fine a sĂŹ spaventevole catastrofe, i magistrati sanesi risolvettero di ricorrere ad un accordo. â La prima risposta del Marchese di Marignano fu orgogliosa quanto crudele, allorchĂŠ fece sapere agli assediati non esservi per loro altro scampo fuori di quello di sottomettersi intieramente alla discrezione del Duca di Firenze, se il sacco, il fuoco e la rovina della loro patria volevano evitare.
Frattanto che si dava cotesta aspra risposta, le armi francesi minacciavano fortemente dal Piemonte di avanzarsi verso la Toscana, ed in Lucca e perfino in Firenze si manifestava il maltalento deâcittadini verso il Duca che voleva fare di Siena ciò che Papa Clemente VII era riescito a fare della repubblica fiorentina, e ciò che, al dire del Vasari, Cosimo meditava di Lucca; dondechĂŠ ogni giorno si appiccavano nei luoghi pubblici della cittĂ di Firenze cartelli ingiuriosi al Duca, e polizze col motto: Viva Francia e muoja lâImpero .
D'altronde a tal punto era arrivata la risolutezza deâSanesi che piuttosto di accettare lâumiliante quanto barbara proposta del generalissimo di Cosimo, si sarebbero essi piĂš volentieri seppelliti vivi sotto le rovine della propria patria incendiandola con le loro mani.
Non dirò del patriottismo e fedeltà in questa guerra dai contadini dimostrata, tostochÊ gl' istorici, gli annalisti italiani e oltramontani, non che le relazioni parziali e giornaliere di una guerra cotanto accanita, parlano assai rispetto alla fermezza e coraggio, col quale i villani del contado sanese assalivano, e assaliti bravamente i resedj dominicali difendevano; talchÊ lo storico Ammirato ebbe a concludere, che tuttociò dovÊ succedere per effetto del mansueto ed amabile reggimento tenuto dai signori e possidenti sanesi, per cui animi rozzi e villani s'indussero di mettere a rischio la vita propria piuttosto che violare la loro fede. - (AMMIR. Stor. Fior. Lib. XXX.) Ma dopochÊ alle superbe parole susseguirono proposizioni meno severe inviate ai Sanesi dal Duca di Firenze, il suo governo, vista la perdita di quasi tutti i paesi del dominio sanese; visto che il maresciallo Strozzi non aveva potuto allontanare il nemico dai contorni di Siena, dove aveva devastato tutte le campagne delle vicinanze della città per togliere affatto gli assediati ogni speranza di raccolta; considerata l'inutile diversione nello stato fiorentino fatta dall'esercito francese condotto dallo Strozzi; visto inoltre che dopo la terribile disfatta nei campi di Scannagallo era accaduta l'espugnazione di Casole e di Massa Marittima; vista la mancanza di ogni sorta di vettovaglie, l'emigrazione e la perdita ognor crescente de'cittadini: e sentito l'ordine barbaro dato dal generale nemico di ammazzare tutti i contadini che avessero tentato di portare vettovaglie in Siena, costringere uomini e donne che uscivano di città a ritornarvi; considerando perciò i magistrati della Repubblica non restarvi altro modo di salvare la città , risolvettero di pregare il Pontefice Giulio III ed il Duca di Ferrara a promuovere la pace a meno dare condizioni di quelle inviate loro di prima.
Non tutti i capi della Repubblica opinavano in tal maniera, quelli del Monte de'Nove, che per sola neces sità e sicurezza propria avevano aderito all'ultima rivoluzione, bramavano l'antico governo aristocratico sotto la protezione dell'Imperatore, mentre i capi del Monte de'Popolani essendo lusingati dai comandanti francesi di trasferire altrove la sede della patria pericolante, giudicavano indifferente che questa fosse in Siena o in Montalcino. Altronde la plebe desiderando un ristoro sollecito a tanti mali; in tale stato di cose i Signori di Balia della repubblica di concerto con il maresciallo di Monluc, divenuto l'arbitro del governo di Siena, destinarono ambasciatori a Cosimo I per trattare le condizioni della resa. - Ma per conciliare le mire de'Francesi e l'urgenza de'Sanesi con la fermezza del Duca si passò un altro mese di tempo; finalmente stringendo la fame, fu firmata la capitolazione nel 17 aprile del 1555, un articolo della quale esigeva, che per tutto il 22 aprile stesso la città di Siena dovesse restare evacuata dai Francesi per introdurvi la guarnigione imperiale. La qual cosa avvenne a dispetto della popolazione che con tanti disagi sofferti in 15 mesi di assedio, con tutto il sangue sparso, non avendo potuto conservarsi in libertà , doveva tornare sotto gli odiati Spagnuoli. OltredichÊ un altro articolo della resa accordava facoltà di rifare una fortezza in Siena nel modo che piaceva al Duca Cosimo. Infatti dopo introdotti 2000 soldati imperiali, Cosimo spedÏ a Siena Angelo Niccolini come suo luogotenente incaricato di stabilirvi un piano di governo composto di persone non sospette (benchÊ poche si stimassero fedeli) ed atte a ridurre la città alla devozione dell'Imperatore, cominciando intanto dal togliere le armi di casa a tutti i cittadini e contadini.
Un simile atto di schiavitĂš, da pochi anni indietro praticato, dispiacque talmente all'universale che si accrebbero le emigrazioni al segno da dovere a furia di bandi minacciare pene severe a chi abbandonava la giĂ deserta cittĂ . Frattanto alcuni dell'antico governo repubblicano ritiratisi in Montalcino con i sigilli dello stato invitavano col nome di libertĂ i Sanesi a riunirsi in quell'ultimo asilo della loro indipendenza.
Furono perciò con altro bando ducale richiamati alla capitale gli emigrati con la minaccia dopo un dato termine loro assegnato di essere considerati ribelli dello stato confiscando loro tutti i beni. - à fama che all'epoca suddetta dentro la città non rimanessero piÚ che 6000 abitanti di 40,000 che vi furono innanzi d'assedio. In tal guisa la guerra civile cangiata in guerra politica divenne di giorno in giorno maggiormente desolante e disastrosa.
Frattanto dopo qualche ripugnanza di Carlo V a confermare l'accordo, come era stato promesso dal Duca ai Sanesi, l'esercito imperiale, avendo lasciato in Siena un forte presidio, si mosse per recarsi ad occupare molte terre e castella del suo contado e della Maremma che tenevano i Francesi.
Non si fecero però in quell'anno imprese maggiori della conquista della fortezza di Port'Ercole nel Mont'Argenterio, per cui si vuole che il re di Francia levasse al maresciallo Piero Strozzi il comando generale delle sue armi in Italia.
Intorno a questo tempo e nell'anno medesimo 1555 arrivò in Siena a risiedere con titolo di governatore cesareo don Francesco di Toledo, il quale seppe cosÏ bene maneggiarsi con i capi del governo sanese, che Signoria e Balia d'accordo rimisero nell'arbitrio di S. M. I. ogni autorità senza limitazione di tempo sopra la città di Siena e suo stato. Ad ottenere cotesta facoltà il Toledo trattava umanamente il popolo di Siena ostinato nemico del Duca di Firenze . CosicchÊ Carlo V trovossi qualificato signore della stessa repubblica; e dopo aver fatto redigere in valida forma cotest'atto di schiavitÚ, nel quale si annullavano tutti i patti piÚ essenziali delle capitolazioni precedenti, l'imperatore stesso ne investÏ Filippo II re di Spagna suo figliuolo.
Poco dopo essendo morto in Siena il governatore don Francesco di Toledo fu eletto nello stesso uffizio dal re di Spagna il cardinale don Bernardino di Mendoza, detto il Card. di Burgos.
In cotesto frattempo però il Pontefice Paolo IV Caraffa si diede a scoprire decisamente nemico di Cesare e fautore non solamente de'Francesi, ma di tutti i fuoriusciti di Toscana, dondechÊ gl'imperiali ebbero motivo di dubitare che il Papa da quelle genti assistito volesse muovere le sue armi contro il governo assoluto di Siena, città di malcontenti piena e di ogni cosa da vivere sfornita; tanto piÚ che Cosimo non poteva provvederla per le grandi spese della guerra e per le magre raccolte che da tre anni Toscana tutta affliggevano. DondechÊ convenne al Duca fare grossi accatti di grano, nelle Sicilie, e sovvenire molti gentiluomini sanesi suoi fedeli, caduti in miseria cotanta, che coloro, i quali solevano essere i piÚ ricchi e agiati, vi morivano di fame, essendochÊ le loro possessioni erano divenute preda di amici come di nemici, in tempo in cui da ogni parte soldati ed assassini scorrevano a depredare tutto quel territorio.
Erano in tale stato le cose, quando nel 15 dicembre del 1555 fu segnato il trattato di alleanza fra il re di Francia, il Papa ed i Caraffa suoi nepoti, trattato che tennesi occulto il piÚ che fu possibile affinchÊ gli Spagnuoli e il Duca non si fortificassero, e per dare tempo a far venire la flotta Turca onde secondare le operazioni mediate. CosÏ (esclamava il Galluzzi) il fondatore de'Teatini, e il piÚ ardente promotore della Inquisizione divenne alleato de'Turchi per sola ambizione di far grandi i nipoti - (Istor. del Granducato Lib. II. Cap. 5 .) Accadeva tuttociò nel tempo che Carlo V cedendo la corona dell'Impero a Ferdinando suo fratello, voltava il pensiero alla quiete del ritiro religioso, comecchÊ non sapesse risolversi ancora ad abbandonare l'ambizione di regnare.
Questa doppia rinunzia del regno di Spagna al figlio Filippo e dell'Impero al fratello Ferdinando fece credere che dovesse favorire i nuovi alleati, sicchĂŠ nel tempo che a Pitigliano il Duca Ottavio Orsini adunava un buon numero di gente d'armi, delle quali affidava il comando a Cornelio Bentivogli, nel tempo stesso. Piero Strozzi comparso improvvisamente a Roma faceva sperare ai repubblicani sanesi di Montalcino, avvicinarsi il giorno di recuperare la patria.
Per questi movimenti il Duca, cui stava a cuore di sventare simili progetti, domandava al re Filippo centomila scudi ad imprestito per sostenere il peso della guerra, ricordando alla corte di Spagna che Siena non si poteva mantenere se non con grande spesa e continua, nĂŠ ubbidienti soldati se non pagandoli e saziandoli di moneta, tanto piĂš che i Francesi erano vicini, e la migliore gente di Siena fuori di paese, e che quella rimasta dentro era quasi tutta sua nemica. SennonchĂŠ il dissidio fra le corti di Francia e di Spagna contribuiva non poco a interporre degli ostacoli che si resero anche maggiori per la mala intelligenza insorta fra Carlo V e il re Filippo suo figliuolo.
Mentre gli affari politici erano involti in cotanta confusione, i ministri delle due monarchie, nel 5 febbrajo del 1556, segnarono in Cambrecy una tregua per cinque anni, ratificata da Filippo II li 12 marzo susseguente, con la quale fu convenuto, che durante quel quinquennio ciascuna delle due potenze, compresivi i rispettivi alleati, dovesse ritenere i paesi che fino a quel giorno aveva occupato.
Non restavano pertanto senza sospetto lo cose dalla parte dei repubblicani di Montalcino che si mostravano avversi a condizioni dÏ fatte, mentre quelli del contado sanese erano cordialmente nemici degli Spagnuoli non meno che dei Tedeschi; cosÏ cittadini e contadini preferivano piuttosto il giogo francese. Infine dopo tanto indugio, che terminò in brevi ostilità , la tregua ebbe il suo effetto piuttosto per stanchezza delle parti che in vigore della capitolazione; ed in Toscana appena il Duca di Firenze ebbe intieramente pagato i suoi Tedeschi, nell'atto di licenziare i capitani che avevano militato nella guerra di Siena donò loro una catena d'oro, dalla quale, in segno dalla felice giornata di Marciano, pendeva una medaglia con l'immagine di S. Stefano Papa I (nel giorno festivo del di cui martirio si ottenne la vittoria) e dall'altra parte l'arme di casa Medici, talchÊ costoro poterono chiamarsi i primi insigniti in quell'ordine cavalleresco che Cosimo I sei anni dopo in memoria di quella giornata instituÏ.
Tali furono le apparenze pacifiche del Duca, cui per altro non era ignoto il mal animo che contro esso lui nutrivano Sanesi e Francesi. NÊ il cardinal di Burgos soffriva di buon animo che il magistrato di Montalcino esercitasse impunemente i diritti e le prerogative di sovranità col titolo di repubblica sanese, in nome della quale si coniarono anco delle monete. ComecchÊ molte fossero le prove da far temere quella tregua di corta durata e assai lontana la pace, comecchÊ le proposizioni fatte per conseguirla riescissero inutili per causa specialmente del Pontefice Paolo IV che sperava di mettere i nipoti Caraffa principi in Siena e in tutto il territorio, contuttociò i progressi delle armi spagnuole spinte dal vicerÊ di Napoli nello stato Pontificio indussero alla fine quel Papa a trattare della pace. Questa infatti fu conclusa in Gand li 15 settembre del 1556, pochi mesi innanzi che il re di Spagna incaricasse il suo castellano di Milano don Giovanni de Figueroa di recarsi a Firenze per stabilire col Duca Cosimo le basi della cessione di Siena e suo stato.
Ciò ebbe effetto nel dÏ 3 luglio del 1557 mediante un trattato di alleanza, col quale Filippo II fra le altre cose concedÊ al Duca Cosimo de'Medici ed ai suoi successori la città e stato di Siena, donandogli inoltre in libera proprietà la tenuta e beni della Marsiliana, a condizione che ne restasse al re di Spagna il sovrano dominio riunito a quello di Orbetello con Talamone, Port'Ercole, Santo Stefano, Monte Argentario ecc. e rilasciando al Duca il pieno possesso di Porto Ferrajo, a condizione di restituire a S. M. il restante dell'isola dell'Elba con Piombino ecc.
ecc.- Intanto che si trattava tra Filippo II e Cosimo I della sorte futura di Siena e del suo stato, i repubblicani di Montalcino rompevano la tregua con i Spagnuoli depredando terre e villaggi, alcuni de'quali munivano di una guarnigione; e appena si pubblicò il trattato di Firenze del 3 luglio 1557 le scaramucce, le sorprese, le reciproche depredazioni e gl'incendj tornarono a molestare soprammondo quella provincia essendo ormai decisa la sorte futura di Siena e del suo stato.
Quell'annunzio, dice il Galluzzi, riempĂŹ di timore i repubblicani di Montalcino, di rabbia e di dispetto i Spagnuoli, di tristezza e di costernazione tutti i Sanesi.
Comparve poco dopo in Siena don Giovanni de Figueroa con mandato speciale del suo re per consegnare la città predetta a don Luigi di Toledo inviato con le opportune facoltà dal Duca Cosimo suo cognato onde riceverne il possesso finale. Dopo varj pretesti e difficoltà fu gioco forza pertanto al nuovo Duca di Siena di sborsare una ragguardevole somma di danaro ai soldati di quella guarnigione tumultuanti per mancanza di paghe onde saziare la loro ingordigia; e quasi che ciò non bastasse, ad esempio di Brenno sul Campidoglio, Cosimo I dovette pagare in contanti l'artiglie ria e le munizioni esistenti nei bastioni, comecchÊ esse fossero proprietà del Comune di Siena. -Si cambiarono finalmente i presidj, e nel 19 luglio 1557 Mons. Angelo Niccolini luogotenente del Duca, e suo governatore della città e stato di Siena, ne prese formale possesso quasi nell'istante medesimo della BalÏa, il capitano del popolo, la Signoria ed altri magistrati della spirata repubblica giuravano obbedienza e fedeltà al nuovo sovrano nelle mani del suo plenipotenziario don Luigi di Toledo.
Accadeva contemporaneamente tuttociò quando il capitano Chiappino Vitelli con le sue truppe tedesche prendeva la guardia del palazzo pubblico e degli altri luoghi soliti ad essere presidiati nella città di Siena, nel tempo che un'altra partita di Spagnuoli al servizio del Duca si avviava a rinforzare il presidio della Terra di Buonconvento posta di fronte alla città di Montalcino.
Una delle prime misure del nuovo governo fu di rinnovare la ricerca e consegna delle armi de'cittadini, e ordinare severamente ai ministri di giustizia d'invigilare i Sanesi con piĂš solerzia di quella cui fossero stati fino allora avvezzi. Frattanto i paesi e Terre dello stato sanese che si tenevano dalle truppe alleate inviarono i loro sindaci a giurar fedeltĂ al nuovo Signore. -Rimanevano Montalcino, Grosseto, Chiusi, Radicofani, Montepescali ed alcuni altri castelli in mano de'Francesi, con i quali di scambievole consenso fu continuata la tregua, escludendo dalla medesima i porti di Orbetello e di Portercole, dove i Francesi contro gli Spagnoli si mantennero in guerra.
I titoli de'magistrati in Siena si tennero a un dipresso i medesimi come al tempo della repubblica, cioè la BalÏa, il capitano del popolo e la Signoria che si creava di due in due mesi; nondimeno gli uffiziali di BalÏa ed il capitano del popolo dovevansi eleggere dal Duca, mentre degli altri magistrati fu lasciata l'elezione al concistoro con l'approvazione però del sovrano che ritenne a sÊ la nomina dei tre gonfalonieri dei Terzi della città .
VII. SIENA SOTTO IL GOVERNO GRANDUCALE FINO ALL' ANNO 1844.
Fermo in tal modo il governo di Siena sotto il Duca Cosimo I, il maresciallo Monluc, ch'era rimasto al comando delle forze francesi nello stato sanese, fece sgombrare per tutto il contado il grano e portarlo nei paesi guardati da una guarnigione. Intanto si costruivano con sollecitudine bastioni e ripari intorno a Montalcino, si soldavano milizie a Roma e al campo francese che trovavasi nello stato Pontificio e si mettevano quelle milizie alla guardia delle fortezze a preferenza de'soldati italiani. Al Duca però cotesti preparativi riescivano gravosi, dovendo tener fornite le frontiere, presidiare la città di Siena e sovvenire nel tempo medesimo alla guerra di Lombardia; talchÊ gli conveniva gravare piÚ spesso i suoi popoli, per cui nell'anno medesimo 1557 fece imporre per il dominio fiorentino un grande accatto o balzello, oltre l'aver imposto l'uno per cento sul valsente dei fondi spettanti ai possidenti del contado dello stato vecchio.
Avvertasi che il presidio tedesco in Siena, oltre la noja che ai Sanesi recava, soleva anche insolentire contro inermi abitanti.
DondechĂŠ il Duca trovossi costretto di licenziare quei soldati, inviando invece a Siena quattro compagnie di fanti italiani piĂš disciplinati. Intanto sopra le cose governative vegliava monsignor Agnolo Niccolini, e rispetto al militare Federigo da Montauto. - Ma i Francesi nell'antico stato sanese andavano sempre piĂš indebolendo, massimamente nelle parti della Maremma, sicchĂŠ in pochi giorni Talomone e Castiglione della Pescaja si videro cadere in mano degli Spagnuoli, dai quali poco dopo Castiglione della Pescaja fu consegnato ad una compagnia di fanti di Cosimo I che ne prese possesso insieme all'isola del Giglio.
Pure il nuovo Duca diede qualche segno onde ingrazionarsi per quanto fosse stato possibile i Sanesi, in guisa che nel 1558 avendo la loro città sentito penuria di grano, non solamente fece provvederne tutto il Comune dagli uffiziali dell'Abbondanza di firenze, ma ordinò che a Massa, a Casole, a Sarteano, a Torrita, ad Asinalunga e in altri luoghi che insino allora erano stati governati da commissarj e uffiziali non sanesi, fossero mandati a tali uffizi quei cittadini di Siena che paressero piÚ atti a ciò. - Pochi mesi innanzi peraltro i rappresentanti del Comune di Siena fermi nei loro divisamenti avevano mandato ambasciatori alla corte di Francia per supplicare quel re a rimetterli nella perduta libertà , e che la loro città e tutte le terre del sanese territorio ritornasse sotto la protezione della corona francese.
Dall'altro canto il Duca non mancava dal far ufficiare il re Cattolico con proporre a S. M., che accomodandolo di 4000 fanti e 400 cavalli avrebbe potuto in breve tempo dare onorato fine alla guerra al punto di costringere i nemici a ricevere le condizioni che piacesse al vincitore; e inoltre pregava Filippo II a non si dimenticare dell'obbligo che aveva con Cosimo I contratto, cioè, di fare in maniera che Montalcino e le altre Terre sanesi gli venissero in mano.
Ma i repubblicani di Montalcino che ogni altra cosa avriano anteposto a quella di cadere nelle mani del nuovo padrone di Siena non si sapevano adattare alla pace stabilita nel 7 febbrajo del 1559, in un articolo della quale si diceva, che il re di Francia dovesse nello spazio di tre mesi ritirare tutte le genti da guerra che avesse in Montalcino e in altre cittĂ e Terre della vinta Repubblica, e che abbandonasse la protezione dei Sanesi, rinunziando a qualsiasi ragione poteva pretendere sopra quel paese.
NĂŠ solamente i Sanesi di Montalcino, ma gli abitanti stessi di Siena lusingati dai ministri francesi, che a detta loro, Siena avrebbe dovuto rimanere in stato di libertĂ ,speravano di poter vivere e governarsi senza maggioranza di alcuno, riformando a piacere il regime della loro patria.
Ma intanto alla corte di Francia si davano gli ordini affinchĂŠ le condizioni convenute si eseguissero; sicchĂŠ ben presto i Francesi cominciarono a ritirare a poco a poco le truppe dalle rocche, dai castelli, e dalle cittĂ da esse nel senese fino allora occupate.
GiĂ erano arrivate alla bocca di Ombrone 13 galere da Marsilia per imbarcare le genti e le artiglierie de'Francesi, quando per un tristo caso avvenne la morte di Enrico II re di Francia, caso che fece ritardare la consegna delle piazze sanesi. E perchĂŠ il comandante di Montalcino, Cornelio Bentivoglio, poteva agevolare molto il modo per cederla alle armi del Duca, egli insinuò a Cosimo I che ad una ventina de'Sanesi piĂš influenti fra quelli di Montalcino fosse data una provvisione a vita di 15 o 20 ducati il mese per ciascuno, mentre allo stesso Bentivoglio a titolo di feudo il Duca volle assegnare il castello di Magliano in Maremma. â Vedere MAGLIANO nella Valle dell'Albegna.
Nonostante coteste belle promesse convenute segretamente fra le parti, quando fu dato ordine di trarre da Montalcino la guarnigione, si scuoprirono nuove difficoltà rispetto al credito de'soldati di molti mesi di paghe, protestando essi di non voler uscire di là se prima non fossero stati saldati. Però il Bentivoglio con l'opera de'ministri fiorentini cominciò a trarne l'artiglieria con le munizioni inviandole a Batignano presso Grosseto, e il medesimo aveva fatto Antonio degli Albizzi in Chiusi, dove benchÊ i soldati si fossero alquanto ammutinati, con buone parole e con molt'arte furono levati di città , e avvinti in Val d'Orcia per congiungerli a quelli di Montalcino.
Intanto i capi sanesi ritirati in quest'ultimo paese risolverono di mandare due ambasciatori a Firenze a quel Duca per domandargli alcune grazie, le quali furono da Cosimo concedute, eccetto quelle relative all'autorità sovrana ed alle rendite dello stato. In conseguenza di ciò fu perdonato a ciascuno ogni offesa, riamettendo tutti dal bando di ribelle con una franchigia a favor loro per 5 anni dai debiti pubblici e privati.
E quantunque ogni giorno molti tornassero a Siena da Montalcino, pure l'Adriani, storico fiorentino allora vivente, ci avvisò come di cosa singolare: che fra tante città e luoghi dello stato sanese, tenuti con disagio per tanti anni in mano de'Francesi, ora che molti giorni furono in tutto liberi, non se ne vide pur uno che venisse ad offerirsi al Duca ed a sollecitarne la grazia, come in altre nazioni si è veduto il piÚ delle volte essere avvenuto.
Non rimaneva a far altro se non che l'a mbasciatore spagnuolo prendesse la possessione di Montalcino e ne desse il governo libero al Duca Cosimo. Ciò ebbe effetto con tutte le cerimonie il giorno 4 agosto del 1559; alla qual consegna tennero dietro Chiusi, Radicofani, Grosseto, Montepescali ecc.; ed in tal maniera dopo otto anni di operazioni, in cui varie potenze furono impegnate; dopo una guerra che desolò ed impoverÏ la maggior parte dell'Europa, tutto lo stato sanese cadde in potere del Duca di Firenze, che fra tanti interessati piÚ di ogni altro vi guadagnò, meno i RR. Presidj di Orbetello, che S. M.
Cattolica nella prima convenzione si era riservati. - Dopo di ciò Cosimo de'Medici potÊ licenziare molte truppe, ed il presidio di Siena ad un minor numero di soldati limitare.
Cotanta fortuna del Duca di Firenze e di Siena suscitò non poca gelosia ed invidia in molti Principi d'Italia, e per fino negli Spagnuoli ch'erano rimasti ad Orbetello, i quali cercavano di allargare la giurisdizione loro dal lato di Terraferma comprendendovi il paese di Tricosto sotto Capalbio, che il Duca dovÊ cedere alla Spagna.
Frattanto la comparsa di una flotta Turchesca nelle coste della Toscana dava un buon pretesto a Cosimo I per fornire di soldati e di legni armati i posti ed i paesi della Maremma toscana.
L'acquisto del vasto territorio sanese, che allora si distinte col nome di Stato nuovo , e la sua unione allo Stato vecchio, ossia al fiorentino e pisano, meritò pochi anni dopo per opera del Pontefice Pio V la corona granducale a Cosimo I. - Nel tempo che assodavasi il trono nella dinastia Medicea, smorzavasi di mano in mano nei Sanesi quello spirito d'indipendenza che per lunga età li fece ricalcitranti alla soggezione di un principe assoluto; il rigore delle leggi, una occulata polizia e la severa osservanza della giustizia prevenivano le occulte macchinazioni, sicchÊ la tranquillità di questo stato sotto il primo Granduca potÊ dirsi assicurata,vivente lui che volle esser solo a dettar bandi e leggi per lo Stato vecchio e nuovo, lui che aveva diretto per tanti anni una guerra la quale gli fruttò un esteso dominio; cosicchÊ parve al primo Granduca contraria al vero la pittura del Vasari, quando disegnava nel gran salone del palazzo vecchio piÚ da poeta che da storico le imprese della guerra di Siena, e la notturna scalata dal bastione di Camullia e non dalle mura della città , dipingendovi Cosimo in mezzo ai suoi consiglieri che gli suggerivano le deliberazioni di quella campagna. Un solo confidente, il segretario Bartolommeo Concini, fu fatto partecipe non del modo, sibbene della volontà del suo Principe per eseguire cotanta impresa, senza sapere piÚ oltre neppure il marchese di Marignano generale del suo esercito.
Però la guerra di Siena fu disastrosa anche alla pingue cassa di Cosimo I, il quale, non ostante le grandi risorse che sapeva ritrarre dai suoi sudditi, trovossi costretto di sospendere per qualche tempo gli stipendj a diversi uffiziali che lo servirono.
Nel 1561 Cosimo I nel ritorno da Roma passando per la Val di Chiana si recò a Siena a fine di stabilirvi unitamente al suo luogotenente Niccolini un sistema relativo specialmente all'amministrazione della giustizia; nella qual circostanza ordinò all'architetto Baldassarre Lanci il disegno di quella fortezza che venne alzata poco lungi dal luogo dove fu l'altra fondata nel 1548 dagli Spagnuoli e distrutta poco dopo dai Sanesi, mercÊ le quali opere Carlo V e dopo di lui Cosimo I si erano prefissi di tenere in freno gli abitanti di Siena.
Ma a gloria del GRAN LEOPOLDO anche la fortezza di Cosimo I fu aperta al pubblico passeggio de'Sanesi, quasi appendice a quello della contigua Lizza. E ben meritamente il Comune di Siena con l'annuenza sovrana in memoria di tanta munificenza e gratitudine ha fatto collocare nell'attico posto in fondo al parco, quasi sull'ingresso della fortezza Medicea, una laconica caratteristica iscrizione, la di cui copia merita di essere tramandata alla posteritĂ : ARCEM A COSIMO MEDICEO AD IMPERII SECVRITATEM FUNDATAM ANNO MDLXI PETRVS LEOPOLDVS AVSTRIACVS SPECTATA SENENSIVM FIDE AD DELICIAS VERIT ANNO MDCCLXXVIII.
Cotesta misura odiosa per un popolo vinto basta a dimostrare quanto poco in realtĂ quel Granduca si curasse di affezionarsi i Sanesi, poichĂŠ nel tempo che si fabbricava la fortezza onde assicurare sopra di essi un assoluto dominio, egli instituiva l'ordine militare di S.
Stefano Papa e Martire per eternare la memoria di quella battaglia che fu il segnale di agonia della Repubblica sanese, come il combattimento di Montemurlo aveva servito in quel giorno stesso (2 agosto del 1537) a convalidare allo stesso Principe il dominio di Firenze.
Quale fosse allora la popolazione e la statistica di Siena e del suo dominio sarebbe opera perduta ricercare, dopo che non mi è stato possibile ritrovare un MS. della visita da Cosimo I nel 1572 ordinata all'auditore Francesco Rasi, che il Pad. Ximenes nella sua opera sopra la Maremma sanese rammentò, dopo vista nella R. Biblioteca Palatina de'Pitti. - Dalla qual visita peraltro se, a confessione dello stesso padre Ximenes, non si saprebbe precisamente rilevare lo stato nel quale il Duca Cosimo ricevette da Filippo II il dominio di Siena, si avrebbe non ostante un indizio della popolazione di quel dominio 17 anni dopo la caduta della sua repubblica; si saprebbe quali fossero allora le rendite pubbliche, che poteva concernere lo stato economico e forse ancora lo stato fisico delle due Provincie, superiore e inferiore sanese.
Ă noto altresĂŹ che quel documento del 1572 fu trasportato dalla R. Palatina nella Biblioteca Magliabechiana, dove lo vide il ch. Gio. Targioni Tozzetti (Notizie de'progressi delle scienze fisiche in Toscana durante il dominio di Cosimo I, MS. inedito presso il Professore Antonio suo nipote). Aggiunge inoltre il P. Ximenes, che quella visita non deve confondersi con la relazione scritta qualche tempo innanzi da Vincenzo Fedeli, segretario della Repubblica veneta e suo incaricato presso Cosimo I, nella quale fu data come semplice congettura, che la popolazione di tutto il dominio sanese all'epoca della sua sottomissione a Cosimo de'Medici era ridotto a 40,000 abitanti.
Se però fu smarrita la relazione del Rasi, esistono piÚ copie di quella testÊ rammentata di Vincenzo Fedeli, stato inviato nel 1556 dalla repubblica di Venezia al Duca di Firenze affinchÊ gli risedesse appresso con insegne, non già con titolo di ambasciadore. -(ADRIANI, Storia de'suoi tempi all'anno 1560, Lib. XVI. Cap. 4.) E avvegnachÊ la relazione di un ministro estero come il Fedeli, può fornire notizie relative all'indole del paese, ed al sistema governativo introdotto da Cosimo de'Medici nei primi anni della riunione dello Stato nuovo sanese allo Stato vecchio, gioverà citarne qualche squarcio.
âHa lo stato di Siena 136 fra cittĂ , castelli e terre murate, che hanno i suoi uffiziali di giustizia repartiti in 26 podesterie con 8 capitanati, mentre tutti gli altri sono vicariati, oltre infiniti luoghi aperti e popoli di campagna.
Le città sono Montalcino, Pienza, Massa, Grosseto, Sovana e Chiusi. Ma Siena è quella che ha il nome dello stato, e che è la cit tà principale, dalla quale dipende il governo e reggimento con i soliti Ordini, Maestrati, e Consigli colle dignità del Palazzo, ove risiede sempre la Signoria; dimodochÊ i Sanesi colla forma de'soliti uffizj loro, non gli parendo aver mutato governo, sebbene la condizione mutata, del tutto stanno quieti, poichÊ dal terrore del principe si veggono cessare dal sangue et essere sicuri dalle tirannie de'loro potenti cittadini.
Sta ora nella città di Siena un governatore generale, che immediate rappresenta il Principe con superiore autorità , il quale ha l'occhio a tutte le cose; e senza sua saputa e volontà non si fa cosa d'importanza, previa partecipazione del Principe. E delle sette città dello stato, le quali sono fortificate e custodite, la principale è Siena che per lo sito fortificatissimo, e per la fortificazione fattavi che tuttavia si va riducendo a miglior forma , sarà inespugnabile. Ma (lo stato) tiene altre 9 fortezze di molta importanza.
Sono i Sanesi molto accomodati e tutti hanno del suo, e non attesero mai ad industrie alcune , se non a quelle dell'agricoltura; dimodochĂŠ solevano vivere continuamente in una dannosa libertĂ delicatissimamente.
E le donne tutte piene di spirito e di lusso erano quelle che facevano la cittĂ molto piĂš bella e dilettevole, ma gli uomini ambiziosi sopra modo gli onori, per farsi padroni dell'entrate pubbliche ed usarle a modo loro, sempre contendendo insieme fino al sangue, ammazzandosi e tagliandosi a pezzi, ed essendo divisi in parti fra loro, talchĂŠ in pochi momenti furono ammazzati 46 dei principali della cittĂ , che fu l'ultima loro strage; di maniera che senza uscir fuori di casa, ed in casa propria stando sull'arme riescivano buoni e valorosi soldati.
Ma finalmente le pazzie loro causate dal troppo comodo e dalla molta morbidezza gli hanno condotti in servitÚ; però dicono pubblicamente che perfino a che non saranno tocchi colle gravezze ed angarie, delle quali sono liberi, staranno sempre ne'termini, ma altrimenti saranno quelli medesimi che sono stati, desiderosi di cose nuove.
Il che conoscendo ed intendendo il Principe, ci va ponendo il freno per levargli ogni ardire, e per abbassarli quanto piĂš puòâŚâŚ.
Ă la cittĂ di Siena cosĂŹ com'è bella; nobile e accomodata, cosĂŹ è piena d'onorati edificj, di palazzi, di chiese e di ospitali ricchi e benissimo governati. - E furono i Sanesi, et sono piĂš che mai nimicissimi ai Fiorentini; avendo insieme combattuto piĂš volteâŚ.. e dicono i Sanesi che non potranno tollerare, nĂŠ tollereranno mai di essere sottoposti ai Fiorentini; ma che colla casa de'Medici non avendo avuto nimicizia sopportano essere da lei governati, poichĂŠ a quella vedono medesimamente sottoposti i Fiorentini, e che avendoli per compagni nella misera servitĂš, gli pare di essere sollevati assaiâŚ..â Infatti piĂš sotto il veneto valoroso, riportando il sunto di un abboccamento da esso avuto col Duca Cosimo, soggiunge: âDi quello (stato) di Siena, mi disse: io cavo poco per ora per l'esenzione fattagli per la guerra, ma penso ridurli a buon termine. - Ora cavo poco piĂš di 100,000 scudi oltre la spesa; e questo danaro si cava solamente dalle pasture, ovvero dai pascoli, dal sale e dai dazj; i quali dazj io spero che si ridurranno molto maggiori presto; perchĂŠ torneranno li traffichi e moltiplicheranno le genti, e cosĂŹ anderanno crescendo ogni dĂŹ piĂš, talchĂŠ l'entrata libera e netta di spesa è di 60,000 ducati, la milizia descritta e di 7000, tutta gente eletta che il sanese fa sempre buoni soldati ecc. ecc.â - (FEDELI, Relazione MS. nella Magliabechiana).
Arroge alla relazione del Fedeli l'attestato di uno storico contemporaneo quale si fu Giovan Battista Adriani, allorchĂŠ nell'anno 1560 della Storia de'suoi tempi (Lib.
TestĂŠ citato) ne avvisava âche il Duca Cosimo nel dimorare che fece in Siena dopo la tornata da Roma riconobbe i magistrati, confermò loro l'autoritĂ , ed in alcuna parte li riformò, e vi creò un consiglio grande di buon numero di cittadini scelti di tutte le famiglie nobili, ma non piĂš di uno per casa, e che i consiglieri non avessero meno di 35 anni, i quali si dovessero radunare a tempi opportuni nella loro sala col capitano del popolo ed i signori per creare la Signoria e i quattro consiglieri del capitano con altri maestrati e uffizj per di fuori e dentro, perchĂŠ risedessero ai governi; dal numero dei quali consiglieri gli uffiziali di Balia dovessero essere eletti dal Duca, e che stessero in uffizio per un anno. Ordinossi inoltre un nuovo magistrato chiamato de'Conservadori dello stato da durare in impiego un anno ed il di cui scopo esser doveva difendere e guardare le rendite e beni delle ComunitĂ del dominio sanese.
Queste ed altre cose che avevano bisogno di regola fermò il Duca cosĂŹ nella cittĂ come fuori, quindi partĂŹ per visitare tutto lo Stato nuovo, avendo lasciato che alla fortezza di Siena, la quale non era nĂŠ finita, nĂŠ bene divisata, si dovessero fabbricare alcuni baluardi, ristringendola molto dal primo disegno, e vi si lavorò sollecitamente molti mesi.â - (Vedere la legge del 5 febbrajo 1561 (stile comune) sulla riformagione del governo della cittĂ e stato di Siena.) Inoltre lo storico Adriani aggiunge, che, scopertasi nell'entrata che fece al suo andarvi il Duca in Siena una vana ambizione del segretario (Fedeli), il quale essendo con la corte ebbe animo di volere il luogo sopra l'ambasciatore della Repubblica di Lucca, ma per non avere egli il titolo d'ambasciatore della sua Signoria essendogli dato il torto, se ne sdegnò e poco di poi prese licenza di tornarsene a Venezia. Il qual fatto è accennato pure nella relazione stessa del Fedeli al veneto senato.
Un altro bando del 30 agosto 1559 fu motivato dalle trame che si ordinavano in Siena contro il governo di Cosimo, siccome lo dichiarò il Duca stesso in una lettera del 28 agosto di detto anno diretta a Monsignore Agnolo Niccolini suo luogotenente e governatore di Siena, colla quale inviò un bando che proibiva di tener armi tanto in città come in campagna nel raggio di 10 miglia toscane da Siena; bando che richiama quello del 27 luglio 1557, il primo per avventura stato pubblicato in Siena da Cosimo de'Medici.
Rispetto alle leggi e regolamenti generali concernenti lo stato sanese, una delle prime istituzioni fu quella dell'Uffizio de'paschi designato sotto il nome di Dogana, per far intendere che il territorio pubblico della Maremma sanese era destinato per il pascolo del bestiame grosso e minuto. Cotest'Uffizio dava a fido, ossia a frutto, le terre per pascolarvi il bestiame col pagare al governo la gabella del pascolo.
A tale effetto nel 1572 Cosimo I approvò la nuova riforma de'statuti riguardanti i pascoli pubblici del dominio sanese; mentre due anni dopo sotto il di lui figlio e successore Francesco I fu firmata altra legge ad oggetto di provvedere meglio ai pascoli di Dogana, o dello stato, la cui rendita netta annua ammo natva allora sino a 32,000 scudi o poco meno. - E sebbene in una relazione del 9 agosto 1613 la rendita de'paschi della Maremma fosse giĂ diminuita, ciò non ostante essa riguardavasi la maggiore che vi avesse il governo. â Vedere SIENA ComunitĂ S.
Stabilimenti di economia pubblica.
Nel 1568 il Comune di Siena inviò al sovrano una memoria relativa ai pascoli di Dogana, che promosse nuovi regolamenti rispetto ai magistrati ed ai pascoli pubblici della Maremma stati pubblicati negli anni 1574, 1584 e 1588.
Nel 1579 il Granduca Francesco I ordinò un nuovo compartimento dei tribunali nello stato senese.
Nellâanno 1622 il magistrato della Badia di Siena fece una rappresentanza al governo in cui si diceva che in Maremma lâarte agraria era ridotta a poco o nulla per cui le due Granduchesse tutrici destinarono quattro nobili sanesi per visitare la provincia inferiore di Siena onde suggerirne i rimedj.
Non per questo i costumi divennero migliori, essendochè il popolo trovandosi vessato da leggi troppo severe, spaventato dalle minacce e dal duro procedere daâ PP.
Inquisitori, cresceva nella ferocia e nel mal animo suo contro un governo al quale non solo non poteva piĂš in alcun modo partecipare, ma ne era stato allontanato dalla costituzione monarchica, e tenuto in freno dalla forza armata e dal cannone. Arroge che un tal sistema invece di estinguere le passioni fomentava nel volgo anzi che no le false opinioni sugli incantesimi, per modo che lâinquisizione nei primi anni del governo mediceo si rese terribile in Siena al segno che nel 1569 un Auto da Fè mandò sul rogo e fece bruciare vive cinque donne convinte di aver rinunciato al battesimo, di essersi date al demonio, e di aver ciurmato diciotto bambini. â (GALLUZZI, Storia del Granducato).
Accadeva ciò nellâanno stesso in cui Cosimo I mediante molte cure e maneggi diplomatici veniva incoronato dal Pontefice Pio V in Granduca di Toscana, per cui vedendo che assodavasi la fresca sovranitĂ , tolse alla provincia piĂš ricca di granaglie ogni libertĂ frumentaria collâimporre una gabella nelle Maremme di lire 7 e 1/2 sopra ogni moggio di grano, mentre quattro anni innanzi furono date altre disposizioni (1565) onde regolarne la tratta per la via del mare.
Al quale proposito lo storico del Granduca aggiunge âche ai tempi di Francesco I, figlio primogenito successo nel trono al Granduca Cosimo I nel ministero fiorentino aveva preso la massima che lo stato di Siena dovesse servire a quello di Firenze con lâavanzo deâsuoi prodotti.
In conseguenza di ciò tutto tendeva a operare in guisa che ogni vantaggio dello stato sanese ridondasse sempre in maggior benefizio di quello fiorentino; e siccome non poteva entrarvi altro denaro che per mezzo dei suoi prodotti, qualunque vincolo che si opponesse alla vendita deâmedesimi impoveriva direttamente lo Statoâ⌠Il granduca Francesco I continuò per qualche tempo il metodo adottato da Cosimo suo padre collâaprire e chiudere temporariamente le tratte de grani di Maremma a seconda della maggiore o minore raccolta.
âMa la sua aviditĂ prosegue lo storico, gli suggerĂŹ un metodo di profittare di simil sorta di tratte con raddoppiare la tassa che prima era di uno scudo per moggio, portandola a due scudi. Vide egli che in un decennio essendosi estratte 7991, era un bel colpo il raddoppiare questa somma, siccome egli fece nel 1578.â In conseguenza di tale aumento, se da una parte si accrebbe lâerario del Principe, portò dallâaltro canto una notabilissima diminuzione nella sementa, ed uno scoraggiamento universale ne proprietarj e affittuarj di quelle terre, ma non per questo se ne conobbe subito, o non si volle conoscere la cagione, la quale spingeva le sue radici fino ai tempi della repubblica sanese in un vecchio statuto di Grosseto dellâanno 1378.
Cotesti mali erano resi piĂš gravi dallâincertezza e crescente languore delle antiche manifatture e dalle nove abitudini della nobiltĂ sanese, la quale ai tempi della sua Repubblica, intenta principalmente alle operazioni agrarie della sua campagna, veniva distratta dallo spirito cavalleresco e impegnata nel lusso maggiore che esigeva una corte sovrana, mentre ogni piĂš diminuivano le raccolte di suolo, accrescendosi il cumulo delle pubbliche disavventure.
Si tentò infatti di portarvi un rimedio collâistituzione del Monte deâPaschi, stabilimento unico nel suo genere che ebbe origine in Siena nel 1624, colla veduta di frenare le usure eccessive nei cambi e di favorire lâagricoltura, previa la sovrana approvazione del 30 dicembre del 1622, colla quale fu assegnata per garanzia la somma di scudi 200,000, portata nel 1640 fino a 300,000, sopra lâUffizio deâPaschi di Dogana , mediante il frutto del 5 per cento.
Oltredichè una compagnia di cento nobili fu istituita nel (ERRATA: 1691) nel 1591 in Siena, nella quale ciascun individuo distinto con simboli, impresa e nome accademico, ed era una scuola dâarmi e nel tempo stesso di scienziati. Al Granduca Ferdinando I essendone il capo, fu data lâimpresa del re delle Api col motto in una medaglia Majestate tantum, invenzione che fu del Cavalier Scipione Bargagli; il Marchese Giovanni Vincenzo Vitelli luogotenente della compagnia spiegava lâimpresa di un cane bianco a sedere in un campo nero col motto: NĂŠ piĂš fermo nĂŠ piĂš fedele; il conte Germanico Ercolani alfiere tolse per divisa un cavallo fornito deâ suoi arnesi guerrieri col motto: In quocumque belli munus.
Lâimpresa comune della compagnia era una schiera di pecchie in atto di aguzzare lâaculeo col motto: Pro Rege exacuunt. â (RUOLO, ovvero CENTO IMPRESE DEI SIGNORI UOMINI DâARME SANESI. Bologna 1591).
Cotesto patriottismo dellâonore sotto nome cavalleresco ne richiama alla smania châebbero i repubblicani sanesi di suddividere la loro nobiltĂ in altrettanti Ordini o Monti diversi, per cui venne a mancare nella stessa cittĂ quel bisogno di concordia e di unione che da ogni lato cerca punti di contatto tra i figli di una stessa patria onde stringersi con vincoli di generoso accordo e di reciproca amorevolezza.
Dopo la visita del 1572 da Cosimo I ordinata al suo auditore fiscale Francesco Rasi, fin credibile che le relazioni deâperiti spediti dal governo sanese nelle due province, superiore e inferiore, dello stato sanese, diretta allo stesso scopo, fossero frequenti se non continue. Senza dire di quella compilata nel 1639 dal Coresi del Bruno e inserita nel suo Blasone sanese, opera in IV Volumi in fol. MS. nella Magliabechiana, senza rammentare la visita piĂš nota del Gherardini, mi limiterò a citarne una incominciata nellâanno 1589, e continuata in piĂš luoghi di quel territorio per ordine del Granduca Ferdinando I da Fabiano Spini viceprovveditore del magistrato deâconsiglieri dello stato di Siena, e il di cui originale conservasi nellâarchivio della Camera delle ComunitĂ di Siena.
Comecchè si dica nel frontespizio fatta quella visita nel 1598 essa per altro fu incominciata sino dal 1589 nel capitanato di Arcidosso, siccome apparisce da una lettera autografa del 3 febbraio 1588 (stile Fior. E San.) ivi riportata da Giulio del Caccia senatore fiorentino luogotenete e governatore generale della città e stato di Siena, relativa alla consegna da farsi in Arcidosso, previa cauzione, agli acquirenti della farina di castagne del patrimonio granducale.
Che la stessa visita continuasse per un corso di anni lo manifesta anche una lettera autografa del 5 febbraio 1593 (Stile Fior. e San.) scritta da Fabio della Cornia governatore ai consiglieri dello stato di Siena sulla caccia deâlupi e sulla mercede da darsi per la loro estirpazione.
Inoltre in altro libro MS. di visite da farsi ai magistrati di Siena e dello stato si rileva che a tenore di una provvisione del granduca Ferdinando I emanata nel 1588 le visite suddette dovevano essere annuali.
Fra le istruzioni date a tale uopo vi è quella relativa allâuffizio appellato, Magistrato o cassa di Bicherna, dove molte ComunitĂ del territorio sanese versavano le imposizioni, chiamate Tasse di Bocche, e alcuni debiti vecchi. âEssendo poi a suo carico (dice lâistruzione) il mantenimento delle piazze, âstrade, mura urbane e fonti pubbliche, perchĂŠ la fonte del Ponte (esistente âtuttora dentro Siena) tanto proficua e necessaria al pubblico e al privato âservizio per abbeverarvi le bestie nonchĂŠ per bevere, oltre alla comoditĂ âalle povere donne che lavano i bucati nel lavatojo di sotto alla fonte, era da âpiĂš mesi asciutta, per essere stata deviata oltre il dovere per le case âdeâparticolari, ordina, ecc. â Vi si rammentano pure le guardie deâvigili esistenti in Siena sin dai primi secoli della repubblica il cui uffizio era quello di accorrere per riparare glâincendi ecc.
Nel 1592 fu stampato un nuovo statuto col titolo di Formulario sanese, in cui tra le altre cose si proibiva ai notari di rogare possessi di benefizj senza licenza, di S.A.S, o del suo governatore; lo che era stato espresso in un bando precedente del 27 agosto 1565 dal cardinal Angiolo Niccolini luogotenente e governatore di Siena per Cosimo I, bando che fu rinnovato nel 25 ottobre 1603 dal governatore Marchese Tommaso Malaspina deâMarchesi di Villafranca.
Lo stesso Granduca Ferdinando I nellâanno 1602 aveva orinato una riforma nel collegio della Sapienza di Siena pel convito di quei scolari onde vivessero in comunitĂ , il quale uso essendo stato abbandonato, fu rimesso in vigore dal di lui figlio Cosimo II che nel 1612 ordinò una statistica della popolazione del territorio sanese, forse la piĂš antica fra le superstiti dello Stato nuovo .
Dopo la morte però di questo giovine Granduca il governo essendo regolato a piacere di due vedove Granduchesse, vi sâintrodussero disordini dâogni sorta; sicchè Ferdinando II, allorquando giunse alla maggior etĂ per assumere le redini del governo, trovò talmente esausto lâerario e rovinato lo stato che ebbe pena a rimetterlo. Con tutto ciò sotto quel granduca si tentò di far risorgere lâagricoltura e il commercio. Però nella provincia inferiore sanese la decadenza di quel paese era talmente aumentata che a proporzione della cresciuta insalubritĂ andavano diminuendo le braccia per i lavori campestri, nonchĂŠ il prodotto dei pascoli neâterreni che non davano piĂš altro utile ai proprietari se non quello della fide di pastura.
Fu sotto Ferdinando II ordinata una nuova visita per tutto lo stato sanese, nella quale si dovevano indicare le rendite di ciascun paese, grande o piccolo che fosse, il numero deâpoderi, quello delle famiglie, e dei respettivi abitanti. E vaglia il vero fu dalla visita del 1640 che io potei estrarre la popolazione dello stato sanese dalla prima epoca la quale, se non è la piĂš antica, precede di 36 anni quella del Gherardini, popolazione riportata nella presenta opera sotto i capoluoghi delle comunitĂ di quello stato, suddiviso fra i Compartimenti di Siena, di Grosseto, e in parte dato a quello di Arezzo.
Ma la visita piĂš importante per i principj economici dal suo autore sviluppati, visita che può dirsi fonte inesausta dâimportantissime veritĂ , fu quella fatta nel primo anno fortunatissimo che la Toscana toccò in retaggio allâAugusta Casa regnante.
Fu il Discorso economico dellâarcidiacono sanese Sallustio Bandini scritto circa lâanno 1738, sebbene pubblicato la prima volta nel 1775; fu quel Discorso che senza tema di cadere in errore si può dire che desse il primo slancio alle beneficenze sovrane rispetto alla provincia inferiore sanese per le opere ordinate dallâImperatore Francesco I, quindi dal granduca Pietro Leopoldo prodigate, e finalmente con somma munificenza sopra un piano piĂš generale e piĂš efficace dal Granduca Leopoldo II felicemente regnante estese e continuate.
Nemico degli ostacoli di ogni sorta lâarcidiacono Bandini con mete aperta e cuore integerrimo si slanciava contro le gravose gabelle, la restrizione delle tratte, contro gli appalti, le proibizioni e la troppa moltiplicitĂ deâbandi; e onde allontanare le carestie, con ragioni riconosciute valide 40 anni dopo, dimostrava il bisogno di una libertĂ agricola intera in specie per i prodotti della Maremma. â I prezzi delle grasce, diceva egli, sono stabiliti dai bisogni e dal consumo; i ricchi terrieri restano poveri colle cantine e i granai pieni, i terreni perdono di prezzo, e mancando il credito allo stato, viene a scemarsi il tributo fondiario.
Una circolazione rapidissima e continuata (cito sempre le parole dellâarcidiacono sanese), moltiplica in proporzione i capitali e fa prosperare tutte le classi di una popolazione.
In questo modo scriveva Bandini un secolo innanzi che sâinventassero le macchine e che si trovasse la via di correre per vettura e per battello a forza di vapore.
Lâarcidiacono Sallustio era talmente convinto di tali veritĂ â che non darei âper sospetta (soggiungeva egli) nel giudizio di questa causa, se non la âcondizione di persone che si pascono, dirò cosĂŹ, di carni morte, cioè, che si âarricchiscono in un processo, nella rovina di una famiglia, ecc. eccâŚMa âessendochè io propongo un edifizio che farebbe ombra a quei luminosi âposti che essi godono, sâingegneranno eglino destramente ad ingrandirne le âdifficoltĂ , ad esagerare lâimperizia dellâarchitetto, ma non si arrischieranno âmai a dire che non vi sia necessitĂ di pensare ad un nuovo regolamentoâ.
Fuvvi finalmente chi a questo regolamento ed al Discorso economico del Bandini rivolse il pensiero.
Il Grande Leopoldo Principe filosofo, e vera sorgente di sagge provvidenze governative, fino dai primi anni del suo governo granducale fece esaminare i difetti onde ricorrere ai mezzi piĂš opportuni per risanare la Maremma sanese. In pochi anni lo stesso Leopoldo I operò nello stato sanese assai piĂš che non si era fatto nel lungo periodo del governo mediceo. Le provvidenze economiche suggerite dallâarcidiacono Bandini furono associate alle fisiche progettate dallâingegnere idraulico Pad. Ximenes. Si abolirono le gravezze fiscali, si accordò la libertĂ ai prodotti del suolo, si migliorò lâamministrazione politica e quella della giustizia, si fornirono mezzi per costruire case ai nuovi proprietari, si edificarono neâpoggi lontani acquedotti sino ai paesi di pianura per somministrare acqua salubre da bere, e tutto ciò nel tempo medesimo che si tentava di rinfrescare le acque stagnanti, credute, se non lâunica, al certo la causa piĂš essenziale della malsanĂŹa della Maremma sanese.
GiĂ si disse altrove che il giorno 3 settembre 1765 in cui arrivò in Firenze i Granduca Pietro Leopoldo può dirsi per la Toscana il primo giorno del suo secolo dâoro. â (Vedere FIRENZE, Vol. II. p. 244).
Avvegnachè dallâaurora del felice avvenimento al trono della Toscana di Leopoldo I, cotesto sovrano risolve la mente e dedicò il regio erario a correggere e con sagaci provvedimenti a riparare tanti mali. Egli provvide allâabolizione di regolamenti e di privilegj speciali di corporazioni di arti, di caste e di fa miglie, ed a semplicizzare il sistema delle imposizioni di tanti dazj molteplici e indiretti che riempivano la Toscana di frodatori e di concussioni con danno immenso del progresso industriale.
Non vi è che prima del sanese Bandini alzasse forte la voce contro tanti abusi, e chi meglio di lui sino allâevidenza dimostrasse che i molti inceppamenti e fiscalitĂ erano i mezzi piĂš sicuri onde spopolare e impoverire maggiormente le piĂš fertili ed ubertose contrade.
Frattanto il Discorso economico dellâarcidiacono rimase quasi sconosciuto sino allâarrivo in Toscana del granduca Leopoldo I; e comecchè cotesta opera fosse stata scritta al primo annunzio che il granducato di Toscana sarebbe toccato allâAugusta Casa allora regnante in Lorena, il Discorso economico non comparve alle stampe se non che 37 anni dopo.
Peraltro sino dal 1769 erano venuti alla luce i due Ragionamenti della fisica riduzione della Maremma sanese del P. Ximenes corrispondente allâepoca dellâoperazioni idrauliche ordinate in quella provincia sotto gli auspici del Granduca Pietro Leopoldo, operazioni che per qualche tempo continuarono secondo il piano allora proposto e stabilito, quello cioè di procurare lo scolo alle acque mancanti di molo, come cosa la piĂš essenziale alla salubritĂ dellâaria. â Vedere GROSSETO, Vol. II. pag. 545 e segg. di questâOpera.
Dopo che Pietro Leopoldo con motuproprio del 10 novembre 1765, primo anno del suo regno divise in due province lo stato sanese, e che nella provincia inferiore, ossia della Maremma vi ordinò un governo economico e giuridico immediatamente dipendente dalla sua sovrana autoritĂ , dopo coteste misure organiche uno deâ tanti provvedimenti salutari concesso dal Granduca ai sanesi fu quello dettato nel dĂŹ 11 gennaio 1772, col quale si degnò istituire un deputato civico nella cittĂ e provincia superiore dello stato di Siena, da eleggersi ogni anno dal collegio di Balia, il quale deputato, indipendentemente da qualsiasi tribunale e magistrato avrebbe dovuto esaminare e far presente direttamente al trono i bisogni, esponendo i vantaggi dellâuniversale e deâ propri concittadini in particolare.
Nellâanno 1774 con altro motuproprio del 2 gennajo il Granduca emanò la legge per un nuovo compartimento per i tribunali di giustizia della provincia superiore sanese, riformando quello del 16 gennajo 1691 allorchè volle ampliare il perimetro della giurisdizione criminale del capitano di giustizia della cittĂ di Siena, e istituire nella stessa provincia dei vicariati regi e 12 potesterie civili soggette ai primi rispetto agli affari criminali; mentre sette mesi innanzi con la legge del 14 giugno 1773 fece abolire la giurisdizione del magistrato della Grascia.
Nel 2 giugno 1777 fu emanato il regolamento generale per una nuova organizzazione delle comunitĂ allora esistenti nella provincia superiore dello stato di Siena.
Fra le riforme deâvecchi sistemi non meno importante si può dire quella dellâabolizione di uno dei vincoli alla proprietĂ dei beni di suolo; quando fu tolta dal Gran Leopoldo la servitĂš del pascolo pubblico sulle terre di privata proprietĂ sulle Maremme. Si cominciò quasi per prova con la legge del 3 giugno 1769 ad esentare da simili dipendenze i terreni dati a quei forestieri che si stabilivano nella provincia inferiore, quindi nove anni dopo con la legge del dĂŹ 11 aprile 1778 fu abolita generalmente la servitĂš deâpascoli comunali; sicchè agevolando ai possidenti terrieri i mezzi della riunione dellâ jus pascendi con la proprietĂ del suolo gli si concederono le pasture amministrate dal magistrato del Monte deâPaschi di Siena, il quale restò soppresso contemporaneamente alla legge sulle Manimorte. E affinchè il benefizio di queste riforme si conservasse con la stessa legge dellâaprile 1778 furono annullati i dazj imposti sopra il bestiame dâogni specie, per lâintroduzione transito ed estrazione del Granducato.
NĂŠ a quei soli benefizj quei provvedimenti si arrestavano, poichĂŠ oltre alla piena libertĂ concessa al commercio deâprodotti agricoli, la provincia inferiore sanese ebbe quello di poter lavorare il ferro, di seminare e manipolare il tabacco, e dâintrodurvi molti altri generi proibiti per il rimanente del Granducato. Inoltre i costruttori di nuove case ottennero incoraggiamento con sussidj in denaro, in legname gratuito, in ferro e in arnesi a prezzo vilissimo, oltre non pochi ajuti in diversa specie fra i quali lâesenzione da alcune tasse e gabelle dello stato.
Queste e altre molte riprove di amorevolezza e di sapienza furono date dal Gran Leopoldo a oggetto di facilitare lâaccasamento degli abitanti e dei coltivatori nella provincia inferiore sanese, riprove che avrebbero probabilmente condotto al resultato che lâAugusto Sovrano desiderava, se la vita non avesse piĂš incontrato in Maremma pericoli gravissimi per effetto del clima.
Mancando però lâarte alle sue promesse, mancarono anche i benefizj che a gran prezzo erano stati retribuiti: non mancò la sapienza amministrativa e molto meno la generositĂ del Principe di cui chiare rimangono ancora e rimarranno per sempre le vestigia. â (F. TARTINI, Memorie sul bonificamento della Maremma , Firenze, 1838).
Graditissimo inoltre riescĂŹ ai cittadini senesi lâordine dato nel 1778 dal Granduca Leopoldo I di aprire al pubblico passeggio la fortezza innalzata da Cosimo I a sicurezza del suo dominio. â Vedere pag. 348.
Mercè il motuproprio del 20 agosto 1790 da Granduca Ferdinando III augusto figlio e successore di Pietro Leopoldo, fu ordinato che al luogotenente e governatore di Siena fossero riunite le incombenze del ministro superiore di pulizia della città e provincia sanese; la qual giurisdizione con legge del 29 novembre 1838 fu trasferita negli auditori del governo.
Io non parlerò del periodo del regno dâEtruria, nĂŠ di quello dellâinvasione francese che obbligò il legittimo Granduca di Toscana Ferdinando III ad abbandonare per tre lustri i suoi amatissimi sudditi, e molto meno starò a rammentare un periodo ancora piĂš lacrimevole per la storia della Toscana, quando uno sciame di gentaglie armate di furore piĂš che di fucili, col nome di Maria in bocca e col demonio in cuore spogliava, uccideva e bruciava a capriccio chi non era stato fanatico realista.
Cotesto luttuoso periodo vorrei poter cancellare dalla storia della città per non avere occasione di rammentare il giorno terribile del 28 giugno 1799, quando la plebaglia unitasi ai cosi detti Aretini entrati in quel giorno in Siena, spogliarono, trucidarono, abbruciarono vivi non meno do dodici israeliti di varie classi e di ambo i sessi; nÊ starò a rammentare il superbo niello scolpito nella Pace del Duomo, che il magistrato sanese di quel tempo regalò alla Madonna di Arezzo.
Ma per buona sorte dellâumanitĂ cotesto stato di violenza dovè cessare e finalmente la Toscana tutta nel 1814 potè tornare nel pacifico grembo del suo desideratissimo sovrano Ferdinando III, che dopo di lui ritornò sul trono avito fra le opere di stato utilissime ai Senesi si conta quella dellâistituto aperto alle Belle Arti; vi è lâorganizzazione di un nuovo sistema amministrativo per tutto il Granducato repartito in quattro poi in cinque Compartimenti (giugno 1814 e novembre 1825); evvi lâordinazione del nuovo catasto (1817), mentre lâistituzione del corpo degli Ingegneri di acque e strade devesi alla legge del 1 novembre 1825, mentre le loro direzione generale spetta al regolamento del 10 dicembre 1826 opere tutte del Granduca Leopoldo II felicemente regnante; cui pure si debbono gli ordinamenti amministrativi tendenti a preparare la riforma del sistema economico agrario delle Maremme, dopo avere Sua Altezza ordinato lâopera grandiosa del loro bonificamento. Inoltre dalla munificenza di Leopoldo II Siena al pari di tutto il Granducato di Toscana, ricevè una nuova organizzazione deâtribunali e dellâordine giudiciario (2 agosto 1838); una essenziale riforma degli studi nelle UniversitĂ di Pisa e di Siena (1840) per non dire di tanti altri provvedimenti utili alla cittĂ di Siena, come per esempio la casa deâPoveri, lo stabilimento deâSordo-Muti, ecc. ecc. su di che avrò luogo di ritornare allâArt. seguente, SIENA, COMUNITAâ.
MOVIMENTO della popolazione della CITTA' DI SIENA a cinque epoche diverse, divisa per famiglie.
ANNO 1640: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici secolari e regolari -; monache e converse -; ebrei e acattolici -; numero delle famig lie -; totale della popolazione 15998.
ANNO 1745: Impuberi maschi 1688; femmine 1492; adulti maschi 2439, femmine 2928; coniugati dei due sessi 4434; ecclesiastici secolari e regolari 788; monache e converse 980; ebrei e acattolici 296; numero delle famiglie 3198; totale della popolazione 14645.
ANNO 1833: Impuberi maschi 2373; femmine 2462; adulti maschi 2830, femmine 3678; coniugati dei due sessi 6581; ecclesiastici secolari e regolari 256; monache e converse 236; ebrei e acattolici â (1); numero delle famiglie 4633; totale della popolazione 18860.
ANNO 1840: Impuberi maschi 2572; femmine 2587; adulti maschi 3003, femmine 3974; coniugati dei due sessi 6520; ecclesiastici secolari e regolari 284; monache e converse 301; ebrei e acattolici -; numero delle fa miglie 4514; totale della popolazione 19646.
ANNO 1843: Impuberi maschi 2478; femmine 2466; adulti maschi 3398, femmine 4137; coniugati dei due sessi 6849; ecclesiastici secolari e regolari 367; monache e converse 274; ebrei e acattolici 364; numero delle famiglie 4598; totale della popolazione 20333.
(1) Negli anni 1833 e 1840 la popolazione degli Ebrei e degli Acatolici fu ripartita nellâinsieme della popolazione della cittĂ .
COMUNITAâ DI SIENA La ComunitĂ di Siena trovasi circoscritta dalle mura urbane fra il grado 43° 18' e 19" di latitudine ed il grado 28° 54' 55" di longitudine. â La sua maggior lunghezza è da settentrione a ostro-libeccio; vale a dire dalla Porta Camollia sino in fondo alle mura di via delle Sperandie presso la Porta S. Marco, la quale distanza si estende per gradi 0. 1'. 8" di longitudine. La maggior larghezza della cittĂ di Siena è quella da ponente-maestrale a levante- scirocco partendo dallâangolo piĂš occidentale della fortezza sino alla Porta Pispini o di San Vieni la quale abbraccia gradi 0. 1' 18" di latitudine settentrionale.
Le mura urbane di questa cittĂ girano poco piĂš di quattro miglia toscane in una superficie irregolare di 412,36 quadrati (circa un mezzo miglio quadrato) non escludendo 72 quadrati occupati dalle pubbliche piazze e dalle strade.
La popolazione nel 1833 era di 18,860 persone, quella del 1843 era aumentata fino a 20,333 abitanti, cioè di 1473 individui di piÚ, repartiti in 4598 famiglie.
Ă contornata da due sole comunitĂ , cioè, da quella delle Masse del Terzo di CittĂ , e dallâaltra pure delle Masse del terzo di S. Martino. La prima si accosta alle mura urbane di Siena che dalla parte di settentrione girano per ponente fino ad ostro; dalla porta di Camollia sotto la Fortezza, e di lĂ per la porta di Fonte Branda, porta Laterina, porta S. Marco e porta Tufi fino alla porta Romana; mentre costĂ , procedendo da scirocco verso levante e grecale sottentra il territorio della ComunitĂ del Terzo di S.
Martino, il quale passa rasente le mura di Siena per porta Pispini e porta Ovile sino a quella di Camollia.
Non si può senza vederne la pianta precisare con qualche veritĂ la figura grafica di Siena stante i valloni che scendono dal biforcato poggio, lungo il quale si alzano i maggiori templi, la sveltissima Torre del Mangia, e le strade principali di questa cittĂ . Le porte nei punti piĂš elevati sono quelle di Camollia, di Laterina, di S. Marco e la porta Romama . Le altre quattro scendono in altrettanti valloni sul quale scorre il torrente Bozzone, che uno dopo lâaltro poco lungi da Siena si svuotano nel fiumicello Arbia.
Quattro strade regie fanno capo a Siena, oltre a quella suburbana detta di Pescaja . Due di esse sono postali, una che vi entra per porta di Camollia venendo da Firenze, lâaltra che esce da porta Romana per Radicofani e Roma.
Le altre due non postali escono per porta S. Marco per andare a Grosseto e nella sua Maremma, e la seconda, dalla porta Pispini per Arezzo.
Chi considerava la posizione di Siena come quella di una cittĂ centrale della Toscana meridionale, non sâingannava, siccome non sâingannò Giovanni Villani, quando nella sua cronica dichiarava la Terra di Poggibonsi nel bilico della Toscana .
La posizione corografica priva la cittĂ di Siena non solamente di corsi dâacqua che lâattraversino, ma ancora di buoni pozzi e di fontane copiose di acqua potabile e agli usi domestici indispensabilissima.
Per riparare a tanta necessitĂ gli antichi Sanesi procuraronsi varie fonti pubbliche ricercando acque sotterranee da lungi mediante stillicidj, non giĂ che essi lo volessero, come scrisse poetando lâAlighieri, ricercare nelle viscere deâloro colli lâimmaginaria riviera della Diana.
Non vi è chi possa dubitate dellâantichitĂ di questi sotterranei acquedotti, la cui origine rimonta probabilmente allâepoca della colonia militare di Siena, siccome lo fa credere la magnificenza e spesa grande di quei lavori, per i quali al dire di Strabone, i Romani superarono ognâaltra nazione, su di che mi riserbo piĂš sotto a parlare.
Nettampoco starò qui a intrattenere chi mi legge sulla struttura geognostica del biforcato poggio sul quale siede regina cotesta cittĂ , considerandolo come una piccola parte del territorio delle due comunitĂ suburbane, quelle del Terzo di CittĂ e del Terzo di S. Martino, alle quali richiamo il lettore. â Vedere piĂš sotto SIENA, COMUNITAâ DEL TERZO DI CITTAâ, e SIENA, COMUNITAâ DEL TERZO DI S. MARTINO.
Solamente dirò che il suolo della cittĂ apparisce in generale coperto da banchi profondissimi di tufo calcare siliceo, giallo-rossiccio, volgarmente appellato sabbione, i quali bene spesso alternano nelle parti piĂš elevate con banchi altissimi di ciottoli e di grosse ghiaje della mole da un uovo di piccione a quello di struzzo e insieme collegati da un glutine calcareo-siliceo. Ma ciò che maggiormente sorprende è di trovare codesti banchi formati esclusivamente di pietra calcareo-compatta, ciò che basta indicare esservi stati strascinati da lungi allâoccasione di alcune correnti impetuose di acque.
La situazione alquanto elevata di Siena ha dalla parte di grecale alquanto lungi da sĂŠ i monti pietrosi del Chianti, e dirimpetto a maestro e a ponente i colli di Montemaggio, e della Montagnuola, mentre da tutti gli altri lati i monti sono assai piĂš lontani dalla cittĂ . Che se cotesta situazione contribuisce da un lato a rendere lâaria elastica e salubre, dallâaltro canto un orizzonte aperto in mezzo a valli profonde rende il clima di Siena alquanto piĂš rigido di quello che dovrebbe comportare la situazione geografica e lâaltezza deâsuoi colli; sicchè su questo proposito il Padre della Valle diceva: Se toccasse a me lo scegliere in Toscana i paesi da abitarsi, passerei lâinverno in Pisa, e lâestate in Siena.
Cerchi principali delle mura di Siena.
Qualora si dovesse prestar fede a non pochi scrittori di epoca troppo moderna, bisognerebbe dire che la cittĂ di Siena dalla sua origine in poi sia stata circondata da otto e perfino da nove giri di mura urbane, gli ultimi sempre maggiori di periferia, assegnando a ciascuno di quei recinti unâetĂ del tutto immaginaria.
Mancando pertanto di qualsiasi autoritĂ contemporanea onde prestar qualche credenza a congetture che sembrano affatto gratuite, nĂŠ anche parlerò di una meno improbabile di tutte, cioè che il primo fabbricato di Siena fosse nel risalto del poggio chiamato tuttora il Castel vecchio, tostochè passa per tradizione, che di qua prendesse il titolo lâintiera cittĂ , appellata Sena vetus, innanzi che lo stesso titolo fosse ripetuto nelle sue monete. â (Antologia di Firenze, Fascicolo XXX, Giugno 1823. pag. 16) NĂŠ tampoco fia da esaminare se nel recinto del Castel vecchio tenessero una volta residenza i governatori o castaldi dei re longobardi, e i conti degli imperatori Carolingi, siccome è fama che vi risiedessero i vescovi senesi; mi fermerò piuttosto ad indicare alcuni documenti meno equivoci che mi servirono di scorta relativamente allâepoca del terzultimo e secondâultimo recinto, anteriori allâattuale delle mura di Siena.
Terzâultimo cerchio, ossia giro piĂš antico delle mura di Siena. A questo recinto, il piĂš angusto degli altri due posteriori, io tengo per fermo che appelli lâuso tuttora praticato dal clero maggiore di Siena di recarsi processionalmente nei tre giorni delle rogazioni per i Terzi della cittĂ e di cantare le antifone relative ai luoghi dove furono le mura e alcune porte del cerchio piĂš vetusto di Siena. Era giĂ abbandonato cotesto recinto, e incominciato il secondâultimo, quando nel 1213 dal canonico Oderigo fu scritto il rituale del clero senese, il di cui originale conservasi in quella pubblica biblioteca, dato alla luce nellâanno 1766 in Bologna sotto il titolo: Ordo officiorum Ecclesiae senensis etc.. Da esso rituale pertanto si ha indizio del giro che sino da allora faceva la processione della cattedrale nei tre giorni che precedono la festa dellâAscensione. Avvegnachè nel primo giorno delle rogazioni il clero della chiesa maggiore dirigendosi nel Terzo di Camollia passava, e passa tuttora, da S.
Pellegrino e da S. Cristofano, due antiche chiese dove il popolo teneva le sue adunanze. Di costĂ la processione inoltravasi per la strada che va dalla porta di Camollia, e arrivata alla distrutta chiesa di S. Donato allâArco, dove fu una delle prime porte di quel Terzo, il clero fermavasi cantando diverse antifone quindi faceva porre in alto traverso la strada il gonfalone, o stendardo, affinchè vi passassero di sotto tutti quelli che accompagnavano la processione, ecc.
Nel secondo giorno delle rogazioni il clero del Duomo, entrando nel terzo di S. Martino, si fermava da primo davanti la distrutta chiesa di S. Desiserio presso S.
Giovanni, quindi arrivato alla Costarella deâBarbieri, dove fu la Porta Salara, in exitu civitatis(antiquae) cantava lâantifona con lâoremus cantando anche costĂŹ attraverso la via il gonfalone come a S. Donato allâArco.
Di lĂ sâinoltra alla chiesa di S, Martino dove il clero faceva stazione prima di avviarsi verso la chiesa di S.
Giorgio e fra questa e lâaltra chiesa soppressa di S.
Maurizio attraversava il gonfalone sulla strada che va allâArco del Ponte, Nel terzo giorno la processione dal Duomo avviandosi nel Terzo di CittĂ , passava per S. Pietro alle Scale di lĂ dalla qual chiesa voltando per la strada delle Murella si dirigeva allâoratorio di S. Ansano in Castel vecchio e alla chiesa deâSS. Quirico e Giuditta, quindi scendendo per la via di Stalloreggi di dentro arrivava nel Piano deâMantellini, (ossia piazza del Carmine). Dopo il giro di diverse chiese esistenti o distrutte, la processione soleva retrocedere per la via delle Cerchia dal Castel vecchio verso il prato di S. Agostino avanzandosi di lĂ fino a Porta Tufi. Nel ritorno poi verso il Duomo il clero, giunto alla crociata della via delle Marella con quella del Casato, soleva e continua a far mettere il gonfalone attraverso la strada che fa crociata con il Casato, la via delle Murella, quella di S. Pietro alle Scale e alla Porta allâArco.
Quantunque nĂŠ il rituale del 1213, nĂŠ un altro libretto antico registrato nellâedizione del 1766, spieghino lâabitudine di mettere il gonfalone attraverso alle strade dove furono non giĂ dei tempj idolatri, ma alcune porte del vecchio recinto, vi supplisce peraltro un libretto pubblicato in Siena nel 1810, SullâOrdine delle tre processioni delle Rogazioni secondo lâuso della chiesa sanese.
Inoltre un altro MS. antico, posto in nota sotto a quello del 1213 pubblicato nel 1766 dĂ a conoscere che la processione del terzo giorno dopo essere tornata alla porta di Castel vecchio (cioè sullâincrociatura di via delle Murella con quella del Casato), il cantore con altri due accoliti, stando sub limine portae, intuona per tre volte e sempre piĂš a voce alta: Domine miserere ed il coro risponde: Kyrie eleison; dopo di che lâarciprete del Duomo posto danti al luogo dove fu la porta, dice lâorazione: Deus qui Angelorum etc., finita la quale il clero torna processionalmente alla pieve maggiore cantando il responsorio: Civitate istam tu circunda Domine, et Angeli tui custodiant muros ejus, etc.
Ho citato cotesta funzione per indicare alcune porte dei tre Terzi del cerchio piĂš antico dove si abbassava il gonfalone, cioè nel Terzo di Camollia alla distrutta porta di S. Donato allâArco, nel Terzo di S. Martino alle due distrutte porte Solara e di S. Maurizio; e nel Terzo di CittĂ a quella di Stalloreggi di dentro , tuttora in piedi, e alla porta che fu del quadrivio fra la via delle Murelle e quella del Casato, porta che non deve confondersi con quella ivi presso esistente denominata la Porta allâArco, la quale appartenere doveva al secondâultimo recinto, di cui ora debbo parlare.
In appoggio alle porte ed al cerchio piĂš antico fra quelli conosciuti della cittĂ di Siena mi giovano cinque istrumenti inediti dove sono nominate alcune delle porte di Siena vecchia molti anni innanzi lâassedio vero o supposto del re Arrigo VI.
Il primo istrumento è rogato in Siena nel dicembre del 1012 presso lâArco di S. Donato; il secondo fu scritto pur esso in Siena nel 29 settembre del 1148, presso la porta Solara , entrambi esistenti nellâArchivio Diplomatico Fiorentino fra le carte della badia di Passignano, e il terzo del 4 novembre 1081 fu pubblicato dal Muratori, dove si rammentano non solo i muri della cittĂ di Siena, ma la Fonte di Vetrice e la Fonte Branda . Aggiungasi a questi tre un quarto istrumento del 25 marzo 1153esistente in Siena nellâArchivio Bichi-Borghersi, nel quale si fa menzione della Porta Camollia.
Questâultimo istrumento per avventura è uno deâ piĂš antichi che io conosca che fanno parola della porta Camollia; la quale peraltro doveva essere piĂš interna di quella del secondâultimo e del cerchio attuale, giacche nel 1262 presso il castellare per andare al passaggio della Lizza detto ora il poggio deâMalavolti esistevano le mura antiche castellane di Siena. â Vedere in questo a pag. 314) Finalmente il quinto e ultimo documento lo fornisce una pergamena dellâArchivio Diplomatico Sanese fra quelle del T. V (N°405), la quale sebbene acefala, contiene diverse deliberazioni del senato sanese sotto dĂŹ 27 aprile 1246, che una di esse ordinava doversi fare la via antica che usciva dalla porta di Stalloreggi, della larghezza di 12 braccia per linea retta; con la seconda fu prescritta una strada nuova della larghezza di braccia 10 che doveva passare per la vigna dâAccorso a partire dalla via che andava per Stalloreggi fino alla piazza di S. Lorenzo . La terza deliberazione provvedeva a unâaltra strada che doveva passare dai possessi della Badia di S. Donato allâArco, dalle terre dâJacopo dâIldebrandino e della chiesa di S. Egidio ecc. la qual via dirigevasi dalla Porta (nota bene) della Badia di S.
Donato fino alla via che veniva dalla Porta S. Lorenzo ecc.. Seguono altri ordini per varie strade da farsi dentro la cittĂ , talchè quella carta io penso che meriterebbe di essere pubblicata e illustrata. â (Arch. cit.) Secondâultimo cerchio della cittĂ di Siena. Dai molti spogli fatti dal benemerito Uberto Benvoglienti, una gran parte deâquali si conserva nella biblioteca pubblica di Siena, sarebbero da raccogliersi non poche notizie confacenti a dimostrare che il secondâultimo cerchio delle mura di Siena fu ordinato parecchi anni innanzi la battaglia di Montaperto. In prova di ciò mi limiterò a citare alcuni pagamenti per i lavori eseguiti al secondâultimo recinto innanzi quellâepoca; e prima di tutti un pagamento di lire 119 3 soldi 17, fatto nellâanno 1229 dai camarlinghi di Bicherna in acconto dei lavori per costruire le porte della cittĂ di Siena secondo la forma prescritta dallo Statuto . (Entrata e Uscita B, ora L. N° 462 fol. 9.). 2° la vendita di un pezzo delle mura delle cerchia antiche posto nella via del Casato fatta nel 1239 dietro provvisione deâSignori Nove, approvata dal consiglio del popolo adunato nella chiesa di S. Cristofano; il qual pezzo di muro fu venduto a un lanaiolo abitante nella stessa via del Casato per tutta la lunghezza della sua casa ; 3° nel 24 dicembre del 1247 i deputati destinati a eseguire il dirupo e fossi della parte della CITTAâ VECCHIA DI SIENA a tal effetto descrissero i luoghi dove si dovevano fare i fossi e il dirupo. (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Pergamena N°425).
Lo stesso Archivio Diplomatico Sanese contiene una deliberazione del 22 febbraio 1248 (Pergamena N°427) relativa ai deputati nominati dal podestĂ di Siena per porre i termini intorno alla Piazza di Fontebranda vecchia, che trovarono larga braccia 67, lunga braccia 52;(ivi); 4° nel 1250 si pagarono lire 833 agli operai della Porta di Camporeggi e delle mura del piano dâOvile servendosi a tal uopo dei denari della dogana dellâolio, del sale e del pesce; e nellâanno medesimo furono saldati tre periti per aver stimato il terreno dove era stata fatta la porta Follonica e la piazza di detta Fonte; 5° nel 1251 si pagarono lire 200 a tre operaj delle mura, della porta Ovile e dellâantiporto di Camporeggi; 6° e cinque anni dopo lire 437 ad altri deputati incaricati di far costruire le mura e munizioni della cittĂ ; 7° nel 1257 il Comune di Siena prese ad imprestito danari per darli ai deputati alla fabbrica delle nuove mura (spogli del Benvoglienti). 8° finalmente nel 1259, cioè un anno innanzi la giornata di Montaperto, si riattarono le mura della cittĂ dalla porta di Camporeggi fino alla porta di Follonica e si diedero danari per fare la castellaccia di S. Prospero con altre mura e fossi intorno alla cittĂ . (loc. cit.) Inoltre una delle pergamene dellâArchivio Diplomatico di Siena (N°394) contiene una deliberazione della Signoria in data del 27 maggio 1244 mentre era capitano generale dellâImperatore Federico II Pandolfo di Fasianella, mercè la quale furono eletti in deputati maestro Giovanni dellâopera del Duomo e maestro Ildebrandino della Valle di S. Martino (ossia del Montone) a oggetto di dar compimento alla fontana, lavatojo e beveratojo di Fonte di Follonica, situata tuttora fra porta Ovile e porta Pispini.
Inoltre nel 14 febbraio 1246 (stile comune) Orlando e Ranuccio fratelli, e Bernardino Malavolti venderono al Comune di Siena per lire 80 la loro porzione di un terreno posto in Camporeggi per ampliare la strada. (ivi N°399).
Fin qui rispetto ai lavori fatti nel secondâultimo cerchio innanzi il settembre dellâanno 1260; ma le opere relative alle mura castellane, e fossi di questo secondo recinto di Siena continuarono anche per molti anni anche dopo la vittoria di Montaperto.
Infatti nel 1261 dâordine di messer Manfredi sindaco del Comune di Siena e deâ15 buonuomini fu rimborsata persona che aveva speso denari di suo nel tempo dellâassedio di Montepulciano per spianare la strada deâfosso Camollia fino alla porta S. Maurizio. Nel 1266 si pagarono quelli che disegnarono i lavori della castellaccia di S. Agata e di S: Marco sino alla porta della Vetrice, e per le castellaccia della fonte di Follonica. Cosi nel 1267 furono date a Simone di Bulgarino lire 150 per spenderle nei muri delle castellaccia di Camollia, di S. Prospero e di Ovile, e altri cento soldi se gli diedero per mandare la vena del pozzo deâFrati Umiliati nella fonte dâOvile (ivi).
Nello stesso anno 1267 si pagarono alcune somme ai deputati destinati a far fare i muri della castellaccia della Badia nuova come anche a quelli che ordinarono nei muri nuovi della cittĂ la costruzione delle cosĂŹ dette bicocche (guardiole ?) ed a coloro che chiusero la porta dei Provenzani di sotto (presso lâattuale chiesa collegiata di Provenzano) e che disfecero la porta Salara (ivi).
Nel 1268 il preindicato Simone di Bulgarino ricevè dal Comune di Siena altri denari per pagare i lavoranti che restaurarono il palazzo del Vescovo, quando passò di qua il re Corradino (1267).
Nellâanno stesso vennero rimurate alcune porte spettanti al cerchio precedente comprese nel Terzo di CittĂ . Allo stesso oggetto furono date lire 13 e denari 5 al deputato Speranza di Bonifazio Forteguerra, acciocchè egli facesse rimurare la postierla di S. Quirico in Castelvecchio, ecc.
Nel 1273 si spesero lire nove soldi sei e denari 6 nellâacconciatura dellâantiporto della castellaccia alla porta di Camollia quando il re Carlo (II) venne in Siena.
(loc. cit.) Forse il pagamento del 1273 testè rammentato fu uno degli ultimi da doverlo riferire al secondo cerchio della cittĂ di Siena; mentre i documenti posteriori, che vidi, mi sembrano appellare allâultimo recinto, ossia quello delle mura attuali. Cotesto ultimo cerchio eseguivasi in Siena nel tempo in cui le fabbriche pubbliche, sacre e profane, non che le case deâprivati erano in tale movimento da imprimere agli edifizj di questa cittĂ il carattere del loro secolo, cioè, dal 1300 al 1400 inoltrato.
Cerchio attuale della cittĂ di Siena Le piĂš antiche prove da me conosciute relative al giro attuale delle mura e porte di cotesta cittĂ esistono fra le membrane degli Agostiniani Romitani di Siena, ora nel Archivio Diplomatico Fiorentino. La prima di tutte spetta ad un rogito del 16 aprile del 1298 relativo alla donazione di 4 case poste nel popolo di S. Agata, nel borgo esistente tuttora fra la Porta allâArco e la Porta Tufi ; le quali case furono acquistate per lire 200 da detti fra ti Romitani. Il secondo documento del 17 aprile dello stesso anno verte sopra una deliberazione deâNove governatori di Siena nel tempo che vi era potestĂ il famoso Cante deâGabbrielli da Gubbio, mercè cui venne accordata facoltĂ ai Frati Romitani di S. Agostino di poter ampliare la loro piazza posta presso il muro del Comune di Siena fuori la Porta, per la quale si esce per andare a S. Agostino nel popolo di S. Salvatore. (loc. cit.) Non lasciano poi dubbio che allâultimo recinto di Siena debbansi riferire alcuni pagamenti negli anni 1322, 1323 e 1324 fatti per ordine dei Nove agli oparaj incaricati di far costruire, ora i muri della castellaccia, della Porta S.
Salvatore; ora di rifare la strada nuova che conduce dalla porta vecchia di Val di Montone alla Porta nuova di S.
Maria (Porta Romana), ed ora di costruire la via per la quale si passava dalla Porta nuova per quella deâPeruzzini sino alla Porta S. Leonardo. (loc. cit.) Anche nel 1328, 1329 e 1330 gli operaj con i 4 provveditori per conto del Comune presedevano alla costruzione delle mura nuove della cittĂ , per le quali fu ordinato di ritenere sopra i salarj deâmilitari deâgiusdicenti, degli uffiziali forestieri e dei potestĂ , in proporzione di 6 denari per lira del loro onorario a tenore dello statuto senese.
Inoltre nel 1347 Buoninsegna di Meo operajo delle nuove mura del Comune nel Terzo S. Martino di 15 mesi arretrati; e nellâanno stesso furono date mille lire a Bencivenni di Luccio, operaj delle nuove mura per servirsene alla costruzione delle medesime. BICHERNA, Libri Entrata e Uscita B, ora L. N°147 fol. 88. N°210 fol.
165. N°256 fol. 169 N°213 fol. 119 e 142) Coteste mura continuavansi anche nel secolo susseguente, siccome lo dimostrano varj atti esistenti nellâArchivio Diplomatico sanese fra i quali citerò per tutti un pagamento di fiorini 500 dâoro fatto nel 1413 alle monache di S. Barnaba fuori della porta nuova, ossia della Porta Romana, per il danno ricevuto dagli operaj delle mura della cittĂ ; ed un altro pagamento di lire 33455, soldi 19 e denari 11 fatto nel 1414 a messer Pace camarlingo deâ4 provveditori di Bicherna per la costruzione delle mura urbane. (BICHERNA B., ora L.
N°291 fol. 61, e N° 447 fol. 56) Finalmente una porzione del cerchio attuale di Siena fu eseguita sul declinare del secolo stesso allorchè si rinchiusero in cittĂ il prato, il tempio ed il fabbricato intorno al poggio sul quale sâinnalzano il convento e la chiesa di S. Francesco, nel giro, cioè che dalla Porta Ovile si distende verso la chiesa di S. Spirito; la qual sezione non era fatta quando si recò ad abitare nel convento predetto (1462) il Pontefice Pio II per di cui ordine fu messa mano a quel lavoro (MALAVOLTI, Istoria sanese P. III. Libro IV.) La ripartizione della cittĂ di Siena in Terzi, ossia Rioni, rimonta ad unâepoca assai remota chiamandosi uno di essi Terzo di CittĂ , il secondo Terzo di S. Martino, ed il terzo di Camollia. Nei tempi della sua repubblica i terzi di Siena si estendevano anche ai suoi suburbj coi vocaboli di Masse del terzo di CittĂ , di S. Martino e di Camollia. In seguito le Masse costituirono tre comunitĂ suburbane dipendenti nel civile e nel politico dai magistrati residenti in Siena.
Nel 1299 lungo le mura della città contavansi nel Terzo di Camollia non meno di dieci fra Porte e Postierle cioè: 1.
la Porta di Camollia; 2. di S. Prospero; 3. di Camporeggi; 4. di Campansi; 5. di Pescaja; 6. di Porta Ovile; 7. di Monte Guattani; 8. di Provenzano; 9. deâ Frati Minori e 10. Porticciola deâFrati prenominati.
Oltre le 10 porte del terzo di Camollia di sopra nominate (nellâanno stesso 1299) non si noveravano non meno di 13 fra porte e porticciole nel Terzo di CittĂ , e 12 nel Terzo di S. Martino che qui rammenterò. Spettavano a questâultimo le porte o postierle 1° deâPeruzzini;2°di maestro Salomone; 4°la porta dellâUliviera; 5° della Val di Montone; 6° di S. Giorgio di fuori, 7° di S. Giorgio di dentro; 8° di S. Maurizio; 9° di S. Vieni; 10° di Castel Montone; 11° di S. Giovanni; 12° deâPeruzzini nuova.
Quelle del Terzo di CittĂ erano le seguenti: 1° Porta di Fonte Branda; 2° deâCodenacci; 3° della Vetrice; 4° di Laterina; 5° deâVecchioni; 6° postierla di S. Quirico in Castelvecchio; 7° del Borgo nuovo; 8° Porta S. Marco; 9° delle Sperandie; 10°Porta allâArco; 11° del Ponte Nuovo; 12° di Tufi; 13° di Stalloreggi . Alcune di coteste porte per altro appartengono al terzâultimo cerchio.
Porte piĂš cospicue della cittĂ . Ho giĂ detto che le porte attualmente aperte in Siena si residuano a sette, oltre la Porta Laterina che si apre solo momentaneamente la notte. Fra le esistenti meritano qualche distinzione le seguenti: La Porta di Camullia attuale, cui deve aver dato il nome una delle Maste, o borgata di Camullia, è citata fino dal secolo XII nelle carte dellâArchivio Borghesi-Bichi. Essa fu rifatta nel 1604 piĂš grandiosa sotto Ferdinando I presso lâantica porta, però diversa da quella rammentata allâanno 1153, e dallâaltra citata allâanno 1273.
Sullâarco esterno della porta attuale leggesi in lettere cubitali cotesto invito ai forestieri che vi vanno: Cor magi tibi Sena pandit. Infatti io credo che vi siano itinerarii di oltramontani che non lodino deâ Sanesi lâospitalitĂ e la grazia, delle donne la venustĂ e lâilaritĂ , talchè il tedesco Schroder nel suo libro Monumentorum Italiae ebbe a definire le femmine senesi delizie italiane.
Due tiri dâarco fuor della Porta di Camollia sorge fino dal 1258, sulla strada regia postale il cosĂŹ detto Portone restaurato e forse rifatto nei secoli posteriori. Presso a cotesto Portone esiste unâiscrizione in marmo sopra una colonna posta nel luogo dove dal vescovo di Siena Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II, fu presentata allâImperatore Federigo III la sua fidanzata Eleonora principessa di Portogallo (24 febbraio 1452 stile comune) che dice: Caesarem Federicum III. Imp. et leonoram sponsam Portugaliae Regis filiam, hoc se primum salutovisse loco, laetisque inter sese consultavisse auspiciis, marmoreum posteris indicat Monumentum. A. D. MCCCCLI. VI KAL.
MARTIAS Porta Romana giĂ detta Porta Nuova. â Il maestoso antiporto a guisa di torrione fu disegnato dai due fratelli scultori e architetti Agostino e Agnolo di Siena i quali ne diressero lâesecuzione dopo il 1320.
Nel 1440 fu dipinta la parte esterna del torrione terminata nel 1459. Vi si murò lateralmente un frammento dâiscrizione deâtempi romani illustrata da altra moderna postavi nella prima metĂ del secolo XVIII.
Nel 1299 la Porta Nuova ossia Romana non era ancora fatta, prova non dubbia che allora non esisteva il cerchio attuale.
Porta S. Marco. â Se dobbiamo tenere per esatta la nota di sopra rammentata questa porta esistere doveva fino dallâanno 1299. Lâantiporto grandioso di cui restano ora pochi avanzi, era disegno del celebre architetto Baldassarre Peruzzi: Ma il merito maggiore lâacquista oggi che si stĂ costruendo fuori di questa porta un grandioso piazzale per il pubblico passeggio, e una nuova e piĂš ampia strada per andare a Grosseto di una pendenza assai piĂš docile che non era lâaltra strada regia, la quale per un ardito pendio scendeva nel vallone della Tressa .
Porta Pispini o di San Vieni. â Questa porta è famosa sia per essere una delle piĂš antiche del secondo cerchio, sia perchĂŠ di costĂ escĂŹ lâoste sanese per scendere nei campi di Montaperto nel giorno della gran battaglia che fece scorrere lâArbia in rosso ; sia perchĂŠ di qua parte anche una quarta strada regia, lâAretina, oltre quella Lauretana.
Sopra la Porta Pispini nel 1326 fu innalzato il torrione, dove il Sodoma ducentâanni dopo dipinse dalla parte esterna il bel presepio con un meraviglioso angiolo situato nellâarco superiore guardato di sotto in su. Il baluardo situato a sinistra di chi esce dalla Porta Pispini fu disegnata da Baldassarre Peruzzi.
Porta Laterina . Forse fu lâultima porta del cerchio attuale ad aprirsi e la prima a chiudersi ai viventi. Essa fu terminata nel 1528 quando lâuffizio di Bicherna sotto dĂŹ 11 dicembre di quellâanno saldò ogni restante della spesa fatta nella Porta Laterina relativamente a una grottesca stata dipinta sopra la medesima.
Fu aperta sullo sprone occidentale del poggio che dirigesi dalla Porta S. Marco e da quella di Laterina per lâarioso colle di Galignano dove fu un piccolo cenobio di eremiti Camaldolensi, fondato nel 1258, distrutto nel 1554, e la cui clausura nel 1784 fu ridotta a uso camposanto per inumarvi i defunti cattolici sanesi, al solo trasporto deâquali è limitato il diritto di aprire di notte cotesta porta della cittĂ .
Fonti Pubbliche. â Senza riandare allâorigine dei grandiosi acquedotti di Siena, mi limiterò ad osservare come dal principio del secolo XII fino a tutto il XV nei risalti deâpoggi a settentrione della cittĂ si raccogliessero da stillicidj piĂš o meno profondi tante acque per alimentare non meno di nove pubbliche fontane, senza contare la Fonte Becci , eretta nel 1218 quasi due miglia a settentrione della porta Camollia.
Tale fu la Fonte dellâarte della Lana aperta fra il 1212 e il 1220 nel piano di Castel-Montone, per cui poco dopo essa prese il vocabolo di Fonte di Val-Montone; tale quella di Porta Ovile che fu aumentata nel 1262 mediante una vena raccolta da un pozzo dei Frati Umiliati, la qual fonte poco tempo dopo essendo stata rifatta piĂš grandiosa prese il nome di Fonte Nuova; e tale la Fonte di Follonica cominciata nellâanno1249. Lo stesso dicasi della Fonte di Pantaneto che conta il suo principio nel 1352; della Fonte Pispini stata aperta sulla strada che guida alla porta di detto nome; della Fonte del Ponte lungo la strada del corso che va alla Porta Romana; cosĂŹ della Fonte di Pescaja e della Fonte di Vetrice dove erano i lavatoi fino al 1259.
Ma tutte coteste fontane cederono in fama alle due fonti maggiori di Siena, la Fonte Branda e la Fonte Gaja .
Non vi è persona che parli di Siena nĂŠ forestiero che percorra la cittĂ senza rammentare o senza che visiti la copiosa Fonte Branda, quella fonte che ha fatto dire di sĂŠ e delle sue proprietĂ immaginarie cose da fermare la luna, fonte da non doversi confondere con lâaltra Fonte Branda esistita presso Romena, e alla quale appellava dante nel canto XXX del suo Inferno.
Ă la Fonte Branda la piĂš bassa la piĂš antica e nel tempo stesso la piĂš copiosa della cittĂ di Siena. Essa scaturisce alle falde del poggio della chiesa parrocchiale di S: Antonio Abate, sotto le profonde balze sulle quali si alza il tempio di S. Do menico, presso la porta detta tuttora di Fonte Branda, dove non solo esistono copiose bocche dâacqua da bere, ma estesissimi lavatoj per lavare e per guazzare a comodo deâvicini fabbricanti di corde di budella, deâconciatori di cuoia, delle tintorie e deâmacelli riuniti tutti nel gran piazzale innanzi di arrivare alla porta preindicata; e tanta è la copia delle sue acque che possono mettere in moto macine da mulino e altri edifizj idraulici.
(ERRATA : La sua prima memoria dellâanno 1193) La sua prima memoria è dellâanno 1081, quella del 1103 fu registrata in una pietra che diceva: Anni sunt Domini, trahe septem, mille dugenti La Fonte Branda fu in piĂš tempi rifatta: la prima volta nel 1246, come apparisce dal libro Entrata e Uscita di Bicherna (B, ora L. N° 3, fol.. 20) in cui è registrato un pagamento per ridurre lâacqua in Fonte Branda nuova, e per terminare la fossa dove fu Fonte Branda vecchi.
Accadeva ciò nel tempo stesso che si restaurava la Fonte di Pescaja , la quale fu terminata nel 1247, comecchè la sua origine si faccia risalire al 1087, mentre non prima del 1259 furono costruiti gli abbeveratoi a questa e allâaltra vicina Fonte di Vetrice. (Libri citati, B, ora L. N° 5. fol.
29 e 39.) Lâaltra fonte anche piĂš celebre è la Fonte Gaja nella gran piazza del Campo, condottavi non prima dellâanno 1343 con gioia e gajetĂ somma del popolo senese, per cui si acquistò il titolo di Fonte Gaja . Essa piĂš tardi diede il soprannome al celebre scultore Giacomo della Quercia per i bei lavori di statuaria che intorno a quella nel 1419 scolpĂŹ, sicchè Giacomo della Fonte fu dâallora in poi appellato.
Edifizj pubblici e luoghi piĂš insigni. Citerò prima di tutto la Piazza del Campo. Cotesta grandiosa area che fu detta del Campo, innanzi lâedificazione del secondâultimo cerchio cella cittĂ , trovavasi fuori delle mura e della sua porta occidentale denominata Porta Salara , esistita, come dissi, a piè della via del Casato davanti alla Costarella deâBarbieri. Ă la piĂš vaga e piĂš gran piazza di Siena, singolare per la forma per lâarchitettura degli edifizi che la contornano, e piĂš che altro per le gioconde e magnifiche feste deâfantini delle contrade. Essa gira da 570 braccia, e ha la forma di mezza conchiglia incavata.
Tutte le acque che vi scolano entrano in una vasta cloaca situata nella parte piĂš depressa, davanti al Palazzo Pubblico, che sotterranea trapassa per avviarsi tra Porta Tufi e Porta Romana attraversando la Valle del Montone onde mandare gli spurghi fuori di cittĂ .
Dirimpetto al palazzo pubblico sopra la Fonte Gaja esisteva la curia della Mercanzia, ridotta piĂš tardi a uso di casino deâNobili, accosto al grandioso palazzo de0 marchesi Chigi, stato innalzato al pari del casino con disegno assai diverso da quello deâpalazzi del secolo XIV e XV che rendono alla gran piazza e in generale a tutta la cittĂ unâimpronta singolare.
Sino dal 1333 cotesta piazza fu selciata di mattoni in costa e nel 1346 intorno alla grande strada che la circondava, furono disposti i cordoni di pietra; finalmente nel secolo passato furono messi i piuoli di travertino con catene di ferro.
Vi sboccano undici strade fra le quali quella del Casato dove furono le mura del piĂš antico, o terzâultimo cerchio, e la larga salitella detta la Costarella deâBarbieri sul luogo della distrutta Porta Salara .
Infatti nellâanno 1339 i camarlinghi di Bicherna pagarono danari ed alcuni maestri qui terminaverunt Campum Fori in pede Portae Salarae. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Libri di Entrata e Uscita di Bicherna, B. ora L.
143 fol. 48) Ă dentro cotesto gran recinto dove si affolla una popolazione talvolta superiore a quella della cittĂ per assistere nel giorno due luglio e nel 16 agosto alla corsa di 10 fantini delle contrade, la cui festa degna di un poema piuttosto che di un Dizionario geografico è stata recentemente scritta con entusiasmo pari alla veritĂ dal chierico G. La Farina in un giornale fiorentino che porta per titolo Rivista Musicale (N° 19 del 1 settembre 1842) Una delle fabbriche piĂš grandiose della gran piazza del Campo è quella del palazzo pubblico giĂ detto della Signoria, il quale costruivasi sino dal 1284, giacchè in cotestâanno i Signori Nove destinarono in operaj di quellâedifizio Bartolommeo di Bascilla e Palmieri Linaiolo; mentre nel 1298 fu nominato operajo un Cante di Fredo. Lo stesso palazzo pubblico però continuava a fabbricarsi non solamente nel 1308 sotto gli operaj Lelio di Fabio e Bindo di Montalceto, ma ancora nellâanno 1318 quando ancora si pagarono denari per i lavori della loggia superiore a Neri dâAgnolo e a Guccio di Vanni del Marchese, operaj del palazzo del Comune che si faceva per i Signori Nove.
Finalmente nel 1329 furono sborsate lire 16 a maestro Simone di Martino dipintore per la pittura di Monte Massi e di Sasso Forte da esso fatta nel palazzo del Comune.
Ma che nellâanno 1330 il palazzo della Signoria di Siena non fosse ancora terminato lo dichiara il pagamento di 300 lire eseguito nellâanno suddetto per terminare le volte del palazzo medesimo dove era solita a risedere la Curia.
Al che si aggiunga come nel 1330 furono sborsate lire 4700 agli operaj del palazzo novo nonchĂŠ per quello delle Carceri. Per la costruzione di questâultimo lâerario della Repubblica sanese nellâanno stesso fece acquisto di 50 migliaja di mattoni, dopo di aver un triennio prima sborsato lire 7950 nella compra di dieci case poste in Salicotto a oggetto di costruire nel luogo di esse il palazzo detto tuttora delle Carceri, giacchè innanzi quel tempo i carcerati si rinchiudevano nelle torri deâprivati. â (UBERTO BENVOGLIENTI, Spogli dei Libri di Bicherna MSS. nella Biblioteca pubblica di Siena) Non occorre rammentare che nelle stanze terrene del pubblico palazzo della Signoria di Siena, attualmente ridotte a uso di archivj, esisteva lâofficina della zecca, sulla quale è comparsa alla luce una storia coscienziosa sotto il modesto titolo di Cenni sulla zecca sanese dellâerudito tipografo Giuseppe Porri in una sua Miscellanea istorica pubblicata nellâanno corrente 1844.
Non era ancora terminato il palazzo della Signoria quando i due fratelli sanesi Agnolo e Agostino, nel 1325, dâordine del disegnarono la svelta altissima torre annessa al palazzo del Comune, volgarmente appellata la Torre del Mangia , la di cui costruzione doveva essere terminata nel 1349, tostochè in quellâanno si pagarono danari per fondere la gran campana, e si diedero lire 7815 a Ristoro di Lottino, fabbro per valuta del battaglio, ecc. (loc. cit.) Lâaltezza di codesta torre ammonta a braccia 175 1/2 e la sua sommitĂ trovasi braccia 690 superiore al livello del mare Mediterraneo.
A piè della medesima fu incominciata nel 1352 la cappella detta di Piazza: Nel 1460 Cecco di Giorgio disegnò il fregio, mentre i bassorilievi allegorici sono di scultore ignoto, ma dello stesso secolo.
Vi vuole una guida per descrivere le bellezze tutte di cotesto palazzo, che al pari di molti altri edifizj pubblici e privati innalzossi tra i secoli XIII e XIV per cui tralasciando questi aggiungerò pochi cenni sulle chiese piÚ sontuose e sugli stabilimenti piÚ distinti della stessa città .
Chiesa Metropolitana .- Ă la prima chiesa, la piĂš bella, la piĂš ricca, la piĂš ornata di Siena e del suo stato fabbricata secondo la liturgia antica con la facciata volta a ponente.
Sarebbe opera perduta per chi volesse distinguere le varie epoche del suo ingrandimento a partire dalla sua origine fino allo stao attuale, siccome imprenderebbe un lavoro improbo, chi senza altri appoggi sâimmaginasse discutere sulla tradizione presso molti invalsa, che lâantico Duomo di Siena esistesse nel Castelvecchio. Comunque vada la bisogna, è certo però che in un istrumento archetipo del dicembre 1012 in questâArticolo a pag. 304 rammentato, si parla del Duomo di Siena situato vicino alla distrutta chiesa di S. Desiderio, vale a dire dove attualmente questo tempio risiede.
Un altro fatto anco meno incerto ci sembra quello che la cattedrale sanese sino dalla piĂš remota etĂ doveva essere dedicata a Maria Vergine Assunta, e che il suo capitolo anche innanzi il mille contava cinque dignitĂ , come può vedersi in una membrana del 1 aprile dellâanno 999 pubblicata dal Muratori e dal Pecci, il cui originale conservansi a Siena nellâarchivio privato deânobili Borghesi-Bichi.
Ma se ciò non lascia dubbio sullâantica esistenza, titolo e varie dignitĂ della chiesa maggiore sanese, altrettanta dubbiezza ci presenta la parte edificatoria.
Lâerudito e carissimo Ettore Romagnoli, la cui memoria sarĂ sempre onorata dagli amici e dalla patria sua, in piĂš dâun lavoro a tal proposito ripeteva: esservi in ciò troppa oscuritĂ , nĂŠ alcuna chiarezza maggiore ci diedero i cronis ti sanesi. Solamente dalle carte che conservansi nellâArchivio dellâOpera del Duomo si comprende, che la Signoria di Siena, dopo aver una sua provvisione del 16 novembre 1259 nominato nove personaggi incaricati di esaminare, dove fosse meglio fare il coro della chiesa maggiore, con altra provvisione dello stesso anno il consiglio della Campana, sentito il rapporto deânove deputati per la fabbrica del coro della cattedrale di Siena, deliberò che cotesto coro si facesse secondo il disegno stabilito dai canonici di essa chiesa e dagli operaj del Duomo. Mediante poi una terza provvisione dellâ11 febbraio 1260 (stile comune) il gran consiglio di Siena decretò lâelezione di altri nove deputati, tre per Terzo, destinati a esaminare in che maniera si procedeva nella fabbrica dellâOpera di S. Maria di Siena .
Inoltre con provvisione del 29 aprile 1308, il consiglio della Campana deliberò che lâoperajo e i consiglieri dellâOpera del Duomo incassassero dal Comune ogni anno, mille lire di moneta per servire alla fabbrica della cattedrale ed acciocchè si possa fare lâutile e necessaria chiesa di S. Giovanni Battista nella cittĂ di Siena.
Arroge a ciò, come nei libri di Bicherna (Entrata e Uscita, B. ora L- N° 97 fol 253) si legge una partita, del 1296 che ordina a maestro Toscano, maestro Lando dâJacopo e maestro Simone, stati deputati dal consiglio della Campana, acciocchè facessero atterrare le case e le piazze nel luogo dove si dovevano porre i fondamenti della chiesa di S. Giovanni del Vescovado.
Dondechè dai fatti qui sopra annunziati, mi trovo costretto a dovere concludere, che se la pieve di S. Giovanni del Vescovado, la quale serve tuttora di fondamento al coro del Duomo di Siena, dovette edificarsi dopo il 1296, bisogna dire che il Duomo attuale non sâincominciasse prima del XIV secolo. Infatti nellâArchivio Diplomatico Sanese (al T. 125 deâConsigli della Campana) esiste una provvisione della Signoria sotto il 23 agosto anno 1339, nella quale si ordina lâaccrescimento da farsi alla navata maggiore del Duomo da estendersi verso la piazza deâManetti nel modo stao disegnato dummodo (termina la provvisione) in opere novo dictae ecclesiae iam incepto nihilominus solicite et continue procedatur.
Cotesta Opera nuova pertanto deve essere una continuazione di quella che i deputati eletti nel 17 febbraio 1322 (stile comune) decretarono super factis et negotiis NOVI OPERIS JAM INCEPTI Ecclesiae S.
Mariae; nel qual decreto si ordina: quod fundamenta NOVI OPERIS, quae fiunt ad praesens ad augumentum majoris Ecclesiae non sunt sufficientia, eo quod incipiunt vallare in aliqua parte sui, quod muri praedicti NOVI OPERIS non sunt tantae grossitudinis, quod sufficientes sin ad substentandum pondus, et ire ad tantam altitudinem eo quod muri facciatae anterioris dictae Ecclesiae versus Hospitale S. Mariae sunt grossiores muri NOVI OPERIS MEMORATI. Et dictum NOVUM OPUS esse debet majori altitudinis veteri. Che perciò i deputati in quel decreto conclusero: Nobis videtur quod fundamenta nova non conveniunt cum veteribus, et adjungendo OPUS NOVUM CUM VETERI in pilando (nel serrare) obstendunt aliquam novitatem: et nobis videtur, quod supra dicto opere non procedatur, cum sit necesse dissipare de OPERE DOMUS VETERIS a medietate muri saper VETUS OPUS INCEPTUM; et quia volendo dissipare OPUS VETUS causa congiungendi cum dicto NOVO OPERE, fieri non posset absque magno periculo muri et voltarum veterum, et quia murus praedictae Ecclesiae, FINITO NOVO OPERE, non remaneret in medio crucis. In vista di tali riflessi ancorchè si fosse potuto compire quel lavoro, volendo ridurlo ragionevolmente ad altra misura, i deputati del febbraio del 1322 consigliarono che il Duomo vecchio fosse dâuopo atterrarlo per lâaffatto.
Contemporaneamente al precedente consiglio gli stessi deputati, con rapporto dello stesso dĂŹ 17 febbraio ed anno medesimo 1322 furono di parere: quod ad honorem Mariae Virginis incipiatur et fiat una Ecclesia pulcra, magna et magnifica quae sit bene proporzionata in longitudine, altitudine et amplitudine, et cum omnibus mensuris quae ad pulcram Ecclesiae pertinent, et cum omnibus fulgidis ornamentis, que ad tam magnam, tamque honorificam et pulcram Ecclesiam pertinent et expectant.
Ho voluto riportare ad litteram le espressioni di cotesti due pareri e deliberazioni dello stesso giorno onde meglio provare che nellâanno 1322 accadde la sospensione dellâopera nuova e la riedificazione dellâattuale Duomo di Siena, il quale dietro il parere dei nuovi deputati dovevasi rifabbricare da capo: QUOD INCIPIATUR ET FIAT UNA ECCLESIA PULCRA ET MAGNA, ET MAGNIFICA.
Che piĂš? la ricostruzione dellâattuale cattedrale di Siena collegasi a meraviglia con lâepoca dellâedificazione della pieve di S. Giovanni sotto il Duomo come pure della provvisione del 23 agosto 1339 dei Signori Nove e del gran consiglio, che ordinava rispetto allâaccrescimento della chiesa maggiore nel modo dei maestri di quellâopera designato, qualmente in opere novo dictae Ecclesiae jam incepto nihilominus solicite et continue procedatur.
(ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE) Frattanto non deve omettersi per la storia dellâarti circa lâepoca e gli autori che architettarono la torre campanaria, anche per rettificare quanto fu scritto dal barone di Rumohr e dal Romagnoli, un pagamento fatto nel 1263 dai camarlinghi di Bicherna ad un maestro pisano il quale terminava di cuoprire il campanile della chiesa maggiore di Siena. (BICHERNA, Libro di Entrata e di Uscita, B.
ora L. N° 26 fol. 17) Probabilmente la fabbrica del Duomo vecchio che prima del 1322 si voleva innestare con lâOpera nuova, come chiaramente lo dissero i deputati a quellâopera, aveva relazione con lâantica Opera del Duomo di Siena, rammentata sino dal 31 ottobre 1220 in una sentenza di due canonici sanesi delegati dal Pontefice Onorio III pronunciata nellâopera nuova fuori della chiesa maggiore di Siena . â vedere PAPAJANO nella Va-dâElsa.
La lunghezza totale di questo ornatissimo tempio è di braccia fiorentine 153, la larghezza della crociata di braccia 89, e delle navate braccia 42.
Non vi è angolo che in questa chiesa sia rimasto nudo, a principia re dal pavimento nel suo fastigio e dalla ricchissima facciata fino dietro al suo coro; talchè fia impossibile rinchiudere in un breve paragrafo la nota solamente delle sue bellezze artistiche; fra le quali il pavimento istoriato del Beccafumi e da altri, il pulpito insigne di Niccolò e del figlio suo Giovanni Pisano.
Ă assai nota la cosiddetta Libreria del Duomo di Siena, dove il Pinturicchio in dieci grandi spartiti dipinse le gesta principali del Pontefice Pio III per ordine del suo nipote Pio III deâTedeschini-Piccolomini.
Nel centro di questa gran sala ammirasi un gruppo di greco lavoro rappresentante le Tre Grazie, ed alle pareti il cenotafio del benemerito governatore Giulio Bianchi, scultura di Pietro Tenerani, situato presso lâaltro cenotafio dellâinsigne anatomico Paolo Mascagni, opera di Stefano Ricci.
Sino altresĂŹ pregevoli i grandi libri corali ivi esistenti, specialmente per le belle miniature ivi eseguite da monaco Benedetto da Matera.
Chiesa di S. Domenico. â Questo chiesone situato sopra una piaggia che sprofonda nel vallone di Fonte Branda, fu incominciato ad innalzarsi intorno al 1221 nella contrada di Camporeggi, quando il primo pittore toscano, Guido da Siena, lâanno innanzi aveva dipinto una tavola che in cotesta chiesa si conserva, e quando il piĂš antico miniatore sino dal 1213 aveva colorito le coperte del MS.
del canonico Oderico intitolato Ordo Officiorum, ora nella biblioteca Pubblica di Siena.
Il convento di S. Domenico, dovâebbero stanza S.
Tommaso dâAquino, S. Antonio e il Beato Ambrosio Sansedoni, fu edificato nel tempo che viveva questâultimo religioso sanese. Nel secolo XV venne innalzato il campanile, ed ingrandito il contiguo claustro.
Dellâannessa sacrestia si hanno notizie dal principio del secolo XIV, come lo danno a conoscere diverse somme pagate nel 1308 e 1309 per spenderle nella fabbrica del palazzo che si faceva per i Signori Nove, rogandosi lâatto nella sagrestia dei Frati Predicatori di Camporeggi.
(Spogli Benvoglienti MMS. nella Biblioteca pubblica di Siena.) Il claustro fu abitato fino allâanno 1784 dai Domenicani i quali dovettero cedere chiesa e convento ai monaci Benedettini venuti costĂ dal monastero suburbano di S.
Eugenio fuori della Porta S. Marco.
Chiesa di S. Francesco. â Anche questa chiesa vasta ed elevata fu incominciata sopra un alto sprone di poggio che scende sopra Porta Ovile.
Dicono gli storici sanesi che i due fratelli Agostino e Agnolo, verso il 1326 architettassero cotesto tempio, e che il cardinal legato Napoleone Orsini ne gettasse i fondamenti.
Ă vero per altro che la stessa chiesa di primo slancio non fu fabbricata tanto vasta come ora si vede, mentre la piĂš antica precede di 70 e piĂš anni quella disegnata dai due fratelli prenominati; avvegnachè il Comune di Siena negliâanno 1249 e 1259 ordinò che si pagassero cento lire ai frati delââOrdine deâMinori per fabbricare la chiesa di S. Francesco. Essa realmente non fu ridotta nella forma grandiosa che ora si vede, se non dopo la metĂ del secolo XV. Prova ne siano due grossi pagamenti ordinati dalla Signoria di Siena sotto dĂŹ 19 giugno 1468, e anco quattro anni dopo, il primo di 8000, e il secondo di 16000 lire, effettuati in mano degli operaj della fabbrica della nuova chiesa di S. Francesco di Siena. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE, Memoriale N°122 fol. 142, e N° 124 fol 40.) Anche le Guide per la cittĂ di Siena ne avvisano che nel 1448 a spese del Comune fu accresciuto e abbellito il convento di S. Francesco, dove nellâestate del 1460 si recò ad abitare il Pontefice Pio II.
Il primo claustro quadrilatero contornato da un portico a colonne fu murato a spese di Nicoluccio Petroni. Gli altri due claustri piĂš interni si edificarono sul declinare del secolo XV sul disegno dato da Francesco di Giorgio. Vi stettero i Frati Minori Conventuali (ERRATA: fino al 1782) fino al 1809, epoca della loro soppressione, quando nella chiesa e convento suddetto entrarono i frati Domenicani Gavotti, ora tornati in S. Spirito.
La confraternita di S. Bernardino contigua al primo claustro del convento suddetto è ricca di pitture a fresco di eccellenti artisti sanesi come il Sodoma, il Beccafumi, il Vanni e il Pacchiarotto; pitture state tutte modernamente ravvivate.
Chiesa dei Padri Serviti.- Nel poggio dove fu fondata cotesta chiesa esisteva lâantica parrocchiale di S.
Clemente. Essa nel 1408 minacciava rovina, quando per ordine del gran consiglio furono sborsate ai religiosi Serviti lire 4000 per restaurarla.- (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Memorie N° 122. fol. 156.) Finalmente nel 1528 si rifabbricò da capo a fondo la chiesa attuale col disegno di Baldassarre Peruzzi. Fu allora che quel chiaro architetto mise in opera le belle colonne di marmo cipollino dellâIsola dâElba, le quali sorreggono gli archi della navata di mezzo, tutte di grandezza uniforme, e tre di esse di un sol pezzo. Siccome poi cotesta qualitĂ di marmo dopo la caduta del romano impero non è stata piĂš che si sappia, trasportata in Italia, ciò farebbe dubitare che tutte quelle colonne di una dimensione uniforme, avessero servito per una qualche basilica o portico d i Siena romana.
Chiesa di S. Agostino. â Questa bella chiesa ha una magnifica clausura annessa, convertita in abitazione per lâI. e R. Collegio Tolomei. Anche cotesta fabbrica si alza sopra uno sprone meridionale della cittĂ ; ed ebbe origine fino dallâanno 1258, quando il suo locale trovavasi fuori dal secondâultimo cerchio di Siena.
Fra le molte pergamene possedute dai frati Romitani di S.
Agostino di questa cittĂ , cui furono unite quelle dei conventi degli Eremitani Agostiniani di Rosia, di Sestinga, deâVallesi, di Montecchio ecc. una scritta del 12 ottobre 1262 faceva menzione deâRomitani Agostiniani di Siena.
Con partito poi del 17 aprile 1298 i Signori Nove e il consiglio della Campana concederono facoltĂ ai frati di S.
Agostino di Siena di poter ampliare la piazza davanti la loro chiesa. E nellâanno stesso lo spedalingo di S. Maria della Scala diede ordine di vendere a quei frati una carbonaja con piazza situata presso il muro della cittĂ , fuori della Porta allâArco per andare a S. Agostino. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO FIORENTINO Carte cit.) Per altro, la chiesa e il convento di S. Agostino nel secolo XIII erano ben lungi dallo stato grandioso in cui lâuno e lâaltro furono posteriormente ridotti. Imperocchè la chiesa piĂš antica fondata come si disse nel 1258, fu rifatta in due epoche assai disparate, la prima dopo la metĂ del secolo XV, quando la Signoria con deliberazione del dĂŹ 8 giugno 1468 fece pagare ai frati e capitolo di S. Agostino lire 12000 per la fabbrica della loro chiesa; e la seconda epoca, quando nel 1773 fu ridotta nello stato attuale con disegno dellâarchitetto Vanvitelli.
Rispetto ai lavori fatti alla sua grandiosa clausura essi spettano alla fine del secolo passato, nel tempo in cui vi abitavano i religiosi Agostiniani, ai quali si debbono i doppi e ben disegnato i chiostri, i comodi e numerosi quartieri. La grandiosa scala per altro è opera piĂš recente di Francesco Peccagnini, e quelle del vestibolo esterno dellâarchitetto Agostino Fantastici, a direzione del quale, dieci anni dopo, soppressi i Frati, che lâabitavano, nel 1818 cotesto spazioso e ben situato convento fu ridotto ad uso deânobili alunni traslocativi dal palazzo, giĂ Collegio Tolomei, riducendo questâultimo a residenza del R.
Governo.
Nellâantico convento di S. Agostino di Siena furono accolti ad ospizio i Pontefici Gregorio XII ed Eugenio IV, nel nuovo vi dimorò nel 1799 il Papa Pio VI.
Chiesa di S. Spirito. â Fu eretta nel 1345 dirimpetto alla Fonte Pispini, in origine abitata fino a verso la metĂ del secolo XV dai monaci Silvestrini, dopo dei quali vi entrarono i frati Domenicani Gavotti; cui nel 1468 per deliberazione del consiglio della Campana furono date lire 12000 per rifare le mura della loro chiesa do S.
Spirito. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE Memoriale N° 122. fol. 163.) Il Magnifico Pandolfo Petrucci nel 1504 vi fece innalzare a proprie spese la cupola.
Nel 1782 quando i frati Gavotti furono traslati in S.
Francesco, la chiesa e convento di S. Spirito furono ceduti allâAccademia Ecclesiastica, poscia al parrroco della chiesa soppressa di S. Maurizio, fino a che nel 1843 vi ritornò da S. Francesco la famiglia dei religiosi Gavotti.
Nel chiostro annesso alla chiesa si conserva un affresco figurante il Calvario, opera pregiatissima di Fra Bartolommeo, detto della Porta.
Chiesa di S. Martino. â Se questa non può dirsi delle piĂš vaste, nĂŠ delle piĂš belle di Siena, è per altro una delle piĂš antiche dopo la cattedrale; siccome fu lâunica a dare il nome a uno dei Terzi della cittĂ e delle Masse, ed è la sola della cittĂ che dopo la cattedrale si trovi rammentata al tempo deâ Longobardi. Inoltre la chiesa di S. Martino fin dal XII secolo, e forse assai prima, era stata decorata del titolo e qualitĂ di chiesa cardinale, ossia cura con battistero, quando essa, che fu nel primo cerchio presso il borgo della cittĂ di Siena, dal vescovo sanese Ranieri, con breve del 17 settembre 1168, venne concessa con tutti i suoi beni e preminenze ai canonici Lateranensi di S.
Frediano di Lucca; la qual concessione fu confermata nel secolo stesso dai Pontefici Alessandro, Lucio e Urbano III. â (PECCI, Serie deâVescovi e Arcivescovi di Siena).
Nel 1439 per breve del Pontefice Eugenio IV, la stessa chiesa fu data ai frati Leccetani di S: Salvatore, tre anni dopo aver essi ottenuto il priorato di S. Maria degli Angeli fuori di Siena, oltre lo spedale di S. Niccolò vicino alla chiesa di S. Pietro alla Magione, assai dappresso alla Porta Camullia; e finalmente nel 1440 vi fu incorporata anche la soppressa badia di S. Lorenzo dellâArdenghesca con tutti i suoi beni.
I frati Leccetani che stettero in S. Martino fino alla loro soppressione, (ERRATA: accaduta nel 1783) accaduta nel 1809, fecero riedificare nel 1537 cotesto tempio, sebbene la facciata in travertino non sia stata eretta che nellâanno 1613 sopra una doppia gradinata con disegno dellâarchitetto Giovanni Fontana.
Confraternita di S. Caterina da Siena. â Piccolo ma insigne si è reso questo oratorio per le memorie della Santa, e per la bellezza e la copia delle pitture che lâadornano.
Trovasi sulla strada maggiore che scende alla piazza di Fonte Branda, ed è ufiziato dagli abitanti della contrada denominata dellâOca. Fu fabbricato dal Comune nel 1464 dove era la bottega di tintoria del padre di S. Caterina e la casa in cui essa nacque. La facciata è disegno di Cecco di Giorgio, nel frontespizio interno dipinsero il Riccio ed il Folli, nelle pareti laterali da una parte il Pacchiarotto e dallâaltra il Salimbeni, la lunetta sullâaltare è del Sodoma.
Vanni, il Sorri, Rutilio, Casolani ed altri distinti pittori sanesi lavoravano nelle pareti della confraternita superiore. Il piccolo claustro superiore credesi disegnato da Baldassarre Peruzzi.
Collegiata di Provenzano . â Questa devota e frequentissima (ERRATA : chiesa a croce greca) chiesa quasi a croce greca, dove si venera la miracolosa immagine della Madonna detta di Provenzano, fu eretta nel 1594. Essa trovasi uffiziata da un capitolo di canonici presieduto (ERRATA: dal proposto, ed è lâunica dignitĂ di questâinsigne collegiata) dal proposto che è la prima delle cinque dignitĂ di quest'insigne collegiata.
Stabilimenti Pii - Spedale di S. Maria della Scala â Se la Toscana richiama, e se lâattenzione degli estranei per le numerose opere di beneficenza che la rendono superiore a molte altre parti dellâEuropa civilizzata, Siena ne conta tante da meritare di essere queste piĂš conosciute, perchĂŠ danno a scoprire anche lo spirito e la civiltĂ dei suoi abitanti.
Una delle istituzioni di caritĂ per la quale i Sanesi furono sempre larghi, sia per anzianitĂ , sia per lustro, contasi quella dallo Spedale di S. Maria della Scala cui posteriormente se gli affigliarono molti altri spedali di cittĂ e terre della Toscana e di altri stati ad essa limitrofi..
Non resiste alla buona critica la tradizione che un beato ciabattino per nome Sorore fondasse sino dal secolo IX questo spedale. Imperocchè senza negare o affermare che costĂ dirimpetto alla facciata della cattedrale fino dâallora esistesse un ospizio per i pellegrini, quando si tratta di prove mancano i documenti, nei quali si faccia menzione di questo spedale; nĂŠ si conosce memoria, châio sappia piĂš vetusta di quella indicata in un istrumento del 16 aprile 1088, nel quale rilevasi che lo spedale di S. Maria della Scala era in quel tempo di giuspadronato del capitolo della cattedrale di Siena.
In conseguenza di ciò lâArciprete del duomo a nome deâcanonici continuò a confermare per qualche tempo lâelezione dei nuovi rettori di questo spedale, siccome lo qualifica un altro istrumento del 3 marzo 1094, conservati entrambi nellâarchivio della Scala. Forse da questa padronanza gli spedalinghi di S. Maria ante-gradus seppero emanciparsi innanzi che dal concilio di Vienna del 1311 fosse stabilita la massima, che il governo dei luoghi pii e deglâospedali non dipendesse piĂš dagli enti ecclesiastici.
Che questo però davanti alle scalere del Duomo non fosse in origine che uno ospizio per pellegrini, stato piĂš tardi esteso alla cura degli infermi, a ricevere gli esposti a distribuire elemosine ai poveri ecc., me lo fa credere un atto del 1265 col quale Tommaso vescovo di Siena concedette allo spedale in discorso di tenervi un sacerdote, mentre 12 anni innanzi il vescovo Buonfiglio con altro breve aveva accordato al rettore facoltĂ dello spedale della Scala di fabbricarvi una chiesa; forse quellâoratorio stesso nel 1466 venne riedificato in maggiori dimensioni col disegno di un tal Guidoccio di Andrea.
Al secolo XIV spettano le immense sostruzioni e aggiunte fatte a cotesto stabilimento pio, avvegnachè nel 1356 il Comune di Siena pagava i tegoli e gli embrici per cuoprire la fabbrica nuova dello spedale di S. Maria della Scala. â (BICHERNA, Entrata e Uscita B. L. N° 224 fol.
33.) Nella parte piĂš antica dello spedale denominata tuttora il Pellegrinaio, esistono ancora gli affreschi eseguiti nellâanno 1349 da Luciano da Velletri, continuati nel 1440 da Domenico Bartoli, e piĂš tardi da Priamo, fratello di Giacomo della Quercia, ossia della Fonte.
Lâingresso maggiore di S. Maria ante-gradus è sempre volto a levante, dirimpetto alle scalere e alla facciata del Duomo; le grandi sostruzioni sono dal lato opposto della fabbrica che scendono forse per 60 braccia nel sottoposto giardino botanico.
A questo stabilimento per glâinfermi il Granduca Leopoldo I con motuproprio del 22 ottobre 1779 comandò si riunissero varj spedaletti sparsi per la cittĂ , fra i quali lo spedale di S. Niccolò in Sasso, di Monagnese, per le partorienti, quello di S, Lucia per i pellegrini; lo spedale di S, Sebastiano per gli esposti e lâaltro di S. Antonio Abate, ora confraternita della Misericordia (si aggiunga) eretta nel 1833 per le cure di un uomo zelante, il fu Giovanni Amidei, e corrispondente con zelo al filantropico suo istituto, per accogliervi i pellegrini, ecc.
Lo Spedale di S. Maria della Scala nellâanno 1280 contava 514 possessioni. Utilissima riforma non meno dellâaltra, fu quella che comandò lâalienazione delle tante Grancie (tenute) attinenti a cotesto spedale; e ciò con lo scopo di arricchire il paese e di concedere i diversi predj a persone che potessero renderli piĂš fruttuosi. In conseguenza di tali disposizioni economiche la rendita annuale di cotesto spedale fu ridotta costante.
Cosicchè questo stabilimento oggi può contare sopra a un incasso che ammonta annualmente a Lire 179,404. â. â Senza le rendite annue dello spedale degli Esposti che sono di Lire 8,802. â. â TOTALE, Lire 188,206. â. â Spedale di S. Niccolò degli Alienati. â Ă unâistituzione moderna eretta da una congregazione antica conosciuta sotto il titolo di Confraternita deâDisciplinati, ossia della Madonna sotto le Volte dello Spedale. Il locale di S.
Niccolò, dopo aver servito alle monache, nel 1818 fu ridotto per custodia degli Alienati. Esso è capace di circa 60 individui dementi, mantenuti mediante una retribuzione mensuale dalle Comunità cui appartengono.
Il fabbricato risiede in un angolo della cittĂ in prospettiva ridente e ben ventilato. La prima montatura e direzione devesi al governatore Giulio Bianchi e allo zelo del benemerito professor Giuseppe Lodoli, che occupossi anco della cura deâ tignosi, riuniti in questo stesso edifizio, dove fu preparato un quartiere separato per ricevere costĂŹ le donne gravide occulte.
Stabilimento di MendicitĂ . â Quasi nel tempo stesso che la confraternita prenominata fondava il Reclusorio degli Alienati , i Sanesi mossi dalla situazione lacrimevole della plebe, affamata e oppressa dalla carestia e dal tifo, si tassarono volontariamente per aprire un asilo alla mendicitĂ onde ricevervi e nutrirvi i questuanti della cittĂ , e accogliere per pochi giorni i convalescenti che escivano dallo spedale della Scala.
Dai rapporti annuali di questo pio stabilimento sul rendimento dei conti resi dalla deputazione gratuita che vi presiede si rileva, che, oltre le spontanee oblazioni dei cittadini, lo stabilimento è sussidiato stabilmente dallâImp. e R. Governo. CostĂŹ non vi è trascurata nĂŠ lâistruzione religiosa, nĂŠ quella civile, a oggetto di far apprendere al povero i doveri del cristiano, e unâarte che ponga i loro figli di abbandonare lâabbietto mestiero di accattone; giacchè quelli che vi si ricevono, meno glâimpotenti, sogliono occuparsi di qualche lavoro proporzionato allâetĂ , al sesso e alla capacitĂ . Avvertasi che costĂ la reclusione dei poveri si limita al giorno, giacchè al tramontare del sole essi ritornano alle loro case, non saprei dire se facciasi ciò per economia, ossivero per rispettare i legami di famiglia e quella libertĂ personale che non suole ottenersi nei reclusorj notturni. In vista della quale libertĂ molti accattoni sogliono riguardare le pie case di lavoro piuttosto come luoghi di castigo che come refugio alla mendicitĂ .
Compagnia deâDisciplinati, o della Madonna sotto le Volte dello Spedale. â Della storia di questa benemerita congrega non farò parola, avendone trattato lâabate De- Angelis in un opuscolo pubblicato nel 1828. Dirò solo che la sua antichità è anteriore al 1295, epoca della prima riforma deâsuoi statuti; dirò che il suo scopo fu sempre quello di rendere utili ai suoi concittadini i soccorsi di cui è depositaria per disposizioni pie di benefattori che accumularono in essa un ricco patrimonio; a onore della quale istituzione aggiungerò che la sua esistenza fu rispettata da tutti i governi che hanno dominato la Toscana.
I deputati di questa compagnia sogliono conferire annualmente un numero di doti, somministrare alle partorienti povere un sussidio per il vitto nei primi giorni del puerperio, distribuire elemosine a domicilio a molte persone vergognose. Ma assai piĂš rilevanti sono i sussidi di cui essa è collatrice a favore di coloro che si dedicano ai buoni studj, e ciò per disposizioni testamentarie fatte negli anni 1610 e 1632 dai fratelli Giulio e Deifebo Mancini, e nel 1724 dai coniugi Marcello Biringucci e Cassandra deâVecchi.
Gli alunni deâprimi, ossia deâmancini, ricevono per un intero lustro scudi 60 lâanno, con lâobbligo di conseguire la laurea dottorale, ottenuta la quale ritirano altri 60 scudi per le spese.
Gli alunni Biringucci devono essere giĂ laureati in patria per recarsi a una delle universitĂ piĂš celebri italiane, o anche fuori dâItalia con un assegno mensile di 14 scudi romani da durare per un settennio, da poter prolungare sino a 10 anni e anche confermarlo. Era poi in facoltĂ della stessa compagnia di aumentare lâassegno mensuale agli alunni che recavasi fuori dâItalia. Però tanto gli uni come gli altri concorrenti non sono ammessi per lâalunnato se non sono nativi oppure originarj della cittĂ o stato di Siena.
Il numero medio degli alunni Mancini cui annualmente si conferiva il posto, soleva essere di tre, ma quello degli alunni Biringucci per lo studio fuori di patria negli ultimi tempi era salito fino a 13, sennonchè attualmente cotanta elargita è stata diminuita e tolta la conferma del settennio per destinare invece una parte di quegli assegni alla rimontata università di Siena.
Distribuzioni annue di doti per parte di cotesta Congrega, Lire 13,700 â â Annui sussidj dotali di regia collazione, Lire 4,480 â â Doti di collazione di altri stabilimenti di Siena, Lire 13,800 â â TOTALE, L. 18,280 â â Stabilimenti dâIstruzione pubblica. â Ă opinione invalsa fra molti che in Siena non incominciasse lâUniversitĂ prima del 1321, e che ciò si dovesse alle premure di un concittadino, Guglielmo Tolomei, allora professore nellâUniversitĂ di Bologna, il quale condusse in patria la maggior parte di quella scolaresca nelle circostanze di essere stato condannato a morte in Bologna uno di queâscolari. â (GHIRARDACCI, Storia di Bologna T. II.
P. IV.) Il Cronista Dei forse fu il primo a darne lâavviso, dicendo che ânel mese di maggio del 1321 venne in Siena lo studio generale di Bologna. Ma poco tempo vi stette imperocchè lo Comune aveva promesso agli scolarj venuti da Bologna di far loro avere i privilegi del convento (UniversitĂ ) e poi non li poterono avere e per questa cagione si partironoâ. Non saprei dire se fu questa la cagione o piuttosto lâaltra detta dal canonista Pietro Ancarano, il quale viveva sulla fine del secolo XIV, cioè che i sanesi pattuirono con gli scolari condotti da Imola a Siena, di pagare ai medesimi seimila fiorini per riscattare i loro libri lasciati in pegno a Bologna, e dare ai professori lâannua paga di 300 fiorini dâoro, oltre il fornire 16 mesi gratuita abitazione agli scolari, con che il governo procurasse ottenere dal Pontefice il privilegio al nuovo studio di conferire le lauree.
Di cotesta traslazione medesima dello studio da Bologna a Siena fece menzione Dino del garbo, nella dilucidazione al secondo canone sopra lâopera di Avicenna che dichiarò compita li 27 ottobre 1325, sebbene egli la cominciasse in Siena, mentre vi era professore, quam ego Dinus de Florentia minimus inter medicinae doctores incepi CUM FIGUIT STUDIUM IN CIVITATE SENARUM, et hanc partem Avicennae ibi in chatedra legi, sed eam complevi cum Florentiam redii propter illius studii diminutionem et annichilationem.
Con tutto ciò altre circostanze mi spingono a credere che in Siena assai prima del 1321 avesse origine un liceo se non fu una compita Università .
Realmente Uberto Benvoglienti anche su tale rapporto raccolse tali e tanti documenti, i quali sembrano sufficienti a dimostrare che in Siena fino dalla prima metĂ del secolo XIII esisteva uno studio.
Sul qual rapporto io non rimetterò in campo la notizia registrata in Bicherna sotto lâanno 1322, quando i camarlinghi del Comune pagarono a tal uopo lire 11,12 e 9 a maestro Francesco di Tura di Buonamico, sivvero rammenterò una somma che essi nel 1248 diedero ai maestri Pepone, Givannino, a Givanni deâMordenti ed a maestro Pietro Spagnolo per passarla ai messi che recavano le lettere del Comune in diverse parti della Toscana, onde invitare i scolari a venire a studio a Siena.
â (BICHERNA, Entrata e Uscita, B. ora L. N°4 fol. 29) Inoltre nellâanno stesso 1248 si pagarono lire dieci a forma dello statuto a maestro Pietro Spagnolo dottore in Fisica. â (loc. cir. B 5. fol. 37) Era per avventura cotesto Pietro Spagnuolo quel maestro che 20 anni prima, fu professore delle decretali in Bologna, quando un suo collega guascone lo invitava a recarsi allâUniversitĂ di Padova dove il maestro guascone allora professava la materia stessa. Ma per qual motivo Pietro Spagnuolo abbandonasse la giurisprudenza per la scienza fisica non è cosa agevole a definire. â (TIRABISCHI Storia della Letteratura Italiana, T. IV. P.
I. lib. I.) Che poi glâincunabuli dellâUniversitĂ di Siena risalgano verso la metĂ del secolo XIII lo dimostra una bolla del Pontefice Innocenzo IV data in Perugia li 26 novembre dellâanno X del suo pontificato (1252) il cui originale fu riscontrato dal chiaro Abate marini nellâarchivio segreto Vaticano, mentre una sua copia esiste in un libro in gran foglio intitolato âNotizie relative allâUniversitĂ di Siena si dichiarano essi e i bidelli esenti dalle imposizioni, servizj angarie ecc. ecc., se non che nella detta bolla non trovo fatta menzione del diritto della laurea nĂŠ dei cancellieri dellâUniversitĂ .
Arroge che negli spogli del Benvoglienti, estratti dallâArchivio Diplomatico Sanese, sono indicate sotto gli anni 1262, 1267, 1274, 1279; 1280 e 1285 diverse paghe per salarj ad alcuni maestri e dottori i quali leggevano in Siena. â (BIBLIOT. SAN.) Che poi lâUniversitĂ predetta nel 1321 non fosse ancora stabilita nella casa della Sapienza, lo dichiararono in primo luogo, il pagamento fatto nel 1322 per conto del Comune di Siena per la pigione di una casa nella quale si trovavano i scaffali del pubblico per riporre i libri deâscolari; e in secondo logo lo sborso di lire 17,16 eseguito nel 1323 dai camarlinghi di Bicherna per un semestre della pigione della scuola, nella quale leggeva il celebre dottore fiorentino Tommaso Corsini; in terzo luogo per il fitto di quattro mesi pagato di una casa deâTolomei, nella quale si adunavano i rettori dellâUniversitĂ deâscolari. Inoltre nellâanno stesso 1323 fu saldato Marsilio di Scotto per la pigione di una sua casa, in cui solevano leggere i dottori in medicina.
Bisogna ben dire che lo studio aperto in Siena fra il 1246 e il 1248, rinnovato poi nel 1321, non vi gittasse troppo salde radici, tostochè quei governanti nel 1357 inviarono una solenne imbasciata allâImperatore Ca rlo IV, supplicandolo a riaprire la stessa UniversitĂ , come seguĂŹ mercè diploma del 16 agosto 1357, col quale si concederono a questa di Siena esenzioni e oneri propri delle altre UniversitĂ , con tutte le cattedre meno la teologica. Anche la facoltĂ di teologia fu aggiunta allo studio sanese dallâantipapa Gregorio XII, da quello stesso che con tre bolle spedite da Lucca nel giorno 7 maggio del 1408, oltre la conferma del diploma imperiale predetto concedeva allâUniversitĂ senese la facoltĂ della teologia, e quella della laurea, deputando in cancelliere della medesima Monsignor Antonio Casini, allora vescovo di Siena, ed in seguito i di lui successori: (PECCI, Serie deâVescovi e Arcivescovi di Siena).- Con una di quelle bolle lo stesso Gregorio XII incorporò allo studio di Siena lo spedale di S. Maria della Misericordia di questa cittĂ , nel quale per scarsezza di entrate (dice la bolla) non vi si tenendo quasi veruna ospitalitĂ , convertĂŹ il suo locale ad uso di abitazione e convito per 30 scolari dello studio generale di Siena, a condizione che cotesto spedale si appellasse dâallora in poi Casa della Sapienza .
Colla terza bolla finalmente si concedevano 5 anno dâindulgenza a tutte le persone pie che lasciavano beni alla nuova Casa della Sapienza per il mantenimento degli scolari. â (ARCHIVIO DIPLOMATICO SANESE T.
XXVI delle Pergamene N° 2026 e 2027.) Realmente la Sapienza o UniversitĂ di Siena dopo tali incoraggiamenti dovè rendersi una delle famigerate dâItalia, siccome lo dimostrò lâaffluenza degli scolari che in seguito vi accorsero; talchè il Cardinale Francesco Piccolomini, Poi Papa Pio III, ebbe in mira di far ingrandire il fabbricato. Al quale effetto fu commesso a Giuliano da S. Gallo un confacente disegno, che non fu mai eseguito, ed il ci originale fu acquistato dal Cavalier Giovanni Antonio Pecci. Accrebbe poi lustro a questa UniversitĂ lâaver avuto per scolaro fra il 1425 ed il 1430 Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II ed il suo apologista Girolamo Agliotti, il quale rammenta fra i 600 scolari che allora vi si contavano molti giureconsulti e medici insigni di varie parti dellâItalia stati professori o scolari dello studio di Siena, dove si recò per poco il noto Francesco Filelfo con lo stipendio annuo di 350 fiorini dâoro. Ma le lunghe guerre che terminarono con la caduta della repubblica sanese dovettero portare a cotesta UnivrsitĂ il maggior tracollo.
Nel ruolo del 1588 comparisce per la prima volta nellâUniversitĂ di Siena un professore di botanica, ed il Bosco Mattioli servĂŹ allora di orto deâsemplici. Comecchè il Granduca Francesco I accrescesse il numero e gli stipendj deâprofessori; comecchè Ferdinando I nel 1590 estendesse fino a 35 le cattedre, e concedesse allâuniversitĂ sanese tanti privilegj da dover essa quasi gareggiare con le piĂš famose dellâItalia; comecchè Ferdinando II nel 1655 prescrivesse un nuovo regolamento, acciocchè il numero degli scolari, non meno che il zelo e lâimpegno deâprofessori nellâistruirli, si facesse sempre maggiore, comecchè finalmente anche Cosimo III, nel 1672, ordinasse nuovi provvedimenti con accrescere gli stipendj ai suoi professori, contuttociò lâUniversitĂ di Siena non potè stare a confronto di quella di Pisa nello stesso Granducato.
Nella rimontatura di questo studio (anno 1784) il Granduca Leopoldo I ordinò un orto botanico, che affidò al professore di quella cattedra Biagio Bartalini e che il Prof: attuale Giuseppe Giulj accrebbe fino a circa 3000 specie di piante.
STUDENTI concorsi allâUniversitĂ dopo le ultime Riforme.
nellâAnno 1839 â 40: Rassegnati 271, non Rassegnati 64 nellâAnno 1840 â 41: Rassegnati 212, non Rassegnati 23 nellâAnno 1841 â 42: Rassegnati 141, non Rassegnati 83 nellâAnno 1842 â 43: Rassegnati 123, non Rassegnati 34 nellâAnno 1843 â 44: Rassegnati 136, non Rassegnati 53 I. e R. Collegio Tolomei. â Sebbene questo stabilimento fondato fosse per i nobili alunni dal sanese Celso Tolomei mediante testamento degli 8 settembre 1628 destinando a tale scopo scudi 50,000, pure una simile istituzione dubito che prendesse origine da altra compagnia, da quella cioè di cento nobili cavalieri sanesi organizzata nel principio di questo secolo, ed i cui alunni sotto un nome accademico esercitavansi nella cavallerizza e nelle scienze avendo per loro capo il Granduca Ferdinando I, al quale per ingegno di Scipione Bargagli fu dato lâemblema del re dellâAlpi col motto Maiestate tantum, Il nobile collegio Tolomei fu aperto il 25 novembre 1676 sotto la direzione dei Padri Gesuiti nel casamento contiguo al palazzo e piazze Tolomei, quindi fu preso (ERRATA: in affitto nel 1783) in affitto nel 1683 il palazzo detto Papeschi della famiglia Piccolomini, dove si trasferirono quegli alunni e quivi restarono fino al 1820, epoca della loro traslazione nel giĂ convento di S.
Agostino di Siena.
Dopo la soppressione deâGesuiti (anno 1774), furono chiamati alla direzione di questo collegio i Padri delle Scuole Pie, che costantemente vi sono, occupandosi ancora dellâeducazione intellettuale e morale deâ nobili convittori, il numero deâquali per altro oggidĂŹ resta inferiore a quello di 50 limitato per la loro accettazione.
I giovani sono istruiti nelle arti cavalleresche, nella letteratura, nella lingua latina, greca, italiana, francese, inglese, tedesca, nelle scienze morali, nelle fisiche e matematiche. Fra i miglioramenti introdotti da poco tempo a questa parte, potrebbero contarsi una scuola botanico-agraria e un giardino di semplici per lâistruzione di giovani signori.
Presiede ad esso una deputazione economica composta del provveditore della Camera communitativa del Compartimento di Siena, del gonfaloniere della cittĂ e del nobile Giovan Battista Pannilini.
Regio Istituto Toscano deâ Sordo-Muti.- Questâistituto può dirsi quasi un miracolo della provvidenza. Cominciò nellâanno 1828 senzâaltra risorsa che quella di alcune oblazioni volontarie dei sanesi; poscia fu soccorso e protetto dal Granduca regnate Leopoldo II e dalla sua Augusta famiglia; ed ora con sovrano rescritto del 13 aprile del 1843 dichiarato regio, esentato dalla legge delle Mani-morte e dotato con gli assegnamenti del soppresso R. Istituto deâSordo-Muti di Pisa. Vi sono otto posti gratuiti per altrettanti Sordo-Muti della Toscana a nomina di S. A. I. e R. si ricevono tutti i Sordo-Muti nazionali ed esteri che pagano unâannua retta di lire 400. Due religiosi delle Scuole Pie di nomina del Principe dirigono lâistruzione deâSordo-Muti e quattro Suore della caritĂ hanno la direzione del convito delle Sorde-Mute. Presiede a tutto lo stabilimento la deputazione medesima che dirige lâamministrazione del nobil Collegio Tolomei.
Il direttore di questa filantropica istituzione che accresce onore al cuore deâsanesi è il suo zelante fondatore professore P. Tommaso Pendola delle Scuole Pie, rettore del Collegio Tolomei, per opera del quale sono state pubblicate otto Tavole statistiche dei Sordo-Muti esistenti nel Granducato di Toscana al termine dellâanno 1843.
Lâistituto conta attualmente N°40 alunni, 25 maschi e 15 femmine.
Rispetto alle scuole primarie non citerò quelle di letteratura latina, italiana, e scienze morali aperte nellâOpera del Duomo, nel Seminario Arcivescovile di S.
Giorgio, nella collegiata di Provenzano, e di corto dai Padri Gavotti nel loro convento di S. Spirito.
Conservatorj di femmine. â Sono tre, cioè, 1° lâI. e R.
Ritiro del Refugio istituito nel 1598 per nobili fanciulle; 2° quello di S. Maria Maddalena delle Montalve; 3° di S.
Girolamo detto delle Abbandonate. A questi conservatori restano da aggiungere le Scuole Normali fondate nel 1783 per le fanciulle che le frequentano il giorno per tornare la sera alle case proprie dove concorrono un anno per lâaltro da 260 ragazze.
Scuola ebraica e Sinagoga . â Sebbene lâintroduzione a Siena degli Ebrei sia antica, la sinagoga attuale non è piĂš vecchia delâanno 1788. Vi è anche una scuola israelitica maschile dove si contano 17 fanciulli per lâinsegnamento primario. Il ghetto di Siena nel 1745 noverava 60 famiglie con 296 abitanti.
In Siena non manca una cassa di risparmio, nĂŠ una sala per gli asili infantili, nĂŠ una scuola dâinsegnamento reciproco.
I. e R. Istituto delle Belle Arti. â Recentissima quanto utile istituzione fu questa fondata nellâanno 1816 dal granduca Ferdinando III nei locali della Sapienza, di dove per troppa angustia fu levata lâUniversitĂ e di lĂ traslocata nellâantico monastero di S. Vigilio, giĂ residenza del Prefetto dedl Dipartimento dellâOmbrone.
La direzione di cotesto istituto è affidata alla conosciuta intelligenza e bravura del professor Francesco Nenci. Nel locale medesimo è stata riunita una quantitĂ di pitture, molte delle quali appartenute a chiese e conventi soppressi, dove fu trovato quanto i pittori sanesi fecero di meglio. Sono quelle pitture disposte per ordine di etĂ , e la pinacoteca pubblica sanese dĂ meglio a conoscere quanto fosse giusta la sentenza dellâAbate Lanzi allorchè, sia per lâelezione deâcolori, sia per lâaria rallegrante e gaja deâvolti caratterizzò la pittura senese lieta scuola fra lieto popolo. Che se costĂ fosse riunita la celebre tavola dipinta nel 1220 da Guido da Siena, ora nella chiesa di S.
Domenico, e la miniatura stata fatta sul MS. del 1231 esistente in quella pubblica libreria intitolato: Ordo Officiorum Senensis Ecclesiae, la raccolta delle pitture dellâIstituto Senese di Belle Arti sarebbe per anzianitĂ di autori la prima di tutta Italia.
Osservava giustamente il Padre della Valle che la scuola pittorica di Siena spiega un talento speciale per lâinvenzione e per lâespressione. Ne era difficile soggiungeva lâAbate Lanzi studiare unâultima parte in una cittĂ sĂŹ nemica della simulazione comâè Siena dove per lo spirito e per lâeducazione si ha pronto nella lingua e nel volto ciò che si sente nel cuore. Cotesta veritĂ pronunziata da un uomo venerando non toscano e non appassionato, onora talmente il carattere dei sanesi, che non ho potuto fare a meno di riportarla.
Quanto al numero degli artefici, Siena rispetto alla sua popolazione nâebbe molti finchè contò molti cittadini; scemato però il numero di questi, scemarono anche i cultori delle Belle Arti, fintanto che sotto il governo Mediceo ogni traccia di scuola le venne meno. Sono della prima epoca oltre la miniatura del 1213 e la pittura del 1220 di Guido da Siena, i mosaici di Fra Mino da Torrita, i dipinti di maestro Duccio di Boninsegna, di Simone di Martino, o di Simone Memmi, ecc. â Si Distinsero fra quelli della seconda epoca il Raggi, detto il Sodoma, il Beccafumi, il Pacchiarotto, Baldassarre Peruzzi, ecc. â La terza epoca comincerebbe col Riccio, o Bartolommeo Neroni e col Salimbeni seguiterebbe col Casolani e col Cavalier Francesco Vanni, cui si deve il ritrovato di dipingere in marmi, lasciando nei figlioli i seguaci della quarta epoca e della sua scuola, nella quale figurò il Cavalier Giuseppe Nasini, allievo esso pure del Vanni.
A conservazione poi dei monumenti dellâarte sia pittorica, sia statuaria, sia architettonica della cittĂ di Siena, il Granduca Leopoldo II fin dal 1829 instituĂŹ una deputazione affinchè vigilasse non solamente sopra gli oggetti dâarte che si trovano situati nelle chiese, conventi ed altri pubblici stabilimenti, ma ancora nelle strade e piazze di Siena, compresa lâarchitettura di tante belle fabbriche private egregiamente costruite di mattoni senza intonaco.
Accademie scientifiche e letterarie. â Dopo Firenze, scriverĂ lâAbate Tiraboschi, (Storia della Letteratura Italiana T. VII. P. I. Lib. I.) non vi ebbe cittĂ della Toscana che in numero e in fama di letterarie adunanze si potesse paragonare a Siena.
La piĂš antica di tutte è quella deâRozzi, cui succedè lâaccademia deglâIntronati, la prima nata nel principio del secolo XV, la seconda circa 5 lustri dopo. â Lâaccademia deâFisiocritici appartiene alla fine del secolo XVII; piĂš giovane delle altre è la Tegea, che fu aperta dopo la metĂ del secolo XVIII la piĂš grande economista deâsuoi tempi, lâarcidiacono Salustio Bandini. Non dirò di unâaccademia poetica di dame sanesi nata e protetta da dopo la metĂ del secolo XVII dalla Granduchessa Vittoria della Rovere dopo rimasta vedova di Ferdinando II, le componenti della quale accademia tennero le loro adunanze pubbliche assai frequentate, finchè visse la principessa protettrice dopo la cui morte si spense anche cotesta poetica societĂ .
LâAccademia deâRozzi fu soppressa da Cosimo I avendo ragione di temere che quelle assemblee fossero dannose alla pubblica tranquillitĂ per la fervidezza deâSanesi assai pronti ad accendersi. Alla sventura stessa deâRozzi fu soggetta lâaccademia deglâIntronati, ma tanto lâuna che lâaltra rivissero al principio del secolo XVII sotto il Granduca Ferdinando I.
Frattanto lâaccademia deglâIntronati non potendo piĂš risorgere allâantico splendore, nel 1654, si associò ad altra accademia detta deâFilomati, nata clandestinamente nel 1586, e questa fuse il suo nome nellâaltra deglâIntronati, alla quale nel 1647 fu accordato il teatro aperto nel palazzo pubblico, dove i socj recitarono una loro produzione comica intitolata la Statira . In tal guisa le due accademie riunite sotto un solo nome continuarono fino al 1674, in una sala annessa alla Sapienza, sala che in questo secolo fu aggiunta alla pubblica biblioteca ivi contigua.
La esistente congrega deâRozzi, sebbene innalzasse nel suo locale un grazioso teatro per le rappresentanze scritte dai suoi colleghi, questi nel 1816 lo ridussero a teatro dâistrioni e di cantanti, abusivamente chiamati virtuosi.
Lâunica fra le antiche accademie che conservi in Siena il titolo corrispondente allo scopo è quella deâFisiocritici, eretta nel 1691 nel locale della Sapienza, trasferita nellâanno 1815, nel soppresso monastero di S. Mustiola; il cui locale nel 1828 fu ridotto ed arricchito di oggetti di storia naturale per cura del defunto Prof. Guiseppe Lodoli, che procurò di rendere cotesta fabbrica confacente alle adunanze accademiche ad un museo dâistoria naturale e di mineralogia specialmente patria. Infatti si trovano costĂ riunite molte preziose raccolte fatte nel territorio senese dallâAbate Prof. Ambrogio Soldani, dal Prof. Annibale Baldassarri, e da molti acquistate da Padre Ricca per buon dire deâpezzi importantissimi ivi depositati dal Prof. Cav.
Prospero Mazzi, dallâattuale preparatore Abate Francesco Baldacconi e da non pochi altri scienziati viventi. Oltre la scientifica collezione del primo, X volumi in 4° finora pubblicati degli Atti dellâAccademia deâFisiocritici, non è da tacersi il programma di corto venuto alla luce per due premj, che uno di lire 600 e lâaltro di lire 300 da quel governatore assegnati a chi risponderĂ meglio a due quesiti di argomento industriale e agrario per utilitĂ del paese. a cura dello stesso conte Serristori nel 1843 fu aggiunta allâAccademia suddetta una sezione per la scienza agraria.
Accademia Tegea. â Essa ha come dissi, la gloria di aver per fondatore ed autore del suo titolo il celebre patrizio senese Salustio Antonio Bandini, (si aggiunga) risorta per cura dei Prof. Valeri e Lodoli. Sebbene col nome di Tegea di radice greca si tentasse abbracciare cielo e terra, pure i suoi modesti accademici si applicano con zelo a promuovere la tecnologia nella loro patria. Per effetto della quale essi nel 1842 fondarono per gli artigiani due cattedre di chimica e di meccanica applicata, assegnando medaglie a coloro che meglio ne profittassero, oltredichè nellâanno susseguente istituirono due premj per quelli che con soddisfazione risolverebbero un qualche quesito di pubblica economia.
Biblioteca pubblica. â Scriveva un secolo fa il Muratori al Cav. Giovanni Pecci queste parole: Chi lo crederebbe, una cittĂ cotanto ricca di stabilimenti utili, abitanti di un temperamento tutto fuoco e tutto spirito stati per tanti secoli senza il comodo di una buona libreria!âŚ. Mi dispiace nondimeno di dover dire che Siena per ingegni siffatti è un teatro troppo angusto. Senza libri non si può fare deâgran voli, e di questi io tempo che Siena sia poco provveduta.
Non direbbe cosĂŹ oggi se Muratori vivesse e sapesse, che oltre la generositĂ dellâarcidiacono Bandini, cui si deve lâorigine della biblioteca pubblica attuale, fondata nel 1758, essa è stata notabilmente accresciuta e dalla cure del suo primo bibliotecario, lâAbate Ciaccheri e dai preziosi MSS. di eruditi sanesi ivi depositati, fra i quali molti spogli fatti dallâeruditissimo Uberto Benvoglienti, e da una collezione pure MSS. deâBellartisti del defunto Ettore Romagnoli, oltre i molti libri a stampa e MSS.
trasportativi dai conventi soppressi.
Inoltre il Muratori saprebbe che la biblioteca pubblica di Siena ora possiede un indice per ordine di materie e di autori, lavoro immenso del laboroso Lorenzo Ilari benemerito custode, o piuttosto sottobibliotecario della medesima.
Archivii pubblici. â Io non credo che dopo Firenze vi sia cittĂ in Toscana cotanto doviziosa di archivi pubblici e di antiche pergamene, senza aggiungere che molte case di nobili posseggono numerose membrane e preziosi MSS.
Tale per esempio, è lâarchivio deâBorghesi.-Bichi, la libreria del Cav. Carlo Lodoli, dovizioso il primo di contratti antichi, la seconda di MSS. lasciati dallâerudito sanese cav. Giovanni Pecci.
Fra gli archivi pubblici uno deâpiĂš importanti per la storia patria tengo che sia il Diplomatico Sanese riunito a quello delle Riformagioni della repubblica, ai consigli della Campana, ai libri di Bicherna ed alle pergamene della cittĂ e Compartimento di Massa Marittima.
Lascio al suo lungo, perchĂŠ basata sopra una semplice traduzione quella raccontata dal Gigli, che dagli archivj di Bicherna fossero stati un tempo rubati e venduti a peso di carta molti pregevoli libri e memorie di antichitĂ sanesi.
Nello stesso palazzo pubblico a terreno due altri archivi importantissimi. Il primo è quello Civile o deâNotari, raccolto nel 1560 costĂ , dove sotto il governo del granduca Leopoldo I furono depositati gli archivj minori della mercanzia, dellâarti e mestieri con i respettivi statuti, oltre una serie considerabile di pergamene ascendenti in tutte a circa 19000, succintamente spogliate dallâAbate Pietro Paolo Pizzetti. Il secondo è lâarchivio sottoposto alla soprintendenza della Camera comunitativa del Compartimento di Siena, ricco esso pure di MSS. di membrane, di visite pubbliche per la cittĂ e lo stato sanese, ecc.
LâArchivio dellâOpera del Duomo è meritevole delle osservazioni dello studioso che bramasse di recare qualche maggior lume alla storia di quel magnifico tempio. Vi è uno spoglio succinto di 1586 pergamene, consistenti in contratti, donazioni, provvisioni, pagamenti di lavori, ecc. a partire dalla carta piĂš antica che è del 1002 fino allâultima che scende al 1780.
LâArchivio dello Spedale della Scala. â Non è fra i meno importanti di questa cittĂ per gli atti pubblici, sia per gli originali statuti del pio stabilimento, ricopiati in lingua volgare per ordine dello spedale, messer Jacopo figliolo di Cristofano di Mancino cittadino sanese, che nel 17 luglio dellâanno 1318 offrĂŹ tutti i suoi beni a quel luogo pio. Il quale spedalingo fu da alcuni equivocato con altro messer Iacopo di Bencivenni, che era stato rettore dello spedale medesimo nellâanno 1265.
Fra la collezione delle pergamene sonovi piĂš bullettoni o copie autentiche di contratti scritti dopo il 1166.
Monte deâPaschi e Monte Pio. â Il Monte deâPaschi la cui fondazione risale al 1624, è unâistituzione originale e dirò propria di questa cittĂ , creata nello scopo di frenare le usure eccessive che riescivano a danno dellâindustria territoriale e delle quasi spente manifatture del paese.
Le prime costituzioni del Monte deâpaschi sono atteggiate a seconda delle idee e dei pregiudizj municipali di quella etĂ , stati tolti n gran parte ai tempi nostri giacchè non si ammettevano al godimento del credito del Monte deâpaschi che i Sanesi.
Innanzi lâintroduzione delle ipoteche il Monte deâPaschi affidava le somme richieste alla probitĂ individuale e allâesame delle respettive ricchezze, comecchè il richiedente dovesse associarsi una o piĂš persone possidenti e solventi, le quali stassero garanti al pagamento deâfrutti e della sorte al pari del mutuante.
Del resto tutte queste precauzioni cessarono dopo lâintroduzione del sistema ipotecario, per cui inutili si rendono oggi le doppie firme, senza alcun obbligo al traente della restituzione del capitale; il quale può anche estinguersi a piccole frazioni che il Monte deâPaschi riceve dai particolari dei depositi in danaro, corrispondendo al mutuante attualmente di frutto il 3 3/4 per cento mentre nel Monte stesso sâimpiegano capitali al 4 1/3 per cento.
Monte Pio . â PiĂš antica di qualche secolo è la fondazione del Monte Pio di Siena, perchĂŠ fu istituito fino dal 1471, quando imprestava moneta con lâusura di 6 danari per ogni lira (2 1/2 per cento). Fu chiuso e poscia, nel 1569 riaperto nel fabbricato della dogana presso la residenza del Monte deâPaschi che sussidia il primo qualora gli imprestiti eccedono il suo capitale.
Lâinteresse annuo è del 5 per cento, ma la frazione dei mesi suole calcolarsi per un mese intiero.
Anno 1839, Depositi fatti: Pegni N °. 31,296 per la somma di Lire 678,000 Anno 1840, Depositi fatti: Pegni N °30,275 per la somma di Lire 663,000 Anno 1841, Depositi fatti: Pegni N °25,974 per la somma di Lire 386,000 Anno 1842, Depositi fatti: Pegni N °24,192 per la somma di Lire 544,000 Anno 1843, Depositi fatti: Pegni N °25,318 per la somma di Lire 501,000 Banca Senese. â Ă la piĂš recente e forse piĂš attiva istituzione commerciale di Siena essendo stata aperta nel primo maggio dellâanno 1842. Essa ha tolta la difficoltĂ somma alle persone industriali di trovare denaro pronto e per poco tempo sa discreto frutto, dondechè le sue operazioni hanno ravvivato lâindustria manifatturiera, commerciale ed agraria non solo della cittĂ , ma di tutto lâantico suo stato, in modo che colui che abbia visitata Siena nellâanno 1841, e poi rivisitata nel 1843, gli sembrerĂ trovarla risorta a vita nuova.
Con quanta celebritĂ questa banca abbia esteso le sue operazioni lo dĂ a conoscere il rapporto fatto nel primo anno da quella direzione, e meglio ancora lo dimostrerĂ il rapporto del secondâanno.
La banca senese si aprĂŹ con un capitale di lire 150,000; le operazioni dei primi tre mesi non oltrepassarono le 60,000 lire, mentre negli ultimi tre dellâanno bancario salirono fino a 180,000 lire. Nel totale le operazioni attive nel primo anno furono di lire 1,179,972.5.4; mentre nei primi otto mesi del secondo anno, cioè dal primo maggio a tutto dicembre del 1843, il suo giro bancario è stato di lire 1,465,796.9.4.
Industrie principali della cittĂ . â Dalla prima esposizione delle manifatture eseguita nellâagosto del 1842 si rileva che in Siena primeggiano i tessuti di seta, di lino e di cotone, i cappelli di feltro, ed in singolare modo glâintagli di legno.
Clima di Siena. â Innanzi di chiudere questo lungo articolo non sarĂ forse inutile aggiungere qualche parola rispetto al clima di questa cittĂ , tanto piĂš che la topografia atmosferica esercita una singolare influenza sulla salute degli abitanti. â Se toccasse a me scegliere nella Toscana dove meglio vivere, diceva il Padre Della Valle, darei la preferenza nellâinverno a Pisa e nellâestate a Siena.
Per veritĂ il clima di questa cittĂ nella calda stagione è delizioso, mentre nellâinverno vi dominano frequentemente i venti, e in special modo quelli di grecale. Non io giĂ vorrei dare, come dava quel buon frate, al vento grecale la virtĂš di trasportare nellâatmosfera di Siena e delle sue vicinanze le molecule saline, donde egli supponeva che restassero, dirò cosĂŹ, conditi di brio gli abitanti di Siena.
Imperocchè è innato nei Sanesi un ingegno fervido, svegliato e di gran fuoco,per cui eccellenti pittori e poeti escirono di costĂ ; talchè niun pittore prima deâSanesi lasciò memoria di sĂŠ, e niuno dopo il Tasso e il Petrarca meritò fra i poeti estemporanei la corona dâalloro che ottenne sul Campidoglio il Cavalier Perfetti. Glâingegni di cotesti abitanti scriveva il Muratori a Giovanni Antonio Pecci, sogliono avere gran fuoco: ella nĂŠ ha troppo poco; il defunto Uberto Benvoglienti camminava pel mezzo, ed è stata gran disgrazia anche per Lei che lâabbiamo perduto; ecc.
Uomini piĂš celebri nelle scienze e nelle lettere. â Se dovessi noverare tutti glâingegni sanesi piĂš insigni in vari generi di virtĂš non mi basterebbe un libro.
Lasciando a parte i piĂš famosi per santitĂ o per eresie, i molti pontefici, cardinali, i tanti prelati e distinti dottori che ebbero i natali in Siena, mi limiterò solamente agli artisti, scienziati e letterati piĂš conosciuti, come sarebbero per esempio un Folcacchieri, che forse fu il primo fra i poeti italiani siccome uno deâpiĂš moderni e piĂš distinti improvvisatori riescĂŹ il rammentato Cavalier Perfetti.
Ricorderò Guido da Siena, il piÚ antico fra i pittori, e Mino da Torrita, il piÚ vecchio in genere mosaici, senza dire di un Beccafumi, di un Raggi, soprachiamato il Sodoma , senza citare fra gli architetti piÚ insigni un Francesco di Giorgio, un Baldassarre Peruzzi ecc. tutti capiscuola senesi.
Fra i sommi canonisti rammenterò Mariano Sozzini il vecchio, di cui fece un magnifico elogio il suo concittadino Enea Silvio Piccolomini, poscia Papa Pio II, abilissimo egli stesso in varii rami di scienze non che in belle lettere.
Ricorderò un Bartolommeo di Mariano Sozzini che fra i professori di diritto civile non fu inferiore ad alcuno del secolo XV, nel qual tempo fra gli altri si distinse il sanese giureconsulto Bulgarino.
Citerò fra i naturalisti e dottori un Mattioli, un Biringucci, un Baldassarri, un Abate Soldani, un Giulio Mancini, un Giuseppe Lodoli, benchè ad alcuni di essi Siena non fosse stata loro culla, ma solo patria di affezione.
Rispetto ai piĂš grandi scrittori di cose patrie mi limiterò a un Orlando Malavolti e a un Giugurta Tommasi, a Celso Cittadini, a Uberto Benvoglienti, a Giovannio Antonio Pecci, ad Ettore Romagnoli, mentre un nome che equivale a un tesoro è quello dellâarcidiacono Salustio Bandini stato il primo economista del secolo passato.
QUADRO della Popolazione della CITTAâ e COMUNITAâ di SIENA a cinque epoche diverse PIEVANATO MAGGIORE DI S. GIOVANNI IN SIENA - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Giovanni (Pieve maggiore) con gli annessi di S. Desiderio (cura soppressa nellâanno 1787) e Spedali riuniti di S. Maria della Scala abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1167 (S.
Giovanni) n° 411 (S. Desiderio) n° 309 (Spedali riuniti di S. Maria della Scala), abitanti anno 1833 n° 1986, abitanti anno 1840 n° 1977, abitanti anno 1843 n° 2537 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Andrea Apostolo con una porzione della cura deâSS. Vincenzio e Anastasio (soppressa nel 1783) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 453, abitanti anno 1833 n° 620, abitanti anno 1840 n° 632, abitanti anno 1843 n° 678 - titolo della chiesa: S. Antonio Abbate (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 750, abitanti anno 1833 n° 858, abitanti anno 1840 n° 801, abitanti anno 1843 n° 892 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Clemente ai Servi con S. Michele a Castel Montone (soppresso verso lâanno 1280) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 533, abitanti anno 1833 n° 840, abitanti anno 1840 n° 911, abitanti anno 1843 n° 1060 - titolo della chiesa: S. Cristofano (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 530, abitanti anno 1833 n° 971, abitanti anno 1840 n° 1007, abitanti anno 1843 n° 1007 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Donato allâArco in S. Michele alla Badia nuova (dopo il 1745) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1383, abitanti anno 1833 n° 1589, abitanti anno 1840 n° 1694, abitanti anno 1843 n° 1660 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Martino (Priorato) con una porzione di S; Giorgio (soppresso nel 1783), compresa la Nazione Israelitica abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 2499, abitanti anno 1833 n° 2589, abitanti anno 1840 n° 2422, abitanti anno 1843 n° 2502 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Spirito trasportato da S. Maurizio ed una porzione di S. Giorgio (soppresso nel 1783) (soppressa nel 1783) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1320, abitanti anno 1833 n° 1538, abitanti anno 1840 n° 1672, abitanti anno 1843 n° 1619 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Pellegrino traslato nel 1783 nella chiesa della Sapienza abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 606, abitanti anno 1833 n° 782, abitanti anno 1840 n° 837, abitanti anno 1843 n° 803 - titolo della chiesa: S. Pietro in Castelvecchio (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 652, abitanti anno 1833 n° 971, abitanti anno 1840 n° 1074, abitanti anno 1843 n° 1107 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Pietro alla Magione con parte dellâannesso della soppressa cura deâSS. Vincenzio e Anastasio abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 484, abitanti anno 1833 n° 518, abitanti anno 1840 n° 619, abitanti anno 1843 n° 648 - titolo della chiesa: S. Pietro a Ovile (Rettoria) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1115, abitanti anno 1833 n° 1552, abitanti anno 1840 n° 1649, abitanti anno 1843 n° 1614 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): SS. Pietro e Paolo trasportato nel 1782 inS. Giovannino in Pantaneto abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 295, abitanti anno 1833 n° 387, abitanti anno 1840 n° 458, abitanti anno 1843 n° 458 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): SS. Quirico e Giulitta con lâannesso della cura di S. Marco (soppressa nel 1783) e parte della cura di S. Mustiola alla Rosa (soppressa nel 1815) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1475, abitanti anno 1833 n° 2029, abitanti anno 1840 n° 2139, abitanti anno 1843 n° 1950 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Salvatore in S. Agostino con lâannesso di S. Agata (cura riunita nel 1783 a quella di S. Mustiola) abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 1024, abitanti anno 1833 n° 1063, abitanti anno 1840 n° 1104, abitanti anno 1843 n° 1117 - titolo della chiesa (ed epoca degli annessi): S. Stefano alla Lizza con lâannesso di S. Barbera alla Fortezza e parte della soppressa cura deâSS. Vincenzio e Anastasio abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 535, abitanti anno 1833 n° 520, abitanti anno 1840 n° 650, abitanti anno 1843 n° 681 - Totale abitanti anno 1640 n° 15998 - Totale abitanti anno 1745 n° 15541 - Totale abitanti anno 1833 n° 18813 - Totale abitanti anno 1840 n° 19646 - Totale abitanti anno 1843 n° 20333 SIENA, COMUNITAâ DEL TERZO DI CITTAâ Il territorio di questa ComunitĂ occupa una superficie di 16488 quadrati, 340 dei quali spettano a corsi dâacqua e a pubbliche strade. CostĂŹ nel 1833 stavano fissi 4443 individui a proporzione di 222 abitanti per ogni miglio quadrato di suolo imponibile.
Cotesto territorio nella sua maggior lunghezza da settentrione a ostro stendesi per gradi 0. 6' 12" in longitudine dellâimbocco della Via di Fabbrica nella postale Romana, presso lâOsteria del Ceppo fino Ponte a Tressa; mentre la sua maggior larghezza, a partire dal Ponte di Larniano, da ponente al suo levante-scirocco, sino alla Porta Romana corrisponde a gradi 0. 6' 30" nella latitudine settentrionale.
Confina con il territorio di cinque ComunitĂ . Dalla Porta di Camullia fino alla strada postale di Fonte Becci, ha di fronte, a levante la ComunitĂ delle Masse del Terzo di S.
Martino. La medesima strada postale da Fonte Becci allâOsteria del Ceppo, e dallâaltra parte per la via comunitativa della Castellina sino davanti al Castagno, ha davanti a settentrione la ComunitĂ di Monteriggioni, con la quale continua a fronteggiare dirimpetto a maestrale per le strade comunitative del Pian del Lago e di S. Colomba; finalmente per tortuosi ed artificiali confini sino al fosso di Larniano, dove sottentra il territorio comunitativo di Sovicille, da primo dirimpetto a ponente mediante il fosso prenominato, poi di fronte, a libeccio per la via rotabile della Montagnuola e per confini artificiali fino alla strada Regia Grossetana, che percorre dalla Grotta fino al Chiesino e di lĂ per il borro della Fogna.
Su questo stesso borro il territorio da libeccio a scirocco il territorio in discorso va incontro al torrente Sorra , che separa la Comunità del Terzo di Città da quella di Monteroni , con la quale passa nel borro delle Rose, quindi nel torrente Tressa, finchè scende al Ponte a Tressa sulla strada postale Romana. Rimontando questa via regia trova dirimpetto a levante-grecale fino alla Porta Romana il territorio comunitativo del Terzo di S. Martino.
Finalmente si tocca con le mura urbane di Siena dalla Porta Romana, girando verso Porta S. Marco, Porta Laterina, e di lĂ voltando direzione da ponente a settentrione tocca la Porta di Fonte-Branda per girare i bastioni esterni della fortezza fino alla Porta Camullia dove cotesta ComunitĂ ritrova sulla strada postale Fiorentina lâaltra del Terzo di S. Martino.
Queste due Comunità suburbane furono ingrandite, allorchè con regolamento del 2 giugno 1777 il Granduca Leopoldo I soppresse le Comunità del terzo di Camullia, ripartendo i suoi 17 comunelli fra quelli delle Comunità dei due Terzi superstiti, quelli di Città e di S. Martino.
Per tal guisa alla ComunitĂ del Terzo di CittĂ , oltre ai venti comunelli antichi furono aggregati altri dieci fino allora appartenuti alla ComunitĂ del Terzo di Camullia.
I primi venti comunelli spettanti al Terzo di CittĂ si appellavano: 1. Agostoli; 2. Arsiccioli; 3. S. Apollinare; 4.
Casciano; 5. Certano; 6. Formicaja; 7. Fonte Benedeta; 8. Ginestreto; 9. Galiganmo; 10. Montecchio; 11. S.
Margherita; 12. Monsindoli; 13. S. Maffeo; 14. S. Maria a Tressa; 15. Monte Albuccio; 16. Munistero, 17. Trojola, 18. Terrensano; 19. S. Teodoro; 20. Volte.
I dieci comunelli stati riuniti alla ComunitĂ del Terzo di CittĂ sono i seguenti: 1. S. Bartolommeo; 2. S. Prospero; 3. S. Petronilla; 4. Vico dâArbia; 5. Marciano; 6.
Fontebecci; 7. Uopini; 8. S. Dalmazio; 9. Badia a Quarto; 10. Castagno .
Niuna delle due Comunità delle Masse ha capoluogo speciale, nÊ conta alcun paese murato, sicchè i loro rappresentanti comunitativi tengono le loro adunanze magistralj nelle stanze della cancelleria civica nel palazzo pubblico di Siena.
Questa del terzo di CittĂ non è attraversata da alcun fiume, sivvero da borri e torrenti, il maggiore deâquali è quello della Tressa che passato il ponte omonimo entra nellâArbia; mentre i torrenti Serpenna e Rigo si svuotano nel fiume Merse. Tutti questi e anche i minori corsi dâacqua, attesa la loro pendenza, sono precipitosi, trascinando seco una gran quantitĂ di zolle argillose che costituiscono la massima parte della superficie meridionale della ComunitĂ in discorso. Dissi la massima parte perchĂŠ nei suoi confini a maestrale e ponente si distendono i fianchi orientali di Monte Maggio e della Montagnuola, formati di calcare cavernoso e metamorfosato. Fra le falde meridionali del Monte Maggio e il fosso Rigo esiste il noto Pian del Lago stato bonificato sul declinare del secolo passato. â Vedere LAGO (PIAN DEL).
Il maggior numero dei torrenti che scorrono per il territorio di cotesta ComunitĂ dirigendo per lo piĂš il loro cammino da maestrale a scirocco, vennero a formare fra lâuno e lâaltro strette colline, alcune delle quali diedero il loro nome a casali e ville su di esse edificate. Per esempio il Terzo di CittĂ conta al suo settentrione la collina di Marciano, a ponente la collina degli Agostoli e di Belcaro , a libeccio e ostro le colline di Montecchio e di Fogliano.
Niuna chiesa merita particolare menzione; la meritavano bensĂŹ il Monastero di Lecceto, lâAbbadia di S. Eugenio, detta il Munistero , fuori di Porta S. Marco, e quella di S.
Abundio ; il primo insigne ritiro di una congregazione di Agostiniani, distinta da questo luogo, deâLeccetani; il secondo abitato fin dal 730 dai monaci benedettini, stato soppresso nel 1786, e il terzo sino al 1810 stato asilo di monache dellâordine di S. Benedetto, tutti tre locali ridotti attualmente ad abitazioni private.
Fra le ville signorili di questa ComunitĂ primeggia quella di Belcaro deâsignori (ERRATA: Camajani) Camajori per lâimponente suo fabbricato e per le pittura a fresco di Baldassarre Peruzzi; la villa di Formicaja del signor Marsili; la Torre Fiorentina della casa Sergardi; i Due Marciani, che uno della famiglia Gori-Pannilini, e lâaltro deâconti Spannocchi; le Volte deâsignori Muli, e il Palazzo deâDiavoli per la graziosa cappella architettata da Francesco di Giorgio piĂš che per il ridicolo suo nome, ecc.
Vi entrava la grandiosa villa di S, Colomba dellâI. e R.
collegio Tolomei, innanzi che essa con la sua parrocchia (anno 1834), come uno deâComunelli dellâantico Terzo di Camullia, fosse inclusa nella ComunitĂ di Monteriggioni.
I parrochi delle Masse erano e sono tuttora obbligati ad intervenire come quelli della cittĂ di Siena alle pubbliche funzioni della loro metropolitana.
Ho giĂ detto altrove che la popolazione antica di Siena comprendeva ancora i suoi sobborghi nei quali si estesero le Masse dei tre Terzi di Siena, i di cui abitanti dipendevano dal medesimo podestĂ e capitano del popolo, talchè erano soggetti alle gravezze urbane godendo dei privilegi di cittadinanza al pari di quelli che abitavano dentro le mura della cittĂ . Infatti i Terzi delle tre masse davano ciascuno per mezzâagosto un palio di velluto al Duomo, mezzo nero e mezzo bianco, insegna della Balzana propria di Siena, quando i castelli dello stato dovevano inviarli di tinte dissimili da quelle della Balzana.
I dazj di consumo che si esigevano a Monteriggioni dalla parte settentrionale, e allâIsola presso Ponte a Tressa per il lato meridionale, erano di aggravio ai popoli delle Masse come agli abitanti della cittĂ . Eglino al pari dei Sanesi avevano un magistrato civico apppellato sindaco, la cui autoritĂ corrispondeva a un dipresso a quella del giudice di pace deâtempi napoleonici, o piuttosto di un priore comunitativo deâtempi attuali.
Nellâanno 1303 il Terzo di CittĂ contava 5 sindaci, i quali solevano risedere a S. Apollinare, a S. Margherita, a Monsindoli, ad Arbiola e a Trojola.
In seguito ebbero sindaco anche i luoghi di Terrensano, MontâAlluccio, S. Maria in Tressa, Montecchio, Casciano delle Masse, Agostoli, Arsiccioli, Belcaro, Ginestreto e Galignano.
Nel suddetto anno il Terzo di Camullia contava 12 sindaci residenti a S. Giorgio, a Lapi, a Castagnoli, a Colle, a Castagno, Uopini, a Fugnano, a Quarto, a Monteliscai, a S. Miniato, a Tolfe, a S. Martino a Cellole e a Vignaglia .
Nel Terzo di S. Martino esistevano gli 11 sindaci seguenti: a Isola, Cuna, Lucciano, S. Angelo in Tressa, Borgovecchio, Val di Pugna, Badia a Alfiano, S. Maria a Bulciano, Spedale Novigli, Salteano e Paterno.
Inoltre nel 1347 avevano i loro sindaci le Masse di Fontebecci, S. Dalmazio, e S. Petronilla. Tutti i suddetti luoghi che contavano un qualche sindaco e per la festa di S. Maria di mezzo agosto dovevano pagare il censo respettivo alla cassa deâconservatori di Bicherna.
La statistica dellâanno 1318 delle Masse intorno a Siena dava per il Terzo di CittĂ 1307 allirati con un solo cognome, 61 detti con due cognomi, e dieci con piĂš casati, oltre 194 cosĂŹ detti eredi, in tutto 1572 allirati, piĂš due conventi di Frati, uno di monache, sei cappelle e tre altre corporazioni pie.
Il Terzo di S. Martino nellâanno stesso 1318 forniva 1007 allirati con un solo cognome, 51 con due cognomi, 18 con piĂš casati e 167 eredi in tutto 1243 allirati, oltre 4 conventi di uomini, 5 monasteri di donne, 6 chiese e 3 altre corporazioni.
Il Terzo di Camullia allâepoca stessa dava 1069 allirati con un cognome, 57 con due, 14 con piĂš casati e 170 eredi, in tutto 1310 allirati, oltre 4 conventi di religiosi, 2 di monache, 10 chiese e 2 altre corporazioni pie.
Totale degli allirati delle tre Comunità delle Masse, N° La statistica del 1612 dava a Siena una popolazione di Abitanti N° 13679 Ed a quella delle Masse dei Terzi Abitanti N° 10299 TOTALE Abitanti N° 23978 Le statistiche del 1640, 1745, 1833, 1840 e 1843 sono riportate nel quadro che segue.
Rispetto allâindole del terreno che cuopre cotesta ComunitĂ potrei dire che i poggi situati sul confine a maestrale di questo territorio spettano al calcare cavernoso e metamorfosato, mentre le sottostanti colline avvicinanti il grande sprone su cui si distende la cittĂ di Siena, sono coperte al pari dello sprone medesimo di calcare-siliceo, rossastro, giallognolo, specie di sabbione terziario marino superiore, non di rado alternante con potenti banchi orizzontali di ciottoli di calcare compatto, collegati a guisa di poudinga da un cemento siliceo- calcare durissimo. Ă in questo tufo terziario ricco di conchiglie marine univalvi e bivalvi di varia specie, e in special modo di microscopiche politalamiche, e in questo terreno dove si ammaestrarono insigni naturalisti, come furono tra gli altri nel secolo passato il Prof. Annibale Baldassarri, LâA. Ambrogio Soldani, e nel secolo attuale il Prof. Cavalier Gaspero Mazzi, ecc. ecc.
A mano a mano che le colline si avvallano sottentra la tufo calcare-siliceo la marna argillosa, ossia il mattajone, che i Senesi chiamano le crete sul quale si tornerĂ a far parola nellâArticolo seguente della ComunitĂ del Terzo di S. Martino.
Quali fossero le cause di mutazioni tanto repentine nei terreni che cuoprono la contrada in discorso non si potrebbe da chicchessia con sicurezza asserire.
Molte strade rotabili attraversano il territorio di questa ComunitĂ . Fra le regie vi è quella postale Romana che serve di confine tanto dalla parte settentrionale, come dalla parte meridionale alle ComunitĂ deâdue terzi. Havvi la regia Grossetana che esce dalla Porta S. Marco, e che passa per questa ComunitĂ fino al Chiesino. Le spetta pure la via regia suburbana di Pescaja , che da ponente a levante staccandosi dalla Grossetana sale fino alla postale Fiorentina. Vi sono poi molte strade comunitative rotabili che si staccano dalle regie prenominate per condurre alle ville signorili e alle chiese parrocchiali di questa ComunitĂ .
Dal novero delle Masse dei tre Terzi esistiti nellâanno 1640 si rileva che allora coteste Masse, Ville o casali ascendevano al numero di 57, e che contavano una popolazione di 5414 abitanti, mentre nellâanno 1745 le stesse Masse comprese in 38 chiese parrocchiali ammontavano in tutte a 8704 abitanti.
NOTA delle 57 MASSE o LUOGHI che nel 1640 erano compresi nei tre TERZI DELLE MASSE DI SIENA e loro respettiva popolazione in detto anno Arsiccioli, Abitanti n° 31 Agostoli, Abitanti n° 51 S. Apolinare, Abitanti n° 59 Abbadia Alfiano, Abitanti n° 44 Abbadia a Bozzone, Abitanti n° 96 S. Agnolo in Tressa, Abitanti n° 95 Bulciano, Abitanti n° 68 Borgovecchio, Abitanti n° 52 Arbiola, Abitanti n° 59 S. Bartolommeo, Abitanti n° 82 Casciano delle Masse, Abitanti n° 96 Corsano, Abitanti n° 91 Cuna, Abitanti n° 136 Colle Melemerenda, Abitanti n° 22 Capraja (allâOsservanza), Abitanti n° 163 Cellole, Abitanti n° 96 Castagno, Abitanti n° 126 S. Dalmazio, Abitanti n° 60 S. Eugenia, Abitanti n° 104 Fonte Benedetta, Abitanti n° 70 Fonte Becci, Abitanti n° 33 Fornicchiaja, Abitanti n° 40 Ginestreto, Abitanti n° 67 Galignano, Abitanti n° 70 S. Giorgio a Lapi, Abitanti n° 50 S. Giovanni a Collanza, Abitanti n° 72 S. Giovanni a Papajano, Abitanti n° 118 Isola dâArbia, Abitanti n° 98 S. Maria Tressa, Abitanti n° 105 Montalluccio, Abitanti n° 60 S. Matteo, Abitanti n° 80 Montecchio, Abitanti n° 172 Monsindoli, Abitanti n° 56 S. Margherita, Abitanti n° 73 Maggiano, Abitanti n° 196 S. Mamiliano, Abitanti n° 425 Marciano, Abitanti n° 165 Monteliascjo, Abitanti n° 95 S. Miniato (a Cellole), Abitanti n° 68 Munistero, Abitanti n° 298 S. Pietro a Paterno, Abitanti n° 111 S. Petronilla, Abitanti n° 132 S. Prospero, Abitanti n° 56 S. Reina, Abitanti n° 160 Recciano, Abitanti n° 132 Salteano, Abitanti n° 23 S. Stefano a Pecorile, Abitanti n° 20 S. Teodoro, Abitanti n° 45 Terrensano, Abitanti n° 80 Trojola, Abitanti n° 106 Tolfe, Abitanti n° 36 Usinina, Abitanti n° 20 Uopini, Abitanti n° 65 Volte, Abitanti n° 103 Vignano, Abitanti n° 189 Val di Pugna, Abitanti n° 104 Vico dâArbia, Abitanti n° 90 TOTALE, Abitanti n° 5414 NOTA dei titoli delle 37 MASSE DI SIENA che avevano parrocchia nel 1745 e loro respettiva popolazione.
Vignano, Abitanti n° 331 Montecchio, Abitanti n° 351 Munistero, Abitanti n° 465 Volte, Abitanti n° 169 Osservanza, Abitanti n° 160 S. Dalmazio, Abitanti n° 279 Ginestreto, Abitanti n° 74 S. Mamiliano, Abitanti n° 360 S. Eugenia, Abitanti n° 264 Collanza, Abitanti n° 132 Fogliano, Abitanti n° 126 Busciano, Abitanti n° 348 Casciano delle Muse, Abitanti n° 430 Cuna, Abitanti n° 172 Recciano, Abitanti n° 201 Isola di Val dâArbia, Abitanti n° 91 Pieve al Bozzone, Abitanti n° 263 Terransano, Abitanti n° 170 Salteano, Abitanti n° 109 Poggiolo, Abitanti n° 204 S. Maria a Tressa, Abitanti n° 171 Cellole, Abitanti n° 352 SS. Matteo e Teodoro, Abitanti n° 251 S. Angelo in Tressa, Abitanti n° 125 Maggiano, Abitanti n° 206 Presciano, Abitanti n° 145 Tolfe, Abitanti n° 49 S, Petronilla, Abitanti n° 512 Monsindoli, Abitanti n° 174 Uopini, Abitanti n° 257 Marciano, Abitanti n° 450 Monteliscaj, Abitanti n° 256 S. Colomba, Abitanti n° 315 Vico Bello e Monte Chiaro, Abitanti n° 174 S. Reina, Abitanti n° 200 Colle Malemerenda, Abitanti n° 111 Val di Pugna, Abitanti n° 257 TOTALE, Abitanti n° 8704 QUADRO della Popolazione della COMUNITAâ DEL TERZO DI CITTAâ a cinque epoche diverse.
- nome del luogo: Casciano con lâannesso di Galignano, titolo della chiesa: SS. Giusto e Clemente (Pieve), abitanti anno 1640 n° 96 (Casciano) e n° 50 (Galignano), abitanti anno 1745 n° 430, abitanti anno 1833 n° 436, abitanti anno 1840 n° 532, abitanti anno 1843 n° 560 - nome del luogo: S. Dalmazio (1), titolo della chiesa: S.
Dalmazio (Cura), abitanti anno 1640 n° 90, abitanti anno 1745 n° 279, abitanti anno 1833 n° 440, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Fogliano, titolo della chiesa: S.
Giovanni Battista (Prepositura), abitanti anno 1640 n° 94, abitanti anno 1745 n° 126, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 150, abitanti anno 1843 n° 151 - nome del luogo: Ginestreto, titolo della chiesa: S.
Donato (Cura), abitanti anno 1640 n° 77, abitanti anno 1745 n° 74, abitanti anno 1833 n° 81, abitanti anno 1840 n° 79, abitanti anno 1843 n° 81 - nome del luogo: Marciano con gli annessi di Fonte Becci e di S. Martino (*), titolo della chiesa: SS. Pietro e Paolo ed Antonino (Cura), abitanti anno 1640 n° 198 e n° 56, abitanti anno 1745 n° 450, abitanti anno 1833 n° 421, abitanti anno 1840 n° 424, abitanti anno 1843 n° 441 - nome del luogo: Monistero, o Munistero , titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 292, abitanti anno 1745 n° 465, abitanti anno 1833 n° 493, abitanti anno 1840 n° 493, abitanti anno 1843 n° 505 - nome del luogo: Monsindoli e Trojola (*), titolo della chiesa: S. Pietro (Cura), abitanti anno 1640 n° 162, abitanti anno 1745 n° 174, abitanti anno 1833 n° 231, abitanti anno 1840 n° 238, abitanti anno 1843 n° 240 - nome del luogo: Montecchio con lâannesso della Costa al Pino, titolo della chiesa: S. Andrea (Cura), abitanti anno 1640 n° 245, abitanti anno 1745 n° 351, abitanti anno 1833 n° 448, abitanti anno 1840 n° 453, abitanti anno 1843 n° 436 - nome del luogo: S. Petronilla a Camullia (*), titolo della chiesa: S. Petronilla (Cura), abitanti anno 1640 n° 132, abitanti anno 1745 n° 512, abitanti anno 1833 n° 551, abitanti anno 1840 n° 518, abitanti anno 1843 n° 552 - nome del luogo: Terrensano con lâannesso di Certano, titolo della chiesa: SS. Lorenzo e Michele (Cura), abitanti anno 1640 n° 171, abitanti anno 1745 n° 170, abitanti anno 1833 n° 176, abitanti anno 1840 n° 189, abitanti anno 1843 n° 201 - nome del luogo: Tressa e Fonte Benedetta, titolo della chiesa: S. Maria (Cura), abitanti anno 1640 n° 175, abitanti anno 1745 n° 171, abitanti anno 1833 n° 338, abitanti anno 1840 n° 172, abitanti anno 1843 n° 405 - nome del luogo: Tufi con lâannesso di S. Apollinare e S.
Teodoro, titolo della chiesa: SS. Matteo e Margherita (Cura), abitanti anno 1640 n° 257, abitanti anno 1745 n° 251, abitanti anno 1833 n° 319, abitanti anno 1840 n° 341, abitanti anno 1843 n° 339 - nome del luogo: Uopini, titolo della chiesa: SS.
Marcellino ed Erasmo (Cura), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 257, abitanti anno 1833 n° 335, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Volte (*), titolo della chiesa: S.
Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 62, abitanti anno 1745 n° 103, abitanti anno 1833 n° 174, abitanti anno 1840 n° 149, abitanti anno 1843 n° 148 - Totale abitanti anno 1640: n° 3879 - Totale abitanti anno 1745: n° 2263 - Totale abitanti anno 1833: n° 4443 - Totale abitanti anno 1840: n° 3943 - Totale abitanti anno 1843: n° 4059 N.B. Le parrocchie segnate di (1) nelle ultime due epoche spettavano ad altre Comunità , e quelle con (*) mandavano fuori di questa Comunità - anno 1840: abitanti n° 429 - anno 1843: abitanti n° 610 - RESTANO abitanti anno 1840: n° 3533 - RESTANO abitanti anno 1843: n° 3449 Altronde entravano in questa Comunità dalle parrocchie limitrofe - anno 1840: abitanti n° 573 - anno 1843: abitanti n° 582 - TOTALE abitanti anno 1840: n° 4106 - TOTALE abitanti anno 1843: n° 4031 SIENA, COMUNITà DEL TERZO S. MARTINO II territorio di questa seconda Comunità suburbana abbraccia una superficie di 10,808 quadrati, dei quali 557 quadrati spettano a corsi acqua ed a pubbliche strade.
Nel 1833 vi stanziavano 4434 abitanti, a proporzione di quasi 328 individui per ogni miglio toscano quadrati di suolo imponibile.
Il territorio di questa ComunitĂ nella sua maggior lunghezza da settentrione a ostro è di gradi 0° 6' 50" longitudine, a partire dallo scontro della strada della Castellina del Chianti col torrente Bozzone sino al Ponte di Tressa, e da ponente a levante di gradi 0° 7â 30" latitudine dalla Fonte Becci allâ estremitĂ dell' insenatura dell'Arbia dirimpetto alla cosĂŹ detta Casanuova. Confina con il territorio di quattro ComunitĂ . Dalla parte di libeccio e di ponente tocca le mura castellane di Siena, a partire dalla Porta Romana sino a quella di Camollia, da questâultima sino a Fonte Becci mediante la strada postale Fiorentina ha dirimpetto a ponente la ComunitĂ del Terzo di CittĂ . A Fonte Becci trova il territorio comunitativo di Monteriggioni, col quale fronteggia di faccia a maestrale lungo la strada della Castellina del Chianti sino al torrente Bozzone, dove sottentra dirimpetto a grecale la ComunitĂ di Castelnuovo Berardenga, con il di cui territorio cammina di conserva dirimpetto a settentrione mediante il torrente Bozzone tinche entra nella via di Castelnuovo Berardenga, e lungh'essa si accompagnano entrambe nell' Arbia , dove voltando la fronte a levante la nostra arriva col detto fiume alla confluenza del torrente Tressa. CosĂŹ dirimpetto a libeccio viene la ComunitĂ del Terzo di CittĂ , con la quale l'altra del Terzo di S. Martino arriva alla Porta Romana per rasentare le mura di Siena sino alla Porta di Camollia.
Il territorio di questa al pari dell'altra Comunità del Terzo di Città , venne accresciuto dalla legge del 2 giugno 1777 nel tempo che restò soppressa l'altra Comunità del Terzo di Camollia; nella quale circostanza, come dissi, si aggregarono a questa del Terzo di S. Martino, oltre venti comunelli delle antiche sue Masse, altri sette ch'erano stati del Terzo di Camollia.
I primi venti comunelli delle Masse del Terzo S. Martino appellavansi: 1. Abbadia a Alfiano; 2. Arbiola; 3. S.
Angelo in Tressa; 4. Borgo Vecchio; 5. Bulciano; 6.
Cuna; 7. Colle Malemerenda; 8. S. Mamiliano; 9. S.
Giovanni a Collana 10. S. Eugenia; 1 1 . isola; 12. S.
Giorgio a Lapi; 1 3 . Maggiano; 1 4 . S. Pietro a Paterno; 1 5 . S. Stefano a Pecorile; 16. Salteano; 17.
S. Reina; 18 . Vignano; 19. Val di Pugna; 20. e Usinina. â I sette comunelli aggiunti furono: 1.
Recciano; 2. S. Giorgio a Papajano; 3. Cap raja; 4.
Tolfe; 5. Monteliscaj; 6. Cellole; 7. S. Miniato.
La ComunitĂ delle Masse del Terzo S. Martino ha dirimpetto a maestrale le colline di Vico, del Castagno, o del Colombajo, di Capraja, e di Vignano, nel centro sono le colline del Poggio a Pini, della Certosa e di Valli, a levante e a scirocco le colline di Monte-Chiaro, di Maggiano e di Presciano.
Fra i maggiori corsi d'acqua si conta il fiume Arbia che a scirocco ne lambisce i confini, ed i torrenti Bozzone, Bolgione e Riluogo. Quest'ultimo scorre parallelo al torrente Bolgione che resta al suo grecale.
Fra le vie regie che rasentano, ossia che attraversano il territorio di questa ComunitĂ , si contano due strade postali, la Fiorentina, cioè, che dalla Fonte Becci entra in Siena per Porta Camullia, e la Romana che esce dalla Porta di questo nome sino al Ponte a Tressa. Sono regie non postali la strada Aretina, a partire dalla Porta Pispini, o di Sanvieni, fino sullâArbia, oltre la strada provinciale Lauretana; tutte le altre vie rotabili sono comunitative.
Lâindole del suolo che copre la superficie delle colline a grecale di Siena può dirsi nella massima parte analogo a quello degli sproni di tufo calcare -siliceo alternato da banchi ghiajosi sui quali risiede la cittĂ .
Peraltro coteste colline ghiajose di tufo terziario marino tramezzate da banchi poudinga di grossa ghiaja e di ciottoli di calcare compatto, dal lato di levante e scirocco della cittĂ si perdono gradatamente di vista a proporzione che uno si avvicina allâArbia. AvvegnachĂŠ in cotesta parte il terreno cambia aspetto e natura, mentre invece di tufo calcare-siliceo, o di sabbione sparso di banchi di ciottoli, si scuopre ad esso sottostante una marna terziaria marina (crete senesi) poco opportuna allâindustria agricola, mentre nel sovrastante tufo, o sabbione prosperano gli ulivi e le viti, ed è in coteste superiori colline dove risiedono le ville, alle quali i Senesi sogliono fare frequenti visite e lunghe stazioni, allettati dall' amenitĂ deâsiti, dalla vicinanza alla cittĂ , non che dalla temperatura e salubritĂ del clima.
Tali sono, la grandiosa villa di Vico Bello de'marchesi Chigi, di Monte Chiaro de'signori Bianchi, di Maggiano de'signori Finetti, del Poggio a Pini del conte Vecchi, di Presciano del conte Pieri, di Solaja de'signori Clementini, del Serraglio de'signori Taja e la villa Lodoli, giĂ Venturi-Gallerani, a S. Reina architettata dal Peruzzi ecc.
Fra le chiese e conventi meritano di essere distinti quello dell'Osservanza nella collina di Capraja, la soppressa Certosa di Pontignano per la grandiosa clausura, per il vasto fabbricato e per la copia de'marmi; l'altra chiesa della Certosa di Maggiano, attualmente ridotta ad uso di parrocchia.
Senza possedere in una stessa tenuta il tufo calcare-siliceo delle colline superiori, non si potrebbero bonificare le sottostanti biancane, donde per altro si ottengono vini spiritosi, ottime granaglie, e saporite pasture al bestiame pecorino, talchĂŠ i casci delle crete senesi per sapore e delicatezza si accostano ai casci notissimi di Lucardo. â Vedere. ASCIANO e BARBERINO DI VAL DâELSA, ComunitĂ .
QUADRO della Popolazione della COMUNITAâ DEL TERZO DI S. MARTINO a cinque epoche diverse.
- nome del luogo: al Bozzone (1), titolo della chiesa: S.
Giovanni (Pieve), abitanti anno 1640 n° - , abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 190, abitanti anno 1843 n° 206 - nome del luogo: Cellole con lâannesso di S. Maria a Cellole (2), titolo della chiesa: S. Martino (Pieve), abitanti anno 1640 n° 164, abitanti anno 1745 n° 352, abitanti anno 1833 n° 357, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Collanza senza il suo annesso di Medane Spennazzi (2), titolo della chiesa: S. Giovanni Battista (Pieve), abitanti anno 1640 n° 72, abitanti anno 1745 n° 66, abitanti anno 1833 n° 121, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Colle Malamerenda con lâannesso di Borgo Vecchio (*), titolo della chiesa: SS. Simone e Giuda (Pieve), abitanti anno 1640 n° 74, abitanti anno 1745 n° 111, abitanti anno 1833 n° 125, abitanti anno 1840 n° 145, abitanti anno 1843 n° 135 - nome del luogo: Cuna (2), titolo della chiesa: SS.
Giacomo e Cristofano (Pieve), abitanti anno 1640 n° 136, abitanti anno 1745 n° 304, abitanti anno 1833 n° 356, abitanti anno 1840 n° -, abitanti anno 1843 n° - - nome del luogo: Monistero, o Munistero , titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Cura), abitanti anno 1640 n° 292, abitanti anno 1745 n° 465, abitanti anno 1833 n° 493, abitanti anno 1840 n° 493, abitanti anno 1843 n° 505 - nome del luogo: S. Eugenia, titolo della chiesa: S.
Eugenia (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 104, abitanti anno 1745 n° 264, abitanti anno 1833 n° 353, abitanti anno 1840 n° 272, abitanti anno 1843 n° 249 - nome del luogo: Isola in Val dâArbia, titolo della chiesa: S. Ilaio (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 98, abitanti anno 1745 n° 91, abitanti anno 1833 n° 139, abitanti anno 1840 n° 129, abitanti anno 1843 n° 129 - nome del luogo: Maggiano, titolo della chiesa: S.
Niccolò (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 196, abitanti anno 1745 n° 206, abitanti anno 1833 n° 293, abitanti anno 1840 n° 306, abitanti anno 1843 n° 309 - nome del luogo: Monte Liscaj con lâannesso di S.
Giorgio ai Lupi (*), titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 145, abitanti anno 1745 n° 256, abitanti anno 1833 n° 295, abitanti anno 1840 n° 299, abitanti anno 1843 n° 304 - nome del luogo: Osservanza nel Colle di Capraja, titolo della chiesa: S. Bernardino (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 163, abitanti anno 1745 n° 160, abitanti anno 1833 n° 196, abitanti anno 1840 n° 282, abitanti anno 1843 n° 309 - nome del luogo: Paterno, titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 111, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 128, abitanti anno 1840 n° 136, abitanti anno 1843 n° 141 - nome del luogo: Ponte a Tressa (*), titolo della chiesa: S. Angelo (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 95, abitanti anno 1745 n° 125, abitanti anno 1833 n° 247, abitanti anno 1840 n° 165, abitanti anno 1843 n° 158 - nome del luogo: Presciano (1) (*), titolo della chiesa: S.
Paolo (Rettoria), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 399, abitanti anno 1843 n° 419 - nome del luogo: S. Regina, titolo della chiesa: S. Regina (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 160, abitanti anno 1745 n° 200, abitanti anno 1833 n° 285, abitanti anno 1840 n° 275, abitanti anno 1843 n° 284 - nome del luogo: Tolfe, titolo della chiesa: S. Paterniano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 36, abitanti anno 1745 n° 49, abitanti anno 1833 n° 153, abitanti anno 1840 n° 148, abitanti anno 1843 n° 146 - nome del luogo: Val di Pugna con gli annessi di Alfiano e di Bulciano, titolo della chiesa: S. Tommaso, SS. Trinità e S. Maria (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 216, abitanti anno 1745 n° 267, abitanti anno 1833 n° 397, abitanti anno 1840 n° 402, abitanti anno 1843 n° 427 - nome del luogo: Valli (*), titolo della chiesa: S.
Mamiliano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 425, abitanti anno 1745 n° 360, abitanti anno 1833 n° 604, abitanti anno 1840 n° 689, abitanti anno 1843 n° 618 - nome del luogo: Vico dâArbia con lâannesso di Montechiaro (1), titolo della chiesa: S. Pietro (Rettoria), abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -, abitanti anno 1840 n° 225, abitanti anno 1843 n° 235 - nome del luogo: Vignano con gli annessi di Pecorile e Papajano, titolo della chiesa: S. Agnese e S. Stefano (Rettoria), abitanti anno 1640 n° 327, abitanti anno 1745 n° 331, abitanti anno 1833 n° 385, abitanti anno 1840 n° 412, abitanti anno 1843 n° 420 - Totale abitanti anno 1640: n° 2522 - Totale abitanti anno 1745: n° 3142 - Totale abitanti anno 1833: n° 4434 - Totale abitanti anno 1840: n° 4474 - Totale abitanti anno 1843: n° 4492 N.B. Le parrocchie contrassegnate con la nota (1) nelle prime tre epoche spettavano ad altre ComunitĂ . Altronde quelle segnate di nota (2) nelle ultime due epoche entrarono in questa ed escirono da altre ComunitĂ .
Annessi provenienti da parrocchie situate fuori di questa ComunitĂ che nelle ultime due epoche penetravano in questa dal Terzo di S. Martino - anno 1840: abitanti n° 407 - anno 1843: abitanti n° 617 - TOTALE abitanti anno 1840: n° 4881 - TOTALE abitanti anno 1843: n° 5109 Altronde nelle ultime due epoche dalle parrocchie di sopra segnate con lâasterisco (*) escivano da questa ComunitĂ - anno 1840: abitanti n° 578 - anno 1843: abitanti n° 691 - RESTANO abitanti anno 1840: n° 4303 - RESTANO abitanti anno 1843: n° 4418 DIOCESI DI SIENA â Fra le tante opinioni emesse da sommi scrittori sullâorigine del vescovato e Diocesi di Siena, mi sembra la piĂš ragionevole quella che ha dato a cotesta cittĂ un vescovo avanti la discesa de' Longobardi in Italia. Avvegnachè, se dalla famosa questione fra il vescovo di Siena e quello di Arezzo, incominciata fino dal 712 , si rileva che il primo vescovo restituito a Siena dopo l'ingresso de' Longobardi in Toscana appellavasi Mauro; e che questi reggeva la chiesa sanese sotto il regno di Rotari, non ne consegue che innanzi la venuta deâ Longobardi in Toscana i Sanesi non potessero avere il loro vescovo. Infatti sembra che ciò dichiarasse il prelato aretino Luperziano nella controversia suddetta quando, nel 715 , affermava che sino dal tempo antico, ed innanzi la venuta de'Longobardi, Siena aveva avuto vescovo proprio.
Con tale ingenua confessione pertanto ogni discreto lettore si persuaderĂ che il vescovo Eusebio, il quale assistè, nel 465, sotto il Pontefice Ilario al concilio romano, dove si firmò Episcopus Senensis, fosse vescovo di Siena in Toscana piuttosto che di Sinigallia sulle coste dellâAdriatico.
Checche ne sia, ho giĂ protestato, che non intendo risalire con ciò, nĂŠ a quel Luciferio che lâUghelli e molti storici sanesi supposero il primo vescovo di Siena verso il 306 dell' Era cristiana, nĂŠ io pretendo rimontare ai primi tempi in cui il popolo sanese da S. Ansano fu redento con l'acque battesimali. Molto meno sarebbe impresa dâoggidĂŹ, dopo che ne'secoli scorsi per tanti altri riesci opera perduta il rintracciare lâantico perimetro della Diocesi di Siena.
ImperocchĂŠ, se dovessimo tenere per vera lâopinione esternata dal Borghini e da altri, che i confini antichi della diocesi civile di una cittĂ servissero di norma a quelli della sua diocesi ecclesiastica, bisognerebbe concludere, essere stato giusto il reclamo dei vescovi di Siena contro quelli di Arezzo, stato piĂš volte, sebbene con poco successo, rinnovato, a meno che si debba credere che quando la fede di G. Cristo fu abbracciata in Toscana le giurisdizioni ecclesiastiche non corrispondessero piĂš con quelle politiche. â Vedere FIRENZE e LUCCA, DIOCESI.
Comunque sia di ciò, certo è che Mauro vescovo di Siena eletto nei 637 o 638 dell'Era cristiana, intervenne al concilio lateranense del 649. L' Ughelli nella sua Italia sacra in Episcopis Senensibus fece succedere a Mauro nel 658 il vescovo Andrea, a questi nel 670 Gualterano, a lui nel 674 Gerardo, indi Vitaliano che intervenne al sesto concilio romano sotto il Pontefice Agatone nel 679.
Quindi non so con quanta veritĂ quellâautore facesse succedere a Vitaliano nel 689 un vescovo Lupo, e ad esso Caurisio nel 722, mentre fu omesso Magno II stato vescovo di Siena tra il 700 ed il 703 come dai deposti dei testimoni esaminati nella lite del 715 rilevasi.
Rispetto poi alla giurisdizione civile sotto i Longobardi, una buona porzione di territorio sanese, spettante fino d'allora ai diocesani di Arezzo, dipendeva dai gastaldi politici della città di Siena; ed Ê egualmente cosi indubitata, che nello stato attuale il perimetro della Diocesi sanese è uno dei piÚ piccoli vescovati antichi della Toscana. Es sendochÊ i suoi confini, dalla parte di levante, di grecale e di maestrale della città , appena arrivano alle 4 miglia, e di poco lo stesso perimetro oltrepassa le sette miglia dalla parte di ponente e di settentrione.
La porzione piĂš estesa della Diocesi ecclesiastica di Siena comparisce nella direzione di ostro sotto la confluenza dell'Arbia fino passata quella della Merse nell'Ombrone sanese.
Donde ne consegue, che se cotesta Diocesi nella direzione di settentrione a ostro si dilata in una lunghezza di oltre 30 miglia toscane, altronde la sua maggiore larghezza da levante a ponente non arriva alle 20 miglia toscane, avvertendo che la porzione piĂš stretta trovasi appunto nei contorni della sua cattedrale.
Con tuttochĂŠ la Diocesi di Arezzo si estendesse fra lâOmbrone e la Chiana, fra l'Asso e lâOrcia, abbracciando gran parte del territorio politico sanese, ciò non ostante questa di Siena è stata posteriormente decimata, allorchĂŠ nel 1592 il Pontefice Clemente VIII eresse in Diocesi quella di Colle, togliendole dalla parte di settentrione il piviere di S. Agnese sopra Poggibonsi e quello di Lijiano del Chianti, mentre a ponente della cittĂ staccò da questa stessa diocesi il piviere di Marmoraja nella Montagnuola di Siena.. â Vedere COLLE (DIOCESI DI).
La chiesa vescovile senese fa eretta in metropolitana nell'aprile del 1459 dal Pontefice Pio II con bolla data in Siena, dove allora era vescovo il monaco Camaldolense Antonio Tedeschini nei Piccolomini della famiglia del Pontefice, il qual nuovo arcivescovo fu nel tempo stesso decorato del pallio per se e per tutti i suoi successori. Con la bolla stessa vennero assegnati per suffraganei al nuovo metropolitano i vescovi di Chiusi, di Grosseto e di Massa Marittima.
Dopo la lite piÚ volte accesa fra i diocesani Aretini e Senesi una delle bolle concistoriali piÚ antiche comparse, in cui si trovano rammentate le chiese battesimali della Diocesi di Siena, reputo quella data in Laterano li 20 aprile del 1189, che il Pontefice Clemente III diresse a Buono vescovo di Siena, cui confermò non meno di 26 chiese battesimali con molte cappelle e loro pertinenze, cioè: la Pieve di S. Agnese, quelle Lil iano , di Lontano , di Asciata, del Bozzone , di S. Martino in Grania , di S. Cristina a Lucignano d'Arbia, di Sprenna; di S. Nazzario, di Saturniano (forse Saltennano) di Ancajano (o Mont'Antico) di Monte Godano, (ora Case-Nuovole) S. Giorgio in Vallona, (ignota) la pieve Coppiano, o di Monte Pescini , quella S . Innocenza , le pievi di Carli, di Murlo, di Creoli, di S. Cristina in Cajo, le chiese di S . Maria nel borgo di S. Quirico, di Casciano (di Murlo) e dÏ Maria in Tressa, le pievi di Corsano , Ricenza, di Rosia , di Pentolia,, di Sovicille, di Fogliano, di S.
Giusto a Casciano (delle Masse) e di Marmoraja.
Sono state qui omesse le pievi di Oppiano e di ÂŤS.
Valentino (forse a Monte Follonico) come quelle che allora dipendevano ed erano comprese nell'antica Diocesi Arezzo, e però da doversi escludere da questa di Siena, seppure non erano quelle due altre pievi a me ignote.
Egualmente ignota mi resta la pieve di S. Nazario, non potendola equivocare con la parrocchia di S. Nazzario di Chiusure in ComunitĂ di Buonconvento, che fu della Diocesi aretina, e ora di quella di Pienza.
Esistevano nella Diocesi senese nell'anno 1745 numero 118 chiese parrocchiali, riunite attualmente in 111 parrocchie, 16 delle quali dentro le mura di Siena e 95 repartite per la campagna in undici vicariati foranei, siccome apparisce dal Quadro sinottico qui appresso registrato.
La Diocesi di Siena oltre la metropolitana con un capitolo di canonici mitrati, sei dignitĂ canonicali ed un numero di mansionarj, di cappellani e di chierici, conta dentro la cittĂ un'insigne collegiata nella chiesa di S. Maria di Provenzano, ed un seminario vescovile con tre conservatorj, 4 mo nasteri di donne, ed uno di monaci, sei fraterie, quattro delle quali in cittĂ , e due nei suburbj delle Masse.
Ma i monasteri in cotesta città nei secoli trascorsi erano talmente numerosi e popolati che per raffrenare tanta mania vi fu bisogno perfino di un breve pontificio, il di cui originale conservasi nell' Arch. Dipl. San. (Tomo XXVII delle Pergamene N° 2123).
à una bolla data in Roma li 27 aprile 1463, anno V del pontificato di Papa Pio II, con la quale il Pontefice nominato inibÏ di fabbricare nuovi monasteri nella città e subborghi di Siena poichÊ, dice la bolla, ve ne erano piÚ di quello che fosse conveniente, e di tanti ordini di religioni, ed in tanto numero che non vi si poteva conservare la castità claustrale; perciò Pio II dava ordine al vescovo di Siena di dover sopprimere quei monasteri che credesse meglio con le respettive dignità abbaziali, e che si riunisse con i loro beni e famiglie ad altri monasteri nel modo che avesse conosciuto piÚ conveniente.
QUADRO SINOTTICO delle Parrocchie della DIOCESI DI SIENA repartite nei 12 Vicariati foranei con la loro popolazione a cinque epoche diverse Nome del piviere: PIEVE MAGGIORE DELLA CITTAâ DI SIENA e sue chiese parrocchiali N.B. In cotesto piviere maggiore dalla seconda allâultima epoca furono soppresse sei parrocchie, e quattro traslatate in altre chiese superstiti 1. S. Giovanni Battista (Pieve) con lâannesso di S.
Desiderio, compreso lo Spedale della Scala popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1887 popolazione anno 1833: abitanti n° 1986 popolazione anno 1840: abitanti n° 1977 popolazione anno 1843: abitanti n° 2537 2. S. Andrea con porzione della cura deâSS. Vincenzio e Anastasio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 453 popolazione anno 1833: abitanti n° 620 popolazione anno 1840: abitanti n° 632 popolazione anno 1843: abitanti n° 678 3. S. Antonio Abate popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 750 popolazione anno 1833: abitanti n° 858 popolazione anno 1840: abitanti n° 801 popolazione anno 1843: abitanti n° 892 4. S. Clemente nella SS. Concezione dei Servi popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 533 popolazione anno 1833: abitanti n° 840 popolazione anno 1840: abitanti n° 911 popolazione anno 1843: abitanti n° 1060 5. S. Cristofano popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 530 popolazione anno 1833: abitanti n° 971 popolazione anno 1840: abitanti n° 1007 popolazione anno 1843: abitanti n° 1007 6. S. Donato in S. Michele alla Badia nuova popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1383 popolazione anno 1833: abitanti n° 1589 popolazione anno 1840: abitanti n° 1694 popolazione anno 1843: abitanti n° 1660 7. S. Martino con porzione del popolo di S. Giorgio soppresso nel 1783 e la nazione Israelitica popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 2499 popolazione anno 1833: abitanti n° 2589 popolazione anno 1840: abitanti n° 2422 popolazione anno 1843: abitanti n° 2502 8. S. Maurizio in S. Spirito con porzione del soppresso popolo di S. Giorgio al Seminario popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1320 popolazione anno 1833: abitanti n° 1538 popolazione anno 1840: abitanti n° 1672 popolazione anno 1843: abitanti n° 1619 9. S. Pellegrino nella Sapienza popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 606 popolazione anno 1833: abitanti n° 782 popolazione anno 1840: abitanti n° 837 popolazione anno 1843: abitanti n° 803 10. S. Pietro in Castelvecchio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 652 popolazione anno 1833: abitanti n° 971 popolazione anno 1840: abitanti n° 1072 popolazione anno 1843: abitanti n° 1107 11. S. Pietro Bujo in S. Giovannino in Pantaneto popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 295 popolazione anno 1833: abitanti n° 387 popolazione anno 1840: abitanti n° 458 popolazione anno 1843: abitanti n° 458 12. S. Pietro alla Magione con porzione del popolo soppresso deâSS. Vincenzio e Anastasio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 484 popolazione anno 1833: abitanti n° 518 popolazione anno 1840: abitanti n° 619 popolazione anno 1843: abitanti n° 648 13. S. Pietro a Ovile popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1115 popolazione anno 1833: abitanti n° 1552 popolazione anno 1840: abitanti n° 1649 popolazione anno 1843: abitanti n° 1614 14. S. Quirico in Castelvecchio con lâannesso di S.
Marco, e parte del popolo di S. Mustiola alla Rosa popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1475 popolazione anno 1833: abitanti n° 2029 popolazione anno 1840: abitanti n° 2139 popolazione anno 1843: abitanti n° 1950 15. S. Salvatore in S. Agostino con la porzione del popolo di S. Mustiola popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 1024 popolazione anno 1833: abitanti n° 1063 popolazione anno 1840: abitanti n° 1104 popolazione anno 1843: abitanti n° 1117 16. S. Stefano alla Lizza con gli annessi di S. Barbera in Fortezza e porzione della cura deâSS. Vincenzio e Anastasio popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 535 popolazione anno 1833: abitanti n° 520 popolazione anno 1840: abitanti n° 650 popolazione anno 1843: abitanti n° 681 I. VICARIATO DI CASCIANO DELLE MASSE Nome del luogo: Casciano delle masse con lâannesso di Galognano e Agostoli 17. SS. Giusto e Clemente (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 248 popolazione anno 1745: abitanti n° 430 popolazione anno 1833: abitanti n° 436 popolazione anno 1840: abitanti n° 532 popolazione anno 1843: abitanti n° 560 Nome del luogo: Valle 18. S. Mamiliano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 425 popolazione anno 1745: abitanti n° 360 popolazione anno 1833: abitanti n° 604 popolazione anno 1840: abitanti n° 689 popolazione anno 1843: abitanti n° 618 Nome del luogo: Terrenzano e Cortano 19. S. Lorenzo e S. Michele (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 171 popolazione anno 1745: abitanti n° 170 popolazione anno 1833: abitanti n° 176 popolazione anno 1840: abitanti n° 189 popolazione anno 1843: abitanti n° 201 Nome del luogo: in Tressa e Fonte Benedetta 20. S. Maria (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 175 popolazione anno 1745: abitanti n° 171 popolazione anno 1833: abitanti n° 338 popolazione anno 1840: abitanti n° 396 popolazione anno 1843: abitanti n° 405 Nome del luogo: S. Dalmazio 21. S. Dalmazio (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 60 popolazione anno 1745: abitanti n° 279 popolazione anno 1833: abitanti n° 440 popolazione anno 1840: abitanti n° 353 popolazione anno 1843: abitanti n° 400 Nome del luogo: Uopini 22. SS. Marcellino, Pietro ed Erasmo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 65 popolazione anno 1745: abitanti n° 257 popolazione anno 1833: abitanti n° 335 popolazione anno 1840: abitanti n° 325 popolazione anno 1843: abitanti n° - Nome del luogo: S. Petronilla 23. S. Petronilla (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 132 popolazione anno 1745: abitanti n° 512 popolazione anno 1833: abitanti n° 551 popolazione anno 1840: abitanti n° 518 popolazione anno 1843: abitanti n° 552 Nome del luogo: Maggiano 24. S. Niccolò (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 196 popolazione anno 1745: abitanti n° 206 popolazione anno 1833: abitanti n° 293 popolazione anno 1840: abitanti n° 306 popolazione anno 1843: abitanti n° 309 Nome del luogo: Marciano e Fonte Becci 25. SS. Pietro e Paolo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 310 popolazione anno 1745: abitanti n° 450 popolazione anno 1833: abitanti n° 421 popolazione anno 1840: abitanti n° 424 popolazione anno 1843: abitanti n° 441 Nome del luogo: al Munistero 26. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 298 popolazione anno 1745: abitanti n° 465 popolazione anno 1833: abitanti n° 495 popolazione anno 1840: abitanti n° 493 popolazione anno 1843: abitanti n° 505 Nome del luogo: Tufi con tre annessi 27. S. Matteo con i SS. Apollinare, Teodoro e Margherita popolazione anno 1640: abitanti n° 257 popolazione anno 1745: abitanti n° 251 popolazione anno 1833: abitanti n° 319 popolazione anno 1840: abitanti n° 341 popolazione anno 1843: abitanti n° 339 Nome del luogo: Santa Colomba 28. S. Pietro (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 311 popolazione anno 1745: abitanti n° 315 popolazione anno 1833: abitanti n° 456 popolazione anno 1840: abitanti n° 352 popolazione anno 1843: abitanti n° 427 N.B. Nel Vicariato di Casciano delle Masse dalla prima allâultima epoca furono soppresse sei cure II. VICARIATO DEL BOZZONE Nome del luogo: Bozzone e Larniano 29. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 128 popolazione anno 1745: abitanti n° 263 popolazione anno 1833: abitanti n° 171 popolazione anno 1840: abitanti n° 190 popolazione anno 1843: abitanti n° 206 Nome del luogo: Paterno 30. SS. Pietro e Paolo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 111 popolazione anno 1745: abitanti n° 108 popolazione anno 1833: abitanti n° 128 popolazione anno 1840: abitanti n° 136 popolazione anno 1843: abitanti n° 141 Nome del luogo: Vignano con Pecorile e Papajano 31. S. Agnese (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 327 popolazione anno 1745: abitanti n° 331 popolazione anno 1833: abitanti n° 385 popolazione anno 1840: abitanti n° 412 popolazione anno 1843: abitanti n° 420 Nome del luogo: Osservanza al Colle di Capraja 32. S. Bernardino, giĂ S. Maria (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 163 popolazione anno 1745: abitanti n° 160 popolazione anno 1833: abitanti n° 196 popolazione anno 1840: abitanti n° 282 popolazione anno 1843: abitanti n° 309 Nome del luogo: Monteliscaj, con S. Giorgio a Lapi 33. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 145 popolazione anno 1745: abitanti n° 256 popolazione anno 1833: abitanti n° 295 popolazione anno 1840: abitanti n° 299 popolazione anno 1843: abitanti n° 304 Nome del luogo: Tolfe 34. S. Paterniano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 36 popolazione anno 1745: abitanti n° 49 popolazione anno 1833: abitanti n° 153 popolazione anno 1840: abitanti n° 148 popolazione anno 1843: abitanti n° 149 Nome del luogo: Presciano 35. S. Paolo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 103 popolazione anno 1745: abitanti n° 145 popolazione anno 1833: abitanti n° 275 popolazione anno 1840: abitanti n° 399 popolazione anno 1843: abitanti n° 419 Nome del luogo: Val di Pugna, Badia Alfiano e Bulciano 36. S. Tommaso con SS. TrinitĂ e S. Maria (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 216 popolazione anno 1745: abitanti n° 267 popolazione anno 1833: abitanti n° 397 popolazione anno 1840: abitanti n° 402 popolazione anno 1843: abitanti n° 427 Nome del luogo: Reina 37. S. Regina (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 160 popolazione anno 1745: abitanti n° 200 popolazione anno 1833: abitanti n° 287 popolazione anno 1840: abitanti n° 275 popolazione anno 1843: abitanti n° 284 Nome del luogo: Vico dâArbia e Montechiaro 38. S. Pietro (Rettoria) popolazione anno 1640: abitanti n° 90 popolazione anno 1745: abitanti n° 174 popolazione anno 1833: abitanti n° 253 popolazione anno 1840: abitanti n° 225 popolazione anno 1843: abitanti n° 235 Nome del luogo: S. Eugenia 39. S. Eugenia (Rettoria) popolazione anno 1640: abitanti n° 104 popolazione anno 1745: abitanti n° 264 popolazione anno 1833: abitanti n° 353 popolazione anno 1840: abitanti n° 272 popolazione anno 1843: abitanti n° 149 III. VICARIATO DI BUONCONVENTO Nome del luogo: Buonconvento e Gaggiolo 40. SS. Pietro e Paolo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 149 popolazione anno 1745: abitanti n° 232 popolazione anno 1833: abitanti n° 409 popolazione anno 1840: abitanti n° 417 popolazione anno 1843: abitanti n° 422 Nome del luogo: Percenna 41. S. Lorenzo (Prepositura) popolazione anno 1640: abitanti n° 50 popolazione anno 1745: abitanti n° 255 popolazione anno 1833: abitanti n° 546 popolazione anno 1840: abitanti n° 607 popolazione anno 1843: abitanti n° 603 Nome del luogo: Castiglion del Bosco 42. S. Michele (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 35 popolazione anno 1745: abitanti n° 124 popolazione anno 1833: abitanti n° 179 popolazione anno 1840: abitanti n° 175 popolazione anno 1843: abitanti n° 174 Nome del luogo: Montauto Giuseppi, e Casal deâFrati 43. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 223 popolazione anno 1745: abitanti n° 206 popolazione anno 1833: abitanti n° 312 popolazione anno 1840: abitanti n° 274 popolazione anno 1843: abitanti n° 260 Nome del luogo: Sprenna a Seravalle 44. S. Lorenzo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 292 popolazione anno 1745: abitanti n° 273 popolazione anno 1833: abitanti n° 381 popolazione anno 1840: abitanti n° 416 popolazione anno 1843: abitanti n° 440 Nome del luogo: Abbadia Ardenga 45. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 76 popolazione anno 1833: abitanti n° 106 popolazione anno 1840: abitanti n° 119 popolazione anno 1843: abitanti n° 110 Nome del luogo: Piana e Saltennano 46. S. Innocenziana (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 264 popolazione anno 1745: abitanti n° 414 popolazione anno 1833: abitanti n° 591 popolazione anno 1840: abitanti n° 666 popolazione anno 1843: abitanti n° 609 Nome del luogo: Castel nuovo e Taneredi 47. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 81 popolazione anno 1745: abitanti n° 99 popolazione anno 1833: abitanti n° 119 popolazione anno 1840: abitanti n° 118 popolazione anno 1843: abitanti n° 127 Nome del luogo: Bibbiano Giuglieschi 48. S. Lorenzo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 307 popolazione anno 1745: abitanti n° 252 popolazione anno 1833: abitanti n° 360 popolazione anno 1840: abitanti n° 314 popolazione anno 1843: abitanti n° 268 N.B. Nel Vicariato di Buonconvento dalla prima allâultima epoca furono soppresse tre cure.
IV. VICARIATO DI CORSANO Nome del luogo: Corsano 49. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 91 popolazione anno 1745: abitanti n° 361 popolazione anno 1833: abitanti n° 472 popolazione anno 1840: abitanti n° 455 popolazione anno 1843: abitanti n° 508 Nome del luogo: Bagnaja e Lestine 50. SS. Vincenzio e Anastasio (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 109 popolazione anno 1745: abitanti n° 161 popolazione anno 1833: abitanti n° 188 popolazione anno 1840: abitanti n° 222 popolazione anno 1843: abitanti n° 209 Nome del luogo: Filetta e Faltignano 51. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 376 popolazione anno 1745: abitanti n° 186 popolazione anno 1833: abitanti n° 159 popolazione anno 1840: abitanti n° 172 popolazione anno 1843: abitanti n° 248 Nome del luogo: Radi di Creta 52. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 80 popolazione anno 1745: abitanti n° 147 popolazione anno 1833: abitanti n° 176 popolazione anno 1840: abitanti n° 178 popolazione anno 1843: abitanti n° 156 Nome del luogo: Campriano e S. Lazzerello 53. S. Giovanni Decollato e S. Lazzero (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 130 popolazione anno 1745: abitanti n° 118 popolazione anno 1833: abitanti n° 330 popolazione anno 1840: abitanti n° 178 popolazione anno 1843: abitanti n° 135 Nome del luogo: Pilli 54. S. Salvatore (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 176 popolazione anno 1745: abitanti n° 302 popolazione anno 1833: abitanti n° 442 popolazione anno 1840: abitanti n° 454 popolazione anno 1843: abitanti n° 442 Nome del luogo: Magnano 55. S. Giacomo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 71 popolazione anno 1745: abitanti n° 55 popolazione anno 1833: abitanti n° 78 popolazione anno 1840: abitanti n° 79 popolazione anno 1843: abitanti n° 71 V. VICARIATO DI MONTERIGGIONI Nome del luogo: Monteriggioni 56. S. Maria Assunta (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 260 popolazione anno 1745: abitanti n° 271 popolazione anno 1833: abitanti n° 348 popolazione anno 1840: abitanti n° 489 popolazione anno 1843: abitanti n° 430 Nome del luogo: Poggiolo 57. S. Maria Assunta (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 149 popolazione anno 1745: abitanti n° 204 popolazione anno 1833: abitanti n° 253 popolazione anno 1840: abitanti n° 259 popolazione anno 1843: abitanti n° 268 Nome del luogo: Lornano 58. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 75 popolazione anno 1745: abitanti n° 168 popolazione anno 1833: abitanti n° 194 popolazione anno 1840: abitanti n° 177 popolazione anno 1843: abitanti n° 176 Nome del luogo: Basciano 59. S. Giovanni Evangelista (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 110 popolazione anno 1745: abitanti n° 348 popolazione anno 1833: abitanti n° 449 popolazione anno 1840: abitanti n° 391 popolazione anno 1843: abitanti n° 368 Nome del luogo: Querce Grossa e Petrojo 60. S. Giacomo e S. Angelo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 121 popolazione anno 1745: abitanti n° 184 popolazione anno 1833: abitanti n° 261 popolazione anno 1840: abitanti n° 253 popolazione anno 1843: abitanti n° 243 Nome del luogo: Reciano e Chiocciola 61. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 324 popolazione anno 1745: abitanti n° 201 popolazione anno 1833: abitanti n° 277 popolazione anno 1840: abitanti n° 286 popolazione anno 1843: abitanti n° 287 Nome del luogo: Fungaia e al Colle 62. S. Michele e S. Lorenzo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 111 popolazione anno 1745: abitanti n° 152 popolazione anno 1833: abitanti n° 118 popolazione anno 1840: abitanti n° 131 popolazione anno 1843: abitanti n° 141 N.B. Nel vicariato di Monteriggioni dalla prima allâultima epoca furono soppresse tre chiese parrocchiali.
VI. VICARIATO DELLA CANONICA A CERRETO Nome del luogo: Canonica a Cerreto con Cerreto Ciampoli 63. S. Pietro (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 280 popolazione anno 1745: abitanti n° 285 popolazione anno 1833: abitanti n° 325 popolazione anno 1840: abitanti n° 394 popolazione anno 1843: abitanti n° 392 Nome del luogo: Pieve Asciata con Catignano e Selvoli 64. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 311 popolazione anno 1745: abitanti n° 365 popolazione anno 1833: abitanti n° 487 popolazione anno 1840: abitanti n° 623 popolazione anno 1843: abitanti n° 568 Nome del luogo: Cellule e Pontignano 65. SS. Martino e Miniato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 207 popolazione anno 1745: abitanti n° 352 popolazione anno 1833: abitanti n° 357 popolazione anno 1840: abitanti n° 373 popolazione anno 1843: abitanti n° 370 Nome del luogo: Cerreto 66. S. Giovanni (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 86 popolazione anno 1745: abitanti n° 96 popolazione anno 1833: abitanti n° 136 popolazione anno 1840: abitanti n° 137 popolazione anno 1843: abitanti n° 131 Nome del luogo: Vagliagli e Coschine 67. SS. Cristofano e Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 264 popolazione anno 1745: abitanti n° 335 popolazione anno 1833: abitanti n° 474 popolazione anno 1843: abitanti n° 472 N.B. Nel Vicariato della Canonica a Cerreto fra la prima e lâultima epoca furono soppressi quattro popoli.
VII. VICARIATO DI S. LORENZO A MERSE Nome del luogo: in Val di Merse 68. S. Lorenzo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 235 popolazione anno 1745: abitanti n° 125 popolazione anno 1833: abitanti n° 264 popolazione anno 1840: abitanti n° 262 popolazione anno 1843: abitanti n° 248 Nome del luogo: Recenza 69. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 66 popolazione anno 1745: abitanti n° 161 popolazione anno 1833: abitanti n° 244 popolazione anno 1840: abitanti n° 237 popolazione anno 1843: abitanti n° 218 Nome del luogo: Jesa 70. S. Michele (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 240 popolazione anno 1745: abitanti n° 252 popolazione anno 1833: abitanti n° 415 popolazione anno 1840: abitanti n° 421 popolazione anno 1843: abitanti n° 435 Nome del luogo: al Santo 71. SS. Jacopo e Filippo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 51 popolazione anno 1745: abitanti n° 71 popolazione anno 1833: abitanti n° 99 popolazione anno 1840: abitanti n° 98 popolazione anno 1843: abitanti n° 89 VIII. VICARIATO DI MONTERONI Nome del luogo: Monteroni con Arbiola 72. SS. Giusto e Donato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 251 popolazione anno 1745: abitanti n° 309 popolazione anno 1833: abitanti n° 369 popolazione anno 1840: abitanti n° 412 popolazione anno 1843: abitanti n° 390 Nome del luogo: Cuna 73. SS. Jacopo e Cristofano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 136 popolazione anno 1745: abitanti n° 172 popolazione anno 1833: abitanti n° 356 popolazione anno 1840: abitanti n° 327 popolazione anno 1843: abitanti n° 320 Nome del luogo: Quinciano 74. S. Albano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 44 popolazione anno 1745: abitanti n° 79 popolazione anno 1833: abitanti n° 134 popolazione anno 1840: abitanti n° 136 popolazione anno 1843: abitanti n° 127 Nome del luogo: Ponte a Tressa 75. S. Angelo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 95 popolazione anno 1745: abitanti n° 125 popolazione anno 1833: abitanti n° 247 popolazione anno 1840: abitanti n° 165 popolazione anno 1843: abitanti n° 158 Nome del luogo: Grania con Ponzano 76. S. Martino (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 78 popolazione anno 1745: abitanti n° 139 popolazione anno 1833: abitanti n° 159 popolazione anno 1840: abitanti n° 207 popolazione anno 1843: abitanti n° 205 Nome del luogo: Leonina con Ripa Medani 77. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 139 popolazione anno 1745: abitanti n° 211 popolazione anno 1833: abitanti n° 249 popolazione anno 1840: abitanti n° 262 popolazione anno 1843: abitanti n° 277 Nome del luogo: Isola dâArbia con Borgovecchio 78. S. Ilario (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 150 popolazione anno 1745: abitanti n° 91 popolazione anno 1833: abitanti n° 139 popolazione anno 1840: abitanti n° 129 popolazione anno 1843: abitanti n° 129 Nome del luogo: Colle Malamerenda 79. SS. Simone e Giuda (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 22 popolazione anno 1745: abitanti n° 111 popolazione anno 1833: abitanti n° 125 popolazione anno 1840: abitanti n° 145 popolazione anno 1843: abitanti n° 135 Nome del luogo: Collanza con Medane Spennazzi 80. S. Giovanni Decollato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 123 popolazione anno 1745: abitanti n° 132 popolazione anno 1833: abitanti n° 121 popolazione anno 1840: abitanti n° 136 popolazione anno 1843: abitanti n° 131 Nome del luogo: Lucignano dâArbia con S. Maria al Pino 81. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 256 popolazione anno 1745: abitanti n° 549 popolazione anno 1833: abitanti n° 703 popolazione anno 1840: abitanti n° 712 popolazione anno 1843: abitanti n° 709 N.B. Nel Vicariato di Monteroni dalla prima allâultima epoca furono soppresse sei cure.
IX. VICARIATO DI CIVITELLA DI PARI Nome del luogo: Civitella di pari con lâAbbadia Ardenghesca 82. S. Maria in Montibus (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 530 popolazione anno 1745: abitanti n° 171 popolazione anno 1833: abitanti n° 692 popolazione anno 1840: abitanti n° 639 popolazione anno 1843: abitanti n° 598 Nome del luogo: Casenovole 83. S. Giovanni Evangelista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 127 popolazione anno 1745: abitanti n° 96 popolazione anno 1833: abitanti n° 130 popolazione anno 1840: abitanti n° 149 popolazione anno 1843: abitanti n° 142 Nome del luogo: Paganico 84. S. Michele (Prepositura) popolazione anno 1640: abitanti n° 391 popolazione anno 1745: abitanti n° 84 popolazione anno 1833: abitanti n° 238 popolazione anno 1840: abitanti n° 240 popolazione anno 1843: abitanti n° 241 Nome del luogo: Montantico 85. S. Tommaso (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 100 popolazione anno 1745: abitanti n° 145 popolazione anno 1833: abitanti n° 203 popolazione anno 1840: abitanti n° 196 popolazione anno 1843: abitanti n° 215 Nome del luogo: Pari 86. S. Biagio (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 523 popolazione anno 1745: abitanti n° 463 popolazione anno 1833: abitanti n° 605 popolazione anno 1840: abitanti n° 733 popolazione anno 1843: abitanti n° 733 N.B. Il popolo soppresso della Badia Ardenghesca era compreso nella Diocesi di Grosseto.
X. VICARIATO DI MURLO Nome del luogo: Murlo di Vescovado 87. S. Fortunato (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 639 popolazione anno 1833: abitanti n° 734 popolazione anno 1840: abitanti n° 745 popolazione anno 1843: abitanti n° 717 Nome del luogo: Crevole 88. S. Cecilia (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 104 popolazione anno 1833: abitanti n° 105 popolazione anno 1840: abitanti n° 113 popolazione anno 1843: abitanti n° 115 Nome del luogo: San Giusto 89. S. Salvatore (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 71 popolazione anno 1833: abitanti n° 107 popolazione anno 1840: abitanti n° 104 popolazione anno 1843: abitanti n° 90 Nome del luogo: Monte Pescini 90. SS. Pietro e Paolo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 102 popolazione anno 1833: abitanti n° 108 popolazione anno 1840: abitanti n° 132 popolazione anno 1843: abitanti n° 106 Nome del luogo: Casciano di Vescovado 91. SS. Giusto e Clemente (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 454 popolazione anno 1833: abitanti n° 634 popolazione anno 1840: abitanti n° 641 popolazione anno 1843: abitanti n° 626 Nome del luogo: Monte Pertuso 92. S. Michele (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 198 popolazione anno 1833: abitanti n° 240 popolazione anno 1840: abitanti n° 283 popolazione anno 1843: abitanti n° 237 Nome del luogo: Vallerano 93. S. Donato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 72 popolazione anno 1833: abitanti n° 94 popolazione anno 1840: abitanti n° 98 popolazione anno 1843: abitanti n° 101 Nome del luogo: Sovignano 94. S. Stefano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 45 popolazione anno 1745: abitanti n° 109 popolazione anno 1833: abitanti n° 97 popolazione anno 1840: abitanti n° 103 popolazione anno 1843: abitanti n° 111 N.B. Le parrocchie di Murlo di Vescovado nella prima epoca mancano della loro popolazione, per essere stati allora quei popoli feudatarj degli arcivescovi di Siena.
XI. VICARIATO DI BARONTOLI Nome del luogo: Brontoli con Viteccio 95. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 336 popolazione anno 1745: abitanti n° 443 popolazione anno 1833: abitanti n° 477 popolazione anno 1840: abitanti n° 457 popolazione anno 1843: abitanti n° 484 Nome del luogo: Fogliano 96. S. Giovanni Battista (Prepositura) popolazione anno 1640: abitanti n° 94 popolazione anno 1745: abitanti n° 126 popolazione anno 1833: abitanti n° 151 popolazione anno 1840: abitanti n° 150 popolazione anno 1843: abitanti n° 151 Nome del luogo: Canonica a Pilli 97. S. Bartolommeo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 393 popolazione anno 1745: abitanti n° 429 popolazione anno 1833: abitanti n° 617 popolazione anno 1840: abitanti n° 587 popolazione anno 1843: abitanti n° 596 Nome del luogo: Sovicille, al Ponte allo Spino, o alla Pieve Vecchia 98. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 271 popolazione anno 1745: abitanti n° 492 popolazione anno 1833: abitanti n° 569 popolazione anno 1840: abitanti n° 553 popolazione anno 1843: abitanti n° 522 Nome del luogo: Ginestreto con Fonte Benedetta e Formicaja 99. S. Donato (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 177 popolazione anno 1745: abitanti n° 74 popolazione anno 1833: abitanti n° 81 popolazione anno 1840: abitanti n° 79 popolazione anno 1843: abitanti n° 71 Nome del luogo: Montecchio con la Costa al Pino 100. S. Andrea (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 275 popolazione anno 1745: abitanti n° 351 popolazione anno 1833: abitanti n° 448 popolazione anno 1840: abitanti n° 453 popolazione anno 1843: abitanti n° 436 Nome del luogo: Cerreto alla Selva 101. S. Stefano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 66 popolazione anno 1745: abitanti n° 101 popolazione anno 1833: abitanti n° 83 popolazione anno 1840: abitanti n° 88 popolazione anno 1843: abitanti n° 95 Nome del luogo: Monsindoli con Trojola 102. S. Pietro (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 289 popolazione anno 1745: abitanti n° 174 popolazione anno 1833: abitanti n° 231 popolazione anno 1840: abitanti n° 238 popolazione anno 1843: abitanti n° 240 Nome del luogo: alle Volte 103. S. Bartolommeo (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 103 popolazione anno 1745: abitanti n° 169 popolazione anno 1833: abitanti n° 174 popolazione anno 1840: abitanti n° 149 popolazione anno 1843: abitanti n° 148 N.B. Nel Vicariato di Brontoli dalla prima allâultima epoca compariscono quattro popoli di meno XII. VICARIATO DI ROSIA Nome del luogo: Rosia 104. S. Giovanni Battista (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 25 popolazione anno 1745: abitanti n° 309 popolazione anno 1833: abitanti n° 410 popolazione anno 1840: abitanti n° 474 popolazione anno 1843: abitanti n° 454 Nome del luogo: Sovicille (al Catello) 105. S. Lorenzo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° - popolazione anno 1745: abitanti n° 500 popolazione anno 1833: abitanti n° 644 popolazione anno 1840: abitanti n° 630 popolazione anno 1843: abitanti n° 642 Nome del luogo: Castel dâOrgia 106. S. Bartolommeo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 222 popolazione anno 1745: abitanti n° 240 popolazione anno 1833: abitanti n° 269 popolazione anno 1840: abitanti n° 333 popolazione anno 1843: abitanti n° 305 Nome del luogo: Pentolina 107. S. Bartolommeo (Pieve) popolazione anno 1640: abitanti n° 49 popolazione anno 1745: abitanti n° 49 popolazione anno 1833: abitanti n° 87 popolazione anno 1840: abitanti n° 100 popolazione anno 1843: abitanti n° 103 Nome del luogo: Badia a Torri 108. S. Mustiola (Prioria) popolazione anno 1640: abitanti n° 153 popolazione anno 1745: abitanti n° 193 popolazione anno 1833: abitanti n° 281 popolazione anno 1840: abitanti n° 298 popolazione anno 1843: abitanti n° 290 Nome del luogo: Brenne 109. S. Michele (Prioria) popolazione anno 1640: abitanti n° 128 popolazione anno 1745: abitanti n° 195 popolazione anno 1833: abitanti n° 354 popolazione anno 1840: abitanti n° 304 popolazione anno 1843: abitanti n° 287 Nome del luogo: Stigliano 110. SS. Fabiano e Sebastiano (Cura) popolazione anno 1640: abitanti n° 247 popolazione anno 1745: abitanti n° 359 popolazione anno 1833: abitanti n° 380 popolazione anno 1840: abitanti n° 416 popolazione anno 1843: abitanti n° 439 N.B. Nel Vicariato di Rosia fra la prima e lâultima epoca non compariscono soppressioni di parrocchie Totale popolazione anno 1640: abitanti n° 31391 Totale popolazione anno 1745: abitanti n° 37285 Totale popolazione anno 1833: abitanti n° 47920 Totale popolazione anno 1840: abitanti n° 49569 Totale popolazione anno 1843: abitanti n° 49665 RICAPITOLAZIONE Il numero totale delle Parrocchie della DIOCESI DI SIENA comparisce Nellâanno 1640 di Popoli N° 151 (*) con Abitanti N° Nellâanno 1745 di Popoli N° 118 con Abitanti N° 37285 Nellâanno 1843 di Popoli N° 110 con Abitanti N° 49665 (*) Meno il feudo di Murlo di Vescovado.
COMPARTIMENTO SANESE Con la legge del 18 marzo 1766 Io Stato sanese fu diviso in due governi separati, che uno spettante alla Provincia inferiore, capoluogo Grosseto, e l'altro alla Provincia superiore capo della quale fu la cittĂ di Siena.
Con la legge del 27 giugno 1814 fu variata denominazione a tutte due le Province sanesi, al pari della fiorentina e della pisana, sostituendovi il titolo di Compartimenti, ed affidandone la direzione ad un soprintendente per la parte economica delle rispettive ComunitĂ dei luoghi pii comunitativi, oltre la sorveglianza alle deputazioni de' fiumi, allâesazione della tassa di famiglia, alla collezione deâ fondi necessarj al mantenimento delle strade provinciali, e per la parte economica ai lavori delle strade medesime e di quelle regie.
Alle quattro Camere di soprintendenza comunitativa, ossia ai quattro Compartimenti economici del Granducato, con motuproprio del primo novembre 1825 venne aggiunto il quinto Compartimento di Arezzo formato in gran parte di quelli di Firen ze e di Siena. Nella quale occasione furono smembrate dal Compartimento sanese le Comunità di Val di Chiana; cioè, di Chiusi, Cetona, Sarteano, Chianciano, Torrita, Asinalunga e Lucignano, mentre con altra legge dell'anno 1840 fu staccata dal Compartimento sanese la Comunità di Montieri per assegnarla a quello di Grosseto.
Con altro motuproprio del 29 dicembre 1840 fu rinnovato il dipartimento della Soprintendenza generale alle ComunitĂ del Granducato di Toscana, ad oggetto d'invigilare all'esatta osservanza della legislazione commutativa, come pure rispetto alla direzione del nuovo catasto.
II Compartimento di Siena attualmente è formato di 33 Comunità comprese in undici Cancellerie comunitative.
STRADE REGIE E PROVINCIALI CHE ATTRAVERSANO IL COMPARTIMENTO SANESE. STRADE REGIE 1. Strada Regia postale Romana. Dai confini della ComunitĂ di Poggibonsi con quella di Barberino di Val d'Elsa fino all'osteria della Torricella in ComunitĂ di S.
Casciano de' Bagni, attraversando le ComunitĂ di Poggibonsi e di MonteReggioni e rasentando i confini delle ComunitĂ suburbane del Terzo di CittĂ e del Terzo di S. Martino prima di arrivare e dopo escita dalla cittĂ di Siena; quindi passando per le ComunitĂ di Monteroni, di Buonconvento, di Montalcino, di San Quirico, di Castiglion d'Orcia, dell'Abbazia di S. Salvadore, di Radicofani, e di S.
Cascian de'Bagni.â Nel 1843 sotto stati fatti dei lavori per correggere l'ardua costa di Ricorsi, non che al ponte del Formone.
2. Strada Regia da Siena ad Arezzo.â Dalla Porta Pispini della cittĂ di Siena attraversando la ComunitĂ del Terzo di S. Mart i n o e per breve tragitto quella d'Asciano. Essa rasenta per lungo trattola vallecola del torrente Biene in ComunitĂ , di Castelnuovo della Berardenga, quindi passando per quella di Rapolano sale sul monte di Palazzuolo dove sul confine occidentale della ComunitĂ del Monte S. Savino trova il Compartimento aretino. â In questa strada nel 1843 è stato costruito un bel ponte nuovo che attraversa il torrente Bozzone.
3. Strada Regia Suburbana occidentale di Siena. â Staccasi dalla Regia postale Romana presso la Porta di Camullia e per Pescaja scende nel torrente Tressa per congiungersi alla strada Regia Grossetana che trova al Chiesino di S. Carlo. Nell'anno 1843 ĂŠ stata corretta e resa questa strada piĂš agevole nella salita di Pescaja.
4. Strada Regia Grossetana. â Esce dalla Porta S.
Marco scende per la Costa a Fabbri in Tressa, quindi risale la Costa al Pino attraversando la ComunitĂ delle Masse del Terzo di CittĂ , poscia i territorj comunitativi di Sovicille e Murlo, dove passa la Merse sul ponte a Macereto, di lĂ inoltrandosi nella ComunitĂ di Monticiano, entra in quella di Campagnatico sino al ponte di Petriolo sulla Farma, ponte dove comincia il Compartimento di Grosseto.
Nel 1843 ed anche nell'anno attuale si lavora fuori della Porta S. Marco in questi strada per rendere meno ripida l'ardua salita della Costa a Fabbri, onde arrivare piĂš agevolmente dal piano della Tressa alla Porta S.
Marco.
STRADE PROVINCIALI 1. Strada Chiantigiana. â Entra nel Compartimento sanese al confine della ComunitĂ di Greve con quella di Radda, il di cui territorio attraversa dirigendosi nella ComunitĂ di Gajole sino alla strada Regia Aretina che incontra nella Vallecola di Biena per arrivare al ponte detto di Grillo sull'Ombrone in ComunitĂ di Castelnuovo della Berardenga.
2. Strada da Levane alla Val di Biena. â Dopo rimontata la Val d'Ambra entra nel Compartimento sanese nel poggio di Montalto per dirigersi al ponte di Grillo.
3. Strada Lauretana. â Staccasi dalla Regia Aretina presso il ponte delle Taverne d'Arbia passando per il territorio di Asciano, di Rapolano e di Trequanda, sul di cui confine trova la ComunitĂ di Asinalunga del Compartimento aretino.
4. Strada da Siena a Cortona , o de' Vallesi. â Staccasi dalla Regia Aretina presso il ponte di Grillo sull'Ombrone in ComunitĂ di Castelnuovo Berardenga, di lĂ per Rapolano ed i Vallesi arriva sul confine della ComunitĂ di Lucignano spettante al Compartimento aretino.
5. Strada traversa del Sentino. â Diramasi dalla strada qui sopra nominata in ComunitĂ di Rapolano per arrivare sulla strada Lauretana che trova presso S.
Gimignanello dentro la stessa ComunitĂ .
6. Strada traversa de' Monti. â Entra nel Compartimento sanese sul confine d'Asinalunga e per il territorio comunitativo di Trequanda si dirige a Montisi, scende a S. Giovanni d'Asso e a Torrenieri, sale a Montalcino, quindi per Poggio alle Mura giunge sul confine della ComunitĂ di Campagnatico, dove ai Cannicci si unisce alla strada Regia Grossetana.
7. Strada del Monte Amiata. â Staccasi dalla Regia postale Romana alla posta della Poderina, e salendo a Castiglion d'Orcia di lĂ si dirige nel Compartimento grossetano passando per Castel del Piano, Arcidosso e Santa-Fiora, di dove ritorna nel Compartimento sanese a Pian-Castagnajo, per scendere sulla strada Regia postale Romana al Ponte a Rigo in ComunitĂ di S. Casciano de'Bagni.
8. Strada Traversa dalla Via regia Romana all'Aurelia. â Parte dalla via suddetta sotto Pian- Castagnajo dirigendosi per la Sforzesca, dov'entra nel Compartimento grossetano, nel quale prosegue per S.
Giovanni delle Contee, Sorano, Pitigliano ecc.
9. Strada da Siena o Massa. â Staccasi sulla Costa al Pino dalla Regia Grossetana fino alla strada seguente di Follonica.
10. Strada da Poggibonsi a Folloni ca. â Strada magnifica che staccasi dalla postale Romana presso al ponte sulla Staggia passando per le ComunitĂ di Poggibonsi, di Colle, di Casole, di Radicondoli, di Elei,di lĂ dalla quale entra nelle ComunitĂ di Montieri e di Massa spettanti al Compartimento grossetano, e dentro questo arriva al ponte imbarcatore a Follonica.
11. Strada da Siena a Volterra. â Staccasi dalla strada Regia Romana presso Monteriggioni fino a che a Monte Miccioli entra nella strada provinciale volterrana passando per le ComunitĂ di Monteriggioni, di Colle e di San Gimignano.
PROSPETTO delle ComunitĂ del COMPARTIMENTO SANESE distribuite per Cancellerie con la respettiva superficie e popolazione Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 1. SIENA, CittĂ , Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: (ERRATA: 41236) 412,36 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Masse del Terzo di CittĂ valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 16488 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Masse del Terzo di S. Martino valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 16808 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Castelnuovo Berardenga valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 50661 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Monteroni valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 32082 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 2. ASCIANO, Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 61142 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Rapolano valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 23039 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Trequanda valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâAsso superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 22997 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 3. CHIUSDINO, Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 38803 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Elci valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Cecina superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 18669 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Monticiano valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 30704 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 4. COLLE, CittĂ , Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 26178 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Monteriggioni valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 28304 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Poggibonsi valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 19815 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 5. MONTALCINO, CittĂ , Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâAsso superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 26178 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Buonconvento valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 18165 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Murlo valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOmbrone senese superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 32347 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 6. SAN GIMIGNANO Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 40066 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 7. SAN QUIRICO Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 12087 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Pienza, CittĂ valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 34489 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Castiglion dâOrcia valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 30201 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - S. Giovanni dâAsso valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâAsso superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 14011 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 8. RADICOFANI Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia e dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 33215 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - San Cascian deâBagni valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 25659 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 9. RADDA Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Pesa superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 22945 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Castellina in Chianti valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâElsa e Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 28240 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Gajole valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArbia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 36954 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Cavriglia valle in cui è compreso il capoluogo: Val dâArno superiore superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 17322 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 10. RADICONDOLI Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 18636 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Casole valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 42329 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Sovicille valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Merse superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 41007 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° Capoluogo della Cancelleria comunitativa con le ComunitĂ dipendenti: - 11. ABBADIA S. SALVADORE Cancelleria valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia e dâOrcia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 26214 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - Pian Castagnajo valle in cui è compreso il capoluogo: Val di Paglia superficie territoriale della ComunitĂ in Quadrati: 19647 popolazione della ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° - TOTALE superficie territoriale delle ComunitĂ in Quadrati: (ERRATA : 987549) 946725, 36 - TOTALE popolazione delle ComunitĂ allâanno 1833: abitanti n° 135640
Riferimento bibliografico:
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1843, Volume V, p. 295.
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